La nonviolenza e' in cammino. 1038



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1038 del 30 agosto 2005

Sommario di questo numero:
1. Disarmare vuol dire salvare vite umane
2. Luciano Bonfrate: Per l'abolizione dei cosiddetti "Centri di permanenza
temporanea"
3. Maria Grazia Giannichedda ricorda Franco Basaglia
4. Una lettera di frere Roger ai familiari di Paul Ricoeur in occasione
della scomparsa del filosofo
5. Marina Forti: Il "modello" Wal-Mart
6. Giulio Vittorangeli: agosto in Iraq
7. Simone de Beauvoir: Bisogna cambiare la vita
8. Cecilia Meireles: Nel mistero
9. Riletture: Betty Reardon, Militarismo e sessismo
10. Da tradurre: Michel Brossard et Jacques Fijalkow (sous la direction de),
Apprendre a' l'ecole: perspectives piagetiennes et vygotskiennes
11. Le amarezze di Strambotto: Societa'
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE: DISARMARE VUOL DIRE SALVARE VITE UMANE
Il referendum che si svolgera' in Brasile tra poche settimane, con il quale
si chiedera' alla popolazione di quell'immenso paese se vuole che sia
abolito il commercio delle armi (un commercio il cui esito e' uno
stillicidio di persone assassinate, rese invalide e ferite - si vedano i
dati terrificanti contenuti nella scheda che abbiamo pubblicato anche nel n.
1034 di questo foglio) e' un appuntamento che riguarda l'umanita' intera.
Le armi uccidono, uccidono esseri umani. Piu' armi circolano, piu' esseri
umani sono esposti alla morte; meno armi vengono prodotte e diffuse, meno
persone moriranno assassinate. E' di una estrema semplicita'.
Il disarmo e' oggi la prima urgenza per l'umanita' tutta. E deve andare
dalle armi di sterminio di massa, in primo luogo quelle nucleari, chimiche e
batteriologiche la cui potenza assassina e' tale da mettere in pericolo
l'intera civilta' umana e la stessa biosfera; fino alle armi come i fucili e
le pistole, le cosiddette "armi leggere" che - ci dicono le statistiche
elaborate dai piu' prestigiosi istituti di ricerca - provocano anch'esse
stragi di dimensioni immani.
E quindi occorre premere affinche' gli stati si orientino verso il disarmo,
e insieme premere perche' si impegnino per il disarmo anche le singole
persone. Occorre smantellare gli arsenali, riconvertire a produzioni civili
le industrie armiere, distruggere le armi in circolazione, proibirne oltre
che l'uso la fabbricazione, il commercio e la detenzione.
Quel fondamento di tutti gli ordinamenti giuridici che e' l'impegno a
proteggere e promuovere la vita delle persone, se rettamente inteso vincola
ad agire per il disarmo, poiche' il disarmo e' l'unico modo concreto per
garantire quell'impegno a salvare le vite anziche' metterle in pericolo.
E quindi non ci dovrebbe neppure essere bisogno di un referendum: dovrebbero
essere i parlamenti a legiferare senza esitazione la proibizione di produrre
e diffondere strumenti di morte. Ma se i parlamenti un atto cosi' semplice e
saggio non riescono a  farlo, scandalosamente paralizzati dall'azione
contraria della potente lobby dei mercanti di morte, allora ben venga il
referendum. Ma occorre allora vincerlo il referendum: gli amici brasiliani
impegnati per salvare la vita di tutti ci dicono che c'e' bisogno dell'aiuto
di tutte le persone di volonta' buona, poiche' in vista del voto le
industrie armiere operanti in Brasile stanno dispiegando una forte azione di
propaganda menzognera e manipolatrice dagli effetti mortiferi.
Dobbiamo sostenere la campagna per il si' al referendum contro il commercio
delle armi in Brasile. E' necessario vincere il referendum oggi in Brasile,
per salvare subito un numero enorme di vite umane, e per riproporre domani
l'iniziativa anche altrove. Per riuscire, paese dopo paese, a liberare
l'umanita' dagli strumenti che danno la morte.
Per informazioni e per dare una mano invitiamo tutti i nostri lettori a
mettersi in contatto con Francesco Comina in Italia (e-mail:
f.comina at ladige.it), e con padre Ermanno Allegri in Brasile (sito:
www.adital.org.br); segnaliamo anche la Rete italiana per il disarmo
(e-mail: controlarms at disarmo.org, sito: www.disarmo.org).

2. EDITORIALE. LUCIANO BONFRATE: PER L'ABOLIZIONE DEI COSIDDETTI "CENTRI DI
PERMANENZA TEMPORANEA"
[Poiche' i cosiddetti "centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt)
altro non sono che campi di concentramento in cui vengono barbaramente
reclusi, privati di diritti, esposti a minacce e violenza persone che nessun
reato hanno commesso, persone nel nostro paese giunte in fuga da guerre,
dittature, fame e crudelta' fin inenarrabili, persone che avrebbero invece
diritto a solidarieta', assistenza e riconoscimento di umanita', ben a
ragione ogni persona onesta prova vergogna e colpa perche' simili strutture
nel nostro paese e nel nostro ordinamento esistano ancora; ben a ragione
ogni persona onesta sente di dover fare qualcosa affinche' i campi di
concentramento aboliti siano e si ripristini anche in Italia per ogni
persona il rispetto di quei fondamentali diritti umani che sono scritti
nella Costituzione della Repubblica, e nella Dichiarazione universale del
1948, quei diritti senza il riconoscimento dei quali non si da' convivenza
civile, non si da' convivenza tout court. Luciano Bonfrate e' un
collaboratore del "Cento di ricerca per la pace" di Viterbo]

I campi, e nei campi l'umanita'.
I campi, e nei campi la morte.

