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La nonviolenza e' in cammino. 1025
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1025
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 17 Aug 2005 00:56:29 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1025 del 17 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Amelia Rosselli: Questo e' il mare oggi 2. Nicole Itano: Troppo povere per vivere 3. Giobbe Santabarbara: Come fare un buon notiziario in dieci facili lezioni 4. Domenico Jervolino: Filosofia e liberazione 5. Jean Chesneaux: Quando uno stato uccide un fotografo 6. Lida Menapace: La sinistra europea tra complessita' e frammentazione 7. Stefania Astarita presenta "L'harem e l'occidente" di Fatema Mernissi 8. Alessandro Marescotti presenta "Breve storia del pacifismo in Italia" di Pietro Pastena 9. Tiziano Tissino presenta "Truth against truth" di Uri Avnery 10. Riletture: Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu' 11. Riletture: Rigoberta Menchu' Tum, Rigoberta i maya e il mondo 12. Riletture: Ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala, Guatemala: nunca mas 13. La "Carta" del Movimento Nonviolento 14. Per saperne di piu' 1. POESIA E VERITA'. AMELIA ROSSELLI: QUESTO E' IL MARE OGGI [Da Amelia Rosselli, Le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004, p. 521. Amelia Rosselli (Parigi 1930 - Roma 1996), poetessa, figlia dell'eroe antifascista Carlo Rosselli; una delle voci piu' intense ed originali della poesia del Novecento, una delle testimonianze piu' intime e sofferte della storia del secolo. Opere di Amelia Rosselli: Variazioni belliche, Garzanti, Milano 1964; Serie ospedaliera, Mondadori, Milano 1969; Documento, Garzanti, Milano 1976; Primi scritti 1952-63, Guanda, Parma 1980; Impromptu, San Marco dei Giustiniani, 1981; Appunti sparsi e persi, Aelia Lelia, 1983, 1996; La libellula, SE, Milano 1985; Diario ottuso, 1996; la sua opera poetica e' ora raccolta ne Le poesie, Garzanti, Milano 1997, 2004] questo e' il mare oggi in ondate piu' serene che squarciano quel tuo grido quel tuo affanno deliberatamente fondendosi la visione di uno strazio con uno strazio tutto si rifa', e da capo e di nuovo 2. MONDO. NICOLE ITANO: TROPPO POVERE PER VIVERE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione il seguente testo di Nicole Itano. Nicole Itano, corrispondente per "WeNews", vive a Johannesburg in Sudafrica; sta scrivendo un libro sull'aids in Africa: la storia di Charlotte Musi fa parte di questo lavoro] Maseru, Lesotho. Quando Charlotte Musi sposo' un commerciante piu' anziano di lei di dieci anni, nel 2001, si considerava fortunata di aver trovato un uomo gentile e con un buon lavoro. Nelle foto che mi mostra, suo marito mostra un sorriso accattivante. "Mi amava tanto", dice Charlotte, e ride ricordando come suo marito Quenehelo tento' di insegnarle a guidare l'automobile mentre lei era incinta del loro bambino, Sekabatho, che ora ha due anni. La prima moglie di Quenehelo era morta e fu solo dopo il matrimonio che Charlotte comincio' a sentire dai suoi nuovi parenti dei pettegolezzi su come la donna che l'aveva preceduta fosse stata lentamente consumata dalla malattia. Quenehelo rifiuto', quando la nuova moglie chiese che entrambi si sottoponessero al test per l'Aids. Era spaventato, e non voleva sapere se era sieropositivo o no. Sekabatho non aveva ancora un anno, quando Charlotte si trovo' a dover fare da infermiera a un marito malato. La sala da pranzo di cui era stata cosi' fiera ospitava ora solo i suoi sogni infranti. Infine, quando era cosi' malato da non poter piu' camminare, Quenehelo acconsenti' a sottoporsi al test. Risulto' che la causa della sua malattia era l'Aids e questo fu un colpo mortale per la piccola famiglia. In Lesotho, allora, le medicine anti-retrovirali erano accessibili solo ad una privilegiata minoranza di benestanti. Charlotte seppelli' il marito nell'aprile 2003, prendendo in prestito da una donna anziana 1.800 maloti (circa 300 dollari) per la bara, i riti funebri e il cibo da fornire ai parenti. Questi vennero, cantarono e piansero, mangiarono il pranzo funebre e la lasciarono sola a Naledi, un sobborgo malsano della capitale. * Il mese successivo Charlotte, ancora sconvolta ma anche preoccupata per il proprio futuro, ando' al Maluti Hospital per fare il test. Le sue paure ebbero conferma: era sieropositiva. Il suo medico le prescrisse una combinazione di tre sostanze, ma Charlotte non poteva permettersi di comprarle tutte. Sottoponendosi ad una terapia incompleta, rischiava che i farmaci non avessero effetto su di lei, ma una dose mensile delle tre medicine costava la meta' del salario di Charlotte, che lavorava nel settore tessile: dieci ore al giorno ad una macchina che cuce magliette con i marchi Gap e Old Navy per l'esportazione negli Usa. "Se non prendo queste pillole, muoio. Se non mangio, muoio, dice Charlotte stancamente, Sono troppo povera per vivere". I mesi passarono ed il suo corpo era sempre piu' debole. Spesso saltava i pasti per pagare le rate del debito contratto per il funerale del marito. Del suo stipendio, che oscillava fra i 650 ed i 1.000 maloti a seconda di quanto lavoro straordinario faceva, la sua creditrice si prendeva 500 maloti al mese: un anno dopo la morte del marito, Charlotte stava ancora pagando debito e interessi. Ogni mese pagava inoltre 200 maloti alla ragazza che badava al suo bambino mentre lei era al lavoro. E altri 100 se ne andavano per pagare i mezzi di trasporto. Suo nonno comincio' a darle una mano, passandole mensilmente parte della propria pensione, ma Charlotte non aveva mai abbastanza cibo ne' denaro per i vestiti necessari a tenere al caldo il figlio durante il freddo inverno di quella regione montagnosa. Charlotte aveva un solo paio di scarpe rotte, che le ferivano la pelle quando doveva andare al lavoro a piedi perche' le mancavano gli 80 centesimi per i trasporti