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La nonviolenza e' in cammino. 1021
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1021
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 13 Aug 2005 00:27:04 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1021 del 13 agosto 2005 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti: Polizia ed esercito: una distinzione essenziale 2. Lidia Menapace: Laicita', riproduzione e differenza di genere 3. Carla Ravaioli: Al bivio 4. Francesco M. Cataluccio ricorda Mauro Martini 5. Stefano Catucci ricorda Emilio Garroni 6. Adriana Zarri ricorda Gina Lagorio 7. Riletture: Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti 8. Riletture: Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: POLIZIA ED ESERCITO: UNA DISTINZIONE ESSENZIALE [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo testo, che riassume un passaggio del suo intervento al convegno "Mettere al bando le armi nucleari" svoltosi a Padova lunedi 8 agosto. Enrico Peyretti (1935) e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza; ha insegnato nei licei storia e filosofia; ha fondato con altri, nel 1971, e diretto fino al 2001, il mensile torinese "il foglio", che esce tuttora regolarmente; e' ricercatore per la pace nel Centro Studi "Domenico Sereno Regis" di Torino, sede dell'Ipri (Italian Peace Research Institute); e' membro del comitato scientifico del Centro Interatenei Studi per la Pace delle Universita' piemontesi, e dell'analogo comitato della rivista "Quaderni Satyagraha", edita a Pisa in collaborazione col Centro Interdipartimentale Studi per la Pace; e' membro del Movimento Nonviolento e del Movimento Internazionale della Riconciliazione; collabora a varie prestigiose riviste. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] La difesa militare puramente difensiva si avvicina al concetto di polizia, che va accuratamente distinto dal concetto di esercito e di guerra. La polizia, quando agisce nel suo compito istituzionale (non come a Genova nel 2001), pur portando legittime armi leggere per il caso estremo, riduce la violenza e non l'accresce; l'esercito, fatto per la guerra, ha il compito istituzionale di accrescere la violenza, perche' la guerra si fa per vincerla, e la vince soltanto il piu' armato, il piu' violento, il piu' crudele. Non c'entrano per nulla il diritto e la ragione: la guerra premia la violenza e ignora la ragione, essa e' "l'antitesi del diritto" (come ha scritto piu' volte Bobbio). La distinzione essenziale tra polizia ed esercito, tra azione di polizia e guerra, corrisponde alla differenza concettuale, altrettanto importante e decisiva nella pratica, tra forza e violenza. Nonostante la confusione verbale - sia quella voluta (parlare di Forze Armate, per dire l'esercito, serve a celare la natura violenta dell'esercito), sia quella innocente e pasticciona presente nell'uso linguistico (non poche volte anche nel linguaggio degli studiosi imprecisi) - e' chiaro che la forza e' una virtu', la violenza un vizio; la forza costruisce, la violenza distrugge; la forza difende, la violenza offende; la forza limitata e regolata serve alla giustizia (anche Gandhi ammetteva ancora con tristezza la necessita' della polizia) e a resistere alla violenza, mentre la violenza non si autolimita e non e' mai giusta. La forza di polizia internazionale e' il mezzo previsto nella Carta dell'Onu (ma mai attuato dalle potenze) quando gli altri mezzi non siano bastati a sventare le minacce alla pace, mentre la guerra e' esclusa e condannata, fino dalle prime parole del Preambolo, in questo documento costituente della comunita' dei popoli nella pace. Percio' l'Onu non puo' ne' fare ne' "autorizzare" alcuna guerra - come si e' illegalmente preteso nell'ultimo quindicennio di nuove guerre - perche' e' nata per abolire la guerra, come dichiara e impegna la Carta. Anche degli eserciti e' possibile una riconversione: se si attrezzano nella cultura, nell'educazione, nell'etica, nel reclutamento, nella strumentazione, in funzione puramente ed esclusivamente difensiva, privandosi di ogni capacita' offensiva, si trasformano in istituzione con natura di polizia. 2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: LAICITA', RIPRODUZIONE E DIFFERENZA DI GENERE [Dal mensile "Aprile", n. 127 del maggio 2005 (sito: www.aprile.org). Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it ) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Non si riflette solitamente sull'interesse che le donne hanno nel difendere la laicita' dello stato, come se non vi fossero motivazioni specifiche nell'argomento. Intendo dire che le persone democratiche approvano lo Stato laico e considerano la laicita' dei pubblici ordinamenti come una grande conquista che sta alla base delle democrazie costituzionali moderne, come se tutto cio' fosse indifferente rispetto all'appartenenza di genere. Invece ci sono anche ragioni attinenti al genere, che inducono a prediligere la laicita' dello stato rispetto a qualsiasi altra forma di relazione politico-giuridica. Lo Stato laico a forma di democrazia costituzionale e' il frutto di un cammino politico-giuridico plurisecolare e di un processo giuridico che si puo' dire abbia trovato il suo assetto "stabile" nei due secoli che ci stanno alle spalle. Il risultato e' che le democrazie costituzionali non sono ne' portatrici di una etica dogmatica, ne' indifferenti ai valori e sostenute solo dalla quantita' dei consensi. Tuttavia il processo non e' cosi' consolidato da produrre una convinzione fondata e non possibile da rimettere in discussione: tentativi di riportare indietro il processo a