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La nonviolenza e' in cammino. 1038
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1038
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 30 Aug 2005 00:21:37 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1038 del 30 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Disarmare vuol dire salvare vite umane 2. Luciano Bonfrate: Per l'abolizione dei cosiddetti "Centri di permanenza temporanea" 3. Maria Grazia Giannichedda ricorda Franco Basaglia 4. Una lettera di frere Roger ai familiari di Paul Ricoeur in occasione della scomparsa del filosofo 5. Marina Forti: Il "modello" Wal-Mart 6. Giulio Vittorangeli: agosto in Iraq 7. Simone de Beauvoir: Bisogna cambiare la vita 8. Cecilia Meireles: Nel mistero 9. Riletture: Betty Reardon, Militarismo e sessismo 10. Da tradurre: Michel Brossard et Jacques Fijalkow (sous la direction de), Apprendre a' l'ecole: perspectives piagetiennes et vygotskiennes 11. Le amarezze di Strambotto: Societa' 12. La "Carta" del Movimento Nonviolento 13. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE: DISARMARE VUOL DIRE SALVARE VITE UMANE Il referendum che si svolgera' in Brasile tra poche settimane, con il quale si chiedera' alla popolazione di quell'immenso paese se vuole che sia abolito il commercio delle armi (un commercio il cui esito e' uno stillicidio di persone assassinate, rese invalide e ferite - si vedano i dati terrificanti contenuti nella scheda che abbiamo pubblicato anche nel n. 1034 di questo foglio) e' un appuntamento che riguarda l'umanita' intera. Le armi uccidono, uccidono esseri umani. Piu' armi circolano, piu' esseri umani sono esposti alla morte; meno armi vengono prodotte e diffuse, meno persone moriranno assassinate. E' di una estrema semplicita'. Il disarmo e' oggi la prima urgenza per l'umanita' tutta. E deve andare dalle armi di sterminio di massa, in primo luogo quelle nucleari, chimiche e batteriologiche la cui potenza assassina e' tale da mettere in pericolo l'intera civilta' umana e la stessa biosfera; fino alle armi come i fucili e le pistole, le cosiddette "armi leggere" che - ci dicono le statistiche elaborate dai piu' prestigiosi istituti di ricerca - provocano anch'esse stragi di dimensioni immani. E quindi occorre premere affinche' gli stati si orientino verso il disarmo, e insieme premere perche' si impegnino per il disarmo anche le singole persone. Occorre smantellare gli arsenali, riconvertire a produzioni civili le industrie armiere, distruggere le armi in circolazione, proibirne oltre che l'uso la fabbricazione, il commercio e la detenzione. Quel fondamento di tutti gli ordinamenti giuridici che e' l'impegno a proteggere e promuovere la vita delle persone, se rettamente inteso vincola ad agire per il disarmo, poiche' il disarmo e' l'unico modo concreto per garantire quell'impegno a salvare le vite anziche' metterle in pericolo. E quindi non ci dovrebbe neppure essere bisogno di un referendum: dovrebbero essere i parlamenti a legiferare senza esitazione la proibizione di produrre e diffondere strumenti di morte. Ma se i parlamenti un atto cosi' semplice e saggio non riescono a farlo, scandalosamente paralizzati dall'azione contraria della potente lobby dei mercanti di morte, allora ben venga il referendum. Ma occorre allora vincerlo il referendum: gli amici brasiliani impegnati per salvare la vita di tutti ci dicono che c'e' bisogno dell'aiuto di tutte le persone di volonta' buona, poiche' in vista del voto le industrie armiere operanti in Brasile stanno dispiegando una forte azione di propaganda menzognera e manipolatrice dagli effetti mortiferi. Dobbiamo sostenere la campagna per il si' al referendum contro il commercio delle armi in Brasile. E' necessario vincere il referendum oggi in Brasile, per salvare subito un numero enorme di vite umane, e per riproporre domani l'iniziativa anche altrove. Per riuscire, paese dopo paese, a liberare l'umanita' dagli strumenti che danno la morte. Per informazioni e per dare una mano invitiamo tutti i nostri lettori a mettersi in contatto con Francesco Comina in Italia (e-mail: f.comina at ladige.it), e con padre Ermanno Allegri in Brasile (sito: www.adital.org.br); segnaliamo anche la Rete italiana per il disarmo (e-mail: controlarms at disarmo.org, sito: www.disarmo.org). 2. EDITORIALE. LUCIANO BONFRATE: PER L'ABOLIZIONE DEI COSIDDETTI "CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA" [Poiche' i cosiddetti "centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt) altro non sono che campi di concentramento in cui vengono barbaramente reclusi, privati di diritti, esposti a minacce e violenza persone che nessun reato hanno commesso, persone nel nostro paese giunte in fuga da guerre, dittature, fame e crudelta' fin inenarrabili, persone che avrebbero invece diritto a solidarieta', assistenza e riconoscimento di umanita', ben a ragione ogni persona onesta prova vergogna e colpa perche' simili strutture nel nostro paese e nel nostro ordinamento esistano ancora; ben a ragione ogni persona onesta sente di dover fare qualcosa affinche' i campi di concentramento aboliti siano e si ripristini anche in Italia per ogni persona il rispetto di quei fondamentali diritti umani che sono scritti nella Costituzione della Repubblica, e nella Dichiarazione universale del 1948, quei diritti senza il riconoscimento dei quali non si da' convivenza civile, non si da' convivenza tout court. Luciano Bonfrate e' un collaboratore del "Cento di ricerca per la pace" di Viterbo] I campi, e nei campi l'umanita'. I campi, e nei campi la morte. I campi, e nei campi la verita'. I campi, e nei campi l'orrore. I campi, e nei campi la corte degli antimiracoli, il dolore senza pieta', senza voce. E in questo guscio di noce tutto sta il nostro sentire: i campi, sei tu che li devi abolire. 