pubblici. Mentre il virus distruggeva il suo sistema immunitario, Charlotte dimagriva e cominciava a soffrire per le eruzioni cutanee e le piaghe. Si ammalo' di tubercolosi e per tre settimane giacque nella stessa stanza che aveva attrezzato come ospedale domestico per il marito. I parenti e gli amici della vicina chiesa venivano le domeniche pomeriggio a farle visita, ma si limitavano a guardarla quietamente. "La maggior parte di loro pensava che stessi andando a raggiungere mio marito. Non lo dicevano, ma vedevo che lo pensavano. Almeno questa cosa e' finita". * Charlotte si riprese, ma la malattia l'aveva terrorizzata. Non voleva morire. Alla fabbrica dove lavorava un'infermiera, Palesa Motsoneng, le parlo' di un nuovo medicinale, il Videx, che poteva aiutare le persone sieropositive. Charlotte non sapeva nulla delle lotte a livello globale che erano state condotte per anni allo scopo di abbassare i prezzi dei farmaci come il Videx (nome commerciale dell'anti-retrovirale Didansosine) nei paesi poveri quali il Lesotho. Ma a meta' del 2004, quando la giovane donna ando' al Maluti Hospital in cerca del Videx, i prezzi di queste medicine erano vistosamente calati. Le compagnie farmaceutiche avevano accettato di abbassare i prezzi o avevano rinunciato ai brevetti, cosi' i produttori di farmaci generici potevano produrre e vendere le sostanze nei paesi in via di sviluppo. Tuttavia, per Charlotte come per altri pazienti, tirare fuori i necessari 50 dollari per la dose mensile era ancora un problema. Risparmio' in qualche modo per pagarsi due mesi di terapia, ma a novembre dovette interromperla. La sua creditrice stava ancora mungendo il suo salario, ed i suoi parenti non avevano piu' intenzione di aiutarla. Natale fu triste, per Charlotte. Non aveva potuto permettersi neanche un regalo per il bambino. Ando' alle celebrazioni in chiesa, ma non fece visita a nessuno, e non festeggio'. All'inizio del 2005 torno' in fabbrica, ma era ogni giorno piu' stanca. L'infermiera Motsoneng temeva che stesse soffrendo di depressione, o di demenza correlata all'Aids, e voleva organizzarle l'incontro con uno psichiatra, ma prima che potesse farlo Charlotte si licenzio'. Aveva finalmente estinto il debito per i funerali del marito. Decise che avrebbe potuto guadagnare la stessa cifra che otteneva in fabbrica vendendo mele al mercato, e visto che non doveva piu' essere al lavoro alle sette del mattino, poteva iscriversi al programma di cure gratuito garantito dal governo. Il programma ha un processo complicato, e prevede che le persone siano a disposizione per giorni interi. Il 18 marzo scorso, Charlotte si e' alzata prima dell'alba ed e' andata all'ospedale di stato, chiamato "Queen 2". Mentre aspettava il suo turno, ha ascoltato le chiacchiere ed i pettegolezzi. Le donne parlavano dell'aglio come cura per le piaghe della bocca, mentre un uomo si lamentava dei vicini che venivano ad assisterlo e nel contempo gli rubavano il sapone e la farina. Ma Charlotte non prestava molta attenzione. Il suo pensiero era concentrato sulla cura. Era determinata, decisa a sopravvivere. Lo e' tuttora. Il suo piu' grande problema oggi, mi dice, e' trovare 80 maloti per comprare un ombrellone. Le servirebbe per ripararsi dal sole e dalla pioggia mentre vende le sue mele al mercato. * Per maggiori informazioni: - Care Lesotho: www.caresa-lesotho.org.za/hiv.htm - Maluti Adventist Hospital: www.maluti-adventist-hospital.com/programs.htm 3. DIBATTITO. GIOBBE SANTABARBARA: COME FARE UN BUON NOTIZIARIO IN DIECI FACILI LEZIONI Una premessa, una volta per tutte Si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. E' un'idea di ascendenza leopardiana: se ben ricordo, una volte deve aver detto o scritto che per avere una buona biblioteca bastava che non ci fossero le opere di X (ahime', nella mia leopardilatria per anni e anni mi sono rigorosamente astenuto dal leggere le opere di X, poi trovai su una bancarella i due candidi volumi dell'edizione sansoniana, e mi ci immersi, e trovai che aveva ragione Giacomo Debenedetti, come sempre. Corollario: neanche Leopardi va preso alla lettera quando esprime i suoi malumori. Corollario del corollario: per altri autori vale invece l'opposto principio: che solo quando esprimono i loro malumori vale la pena di ascoltarli). Ma come puo' essere un buon notiziario un foglio bianco? Per due motivi almeno: primo, poiche' il silenzio e' preferibile al frastuono, e gia' l'invito al silenzio e' una parola profonda. Secondo: perche' un foglio bianco chiede all'interlocutore di esprimersi lui: lo chiama alla presa di parola, lo convoca alla responsabilita'. O anche, altrimenti: che su quel foglio restato bianco chi di solito legge possa scrivere le sue parole d'amore e di sconforto, o disegnare la sua luna e il suo pozzo, o registrare il suo silenzio, nel vuoto ritrovando il suo sguardo, la sua propria voce, e' assai piu' che un buon notiziario. * 1. Non pubblicare nulla di autori che abbiano fatto uso di violenza e inganno, o se ne siano fatti apologeti. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 2. Non pubblicare nulla che sia falso o esagerato o reticente. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 3. Non pubblicare nulla che sia solo sperpero di tempo. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 4. Non pubblicare nulla che sporchi o offenda. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 5. Non pubblicare nulla che sia scritto male. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 6. Non pubblicare nulla che sia confuso o poco chiaro. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 7. Non pubblicare nulla che emargini o umili o frastorni anche un solo lettore o una sola lettrice. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 8. Non pubblicare nulla che possa suonare piaggeria, o divertimento, o meschinita'. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 9. Non pubblicare nulla che non sia ordinato alla lotta contro il male, che non sia adeguato alla lotta contro il male, che non sia consapevole e persuasivo del dovere e dell'urgenza della lotta contro il male; non pubblicare nulla che non contrasti la violenza nel modo piu' nitido e piu' intransigente; non pubblicare nulla che non difenda nel modo piu' intransigente e nitido l'umana dignita'. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * 10. Non pubblicare nulla che possa suonare come un ordine o un codice o un dogma, ad esempio un decalogo. Poi si puo' anche pubblicare un foglio in bianco, e' gia' un buon notiziario. * Una postilla, naturalmente Ed anche questo si potrebbe dire: non pubblicare nulla. Risparmia il tuo e di tutti spazio e tempo, e foreste, e respiro, l'Amazzonia fuori e dentro di te. Ma non sia il tuo silenzio complicita'. Meglio il silenzio che il rumore di fondo che copre ed occulta il lavoro dei carnefici nella stanza della tortura; ma meglio l'urlo di dolore che il silenzio di fronte alla violenza, alla menzogna, all'ingiustizia. Della parola usa per chiamare alla lotta contro ogni oppressione, contro ogni vilta'. 4. INCONTRI. DOMENICO JERVOLINO: FILOSOFIA E LIBERAZIONE [Ringraziamo Domenico Jervolino (per contatti: djervol at tin.it) per averci messo a disposizione il seguente articolo pubblicato sul quotidiano "Liberazione" del 23 luglio 2005. Domenico Jervolino, nato a Sorrento nel 1946, discepolo di Pietro Piovani, studioso ed amico di Paul Ricoeur e Hans Georg Gadamer, due fra i maggiori filosofi del Novecento, insegna ermeneutica e filosofia del linguaggio all'Universita' di Napoli Federico II. Fa parte degli organismi dirigenti dell'Associazione internazionale per la Filosofia della Liberazione (Afyl) e della International Gramsci Society (Igs). E' stato recentemente eletto membro della Consulta filosofica italiana (organismo rappresantivo della comunita' scientifica nel campo degli studi filosofici). Nell'ambito dell'impegno politico e nelle istituzioni e' stato consigliere regionale della Campania dal 1979 al 1987 e membro della presidenza del Consiglio regionale. E' stato anche nel corso degli anni tra i promotori del movimento dei Cristiani per il socialismo, dirigente delle Acli e della Cisl Universita', membro della direzione nazionale della Lega delle Autonomie Locali e della segreteria nazionale di Democrazia Proletaria di cui e' stato a lungo responsabile nazionale cultura e scuola. In Rifondazione Comunista e' attualmente membro del Comitato politico nazionale e responsabile nazionale Universita'. Assessore all'educazione del Comune di Napoli dal marzo 2000 al marzo 2001. E' autore, nel campo degli studi filosofici, dei volumi: Il cogito e l'ermeneutica. La questione del soggetto in Ricoeur, Procaccini, Napoli 1984, Marietti, Genova 1993 (tradotto in inglese presso Kluwer nel 1990); Pierre Thevenaz e la filosofia senza assoluto, Athena, Napoli 1984; Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Piovani, Morano, Napoli 1994; Ricoeur. L'amore difficile, Studium, Roma 1995; Le parole della prassi. Saggi di ermeneutica, Citta' del sole, Napoli 1996 (in una collana dell'Istituto italiano per gli studi filosofici); Paul Ricoeur. Une hermeneutique de la condition humaine, Ellypses, Paris 2002; Introduzione a Ricoeur, Morcelliana, Brescia 2003. Ha curato e introdotto l'antologia ricoeuriana Filosofia e linguaggio, Guerini, Milano 1994, e una scelta di scritti di Ricoeur sulla traduzione: La traduzione. Una scelta etica, Morcelliana, Brescia 2001. Ha curato, inoltre, i volumi: Filosofia e liberazione, Capone, Lecce 1992 (con G. Cantillo); e Fenomenologia e filosofia del linguaggio, Loffredo, Napoli 1996 (con R. Pititto); L'eredita' filosofica di Jan Patocka, Cuen, Napoli 2000. Ha partecipato ai principali volumi collettivi pubblicati su Ricoeur negli ultimi anni in Francia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti e continua, attualmente, i suoi studi, lavorando in particolare sull'opera di Jan Patocka e sugli sviluppi della fenomenologia di lingua francese nonche' sul raporto ermeneutica-traduzione. Complessivamente i suoi saggi e articoli di filosofia sono circa ottanta in italiano o tradotti in sette lingue straniere. Nel campo della saggistica politica e' autore dei volumi: Questione cattolica e politica di classe, Rosenberg & Sellier, Torino 1969; Neoconservatorismo e sinistra alternativa, Athena, Napoli 1985; e di una vasta produzione pubblicistica. Collabora a numerose riviste italiane e straniere, tra cui "Concordia" di Aachen, "Actuel Marx" di Parigi, "Filosofia e teologia" e "Studium" di Roma, "Segni e comprensione" di Lecce; dirige la rivista "Alternative" di Roma. E' condirettore della rivista "Il tetto" di Napoli, di cui fa parte da circa trent'anni] Una filosofia che sappia parlare agli abitanti dei grandi barrios, dei quartieri popolari che sono la roccaforte del movimento bolivariano che sostiene il presidente Chavez, ai giovani che popolano le universita' di Caracas, e infine a tutti coloro che lottano per riscattare i loro paesi da una condizione di subalternita' che attanaglia ancora una buona parte dell'umanita'. Questo il sogno che ha animato il primo forum di filosofia del Venezuela che si e' concluso la scorsa settimana, con una serie di incontri svoltisi tra il 6 e il 12 luglio non solo nella capitale ma anche in altri centri di quel vasto paese. Fra i temi all'ordine del giorno i processi di globalizzazione e le loro conseguenze sul piano della cultura e della comunicazione, il ruolo e la responsabilita' degli intellettuali in tale contesto, e la prospettiva di una filosofia solidale coi processi di liberazione. La lotta per riappropriarsi della ricchezza nazionale, destinandola al conseguimento di grandi finalita' sociali (diritto alla salute e all'istruzione, redistribuzione della proprieta' della terra, riassetto urbano, uso pubblico dei beni comuni ecc.) sta