I campi, e nei campi la verita'.
I campi, e nei campi l'orrore.

I campi, e nei campi la corte
degli antimiracoli, il dolore
senza pieta', senza voce.

E in questo guscio di noce
tutto sta il nostro sentire:
i campi, sei tu che li devi abolire.

3. MEMORIA. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA RICORDA FRANCO BASAGLIA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 agosto 2005.
Maria Grazia Giannichedda, acutissima sociologa, e' stata una delle
principali collaboratrici degli indimenticabili Franco Basaglia e Franca
Ongaro Basaglia, la cui lotta per una psichiatria democratica e per la
dignita' umana di tutti gli esseri umani tuttora prosegue.
Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura
di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea; ha promosso la
restituzione di diritti e il riconoscimento di dignita' umana ai sofferenti
psichiatrici precedentemente condannati alla segregazione e a trattamenti
disumani e disumanizzanti; e' stata una delle piu' grandi figure della
teoria e della pratica della solidarieta' e della liberazione nel XX secolo.
Opere di Franco Basaglia: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli
Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e
scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con
altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria,
L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini
di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi; insieme a Paolo
Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze
1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica); una
raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di
documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata
edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; una recente raccolta di
scritti e' L'utopia della realta'., Einaudi, Torino 2005. Opere su Franco
Basaglia: assai utile il volume di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio,
Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, con ampia bibliografia; cfr;
anche Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti, Editori
Riuniti, Roma 2004. Un fascicolo monografico a lui dedicato e' Franco
Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851
dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre la collana dei "Fogli di
informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia. A Basaglia si
ispira tutta la psichiatria democratica italiana e riferimenti a lui sono
praticamente in tutte le opere che trattano delle vicende e della
riflessione della psichiatria italiana contemporanea]