3. MEMORIA. MARIA GRAZIA GIANNICHEDDA RICORDA FRANCO BASAGLIA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 agosto 2005. Maria Grazia Giannichedda, acutissima sociologa, e' stata una delle principali collaboratrici degli indimenticabili Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia, la cui lotta per una psichiatria democratica e per la dignita' umana di tutti gli esseri umani tuttora prosegue. Franco Basaglia, nato a Venezia nel 1924 e deceduto nel 1980, e' la figura di maggiore spicco della psichiatria italiana contemporanea; ha promosso la restituzione di diritti e il riconoscimento di dignita' umana ai sofferenti psichiatrici precedentemente condannati alla segregazione e a trattamenti disumani e disumanizzanti; e' stata una delle piu' grandi figure della teoria e della pratica della solidarieta' e della liberazione nel XX secolo. Opere di Franco Basaglia: vi e' una pregevole edizione in due volumi degli Scritti, Einaudi, Torino 1981-82. Tra i principali volumi da lui curati (e scritti spesso in collaborazione con la moglie Franca Ongaro Basaglia, e con altri collaboratori) sono fondamentali Che cos'e' la psichiatria, L'istituzione negata (sull'esperienza di Gorizia), Morire di classe, Crimini di pace, La maggioranza deviante, tutti editi da Einaudi; insieme a Paolo Tranchina ha curato Autobiografia di un movimento, editori vari, Firenze 1979 (sull'esperienza del movimento di psichiatria democratica); una raccolta di sue Conferenze brasiliane e' stata pubblicata dal Centro di documentazione di Pistoia nel 1984, una nuova edizione ampliata e' stata edita da Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; una recente raccolta di scritti e' L'utopia della realta'., Einaudi, Torino 2005. Opere su Franco Basaglia: assai utile il volume di Mario Colucci, Pierangelo Di Vittorio, Franco Basaglia, Bruno Mondadori, Milano 2001, con ampia bibliografia; cfr; anche Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti, Editori Riuniti, Roma 2004. Un fascicolo monografico a lui dedicato e' Franco Basaglia: una teoria e una pratica per la trasformazione, "Sapere" n. 851 dell'ottobre-dicembre 1982. Si veda inoltre la collana dei "Fogli di informazione" editi dal Centro di documentazione di Pistoia. A Basaglia si ispira tutta la psichiatria democratica italiana e riferimenti a lui sono praticamente in tutte le opere che trattano delle vicende e della riflessione della psichiatria italiana contemporanea] In una conferenza a Rio de Janeiro nel 1979, pochi mesi prima di ammalarsi, Franco Basaglia rispondeva cosi' a una domanda sul significato del suo lavoro: "la cosa piu' importante e' che abbiamo dimostrato che l'impossibile diventa possibile. Dieci, quindici anni fa era impensabile che un manicomio potesse venire distrutto. Magari i manicomi torneranno a essere chiusi e piu' chiusi di prima, ma noi abbiamo dimostrato che si puo' assistere la persona folle in un altro modo". Da quel pomeriggio di fine estate del 1961 a Gorizia, quando per la prima volta nella sua vita era entrato in un manicomio, Basaglia si era tormentato sulla forza di quell'istituzione, che lo aveva indignato e angosciato al punto di indurlo alla tentazione di mollare l'impresa impossibile che sarebbe consistita nel mettere a frutto, la' dentro, cio' che negli anni della clinica universitaria aveva studiato e tentato di fare. * Fuori e dentro le mura Il lavoro di umanizzazione delle strutture e dei rapporti che vi si intrattenevano gli aveva poi chiarito che il manicomio in realta' non si limitava ai confini della istituzione storica da lui diretta, ma, al fondo, coincideva con l'idea stessa di "internamento", cioe' della custodia in nome della tutela, della riduzione della liberta' in nome della liberazione dalla malattia. Questo era il nucleo del manicomio, li' stava la sua forza e la capacita' di riprodursi nelle istituzioni e nel corpo sociale, attraverso la legge, l'amministrazione e la legittimazione non disinteressata degli operatori psichiatrici. Negli anni del grande movimento antistituzionale, Basaglia rimprovero' spesso a collaboratori e compagni di strada italiani ed europei la tendenza a sottovalutare la potenza del manicomio, che per quanto lo riguardava avrebbe dovuto essere smontato "pezzo per pezzo", perche' non rinascesse fuori dalle sue mura e dentro ciascuno di noi. Sono dunque il prodotto di questa cultura le molte invenzioni nate per scomporre il manicomio e spesso evolute nelle strutture nate a seguito della riforma, "gli infiniti machiavelli istituzionali", come Basaglia li chiamava negli anni di Trieste: la prima cooperativa degli internati, che avevano voluto chiamarsi "Lavoratori Uniti"; la trasformazione dei ricoverati in "ospiti" per consentire loro liberta' e asilo; i centri di salute mentale aperti ventiquattro ore e organizzati come spazi di vita; le abitazioni nei condomini del centro col sostegno informale degli operatori. Tutto questo prendeva forma in mezzo a scontri e negoziazioni, conflitti e compromessi tra gli operatori non meno che con la citta', in un clima allora tutt'altro che facile poiche' si camminava per una strada non ancora segnata, cercando un possibile che fosse adeguato alla posta in gioco e che quel gioco