[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1008
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1008
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 31 Jul 2005 00:41:16 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1008 del 31 luglio 2005 Sommario di questo numero: 0. Comunicazione di servizio 1. Peppe Sini: Pio Baldelli, Gina Lagorio, Cesare Cases 2. Enrico Peyretti: Il canto del disperato 3. Annamaria Rivera e Giovanni Russo Spena ricordano Dino Frisullo 4. Claudio Cardelli: Don Zeno Saltini e l'esperienza di Nomadelfia 5. Chiara Zamboni colloquia con Esther Cohen 6. Venti letture per una cultura della pace 7. Riletture: Angela Borghesi, La lotta con l'angelo 8. Riletture: Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria 9. Riletture: Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri 10. Riletture: Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO Per un temporaneo problema tecnico del server, i numeri 1005 e 1006 del notiziario, e il supplemento "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 22, non sono pervenuti agli iscritti alla nostra mailing list. Ce ne scusiamo con i lettori. Non ritenendo opportuno procedere ad un simultaneo secondo invio di tutti e tre i fascicoli a tutti i destinatari per non correre il rischio di intasare le caselle postali di alcuni interlocutori, informiamo le persone interessate a riceverli che possono farcene richiesta (al nostro indirizzo e-mail: nbawac at tin.it) e provvederemo ad inviarli ex novo a tutti coloro che li richiederanno. Ovviamente quei fascicoli possono anche essere letti direttamente nelle specifiche pagine web del sito di Peacelink al nostro notiziario dedicate (il cui indice e' alla pagina web http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html ), e sono raggiungibili anche attraverso il sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) dalla home page cliccando su "La nonviolenza e' in cammino", cosi' come dalla home page del sito di Peacelink (www.peacelink.it) anche da qui cliccando su "La nonviolenza e' in cammino". Ritenendo di far cosa utile riproduciamo di seguito gli indici dei testi contenuti nei tre fascicoli: - Sommario de "La nonviolenza e' in cammino" n. 1005 del 28 luglio 2005: 1. Riccardo Orioles: Una cosa. Bella; 2. Giuliana Sgrena ricorda Adnan al Bayati; 3. Gian Carlo Caselli ricorda Paolo Borsellino; 4. Osvaldo Caffianchi: Nel tubo; 5. Piero Viotto: Un profilo di Jacques Maritain (parte terza e conclusiva); 6. Letture: Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan; 7. Letture: Maurizio Chierici (a cura di), Lula, mille giorni difficili; 8. Letture: Gigliola De Donato, Sergio D'Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi; 9. Riletture: Britta Benke, Georgia O'Keeffe; 10. Riletture: Andrea Kettenmann, Frida Kahlo; 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento; 12. Per saperne di piu'. - Sommario di "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 22 del 28 luglio 2005: Brunella Casalini: Universalismo e diritti delle donne. Il contributo di Martha Nussbaum. - Sommario de "La nonviolenza e' in cammino" n. 1006 del 29 luglio 2005: 1. Farid Adly: Noi, l'umanita'; 2. Alex Zanotelli: Un continente in fuga; 3. Brunella Casalini presenta "Il sentimento della liberta'" a cura di Raffaella Baritono; 4. Maria Chiara Pievatolo: La riflessione di Susan Moller Okin; 5. Riccardo Orioles: Auguri; 6. Riletture: Maria Grazia Giannichedda, Franca Ongaro Basaglia (a cura di), Psichiatria tossicodipendenza perizia; 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento; 8. Per saperne di piu'. Di nuovo ci scusiamo con tutte e tutti, e ci fara' molto piacere inviare questi numeri arretrati a chiunque ce ne fara' richiesta. 