In una conferenza a Rio de Janeiro nel 1979, pochi mesi prima di ammalarsi,
Franco Basaglia rispondeva cosi' a una domanda sul significato del suo
lavoro: "la cosa piu' importante e' che abbiamo dimostrato che l'impossibile
diventa possibile. Dieci, quindici anni fa era impensabile che un manicomio
potesse venire distrutto. Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e
piu' chiusi di prima, ma noi abbiamo dimostrato che si puo' assistere la
persona folle in un altro modo". Da quel pomeriggio di fine estate del 1961
a Gorizia, quando per la prima volta nella sua vita era entrato in un
manicomio, Basaglia si era tormentato sulla forza di quell'istituzione, che
lo aveva indignato e angosciato al punto di indurlo alla tentazione di
mollare l'impresa impossibile che sarebbe consistita nel mettere a frutto,
la' dentro, cio' che negli anni della clinica universitaria aveva studiato e
tentato di fare.
*
Fuori e dentro le mura
Il lavoro di umanizzazione delle strutture e dei rapporti che vi si
intrattenevano gli aveva poi chiarito che il manicomio in realta' non si
limitava ai confini della istituzione storica da lui diretta, ma, al fondo,
coincideva con l'idea stessa di "internamento", cioe' della custodia in nome
della tutela, della riduzione della liberta' in nome della liberazione dalla
malattia. Questo era il nucleo del manicomio, li' stava la sua forza e la
capacita' di riprodursi nelle istituzioni e nel corpo sociale, attraverso la
legge, l'amministrazione e la legittimazione non disinteressata degli
operatori psichiatrici.
Negli anni del grande movimento antistituzionale, Basaglia rimprovero'
spesso a collaboratori e compagni di strada italiani ed europei la tendenza
a sottovalutare la potenza del manicomio, che per quanto lo riguardava
avrebbe dovuto essere smontato "pezzo per pezzo", perche' non rinascesse
fuori dalle sue mura e dentro ciascuno di noi. Sono dunque il prodotto di
questa cultura le molte invenzioni nate per scomporre il manicomio e spesso
evolute nelle strutture nate a seguito della riforma, "gli infiniti
machiavelli istituzionali", come Basaglia li chiamava negli anni di Trieste:
la prima cooperativa degli internati, che avevano voluto chiamarsi
"Lavoratori Uniti"; la trasformazione dei ricoverati in "ospiti" per
consentire loro liberta' e asilo; i centri di salute mentale aperti
ventiquattro ore e organizzati come spazi di vita; le abitazioni nei
condomini del centro col sostegno informale degli operatori. Tutto questo
prendeva forma in mezzo a scontri e negoziazioni, conflitti e compromessi
tra gli operatori non meno che con la citta', in un clima allora tutt'altro
che facile poiche' si camminava per una strada non ancora segnata, cercando
un possibile che fosse adeguato alla posta in gioco e che quel gioco
riuscisse a mantenerlo aperto e a governarlo.
Franco Basaglia era straordinariamente dotato di quel "senso della
possibilita'" di cui parla Robert Musil nelle prime pagine dell'Uomo senza
qualita', ossia della "capacita' di pensare tutto quello che potrebbe
egualmente essere, e di non dare maggior importanza a quello che e', che a
quello che non e'".
*
Tra aspirazioni e progetto politico
A questo senso del possibile come "volonta' di costruire, come consapevole
utopia che non si sgomenta della realta' bensi' la tratta come un compito e
un'invenzione", Basaglia ha saputo dare spessore e valore politico,
riuscendo a coinvolgere istituzioni e persone nella costruzione di altri
orizzonti che si allargano tutt'ora sulla societa' italiana, e non solo
entro i suoi confini. E' vero, pero', che il senso della possibilita' oggi
e' piu' visibile come aspirazione che non come progetto politico, e fa
impressione il fatto che, quando si parla di questione morale, tutto quanto
e' legittimo attendersi - laddove quote rilevanti di potere siano nelle mani
di persone e di istituti della sinistra - sia limitato al rispetto delle
regole. Ma se l'idea di trasformare l'esercizio del potere per trasformare
con esso pezzi di mondo viene messa in ombra, o tutt'al piu' relegata in
spazi residuali e ideologici sara' molto difficile rendersi riconoscibili
come alternativa al presente e porre le premesse per un diverso futuro.
Quindici anni prima di quella conferenza a Rio, Basaglia aveva gia' intuito
che la distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di
istituzionalizzazione (come dice il titolo della sua comunicazione al primo
congresso di psichiatria sociale a Londra, nel 1964) era "un fatto
urgentemente necessario, se non semplicemente ovvio". In quel testo ci sono
gia' gli elementi che avrebbero fatto evolvere il lavoro appena iniziato a
Gorizia in una direzione tutta diversa da quella su cui si erano incamminate
le esperienze innovative sorte nella psichiatria pubblica in Francia e
Inghilterra. Basaglia criticava il fatto di essersi limitati, in quei paesi,
a creare una psichiatria territoriale responsabile, in realta', di
continuare a servirsi dei manicomi, che all'epoca internavano in Europa piu'
di ottocentomila persone.
Del resto, neppure gli premeva costruire "una nuova utopia" che si sarebbe
tramutata "in una nuova ideologia" il cui solo valore sarebbe stato quello
di "consentirci di sopportare il tipo di vita che siamo costretti a vivere",
come scrisse in uno dei saggi dell'Istituzione negata, il libro collettivo
del 1968. A Basaglia non interessava, percio', rifugiarsi nell'esperimento,
che elabora nuove tecniche di interpretazione della malattia mentale e forme
di trattamento non oppressive al riparo dalla legge psichiatrica e
dall'obbligo di accettare qualunque tipo di paziente. In Europa e negli
Stati Uniti, gia' alla fine degli anni '60, cominciavano a diffondersi molte
di queste utopie in piccola scala, non poche delle quali si dimostravano
efficaci con chi vi approdava per caso o per denaro, e alcune di esse - come
quelle di Ronald Laing a Londra e quella di Felix Guattari a Laborde - era
contagiate dal fascino, dalla intelligenza e dalla radicalita' dei loro
leader. Ma, allora come oggi, questi esperimenti non erano in grado di
scalfire l'apparato dei manicomi, ne' la cultura psichiatrica dominante
veniva intaccata dalle nuove teorizzazioni, e tanto meno il senso comune
vacillava di fronte al senso del pericolo, dalla vergogna e dalla scarsa
intellegibilita' che la follia portava con se'. L'esperienza di Gorizia
indico' una strada piu' ambiziosa e al tempo stesso piu' politica che
consisteva nel lavorare al centro del potere psichiatrico, l'istituzione
pubblica, per introdurvi una pratica e un progetto alternativi al manicomio,
al suo ruolo sociale e alla sua cultura. Fu un progetto che incontro' in
Italia un sistema istituzionale dove il bisogno di innovazione era
fortissimo e l'immobilismo dell'establishment psichiatrico, culturalmente
provinciale e concentrato sugli interessi di scuola e di bottega, lascio'
molto spazio a quelle che negli anni '70 venivano chiamate "le esperienze
esemplari": esperienze che egemonizzarono i processi di innovazione,
sperimentando e mettendo in circolo modelli di servizi che chiedevano e
dimostravano possibile la ridefinizione del trattamento psichiatrico nel
quadro della Costituzione democratica. Per questo Basaglia aveva voluto
chiamare "psichiatria democratica" il movimento per la riforma, intendendo
indicare con questo aggettivo l'intenzione di costruire una psichiatria che
interiorizzasse e rendesse vissuti i principi del patto democratico, cosi'
come la psichiatria manicomiale si era sviluppata nel quadro di uno Stato
liberale che escludeva dalla cittadinanza piu' di "meta' del cielo".
Oggi il sistema istituzionale nel quale Basaglia ha lavorato non c'e' piu',
e lo stesso campo psichiatrico e' profondamente cambiato. Basti pensare al
protagonismo acquisito delle multinazionali del farmaco, che dominano la
ricerca, invadono la comunicazione di massa, conquistano i medici; basti
considerare la penetrazione del linguaggio psichiatrico e psicologico nei
media, nella vita quotidiana, nella scuola, nei servizi sociali; e il
diffondersi delle tecniche psichiatriche e psicologiche - dall'uso degli
psicofarmaci ai test - per il controllo dell'efficienza e della vita delle
persone.
Dunque oggi non e' certo minore che trent'anni fa la necessita' di leggere
il contesto che abbiamo di fronte in chiave politica. Eppure la
depoliticizzazione della societa' italiana, drammaticamente svelata dal
referendum sulla fecondazione assistita, si e' resa lampante: lo dimostrano
i tecnici interessati a coltivare il proprio orto, a mettere a punto la
gestione di problemi e rischi o metodi di formazione nel grande mercato per
il controllo delle condotte che Basaglia aveva visto formarsi negli Stati
Uniti degli anni '70 e di cui scrisse in diversi saggi, dal Malato
artificiale a La maggioranza deviante a Condotte perturbate. Sembra che solo
una minoranza di operatori dei servizi pubblici, di ricercatori e di
intellettuali sia oggi interessata a esprimere la sua preoccupazione per i
caratteri dello scenario che abbiamo di fronte, e che si affanni a studiarlo
e a trovare i punti in cui potrebbe venire attaccato.
E' un clima, questo, in cui l'opera di Basaglia puo' risultare inattuale, o
puo' magari suscitare piu' nostalgie che stimoli; puo' forse indurre alla
tentazione di una lettura accademica delle sue idee, che invece sono legate
a un forte senso etico della responsabilita' sociale, segnate come sono da
un rapporto intenso, fondante, tra teoria e pratica politica, la sola chiave
in cui possono essere capite e spese. Basaglia ha temuto che la riforma
potesse essere l'inizio della fine della trasformazione, e questo - come
scrisse nella prefazione al Giardino dei gelsi - proprio "nel momento in cui
si potrebbe cominciare ad affrontare i problemi in modo diverso, disarmati
come siamo, privi di strumenti che non siano un'esplicita difesa nostra di
fronte all'angoscia e alla sofferenza". Come sempre, cerco' di giocare sul
terreno della pratica la sfida della riforma, accettando la proposta della
Regione Lazio di riorganizzare le politiche di salute mentale.
*
Le sue interviste sulla 180
Lavoro' a Roma pochi mesi, formulando alcuni progetti: un concorso di idee
rivolto a tutta la citta' per il riuso del manicomio da chiudere; il
riassetto del pronto soccorso di uno degli ospedali piu' problematici del
centro storico, per cercare di trovare risposte diverse alle persone
marginalizzate che la' avevano il loro punto di riferimento; il
coinvolgimento di alcune cliniche private in un programma di riorientamento
delle strutture. Nello stesso tempo, mise in piedi un'iniziativa curiosa e
assai emblematica del suo stile. Mentre le forze politiche, all'indomani
della riforma gia' ne prendevano le distanze, Basaglia decise di
intervistare dirigenti politici di spicco sulle ragioni che avevano spinto i
partiti ad approvare la "180" e sui mezzi con cui intendevano governarla:
riusci' a fare parlare due alti dirigenti della Democrazia Cristiana, Paolo
Cabras e Bruno Orsini, il vice-segretario del partito socialista Claudio
Signorile e il segretario del partito socialdemocratico Pietro Longo. Aveva
avviato i contatti con Enrico Berlinguer, ma non fece in tempo a
incontrarlo. Da quelle interviste fu ricavato, alcuni anni dopo, un film di
mezz'ora, che testimonia quale fosse il clima del tempo, quale la liberta'
di Basaglia da ogni schema prefigurato, quale la sua capacita' di mettersi
in gioco e, come lui diceva, di "tenere aperte le contraddizioni".
Certo Basaglia non si e' sottratto alle responsabilita' di governo ne' ha
sottovalutato il problema del consenso. Pero' ha agito il suo ruolo di
tecnico per spingere la politica, soprattutto gli amministratori, ad andare
oltre l'orizzonte dato, oltre gli assetti consolidati, che generalmente
fanno pagare ai piu' deboli il prezzo di una precaria o apparente pace
sociale. Cosi' lui, uomo di sinistra, non e' stato un interlocutore facile
neppure per la sinistra, che certo nella ormai lunga vita della "legge 180"
ha svolto un ruolo fondamentale in parlamento nel bloccare le controriforme,
sia con la scelta di candidare al Senato Franca Ongaro Basaglia, sia nella
fase di chiusura dei manicomi, con Romano Prodi al governo e Rosi Bindi alla
sanita'. Ma gli amministratori locali e' ancora necessario conquistarli ad
uno ad uno, anche quelli di sinistra, per riuscire a dare aggettivi ai
processi di innovazione, a introdurvi una qualita' diversa.
*
Il posto di chi non trova posto
Il manifesto dell'ultimo convegno promosso da Basaglia, Psichiatria e
buongoverno (Arezzo 28 ottobre 1979), riportava, accanto ad alcuni
particolari dell'Allegoria del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti, un
commento che si concludeva cosi': "se ciascuno sta al suo posto regnano
l'ordine e il potere; e chi non trova posto in questo ordine e in questo
equilibrio?". E' un interrogativo che vale sempre, ma oggi non ci sono
persone altrettanto autorevoli a difenderlo, ed e' cresciuto il numero di
chi non trova posto in questo ordine delle cose, per la verita' assai
fragile; percio' vale di piu'.
*
Postilla: Da Gorizia a Trieste
Franco Basaglia era nato a Venezia l'11 marzo del 1924. Dopo tredici anni di
lavoro all'universita' di Padova, nel 1961 aveva vinto il concorso di
direttore nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, dove avvio' l'esperienza di
apertura del manicomio divenuta nota attraverso due libri, Che cos'e' la
psichiatria? (1967) e L'istituzione negata (1968), pubblicati entrambi da
Einaudi come il libro fotografico Morire di classe. La condizione
manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin che Basaglia
aveva curato con Franca Ongaro, sua moglie dal 1953 e collaboratrice nel
gruppo di Gorizia. Con lei Basaglia scrivera' gran parte dei lavori degli
anni successivi e condividera' l'impegno nei movimenti degli anni '70. Nel
1969 fu invitato come visiting professor al Community Mental Health Centre
del Maimonides Hospital di New York, e da quella esperienza scrisse Lettera
da New York. Il malato artificiale (Einaudi 1969) e La maggioranza deviante
(Einaudi, 1971). Per un anno, nel 1970, diresse l'ospedale psichiatrico di
Parma, ma l'esperienza si chiuse tra difficolta' burocratiche e dissidi
politici, e alla fine dell'anno successivo ando' a dirigere l'ospedale di
Trieste, dove riusci' a chiudere il manicomio e dare vita a un nuovo sistema
di servizi di salute mentale. Negli anni di Trieste scrisse molti saggi e
una ricerca collettiva, Crimini di pace, cui partecipano tra gli altri
Michel Foucault, Erving Goffman, Ronald Laing, Noam Chomsky e Robert Castel,
che testimonia dell'ampiezza del suo impegno intellettuale. Il 13 maggio del
1978 il parlamento approvo' la riforma psichiatrica, nota come "legge 180".
Basaglia era a Berlino, in uno dei suoi numerosi viaggi, quando si senti'
male la prima volta, dopo una conferenza nell'aula magna della Freie
Universitaet. Erano i segni della malattia che lo avrebbe portato alla morte
il 29 agosto nella sua casa di Venezia. I suoi Scritti sono stati raccolti
da Franca Ongaro e pubblicati in due volumi da Einaudi nel 1981 e '82.
Attualmente e' in libreria una nuova antologia, L'utopia della realta'
(Einaudi, 327 pagine, 22 euro) che contiene saggi dal 1964 al 1979 con un
inedito in Italia, Condotte perturbate. Le funzioni delle relazioni sociali,
scritto con Franca Ongaro su commissione di Jean Piaget che curava, per la
Encyclopedie de la Pleiade, il volume Psychologie in cui il testo e' uscito
nel 1987. L'antologia include anche la bibliografia completa delle opere di
Basaglia, una presentazione di Franca Ongaro e una introduzione di Maria
Grazia Giannichedda, L'utopia della realta'. Franco Basaglia e l'impresa
della sua vita. Negli ultimi anni sono stati riediti diversi testi di
Basaglia: Che cos'e' la psichiatria? (Baldini e Castoldi, Milano 1997),
L'istituzione negata (Baldini e Castoldi, Milano 1998) Morire di classe
(Edizioni Gruppo Abele, Torino 1998), e una nuova edizione di Conferenze
brasiliane (Raffaello Cortina, Milano 2000) con quattro conferenze inedite.
Nel 2001 e' stata pubblicata la monografia Franco Basaglia di Mario Colucci
e Pierangelo Di Vittorio (Bruno Mondadori) e nel 2004 il saggio di Nico
Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti. Franco Basaglia, la
comunicazione e la fine dei manicomi (Editori Riuniti).