forme di stato etico o di stato confessionale esistono e hanno in questa fase una potente poussee per il momento integrista che le tre grandi religioni monoteiste percorrono e gli imperativi neocons impongono come un nuovo giusnaturalismo economico dogmaticamente affermato. In un giro di pensieri siffatti il genere femminile ha solo da perdere, dato che la sua storia autonoma sta tutta nell'ambito della laicita' degli ordinamenti, come soggetto che piu' a lungo di altri e' stato giudicato secondo criteri imposti dalle religioni e/o dalle tradizioni patriarcali. Persino quando esse sono state comprensive e persino civilizzanti (come le religioni) non hanno potuto consentire la presa di coscienza di se' e l'autonomia decisionale delle donne. Sicche' tali desiderabili mete sono storicamente collocate entro la cornice degli ordinamenti laici. Cio' vale particolarmente per gli ordinamenti che vorrebbero regolare fenomeni del tutto nuovi o nuovi per il modo di presentarsi o per le soluzioni proposte. Infatti su questi non insiste una cultura o una morale gia' depositata dai secoli e che eventualmente deve essere criticata perche' "neutra", ma si apre la strada di una vera discussione e presa di coscienza. * Orbene la questione attinente le tecniche che consentono una riproduzione medicalmente assistita e' proprio di questa qualita': non vi e' in proposito una cultura gia' definita, meno che mai una etica condivisa, e uno stato laico non e' percio' legittimato a legiferare, soprattutto se non raccoglie criticamente le opinioni della popolazione e le priorita' dei generi. Parliamo infatti di un fenomeno vistosamente contemporaneo, cioe' l'aumento molto forte della infertilita' nella specie umana abitante nei paesi ad alto sviluppo industriale e livello di ricchezza. La prima cosa da chiedere alla scienza non e' di dedicarsi a ricerche sintomatiche, per correggere gli effetti, bensi' alla indagine delle cause in modo che si possa rimediare correttamente. Gia' qui ci troviamo di fronte a scelte etiche molto difficili perche' le ricerche costano e se vengono finanziate dalle grandi ditte farmaceutiche o che producono strumenti si rivolgeranno in senso sintomatico, se fossero finanziate pubblicamente dovrebbero prendere in considerazione il bene comune "riproduzione" e rivolgersi piuttosto alle cause e ai rimedi. * Ancora, e questa e' una specificazione di genere, il complesso di denaro e in genere di risorse anche intellettuali che servono per ricerche di questo tipo non puo' essere usato senza alcun riferimento a questioni di giustizia distributiva: e quindi nei paesi ricchi non si dovrebbe finanziare una ricerca che privilegia le donne di questi stessi paesi, mentre i figli delle donne dei paesi poveri muoiono come mosche di malattie infettive, denutrizione, Aids, ecc.: se tra le donne vige la relazione bisognera' volere che il denaro sia distribuito tra ricerca per far avere un figlio a ogni costo alle donne bianche e ricerca per aiutare il diritto a una maternita' degna per le donne povere. Il problema etico che piu' mi colpisce non e' la sorte dell'embrione, che spessissimo la "natura" porta via col mestruo, quando l'organismo della donna non e' pronto, vi e' una preclusione psicologica, malattie, impianto mal riuscito o non so per quali altre ragioni che sarebbero oggetto di ricerche importanti; bensi' come posso difendermi dalle accuse di altre donne povere che mi potrebbero chiedere conto del perche' la loro fecondita' debba essere considerata non significativa e possa essere sprecata con mortalita' neonatale e infantile mentre la nostra avara fecondita' debba essere sostenuta con costosissime ricerche, interventi e terapie. * Secondo me, uno Stato laico attraverso le rappresentanze della democrazia costituzionale dovrebbe dichiarare la sua impreparazione di fronte a una questione intorno alla quale non esiste una morale condivisa, e darsi intanto quelle disposizioni normative che consentano esperienze tali da poter produrre tale morale nel giro di alcuni anni messi sotto monitoraggio. Penso che uno Stato laico debba informare la popolazione sulle percentuali di successo delle varie tecniche, perche' chi vi si accosta sappia quanto puo' sperare e quanto deve anche attrezzarsi psicologicamente all'insuccesso. Inoltre deve informare sulla pericolosita' delle varie tecniche ed evitare le speculazioni economiche sorvegliando che le banche del seme non siano affaristiche e diano ogni garanzia igienica e di salute. Mentre si fa monitoraggio entro un termine dichiarato si puo' anche aprire un bel dibattito sul rapporto tra generazioni e sul generare e forse sviluppare una cultura della genitorialita' diffusa che renda le nostre citta' meno pericolose, meno inquinate, piu' fruibili dai cuccioli della specie umana, e riconosca al collettivo degli e delle adulte una specie di compito di sorveglianza affettuosa e di cura. Eviteremmo alcune tragedie, abbandoni, crudelta', violenze nelle famiglie e anche di credere che qualsiasi affettuosita' verso bambini e bambine sia espressione di pedofilia. Insomma a me pare che la legge debba essere cancellata se vogliamo che su una materia tanto coinvolgente e nuova si faccia una vera riflessione e si possa costruire un'etica civile condivisa alla cui formazione noi donne possiamo dare un contributo decisivo iniziando cosi' anche un tipo di diritto sessuato, una forma di legiferazione per ammissione di "facolta'" piuttosto che per divieti e permessi, un modo piu' maturo e anche piu' umano. * Riprenderemmo cosi' - laicamente - anche alcune grandi ispirazioni del cristianesimo, che ora viene tanto male rappresentato