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La nonviolenza e' in cammino. 1039
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1039
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 31 Aug 2005 00:16:21 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1039 del 31 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Manuela Dviri: Dietro il filo spinato 2. Il primo settembre a Bolzano per sostenere il referendum brasiliano contro il commercio delle armi 3. Lorenzo Milani, lettera ai cappellani militari 4. George Lakey: La spada che guarisce: una difesa della nonviolenza attiva (parte prima) 5. Una postilla al saggio di George Lakey 6. Emilia Ferreiro: L'altro che pensa. Il bambino come interlocutore intellettuale 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MAESTRE. MANUELA DVIRI: DIETRO IL FILO SPINATO [Da Manuela Dviri, Vita nella terra di latte e miele, Ponte alle grazie, Milano 2004, p. 160. Manuela Dviri Vitali Norsa, nata a Padova nel 1949, dopo il matrimonio si e' trasferita in Israele dedicandosi all'insegnamento; giornalista e scrittrice, e' impegnata nel movimento pacifista israeliano; "Dal giorno della morte in territorio libanese del figlio ventenne, Jonathan, durante il servizio di leva, Manuela Dviri e' diventata una importante esponente del movimento pacifista israeliano e tra i sostenitori del dialogo e la collaborazione tra la societa' israeliana e palestinese. Giornalista e scrittrice... e' stata tra le esponenti del gruppo delle 'quattro madri' per il ritiro delle truppe israeliane dalla striscia di sicurezza libanese, poi avvenuto nel 2000. Pubblica su vari giornali israeliani e sul 'Corriere della Sera'" ("Il manifesto"). Opere di Manuela Dviri: La guerra negli occhi, Avagliano Editore, Cava de' Tirreni 2003; Vita nella terra di latte e miele, Ponte alle grazie, Milano 2004] Non c'e' forza, non c'e' dignita', non c'e' rispetto di se', quando si nega dignita' all'altro, al diverso...non c'e' liberta' dietro il filo spinato: ne' per chi sta da una parte ne' per chi sta dall'altra... no... io non posso accettare i muri, il silenzio, l'annientamento di ogni speranza, la riduzione di chi ti sta vicino a gente capace di nutrirsi solo di un linguaggio di morte. L'accettazione dell'orrore fa anche di me un essere svuotato, uno zombie ripugnante. 2. INIZIATIVE. IL PRIMO SETTEMBRE A BOLZANO PER SOSTENERE IL REFERENDUM BRASILIANO CONTRO IL COMMERCIO DELLE ARMI [Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci inviato il seguente comunicato del Centro per la Pace - Zentrum fuer den Frieden, Werkstatt fuer Frieden und Gewaltfreiheit - Laboratorio di pace e nonviolenza di Bolzano - Bozen (per contatti: tel. 0471402382, fax: 0471404751, e-mail: welapax at hotmail.com). Per sostenere la campagna per il "si'" al referendum brasiliano per vietare il commercio delle armi, si puo' contattare Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina at ladige.it) e padre Ermanno Allegri in Brasile (sito: www.adital.org.br)] Il 23 ottobre in Brasile si terra' un referendum popolare che avra' grosse ripercussioni in tutto il mondo. Dopo la campagna lanciata dal presidente Lula per una consegna spontanea delle armi da fuoco, che ha avuto molto successo, i parlamentari del Pt (Partito dei lavoratori) hanno deciso di chiamare alle urne il popolo brasiliano per decidere se sara' lecito o no il commercio delle armi da fuoco e munizioni cosi' come sta avvenendo ora. Il quesito referendario e' questo: "Volete che il commercio delle armi da fuoco e munizioni venga proibito in Brasile?". Il "si'" chiede la proibizione del commercio delle armi, il "no" invece punta a mantenere la situazione attuale. Il missionario bolzanino Eermanno Allegri e' stato incaricato dai gruppi di base del Brasile, insieme al fratello Lino e a Pierluigi Sartorel (altro missionario bolzanino a Fortaleza da oltre trent'anni), di fare da punti di riferimento della campagna per il "si'", ossia per la fine del commercio delle armi. Un mese fa i missionari bolzanini hanno chiesto aiuto al Centro per la pace del Comune di Bolzano affinche' tale ente potesse rilanciare in Italia le ragioni del "si'" e sensibilizzare l'opinione pubblica italiana. In seno al Centro per la pace e' sorto un gruppo di lavoro che si e' subito messo in collegamento con le reti italiani per il disarmo e ora lavora per organizzare una serie di iniziative a favore del "si'" al referendum brasiliano, su tutto il territorio italiano. La presenza di Lino Allegri a Bolzano gia' dall'inizio di settembre e poi l'arrivo di Pierluigi Sartorel (il 6 settembre) sono particolarmente importanti perche' consentono di portare le ragioni del referendum brasiliano in vari contesti attivi in Italia sul tema della pace e del disarmo (marcia della pace Perugia Assisi ecc.). Fra l'altro gia' molte associazioni stanno rilanciando la campagna brasiliana contro il commercio delle armi anche su tutto il territorio coinvolgendo anche alcune personalita' di spicco del panorama politico e culturale del nostro paese. Per spiegare nei dettagli i motivi dell'importanza di tale referendum e' stata organizzata' una conferenza stampa con la presenza di don Lino Allegri, giovedi' primo settembre alle ore 10,30 a Bolzano nella sede del Centro per la pace a palazzo Altmann (piazza Gries 18). Nel corso della conferenza stampa verra' presentata la serata di venerdi' 2 settembre in cui si terra' una conferenza di Lino Allegri e la proiezione del film "Cidade de Deus" (La citta' di Dio), che racconta la terribile violenza in una favela di Rio de Janeiro. 