1. LUTTI. PEPPE SINI: PIO BALDELLI, GINA LAGORIO, CESARE CASES Per i poveri diavoli che hanno la mia eta' e hanno fatto il mio mestiere (anzi: la mia girandola di mestieri, bizzarri taoisti compassionevoli dell'umanita' e del mondo, divorati dall'inquietudine dell'insufficienza e dall'urgenza, dalla "febbre del fare") Pio Baldelli resta un punto di riferimento. La passione per il "potere di tutti", un approccio rigoroso e non subalterno ai mass-media, un impegno civile costante, una generosita' e una curiosita' sempre fresche, sempre sorgive. Per garantire a tutti il diritto di parola si rese anche piu' volte generosamente disponibile a fungere da direttore responsabile di testate di informazione "alternativa", che non sempre avevano la sua onesta' e il suo rigore, la sua intelligenza e la sua umanita' (molte idiozie e fin atrocita' si scrissero e si dissero negli anni '70 - e ne proviamo ancor oggi come allora un'indignazione e un dolore che non si estinguono). Ai militanti che si affacciarono alla lotta politica nei fragorosi anni aperti, anzi squadernati dal sessantotto, le riflessioni di Baldelli approntarono strumenti di lavoro ermeneutico e pratico ricchi e fecondi. Solo nel corso del tempo ricostruii come nella sua storia c'era, fondativo, il lavoro con Capitini, l'esperienza dei Centri di orientamento sociale, la lezione barbianese, le esperienze educative e giornalistico-editoriali a un tempo con altre persone molto care (come Lanfranco Mencaroni, che qui colgo l'occasione per salutare e ringraziare ancora). * Di Gina Lagorio ha scritto Giulio Vittorangeli un commovente ricordo qualche giorno fa, al quale fervidamente mi associo. Dovrei avere da qualche parte qualche sua lettera (anche della sua benevolenza in momenti decisivi ebbi il generoso dono) e l'intervento che mando' anche al convegno viterbese del 1987, il primo dei due che organizzammo per ricordare Primo Levi, allora da poco scomparso. Ho amato i suoi libri ed insieme ho sempre sentito che - a differenza di tanti scrittori - molto al di la' dei suoi libri la sua persona fosse, valesse molto di piu', insegnasse molto di piu' di quanto avesse scritto (per quanto alcuni suoi lavori mi siano carissimi, e penso non solo alle opere in proprio, ma ad alcune preziose curatele, come quei due volumi della poesia italiana del Novecento da lei diretti insieme a Piero Gelli per Garzanti un quarto di secolo fa). * Non solo per la devozione che mi lega a Renato Solmi, e per la grata memoria che ho di Franco Fortini, e per la gioia che mi hanno dato i suoi libri, e perche' per le sue cure ho potuto leggere alcuni degli autori di lingua tedesca che amo di piu', Cesare Cases e' uno dei maestri segreti di cui piu' si e' nutrita l'anima mia (ed uso questa formula cosi' sciatta e sdata proprio pensando alle matte risate che ci saremmo potuti fare se fosse capitata sotto i suoi occhi e avesse avuto a commentarla con una delle sue fulminanti stoccate). Tra le cose che la mia memoria, per imperscrutabile perversione, trattiene impigliate, e che mi piace recitare alle persone amiche nei momenti di stanchezza e abbandono - come dire: tra il desco e le bocce -, c'e' una meravigliosa poesia del Fortini ospite ingrato dove risuona l'emistichio "come il buon Cases", modalita' formulare che per me e' come il "mastro d'astuzie Ulisse": il buon Cases, sempre lucido, sempre sarcastico, attraverso cui mi accorgo oggi di aver imparato non picciola parte del marxismo fiammeggiante, e di quello raggelato, della cui stoffa, legno e ferri consistono tanta parte dei miei labirinti mentali, della mia cassetta degli attrezzi e delle mie scelte nel mondo; il marxismo del mirabolante acrobata e geniale saltimbanco dialettico Brecht, della ruspa Lukacs che con duplice movimento tante mura e bastioni abbatte e spiana e tanti nuovi vertiginosi abissi rivela ed apre; del lucido, entomologico e prensile sguardo sull'arte della golpe e del lione, e della critica pratica - inveratrice di umanita', ad ogni menzogna e oppressione inimica, e rivoluzionaria sempre - di quelle arti superbe e malefiche rovesciatrice. Il buon Cases, il Cases buono, maestro di critica e di verita'. 