rinnovando e attualizzando lo spirito originario della repubblica fondata da Simon Bolivar. La grande stampa e i mezzi di comunicazione internazionali hanno offerto un'immagine distorta del processo politico in atto in questo grande paese di 26 milioni di abitanti, che sta invece diventando uno straordinario laboratorio politico dove antiche tradizioni di lotta popolare si saldano col tentativo di realizzare una democrazia sociale avanzata e un esperimento di socialismo umanistico proiettato verso il futuro. Questa realta' dinamica e' stata presente fisicamente al congresso che ha compreso nel suo programma anche visite e incontri con realta' di base, centri sociali, ambulatori popolari e cooperative. Al dialogo hanno partecipato senza particolari orpelli esponenti del governo di sinistra come il ministro della cultura Sesto e la sua consigliera culturale, la filosofa Carmen Bohorquez, principale organizzatrice dell'incontro: quest'ultimo ha avuto uno dei suoi momenti culminanti nella partecipazione di una delegazione di congressisti alla trasmissione televisiva gestita come ogni domenica dallo stesso Chavez, che ha affrontato i temi del momento, dall'uragano che ha colpito Cuba, agli attentati terroristici di Londra condannati con un discorso di grande chiarezza ed efficacia dal presidente in nome di una solidarieta' nei confronti di tutte le vittime e soprattutto di un socialismo concepito come progetto di vita e non di morte. Nelle parole di Chavez - soldato e forse proprio per questo impegnato nella lotta per la pace - ho sentito una profonda consonanza con la ricerca di una politica nonviolenta e radicalmente alternativa alla logica della guerra. Chavez ha, tra l'altro, una grande ammirazione per Gramsci, come mi e' stato confermato dai compagni del circolo bolivariano "Antonio Gramsci", fondato da italiani residenti a Caracas, coi quali mi sono incontrato nel corso del forum. Egli si appresta a venire a Roma in agosto per ricordare il giuramento di Monte Sacro di Bolivar, che rappresenta una memoria fondamentale della storia dei processi di liberazione dell'America Latina. * I lavori hanno visto impegnati studiosi di 16 paesi, tra cui alcuni dei grandi protagonisti del pensiero latinoamericano e della filosofia della liberazione, da Enrique Dussel ad Arturo Roig, da Horazio Cerutti-Gulberg a Joseph Comblin e Franz Hinkelammert, insieme a colleghi cubani come la combattiva Isabel Monal e Pablo Guadarrama, il brasiliano Sirio Lopez Velasco, il cileno Ricardo Salas e la direttrice della rivista Chiapas Ana Esther Cecena, mentre la presenza europea e africana, oltre a esponenti noti al grande pubblico come Gianni Vattimo, al drammaturgo spagnolo Alfonso Sastre e ai francesi Marc Blanchard e Georges Labica, era dovuta soprattutto all'attivita' della rivista "Concordia" di Aquisgrana, fondata e diretta del cubano Raul Fornet-Betancourt e che e' diventata negli ultimi anni il centro di una rete di filosofia interculturale, presente al convegno, tra l'altro, con Lidia Procesi, di Roma Tre, studiosa di filosofia africana, e con la congolese Albertine Tshibilondi. Significativa nel suo complesso la partecipazione italiana, e in particolare quella delle universita' napoletane e campane, con Giuseppe Cacciatore, direttore del dipartimento di filosofia della Federico II, e di Antonio Scocozza, dell'universita' di Salerno, presidente dell'Istituto di Studi Latino Americani. A Napoli e a Pagani, nei pressi di Salerno, si sono del resto svolti anche di recente incontri coi filosofi venezuelani, e in particolare con Victor Martin dell'Universita' di Maracaibo che da anni e' tramite fra Italia e Venezuela. Saranno le riviste "Concordia" e "Alternative", col supporto dell'Associazione Alternative Europa, insieme all'Istituto di Studi Latino Americani, che si faranno carico in Italia e in Europa di organizzare la risposta al forum di Caracas. Questo e' l'impegno che abbiamo assunto lasciando il Venezuela insieme a quello di tornare a Caracas per il secondo forum. Nel documento finale viene ribadito l'impegno per "una pratica della filosofia intesa come strumento razionale di analisi integrale della realta' con l'obiettivo di contribuire alla sua migliore comprensione e trasformazione. Questo esige... lo sviluppo di un pensiero creativo autenticamente rivoluzionario, che deve nutrirsi di due fonti: il sapere accumulata dall'umanita' nel corso della storia e le esperienze popolari che lo legittimano, lo interpellano e lo rinnovano". 5. CRIMINI. JEAN CHESNEAUX: QUANDO UNO STATO UCCIDE UN FOTOGRAFO [Dal quotidiano"Il manifesto" del 30 luglio 2005. Jean Chesneaux, illustre intellettuale impegnato nella solidarieta' con gli oppressi, contro il colonialismo e per la difesa della biosfera, storico, esperto dell'Asia contemporanea, professore emerito all'Universita' Paris VII, direttore di studi all'Ecole des hautes etudes en sciences sociales, presidente onorario di Greenpeace Francia, membro del consiglio scientifico di Attac, consigliere di redazione della rivista "Ecologie & politique", membro del comitato di redazione de "La Quinzaine litteraire". Tra le opere di Jean Chesneaux: oltre a vari libri sulla storia dell'Asia, segnaliamo particolarmente Du passe' faisons table rase?, Maspero, 1976; Transpacifiques, observations et considerations diverses sur les terres et archipels du Grand Ocean, La Decouverte, Paris 1987; La France dans le Pacifique, La Decouverte, 1992; Tahiti apres la bombe. Quel avenir pour la Polynesie francaise, L'Harmattan, 1995; Habiter le temps, Bayard, 1996; L'art du voyage, Bayard, 1998; Carnets de Chine, Quinzaine litteraire, 1998; Mouvement ouvrier chinois de 1919 a 1927, Ecole Des Hautes Etudes En Sciences Sociales, 1999; Jules Vernes, un regard sur le monde, Bayard, 2001; L'engagement des intellectuels (1944-2004). Itineraire d'un historien franc-tireur, Privat 2004] Esattamente vent'anni fa, nel luglio del 