da un'etica della riproduzione biologistica, tecnologica, feroce verso il corpo e incomprensiva dei problemi. Il contrario di una scoperta straordinaria come fu quella di un messaggio che si rivolgeva a uomini e donne e alla loro personale liberta', superando il rapporto di sangue, che caratterizzava i "gentili" appunto, i pagani che si riconoscevano nella gens, invece che nella liberta' e che indica alla venerazione generale Giuseppe, se altri mai padre di un figlio nato da accettata inseminazione eterologa, ma amato come proprio, difeso, nutrito, seguito nelle sue drammatiche vicende fin dalla nascita. Come da un cosi' straordinario esempio di relazione libera tra generi e generazioni si sia arrivati alla ferocia dell'inseminazione persino di embrioni malati, non saprei dire se non facendo un discorso sul patriarcato e sulla fase integralistica cui ho accennato: ma sara' per un'altra volta. 3. RIFLESSIONE. CARLA RAVAIOLI: AL BIVIO [Dal mensile "Aprile", n. 128 del giugno 2005 (nel sito: www.aprile.org) riprendiamo il seguente intervento di Carla Ravaioli. Carla Ravaioli e' un'autorevole giornalista e saggista, si e' occupata principalmente di movimenti sociali, dell'oppressione sulle donne, di economia e di ambiente. Tra le opere di Carla Ravaioli: La donna contro se stessa, Laterza 1969; Maschio per obbligo, Bompiani 1973; La questione femminile, 1976; Il quanto e il quale. La cultura del mutamento, Laterza 1982; Tempo da vendere, tempo da usare, Angeli 1986; (con Enzo Tiezzi), Bugie, silenzi, grida. La disinformazione ecologica in un'annata di cinque quotidiani, Garzanti 1989; Il pianeta degli economisti, ovvero l'economia contro il pianeta, Isedi 1992; Un mondo diverso e' necessario, Editori Riuniti, Roma 2003] Fino a non molti anni fa il problema ambiente era praticamente ignorato dai "grandi della Terra". Non pochi tra i massimi esponenti della politica e dell'economia negavano l'esistenza stessa della crisi ecologica planetaria, liberandosene come di ubbie di cassandre catastrofiste, o tutt'al piu' la consideravano una variabile marginale, separata dai grandi temi della politica. Da qualche tempo pero' le cose vanno cambiando. Leader politici di prima grandezza, da Schroeder a Chirac a Blair, mostrano attenzione e perfino qualche preoccupazione per l'ambiente, e perfino Bush, che solo sprezzanti dinieghi ha opposto al Trattato di Kyoto e piu' volte ha censurato i rapporti del suo stesso governo sulle industrie piu' inquinanti, di recente ha mostrato di avvedersi del problema. A Davos, il celebre consesso che annualmente raccoglie i piu' preziosi cervelli della scienza economica, insieme ai rappresentanti dei massimi poteri mondiali, e' stata dedicata al rischio ambiente non poca parte dell'ultima sessione. E anche il G8 ha organizzato nel marzo scorso a Londra un incontro sul tema. * A contare e' solo il business Tutto cio' dovrebbe essere motivo di compiacimento per gli ambientalisti. Ma la cautela s'impone, se di questi fatti si considerano gli obiettivi e le scelte che ne seguono. Perche' in realta' non e' del crescente squilibrio ecologico che i politici mostrano di preoccuparsi, ma soltanto di una sua manifestazione: il mutamento del clima. E nel preoccuparsene non si propongono la difesa dell'ambiente, ma quella dell'economia. In questo senso il recente dibattito del G8 e' quanto mai istruttivo. "L'impatto dell'ambiente sull'economia" s'impone come tema centrale fin dalla relazione introduttiva del cancelliere inglese Gordon Brown, e la minaccia ecologica per l'economia mondiale, il rischio di rallentamento della crescita, il costo economico di un possibile ulteriore innalzamento della temperatura media, sono i temi piu' insistiti. L'altro e' la necessita' di sostituire il petrolio: non tanto, parrebbe, in quanto causa prima di inquinamento ma perche' sta finendo, e anche le trivellazioni piu' spinte in profondita' o cinicamente promosse in zone di grande valore naturalistico e culturale, non danno i risultati sperati. Esemplare il breve passo che Bush, nella sua allocuzione pronunciata a Bruxelles durante la recente visita europea, ha dedicato al mutamento climatico; il quale - ha detto - va affrontato come una "grande sfida", da condurre "ricercando, sviluppando, promuovendo nuove tecnologie... cosi' che tutte le nazioni potranno progredire economicamente rallentando le emissioni di gas serra". Salvare l'economia, e' dunque l'obiettivo primo, l'unico, si direbbe, del mondo politico. E salvarla nel suo "progredire", cioe' nella sua forma attuale, finalizzata a uno sviluppo di fatto identificato con la crescita del Prodotto interno lordo (Pil), secondo la struttura e la regola del capitalismo, cioe' di un sistema fondato sull'accumulazione, di cui la crescita esponenziale del prodotto e' lo strumento indispensabile. Crescita indiscriminata - si noti - che non distingue tra produzione e produzione, ne' si pone domande circa le ragioni e le conseguenze della produzione medesima; che cioe' persegue solo la valorizzazione dei capitali e in modo astrattamente autoreferenziale, totalmente separato dalla realta' sociale e dai suoi bisogni. Secondo il computo invalso, il Pil calcola infatti in positivo anche il reddito che in vario modo segue ogni catastrofe, alluvione, frana, terremoto, incidente ferroviario o stradale, guerra: dunque mettendo il segno + davanti al prodotto dovuto all'aumentata attivita' di ospedali, cliniche, medici, infermieri, ambulanze, pompe funebri, azioni di disinquinamento, ripristini di edifici strade binari, ecc.; ma di questi eventi non considera in alcun modo le conseguenze negative, e ne