2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL CANTO DEL DISPERATO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Il salmo 88 e' il canto del disperato. All'opposto del lungo grido di Giobbe, che ha come modello, questo "rimane senza risposta". E' l'unico salmo che termina "senza vedere una lama di luce all'orizzonte della vita" (Gianfranco Ravasi, I salmi, Rizzoli, Milano 1996). Per tutti noi, dopo il giorno della forza e della salute, della vita attiva e creativa, viene la notte, spesso assai lunga, della malattia finale, se la morte non ci prende rapida. Non c'e', allora, un perche' che ci basti. Non c'e' consolazione, per gli spiriti comuni. E' un buio dentro, da cui solo lo scorrere lentissimo del tempo puo' farci uscire: dove? come? In quel buio non lo vediamo. Il calice della disperazione va bevuto fino in fondo. A meno che non imponiamo all'esistenza le nostre condizioni, e la rifiutiamo perche' non risponde al nostro volere. Oppure, a meno che la lotta mite contro forze violente non ci ottenga il privilegio di una morte in piedi. Questo e' il salmo del dolore senza risposta, con protesta, senza rassegnazione. Qui la di-sperazione - nel senso letterale di assenza di speranza - non si fa silenzio, non spegne l'interrogativo (che e' l'estrema non-sottomissione alla disperazione), non cessa di invocare, anzi di gridare, e questo grido - come un minatore sepolto in miniera - martella la chiusura della notte, anche se le tenebre (vv. 13 e 19) persistono, verso un non visto mattino (versi 3, 10, 14). Dio, accusato di dimenticare la sua creatura, e' chiamato subito all'inizio "Dio della mia salvezza" (v. 2): ora non salva, ma ha salvato, puo' salvare, deve salvare. Ora, egli e' oblio, collera, furore (vv. 6, 8, 17), respinge e si nasconde (v. 15), allontana ogni soccorso amico (v. 19), lascia il suo fedele nell'a-teismo esistenziale, eppure e' a lui e a lui solo, anche se non ci fosse o non volesse sentire, che la disperazione grida. Dio e' atteso nella speranza, ed e' reclamato nella disperazione. Il disperato assoluto non ha nulla e nessuno da reclamare. Dichiarare al mondo il canto gridato della notte, e' impugnare questa stessa disperazione come arma e forza di vita: forza quando forza non ce n'e' piu', vita che si afferma dove vita non c'e'. Verra' per tutti, per me, breve o lunga, la notte piu' nera, che cancella il giorno luminoso, e minaccia il senso di tutto. Chi sara' eventualmente in piedi accanto a me prostrato, non potra' del tutto capire, dal di fuori della mia notte, che cosa davvero mi accade. Chi vive agli antipodi, nel girare della terra, vive un'altra ora e un'altra stagione. Ora, da fuori, prima del mio pozzo senza luce (v. 5), io vedo e dico questo. Quando saro' in quella fossa, non vedro' e non sapro'. Percio' questo canto parla e grida ora per il me di allora, e parla ora per chi e' sfinito (vv. 5, 16), sommerso (vv. 8, 18), prigioniero (v. 9), ridotto senza voce ne' parole. Il salmista del salmo 88 ha perso tutto, ma non nega, anzi afferma di avere ancora voce, parole, grida che getta verso Dio, anche con audace accusa: dire a Dio che dimentica la sua creatura e le promesse che le ha fatto (v. 6) e' la massima bestemmia ebraica. Il salmista ha la parola per noi, per me, quella che ci manca quando il dolore ci acceca e ci soffoca. La Scrittura ci e' data come Parola detta a noi, e come parola data a noi, quando anche la parola nostra e' perduta. 3. MEMORIA. ANNAMARIA RIVERA E GIOVANNI RUSSO SPENA RICORDANO DINO FRISULLO [Dal quotidiano "Liberazione" del 7 giugno 2003. Annamaria Rivera, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003. Giovanni Russo Spena, militante politico, giurista, parlamentare, impegnato nella sinistra critica e nei movimenti per i diritti. Opere di Giovanni Russo Spena: Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti, Roma 2001. Dino Frisullo , impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle associazioni "Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003 nel giorno del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' apparso postumo un suo nuovo libro, Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nel n. 577 del 10 giugno 2003 de "La nonviolenza e' in cammino"] Ora che Dino ci ha lasciati, lo smarrimento che proviamo e' la coscienza che un pezzo della nostra storia, personale e collettiva, se ne e' andato. Con lui abbiamo attraversato l'arco glorioso e turbolento che va dal '68 al movimento per la pace dei nostri giorni; da lui abbiamo appreso, discutendo e litigando, consentendo e dissentendo ferocemente, la propensione a schierarci senza se