1985, degli agenti militari francesi agli ordini di un ministro della guerra "socialista", Charles Hernu, hanno fatto esplodere in mezzo al porto di Auckland, nella lontana Nuova Zelanda, il Rainbow Warrior, un'ammiraglia della flotta pacifista di Greenpeace. Un fotografo dell'organizzazione ecologista venne ucciso. Con questo atto di guerra aperta perpetrato nelle acque territoriali di un piccolo paese discreto, la violenza di stato francese ha mostrato il disprezzo che provava nei confronti del diritto internazionale piu' basilare. L'ex capo dei servizi segreti francesi, l'ammiraglio Lacoste, ha appena rivelato che tutta l'operazione sarebbe stata concepita con l'accordo esplicito del presidente "socialista" dell'epoca, Francois Mitterrand. L'attentato, nella strategia francese, era motivato dalla convinzione - immaginaria - che il Rainbow Warrior, dopo un periodo di riposo in Nuova Zelanda, avrebbe fatto scalo a Tahiti per imbarcare dei militanti indipendentisti di questo territorio francese, con lo scopo di portarli fino all'atollo di Mururoa, allora sacrosanta base nucleare del dispositivo militare francese. Bisognava quindi difendere contro di essi una "terra francese". Nei fatti, anche se gli indipendentisti tahitiani non hanno mai nascosto l'ostilita' sia alla dominazione francese che agli esperimenti nucleari nelle loro isole, non avevano mai previsto un tale progetto. Oggi la Francia ha dovuto rinunciare agli assurdi esperimenti di Mururoa, e il nostro mondo inquieto affronta ben altre minacce. Ma aspettiamo ancora un pentimento francese nei confronti della Nuova Zelanda e nei confronti di Greenpeace. 6. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: LA SINISTRA EUROPEA TRA COMPLESSITA' E FRAMMENTAZIONE [Dal quotidiano "Liberazione" del 5 maggio 2004 riprendiamo il seguente articolo. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it ) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Proporsi di ridurre la frammentazione politica della sinistra in Europa e' una decisione molto importante e "puntuale", cioe' che capita quando la crisi delle forme politiche, e il rinsecchimento delle istanze e dimensioni nazionali e' di tutta evidenza: pensare pero' di porre rimedio a una situazione cosi' preoccupante con piccoli cabotaggi rivelerebbe corta vista e non comprensione di cio' che serve. Serve dunque coraggio, rimettersi in gioco e in discussione, fantasia, calcolato senso del rischio e insieme pazienza, capacita' di tessere relazioni, di spianare ostacoli, ridurre diffidenze e via dicendo. In primo luogo - sto per dire - sarebbe necessario fare un buon corso di pedagogia e di relazioni. Puo' supplire la voglia, il senso della occasione storica, che non si puo' perdere. Ma soprattutto un rapporto affettuosamente laico e amabilmente critico con tutti i nostri passati: questo mi pare importante per evitare forme "religiose" ed "ecclesiastiche", litanianti, liturgiche di rapporto con le proprie storie. Se non si esce dal rapporto di chiesa con la tradizione politica succede che - caduta la chiesa - i piu' eretici tendono a ridare fiato all'ortodossia, dato che senza chiesa non sanno vivere. Avere in Europa una sinistra differenziata non sarebbe un dramma, bisogna essere capaci di gestire il molteplice e non pensare di ridurre la complessita', operazione autoritaria. Ma avere forze politiche senza relazioni con la realta', disancorate dalla realta', e' lamentevole. Per proporsi di ovviare a tale situazione occorre certo avere alcune certezze "non disponibili", alcune scelte non mediabili (una lettura della societa' che si ponga dal punto di vista di chi e' sfruttato/a oppresso/a, una chiara pratica di riconoscimento dei generi, una cultura del rispetto delle risorse, una posizione per la pace, ad esempio) e il massimo di capacita' di fantasia per trovare forme che consentano il pieno dispiegarsi di tali soggettivita' politiche differenziate, molteplici, non riducibili... 7. LIBRI. STEFANIA ASTARITA PRESENTA "L'HAREM E L'OCCIDENTE" DI FATEMA MERNISSI [Dalla rivista on-line di critica filosofica "Kainos", n. 3/2003 (sito: www.kainos.it) riprendiamo il seguente articolo di Stefania Astarita che presenta il libro di Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze 2000, pp. 190, euro 12,50. Stefania Astarita, studiosa di estetica, fa parte della redazione dela rivista on line di critica filosofica "Kainos". Fatema Mernissi (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) e' nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente universitaria di sociologia a Rabat, studiosa del Corano, saggista e narratrice; tra i suoi libri disponibili in italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate, Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004. Il sito internet di Fatema Mernissi e' www.mernissi.net] Cosa pensano gli Occidentali dell'harem? Quale idea di donna e' comunemente associata a quell'esotico luogo orientale? A queste domande, cariche di valenze culturali e politiche, risponde la sociologa marocchina Fatema Mernissi nel suo libro L'harem e l'Occidente, che smonta progressivamente il sogno tutto occidentale di una comunita' di donne avvenenti, succubi e devote, sempre a disposizione del loro uomo-padrone, che ha solo l'imbarazzo della scelta per soddisfare tutti i suoi desideri. Nulla di piu' distante dalla cultura musulmana, che riconosce invece al gentil sesso grandi doti di intelligenza e coraggio, unite a un profondo senso di liberta'. Il racconto della donna il cui vestito di piume le consente di volare e di liberarsi quindi dei vincoli matrimoniali, con i quali il marito ha creduto di legarla a se' per sempre, riprende l'immagine dell'originaria dea-madre Ishtar, che sceglie i propri partners liberamente, distinguendo in tal modo la maternita' dalla fedelta' coniugale. Sarebbe proprio l'incontrollabile e minaccioso potere delle donne, libere di autodeterminarsi, a spiegare