La nonviolenza e' in cammino. 1040



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1040 del primo settembre 2005

Sommario di questo numero:
1. Il resto
2. George Lakey: La spada che guarisce: una difesa della nonviolenza attiva
(parte seconda e conclusiva)
3. La scelta
4. Da tradurre: Lia Freitas, A producao de ignorancia na escola
5. Da tradurre: Maria do Rosario Longo Mortatti, Os sentidos da
alfabetizacao
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. IL RESTO

Tu ripudia la menzogna e la lesione. Tu rifiuta la complicita' con
l'uccidere. Il resto verra' da se'.

2. RIFLESSIONE. GEORGE LAKEY: LA SPADA CHE GUARISCE: UNA DIFESA DELLA
NONVIOLENZA ATTIVA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA)
[Dal bel mensile diretto da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18,  ottobre
2001 (sito: www.lostraniero.net). Su George Lakey riportiamo dalla stessa
rivista la seguente breve presentazione: "George Lakey e' direttore di
'Training for Change'. E' stato trainer alla 'Martin Luther King School fors
Social Change' e ha partecipato a numerose azioni di disobbedienza civile:
insieme a minatori, metalmeccanici, homeless, carcerati, gay e lesbiche
russe, attivisti sudafricani e srilankesi. E' stato co-fondatore del
Movimento per una nuova societa', che negli ultimi vent'anni ha sperimentato
forme di lotta innovative, ed e' autore di A manual for direct action, opera
che fu ritenuta fondamentale dal movimento per i diritti civili nel Sud
negli anni Sessanta. L'articolo che segue mette in discussione il libro di
Ward Churchill Pacifism as Pathology: Reflections on the Role of Armed
Struggle in North America , Arbeiter Ring Winnipeg, Canada 1998"]

Il successo dell'azione nonviolenta dipende dalla violenza che gli altri
compiono o minacciano di compiere in una data situazione?
Ward sostiene che i successi della nonviolenza nella lotta indiana contro la
Gran Bretagna e del movimento per i diritti civili degli Stati Uniti erano
dovuti in realta' alla violenza. Sostiene che la Gran Bretagna aveva
esaurito le sue risorse militari nella seconda guerra mondiale e che quindi
non sarebbe riuscita a mantenere il proprio predominio sull'India con l'uso
delle armi e per questo si arrese. La guerra rese possibile l'indipendenza.
Il problema di questa affermazione e' che la Gran Bretagna continuo' a
mantenere il dominio su altre colonie anche molto dopo l'indipendenza
indiana nel 1948. Un drammatico esempio e' la spietata repressione della
ribellione Mao Mao in Kenya negli anni Cinquanta con il bombardamento dei
villaggi. La Gran Bretagna aveva ancora la forza di predisporre una risposta
militare su vasta scala per reprimere una lotta armata per l'indipendenza,
ma non riusci' a mantenere il suo predominio contro una lotta nonviolenta.
Non e' la guerra che rese possibile l'indipendenza indiana: e' stata la
non-cooperazione della popolazione indiana a rendere possibile
l'indipendenza indiana.
A rischio di una eccessiva semplificazione, nel caso della lotta
statunitense per i diritti civili valuterei l'efficacia nel raggiungere
obiettivi tangibili e concreti utilizzando la curva di un grafico
immaginario, in questo modo: 1955-1965, la curva aumenta di anno in anno.
Alcuni obiettivi di quel periodo erano: la desegregazione nei trasporti
urbani, in particolare sugli autobus (la protesta di Montgomery e le Freedom
rides, "i viaggi della liberta'"); desegregazione negli sportelli per la
distribuzione dei pasti e di altre strutture pubbliche (sit-in,
manifestazioni di piazza di vario genere, la campagna di protesta di
Birmingham e il Civil Rights Act, legge per i diritti civili, del 1964); il
diritto di voto ai neri nel profondo sud (la Mississippi Summer, la marcia
di Selma, il Voting Rights Act, legge per il diritto di voto, del 1965).
Se si considerano le grandi conquiste del movimento di massa, la curva
comincia a precipitare dal 1965, sebbene negli anni successivi vi furono
miglioramenti rispetto a quello che era stato ottenuto precedentemente, come
l'elezione di funzionari di colore anche nel profondo sud. In particolare,
dal 1965 vi furono numerosi scontri in citta' del nord come Newark,
Filadelfia, Detroit e Watts, e la nascita dei partiti come Deacons of
Defence e le Black Panthers. Nel 1968 perfino una legge che non prospettava
alcuna minaccia, come quella intesa a stanziare fondi per la derattizzazione
delle zone urbane, venne accolta con derisione dalla Camera dei
Rappresentanti. Il movimento di massa per i diritti civili perse gran parte
del suo potere proprio nel momento in cui venne a mancare il consenso sulla
lotta nonviolenta come base per l'azione di massa.
*
Ma i governi non sono forse in grado di annientare militarmente qualsiasi
movimento nonviolento?
No, stando al comportamento delle dittature militari che sono state
rovesciate dall'azione nonviolenta. Nel 2000 il dittatore serbo Slobodan
Milosevic disponeva di un enorme potere militare, e venne spodestato da un
movimento nonviolento. Lo stesso per il dittatore delle Filippine Marcos nel
1986. Lo stesso per la dittatura della Germania dell'est, per quella
ungherese, quella ceca e quella polacca nel 1989. Lo scia' dell'Iran
disponeva di un esercito che era tra i dieci piu' potenti del mondo e di
servizi segreti la cui ferocia non aveva pari. Venne destituito nel
1977-'79, in modo nonviolento. Potrei continuare la lista citando ancora
molti casi (6).
Le considerazioni di Ward in questo libro privano di ogni forza gli
attivisti perche' non danno alcun credito al potere delle persone, che e' lo
strumento principale di cui disponiamo! Gli attivisti che partono da basi
popolari non potranno mai disporre di una ricchezza pari a quella del
governo, come noi non potremmo mai disporre di una violenza in grado di
competere con quella governativa. Potenzialmente siamo invece in grado di
accedere all'azione di molti, e non dare credito a tale forza e' un invito
ad abbandonarsi alla disperazione.