riuscisse a mantenerlo aperto e a governarlo. Franco Basaglia era straordinariamente dotato di quel "senso della possibilita'" di cui parla Robert Musil nelle prime pagine dell'Uomo senza qualita', ossia della "capacita' di pensare tutto quello che potrebbe egualmente essere, e di non dare maggior importanza a quello che e', che a quello che non e'". * Tra aspirazioni e progetto politico A questo senso del possibile come "volonta' di costruire, come consapevole utopia che non si sgomenta della realta' bensi' la tratta come un compito e un'invenzione", Basaglia ha saputo dare spessore e valore politico, riuscendo a coinvolgere istituzioni e persone nella costruzione di altri orizzonti che si allargano tutt'ora sulla societa' italiana, e non solo entro i suoi confini. E' vero, pero', che il senso della possibilita' oggi e' piu' visibile come aspirazione che non come progetto politico, e fa impressione il fatto che, quando si parla di questione morale, tutto quanto e' legittimo attendersi - laddove quote rilevanti di potere siano nelle mani di persone e di istituti della sinistra - sia limitato al rispetto delle regole. Ma se l'idea di trasformare l'esercizio del potere per trasformare con esso pezzi di mondo viene messa in ombra, o tutt'al piu' relegata in spazi residuali e ideologici sara' molto difficile rendersi riconoscibili come alternativa al presente e porre le premesse per un diverso futuro. Quindici anni prima di quella conferenza a Rio, Basaglia aveva gia' intuito che la distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione (come dice il titolo della sua comunicazione al primo congresso di psichiatria sociale a Londra, nel 1964) era "un fatto urgentemente necessario, se non semplicemente ovvio". In quel testo ci sono gia' gli elementi che avrebbero fatto evolvere il lavoro appena iniziato a Gorizia in una direzione tutta diversa da quella su cui si erano incamminate le esperienze innovative sorte nella psichiatria pubblica in Francia e Inghilterra. Basaglia criticava il fatto di essersi limitati, in quei paesi, a creare una psichiatria territoriale responsabile, in realta', di continuare a servirsi dei manicomi, che all'epoca internavano in Europa piu' di ottocentomila persone. Del resto, neppure gli premeva costruire "una nuova utopia" che si sarebbe tramutata "in una nuova ideologia" il cui solo valore sarebbe stato quello di "consentirci di sopportare il tipo di vita che siamo costretti a vivere", come scrisse in uno dei saggi dell'Istituzione negata, il libro collettivo del 1968. A Basaglia non interessava, percio', rifugiarsi nell'esperimento, che elabora nuove tecniche di interpretazione della malattia mentale e forme di trattamento non oppressive al riparo dalla legge psichiatrica e dall'obbligo di accettare qualunque tipo di paziente. In Europa e negli Stati Uniti, gia' alla fine degli anni '60, cominciavano a diffondersi molte di queste utopie in piccola scala, non poche delle quali si dimostravano efficaci con chi vi approdava per caso o per denaro, e alcune di esse - come quelle di Ronald Laing a Londra e quella di Felix Guattari a Laborde - era contagiate dal fascino, dalla intelligenza e dalla radicalita' dei loro leader. Ma, allora come oggi, questi esperimenti non erano in grado di scalfire l'apparato dei manicomi, ne' la cultura psichiatrica dominante veniva intaccata dalle nuove teorizzazioni, e tanto meno il senso comune vacillava di fronte al senso del pericolo, dalla vergogna e dalla scarsa intellegibilita' che la follia portava con se'. L'esperienza di Gorizia indico' una strada piu' ambiziosa e al tempo stesso piu' politica che consisteva nel lavorare al centro del potere psichiatrico, l'istituzione pubblica, per introdurvi una pratica e un progetto alternativi al manicomio, al suo ruolo sociale e alla sua cultura. Fu un progetto che incontro' in Italia un sistema istituzionale dove il bisogno di innovazione era fortissimo e l'immobilismo dell'establishment psichiatrico, culturalmente provinciale e concentrato sugli interessi di scuola e di bottega, lascio' molto spazio a quelle che negli anni '70 venivano chiamate "le esperienze esemplari": esperienze che egemonizzarono i processi di innovazione, sperimentando e mettendo in circolo modelli di servizi che chiedevano e dimostravano possibile la ridefinizione del trattamento psichiatrico nel quadro della Costituzione democratica. Per questo Basaglia aveva voluto chiamare "psichiatria democratica" il movimento per la riforma, intendendo indicare con questo aggettivo l'intenzione di costruire una psichiatria che interiorizzasse e rendesse vissuti i principi del patto democratico, cosi' come la psichiatria manicomiale si era sviluppata nel quadro di uno Stato liberale che escludeva dalla cittadinanza piu' di "meta' del cielo". Oggi il sistema istituzionale nel quale Basaglia ha lavorato non c'e' piu', e lo stesso campo psichiatrico e' profondamente cambiato. Basti pensare al protagonismo acquisito delle multinazionali del farmaco, che dominano la ricerca, invadono la comunicazione di massa, conquistano i medici; basti considerare la penetrazione del linguaggio psichiatrico e psicologico nei media, nella vita quotidiana, nella scuola, nei servizi sociali; e il diffondersi delle tecniche psichiatriche e psicologiche - dall'uso degli psicofarmaci ai test - per il controllo dell'efficienza e della vita delle persone. Dunque oggi non e' certo minore che trent'anni fa la necessita' di leggere il contesto che abbiamo di fronte in chiave politica. Eppure la