l'origine di uno spazio delimitato da alte mura, quale appunto si configura l'harem, a loro destinato esclusivamente al fine di circoscriverne il raggio d'azione. Evidenti le implicazioni politiche di una simile segregazione, che mette in scacco un possibile ruolo pubblico della donna, costretta al velo fuori dell'harem. Si istituisce cosi' un regime di ineguaglianza, all'interno del quale e' difficile immaginare obbedienza e abnegazione. La poligamia istituzionalizzata non fu accolta pacificamente dalle donne musulmane, e infatti non poche furono le regine che uccisero il proprio marito, pur di evitargli di unirsi ad un'altra consorte. D'altra parte e' sufficiente interrogare la tradizione letteraria e iconografica dell'Islam per verificare la presenza di modelli di comportamento femminile ben lontani da quelli immaginati in Occidente. Fatema Mernissi ci guida in questo viaggio alla scoperta del ruolo riconosciuto alla donna nella cultura musulmana, attraverso la storia di due eroine del mondo islamico, Shahrazad, protagonista delle Mille e una notte e Shirin, vera e propria icona delle miniature orientali. * Shahrazad accetta, come e' noto, di sposare un re crudele, che per vendicare il tradimento della prima moglie, dopo averla messa a morte, ha deciso di iterare i suoi crimini per punire l'infido genere femminile: dopo la prima notte di nozze, tutte le sue spose seguono il triste destino della prima. Facendo ricorso alla sua sconfinata cultura, unica arma delle donne recluse nell'harem, Shahrazad riesce ad opporre alla logica maschile della forza la magia della parola, lucida e ammaliante a un tempo, con cui tesse nella notte trame di racconti avvincenti, che inducono il re a differire di giorno in giorno l'esecuzione. L'arte del narrare contiene in se' un'evidente funzione civilizzatrice, che, notte dopo notte, cambiera' lentamente il re, fino alla sospensione della crudele legge, scaturita dall'odio. E proprio per aver sconfitto l'ordine della violenza, Shahrazad e' considerata il "simbolo dei diritti umani nell'Oriente moderno" (p. 49). Tale definizione e' altresi' sufficiente a comprendere la connotazione politica dell'eroina che, mediante il dialogo e l'ascolto, sconfigge il regime cieco della forza dispotica maschile. La narrazione e' riconosciuta, quindi, come un'arte tutta femminile ("chi narrava le storie nella famiglia era la nonna piuttosto che il nonno", p. 49) e propria della tradizione orale, la stessa che ha consentito la trasmissione delle storie delle Mille e una notte al riparo dalle elite maschili al potere, che controllavano piuttosto i testi scritti, attribuendo poco significato a quanto le masse di illetterati continuavano a tramandarsi oralmente. La legge come trascrizione della verita', fissata mediante la scrittura nel Corano e tale da istituire le gerarchie di potere, si contrappone quindi al racconto, frutto dell'immaginazione ogni volta all'opera nella trasmissione orale, tipica delle fasce piu' deboli della popolazione e, al loro interno, del mondo femminile. La carica eversiva di quest'ultimo e' testimoniata dalla stessa nonna della Mernissi, la quale stravolge, nella narrazione orale, proprio la storia della donna dal vestito di piume, a favore della liberta' e dell'autodeterminazione della donna. Nuovamente e' in gioco la dimensione politica e la giusta rivendicazione di un ruolo pubblico, quello che Shahrazad ha inaugurato e che le donne del mondo musulmano oggi si apprestano a riconquistare: basti pensare che in Egitto la presenza femminile nel mondo accademico e' maggiore che in Francia e in Canada. * Shirin e' l'equivalente di Shahrazad nella pittura musulmana. L'iconografia tradizionale la ritrae a caccia, al bagno, e sempre comunque col suo cavallo, che le consente di viaggiare, muovendosi liberamente verso terre sconosciute, alla ricerca di un amore che si configura come superamento di una linea di confine. "Nella psiche musulmana, amare e' imparare a superare una linea di confine, per raccogliere la sfida della differenza" (p. 144). Il cavallo di Shirin rappresenta metaforicamente la possibilita' di superare i confini mediante l'intelligenza e la cultura, che consentono di viaggiare con la mente, come fa Shahrazad. * La sfida della differenza e' sottesa anche alla lotta per il riconoscimento del pluralismo negli stati musulmani, ed e' per tale motivo che Fatema Mernissi giunge a collegare la questione politica, della trasformazione dei regimi islamici in moderne democrazie, alla battaglia del femminismo. "Qualsiasi riflessione sulla modernita' come chance di liberarsi dalla violenza dispotica assunse la forma, nel mondo musulmano, di una necessaria presa di posizione dei filosofi a favore delle donne" (p. 46). La dualita' dei sessi costringe a confrontarsi con l'altro da se', ed e' solo a partire dal riconoscimento e dall'ascolto della prima differenza che costituisce il genere umano, quella tra i sessi, che sara' possibile aprirsi al pluralismo e conseguire gli esiti piu' avanzati delle moderne democrazie occidentali. Ne e' un esempio emblematico la Turchia, in cui Ataturk fu artefice di una grande svolta innovativa, che prese le mosse proprio da importanti riforme femministe, quali l'abolizione della poligamia, nel 1926, e il riconoscimento alle donne del diritto al voto politico, nel 1934. Dunque il tema dell'incontro tra i due sessi si intreccia alla questione politica, e il mondo islamico offre elementi importanti di riflessione su questo snodo, a partire dalla concezione della donna libera, intelligente, capace di autodeterminazione e di ascolto dell'altro. * E tuttavia l'Occidente continua ad associare all'harem l'immagine di odalische belle e lascive, dimenticando che, nella tradizione musulmana, ben altre sono le caratteristiche del fascino femminile, sostanzialmente legato al potere incontrollabile, alla forza di volonta', alla cultura. Niente e' piu' intrigante