ignora totalmente non solo le perdite materiali e i guasti fisici di ogni tipo, ma morti, feriti, mutilati, dispersi, senza casa. Cosi' pure, in perfetta coerenza, il Pil aumenta con la fabbricazione e il commercio di armi e materiale bellico di ogni tipo. Non a caso economisti del calibro di Keynes e Galbraith esplicitamente indicano la guerra come la consueta soluzione di crisi e stagnazioni economiche, e Chomsky ne parla come di un normale mezzo di gestione dell'economia. Questo e' il Pil, utilizzato come misura non solo di prosperita' economica, ma di benessere e progresso sociale, da tutti i politici, di destra e di sinistra. Questa e' la crescita, da ogni parte continuamente auspicata come soluzione di tutti i problemi del mondo: ignorando che gli ultimi decenni, pur segnati da un costante aumento produttivo, hanno visto dovunque una drammatica caduta dell'occupazione, uno sfruttamento sempre piu' duro del lavoro, un attacco sistematico allo stato sociale, un aumento delle disuguaglianze non solo tra il Nord e il Sud del mondo, ma anche all'interno dei paesi industrializzati. Questo e' cio' che le politiche "ambientali" dei responsabili del nostro futuro strenuamente si impegnano a conservare. * La realta' deformata Gli strumenti proposti al fine di conseguire tale obiettivo sono i piu' diversi. Cinici e iniqui come il mercato dei crediti di emissioni di gas serra; fantasiosi e improbabili come il sequestro di anidride carbonica nel sottosuolo; ad altissimo rischio come il rilancio del nucleare; freddamente sprezzanti di ogni ragione ecologica e sociale come la costruzione di 1.500 muove centrali elettriche, con inevitabile devastazione di valli spesso di straordinaria bellezza, sommersione di paesi di grande valore storico e culturale, migrazione forzata di intere popolazioni. Ma gli strumenti su cui si punta con piu' impegno ed entusiasmo sono le energie rinnovabili, eolico, solare, idrogeno, ritenute da sole capaci di sostituire i fossili. In questo, d'altronde, assumendo scelte che da tempo appartengono all'ambientalismo. Scelte che sono indubbiamente necessarie, ma non risolutive, e per certi versi non poco rischiose. La polarizzazione dell'attenzione pubblica sulla ricerca di energie rinnovabili onde sconfiggere effetto serra e mutamento climatico comporta infatti una lettura deformante della realta'. Un'analisi che dimentica che non esiste energia in assoluto non inquinante: anche l'eolico e il solare, se applicati su vasta scala, comportano forte dequalificazione paesistica o artistico-culturale. E che tace il fatto che la produzione di ogni tipo non e' solo consumo di energia, ma di numerose altre materie prime: cosi' che ad esempio la fabbricazione di un'auto (come ci dice John Mc Neil) crea un inquinamento equivalente a quello procurato dalla stessa in dieci anni di circolazione. E soprattutto tende a dare lo sconvolgimento climatico conseguente all'effetto serra non come il fenomeno piu' allarmante del guasto ambientale (quale in effetti e'), ma come il problema ambiente tout court: con una consolatoria quanto pericolosa semplificazione che mette in sordina la miriade di altri problemi, alcuni gravissimi, dalla crisi idrica, all'accumulo dei rifiuti, alla perdita di biodiversita', all'inquinamento diffuso che insidia la salute di tutti, altri minori, ma che tutti insieme si sommano nel gigantesco problema del nostro futuro sulla Terra. Si crea cosi', nell'insistita sovraesposizione mediatica di ogni nuova scoperta scientifica e di ogni mirabolante invenzione tecnologica, l'ottimistica attesa di un prossimo futuro libero da inquinamento e scarsita' energetica. Un futuro in cui non esistano vincoli non solo alla illimitata produzione e circolazione di autoveicoli, ma alla crescita del Pil da tutti invocata e alla moltiplicazione dei consumi ossessivamente auspicata; e la ricchezza aumenti tanto che a ognuno possa toccarne prima o poi la sua fetta, magari, perche' no, una fetta grossa. Non e' questa la favola bella del capitalismo? * Cure risapute e non efficaci In tutto cio', come dicevo, la posizione delle sinistre non si distingue, o quasi, da quella delle destre. E non solo per quanto riguarda le politiche ambientali. In effetti anche da sinistra l'insistito auspicio di una solida ripresa economica, mediante piu' alta produttivita' e competitivita', aumento dei consumi e della crescita, rivela un sostanziale allineamento al paradigma socioeconomico oggi vincente nel mondo; quello stesso che - sacrosantamente quanto contraddittoriamente - viene (dalla stessa sinistra) poi accusato di impostare la propria strategia economica su disuguaglianze e esclusioni, di scaricare sul lavoro tutti i costi che il mercato non sopporta, di cancellare garanzie e diritti sociali. In questa logica le stesse attivita' in difesa dell'ambiente, benche' senza dubbio dalle sinistre praticate con maggiore assiduita' e impegno, difficilmente possono andare oltre l'iniziativa episodica anche se significativa. In pratica limitandosi a un piccolo riformismo ecologico, lontanissimo dal toccare la radice del problema. E' cosi' che le sinistre continuano a sostenere vecchie politiche sviluppiste richiamandosi al dovere di sconfiggere poverta' e fame, senza considerare che, come attesta la Fao, il mondo produce cibo sufficiente a sfamare tutti i suoi abitanti, e che a impedirlo e' soltanto l'iniquita' di una distribuzione governata dagli interessi del mercato e delle multinazionali. E' cosi' che le sinistre continuano a sentire in conflitto i due massimi problemi del nostro tempo, crisi ecologica e disuguaglianza sociale, invece di leggerli come le due facce di un unico problema, conseguenti a un modello economico socialmente quanto ecologicamente insostenibile. E non sembrano nemmeno sfiorate dall'idea che proprio il rischio ambientale potrebbe essere impugnato come la piu' convincente evidenza della totale insostenibilita' del capitalismo, del quale, secondo la ragione stessa del loro esistere, le sinistre dovrebbero volere la fine. Ma oggi sono ormai pochi a ricordarsene. 