L'affermazione di fondo del libro di Ward e' che la violenza e' la forza
politica piu' potente del mondo. Questo e' un giudizio convenzionale,
condiviso dalla maggior parte delle persone di destra, di sinistra e di
centro; e' popolare quanto l'antica convinzione comune che la terra sia
piatta. E altrettanto sbagliata.
Spesso gli attivisti scoprono la debolezza della violenza proprio tramite la
nostra esperienza. Ricordo quando, durante un corso tenuto per la United
Mine Workers Union, il sindacato dei minatori, uno dei capi mi parlo' della
sua adolescenza nelle miniere. "Devo dirti che preferivo i bei vecchi tempi,
quando uno sciopero significava ancora che potevamo fare tutto a pezzi,
picchiare i crumiri, sparare contro i camion della societa'. Sai, avevamo
molte pistole e sapevamo come usarle. Ma - sospiro' - questo genere di roba
non funziona piu'. Avanti, insegnaci questa lotta nonviolenta!".
La definisco "nonviolenza come ultima risorsa".
Un caso classico fu quello del Salvador nel 1944, quando una rivolta armata
falli' nel tentativo di destituire il dittatore Hernandez Martinez. Il
governo era abbastanza forte per opporsi con successo all'attacco armato.
Allora gli studenti diedero inizio a un'insurrezione nonviolenta, sostenendo
senza limitazioni la nonviolenza, vista la sconfitta della violenza.
Riuscirono a destituire Martinez in modo nonviolento: "il potere della
gente" riusci' dove la violenza aveva fallito. Gli studenti nel vicino
Guatemala ne furono cosi' colpiti che iniziarono un'insurrezione nonviolenta
contro il "dittatore di ferro dei Caraibi", Jorge Ubico, e anche Ubico venne
destituito (7).
Diversi movimenti di liberazione nel Terzo Mondo hanno ormai rinunciato allo
scontro armato per ricorrere ad altri mezzi. Gli zapatisti del Chiapas sono
forse l'esempio piu' conosciuto di questo fenomeno. Agli inizi degli anni
Ottanta l'African National Congress si rese conto che la sua strategia di
lotta armata stava fallendo; si era rivelata del tutto incapace di
sconfiggere l'apartheid. Non riusciva nemmeno a coinvolgere le masse
cittadine che non vedevano l'ora di agire per difendere la liberta'. E
cosi', senza rinunciare formalmente alla loro attivita' di guerriglia, si
rivolsero alla lotta nonviolenta: boicottaggi, scioperi, manifestazioni di
ogni genere. Il risultato fu la sconfitta dell'apartheid, nonostante lo
stato disponesse di potenti forze armate e di una polizia terroristica (8).
Quando i movimenti sono tanto pragmatici da imparare dalle loro stesse
esperienze, spesso abbandonano la violenza e perfino la distruzione della
proprieta'. Il movimento operaio di Solidarnosc in Polonia, per esempio, era
in gran parte un movimento giovanile che voleva la liberta' dalla dittatura
militare del partito comunista. Nelle loro prime manifestazioni di azione
diretta, organizzarono, insieme a scioperi e occupazioni, anche qualche atto
di distruzione della proprieta'. Secondo la loro stessa valutazione,
compresero che la distruzione della proprieta' forniva solo una
giustificazione per il duro intervento militare del dittatore e riduceva il
numero di possibili alleati. Cosi' decisero di interrompere quella pratica,
ampliarono il loro movimento e finirono per vincere. Naturalmente lo stato
militare voleva annientarli, ma non gli fu possibile semplicemente perche'
l'azione di molti e' piu' forte del potere militare.
Poiche' questo e' in aperta contraddizione con il giudizio convenzionale,
non riuscivo a capire come potesse verificarsi una cosa simile. Bernard
Lafayette, originario del profondo sud, componente dello Student Nonviolent
Coordinating Committee, comitato coordinatore studentesco di nonviolenza, me
lo spiego' con una metafora. Bernard disse che la societa' e' come una casa.
Le fondamenta sono la cooperazione o l'acquiescenza della gente. Il tetto e'
lo stato e il suo apparato repressivo. Mi chiese cosa succederebbe alla casa
se le fondamenta cedessero. Mi chiese ancora: "Cosa cambierebbe se venissero
aggiunte armi sul tetto, carri armati piu' grandi, armi tecnologiche
all'avanguardia? Cosa succederebbe allora alla casa, se le fondamenta
cedessero?". Non mi resto' che ammettere: se le fondamenta cedessero, il
tetto crollerebbe in ogni caso, per quanto grande sia la somma di denaro
investita nelle armi.
Un modo appropriato per testare questo fatto e' riferirsi alla caduta dello
scia' dell'Iran. Non disponeva solo dell'esercito piu' numeroso del mondo e
di una polizia segreta di estrema ferocia, ma anche del sostegno degli Stati
Uniti. I capi dell'opposizione scelsero di usare una strategia del tutto
nonviolenta, e funziono'. Come e' potuto succedere? Non vi e' nulla nel
libro di Ward in grado di spiegarlo. Non poteva funzionare, secondo Ward,
perche' gli stati militarmente potenti distruggono i movimenti nonviolenti.
Le fondamenta della casa dello scia' erano costituite dall'acquiescenza
della gente. Quando le fondamenta hanno ceduto, la casa e' crollata.
Non c'e' cosa piu' importante di questa, che gli attivisti di oggi debbano
sapere: le fondamenta del governo politico e' l'acquiescenza della gente,
non la violenza. Il consenso dei cittadini e' piu' forte della violenza.
Prima agiremo sulla base di questa conoscenza, e prima sara' possibile
sconfiggere l'Impero Statunitense.
*
La violenza e' consigliabile per autodifesa, in combinazione con altre
tattiche?
Sembra puro buonsenso pensare che, con lo stato alle calcagna, si decida di
integrare l'organizzazione comunitaria e tattiche di azione nonviolenta con
un'autodifesa armata. So di casi in cui l'autodifesa violenta individuale ha
avuto successo a livello pragmatico ma, per quanto riguarda le
organizzazioni che hanno provato ad attuare questa politica, i risultati
sono ben piu' modesti.