3. DOCUMENTI. LORENZO MILANI, LETTERA AI CAPPELLANI MILITARI [Il testo seguente, la "Lettera ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965", uno dei documenti raccolti ne L'obbedienza non e' piu' una virtu', abbiamo gia' riproposto (riprendendolo dal sito http://www.etruria.org/nonsololibri/milani) nel n. 109 di questo foglio. Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, proveniente da una famiglia della borghesia intellettuale, ordinato prete nel 1947. Opera dapprima a S. Donato a Calenzano, ove realizza una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e proletaria, senza discriminazioni politiche. Viene poi trasferito punitivamente a Barbiana nel 1954. Qui realizza l'esperienza della sua scuola. Nel 1958 pubblica Esperienze pastorali, di cui la gerarchia ecclesiastica ordinera' il ritiro dal commercio. Nel 1965 scrive la lettera ai cappellani militari da cui derivera' il processo i cui atti sono pubblicati ne L'obbedienza non e' piu' una virtu'. Muore dopo una lunga malattia nel 1967; era appena uscita la Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana. L'educazione come pratica di liberazione, la scelta di classe dalla parte degli oppressi, l'opposizione alla guerra, la denuncia della scuola classista che discrimina i poveri: sono alcuni dei temi su cui la lezione di don Milani resta di grande valore. Opere di Lorenzo Milani e della scuola di Barbiana: Esperienze pastorali, L'obbedienza non e' piu' una virtu', Lettera a una professoressa, pubblicate tutte presso la Libreria Editrice Fiorentina (Lef). Postume sono state pubblicate le raccolte di Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, Mondadori; le Lettere alla mamma, Mondadori; e sempre delle lettere alla madre l'edizione critica, integrale e annotata, Alla mamma. Lettere 1943-1967, Marietti. Altri testi sono apparsi sparsamente in volumi di diversi autori. La casa editrice Stampa Alternativa ha meritoriamente effettuato nell'ultimo decennio la ripubblicazione di vari testi milaniani in edizioni ultraeconomiche e criticamente curate. La Emi ha recentemente pubblicato, a cura di Giorgio Pecorini, lettere, appunti e carte varie inedite di don Lorenzo Milani nel volume I care ancora. Opere su Lorenzo Milani: sono ormai numerose; fondamentali sono: Neera Fallaci, Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, Rizzoli, Milano 1993; Giorgio Pecorini, Don Milani! Chi era costui?, Baldini & Castoldi, Milano 1996; Mario Lancisi (a cura di), Don Lorenzo Milani: dibattito aperto, Borla, Roma 1979; Ernesto Balducci, L'insegnamento di don Lorenzo Milani, Laterza, Roma-Bari 1995; Gianfranco Riccioni, La stampa e don Milani, Lef, Firenze 1974; Antonio Schina (a cura di), Don Milani, Centro di documentazione di Pistoia, 1993. Un repertorio bibliografico sintetico e' in Peppe Sini, Don Milani e l'educazione alla pace, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1998. Segnaliamo anche l'interessante fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" del giugno 1997. Segnaliamo anche il fascicolo Don Lorenzo Milani, maestro di liberta', supplemento a "Conquiste del lavoro", n. 50 del 1987. Tra i testi apparsi di recente: il testo su don Milani di Michele Ranchetti nel suo libro Gli ultimi preti, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1997; David Maria Turoldo, Il mio amico don Milani, Servitium, Sotto il Monte (Bg) 1997; Liana Fiorani, Don Milani tra storia e attualita', Lef, Firenze 1997, poi Centro don Milani, Firenze 1999; AA. VV., Rileggiamo don Lorenzo Milani a trenta anni dalla sua morte, Comune di Rubano 1998; Centro documentazione don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana, Progetto Lorenzo Milani: il maestro, Firenze 1998; Liana Fiorani, Dediche a don Milani, Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2001; Edoardo Martinelli, Pedagogia dell'aderenza, Polaris, Vicchio di Mugello (Fi) 2002; Marco Moraccini (a cura di), Scritti su Lorenzo Milani. Una antologia critica, Il Grandevetro - Jaca Book, Santa Croce sull'Arno (Pi) - Milano 2002] Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita. Una vita che i ragazzi e io non capiamo. Avremmo pero' voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola. Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente. Primo, perche' avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche vostra incertezza interiore. Secondo, perche' avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata, vocaboli che sono piu' grandi di voi. Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica e' oggi piu' matura che in altri tempi e non si contentera' ne' d'un vostro silenzio, ne' d'una risposta generica che sfugga alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me non sono argomenti. Se avete argomenti saro' ben lieto di darvene atto e di ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste. Non discutero' qui l'idea di Patria in se'. Non mi piacciono queste divisioni. Se voi pero' avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro' che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto. Abbiamo dunque idee molto diverse. Posso rispettare le vostre se le giustificherete alla luce del Vangelo o della Costituzione. Ma rispettate anche voi le idee degli altri. Soprattutto se son uomini che per le loro idee pagano di persona. Certo ammetterete che la parola Patria e' stata usata male molte volte. Spesso essa non e' che una scusa per credersi dispensati dal pensare, dallo studiare la storia, dallo scegliere, quando occorra, tra la Patria e valori ben piu' alti di lei. Non voglio in questa lettera riferirmi al Vangelo. E' troppo facile dimostrare che Gesu' era contrario alla violenza e che per se' non accetto' nemmeno la legittima difesa. Mi riferiro' piuttosto alla Costituzione. Articolo 11 "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli...". Articolo 52 "La difesa della Patria e' sacro dovere del cittadino". Misuriamo con questo metro le guerre cui e' stato chiamato il popolo italiano in un secolo di storia. Se vedremo che la storia del nostro esercito e' tutta intessuta di offese alle Patrie degli altri dovrete chiarirci se in quei casi i soldati dovevano obbedire o obiettare quel che dettava la loro coscienza. E poi dovrete spiegarci chi difese piu' la Patria e l'onore della Patria: quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile? Basta coi discorsi altisonanti e generici. Scendete nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati. L'obbedienza a ogni costo? E se l'ordine era il bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme, l'esecuzione sommaria dei partigiani, l'uso delle armi atomiche, batteriologiche, chimiche, la tortura, l'esecuzione d'ostaggi, i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni (scegliere a sorte qualche soldato della Patria e fucilarlo per incutere terrore negli altri soldati della Patria), una guerra di evidente aggressione, l'ordine d'un ufficiale ribelle al popolo sovrano, la repressione di manifestazioni popolari? Eppure queste cose e molte altre sono il pane quotidiano di ogni guerra. Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. O volete farci credere che avete volta volta detto la verita' in faccia ai vostri "superiori" sfidando la prigione o la morte? se siete ancora vivi e graduati e' segno che non avete mai obiettato a nulla. Del resto ce ne avete dato la prova mostrando nel vostro comunicato di non avere la piu' elementare nozione del concetto di obiezione di coscienza. Non potete non pronunciarvi sulla storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati. Oltre a tutto la Patria, cioe' noi, vi paghiamo o vi abbiamo pagato anche per questo. E se manteniamo a caro prezzo (1.000 miliardi l'anno) l'esercito, e' solo perche' difenda colla Patria gli alti valori che questo concetto contiene: la sovranita' popolare, la liberta', la giustizia. E allora (esperienza della storia alla mano) urgeva piu' che educaste i nostri soldati all'obiezione che all'obbedienza. L'obiezione in questi 100 anni di storia l'han conosciuta troppo poco. L'obbedienza, per disgrazia loro e del mondo, l'han conosciuta anche troppo. Scorriamo insieme la storia. Volta volta ci direte da che parte era la Patria, da che parte bisognava sparare, quando occorreva obbedire e quando occorreva obiettare. 1860. Un esercito di napoletani, imbottiti dell'idea di Patria, tento' di buttare a mare un pugno di briganti che assaliva la sua Patria. Fra quei briganti c'erano diversi ufficiali napoletani disertori della loro Patria. Per l'appunto furono i briganti a vincere. Ora ognuno di loro ha in qualche piazza d'Italia un monumento come eroe della Patria. A 100 anni di distanza la storia si ripete: l'Europa e' alle porte. La Costituzione e' pronta a riceverla: "L'Italia consente alle limitazioni di sovranita' necessarie...". I nostri figli rideranno del vostro concetto di Patria, cosi' come tutti ridiamo della Patria Borbonica. I nostri nipoti rideranno dell'Europa. Le divise dei soldati e dei cappellani militari le vedranno solo nei musei. La guerra seguente 1866 fu un'altra aggressione. Anzi c'era stato un accordo con il popolo piu' attaccabrighe e guerrafondaio del mondo per aggredire l'Austria insieme. Furono aggressioni certo le guerre (1867-1870) contro i Romani i quali non amavano molto la loro secolare Patria, tant'e' vero che non la difesero. Ma non amavano molto neanche la loro nuova Patria che li stava aggredendo, tant'e' vero che non insorsero per facilitarle la vittoria. Il Gregorovius spiega nel suo diario: "L'insurrezione annunciata per oggi, e' stata rinviata a causa della pioggia". Nel 1898 il Re "Buono" onoro' della Gran Croce Militare il generale Bava Beccaris per i suoi meriti in una guerra che e' bene ricordare. L'avversario era una folla di mendicanti che aspettavano la minestra davanti a un convento a Milano. Il Generale li prese a colpi di cannone e di mortaio solo perche' i ricchi (allora come oggi) esigevano il privilegio di non pagare tasse. Volevano sostituire la tassa sulla polenta con qualcosa di peggio per i poveri e di meglio per loro. Ebbero quel che volevano. I morti furono 80, i feriti innumerevoli. Fra i soldati non ci fu ne' un ferito ne' un obiettore. Finito il servizio militare tornarono a casa a mangiar polenta. Poca perche' era rincarata. Eppure gli ufficiali seguitarono a farli gridare "Savoia" anche quando li portarono a aggredire due volte (1896 e 1935) un popolo pacifico e lontano che certo non minacciava i confini della nostra Patria. Era l'unico popolo nero che non fosse ancora appestato dalla peste del colonialismo europeo. Quando si battono bianchi e neri siete coi bianchi? Non vi basta di imporci la Patria Italia? Volete imporci anche la Patria Razza Bianca? Siete di quei preti che leggono la Nazione? Stateci attenti perche' quel giornale considera la vita d'un bianco piu' che quella di 100 neri. Avete visto come ha messo in risalto l'uccisione di 60 bianchi nel Congo, dimenticando di descrivere la contemporanea immane strage di neri e di cercarne i mandanti qui in Europa? Idem per la guerra di Libia. Poi siamo al '14. L'Italia aggredi' l'Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? E' un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una "inutile strage"? (l'espressione non e' d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa canonizzato). Era nel '22 che bisognava difendere la Patria aggredita. Ma l'esercito non la difese. Stette a aspettare gli ordini che non vennero. Se i suoi preti l'avessero educato