depoliticizzazione della societa' italiana, drammaticamente svelata dal referendum sulla fecondazione assistita, si e' resa lampante: lo dimostrano i tecnici interessati a coltivare il proprio orto, a mettere a punto la gestione di problemi e rischi o metodi di formazione nel grande mercato per il controllo delle condotte che Basaglia aveva visto formarsi negli Stati Uniti degli anni '70 e di cui scrisse in diversi saggi, dal Malato artificiale a La maggioranza deviante a Condotte perturbate. Sembra che solo una minoranza di operatori dei servizi pubblici, di ricercatori e di intellettuali sia oggi interessata a esprimere la sua preoccupazione per i caratteri dello scenario che abbiamo di fronte, e che si affanni a studiarlo e a trovare i punti in cui potrebbe venire attaccato. E' un clima, questo, in cui l'opera di Basaglia puo' risultare inattuale, o puo' magari suscitare piu' nostalgie che stimoli; puo' forse indurre alla tentazione di una lettura accademica delle sue idee, che invece sono legate a un forte senso etico della responsabilita' sociale, segnate come sono da un rapporto intenso, fondante, tra teoria e pratica politica, la sola chiave in cui possono essere capite e spese. Basaglia ha temuto che la riforma potesse essere l'inizio della fine della trasformazione, e questo - come scrisse nella prefazione al Giardino dei gelsi - proprio "nel momento in cui si potrebbe cominciare ad affrontare i problemi in modo diverso, disarmati come siamo, privi di strumenti che non siano un'esplicita difesa nostra di fronte all'angoscia e alla sofferenza". Come sempre, cerco' di giocare sul terreno della pratica la sfida della riforma, accettando la proposta della Regione Lazio di riorganizzare le politiche di salute mentale. * Le sue interviste sulla 180 Lavoro' a Roma pochi mesi, formulando alcuni progetti: un concorso di idee rivolto a tutta la citta' per il riuso del manicomio da chiudere; il riassetto del pronto soccorso di uno degli ospedali piu' problematici del centro storico, per cercare di trovare risposte diverse alle persone marginalizzate che la' avevano il loro punto di riferimento; il coinvolgimento di alcune cliniche private in un programma di riorientamento delle strutture. Nello stesso tempo, mise in piedi un'iniziativa curiosa e assai emblematica del suo stile. Mentre le forze politiche, all'indomani della riforma gia' ne prendevano le distanze, Basaglia decise di intervistare dirigenti politici di spicco sulle ragioni che avevano spinto i partiti ad approvare la "180" e sui mezzi con cui intendevano governarla: riusci' a fare parlare due alti dirigenti della Democrazia Cristiana, Paolo Cabras e Bruno Orsini, il vice-segretario del partito socialista Claudio Signorile e il segretario del partito socialdemocratico Pietro Longo. Aveva avviato i contatti con Enrico Berlinguer, ma non fece in tempo a incontrarlo. Da quelle interviste fu ricavato, alcuni anni dopo, un film di mezz'ora, che testimonia quale fosse il clima del tempo, quale la liberta' di Basaglia da ogni schema prefigurato, quale la sua capacita' di mettersi in gioco e, come lui diceva, di "tenere aperte le contraddizioni". Certo Basaglia non si e' sottratto alle responsabilita' di governo ne' ha sottovalutato il problema del consenso. Pero' ha agito il suo ruolo di tecnico per spingere la politica, soprattutto gli amministratori, ad andare oltre l'orizzonte dato, oltre gli assetti consolidati, che generalmente fanno pagare ai piu' deboli il prezzo di una precaria o apparente pace sociale. Cosi' lui, uomo di sinistra, non e' stato un interlocutore facile neppure per la sinistra, che certo nella ormai lunga vita della "legge 180" ha svolto un ruolo fondamentale in parlamento nel bloccare le controriforme, sia con la scelta di candidare al Senato Franca Ongaro Basaglia, sia nella fase di chiusura dei manicomi, con Romano Prodi al governo e Rosi Bindi alla sanita'. Ma gli amministratori locali e' ancora necessario conquistarli ad uno ad uno, anche quelli di sinistra, per riuscire a dare aggettivi ai processi di innovazione, a introdurvi una qualita' diversa. * Il posto di chi non trova posto Il manifesto dell'ultimo convegno promosso da Basaglia, Psichiatria e buongoverno (Arezzo 28 ottobre 1979), riportava, accanto ad alcuni particolari dell'Allegoria del Buongoverno di Ambrogio Lorenzetti, un commento che si concludeva cosi': "se ciascuno sta al suo posto regnano l'ordine e il potere; e chi non trova posto in questo ordine e in questo equilibrio?". E' un interrogativo che vale sempre, ma oggi non ci sono persone altrettanto autorevoli a difenderlo, ed e' cresciuto il numero di chi non trova posto in questo ordine delle cose, per la verita' assai fragile; percio' vale di piu'. * Postilla: Da Gorizia a Trieste Franco Basaglia era nato a Venezia l'11 marzo del 1924. Dopo tredici anni di lavoro all'universita' di Padova, nel 1961 aveva vinto il concorso di direttore nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, dove avvio' l'esperienza di apertura del manicomio divenuta nota attraverso due libri, Che cos'e' la psichiatria? (1967) e L'istituzione negata (1968), pubblicati entrambi da Einaudi come il libro fotografico Morire di classe. La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin che Basaglia aveva curato con Franca Ongaro, sua moglie dal 1953 e collaboratrice nel gruppo di Gorizia. Con lei Basaglia scrivera' gran parte dei lavori degli anni successivi e condividera' l'impegno nei movimenti degli anni '70. Nel 1969 fu invitato come visiting professor