4. MAESTRI. UNA LETTERA DI FRERE ROGER AI FAMILIARI DI PAUL RICOEUR IN
OCCASIONE DELLA SCOMPARSA DEL FILOSOFO
[Ringraziamo Eugenio Lenardon (per contatti: Eugenio.Lenardon at amm.units.it)
per averci segnalato questa lettera.
Roger Schutz, per tutti "frere Roger", una delle grandi figure della
nonviolenza del XX secolo, nato nel 1905, fondatore della Comunita' di
Taize', infaticabile animatore dell'incontro ecumenico e della solidarieta'
con gli oppressi, e' stato ucciso alcuni giorni fa.
Paul Ricoeur, filosofo francese, nato nel 1913 e deceduto nel maggio 2005;
amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario, uno dei
pensatori piu' influenti del Novecento, persona buona. Dal sito
dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filsofiche rirpendiamo questa
breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913.
Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla
Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene
fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I
di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di
Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di
Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956
Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora
alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di
Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il
proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la
contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School
dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco
una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto
il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente e' direttore del Centro di
ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo
i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel
Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present;
Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia
e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino;
Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della
interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens
Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni,
Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo
e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo
e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi
di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla
teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un
altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La
contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la
philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie
intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois
Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La
filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa,
Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni
cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente due
recenti monografie: Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede,
Edizioni Messaggero Padova, 1999; Domenico Jervolino, Introduzione a
Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003]