nell'harem della sfida intellettuale tra uomo e donna. "Essere intellettualmente sfidati dalle donne - sostiene l'autrice - dava agli uomini un brivido sensuale" (p. 106). Perche' il solo tratto che invece ossessiona gli occidentali e' quello della bellezza inevitabilmente legata al sesso e alla passivita'? La Mernissi inizia, con questa domanda, un'analisi originale dell'immaginario maschile occidentale, che viene indagato a partire dalla filosofia di Kant, attraverso i quadri di Ingres e Matisse, per poi approdare al mito contemporaneo della linea perfetta, o meglio della taglia 42. Secondo l'autrice, l'autorevole filosofo tedesco, nelle sue Osservazioni sul sentimento del Bello e del Sublime, associando la bellezza al femminile e il sublime alla razionalita' propria del maschile, realizzerebbe una cesura, tale da rendere inconciliabili bellezza e intelligenza. "Se l'intelligenza e' monopolio maschile, le donne che osano appropriarsene saranno private della loro femminilita'" (p. 97). Ne deriva l'impossibilita' per la donna di avere fascino grazie alla sua cultura e alle sue doti intellettive, e la conseguente esaltazione della bellezza, ridotta a mera esteriorita'. "La donna ideale di Kant e' senza parole" (p. 79): questo il filo rosso che guida la Mernissi alla scoperta di celebri immagini di odalische, ritratte da Ingres e Matisse secondo una mentalita' tutta occidentale, che traduce la bellezza in nudita' silenziosa e passiva. Tuttavia, negli stessi anni in cui Matisse dipingeva, i Giovani Turchi rivoluzionavano il mondo musulmano mettendo al bando gli harem e riconoscendo alla donna diritti pari a quelli che, fino ad allora, erano rimasti esclusivo appannaggio maschile. Ma se tutto cio' non ha inciso minimante sull'idea occidentale dell'harem, ancor oggi popolato di odalische seminude, allora si puo' concludere "che l'immagine sia l'arma principale usata dagli occidentali per dominare le donne" (p. 153). I quadri di Matisse, infatti, hanno potuto piu' dei dati storici, e consentono agli occidentali di continuare a sognare donne che non sono mai esistite, perpetrando modelli puramente fantastici. * L'attenzione spasmodica alla bellezza fisica rappresenta una vera e propria trappola per la donna occidentale, che e' costretta a percepire l'eta' come una svalutazione e a dedicare quindi le sue energie migliori alla cura della propria immagine, senza poter mai vincere, naturalmente, la sfida contro il tempo. "Gli atteggiamenti degli occidentali sono decisamente piu' pericolosi e sottili di quelli musulmani perche' l'arma usata contro la donna e' il tempo" (p. 173). La taglia 42 si rivela, in conclusione, come il confine di un harem tutto occidentale, quello della bellezza, appunto, che finisce per rendere schiave proprio le donne considerate piu' emancipate e moderne, mentre, lontano dai riflettori maschili, le sorelle musulmane continuano decise il loro cammino di liberazione. 8. LIBRI. ALESSANDRO MARESCOTTI PRESENTA "BREVE STORIA DEL PACIFISMO IN ITALIA" DI PIETRO PASTENA [Ringraziamo Alessandro Marescotti (per contatti: a.marescotti at peacelink.it) per questo intervento. Alessandro Marescotti, insegnante, amico della nonviolenza, e' presidente di Peacelink, il piu' importante punto di riferimento pacifista italiano nella rete telematica (sito: www.peacelink.it), ed autore di varie pubblicazioni. Un profilo di Alessandro Marescotti da lui stesso generosamente scritto su nostra richiesta e' nel n. 441 di questo foglio. Pietro Pastena, gia' obiettore di coscienza, vive a Palermo, dove insegna e si occupa di criminalistica particolarmente come esperto di perizie giudiziarie nel campo dell'identificazione delle scritture. Tra le opere di Pietro Pastena: Giallo tricolore, Dharba, 1990; La scienza delle tracce. L'identificazione scientifica dell'autore di un crimine, Bonanno, 2003; Breve storia del pacifismo in Italia. Dal Settecento alla guerra del Golfo, Bonanno, 2005] Breve storia del pacifismo in Italia e' un libro di 175 pagine piu' una quindicina con gli utili indici delle associazioni e dei nomi citati. L'autore e' Pietro Pastena, gia' obiettore di coscienza. La casa editrice e' Bonanno (www.bonannoedizioni.it). Il libro parte dal 1700 e giunge al 1991, concludendosi con la prima guerra del Golfo. A dispetto di quanto possa far intendere il titolo, l'analisi non si limita al pacifismo italiano ma si avvale di ampi riferimenti storici internazionali. E, nonostante la modestia del titolo ("breve storia"), cio' che si trova e' veramente tanto, considerando le molteplici note a pie' di pagina. Un'analisi ben articolata del contesto europeo permette di comprendere come i pacifisti italiani non si siano formati dal nulla ma siano stati influenzati dalle idee di personaggi e filosofi ben precisi. Nomi come Saint-Simon, Spencer o Tolstoj, solo per fare degli esempi, ricorrono nel testo. Sono ben descritte, con tanti particolari ed una narrazione scorrevole, le interrelazioni fra il pacifismo italiano e i congressi europei che, fra fine Ottocento e inizio Novecento, hanno dato impulso al movimento per la pace. La caratteristica che balza subito agli occhi e' il carattere di particolare cura nella documentazione, davvero ricca, che rende non solo utile ma veramente prezioso il libro. Infatti dai tanti nomi e riferimenti bibliografici citati si puo' partire per un ulteriore approfondimento, ricorrendo ai motori di ricerca su Internet e alle biblioteche specializzate. Il testo e' asciutto e doverosamente critico verso le carenze storiche del pacifismo e le furberie di chi ha voluto cavalcarlo. L'impostazione e' laica ma prende in considerazione con interessante precisione filologica il primissimi passi del "pacifismo" cattolico, ben prima di don Mazzolari e don Milani, frutto di un lavoro certosino su archivi e documenti storici in gran parte poco conosciuti e su una vasta gamma di testi molto mirati. In conclusione lo si