al Community Mental Health Centre del Maimonides Hospital di New York, e da quella esperienza scrisse Lettera da New York. Il malato artificiale (Einaudi 1969) e La maggioranza deviante (Einaudi, 1971). Per un anno, nel 1970, diresse l'ospedale psichiatrico di Parma, ma l'esperienza si chiuse tra difficolta' burocratiche e dissidi politici, e alla fine dell'anno successivo ando' a dirigere l'ospedale di Trieste, dove riusci' a chiudere il manicomio e dare vita a un nuovo sistema di servizi di salute mentale. Negli anni di Trieste scrisse molti saggi e una ricerca collettiva, Crimini di pace, cui partecipano tra gli altri Michel Foucault, Erving Goffman, Ronald Laing, Noam Chomsky e Robert Castel, che testimonia dell'ampiezza del suo impegno intellettuale. Il 13 maggio del 1978 il parlamento approvo' la riforma psichiatrica, nota come "legge 180". Basaglia era a Berlino, in uno dei suoi numerosi viaggi, quando si senti' male la prima volta, dopo una conferenza nell'aula magna della Freie Universitaet. Erano i segni della malattia che lo avrebbe portato alla morte il 29 agosto nella sua casa di Venezia. I suoi Scritti sono stati raccolti da Franca Ongaro e pubblicati in due volumi da Einaudi nel 1981 e '82. Attualmente e' in libreria una nuova antologia, L'utopia della realta' (Einaudi, 327 pagine, 22 euro) che contiene saggi dal 1964 al 1979 con un inedito in Italia, Condotte perturbate. Le funzioni delle relazioni sociali, scritto con Franca Ongaro su commissione di Jean Piaget che curava, per la Encyclopedie de la Pleiade, il volume Psychologie in cui il testo e' uscito nel 1987. L'antologia include anche la bibliografia completa delle opere di Basaglia, una presentazione di Franca Ongaro e una introduzione di Maria Grazia Giannichedda, L'utopia della realta'. Franco Basaglia e l'impresa della sua vita. Negli ultimi anni sono stati riediti diversi testi di Basaglia: Che cos'e' la psichiatria? (Baldini e Castoldi, Milano 1997), L'istituzione negata (Baldini e Castoldi, Milano 1998) Morire di classe (Edizioni Gruppo Abele, Torino 1998), e una nuova edizione di Conferenze brasiliane (Raffaello Cortina, Milano 2000) con quattro conferenze inedite. Nel 2001 e' stata pubblicata la monografia Franco Basaglia di Mario Colucci e Pierangelo Di Vittorio (Bruno Mondadori) e nel 2004 il saggio di Nico Pitrelli, L'uomo che restitui' la parola ai matti. Franco Basaglia, la comunicazione e la fine dei manicomi (Editori Riuniti). 4. MAESTRI. UNA LETTERA DI FRERE ROGER AI FAMILIARI DI PAUL RICOEUR IN OCCASIONE DELLA SCOMPARSA DEL FILOSOFO [Ringraziamo Eugenio Lenardon (per contatti: Eugenio.Lenardon at amm.units.it) per averci segnalato questa lettera. Roger Schutz, per tutti "frere Roger", una delle grandi figure della nonviolenza del XX secolo, nato nel 1905, fondatore della Comunita' di Taize', infaticabile animatore dell'incontro ecumenico e della solidarieta' con gli oppressi, e' stato ucciso alcuni giorni fa. Paul Ricoeur, filosofo francese, nato nel 1913 e deceduto nel maggio 2005; amico di Mounier, collaboratore di "Esprit", docente universitario, uno dei pensatori piu' influenti del Novecento, persona buona. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filsofiche rirpendiamo questa breve scheda: "Paul Ricoeur nasce a Valence (Drome) il 27 febbraio 1913. Compie i suoi studi di filosofia prima all'Universita' di Rennes, poi alla Sorbonne, dove nel 1935, passa l'agregation. Mobilitato nel 1939, viene fatto prigioniero e nel campo comincia a tradurre con Mikel Dufrenne Ideen I di Husserl. Dal 1945 al 1948 insegna al College Cevenol di Chambon-sur-Lignon, e successivamente Filosofia morale all'Universita' di Strasburgo, sulla cattedra che era stata di Jean Hyppolite, e dal 1956 Storia della filosofia alla Sorbona. Amico di Emmanuel Mounier, collabora alla rivista "Esprit". Dal 1966 al 1970 insegna nella nuova Universita' di Nanterre, di cui e' rettore tra il marzo 1969 e il marzo 1970, con il proposito di realizzare le riforme necessarie a fronteggiare la contestazione studentesca e, contemporaneamente, presso la Divinity School dell'Universita' di Chicago. Nel 1978 ha realizzato per conto dell'Unesco una grande inchiesta sulla filosofia nel mondo. Nel giugno 1985 ha ricevuto il premio "Hegel" a Stoccarda. Attualmente e' direttore del Centro di ricerche fenomenologiche ed ermeneutiche". Opere di Paul Ricoeur: segnaliamo i suoi libri Karl Jaspers et la philosophie de l'existence (con Mikel Dufrenne), Seuil; Gabriel Marcel et Karl Jaspers, Le temps present; Filosofia della volonta' I. Il volontario e l'involontario, Marietti; Storia e verita', Marco; Finitudine e colpa I. L'uomo fallibile, Il Mulino; Finitudine e colpa II. La simbolica del male, Il Mulino; Della interpretazione. Saggio su Freud, Jaca Book, poi Il Melangolo; Entretiens Paul Ricoeur - Gabriel Marcel, Aubier; Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book; La metafora viva, Jaca Book; Tempo e racconto I, Jaca Book; Tempo e racconto II. La configurazione nel racconto di finzione, Jaca Book; Tempo e racconto III. Il tempo raccontato, Jaca Book; Dal testo all'azione. Saggi di ermeneutica II, Jaca Book; Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Morcelliana; A l'ecole de la fenomenologie, Vrin; Se' come un altro, Jaca Book; Lectures 1. Autour du politique, Seuil; Lectures 2. La contree des philosophes, Seuil; Lectures 3. Aux frontieres de la philosophie, Seuil; Le juste, Esprit; Reflexion faite. Autobiographie intellectuelle, Esprit; La critica e la convinzione (colloqui con Francois Azouvi e Marc de Launay), Jaca Book. Segnaliamo inoltre: Kierkegaard. La filosofia e l'"eccezione", Morcelliana; Tradizione o alternativa, Morcelliana, e l'antologia Persona, comunita' e istituzioni, Edizioni cultura della pace. Opere su Paul Ricoeur: segnaliamo particolarmente due recenti monografie: Francesca Brezzi, Ricoeur. Interpretare la fede, Edizioni Messaggero Padova, 1999; Domenico Jervolino, Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003] Taize', 21 maggio 2005 Alla famiglia come a tutti quelli che hanno voluto bene a Paul Ricoeur, vorrei dire che, con i miei fratelli, condividiamo la loro pena, nella fiduciosa attesa della nostra risurrezione. Da una cinquantina d'anni, e' venuto a Taize' a piu' riprese, abbiamo talmente apprezzato la sua vasta cultura, la sua capacita' di esprimere i valori del Vangelo nelle situazioni d'oggi. Ci ha spesso aiutati a riflettere e piu' di una volta sono stato portato a citare, nelle lettere ai giovani, certe espressioni cosi' forti che egli aveva formulato su temi importanti per noi, come il senso e l'origine del male. Un giorno ci ha detto queste parole: "Il male, per radicale che sia, non e' cosi' profondo come la bonta'". Oggi, con voi, vorrei pregare: Tu, Cristo di compassione, ci doni di rimanere in comunione con Paul Ricoeur, come con tutti quelli che ci hanno preceduto e che restano cosi' vicino ai nostri cuori. Gia' contemplano l'invisibile. Al loro seguito, tu ci prepari ad accogliere un raggio della tua luce. Vicino a voi, in comunione profonda. Vi dico la fiducia del mio cuore frere Roger di Taize' 5. MONDO. MARINA FORTI: IL "MODELLO" WAL-MART [Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 agosto 2005. Marina Forti, giornalista particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti umani, del sud del mondo, della globalizzazione, scrive per il quotidiano "Il manifesto" sempre acuti articoli e reportages sui temi dell'ecologia globale e delle lotte delle persone e dei popoli del sud del mondo per sopravvivere e far sopravvivere il mondo e l'umanita' intera. Opere di Marina Forti: La signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo, Feltrinelli, Milano 2004] Una rete internazionale di sindacati lancia un'azione di lotta "globalizzata", forse la prima nel suo genere. Abbiamo di fronte "un nuovo modello di relazioni di lavoro", ha detto l'altro giorno Joe Hansen, presidente di una rete internazionale di oltre 900 sindacati dei servizi che rappresentano, insieme, oltre 15 milioni di iscritti. E' un modello di "taglio dei salari e della previdenza sociale, in una corsa al ribasso". Hansen si rivolgeva al congresso della Union Network International, che in questi giorni tiene a Chicago il suo congresso: "Come sindacato globale dobbiamo batterci contro questo modello". E questo modello, ha concluso il dirigente sindacale, ha un nome: si chiama Wal-Mart. Il sindacato internazionale dunque lancia una campagna globale per i diritti sindacali, i salari e le condizioni di lavoro dei dipendenti di quest'azienda in tutto il mondo. Un modello? Wal-Mart e' la piu' grande corporation degli Stati Uniti. E' la prima azienda di vendita al dettaglio, con una catena di 3.700 supermercati in patria e altri 1.600 in una decina di paesi. Di piu': e' l'azienda che vanta i piu' alti profitti al mondo, con vendite per quasi 300 miliardi di dollari nel 2004. E' anche il piu' grande datore di lavoro privato, con 1,3 milioni di dipendenti ("associati", nel linguaggio aziendale) negli Usa e 1,7 milioni in tutto il mondo. Ora, quando una singola azienda raggiunge dimensioni simili diventa una sorta di riferimento sui mercati, determina il salario e gli standard di lavoro, influenza scelte industriali: un modello, appunto. * Tanto che negli Stati Uniti e' stato riesumato un vecchio detto: "Quel che e' buono per Wal-Mart e' buono per l'economia", americana sottinteso. Il vecchio detto era stato coniato oltre cinquant'anni fa per la General Motors. Segno dei tempi: e non solo perche' quella era un'azienda automobilistica e questa e' una catena di super-discount. Nel suo momento d'oro, tra gli anni '30 e tutti i '70, Gm era l'impresa americana dai maggiori profitti, era il piu' grande datore di lavoro e le sue vendite ammontavano a circa il 2% del prodotto interno lordo statunitense (circa come le vendite di Wal-Mart oggi). Gm era all'avanguardia tecnologica del suo tempo; Wal-Mart ha costruito un'organizzazione aziendale all'avanguardia nell'uso di tecnologie avanzate per tagliare i costi e aumentare la produttivita'. Ma i paragoni si fermano qui. Il fatto e' che il "modello" Gm era quello di una classe operaia che diventava middle-class. Negli anni '60 gli operai della Gm guadagnavano circa ventinovemila dollari all'anno (in dollari di oggi: il calcolo e' dell'editorialista del "New York Times" Paul Krugman), un salario da classe media. Potevano comprare un'auto Gm, anche se a rate, e la casa, e andare in vacanza; erano in gran maggioranza operai a tempo pieno (di solito dipendenti Gm per tutta la vita), avevano l'assistenza sanitaria e la pensione. * Il modello Wal-Mart e' l'opposto. Il suo successo e' basato sulla sua formula di supermercati in cui si vende a basso prezzo e sulla sua strategia aziendale: bassi salari e scarsa o zero previdenza sociale per i dipendenti, grande uso di lavoro flessibile e precario (il 40% dei dipendenti cambia ogni anno), un'accorta politica di importazioni da paesi che producono a costi bassissimi (la Cina e' al primo posto). Cosi' molti