a guidarsi con la Coscienza invece che con l'Obbedienza "cieca, pronta, assoluta" quanti mali sarebbero stati evitati alla Patria e al mondo (50.000.000 di morti). Cosi' la Patria ando' in mano a un pugno di criminali che violo' ogni legge umana e divina e riempiendosi la bocca della parola Patria, condusse la Patria allo sfacelo. In quei tragici anni quei sacerdoti che non avevano in mente e sulla bocca che la parola sacra "Patria", quelli che di quella parola non avevano mai voluto approfondire il significato, quelli che parlavano come parlate voi, fecero un male immenso proprio alla Patria (e, sia detto incidentalmente, disonorarono anche la Chiesa). Nel '36 50.000 soldati italiani si trovarono imbarcati verso una nuova infame aggressione: Avevano avuto la cartolina di precetto per andar "volontari" a aggredire l'infelice popolo spagnolo. Erano corsi in aiuto d'un generale traditore della sua Patria, ribelle al suo legittimo governo e al popolo suo sovrano. Coll'aiuto italiano e al prezzo d'un milione e mezzo di morti riusci' a ottenere quello che volevano i ricchi: blocco dei salari e non dei prezzi, abolizione dello sciopero, del sindacato, dei partiti, d'ogni liberta' civile e religiosa. Ancor oggi, in sfida al resto del mondo, quel generale ribelle imprigiona, tortura, uccide (anzi garrota) chiunque sia reo d'aver difeso allora la Patria o di tentare di salvarla oggi. Senza l'obbedienza dei "volontari" italiani tutto questo non sarebbe successo. Se in quei tristi giorni non ci fossero stati degli italiani anche dall'altra parte, non potremmo alzar gli occhi davanti a uno spagnolo. Per l 'appunto questi ultimi erano italiani ribelli e esuli dalla loro Patria. Gente che aveva obiettato. Avete detto ai vostri soldati cosa devono fare se gli capita un generale tipo Franco? Gli avete detto che agli ufficiali disobbedienti al popolo loro sovrano non si deve obbedire? Poi dal '39 in la' fu una frana: i soldati italiani aggredirono una dopo l'altra altre sei Patrie che non avevano certo attentato alla loro (Albania, Francia, Grecia, Egitto, Jugoslavia, Russia). Era una guerra che aveva per l'Italia due fronti. L'uno contro il sistema democratico. L'altro contro il sistema socialista. Erano e sono per ora i due sistemi politici piu' nobili che l'umanita' si sia data. L'uno rappresenta il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa terra, liberta' e dignita' umana ai poveri. L'altro il piu' alto tentativo dell'umanita' di dare, anche su questa terra, giustizia e eguaglianza ai poveri. Non vi affannate a rispondere accusando l'uno o l'altro sistema dei loro vistosi difetti e errori. Sappiamo che son cose umane. Dite piuttosto cosa c'era di qua dal fronte. Senza dubbio il peggior sistema politico che oppressori senza scrupoli abbiano mai potuto escogitare. Negazione d'ogni valore morale, di ogni liberta' se non per i ricchi e per i malvagi. Negazione d'ogni giustizia e d'ogni religione. Propaganda dell'odio e sterminio d'innocenti. Fra gli altri lo sterminio degli ebrei (la Patria del Signore dispersa nel mondo e sofferente). Che c'entrava la Patria con tutto questo? e che significato possono piu' avere le Patrie in guerra da che l'ultima guerra e' stata un confronto di ideologie e non di patrie? Ma in questi cento anni di storia italiana c'e' stata anche una guerra "giusta" (se guerra giusta esiste). L'unica che non fosse offesa delle altrui Patrie, ma difesa della nostra: la guerra partigiana. Da un lato c'erano dei civili, dall'altra dei militari. Da un lato soldati che avevano obbedito, dall'altra soldati che avevano obiettato. Quali dei due contendenti erano, secondo voi, i "ribelli", quali i "regolari"? E' una nozione che urge chiarire quando si parla di Patria. Nel Congo p. es. quali sono i "ribelli"? Poi per grazia di Dio la nostra Patria perse l'ingiusta guerra che aveva scatenato. Le Patrie aggredite dalla nostra Patria riuscirono a ricacciare i nostri soldati. Certo dobbiamo rispettarli. Erano infelici contadini o operai trasformati in aggressori dall'obbedienza militare. Quell'obbedienza militare che voi cappellani esaltate senza nemmeno un "distinguo" che vi riallacci alla parola di San Pietro: "Si deve obbedire agli uomini o a Dio?". E intanto ingiuriate alcuni pochi coraggiosi che son finiti in carcere per fare come ha fatto San Pietro. In molti paesi civili (in questo piu' civili del nostro) la legge li onora permettendo loro di servir la Patria in altra maniera. Chiedono di sacrificarsi per la Patria piu' degli altri, non meno. Non e' colpa loro se in Italia non hanno altra scelta che di servirla oziando in prigione. Del resto anche in Italia c'e' una legge che riconosce un'obiezione di coscienza. E' proprio quel Concordato che voi volevate celebrare. Il suo terzo articolo consacra la fondamentale obiezione di coscienza dei Vescovi e dei Preti. In quanto agli altri obiettori, la Chiesa non si e' ancora pronunziata ne' contro di loro ne' contro di voi. La sentenza umana che li ha condannati dice solo che hanno disobbedito alla legge degli uomini, non che son vili. Chi vi autorizza a rincarare la dose? E poi a chiamarli vili non vi viene in mente che non s'e' mai sentito dire che la vilta' sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei piu'? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti e' la prigione, ma non e' bello star dalla parte di chi ce li tiene. Se ci dite che avete scelto la missione di cappellani per assistere feriti e moribondi, possiamo rispettare la vostra idea. Perfino Gandhi da giovane l'ha fatto. Piu' maturo condanno' duramente questo suo errore giovanile. Avete letto la sua vita? Ma se ci dite che il rifiuto di difendere se stesso e i suoi secondo l'esempio e il comandamento del Signore e' "estraneo al comandamento cristiano dell'amore" allora non sapete di che Spirito siete! che lingua parlate? come potremo intendervi se usate le parole senza pesarle? se non volete onorare la sofferenza degli obiettori, almeno tacete! Auspichiamo dunque tutto il contrario di quel che voi auspicate: Auspichiamo che abbia termine finalmente ogni discriminazione e ogni divisione di Patria di fronte ai soldati di tutti i fronti e di tutte le divise che morendo si son sacrificati per i sacri ideali di Giustizia, Liberta', Verita'. Rispettiamo la sofferenza e la morte, ma davanti ai giovani che ci guardano non facciamo pericolose confusioni fra il bene e il male, fra la verita' e l'errore, fra la morte di un aggressore e quella della sua vittima. Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d'odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano. Lorenzo Milani sac. 4. RIFLESSIONE. GEORGE LAKEY: LA SPADA CHE GUARISCE: UNA DIFESA DELLA NONVIOLENZA ATTIVA (PARTE PRIMA) [Dal bel mensile diretto da Goffredo Fofi "Lo straniero", n. 18, ottobre 2001 (sito: www.lostraniero.net). Su George Lakey riportiamo dalla stessa rivista la seguente breve presentazione: "George Lakey e' direttore di 'Training for Change'. E' stato trainer alla 'Martin Luther King School fors Social Change' e ha partecipato a numerose azioni di disobbedienza civile: insieme a minatori, metalmeccanici, homeless, carcerati, gay e lesbiche russe, attivisti sudafricani e srilankesi. E' stato co-fondatore del Movimento per una nuova societa', che negli ultimi vent'anni ha sperimentato forme di lotta innovative, ed e' autore di A manual for direct action, opera che fu ritenuta fondamentale dal movimento per i diritti civili nel Sud negli anni Sessanta. L'articolo che segue mette in discussione il libro di Ward Churchill Pacifism as Pathology: Reflections on the Role of Armed Struggle in North America , Arbeiter Ring Winnipeg, Canada 1998"] Il libro di Ward Churchill dal titolo Pacifismo come patologia: Riflessioni sul ruolo della lotta armata in Nord America e' diventato un punto di riferimento fondamentale per molti di quei "nuovi attivisti" che hanno fatto notizia nella "battaglia di Seattle", a Washington D. C., a Filadelfia, a Los Angeles, a Praga e nelle altre manifestazioni contro l'ingiustizia economica e sociale. Ward Churchill e' impegnato attivamente nellíAmerican Indian Movement e in altri gruppi, e' uno scrittore prolifico e professore di studi etnici all'universita' del Colorado. Nel periodo in cui ho frequentato i "nuovi attivisti", ho deciso di scrivere un articolo in risposta al libro di Churchill, e sono stato ulteriormente stimolato a farlo dopo aver partecipato insime a lui a un dibattito pubblico tenutosi a Boulder nel febbraio del 2001. Il nostro scambio di vedute si e' svolto in un'atmosfera interessante e vivace; il pubblico ha sottolineato quanto fosse importante assistere alla discussione tra due attivisti di lunga data, con punti di vista concretamente diversi, che affrontano, in veste di alleati, i pericoli che minacciano il comune campo d'azione. Ward e io siamo entrambi alla ricerca di fonti di potere che siano in grado di spezzare le catene dell'ingiustizia e dell'oppressione e che, allo stesso tempo, possano occuparsi della guarigione di questo dilaniato pianeta Terra e della sua gente maltrattata e offesa. Martin Luther King definiva l'azione nonviolenta "la spada che guarisce", ed e' per questo che ho intitolato questo saggio con le parole di King. Comincero' enunciando alcuni punti su cui Ward e io concordiamo, per poi mettere in discussione altre posizioni sostenute da Ward nel suo libro. * In cosa posso concordare con Ward Churchill? Siamo d'accordo nel sostenere che il mondo e' saturo di ingiustizie, di sfruttamenti e che l'atteggiamento dell'uomo nei confronti del pianeta lo ha condotto in un vicolo cieco. Entrambi abbiamo subito personalmente l'oppressione a causa delle nostre origini proletarie; il fatto che lui fosse indigeno e io gay ha accentuato la crudelta' e il dolore provocati da questa oppressione. Non nutriamo alcuna illusione sugli intenti del capitalismo, dei sistemi autoritari a struttura piramidale e del micidiale Impero Statunitense. Quando analizziamo i risultati dei movimenti sociali dell'ultima meta' di questo secolo, provo la stessa delusione di Ward nell'osservare che i movimenti di cui i sostenitori della nonviolenza celebrano il successo non abbiano piu' conseguito vittorie rilevanti. Il razzismo imperversa ancora negli Stati Uniti nonostante i risultati concreti ottenuti dal movimento per i diritti civili, cioe' la pari opportunita' di alloggio, il diritto di voto e il compimento dell'azione affermativa. L'industria nucleare continua a vendere all'estero i suoi letali impianti e avvelena gli Stati Uniti con le sue scorie radioattive, nonostante il movimento antinucleare sia riuscito a interrompere la costruzione di nuovi impianti all'interno del paese. L'Impero Statunitense continua a effettuare i suoi interventi militari all'estero, diventando cosi' il "global killer" numero uno dei nostri giorni, sebbene il movimento contro la guerra del Vietnam sia riuscito a creare una "sindrome del Vietnam" in grado di imporre qualche restrizione ai potentati statunitensi (1). Ma se condivido il disappunto di Ward nell'osservare che questi e altri movimenti non abbiano conseguito maggior successo, sono di opinione opposta quando celebro i risultati che invece abbiamo ottenuto. Sono dell'idea che noi attivisti possiamo accrescere le nostre potenzialita' con una combinazione di autocritica e autoaffermazione, piuttosto che giudicando solo a posteriori