Il caso piu' conosciuto negli Stati Uniti e' il Black Panther Party, che
mise in atto un sistema di organizzazione comunitaria, gesti' programmi
educativi, creo' dei progetti per la distribuzione di cibo ai bambini
poveri, e adotto' una politica di autodifesa armata. Le Pantere non volevano
intraprendere la lotta armata per ottenere il cambiamento sociale. Questa
scelta consenti' loro di rimanere vicini alle persone con cui stavano
sviluppando quel tipo di organizzazione sociale, al contrario
dell'esperimento portato avanti dal Weather Underground, il cui tentativo di
creare una rivoluzione armata lo condusse all'isolamento dalla gente e alla
sua irrilevanza politica. Sebbene le Pantere proclamavano il diritto di
autodifesa, che molti cittadini statunitensi imparziali considerano parte
della nostra tradizione, vennero comunque eliminati. Il tentativo di creare
l'autodifesa armata diede al governo federale razzista lo spiraglio di cui
aveva bisogno per distruggere almeno uno dei suoi nemici.
Al governo sarebbe piaciuto poter distruggere anche le organizzazioni
nonviolente per la liberta' dei neri, e il capo dell'Fbi J. Edgar Hoover
tento' davvero di distruggere l'influenza del dottor King, ma l'unica cosa
che il governo si pote' permettere di fare fu di agire in modo esplicito
contro le organizzazioni nonviolente. Ecco perche' e' pratica ricorrente dei
governi pagare degli infiltrati perche' si uniscano ai movimenti
nonviolenti, e avere cosi' la possibilita' di reprimerli in modo efficace.
Per uno strano ribaltamento delle aspettative, vi sono momenti in cui le
forze violente hanno in realta' bisogno di essere protette dall'azione
nonviolenta.
Quando il Black Panther Party voleva tenere una convention nazionale a
Filadelfia, gli fu difficile trovare un luogo in cui organizzarla. I
quaccheri permisero loro di utilizzare la loro sala riunioni piu' grande. Il
capo della polizia Frank Rizzo vide questa come un'opportunita' per mostrare
la propria spavalderia, e nessuno sapeva a cosa avrebbe condotto una tale
provocazione. Quindi i quaccheri circondarono il luogo di ritrovo e rimasero
spalla contro spalla per creare uno schermo protettivo tra la polizia e le
Pantere.
Su piu' ampia scala questa situazione si ripete' nelle Filippine durante la
destituzione del dittatore Ferdinando Marcos nel 1986. Verso la fine della
lotta una parte dell'esercito, guidato dal generale Ramos, passo' dalla
parte della gente. Marcos controllava ancora gran parte dell'esercito, al
quale ordino' di attaccare l'accampamento di Ramos e soffocare la
ribellione. Le stazioni radio cattoliche che lavoravano per il movimento
fecero risuonare l'allarme. Molte migliaia di filippini corsero sul posto,
si frapposero tra i fedeli a Marcos e i ribelli, e in modo nonviolento
immobilizzarono le truppe dei fedeli, salvando cosi' i soldati ribelli,
numericamente inferiori.
*
L'azione nonviolenta e' una "cosa dei bianchi"?
Sarebbe un gran sorpresa per le centinaia di migliaia di persone di colore
che negli Stati Uniti hanno fatto uso dell'azione diretta nonviolenta per
oltre un secolo. (Nel 1876 a St. Louis gli afroamericani protestavano contro
la segregazione dei mezzi di trasporto con le "freedom rides", salendo sui
tram e sedendosi in posti riservati ai bianchi, per citare uno tra migliaia
di esempi). Ogni settimana, in tutti gli Stati Uniti, vi sono organizzazioni
a base comunitaria di gente di colore impegnate nell'azione nonviolenta:
marce, sit-in, blocchi stradali, boicottaggi, disobbedienza civile e simili.
Si potrebbero scrivere libri sulle associazioni delle persone di colore,
come quella degli impiegati ospedalieri, dei dipendenti di alberghi e
custodi, che oltre a scioperare usano anche altre tattiche.
Negli Stati Uniti la percentuale di persone di colore impegnata nell'azione
nonviolenta e' assai maggiore rispetto a quella dei bianchi, e cresce nel
suo impegno di anno in anno. Per non parlare del ruolo della nonviolenza
nelle lotte anti-coloniali in Africa e Asia. Quando pensiamo alla
nonviolenza, perche' si pensa subito ai nomi di Gandhi, King, Aung San Suu
Kyi, Cesar Chavez? Essi sono solo la punta dell'iceberg.
Ne' i mass media ne' tantomeno le scuole hanno contribuito a farci sapere
cosa sta davvero succedendo. Queste due istituzioni valorizzano la violenza.
Sta a noi attivisti il compito di diffondere informazioni sull'efficacia
reale dell'azione collettiva. Quanti attivisti sanno che Kwame Nkrumah
condusse una vittoriosa campagna nonviolenta per l'indipendenza del Ghana
negli anni Cinquanta? O che Kenneth Kaunda ne guido' un'altra nello Zambia
negli anni Sessanta? Quanti sanno della lotta vittoriosa organizzata dagli
studenti nepalesi per una democrazia migliore solo qualche anno fa? O della
lunga campagna nonviolenta per la democrazia a Taiwan che dovette resistere
a torture, assassinii e sofferenze di ogni genere prima di uscirne
vittoriosa negli anni Novanta? Il cambiamento strategico dell'Anc che si
affido' all'azione nonviolenta all'inizio degli anni Ottanta, decisione che
porto' alla fine del regime dell'apartheid? L'eroica lotta dei Mohawks in
Quebec che salvarono la terra dei loro avi dal pericolo di diventare un
campo da golf per bianchi? (9)
Non parlero' del mito secondo cui l'azione nonviolenta appartenga
intrinsecamente alla classe borghese - credenza priva di fondamenta, ancor
piu' di quella che la vorrebbe di origine bianca. Il numero di lavoratori e
operai che hanno usato l'azione nonviolenta e' di gran lunga maggiore di
quello della classe borghese. E poiche' i sindacati hanno costituito le
"truppe d'assalto" nella lotta di classe, leggere la loro storia significa
leggere gran parte della storia dell'azione nonviolenta negli Stati Uniti.
*
Esiste una divisione razziale dei compiti tra i bianchi, impegnati nel
creare istituzioni alternative, e la gente di colore, impegnata nelle azioni
di strada?