negli Stati Uniti hanno cominciato a capovolgere il detto: dove arriva Wal-Mart le condizioni di lavoro peggiorano per tutti. Wal-Mart e' stata trascinata in tribunale perche' assume lavoratori immigrati indocumentados, discrimina le donne e viola le norme contro il lavoro minorile. Di piu': oltre la meta' dei dipendenti di Wal-Mart negli Usa non ha mutua e non avra' pensione: la prima azienda statunitense e' nota per incoraggiare i suoi dipendenti a fare domanda per il Medicaid, l'assistenza sanitaria concessa ai troppo poveri, infatti di solito ne hanno diritto perche' il loro reddito e' sotto il minimo. Cosi' Wal-Mart scarica sulla collettivita' gli oneri sociali che non paga ai suoi lavoratori. I dipendenti Gm erano una classe media che poteva spendere, quelli di Wal-Mart sono dei working poor che contano sul welfare pubblico. * E' questo il modello al ribasso denunciata dai sindacati internazionali. Da tempo ormai il mondo sindacale denuncia la corsa a delocalizzare, quella migrazione delle aziende verso i paesi che offrono costi del lavoro piu' bassi, esenzioni fiscali piu' alte e maggiore liberta' di manovra (leggi: assenza di sindacati e di legislazioni rigide a tutela dei lavoratori o dell'ambiente). Con Wal-Mart siamo un passo oltre: la prima battaglia sindacale "globalizzata". 6. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: AGOSTO IN IRAQ [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Due anni fa, agosto 2003, l'attentato alla sede Onu a Baghdad. Le Nazioni Unite subivano l'efferata strage terroristica mentre si evidenziava la loro ambiguita' nei confronti dell'invasione irachena ad opera degli anglo-americani, e la loro debolezza internazionale. Succubi di un manipolo di politici americani che hanno orchestrato una guerra imperialista e l'hanno mossa contro una sconquassata dittatura da terzo mondo per motivi prettamente ideologici, legati al dominio del mondo, al controllo sulla sicurezza del pianeta e delle sue risorse, mascherandola nelle sue vere intenzioni. In quei giorni, Raffaele K. Salinari (presidente della ong "Terre Des Hommes Internazional") scriveva: "L'attentato di Baghdad apre una fase del tutto nuova, ma non certo inattesa: la denuncia, da parte dell'estremismo a livello mondiale, delle Nazioni Unite, come puro strumento del nuovo ordine mondiale, incaricato dai gestori del pianeta di lenire, con il minimo dispendio possibile, le tragedie umane causate dalla guerra permanente contro il terrorismo. Dichiarata l'Onu come uno strumento imperiale, essa deve essere quindi colpita come qualunque altra emanazione del sistema stesso. Si saldano pertanto gli obiettivi dei due terrorismi contrapposti, quello dell'amministrazione Bush e quello, estremamente ramificato ed inafferrabile, di un terrorismo internazionale di segno speculare. I due contendenti non vogliono infatti che il campo sia occupato da nessuna entita' non schierata, indipendente. Non ci deve essere il posto per una alternativa di pace, su questo i due contendenti sono perfettamente d'accordo. Il disprezzo per quanto attiene ai diritti universali accomuna infatti sia gli attentatori, da qualunque parte provengono, sia gli invasori anglo-americani, che piu' volte hanno dichiarato apertamente la loro insofferenza verso ogni struttura che sia incaricata di far valere una benche' minima parvenza di diritto internazionale". * Agosto 2004, sempre a Baghdad, viene rapito il giornalista italiano Enzo Baldoni (collaboratore del settimanale "Diario"); viene mostrato in un video di un sedicente Esercito islamico, dice in inglese guardando in camera: "Sono Enzo Baldoni, vengo dall'Italia, ho 56 anni, sono un giornalista, sono venuto per scrivere un libro sulla resistenza irachena, e faccio volontariato per la Croce rossa"; dopo sette giorni viene ucciso. Prima ancora c'era stata la morte di Fabrizio Quattrocchi e la successiva liberazione degli altri tre ostaggi italiani. Poi seguiranno nuovi orrori, da Beslan al sequestro delle "Simone", a quello di Giuliana Sgrena con la morte di Calipari. * Intanto nell'era post-moderna le parole giocano degli strani tiri, rispuntano dal passato senza significato e fuori contesto. Da una parte, Fabrizio Quattrocchi viene presentato come un eroe, per la frase: "Vi faccio vedere come muore un italiano"; dall'altra si liquida il tutto dicendo che ci ritroviamo davanti a "mercenari". Mentre Baldoni, in un primo momento, viene presentato quasi come un "avventuriero irresponsabile". Per non parlare della polemica che puntualmente riesplode per l'uccisione di Calipari. Se con la parola eroismo abbiamo saldato tutti i conti, imparando da Brecht a considerare fortunati quei popoli che non hanno bisogno di eroi, davanti a quel termine "mercenario", dobbiamo comprendere quanti sono sospinti come merci in un mercato del lavoro spietato e illegale da un capitalismo spietato e illegale che si nutre di guerre spietate e illegali. Dovrebbe suscitare dolore e vergogna sapere che c'e' chi rischia la vita per raggranellare un po' di soldi da portare a casa, soprattutto in quelle persone di pace per le quali il rispetto della vita umana e' il valore fondante su cui poggia il senso stesso della convivenza civile. * Cosi' se diciamo che gli assassini di Baldoni sono nostri nemici, non per questo Bush diventa un benefattore dell'umanita'; e se diciamo che Bush e i suoi alleati sono criminali assassini, non per questo chiunque sia contro di loro diventa uno di noi. Siamo altro da entrambi, ed e' proprio quando ammazzano chi la guerra non l'ha voluta (un ostaggio italiano, innumerevoli civili iracheni), che dobbiamo raccogliere le loro ragioni e continuare, in nome anche loro, a dire di no. Con la pietas che si deve a una morte, a ogni morte, orrenda e ingiusta, che ogni giorno, in troppi luoghi del mondo, lontano e sotto casa, viene distribuita con ottusa leggerezza. 