il nostro operato. Concordo nel dire che a volte i pacifisti pecchino di autocompiacimento e si considerino piu' giusti e virtuosi degli altri; si dimostrano refrattari al dibattito onesto e pragmatico sulle linee d'azione da intraprendere, e preferiscono un'ideologia morale che possa evitar loro un'aperta considerazione delle alternative. Ward sostiene che la storia degli attivisti nonviolenti dimostra la loro disponibilita' ad affrontare gravi rischi, sacrificando le proprie vite in favore del cambiamento sociale. D'altro canto, pero', molte proteste nonviolente si sono accontentate di testimonianze garbate e arresti ritualizzati, minimizzando il rischio e minimizzando cosi' anche l'effetto. Concordo con questo tipo di critica. Sono d'accordo anche sul fatto che escludere dogmaticamente il conflitto armato dalla discussione, invece di vagliare i pro e i contro del combinare tattiche violente e nonviolente, non contribuisce alla creazione di una strategia. Al dibattito di Boulder ho sottolineato che quello di cui il nostro movimento ha piu' bisogno e' una strategia a lungo termine. Convengo con Ward quando sostiene che il miglior modo di riflettere sui modi della lotta e' farlo a livello pragmatico: quali sono i mezzi che hanno maggiori possibilita' di ridurre la sofferenza, aumentare la giustizia e creare una nuova societa'? Questo saggio, dunque, si concentra soprattutto sulla pratica. Rispondero' alle sfide proposte da Ward in termini di realta' pratiche e concrete. Contestero' alcune sue affermazioni su un piano prettamente pragmatico. Mettero' in discussione la sua interpretazione di alcuni momenti storici in base a cio' che erano a quel tempo le realta' del potere. E descrivero' alcuni movimenti che hanno imparato, dalla loro stessa esperienza pratica, che la lotta intrapresa avrebbe conseguito maggiori risultati con l'azione diretta nonviolenta che con la violenza. * Esiste una strategia per una rivoluzione violenta negli Stati Uniti? Ward scrive che il suo intento e' riportare alle giuste proporzioni il pacifismo e mettere in discussione il suo autocompiacimento morale. Sostiene di non avere intenzione di articolare una strategia di lotta armata per gli Stati Uniti; questo rappresenta un compito a se' stante. In realta', la "rivoluzione violenta" e la "rivoluzione nonviolenta" si trovano, questa volta, sulla stessa barca: entrambe sono sprovviste di una chiara e dettagliata strategia per gli Stati Uniti. La necessita' di un pensiero strategico e' enorme sia tra i sostenitori della lotta armata che tra quelli della lotta nonviolenta. Negli Stati Uniti, l'ultima volta in cui molti attivisti hanno parlato seriamente di "rivoluzione" - verso la fine degli anni Sessanta - l'attivista socialista e scrittore Martin Oppenheimer si e' trovato a discutere pubblicamente con i leader degli attivisti che sostenevano l'uso della violenza ma non riuscivano a creare una strategia. Per agevolare il compito a loro e a se stesso, scrisse un libro, The Urban Guerrilla (2), in cui concepiva due diverse strategie che prevedevano l'impiego della lotta armata e poi ne valutava le probabili conseguenze. A livello pragmatico entrambe le strategie di lotta armata conducevano alla sconfitta della democrazia e della giustizia. In questo caso, gli attivisti che non siano mossi dall'unico intento di esprimere se stessi, ma che mirino a una reale trasformazione, hanno la necessita' di mettere a punto una strategia persuasiva per una rivoluzione che impieghi la lotta armata. Questa strategia ancora non esiste. Il modo in cui ci apprestiamo a formulare una strategia e' influenzato dalle nostre idee su come funziona il mondo, e pertanto puo' essere utile metterle a confronto. Ma, per quanto si possa discutere su tali idee, nulla potrebbe sostituire l'enorme sforzo necessario alla creazione di una strategia. Poiche' molti attivisti di oggi operano all'interno di college e universita', e la maggior parte sono benestanti e quindi in grado di concedersi il tempo per realizzare questo sforzo, la mia speranza e' che accettino la sfida! * Il pacifismo e' un valore assiomatico tra i progressisti negli Stati Uniti? Nel suo libro Ward sostiene che il pacifismo e' l'ideologia dell'azione politica nonviolenta, ed e' considerato assiomatico tra le correnti principali dei progressisti in Nord America. Se con cio' vuole dire che l'azione nonviolenta e' intrinseca al modo in cui gran parte dei progressisti conducono le loro campagne nazionali per il cambiamento, in tal caso non sono d'accordo. Alcuni anni fa fui chiamato a Washington D. C. per un incontro con una vasta coalizione progressista che stata lavorando per promuovere una legge in sostegno dei poveri e dei lavoratori. La loro campagna non stava dando alcun frutto e mi chiesero di aiutarli a progettare una serie di proteste nonviolente. La mia prima domanda al gruppo dei leader nazionali fu: "Dov'e' l'energia di rivolta nella vostra coalizione?". Silenzio. Alla fine, cominciarono a raccontare di come diversi gruppi militanti erano rimasti talmente delusi da abbandonare la coalizione. In breve, non era rimasta alcuna energia di rivolta. "In tal caso, dissi, questo incontro non durera' a lungo. Non si puo' mettere a segno un'azione diretta nonviolenta di grande impatto se non si ha a disposizione una tale spinta. Avete gestito questa campagna come una convenzionale operazione di propaganda politica e non potete, all'ultimo minuto, fare retromarcia e diventare un movimento di protesta nonviolenta!". Questo e' solo uno dei tanti esempi. La maggior parte dei leader progressisti in Nord America sono impegnati nell'ingrato compito di sostenere metodi convenzionali come campagne elettorali, propaganda