4. LUTTI. FRANCESCO M. CATALUCCIO RICORDA MAURO MARTINI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 agosto 2005. Francesco M. Cataluccio, saggista, studioso delle letterature e delle societa' dell'Europa dell'est, traduttore, direttore editoriale, esperto di letteratura polacca, ha trascorso lunghi periodi di studio in Polonia; scrive su "Diario", "Il manifesto", "Il Sole - 24 Ore", "Zeszyty Literackie"; ha curato le edizioni italiane di opere di Bronislaw Geremek, Witold Gombrowicz, Gustaw Herling, Bruno Schulz. Tra le opere di Francesco M. Cataluccio: Immaturita'. La malattia del nostro tempo, Einaudi, Torino 2004. Mauro Martini, nato a Venezia nel 1956 e deceduto a Firenze pochi giorni fa, giornalista, saggista, docente universitario, studioso di letterature slave, autore e curatore di testi per diversi editori, ha insegnato letteratura russa all'Universita' di Trento; dagli inizi degli anni Ottanta ha svolto un'attivita' giornalistica, pubblicistica e di ricerca sulla situazione politica, sociale e culturale dei paesi dell'Europa centro-orientale e dell'ex Unione Sovietica. Tra le opere di Mauro Martini: Le mura del Cremlino, Reverdito, Trento 1987; Oltre il disgelo, Bruno Mondadori, Milano 2002; Mauro Martini legge 'Il dottor Zivago' di Boris Pasternak, Metauro, Pesaro 2003; L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell'Urss, Einaudi, Torino 2005] E' morto ieri mattina a Firenze, dopo una breve e aggressiva malattia, Mauro Martini, il piu' originale e profondo conoscitore della letteratura, della politica e della societa' russa che avevamo in Italia. Aveva quarantanove anni e insegnava Letteratura russa all'Universita' di Trento, scriveva regolarmente per "Alias" e "Il manifesto", oltre che per altre testate (come "Il foglio" e "L'Espresso"). Era un veneziano dolce e triste, un uomo di grande cultura e interessi (conosceva tra l'altro, cosa rara in uno slavista, perfettamente, il polacco e il ceco e la letteratura di quei paesi). Uno spirito libero da ogni forma d'ideologia (era stato iscritto al Pci in gioventu') e disciplina accademica e culturale. Insegnava all'universita' senza essersi mai laureato (raro caso, diceva scherzando, come Furio Jesi, al quale si ispirava nel metodo di studio e di ricerca). Studente di storia contemporanea all'Universita' di Firenze, si era occupato dei drammatici rapporti tra il partito comunista polacco e quello sovietico negli anni Trenta. Consegnata la tesi, frutto d'anni di ricerche negli archivi polacchi, non si presento' mai alla discussione ("la laurea non ha senso", spiego' ai professori e agli amici esterrefatti). In Polonia (poiche' in Unione Sovietica sarebbe stato impensabile fare questo tipo di ricerche) era entrato in contatto con gli ambienti dell'opposizione che avrebbe dato vita di li' a pochi anni a Solidarnosc. Coraggiosamente si offri' di portare da Berlino ovest a Varsavia, dentro capienti borsoni da ginnastica neri, ciclostili smontati per aiutare la stampa clandestina di libri e giornali. Quando si parlava con Adam Michnik o Jacek Kuron della situazione italiana, ci si sentiva sempre chiedere: "Cosa ne pensa Mauro Martini?". Ebbe molta influenza su di loro: ci passava le serate a bere vodka e discutere di Nicola Chiaromonte, di Silone, del Partito d'azione, dell'eurocomunismo. * Ma la sua passione era la Russia. Aveva un'affinita' particolare con quel mondo. Niente a che fare col mito della patria del socialismo realizzato, ne' tantomeno col solito dostojevskianesimo d'accatto, tipo "tormentata anima russa" e icone luccicanti. Martini era affascinato dal senso tragico di un problema tutt'oggi poco compreso e studiato: la Russia come problema per l'Occidente, e l'Occidente come problema per la Russia. Suoi punti di riferimento erano gli scritti di Dieter Groh (La Russia e l'autocoscienza europea, Einaudi), del suo maestro Vittoria Strada, ma soprattutto le riflessioni degli intellettuali polacchi come lo scrittore Gustaw Herling, Andzej Walicki (autore di Slavofilismo. Un'utopia conservatrice), Ryszard Przybilski e Wiktor Woroszylski. Per questo, all'interno del dissenso russo, preferiva le posizioni di un Siniavskij a quelle di Solzenicyn. C'e' una bella e significativa fotografia che lo ritrae, col mezzo toscano in bocca, durante uno dei dibattiti alla Biennale del dissenso (Venezia, 1977), accanto proprio a Siniavskij e Herling. Martini, non possedendo appoggi accademici o ufficiali e non potendo fare altrimenti, viaggiava in lungo e in largo l'Unione Sovietica facendo l'accompagnatore turistico per l'Italtour. Trovava sempre il tempo per fare un salto nelle librerie e le biblioteche o incontrare di nascosto qualche dissidente. Fini' col passare spesso da Samarcanda, mostruosa ricostruzione di un passato crollato per i terremoti e le guerre: simbolo, per lui, del futuro di una nazione destinata a esplodere come una galassia impazzita, tra violenze e mafie, ma anche liberta' e nuove, inedite, possibilita'. * Agli inizi degli anni ottanta fu tra i fondatori e i principali animatori del trimestale sul dissenso in Urss e nel centro Europa "L'ottavo giorno"; contribui' all'esperienza del supplemento di "Reporter", "Fine secolo", diretto