Ward sembra non dar valore a quello che viene tradizionalmente definito il
"lavoro prefigurativo": costruire alternative in modo che una nuova societa'
inizi a prendere forma in seno a quella vecchia. Inoltre afferma che i
bianchi, prendendosi cura della creazione delle alternative, evitano di
assumersi rischi, i quali ricadono tutti sulle persone di colore che
manifestano per le strade.
Mi sembra che Ward sottovaluti l'enorme peso dell'impegno culturale e delle
alternative concrete all'interno delle comunita' di colore. Molto prima che
la Nation of Islam diventasse famosa per il suo impegno nel creare nuove
alternative, gli afroamericani avevano gia' cominciato a reinventarsi una
propria cultura e un proprio orgoglio, ad esempio. Per alcuni leader di
colore, le alternative hanno rappresentato un imperativo pragmatico e
strategico.
Prendiamo, ad esempio, l'analisi di Gandhi sulla condizione del popolo
indiano in seguito all'oppressione del potere britannico bianco. Abbiamo
potuto vedere innumerevoli segni di oppressione interna: dipendenza,
oppressione delle donne, uso di droghe, alcolismo, preferenza per le merci
di fattura britannica, bassa autostima. Gandhi detestava l'autoritarismo e
non aveva intenzione di dedicare la vita a una lotta che sarebbe risultata
nella sostituzione della dittatura dei bianchi con una dittatura indiana.
Quindi, lancio' quello che defini' "Programma Costruttivo", che aveva lo
scopo di rafforzare il potere degli indiani migliorando le loro condizioni
di salute e creando istituzioni alternative. Il suo programma costruttivo
fungeva anche da programma anti-razzismo.
Questo impegno tolse del tempo da dedicare all'azione diretta? Certamente.
L'Indian National Congress metteva in atto una campagna di protesta
incondizionata che interessava tutto il paese piu' o meno una volta ogni
dieci anni. Nel frattempo, organizzavano molte azioni dirette locali e, cosa
altrettanto importante, facevano un "lavoro prefigurativo". La loro
strategia impegnava il nemico su molti fronti, non solo sul fronte dello
scontro di piazza. Quando poi lanciavano la lotta incondizionata, avevano a
disposizione un potere assai maggiore rispetto a quello che avrebbero avuto
usando solo la rabbia allo stato puro.
Cesar Chavez, rendendosi conto del fallimento dei precedenti sforzi
unidimensionali per organizzare i contadini della California, ideo' una
strategia che partiva dalla costituzione di cooperative e altre istituzioni
alternative. Pensava, e i fatti gli diedero ragione, che i contadini,
abituati a uno stato di gravissima oppressione, avessero bisogno di
acquisire le competenze e la sicurezza in se stessi riorganizzando il loro
operato prima di essere pronti a combattere. La lotta nonviolenta che
condussero in seguito ottenne un enorme successo e tuttora rimane un modello
soprattutto per gli organizzatori che lavorano con le persone di colore
povere.
Le azioni di Gandhi e Chavez hanno qualcosa in comune con le lotte di
guerriglia vietnamita e dei sandinisti in Nicaragua: l'intenzione di creare
la nuova societa' nello stesso momento in cui si demolisce quella vecchia.
E' un fattore da prendere seriamente in considerazione per gli attivisti
statunitensi che vogliano creare una strategia pragmatica per la
liberazione.
In quanto persona bianca, direi che i bianchi hanno un enorme bisogno di
crearsi un modo di essere sano che protegga dall'arroganza e dal razzismo.
In quanto gay, ho assistito a casi in cui la discriminazione contro gli
omosessuali ha danneggiato la mia comunita' e ridotto l'energia disponibile
per il rinnovamento sociale, e questo e' valido sia tra le persone di colore
che tra i bianchi. In quanto uomo cresciuto nella classe operaia invito gli
attivisti appartenenti alla borghesia e alla classe abbiente a lavorare per
superare il loro classismo, poiche' cio' consentirebbe la creazione di un
movimento piu' solidale, compatto ed efficace (10).
Quindi sono in totale disaccordo con Ward su questo punto. A meno che non
vogliamo solo riciclare il metodo oppressivo inserendo persone diverse negli
stessi ruoli, e' necessario creare delle alternative sia da parte delle
persone di colore che da parte dei bianchi.
*
Un attivista pragmatico e' aperto a ogni tattica in qualsiasi momento?
Quello che preoccupa soprattutto Ward Churchill e' l'esclusione dogmatica di
certe tattiche. Dice che, se vogliamo davvero raggiungere uno scopo, come la
rivoluzione, non ci verrebbe in mente di escludere in anticipo nessun mezzo
per realizzarlo, quale che esso sia. Dobbiamo essere aperti a ogni tipo di
tattica: dalle petizioni alla disobbedienza civile, alla lotta di strada, al
lo stato di guerra dichiarato, qualsiasi cosa possa servire allo scopo.
Quando penso in termini tattici, il consiglio di Ward mi sembra sensato.
Dopotutto, se sto costruendo una casa, perche' non assemblare il maggior
numero possibile di attrezzi e accessori?
Ma quando comincio a pensare in termini di strategia, il suo consiglio non
fa presa. Ecco un esempio. Nella seconda guerra mondiale i danesi non si
aspettavano di essere invasi dai nazisti. Improvvisarono come meglio
poterono e, in un combattimento in cui la posta in gioco era davvero molto
alta, misero in atto una "diversificazione di tattiche". Nella prima fase le
loro tattiche andavano dalla collaborazione alle petizioni e al sabotaggio.
La diversificazione non funzionava: alcune tattiche andavano a discapito di
altre. I danesi idearono un altro sistema di tattiche diverse: sabotaggio,
dimostrazioni nonviolente, scioperi dei lavoratori. Ma ancora una volta le
tattiche si ostacolavano tra loro; ogni singolo atto di sabotaggio dava ai
tedeschi una buona scusa per scagliarsi con violenza contro i lavoratori e i
dimostranti.
Quello che porto' i danesi a conservare la loro integrita' e che ostacolo'
invece la guerra nazista fu la strategia che ne emerse: essa includeva mezzi
di informazione clandestini, scioperi di grande entita' (a un certo punto
perfino uno sciopero generale), dimostrazioni nonviolente e il trasferimento
clandestino degli ebrei in un luogo sicuro in Svezia (11).
La strategia era coerente nel suo interno, e quindi le tattiche si
sostenevano l'un l'altra invece di intralciarsi.