politica, azioni legali, petizioni, compilazione di lettere, pubbliche relazioni e simili, invece di volgersi all'azione nonviolenta. E' sempre stato cosi'. Quando Martin Luther King comparve sulla scena in qualita' di leader dei diritti civili, i gruppi gia' affermati speravano che lui e le sue tattiche nonviolente scomparissero al piu' presto nel nulla: confidavano nella propaganda e nelle azioni legali. Perfino il movimento operaio, nato dalla militanza nel XIX secolo, al giorno d'oggi preferisce sostenere i candidati elettorali piuttosto che organizzare scioperi. E' comprensibile che, a questo proposito, le opinioni di Ward differiscano dalle mie, poiche' usiamo parole simili ma in realta' siamo intenti a osservare fenomeni diversi. Nel suo libro Ward usa le parole "pacifismo", "nonviolenza" e "rivoluzione nonviolenta" come fossero intercambiabili, sebbene nella pratica risultino assai diverse. La nonviolenza, o (come preferisco chiamarla) l'azione nonviolenta, e' usata soprattutto in manifestazioni che hanno origine a livello popolare, quando le persone hanno bisogno di "agitazione di piazza" per conseguire uno scopo. Manifestazioni, sit-in, occupazioni, scioperi, boicottaggi: vi sono molti metodi di azione nonviolenta di cui leggiamo sui giornali ogni giorno, e la gente li usa perche' spesso funzionano meglio dei mezzi piu' convenzionali, come la propaganda politica o le petizioni. Le organizzazioni professionali di opposizione a livello nazionale non prevedono, come ho detto, l'azione diretta nonviolenta nelle loro teorie, ma gli attivisti che partono da una base popolare la impiegano spesso proprio perche' il piu' delle volte funziona, per salvare gli alberi, ottenere alloggi per i senzatetto, per costringere a cambiare la politica sull'Aids o per indurre le industrie manifatturiere di abbigliamento a non rifornirsi piu' dalle aziende che sfruttano i propri dipendenti. Negli Stati Uniti l'azione nonviolenta e' usata soprattutto dalla classe operaia e dai poveri, piu' dalle persone di colore che dai bianchi, e piu' dai giovani che dagli anziani. Sebbene gran parte dell'azione nonviolenta negli Stati Uniti sia attuata dalle organizzazioni che si basano su comunita' di persone appartenenti alla classe operaia, anche i sindacati, le comunita' di omosessuali, di portatori di handicap, di ambientalisti, studenti e altri ne hanno fatto largo uso. Il "pacifismo", d'altro canto, e' una ideologia, un sistema di teorie atto a stabilire che e' immorale ferire o uccidere delle persone per il conseguimento del proprio scopo. I pacifisti credono che il fine non giustifichi un assassinio. Inoltre, il loro modo di intendere il fenomeno di causa ed effetto li induce a pensare che un giusto fine provenga dai giusti mezzi usati per ottenerlo, come una buona torta nasce dall'uso di buoni ingredienti. Sostengono che secondo la moralita' e il buon senso noi dobbiamo "vivere in prima persona il cambiamento che desideriamo venga realizzato". Probabilmente i pacifisti piu' conosciuti dagli statunitensi sono Martin Luther King Jr., Cesar Chavez, fondatore e capo della United Farmworkers, e Mohandas K. Gandhi. La stragrande maggioranza di quanti si dedicano all'azione nonviolenta negli Stati Uniti non sono pacifisti. Il dottor King sapeva bene che la maggior parte degli afroamericani che rischiavano la vita nelle campagne di protesta organizzate da lui non erano sostenitori del pacifismo; usavano l'azione nonviolenta in modo circostanziale. E vi sono molti pacifisti che raramente partecipano ad azioni nonviolente, raramente scendono in strada, scioperano o fanno ricorso alla disobbedienza civile. Quindi mischiare "pacifismo" e "nonviolenza", come fa Ward, confonde le idee piu' che chiarirle. Mischiare "azione nonviolenta" e "pacifismo" con "rivoluzione nonviolenta" intorbida ancor di piu' le acque. Il "Manifesto for Nonviolent Revolution" (3), la dichiarazione piu' enunciata tra quelli che sostengono questo atteggiamento, e' molto piu' radicale di quanto siano in grado di sostenere la maggior parte dei pacifisti e quelli che fanno uso dell'azione nonviolenta. Il "Manifesto" auspica la fine del capitalismo imprenditoriale, del sistema stato-nazione, e della distruzione ambientale. Condanna la societa' patriarcale, il razzismo e gli altri sistemi di oppressione sociale. Mira alla creazione di un ordine sociale enormemente diverso, in cui la liberta' possa prosperare, le imprese economiche siano democratiche e gli esseri umani vivano in pace con il pianeta. Di gran lunga piu' radicale dei marxisti-leninisti, il "Manifesto" cerca di imparare dalle sconfitte della Sinistra per avvicinarsi al futuro in modo nuovo e creativo. * Gli ebrei vennero assassinati nel corso di un Olocausto nonviolento? Il risultato piu' estremo - e doloroso - del confondere queste parole risiede nella descrizione che fa Ward dell'esperienza ebrea dell'Olocausto. Innanzitutto egli esagera nel tacciare gli ebrei come passivi di fronte all'Olocausto. E' molto importante da parte nostra onorare i coraggiosi ebrei che hanno combattuto contro il genocidio (4). In secondo luogo sostiene che gli ebrei che furono costretti al silenzio con l'intimidazione, o che negavano cio' che stava accadendo, mettevano in atto l'azione nonviolenta! "La storia ci fornisce pochi modelli di paragone tramite cui asserire l'efficacia dell'opposizione nonviolenta alle politiche di stato, almeno in termini delle proporzioni e della rapidita' con cui le conseguenze si sono abbattute sui soggetti passivi" (5). Quelli tra noi che sono stati impegnati nell'azione diretta nonviolenta sanno la differenza che c'e' tra azione e passivita'. Basta prendere parte a una discussione tra