e senza ma ovunque un diritto fosse violato, una minoranza fosse oppressa, un gruppo sociale fosse discriminato. Grazie a lui abbiamo compreso che nelle vicende del popolo palestinese, nelle rivendicazioni dei curdi, nella richiesta di rispetto degli immigrati e' racchiuso per intero il senso del nostro presente: "fatti sociali totali" che ci rivelano piu' d'ogni analisi geopolitica quali siano la valenza e il frutto della globalizzazione neoliberista, la sua profonda pulsione a liberarsi di tutti gli "scarti", di tutte le eccedenze sociali e politiche che intralciano il suo cammino. Ben prima di noi e ben prima di ogni teorizzazione dotta, Dino, infatti, aveva scoperto il senso del "glocale". Occuparsi, come faceva Dino, qui e ora e assai concretamente assumendone per intero i bisogni esistenziali oltre che politici, di un gruppo di immigrati bangladeshi, di una collettivita' di richiedenti asilo, di una piccola minoranza oppressa, di un gruppo di rom deportati, leggendone le "piccole storie" come pregnanti indizi ed effetti della "grande storia": questo era per lui l'unico modo possibile per praticare sapere critico e impegno politico adeguati al presente, dunque scevri da politicismi e fumisterie ideologiche. La locuzione "irritante e irresistibile", che e' banale e impronunciabile se non con ironia, nel caso di Dino s'attagliava alla perfezione. Irritante era Dino, per chi non lo conoscesse profondamente, quando pretendeva - e spesso ci riusciva! - di rovesciare l'esito di un'interminabile e faticosa assemblea arrivando alla fine, con la sua aria distratta e affaccendata. Quando, nello scetticismo generale, si ostinava nella pretesa d'improvvisare da un giorno all'altro "una grande manifestazione" che talvolta per miracolo riusciva. E quando, perfettamente puntuale nell'ora ma non nel giorno, faceva ingresso con sorriso angelico in un seminario che volgeva alla fine proponendo la sua relazione introduttiva, che nondimeno risultava decisiva. Irresistibile era Dino per la rara capacita' di coniugare il massimo di radicalita' con il massimo di ricerca di unita', per l'attitudine a mettere insieme il diavolo e l'acqua santa, i cattolici e gli atei, i vecchi partigiani e i giovani centrosociali, intorno a una lotta per la difesa dei diritti dei dannati della terra. E irresistibile ti risultava quando, andando al di la' delle apparenze, eri capace di scoprire quanto di sapere e di cultura - cultura alta e vasta, conoscenza dei classici, insieme alle competenze piu' specifiche, straordinaria capacita' di scrittura, incisiva e rapidissima - si nascondesse dietro quell'aria nonchalante da militante a tempo pieno, che mai ha il tempo di occuparsi di se stesso. Dino fra l'altro aveva scritto, con scrittura sapiente e rara capacita' di analisi, opere importanti e insufficientemente note. Un militante sui generis era Dino, in questo assai diverso dal modello che s'era imposto nel corso degli anni Settanta: perche' all'ostinazione sapeva unire una straordinaria dolcezza, perche' non conosceva settarismi e ideologismi, perche' in nessun modo era irregimentabile, da nessun comitato centrale, fosse pure quello della piu' aperta delle formazioni politiche della nuova sinistra. Perche' Dino, in fondo, dell'impegno politico coltivava una visione e una pratica "romantiche", si direbbe banalmente: un impegno, certo, totalizzante e radicale, generoso fino alla dissipazione di se', intransigente fino all'ostinazione, rigoroso e al tempo stesso vasto e molteplice; insomma, l'intera vita come impegno. Perche' proviamo ora un senso di perdita irreparabile, cui si accompagna una specie di rimorso? Perche' solo ora comprendiamo che, se abbiamo potuto preservare i nostri sia pur angusti spazi privati dall'assedio della politica, conciliare il nostro impegno con qualche raro svago, riservarci qualche piccolo ambito di vita borghese, e' perche' inconsciamente avevamo affidato a Dino la missione di testimoniare e militare a tempo pieno. Dino lo ha fatto sempre, anche per noi. 4. PROFILI. CLAUDIO CARDELLI: DON ZENO SALTINI E L'ESPERIENZA DI NOMADELFIA [Da "Azione nonviolenta" di dicembre 1996 (disponibile anche nel sito: www.nonviolenti.org). Claudio Cardelli, prestigioso amico della nonviolenza, gia' collaboratore di Aldo Capitini, benemerito studioso e divulgatore della riflessione nonviolenta. Opere di Claudio Cardelli: Nonviolenza e civilta' contemporanea, D'Anna, Messina-Firenze 1981. Segnaliamo anche le schede su vari pensatori e correnti di pensiero pubblicate su "Azione nonviolenta" negli ultimi anni. Cfr. anche il suo contributo in AA. VV., Periferie della memoria, Anppia-Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999. Zeno Saltini, sacerdote cattolico ed educatore (1900-1981), nato a Fossoli di Carpi (Modena), fondatore della comunita' di "Nomadelfia" che ha sede dapprima nell'ex-campo di concentramento di Fossoli poi nei pressi di Grosseto, Zeno Saltini e' una grande figura di costruttore di pace e di nonviolenza. Dal sito di Nomadelfia (www.nomadelfia.it) riprendiamo la seguente scheda biografica: "Padre e fondatore di Nomadelfia e' don Zeno Saltini. 30 agosto 1900: Zeno Saltini nasce a Fossoli di Carpi (Mo), in una famiglia patriarcale. 1914 - Il rifiuto della scuola: a 14 anni e mezzo Zeno rifiuta di continuare gli studi, affermando che a scuola insegnano cose che non incidono nella vita, e va a lavorare nei poderi della famiglia. Vive in mezzo ai braccianti, conosce le loro miserie e ne condivide le giuste aspirazioni. 1920 - "Cambio civilta'": soldato di leva nella caserma del III Telegrafisti a Firenze, ha uno scontro violento, lui cattolico, con un amico anarchico alla presenza degli altri soldati. L'anarchico sostiene che Cristo e la Chiesa sono di ostacolo al progresso umano. Zeno sostiene il contrario, pur riconoscendo che i cristiani sono in gran parte incoerenti. Ma l'anarchico e' istruito e lui no. Tra i fischi degli altri soldati, Zeno si ritira da solo e decide: "Gli rispondero' con la mia vita. Cambio civilta' cominciando da me stesso. Per tutta la vita non voglio piu' essere ne' servo ne' padrone". Decide di studiare legge e teologia, mentre continua a dedicarsi ad attivita' di apostolato ed al recupero di ragazzi sbandati. Si laurea in legge presso l'Universita' Cattolica di Milano. Aveva intenzione di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore; ora pero' si rende conto che la sua missione e' di prevenire che cadano in disgrazia: decide di farsi sacerdote. 6 gennaio 1931 - Sacerdote, "il primo figlio": celebra la sua prima messa nel duomo di Carpi e all'altare prende come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere: Danilo. 1941 - "La prima mamma": a S. Giacomo Roncole, vicino a Mirandola (Mo), don Zeno accoglie come figli altri fanciulli abbandonati e fonda l'Opera Piccoli Apostoli. Ha giurato sull'altare che mai avrebbe fatto un collegio. Scoppia la seconda guerra mondiale. Nel 1941 una giovane studentessa, Irene, scappa da casa e si presenta a don Zeno dichiarandosi disposta a far da mamma ai Piccoli Apostoli. Don Zeno, con l'approvazione del vescovo, le affida i piu' piccoli e nasce con lei una maternita' nuova, virginea. Altre giovani donne la seguono, sono le "mamme di vocazione". Alcuni sacerdoti si uniscono a don Zeno e danno inizio ad un clero comunitario. 1943-1945. La Resistenza: con l'armistizio dell'8 settembre 1943 i tedeschi occupano l'Italia. Don Zeno, che aveva preso piu' volte posizione contro il fascismo, la guerra e le leggi razziali, parte per il sud. Alcuni figli lo seguono per sfuggire alle deportazioni in Germania. A S. Giacomo l'Opera e' duramente perseguitata e si tenta di disperderla. Diversi giovani Piccoli Apostoli entrano nelle formazioni partigiane, mentre alcuni sacerdoti Piccoli Apostoli contribuiscono all'organizzazione della Resistenza e aiutano centinaia di ebrei e di perseguitati politici a raggiungere la Svizzera con documenti falsi. Sette Piccoli Apostoli perdono la vita per la riconquista della liberta'. 1947-1948 - Nasce Nomadelfia: dopo la fine della guerra, nel 1947, i Piccoli Apostoli occupano l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, per costruire la loro nuova citta'. Abbattono muraglie e reticolati, mentre accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formano le prime famiglie di sposi, che chiedono a don Zeno di poter accogliere i figli abbandonati, decisi ad amarli alla pari di quelli che nasceranno dal loro matrimonio. Il 14 febbraio 1948 approvano il testo di una Costituzione che verra' firmata sull'altare. L'Opera Piccoli Apostoli diventa cosi' Nomadelfia, che significa dal greco: "Dove la fraternita' e' legge". 