da Sofri; diresse il mensile fondato da Silone e Chiaromonte "Tempo presente", trasformando uno stanco organo del Psdi nella vivace e interessante rivista delle origini, aperta alle questioni politiche e culturali dell'Est, cosi' come fece successivamente con il mensile "Mondo operaio". I suoi scritti di quegli anni, anche per altre riviste e giornali, rielaborati e ripensati in un disegno unitario, furono pubblicati col titolo Le mura del Cremlino (Reverdito, 1987). Dopo il 1989, Martini si dedico' alle traduzioni (tra le quali, vanno ricordati i racconti di Gustaw Herling, Gli spiriti della rivoluzione russa di Nikolaj Berdjaev e la recentissima antologia enaudiana: La nuovissima poesia russa), alla consulenza editoriale (per Einaudi) e continuo' a focalizzare i suoi interessi sulla letteratura, come principale fonte di interpretazione della societa', come dimostrato nel saggio sul Dottor Zivago (Metauro 2003). Questi studi hanno prodotto due libri che rimangono come un testamento culturale imprescindibile per coloro che vogliono capire la Russia: Oltre il disgelo. La letteratura russa dopo l'Urss (Bruno Mondadori, 2002) e L'utopia spodestata. Le trasformazioni culturali della Russia dopo il crollo dell'Urss (Einaudi 2005). Uno dei libri che amava di piu' era Mosca-Petuski di Venedikt Erofeev (conosciuto anche come Mosca sulla vodka, nell'edizione feltrinelliana): il capolavoro della letteratura del samizdat che fece conoscere al mondo un'altra Russia, amara e ironica, senza illusioni ne' orgoglio, che si consolava con le donne e l'alcol. Nell'ultimo anno, Martini, progettava, oltre a una nuova traduzione di una scelta delle poesie di Vladimir Majakovskij (che dimostrasse finalmente che era un "grande poeta d'amore"), uno studio su Isaak Babel', l'autore dell'Armata a cavallo, a suo dire "il piu' grande scrittore russo del Novecento, il precursore di Erofeev e di tutti coloro che, in quella bellissima lingua, vorranno e sapranno continuare a raccontare la tragicomica vicenda umana". 5. LUTTI. STEFANO CATUCCI RICORDA EMILIO GARRONI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 agosto 2005. Stefano Catucci (Roma, 1963) si e' laureato in Filosofia all'Universita' di Roma La Sapienza e ha studiato presso la Freie Universitat di Berlino e l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, conseguendo il dottorato di ricerca in Estetica all'Universita' degli Studi di Bologna. Ha svolto attivita' didattica nelle universita' di Roma "La Sapienza", "Roma Tre", e all'Universita' di Paris X Nanterre. Alla Facolta' di Architettura dell'Universita' di Camerino insegna Estetica dal 1996. Oltre all'attivita' di ricerca, e' attivo nel campo della saggistica e dell'organizzazione musicale, collaborando con istituzioni quali il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro Carlo Felice di Genova e l'Accademia Filarmonica Romana, del cui Comitato Artistico fa parte dal 1995. Per Rai-Radio3 conduce dal 1989 programmi musicali e culturali, mentre dal 2000, insieme a Michele Dall'Ongaro, e' direttore artistico dei Concerti di Radio3 al Quirinale. Opere di Stefano Catucci: le sue pubblicazioni vertono principalmente sulla storia del pensiero filosofico ed estetico del Novecento francese e tedesco; fra le altre si segnalano i volumi La filosofia critica di Husserl, Guerini e Associati, Milano 1995; Introduzione a Foucault, Laterza, Roma-Bari 2000; Per una filosofia povera. La Grande Guerra, l'esperienza, il senso: a partire da Lukacs, Bollati Boringhieri, Torino; nonche' i saggi "Lukacs lettore della Critica del Giudizio", in P. Montani, a cura di, Senso e storia dell'estetica, Pratiche, Parma 1996; Gli animali di Celine, in "Rivista di Estetica", 1996; Estetica della censura, in "Almanacchi Nuovi", 1997; ha collaborato al progetto e alla scrittura del Dizionario di Estetica, curato da G. Carchia e P. D'Angelo, Laterza, Roma-Bari 1999, curando, fra le altre, la voce "Teorie dell'architettura". Emilio Garroni (1925-2005), filosofo, saggista, narratore, e' stato uno dei protagonisti del dibattito filosofico della seconda meta' del Novecento. A lungo professore di Estetica all'Universita' di Roma La Sapienza, ha contribuito a introdurre in Italia la semiotica, elaborandone successivamente una critica radicale a partire dalla filosofia kantiana; gia' collaboratore di programmi televisivi della Rai (in particolare de "L'approdo") e del quotidiano "Paese Sera", e' stato autore di importanti opere in cui si e' occupato di storia e critica d'arte, di semiotica generale, dei cosiddetti linguaggi non-verbali; ha indagato temi estetici secondo il profilo semiotico, successivamente aprendoli a problemi epistemologico-estetici a partire dalla Critica del Giudizio di Kant. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche riprendiamo la seguente scheda: "Emilio Garroni e' nato a Roma il 14 dicembre 1925. Dal 1951 assistente volontario di filosofia teoretica presso la Facolta' di Lettere e Filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma, ha conseguito nel 1964 la libera docenza in Estetica. Professore incaricato di Estetica dal 1964, e' ordinario di questa disciplina presso la medesima Facolta' dal 1973. Gli e' stato conferito il titolo di Doctor honoris causa della Universidad de la Plata (Argentina) il 2 novembre 1993. Negli anni Cinquanta e Sessanta si e' occupato di storia e critica d'arte e negli Sessanta-Settanta di semiotica generale e, in particolare, dei cosiddetti linguaggi non-verbali. Il suo campo di ricerca principale pero' e' sempre stata l'estetica e la filosofia in genere, con particolare riguardo, negli ultimi