lavoratori che decidono se fare sciopero per riconoscere subito la differenza tra quelli attivi e quelli passivi. Basta ascoltare una comunita' che discute se difendersi o meno dalla realizzazione di un nuovo deposito di rifiuti tossici per riconoscere la differenza tra attivo e passivo. Negli anni Trenta Gandhi si preoccupava delle tendenze mostrate dalla Germania nazista e scrisse a un rabbino berlinese chiedendogli di organizzare al piu' presto una resistenza e mobilitare il maggior numero possibile di ebrei e alleati per affrontare tale minaccia. Ovunque Gandhi notasse atteggiamenti passivi in una situazione di ingiustizia, chiedeva che venissero sostituiti da una resistenza nonviolenta attiva. In realta', Gandhi si opponeva alla passivita' con tanta fermezza da consigliare che, in caso di una malefatta a cui fosse possibile rispondere solo con la passivita' o con la violenza, bisognerebbe scegliere quest'ultima! Naturalmente Gandhi credeva che nella vita reale vi fossero sempre piu' di due scelte possibili, e che l'uomo fosse in grado di creare e intraprendere efficaci azioni nonviolente. * Note 1. La sindrome del Vietnam ebbe un grande impatto. Ad esempio, riusci' a impedire a Ronald Reagan di invadere il Nicaragua con le truppe statunitensi, e riusci' con la minaccia del "Pledge of Resistance" (impegno alla resistenza) a creare un moto di ribellione in tutto il paese scatenando la pubblica accusa. 2. Martin Oppenheimer, The urban guerrilla, Quadrangle Books, Chicago 1969. 3. Questo documento fu creato in seguito a un processo collettivo internazionale, ed e' stato pubblicato in diverse lingue. George Lakey, A Manifesto for Nonviolent Revolution (Filadelfia, Movement for a New Society, 1976); ristampa a cura di Richard Falk, Samuel S. Kim, Saul H. Menddlovitz, Toward a Just World Order (Boulder Co., Westview Press, 1982) pp. 638-652. 4. Per ulteriori informazioni sulla resistenza nonviolenta nei confronti dei nazisti da parte degli ebrei, consultate l'articolo di Yehuda Bauer in Protest, Power and Change, Roger S. Powers and William B. Vogele, 1997, pp. 276-277. 5. Ward Churchill, Pacifism as Pathology, op. cit., p.37. (Parte prima - Continua) 5. RIFLESSIONE. UNA POSTILLA AL SAGGIO DI GEORGE LAKEY L'articolo di George Lakey costituisce un utile contributo alla riflessione sulla nonviolenza, ma nella nostra presente situazione potrebbe forse dar luogo a un equivoco. E l'equivoco e' il seguente: che si possa ancora condurre un dibattito sulla liceita' o addirittura preferibilita' della scelta della violenza, piuttosto che della nonviolenza, nell'azione politica di trasformazione della societa' in una prospettiva di solidarieta' e di liberazione, di resistenza all'oppressione, di costruzione di rapporti di giustizia. Questo dibattito da lunga data non ha piu' ragione di esistere. Dopo i gulag e dopo i lager, dopo Auschwitz e dopo Hiroshima, chiunque voglia coerentemente effettualmente concretamente impegnarsi per la difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani, cosi' come per la liberazione dell'umanita' dallo sfruttamento, dall'oppressione e dalla guerra, cosi' come per la salvaguardia della biosfera, cosi' come per costruire relazioni di giustizia, eque e solidali, ebbene, deve fare la scelta della nonviolenza. Chi ancora propugna la tesi della liceita' dell'uso della violenza con cio' stesso si fa servo e complice dei signori della guerra e del terrore, riproduce la logica che presiede alle stragi, denega ipso facto la dignita' e i diritti umani di ogni essere umano, riproduce e sostiene il sistema di potere che sta recando l'umanita' alla catastrofe. Che anche nel movimento per la pace trovino ancora spazio e ascolto lugubri figuri dai comportamenti e dalle ideologie militariste, patriarcali, totalitarie e razziste, e' uno scandalo da denunciare e contro cui lottare in modo limpido e intransigente. Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Non si da' impegno per la pace, la solidarieta' e la giustizia se non si esce dalla confusione e dall'ambiguita'. la scelta della nonviolenza e' il passo indispensabile da compiere. Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita'. 6. MAESTRE. EMILIA FERREIRO: L'ALTRO CHE PENSA. IL BAMBINO COME INTERLOCUTORE INTELLETTUALE [Da Cultura escrita y educacion. Conversaciones con Emilia Ferreiro, Fondo de cultura economica, Mexico 1999, p. 180. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, psicolinguista e psicopedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione; e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le molte opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto in collaborazione con Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Per un suo profilo cfr. il n. 16 de "La domenica della nonviolenza"] Se realmente accetti che l'altro pensa, e riconosci che pensa in una maniera differente dalla tua, che non si deduce a partire dalla tua, devi ottenere che l'altro ti aiuti a capire come pensa. Queste sono le basi del rispetto intellettuale: "io riconosco che tu pensi, e che la forma del tuo pensare non mi si rivela immediatamente: ho bisogno del tuo aiuto per intendere in che modo pensi". Quando sono dinanzi a un pensiero che mi sembra confuso, non lo qualifico subito come "che sciocchezza!", o "che stupidaggine!". Semplicemente ho bisogno di trovare la sua coerenza che ancora mi sfugge. Considerare un bambino di quattro o cinque anni, o anche meno, come un interlocutore intellettuale e' una componente fondamentale del compito educativo. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1039 del 31 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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