Ecco un esempio piu' vicino a noi. Un piccolo gruppo di attivisti del
Movement for a New Society tiro' un brutto scherzo a un programma di
politica estera dello stato americano mettendo in atto una strategia di
protesta internamente coerente e ben concepita. Gli Stati Uniti sostenevano,
come spesso fanno, una dittatura militare che stava uccidendo migliaia di
persone. In effetti, il dittatore pakistano Yayah Khan stava assassinando
centinaia di migliaia di persone del Bengala orientale che volevano
l'indipendenza. Il governo statunitense menti' negando il suo sostegno, ma
gli attivisti vennero a sapere che le navi pakistane si stavano recando nei
porti statunitensi per rifornirsi di armamenti con cui proseguire il
massacro. Il gruppo si rese conto, inoltre, che se gli scaricatori di porto
si fossero rifiutati di caricare le navi, il governo statunitense avrebbe
subito un grosso smacco.
Il problema era che gli scaricatori della East Coast erano quantomeno
inclini politicamente a sostenere il governo e inoltre avevano da sfamare le
loro famiglie. Gli attivisti tentarono ripetutamente di persuadere gli
scaricatori ad agire in solidarieta' con la popolazione del Bengala
orientale, ma non ebbero alcun successo. Era tempo di usare l'azione
diretta. Il gruppo annuncio' il blocco del porto che stava aspettando la
fregata pakistana e inizio' ad effettuare "manovre navali" con delle barche
a vela, barche a remi e il resto della sua eterogenea flotta. I mezzi di
informazione furono sempre presenti e gli scaricatori di porto rilasciarono
testimonianze sia in televisione che di persona in cui esponevano le
stravaganti e bizzarre tecniche dei manifestanti che sembravano convinti di
poter fermare una enorme fregata con le loro minuscole barchette. La tattica
riscosse successo tra gli scaricatori di porto che si aprirono alla
discussione e alla fine si dichiararono disposti, in caso gli attivisti
fossero riusciti a creare un cordone di picchetto, a rifiutarsi di
oltrepassarlo.
Quando la campagna di protesta ebbe successo in quella citta', gli attivisti
la misero in atto anche nelle altre citta' portuali, e alla fine
l'associazione interstatale degli scaricatori di porto dichiaro' che i
lavoratori di tutti gli Stati Uniti si sarebbero rifiutati di caricare le
armi destinate al Pakistan. Il blocco, iniziato da un piccolo gruppo, ebbe
successo perche' il gruppo dimostro' una grande abilita' nell'impiegare le
tattiche di azione diretta indirizzandole a quella parte di pubblico su cui
era piu' importante che facessero presa (12).
La campagna di protesta non sarebbe riuscita se qualche attivista avesse
deciso di mettere in atto la distruzione di proprieta' della zona portuale:
una simile azione avrebbe allontanato gli scaricatori che erano invece gli
alleati piu' influenti e in grado di portare a buon fine la protesta.
Inoltre, i manifestanti che avessero tollerato una "diversita' di tattiche"
in cui fosse prevista anche la distruzione di proprieta' avrebbero agito da
irresponsabili, perche' avrebbero danneggiato i bengalesi che stavano
subendo l'attacco. Nel clima attuale tra gli attivisti anti-globalizzazione,
alcuni attivisti potrebbero voler rinunciare all'efficacia del loro operato
per salvaguardare i rapporti con i loro amici all'interno del movimento, ma
questa e' una scelta assai difficile se si ha davvero intenzione di salvare
le tartarughe marine e le persone che vivono nei paesi del terzo mondo.
Restare aperti nei confronti di tutte le possibili tattiche e' come tentare
di costruire una casa senza una strategia, una casa che includa pannelli
solari, una stufa a legna, un forno a olio combustibile, un impianto di
riscaldamento a battiscopa elettrico, enormi finestre esposte a nord, un
rivestimento isolante in amianto, una jacuzzi in ogni camera da letto, una
stanza di meditazione all'insegna della semplicita', e cosi' via. Quando
costruiamo una casa noi operiamo delle scelte guidate da un'idea di base. E'
questo che rende sensata la costruzione di una casa o di un movimento
rivoluzionario.
*
La "rivoluzione nonviolenta" e' una contraddizione in termini?
Ward Churchill mette in discussione l'idea che si possa essere sia
rivoluzionari che nonviolenti allo stesso tempo. La nonviolenza e'
essenzialmente riformista, sostiene, e la rivoluzione implica la violenza.
Apprezzo che Ward metta in discussione tale aspetto perche' ogni giorno in
tutti i giornali piu' importanti leggiamo di un'azione nonviolenta messa in
atto per costringere al rinnovamento di politiche e altre riforme; a chi ci
possiamo rivolgere per avere informazioni sulle possibilita' dell'azione
nonviolenta per i cambiamenti rivoluzionari?
Nell'aprile del 1968 la Francia e' stata testimone di una insurrezione
rivoluzionaria di massa che fu sul punto di rovesciare il governo. E'
l'evento recente piu' simile a quello di cui stiamo parlando, perche'
avvenne in quella che noi chiamiamo una "democrazia liberale industriale
avanzata". E' un esempio molto popolare nei dibattiti tra gli attivisti che
seguo.
In maggio, gli studenti di Parigi diedero inizio a una lotta per ottenere
una riforma dell'istruzione occupando le universita' e manifestando per le
strade. La polizia reagi' brutalmente e ben presto si diffuse la notizia
delle sofferenze inferte agli studenti. Anche le associazioni dei lavoratori
francesi avevano validi motivi per protestare e decisero di entrare in
sciopero. In un batter d'occhio undici milioni di lavoratori erano in
sciopero e molti avevano occupato le loro sedi di lavoro. L'occupazione
divenne la tattica del movimento: gli operai occuparono gigantesche
fabbriche di automobili, i becchini occuparono i cimiteri, le ballerine
occuparono le Folies Bergeres.
La lotta si intensifico'. Le richieste, sia tra i lavoratori che tra gli
studenti, si radicalizzarono, trasformandosi da riforma in rivoluzione.