7. MAESTRE. SIMONE DE BEAUVOIR: BISOGNA CAMBIARE LA VITA [Da Simone de Beauvoir, La terza eta', Einaudi, Torino 1971, 1988, p. 498. Simone de Beauvoir e' nata a Parigi nel 1908; e' stata protagonista, insieme con Jean-Paul Sartre, dell'esistenzialismo e delle vicende della cultura, della vita civile, delle lotte politiche francesi e mondiali dagli anni trenta fino alla scomparsa (Sartre e' morto nel 1980, Simone de Beauvoir nel 1986). Antifascista, femminista, impegnata nei movimenti per i diritti civili, la liberazione dei popoli, di contestazione e di solidarieta', e' stata anche lucida testimone delle vicende e degli ambienti intellettuali di cui e' stata partecipe e protagonista. Opere di Simone de Beauvoir: pressoche' tutti i suoi scritti sono stati tradotti in italiano e piu' volte ristampati; tra i romanzi si vedano particolarmente: Il sangue degli altri (Mondadori), Tutti gli uomini sono mortali (Mondadori), I mandarini (Einaudi); tra i saggi: Il secondo sesso (Il Saggiatore e Mondadori), La terza eta' (Einaudi), e la raccolta Quando tutte le donne del mondo... (Einaudi). La minuziosa autobiografia (che e' anche un grande affresco sulla vita culturale e le lotte politiche e sociali in Francia, e non solo in Francia, attraverso il secolo) si compone di Memorie d'una ragazza perbene, L'eta' forte, La forza delle cose, A conti fatti, cui vanno aggiunti i libri sulla scomparsa della madre, Una morte dolcissima, e sulla scomparsa di Sartre, La cerimonia degli addii, tutti presso Einaudi. Opere su Simone de Beauvoir: Enza Biagini, Simone de Beauvoir, La Nuova Italia, Firenze 1982 (cui si rinvia per una bibliografia critica ragionata)] La societa' non si cura dell'individuo che nella misura in cui esso renda. I giovani lo sanno. La loro ansieta' nel momento d'affrontare la vita sociale e' simmetrica all'angoscia dei vecchi al momento in cui ne sono esclusi. Tra le due epoche, la routine maschera i problemi. Il giovane teme questa macchina che sta per ingoiarlo, a volte cerca di difendersi a colpi di pietra; il vecchio, rigettato da essa, esausto, nudo, non ha piu' che i suoi occhi per piangere. Tra i due, la macchina gira, macinatrice di uomini che si lasciano macinare poiche' non immaginano nemmeno di poterle sfuggire. Quando si sia compreso qual e' la condizione dei vecchi, non ci si puo' piu' accontentare di esigere una "politica della vecchiaia" piu' generosa, un aumento delle pensioni, alloggi sani, divertimenti organizzati. E' tutto il sistema che e' in questione, e l'alternativa non puo' che essere radicale: bisogna cambiare la vita. 8. POESIA E VERITA'. CECILIA MEIRELES: NEL MISTERO [Da Arnaldo De Vidi (a cura di), Poesia e intercultura, Emi, Bologna 2003, pp. 124-125, riprendiamo questa poesia di Cecilia Meireles. Cecilia Meireles (Rio de Janeiro, 1901-1964), poetessa, educatrice, giornalista, ricercatrice delle tradizioni popolari, "la principale voce femminile della letteratura brasiliana" (Guia Boni); l'estensione del registro della sua poesia e' tale che va da "un gusto quasi decadente per il verso armonioso, per la rima rara e per un ermetismo intellettualistico", cui fa da pendant l'"atteggiamento stoico... nell'interiorizzazione e riduzione all'io di tutti i fatti cosmici", fino ai romances in cui "in identificazione poetica col rapsodo popolare, si schiera anche ideologicamente dalla parte dell'oppresso contro l'oppressore, del popolo contro i governanti" (Luciana Stegagno Picchio)] Nel mistero del Senza Fine sta in equilibrio un pianeta. E nel pianeta un giardino. E nel giardino un'aiuola. E nell'aiuola una violetta. E sopra di essa, tutto il giorno, tra il pianeta e il Senza Fine, l'ala di una farfalla. 9. RILETTURE. BETTY REARDON: MILITARISMO E SESSISMO Betty Reardon, Militarismo e sessismo. Influenze su una educazione alla guerra, Satyagraha Editrice, Torino 1984, pp. 32, lire 2.500. Nella serie del "Quaderni degli insegnanti nonviolenti" un saggio di una prestigiosa studiosa e docente impegnata da sempre nell'educazione alla pace. 10. DA TRADURRE. MICHEL BROSSARD ET JACQUES FIJALKOW (SOUS LA DIRECTION DE): APPRENDRE A' L'ECOLE: PERSPECTIVES PIAGETIENNES ET VYGOTSKIENNES Michel Brossard et Jacques Fijalkow (sous la direction de), Apprendre a' l'ecole: perspectives piagetiennes et vygotskiennes, Presses Universitaires de Bordeaux, Bordeaux 2002, pp. 216, euro 22,50. Una raccolta di contributi scaturiti dal secondo congresso internazionale per la ricerca socio-culturale svoltosi a Ginevra nel 1996, nel centenario della nascita di Piaget e Vygotskij. Con contributi, oltre che dei curatori del volume, di Cesar Coll, Samuel Joshua, Emilia Ferreiro, Eliane Fijalkow, Madelon Saada-Robert, Michel Gilly e Michele Deblieux, Martine Alcorta, Jean-Paul Bernie', e con un testo di Lurija. Un volume di notevole interesse. 11. LE AMAREZZE DI STRAMBOTTO: SOCIETA' Rappresentanti della societa' civile? Ma se lo sanno tutti che in Italia c'e' solo la societa' incivile. 12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 13. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1038 del 30 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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