Taize', 21 maggio 2005
Alla famiglia come a tutti quelli che hanno voluto bene a Paul Ricoeur,
vorrei dire che, con i miei fratelli, condividiamo la loro pena, nella
fiduciosa attesa della nostra risurrezione.
Da una cinquantina d'anni, e' venuto a Taize' a piu' riprese, abbiamo
talmente apprezzato la sua vasta cultura, la sua capacita' di esprimere i
valori del Vangelo nelle situazioni d'oggi. Ci ha spesso aiutati a
riflettere e piu' di una volta sono stato portato a citare, nelle lettere ai
giovani, certe espressioni cosi' forti che egli aveva formulato su temi
importanti per noi, come il senso e l'origine del male. Un giorno ci ha
detto queste parole: "Il male, per radicale che sia, non e' cosi' profondo
come la bonta'".
Oggi, con voi, vorrei pregare: Tu, Cristo di compassione, ci doni di
rimanere in comunione con Paul Ricoeur, come con tutti quelli che ci hanno
preceduto e che restano cosi' vicino ai nostri cuori. Gia' contemplano
l'invisibile. Al loro seguito, tu ci prepari ad accogliere un raggio della
tua luce.
Vicino a voi, in comunione profonda.
Vi dico la fiducia del mio cuore
frere Roger di Taize'