Alcune cittadine tagliarono tutti i contatti con il governo centrale e
iniziarono a emettere una valuta propria. Il presidente De Gaulle fu
costretto a consultare i generali delle truppe francesi stanziate in
Germania per assicurarsi che fossero pronti a tornare in patria e a mettere
in atto una repressione su vasta scala, poiche' non aveva fiducia nelle
truppe stanziate sul suolo francese. La stragrande maggioranza degli
studenti e dei lavoratori stava da una parte della polarizzazione e i ricchi
stavano dall'altra. Il punto interrogativo era rappresentato dalla
borghesia: da che parte sarebbe andata? Questa classe sociale era composta
soprattutto da genitori e amici degli studenti ed erano rimasti esterrefatti
dalla brutalita' della polizia, e inizialmente erano favorevoli al movimento
studentesco.
La televisione, organo del potere statale, entro' nella mischia mostrando
ripetutamente scene di distruzione di proprieta' da parte degli studenti, ad
esempio mentre trascinavano automobili sugli incroci stradali e le
incendiavano per creare delle barricate - un messaggio piuttosto eloquente
non solo nei confronti del senso di proprieta' della borghesia, ma anche di
quegli operai che avevano risparmiato anni per essere in grado di comprarsi
una macchina.
Inoltre i rappresentanti della classe borghese si trovavano davanti a una
lacuna dove invece avrebbe dovuto esserci una proposta chiara: se il governo
fosse stato rovesciato, ci sarebbe stato posto per loro nella nuova
societa'? Nessuno poteva rispondere a questa domanda, perche' i nuovi
rivoluzionari non avevano un manifesto che potesse rassicurare alcuno. Tutto
quello che poteva fare la borghesia era restarsene con le sue paure, seduta
davanti allo schermo televisivo a guardare le fiamme che avvampavano.
Sappiamo il risultato: il movimento perse e i grandi capitalisti e lo stato
vinsero, sebbene lo scossone porto' ad alcune riforme. La domanda che
potremmo fare noi attivisti statunitensi e': perche' gli studenti
allontanarono i loro alleati, la cui partecipazione sarebbe stata decisiva
per determinare la loro vittoria? Le ragioni sono molte e i lettori
interessati possono trovarle nel mio libro (13). Le ragioni principali in
questo caso sono:
- gli studenti stavano operando in una tradizione secondo cui "rivoluzione
e' uguale a violenza" o quantomeno "distruzione" e poiche' avevano
abbracciato una istanza rivoluzionaria, accettarono tutto quello che essa
implicava. Non erano in grado di effettuare delle innovazioni sui metodi
della rivoluzione;
- gli studenti non compresero che le fondamenta della "casa" francese, il
suo ordine politico, erano l'acquiescenza della sua popolazione, e che
quindi potevano vincere aumentando la non-cooperazione nonviolenta della
gente. Nel 1968 non disponevano di esempi quali la caduta dello scia'
dell'Iran, di Marcos, delle dittature dell'Europa dell'est, e cosi' via, e
non poterono rendersi conto che ben piu' potente della lotta armata e'
l'azione partecipata di larghi strati della societa'. La sofferenza degli
studenti e degli operai francesi non sara' vana se gli attivisti impareranno
dalla loro esperienza. L'azione nonviolenta e' tanto coercitiva, o ancor
piu' coercitiva, della violenza quando si affrontano gli oppressori, ma la
base della coercizione e' totalmente diversa. Il potere coercitivo della
violenza scaturisce principalmente dalla distruzione: soluzione classica e'
la distruzione dell'esercito avversario, ma in questi giorni vi sono anche
altri tipi di distruzione. Gli attivisti che usano la violenza devono
necessariamente distruggere e continuare a distruggere fino alla resa del
loro avversario o all'esaurimento della sua capacita' di resistere. Al
contrario, il potere coercitivo dell'azione nonviolenta deriva dalla
non-cooperazione. L'acquiescenza, da cui dipende la forza dell'avversario,
gli si rivolta contro quando la gente rifiuta di "seguire il programma". In
questo caso perfino lo scia' deve affrettarsi a fare le valigie; perfino
Hernandez Martinez e' costretto ad abbandonare il paese. In alcuni casi la
dittatura si arrende e in altri e' il suo intero apparato a dissolversi,
come nella Germania dell'est. Se gli studenti francesi avessero saputo che
la loro unica speranza si basava sul potere della non-cooperazione, non
avrebbero avuto bisogno delle barricate e della distruzione della
proprieta' - tattiche che si accordano molto meglio a una strategia che
intende svilupparsi in lotta armata.
*
Come puo' un rivoluzionario pragmatico, privo di una strategia, decidere tra
la violenza e l'azione nonviolenta?
A rigor di logica, lui/lei non e' in grado di deciderlo. Senza un paio di
strategie da mettere a paragone, un attivista che insista su una praticita'
rigorosa si trovera' nei guai. Pensiamo alla confusione tra violenza
"radicale" e "rivoluzionaria". Molte volte la violenza e' usata per ottenere
delle riforme, e non per un cambiamento rivoluzionario. Ricordiamo, ad
esempio, i Teamsters che sparano contro gli autobus Greyhound nel corso di
uno sciopero. Stanno usando la violenza per sostituire la proprieta'
capitalistica dell'azienda con il potere dei lavoratori? Non credo. O i
bianchi che linciano i neri. Stanno dimostrando la loro volonta' di
rimandare i neri in Africa (un cambiamento rivoluzionario), o di "farli
rimanere al posto loro" (una riforma, da loro punto di vista)?
La violenza non e' il marchio della radicalita' o del fervore rivoluzionario
perche' e' usata costantemente per gli scopi piu' disparati, tra i quali la
semplice volonta' di esprimere se stessi. La violenza diventa rivoluzionaria
quando rientra in una strategia per un cambiamento sociale sostanziale, e
quella strategia per gli Stati Uniti del XXI secolo e' cio' che stiamo
ancora aspettando.
Il rivoluzionario rigorosamente pragmatico, pertinace e non moralista ha
bisogno di fare un paragone tra le strategie che si servono dello scontro
armato e le strategie che mirano alla persuasione di molti, cioe' di sapere
quale strategia abbia piu' probabilita' di condurci alla nostra concezione
di una nuova societa'. Solo a quel punto gli attivisti saranno in grado di
discutere sulle diverse prospettive delle strategie armate e delle strategie
nonviolente.
*
Come possiamo scegliere mentre le strategie sono ancora in via di
progettazione?