anni alla Critica del Giudizio di Kant. Garroni ha praticato costantemente anche una scrittura di tipo 'narrativo'. Opere di Emilio Garroni: La crisi semantica delle arti, Officina, Roma 1964; Semiotica ed estetica, Laterza, Bari 1968; Progetto di semiotica, Laterza, Roma-Bari 1973; Pinocchio uno e bino, Laterza, Roma-Bari 1975; Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla Critica del Giudizio, Bulzoni, Roma 1976; Ricognizione della semiotica, Officina Edizioni, Roma 1977; Senso e paradosso. L'estetica, filosofia non speciale, Laterza, Roma-Bari 1986; Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992; Osservazioni sul mentire e altre conferenze, Teda, Castrovillari l994. Garroni e' autore delle voci Creativita', Spazialita', I paradossi dell'esperienza dell'Enciclopedia Einaudi, Torino l978 e sgg., di parecchi saggi e articoli di semiotica e di estetica e di alcuni libri di narrativa"] Avrebbe compiuto ottant'anni il prossimo dicembre e aveva gia' preparato per gli amici un piccolo dono: un'edizione limitata, corredata da riproduzioni dei suoi quadri, di un libro-intervista di cui aveva finito di mettere a punto il testo solo poche settimane fa. Emilio Garroni si e' spento venerdi' notte, in una clinica romana, lasciando pero' che la data del 2005 potesse essere associata anche all'uscita di un suo importante lavoro teorico, l'ultimo, uscito nel febbraio scorso per Laterza con il titolo Immagine Linguaggio Figura. Un libro scritto con giovanile freschezza, come se lasciandosi alle spalle ogni preoccupazione di tipo formale avesse trovato uno stile saggistico nuovo, fluido e rivolto all'esperienza quotidiana come vuole la tradizione anglosassone, ma anche denso di sapienza storica come vuole la tradizione continentale. Da sempre non allineato a simili semplificazioni, Emilio Garroni ha scritto cosi' un'opera impegnativa, tra le piu' importanti del suo catalogo, scegliendo un tono colloquiale, una prosa scorrevole, esempi quotidiani e persino giocosi dai quali emerge, pero', tutto lo spessore di una riflessione originale e complessa sulla questione dell'immagine, sul suo rapporto con la sensazione e con la percezione, con l'immaginazione e con il linguaggio, sull'impossibilita' di identificare il senso dell'immagine con la sua semplice esteriorizzazione, ovvero con la "figura" che puo' comparire in un disegno, in un oggetto, in una fotografia, in un quadro. Un'epoca come la nostra, che ormai da piu' di cinquant'anni si definisce "civilta' dell'immagine", ma sembra avere smarrito la consapevolezza di cosa un'immagine sia, ha molto da imparare da questo libro capace di mettere in gioco piani diversi, di analizzare il modo in cui ci orientiamo nel mondo, costruiamo significati, ci manteniamo sul bordo di un'indeterminatezza che per un verso contribuisce a definire il contenuto positivo delle nostre conoscenze, ma per un altro indica loro possibili orizzonti di cambiamento. Il rischio che oggi corriamo, aveva scritto in un libro uscito appena un anno fa (L'arte e l'altro dall'arte, Laterza), e' di ignorare "la complessa totalita' dell'immagine interna", che e' "fonte di esperienze sempre aperte al nuovo", e di fermarci solo alla figura, cioe' "a un simulacro riduttivo che si spaccia per autoevidente, essendo in realta' solo risaputo". Nel tentativo di scongiurare questo rischio, Immagine Linguaggio Figura respinge ogni riduttivismo e compie un percorso a ritroso, il cammino lungo il quale l'immagine prende forma: dalla sensazione alla sua traccia nel ricordo, dalla selezione di tratti pertinenti al riconoscimento, dai meccanismi della percezione alla loro correlazione con il linguaggio e agli schemi di un'immagine interna che rinvia a un supporto esterno, a una figura, pur non essendo mai identificabile con essa. Misurata anche su casi concreti, presi dalla vita di ogni giorno e in qualche caso dall'arte, la lingua filosofica di Garroni si rivela in grado di far parlare la rete di mediazioni di cui l'immagine e' intessuta e al tempo stesso di cogliere quanto mobile sia, sotto i nostri piedi, il terreno di un'esperienza che spesso ci appare cristallizzata in forme non negoziabili, non trasformabili, ma solo e semplicemente "date" come incontrovertibili ovvieta'. "A questo tende la nostra immagine del mondo", scrive Garroni in una pagina del libro: "a trasformarsi via via, attraverso il linguaggio, in significati determinati" i quali confinano, tuttavia, con una indeterminatezza decisiva, costitutiva, testimoniata al meglio dai meccanismi della percezione. La fragilita' di questo confine e' tale da rendere i nostri significati "sempre rivedibili, sempre estendibili o restringibili", comunque sempre "mutevoli" di fronte allo sforzo di ricomprenderli o ricontestualizzarli in senso estetico o scientifico, storico o politico. Riduttivismi e banalizzazioni sono percio' i nemici principali non solo dello sguardo filosofico, ma di un qualsiasi sguardo che voglia farsi carico del senso formativo dell'immagine e della mutevolezza che le e' propria. Dall'immagine, infatti, provengono sempre un richiamo a comprendere diversamente e un'apertura verso il nuovo che sono anche le prerogative del pensiero critico: vale a dire dell'impresa filosofica che Emilio Garroni ha perseguito senza riserve. * Anche in quest'ultimo libro sono costanti i riferimenti a due autori che hanno accompagnato la riflessione di Garroni lungo quasi trent'anni di lavoro, Kant e Wittgenstein. Lo studio di Kant, e in particolare della Critica della facolta' di giudizio, era stato avviato nel 1976 da Estetica ed epistemologia, saggio che ha contribuito a trasformare