puo' considerare un libro di livello elevato, utile a chi compia studi universitari in ambito storico, che completa e approfondisce conoscenze di base gia' acquisite. Cio' nonostante l'autore di volta in volta illustra i personaggi citati, senza dare per scontato nulla. Non e' un libro fatto di ragionamenti ma di fatti, e se vi sono delle considerazioni esse vengono dopo i fatti. Importante: assenza totale di paroloni difficili. Al contrario il libro "si fa leggere" per il suo stile in buona parte narrativo basato su riscontri oggettivi e fatti documentati. L'arco di tempo considerato, ben tre secoli, offre una profondita' storica per superare una visione del pacifismo tutta schiacciata sul presente. Il libro e' stato scritto in particolare per tutti coloro che si considerano pacifisti ma non conoscono la storia del pacifismo. Cosi' spiega l'autore nell'introduzione. Ci auguriamo che possa essere letto proprio per colmare questa lacuna che, chi piu' chi meno, un po' tutti noi che siamo impegnati nel movimento per la pace, ci portiamo dietro. 9. LIBRI. TIZIANO TISSINO PRESENTA "TRUTH AGAINST TRUTH" DI URI AVNERY [Ringraziamo Tiziano Tissino (per contatti: t.tissino at itaca.coopsoc.it) per questo intervento. Tiziano Tissino e' impegnato nei Beati i costruttori di pace, nella Rete di Lilliput, ed in numerose altre esperienze ed iniziative nonviolente. Uri Avnery e' nato ad Hannover nel 1924, ed e' emigrato in Palestina all'avvento del nazismo; gia' militante dell'Haganah e combattente nella guerra del 1948; piu' volte parlamentare, giornalista, impegnato nell'opposizione democratica e nel dialogo col popolo palestinese; e' tra le voci più vive del movimento pacifista israeliano. Opere di Uri Avnery: Israele senza sionisti, Laterza, Bari 1970; Mio fratello, il nemico, Diffusioni 84, Milano 1988] Grazie ad una cara amica, ho scovato un documento molto interessante sul sito dell'organizzazione pacifista israeliana Gush-Shalom. E' un opuscolo di Uri Avnery in inglese (la cui versione pdf puo' essere scaricata dal sito www.gush-shalom.org) dal titolo "Truth against truth: A Completely Different Look at the Israeli-Palestinian Conflict" ("Verita' contro verita'. Una visione completamente differente del conflitto israeliano-palestinese). Per darvi un'idea del contenuto dell'opuscolo, riporto una traduzione della seconda e quarta pagina di copertina: "Gli arabi credono che gli ebrei siano stati trapiantati in Palestina dall'imperialismo occidentale, per soggiogare il mondo arabo. I sionisti, d'altro canto, sono convinti che la resistenza araba all'iniziativa sionista sia semplicemente la conseguenza della natura assassina degli arabi e dell'Islam. L'opinione pubblica israeliana deve riconoscere che al di la' degli aspetti positivi dell'iniziativa sionista, una terribile ingiustizia e' stata inflitta al popolo palestinese. Questo richiede una disponibilita' all'ascolto e alla comprensione della posizione dell'altro in questo conflitto storico, in modo da costruire un ponte tra le due esperienze nazionali ed unificarle in una narrazione comune". "Attenzione! Questo e' un testo sovversivo, che mina i fondamenti su cui si basa il consenso nazionale. Questi 101 punti demoliscono i miti, le bugie convenzionali ed i falsi storici su cui si basano gran parte degli argomenti della propaganda sia israeliana che palestinese. Le verita' di entrambi i lati sono intrecciate in una ricostruzione storica che rende giustizia ad entrambi. Senza questa base comune, la pace e' impossibile". * Secondo Uri Avnery, autore dell'opuscolo, l'incapacita' da parte di Israele (anche della sua sinistra, e di parte del movimento pacifista), di cogliere il punto di vista, le ragioni e le aspirazioni del popolo palestinese ha finora impedito di intraprendere un vero percorso di pace. Per far questo, Avnery ricostruisce la storia di questo lacerante conflitto, partendo dalle sue radici e passando per tutti i momenti piu' significativi (le varie guerre e le varie fasi del cosiddetto "processo di pace") fino ad arrivare ad illustrare quello che potrebbe essere un piano di pace alternativo, in grado di soddisfare le esigenze di sicurezza di entrambi i popoli, su basi di equita', mutuo rispetto e cooperazione. Ovviamente, concordo in pieno con lui. Non solo: credo che il suo lavoro possa indicare un metodo da utilizzare anche in altri conflitti, piu' o meno latenti, anche qui da noi. Ne consiglio quindi la lettura non solo agli amici di Israele e di Palestina, ma un po' a tutti. 10. RILETTURE. ELISABETH BURGOS (A CURA DI): MI CHIAMO RIGOBERTA MENCHU' Elisabeth Burgos (a cura di), Mi chiamo Rigoberta Menchu', Giunti, Firenze 1987, pp. XXIV + 304, lire 15.000. Il libro che ha fatto conoscere Rigoberta al mondo. 11. RILETTURE. RIGOBERTA MENCHU' TUM: RIGOBERTA I MAYA E IL MONDO Rigoberta Menchu' Tum, Rigoberta i maya e il mondo, Giunti, Firenze 1997, pp. X + 350, lire 22.000. Con la collaborazione di Dante Liano e Gianni Mina', e contributi di Humberto Ak'abal ed Eduardo Galeano, il secondo grande libro di testimonianza della donna india guatemalteca premio Nobel per la pace nel 1992. 12. RILETTURE. UFFICIO DEI DIRITTI UMANI DELL'ARCIVESCOVADO DI GUATEMALA: GUATEMALA: NUNCA MAS Ufficio dei diritti umani dell'arcivescovado di Guatemala, Guatemala: nunca mas. Rapporto Remhi, Fondazione Guido Piccini - La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 1998, pp. 344, lire 30.000. Il rapporto conclusivo del progetto "per il recupero della memoria storica" sul trentennale genocidio guatemalteco. Una lettura fondamentale. Per richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito: www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm 13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 14. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1025 del 17 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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