Poiche' perfino il piu' pragmatico tra di noi non puo' fare una scelta
pragmatica informata senza strategie, nel frattempo siamo tutti nella stessa
posizione non-pragmatica. Dovremo fare delle scelte personali basate su
altre considerazioni. Ecco come io scelgo personalmente.
Dentro di me cova una rabbia spaventosa a causa di cio' che ho dovuto subire
in quanto persona appartenente alla classe operaia e in quanto gay. Mi
sarebbe impossibile contare le innumerevoli occasioni in cui mi sono stati
rivolti insulti stereotipati come "balordo", "violento", "rozzo", "pigro",
"fanatico del sesso", "molestatore di bambini", "sudicio", "femminuccia",
"immorale", "anormale". Nonostante anni di duro lavoro su me stesso, nel
tentativo di curare le mie ferite in tanti modi diversi, devo ancora fare i
conti con le incertezze che pesano ancora sulle mie spalle.
Ho subito discriminazioni, sebbene non sia mai stato attaccato fisicamente
in modo grave. Ho visto amici infliggersi autolesioni a causa
dell'oppressione che hanno accumulato negli anni; ho partecipato a gruppi di
movimento finiti nel nulla perche' l'oppressione subita li porto' a
rivoltarsi contro i propri leader; ho sofferto insieme agli amici che si
umiliavano nascondendo la loro natura quando non era affatto necessario, e
con amici che non credevano nella capacita' di sostenere le loro idee a
causa del background e della classe sociale da cui provenivano.
Queste continue esperienze dolorose mi predispongono in favore della
violenza come mezzo per esprimere se stessi. Sebbene a volte sfoghi la mia
rabbia in compagnia dei miei amici fidati, mi piacerebbe "fare casino"
pubblicamente.
In vista di tutto cio', la mia scelta per l'azione nonviolenta strategica e'
un'ancora, un terreno solido che mi sostiene e mi fa essere il maturo
proletario che in realta' sono, che mi consente di essere il gay equilibrato
che in realta' sono, e' un sostegno alla mia creativita'. Ogni volta che mi
perdo tra i fumi della mia insofferenza, ricorro al principio secondo cui
posso aspirare a un obiettivo maggiore, che devo aspettare, e che posso
iniziare a formulare alternative valide.
E spesso funziona. Sono stato circondato da un gruppo ostile in mezzo a una
strada isolata della citta' in piena notte e la mia creativita' si e' data
da fare per inventare una soluzione come se fossi Einstein. Ho trovato un
modo nonviolento per cavarmela. Un adolescente mi minacciava con il coltello
e sono riuscito a evitare la scelta della distruzione sia a me che a lui.
Sono riuscito a convincere la polizia a non picchiarmi piu', e i sostenitori
della destra a non assalirmi - potrei continuare, ma penso di aver reso
l'idea. Quando mi offrii volontario per andare in Sri Lanka come guardia del
corpo nonviolenta in aiuto degli attivisti che lottavano per i diritti umani
e che erano minacciati di morte, un amico mi prego' di accettare in dono una
pistola e un giubbetto anti-proiettili. Rifiutai, poiche' ero sicuro ormai,
in quel momento di confronto diretto, che avrei trovato un modo migliore e
meno pericoloso di affrontare la situazione.
Un modo di scegliere e' seguire le mie inclinazioni, e compensarle
accettando un principio saldo che mi trattiene da reazioni avventate (14).
Un altro metodo di scelta e' prendere in considerazione le inclinazioni
culturali, e assumersi la responsabilita' per il modo in cui veniamo
condizionati dalla cultura. Sono un uomo e il condizionamento che deriva
dall'essere uomo e' piuttosto evidente. In cosa si trovano d'accordo John
Wayne, George W. Bush, il presidente Mao e, mediamente, tutti gli
appartenenti alla classe dirigente? Il potere politico scaturisce
direttamente dalla canna della pistola. Tale convincimento circa il potere
e' un paradigma culturale incontrastato, ma gli uomini hanno la
responsabilita' di rafforzare questo paradigma perche', educati in tal modo,
siamo predisposti all'idea di uccidere e di essere uccisi. Ovunque sia il
patriarcato a regnare, la violenza e' la benvenuta quando "la necessita' lo
richiede". Ma quando si parla di potere le idee dell'attivista Starhawk sono
molto piu' interessanti della semplificazione patriarcale. La Starhawk
descrive tre tipi di potere: "potere esercitato su" (dominazione, la cui
piu' drammatica espressione e' l'omicidio), "potere esercitato con"
(cooperazione con altri, lavoro di gruppo), e "potere dall'interno" (forza
psicologica e spirituale) (15). Come uomo sono stato educato a credere
implicitamente che il "potere esercitato su" sia quello piu' potente; quando
si ha bisogno della forza piu' potente, siamo programmati a non mettere
nemmeno in discussione il primato della violenza.
La cosa straordinaria di noi esseri umani e' che a volte riusciamo a uscire
dagli schemi dei nostri recinti culturali, e perfino gli uomini possono
essere piu' creativi di quanto non preveda la formazione. Abdul Gaffar Khan
della Frontiera Nordoccidentale dell'India coloniale e' cresciuto in una
cultura nomade, dove la versione violenta dell'onore maschile e' ancor piu'
forte. Riusci' a liberarsi da questi condizionamenti e organizzo' un
movimento della sua gente, i fieri Pathan, per lottare in modo nonviolento
contro gli inglesi. Gli inglesi risposero accanendosi contro i Pathan in
modo ancor piu' feroce che rispetto agli altri manifestanti, ma i Pathan si
dimostrarono risoluti e disciplinati.
La mia cultura dice: "Per essere un vero uomo, devo essere disposto a usare
la violenza". Io scelgo di non cooperare con tale concezione. Il potere
patriarcale ha perso, ai miei occhi, ogni credibilita'. Mi impegno nella
nonviolenza strategica e sfido il potere patriarcale a colpire la mia
identita' con le sue tattiche di molestia psicologica.
Mi piace essere pragmatico, ed e' per questo che ho passato cinque anni a
scrivere il libro Strategy for a living revolution, uno schema pragmatico
per iniziare a creare una strategia rivoluzionaria precisa qui negli Stati
Uniti (16). Spero che ben presto avremo a disposizione strategie diverse da
valutare e discutere. Nel frattempo, e' importante per me prendere parte
alla creazione della storia della lotta nonviolenta e unirmi ai miei
compagni per imparare e formulare nuove alternative.