profondamente l'interpretazione del pensiero kantiano e a definire una nuova visione dell'estetica: filosofia "non speciale", come Garroni amava ripetere, non rivolta, cioe', a un campo d'indagine specifico, l'arte o la bellezza, ma forma eminente del pensiero critico. Da Wittgenstein, d'altra parte, e in particolare dalle Ricerche filosofiche, aveva preso in prestito un'espressione chiave, "guardare-attraverso", con la quale le basi del pensiero critico venivano chiarite e riassunte in una formula: ogni filosofia si interroga sul senso dell'esperienza, ma non puo' farlo se non dall'interno di quella stessa esperienza, senza poter coltivare l'illusione di un luogo d'osservazione ideale, separato dall'esperienza e che ci offra, di essa, una visione totalizzante. Se e' stata la tradizione metafisica a coltivare questa illusione, la storia dell'estetica, a partire dal Settecento, rivela secondo Garroni l'esistenza di una filosofia antimetafisica, cioe' consapevole di questa preliminare e insuperabile collocazione del nostro sguardo all'interno dell'esperienza che interroghiamo. Quel che ci e' dato, percio', non e' uno sguardo totalizzante sui limiti della nostra esperienza, ma appunto un "guardare-attraverso", ovvero la possibilita' di intravedere quei limiti solo a partire dai singoli fenomeni sui quali, di volta in volta, svolgiamo la nostra riflessione. E' intorno a questi temi che ruotano due scritti decisivi di Emilio Garroni, Senso e paradosso (1986) e Estetica. Uno sguardo-attraverso (1992). Il nostro essere gia' da sempre immersi nell'esperienza, e tuttavia capaci di interrogarne il senso pur restando al suo interno, e' infatti un "paradosso fondante" da ricondurre non a un principio intellettuale, ma precisamente a un sentimento estetico. Nell'esperienza estetica, scrive Garroni, "non solo facciamo esperienze, ma la' sentiamo di essere-nell'esperienza, che ha senso fare esperienza e che da queste puo' sorgere una conoscenza effettiva". * Garroni aveva gia' mosso i suoi primi passi nella direzione di un pensiero critico al tempo dei suoi fortunati studi sulla semiotica: Estetica e semiotica (1968), Progetto di semiotica (1972) e soprattutto Ricognizione sulla semiotica (1977). Il programma di una disciplina che mirava a rendere conto dei linguaggi storico-naturali e dei codici come se disponesse di una lingua "altra", un metalinguaggio non contaminato da cio' su cui si applicava, lo aveva spinto a formulare gravi riserve delle quali non si e' ancora del tutto fatto tesoro. Ma e' certo che l'opera di dissodamento filosofico consistita nel delineare l'ambito di un'estetica critica, oltre al lavoro su Kant culminato nella nuova traduzione della Critica della facolta' di giudizio (1999, in collaborazione con Hansmichael Hohenegger), lo hanno tenuto per molto tempo lontano dall'esercizio critico diretto sulle opere d'arte. Solo negli ultimi anni Garroni e' tornato a riflettere su opere letterarie e cinematografiche, oltre che sull'amatissima musica, ma mai perdendo di vista un interesse teorico generale, cosi' che in ogni singolo saggio, fosse dedicato ai romanzi di Thomas Bernhard o all'ultimo film di Bergman, Sarabanda, il principio del "guardare-attraverso" si mostrava all'opera, in concreto, interrogando l'esperienza tramite occasioni di pensiero di volta in volta diverse. Ma senza mai recedere dalla vocazione critica della scrittura filosofica. 6. MEMORIA. ADRIANA ZARRI RICORDA GINA LAGORIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 31 luglio 2005. Adriana Zarri, nata a S. Lazzaro di Savena nel 1919, e' teologa e saggista. Tra le sue opere segnaliamo almeno: Nostro Signore del deserto, Cittadella, Assisi; Erba della mia erba, Cittadella, Assisi; Dodici lune, Camunia, Milano; Il figlio perduto, La Piccola, Celleno. Gina Lagorio, scrittrice, e' nata nel 1922 a Bra', in Piemonte, da genitori piemontesi, ma la famiglia si trasferisce presto in Liguria. Insegnante per molti anni, all'impegno culturale ha unito una forte passione morale e civile; e' stata deputata della sinistra indipendente. E' deceduta il 17 luglio 2005. Opere di Gina Lagorio: Le novelle di Simonetta, 1960; Il polline, 1966; Fenoglio, 1970; Approssimato per difetto, 1971; La spiaggia del lupo, 1977; Fuori scena, 1979; Sbarbaro, un modo spoglio di esistere, 1981; Tosca dei gatti, 1983; Penelope senza tela, 1984; Golfo del paradiso, 1987; Russia oltre l'Urss, 1989; Freddo al cuore, 1989; Tra le mura stellate, 1991; Il decalogo di Kieslowski, 1992; Il silenzio, 1993; Il bastardo, 1996; Inventario, 1997; L'arcadia americana, 1999] Facciamo memoria di Gina Lagorio, recentemente scomparsa, citando una dichiarazione resa nel '91, quand'era parlamentare: "Non votero' a favore della guerra per nessuna proclamata buona ragione. Non credo che la guerra abbia mai buone ragioni, tanto piu' duemila anni dopo le parole di Cristo". Duemila anni sono molti e quelle parole paiono seppellite da secoli e secoli di storia e tuttavia insegnano ancora. 7. RILETTURE. MARGUERITE YOURCENAR: AD OCCHI APERTI Marguerite Yourcenar, Ad occhi aperti, Bompiani, Milano 1982, 1989, pp. 272, lire 8.000. La grande scrittrice (1903-1987) si racconta in una serie di conversazioni con Matthieu Galey. 8. RILETTURE. JOSYANE SAVIGNEAU: MARGUERITE YOURCENAR Josyane Savigneau, Marguerite Yourcenar. L'invenzione di una vita, Einaudi, Torino, 1991, 1993, pp. 508, lire 16.000. Una bella, vasta e profonda, fine ed acuta bioografia. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1021 del 13 agosto 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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