5. MONDO. MARINA FORTI: IL "MODELLO" WAL-MART
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 agosto 2005. Marina Forti, giornalista
particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud
del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto"
sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle
lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far
sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora
di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo,
Feltrinelli, Milano 2004]

Una rete internazionale di sindacati lancia un'azione di lotta
"globalizzata", forse la prima nel suo genere.
Abbiamo di fronte "un nuovo modello di relazioni di lavoro", ha detto
l'altro giorno Joe Hansen, presidente di una rete internazionale di oltre
900 sindacati dei servizi che rappresentano, insieme, oltre 15 milioni di
iscritti. E' un modello di "taglio dei salari e della previdenza sociale, in
una corsa al ribasso". Hansen si rivolgeva al congresso della Union Network
International, che in questi giorni tiene a Chicago il suo congresso: "Come
sindacato globale dobbiamo batterci contro questo modello". E questo
modello, ha concluso il dirigente sindacale, ha un nome: si chiama Wal-Mart.
Il sindacato internazionale dunque lancia una campagna globale per i diritti
sindacali, i salari e le condizioni di lavoro dei dipendenti di
quest'azienda in tutto il mondo. Un modello? Wal-Mart e' la piu' grande
corporation degli Stati Uniti. E' la prima azienda di vendita al dettaglio,
con una catena di 3.700 supermercati in patria e altri 1.600 in una decina
di paesi. Di piu': e' l'azienda che vanta i piu' alti profitti al mondo, con
vendite per quasi 300 miliardi di dollari nel 2004. E' anche il piu' grande
datore di lavoro privato, con 1,3 milioni di dipendenti ("associati", nel
linguaggio aziendale) negli Usa e 1,7 milioni in tutto il mondo. Ora, quando
una singola azienda raggiunge dimensioni simili diventa una sorta di
riferimento sui mercati, determina il salario e gli standard di lavoro,
influenza scelte industriali: un modello, appunto.
*
Tanto che negli Stati Uniti e' stato riesumato un vecchio detto: "Quel che
e' buono per Wal-Mart e' buono per l'economia", americana sottinteso.
Il vecchio detto era stato coniato oltre cinquant'anni fa per la General
Motors. Segno dei tempi: e non solo perche' quella era un'azienda
automobilistica e questa e' una catena di super-discount. Nel suo momento
d'oro, tra gli anni '30 e tutti i '70, Gm era l'impresa americana dai
maggiori profitti, era il piu' grande datore di lavoro e le sue vendite
ammontavano a circa il 2% del prodotto interno lordo statunitense (circa
come le vendite di Wal-Mart oggi). Gm era all'avanguardia tecnologica del
suo tempo; Wal-Mart ha costruito un'organizzazione aziendale all'avanguardia
nell'uso di tecnologie avanzate per tagliare i costi e aumentare la
produttivita'. Ma i paragoni si fermano qui.
Il fatto e' che il "modello" Gm era quello di una classe operaia che
diventava middle-class. Negli anni '60 gli operai della Gm guadagnavano
circa ventinovemila dollari all'anno (in dollari di oggi: il calcolo e'
dell'editorialista del "New York Times" Paul Krugman), un salario da classe
media. Potevano comprare un'auto Gm, anche se a rate, e la casa, e andare in
vacanza; erano in gran maggioranza operai a tempo pieno (di solito
dipendenti Gm per tutta la vita), avevano l'assistenza sanitaria e la
pensione.
*
Il modello Wal-Mart e' l'opposto. Il suo successo e' basato sulla sua
formula di supermercati in cui si vende a basso prezzo e sulla sua strategia
aziendale: bassi salari e scarsa o zero previdenza sociale per i dipendenti,
grande uso di lavoro flessibile e precario (il 40% dei dipendenti cambia
ogni anno), un'accorta politica di importazioni da paesi che producono a
costi bassissimi (la Cina e' al primo posto). Cosi' molti negli Stati Uniti
hanno cominciato a capovolgere il detto: dove arriva Wal-Mart le condizioni
di lavoro peggiorano per tutti.
Wal-Mart e' stata trascinata in tribunale perche' assume lavoratori
immigrati indocumentados, discrimina le donne e viola le norme contro il
lavoro minorile. Di piu': oltre la meta' dei dipendenti di Wal-Mart negli
Usa non ha mutua e non avra' pensione: la prima azienda statunitense e' nota
per incoraggiare i suoi dipendenti a fare domanda per il Medicaid,
l'assistenza sanitaria concessa ai troppo poveri, infatti di solito ne hanno
diritto perche' il loro reddito e' sotto il minimo. Cosi' Wal-Mart scarica
sulla collettivita' gli oneri sociali che non paga ai suoi lavoratori. I
dipendenti Gm erano una classe media che poteva spendere, quelli di Wal-Mart
sono dei working poor che contano sul welfare pubblico.
*
E' questo il modello al ribasso denunciata dai sindacati internazionali. Da
tempo ormai il mondo sindacale denuncia la corsa a delocalizzare, quella
migrazione delle aziende verso i paesi che offrono costi del lavoro piu'
bassi, esenzioni fiscali piu' alte e maggiore liberta' di manovra (leggi:
assenza di sindacati e di legislazioni rigide a tutela dei lavoratori o
dell'ambiente). Con Wal-Mart siamo un passo oltre: la prima battaglia
sindacale "globalizzata".