*
Note
6. Consultate il resoconto di Stephen Zunes, "Unarmed Resistance in the
Middle East and North Africa", in Nonviolent Social Movements: A
Geographical Perspective, a cura di Lester R. Kurtz e Sarah Beth Asher,
Malden, Mass., Blackwell Publishers, 1999, pp. 44-46.
7. George Lakey, Powerful Peacemaking: A Strategy for a Living Revolution,
Gabriola Island, British Columbia, Canada, New Society Publishers, 1987,
cap. 2.
8. Stephen Zunes, "The Role of Nonviolence in the Downfall of Apartheid", in
Nonviolent Social Movements, op. cit., pp. 203-230.
9. Per un piu' accurato esempio delle migliaia di casi di azione nonviolenta
da parte di persone di colore, consultare i libri di Bill Sutherland e Matt
Meyer, Guns and Gandhi in Africa: Pan African Insights on Nonviolence, Armed
Struggle and Liberation in Africa, Trenton, NJ, Africa World Press, 2000;
Philip McManus e Gerald Schlabach, a cura di, Relentless Persistence:
Nonviolent Action in Latin America, Gabriola Island, British Columbia,
Canada, New Society Publishers, 1991; Patricia Parkman, Insurrectionary
Civic Strikes in Latin America: 1931-1961, Cambridge, Mass., Albert Einstein
Institution, 1990; Stephen Zunes, Lester R. Kurtz e Sarah Beth Asher, a cura
di, Nonviolent Social Movements: A Geographical Perspective, op. cit.; Gene
Sharp, The Politics of Nonviolent Action, Cambridge, Mass., Porter Sargent,
1973.
10. Un libro interessante e di grande ispirazione scritto da una donna che
creo' un'organizzazione popolare affrontando con onesta' le divisioni di
classe e di razza nella nostra societa': Linda Stout, Bridging the Class
Divide, Boston, Beacon Press, 1996.
11. Questo fu mostrato chiaramente nel documentario A Force More Powerful: A
Century of Nonviolent Conflict mostrato dal Public Broadcasting System nel
2000 e si puo' richiedere a: Films for the Humanities and Sciences, PO Box
2053, Princeton, NJ 08543-2053; sito web: www.films.com. Il libro che si
accompagna al documentario e' di Peter Ackerman e Jack DuVall, A Force More
Powerful: A Century of Nonviolent Conflict, New York, St. Martin's Press,
2000.
12. Questa campagna di protesta, che insegna sull'azione diretta molto piu'
di quanto sia possibile riportare qui, e' descritta passo dopo passo da
Richard K. Taylor, Blockade, Maryknoll, N. Y., Orbis, 1977. Questa campagna
di solidarieta' con il Bangladesh avvenne nel 1971-'72.
13. Powerful Peacemaking: A Strategy for a Living Revolution, op. cit., cap.
2.
14. Barbara Deming ne scrive in modo esaustivo e convincente nel suo saggio
Revolution and Equilibrium pubblicato nel 1968 in "Liberation Magazine", che
si puo' richiedere al A. J. Muste Memorial Institute, 339 Lafayette St, New
York, NY 10012.
15. Dreaming the Dark: Magic, Sex and Politics, Boston, Beacon Press, 1988,
cap 1.
16. L'edizione riveduta e' intitolata Powerful Peacemaking: A Strategy For a
Living Revolution.
(Parte seconda - Fine)

3. RIFLESSIONE. LA SCELTA
C'e' una ragione delle ragioni della scelta della nonviolenza: ed e' il
riconoscimento dell'infinito valore di ogni esistenza umana, compresa quindi
la tua. Ritenere di poter umiliare, violentare, uccidere una persona,
significa negare la dignita' umana di tutte, significa spezzare il patto su
cui si fonda la convivenza, e distruggere l'intera umanita'. Porsi
l'interdetto ad uccidere, porre il tabu' sul levare la mano contro il volto
dell'altro, e' la scelta necessaria per poter sperare che l'umanita' abbia
un futuro. Nell'epoca inaugurata da Auschwitz e da Hiroshima, solo la scelta
della nonviolenza puo' salvare l'umanita: ogni singola persona, l'intera
comunita' umana.
E quindi non c'e' piu' motivo di stare a discutere con chi ancora propugna
l'uso della violenza, cioe' la liceita' del ferire e dell'uccidere: poiche'
chi questo sostiene si e' gia' fatto complice e schiavo di tuti gli eserciti
e di tutte le organizzazioni criminali, di tutte le guerre e di tutti i
terrorismi.
E' l'ora - da un pezzo - di essere nitidi ed intransigenti: solo chi sceglie
la nonviolenza si batte per la pace, la giustizia, la convivenza. Chi non fa
questo passo non e' un nostro compagno di lotta, ma un nostro avversario, e
un favoreggiatore di tutti gli assassini.

4. DA TRADURRE. LIA FREITAS: A PRODUCAO DE IGNORANCIA NA ESCOLA
Lia Freitas, A producao de ignorancia na escola. Uma analise critica do
ensino da lingua escrita na sala de aula, Cortez Editora, Sao Paulo 1989,
pp. 136. Una efficace analisi critica e un invito all'impegno: "non e'
sufficiente che gli educatori scoprano nuove teorie, occorre che essi si
impegnino nella lotta degli oppressi". L'autrice e' psicologa e docente
universitaria di scienze pedagogiche.

5. DA TRADURRE. MARIA DO ROSARIO LONGO MORTATTI: OS SENTIDOS DA
ALFABETIZACAO
Maria do Rosario Longo Mortatti, Os sentidos da alfabetizacao (Sao Paulo
1876-1994), Editora Unesp, Sao Paulo 1999, pp. 376. Una appassionante
ricognizione sistematica e interpretazione critica delle opere pubblicate in
Brasile lungo oltre un secolo concenenti l'attivita' scolastica di
insegnamento ai bambini del leggere e dello scrivere, esaminando sia i testi
di uso didattico che quelli di riflessione teorica. L'autrice e' una
prestigiosa docente universitaria di scienze pedagogiche brasiliana.

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1040 del primo settembre 2005

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