6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: AGOSTO IN IRAQ
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Due anni fa, agosto 2003, l'attentato alla sede Onu a Baghdad.
Le Nazioni Unite subivano l'efferata strage terroristica mentre si
evidenziava la loro ambiguita' nei confronti dell'invasione irachena ad
opera degli anglo-americani, e la loro debolezza internazionale. Succubi di
un manipolo di politici americani che hanno orchestrato una guerra
imperialista e l'hanno mossa contro una sconquassata dittatura da terzo
mondo per motivi prettamente ideologici, legati al dominio del mondo, al
controllo sulla sicurezza del pianeta e delle sue risorse, mascherandola
nelle sue vere intenzioni.
In quei giorni, Raffaele K. Salinari (presidente della ong "Terre Des Hommes
Internazional") scriveva: "L'attentato di Baghdad apre una fase del tutto
nuova, ma non certo inattesa: la denuncia, da parte dell'estremismo a
livello mondiale, delle Nazioni Unite, come puro strumento del nuovo ordine
mondiale, incaricato dai gestori del pianeta di lenire, con il minimo
dispendio possibile, le tragedie umane causate dalla guerra permanente
contro il terrorismo. Dichiarata l'Onu come uno strumento imperiale, essa
deve essere quindi colpita come qualunque altra emanazione del sistema
stesso. Si saldano pertanto gli obiettivi dei due terrorismi contrapposti,
quello dell'amministrazione Bush e quello, estremamente ramificato ed
inafferrabile, di un terrorismo internazionale di segno speculare. I due
contendenti non vogliono infatti che il campo sia occupato da nessuna
entita' non schierata, indipendente. Non ci deve essere il posto per una
alternativa di pace, su questo i due contendenti sono perfettamente
d'accordo. Il disprezzo per quanto attiene ai diritti universali accomuna
infatti sia gli attentatori, da qualunque parte provengono, sia gli invasori
anglo-americani, che piu' volte hanno dichiarato apertamente la loro
insofferenza verso ogni struttura che sia incaricata di far valere una
benche' minima parvenza di diritto internazionale".
*
Agosto 2004, sempre a Baghdad, viene rapito il giornalista italiano Enzo
Baldoni (collaboratore del settimanale "Diario"); viene mostrato in un video
di un sedicente Esercito islamico, dice in inglese guardando in camera:
"Sono Enzo Baldoni, vengo dall'Italia, ho 56 anni, sono un giornalista, sono
venuto per scrivere un libro sulla resistenza irachena, e faccio
volontariato per la Croce rossa"; dopo sette giorni viene ucciso.
Prima ancora c'era stata la morte di Fabrizio Quattrocchi e la successiva
liberazione degli altri tre ostaggi italiani. Poi seguiranno nuovi orrori,
da Beslan al sequestro delle "Simone", a quello di Giuliana Sgrena con la
morte di Calipari.
*
Intanto nell'era post-moderna le parole giocano degli strani tiri,
rispuntano dal passato senza significato e fuori contesto. Da una parte,
Fabrizio Quattrocchi viene presentato come un eroe, per la frase: "Vi faccio
vedere come muore un italiano"; dall'altra si liquida il tutto dicendo che
ci ritroviamo davanti a "mercenari". Mentre Baldoni, in un primo momento,
viene presentato quasi come un "avventuriero irresponsabile". Per non
parlare della polemica che puntualmente riesplode per l'uccisione di
Calipari.
Se con la parola eroismo abbiamo saldato tutti i conti, imparando da Brecht
a considerare fortunati quei popoli che non hanno bisogno di eroi, davanti a
quel termine "mercenario", dobbiamo comprendere quanti sono sospinti come
merci in un mercato del lavoro spietato e illegale da un capitalismo
spietato e illegale che si nutre di guerre spietate e illegali. Dovrebbe
suscitare dolore e vergogna sapere che c'e' chi rischia la vita per
raggranellare un po' di soldi da portare a casa, soprattutto in quelle
persone di pace per le quali il rispetto della vita umana e' il valore
fondante su cui poggia il senso stesso della convivenza civile.
*
Cosi' se diciamo che gli assassini di Baldoni sono nostri nemici, non per
questo Bush diventa un benefattore dell'umanita'; e se diciamo che Bush e i
suoi alleati sono criminali assassini, non per questo chiunque sia contro di
loro diventa uno di noi.
Siamo altro da entrambi, ed e' proprio quando ammazzano chi la guerra non
l'ha voluta (un ostaggio italiano, innumerevoli civili iracheni), che
dobbiamo raccogliere le loro ragioni e continuare, in nome anche loro, a
dire di no. Con la pietas che si deve a una morte, a ogni morte, orrenda e
ingiusta, che ogni giorno, in troppi luoghi del mondo, lontano e sotto casa,
viene distribuita con ottusa leggerezza.

7. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: BISOGNA CAMBIARE LA VITA
[Da Simone de Beauvoir, La terza eta', Einaudi, Torino 1971, 1988, p. 498.
Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme
con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura,
della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni
trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel
1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti
civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e'
stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di
cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir:
pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte
ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri
(Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini
(Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La
terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo...
(Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla
vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in
Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene,
L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri
sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di
Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de
Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982
(cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)]

La societa' non si cura dell'individuo che nella misura in cui esso renda. I
giovani lo sanno. La loro ansieta' nel momento d'affrontare la vita sociale
e' simmetrica all'angoscia dei vecchi al momento in cui ne sono esclusi. Tra
le due epoche, la routine maschera i problemi. Il giovane teme questa
macchina che sta per ingoiarlo, a volte cerca di difendersi a colpi di
pietra; il vecchio, rigettato da essa, esausto, nudo, non ha piu' che i suoi
occhi per piangere. Tra i due, la macchina gira, macinatrice di uomini che
si lasciano macinare poiche' non immaginano nemmeno di poterle sfuggire.
Quando si sia compreso qual e' la condizione dei vecchi, non ci si puo' piu'
accontentare di esigere una "politica della vecchiaia" piu' generosa, un
aumento delle pensioni, alloggi sani, divertimenti organizzati. E' tutto il
sistema che e' in questione, e l'alternativa non puo' che essere radicale:
bisogna cambiare la vita.

8. POESIA E VERITA'. CECILIA MEIRELES: NEL MISTERO
[Da Arnaldo De Vidi (a cura di), Poesia e intercultura, Emi, Bologna 2003,
pp. 124-125, riprendiamo questa poesia di Cecilia Meireles. Cecilia Meireles
(Rio de Janeiro, 1901-1964), poetessa, educatrice, giornalista, ricercatrice
delle tradizioni popolari, "la principale voce femminile della letteratura
brasiliana" (Guia Boni); l'estensione del registro della sua poesia e' tale
che va da "un gusto quasi decadente per il verso armonioso, per la rima rara
e per un ermetismo intellettualistico", cui fa da pendant l'"atteggiamento
stoico... nell'interiorizzazione e riduzione all'io di tutti i fatti
cosmici", fino ai romances in cui "in identificazione poetica col rapsodo
popolare, si schiera anche ideologicamente dalla parte dell'oppresso contro
l'oppressore, del popolo contro i governanti" (Luciana Stegagno Picchio)]

Nel mistero del Senza Fine
sta in equilibrio un pianeta.
E nel pianeta un giardino.
E nel giardino un'aiuola.
E nell'aiuola una violetta.
E sopra di essa, tutto il giorno,
tra il pianeta e il Senza Fine,
l'ala di una farfalla.

9. RILETTURE. BETTY REARDON: MILITARISMO E SESSISMO
Betty Reardon, Militarismo e sessismo. Influenze su una educazione alla
guerra, Satyagraha Editrice, Torino 1984, pp. 32, lire 2.500. Nella serie
del "Quaderni degli insegnanti nonviolenti" un saggio di una prestigiosa
studiosa e docente impegnata da sempre nell'educazione alla pace.

10. DA TRADURRE. MICHEL BROSSARD ET JACQUES FIJALKOW (SOUS LA DIRECTION DE):
APPRENDRE A' L'ECOLE: PERSPECTIVES PIAGETIENNES ET VYGOTSKIENNES
Michel Brossard et Jacques Fijalkow (sous la direction de), Apprendre a'
l'ecole: perspectives piagetiennes et vygotskiennes, Presses Universitaires
de Bordeaux, Bordeaux 2002, pp. 216, euro 22,50. Una raccolta di contributi
scaturiti dal secondo congresso internazionale per la ricerca
socio-culturale svoltosi a Ginevra nel 1996, nel centenario della nascita di
Piaget e Vygotskij. Con contributi, oltre che dei curatori del volume, di
Cesar Coll, Samuel Joshua, Emilia Ferreiro, Eliane Fijalkow, Madelon
Saada-Robert, Michel Gilly e Michele Deblieux, Martine Alcorta, Jean-Paul
Bernie', e con un testo di Lurija. Un volume di notevole interesse.

11. LE AMAREZZE DI STRAMBOTTO: SOCIETA'

Rappresentanti della societa' civile? Ma se lo sanno tutti che in Italia
c'e' solo la societa' incivile.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1038 del 30 agosto 2005

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