1950 - Il "Movimento della Fraternita' Umana": nel 1950 Nomadelfia propone al popolo un movimento politico chiamato "Movimento della Fraternita' Umana", per abolire ogni forma di sfruttamento e per promuovere una democrazia diretta. Ma l'ostilita' delle forze politiche al governo e di alcuni ambienti ecclesiastici blocca l'iniziativa. I nomadelfi sono 1.150, dei quali 800 figli accolti (molti dei quali bisognosi di cure particolari) e 150 ospiti senza casa e senza lavoro. La situazione economica diventa sempre piu' pesante. Sfruttando questo pretesto si tenta di sciogliere Nomadelfia. 1952 - Lo scioglimento: il 5 febbraio 1952 il Sant'Ufficio ordina a don Zeno di lasciare Nomadelfia. Don Zeno ubbidisce. Costretti ad abbandonare Fossoli, i nomadelfi si rifugiano a Grosseto, su una tenuta di diverse centinaia di ettari da bonificare, donata da Maria Giovanna Albertoni Pirelli, dove vivono in gran parte sotto le tende. Pur lontano dai figli, don Zeno cerca di provvedere alle loro necessita', e sempre piu' spesso deve difenderne in tribunale alcuni che, strappati alle famiglie di Nomadelfia, sono ricaduti nella malavita. 1953 - La laicizzazione "pro gratia": chiede percio' al papa di poter rinunciare temporaneamente all'esercizio del sacerdozio per tornare alla guida dei suoi figli. Nel 1953 Pio XII gli concede la laicizzazione "pro gratia". Depone la veste, torna fra i suoi figli. I nomadelfi dopo la dispersione sono circa 400. 1962 - La "seconda" prima messa: nel 1954 don Zeno crea i "gruppi familiari". Nel 1961 i nomadelfi si danno una nuova Costituzione come associazione civile, e don Zeno chiede alla Santa Sede di riprendere l'esercizio del sacerdozio. Nomadelfia viene eretta in parrocchia e don Zeno nominato parroco. Il 22 gennaio 1962 celebra la sua "seconda prima messa". Nel 1965 don Zeno propone ai nomadelfi una nuova forma di apostolato: le "Serate di Nomadelfia", uno spettacolo di danze. Nel 1968 inizia la pubblicazione del mensile "Nomadelfia e' una proposta". Nello stesso anno i nomadelfi ottengono dal Ministero della Pubblica Istruzione di educare i figli sotto la loro responsabilita', nella propria scuola interna. 12 agosto 1980. I nomadelfi presentano a Giovanni Paolo II, nella villa di Castelgandolfo, una "Serata". E' presente tutta la popolazione di Nomadelfia. Il papa dice tra l'altro: "Se siamo vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola che si chiama Nomadelfia e' un preavviso e un preannuncio di questo mondo futuro dove siamo chiamati tutti". 15 gennaio 1981 - La morte di don Zeno: pochi mesi dopo don Zeno, colpito da infarto, rivolge ai nomadelfi le ultime parole prima dell'agonia: si puo' considerare il suo testamento. Muore in Nomadelfia il 15 gennaio 1981, mentre il Papa riceve una delegazione di nomadelfi insieme ai quali prega per lui e invia la sua benedizione". Opere di Zeno Saltini: Don Zeno di Nomadelfia, L'uomo e' diverso, Ed. Nomadelfia; Tra le zolle, Ed. Nomadelfia; Sete di giustizia, Ed. Nomadelfia; I due regni, Ed. Nomadelfia; Dirottiamo la storia del rapporto umano, Ed. Nomadelfia; Dimidia hora, Ed. Nomadelfia; Lettere da una vita - vol. 1 (lettere scritte da don Zeno fra il 1900 e il 1952), EDB; Lettere da una vita - vol. 2 (lettere scritte da don Zeno fra il 1953 e il 1981), EDB; Don Zeno racconta l'avventura di Nomadelfia (autobiografia coordinata da Mario Sgarbossa e illustrata dai ragazzi di Nomadelfia), Ed. Nomadelfia. Opere su don Zeno Saltini e Nomadelfia: Norina Galavotti di Nomadelfia, Mamma a Nomadelfia, Ed. Nomadelfia; Mario Sgarbossa , Don Zeno... e poi vinse il sogno, Citta' Nuova; Virgilio Angelo Galli, Qualcosa del padre, Mucchi Editore; Remo Rinaldi, Don Zeno, Turoldo e Nomadelfia. Era semplicemente Vangelo, EDB; Vittoria Fabretti, Don Zeno di Nomadelfia, Edizioni Messaggero Padova; Maurilio Guasco, Paolo Trionfini, Don Zeno e Nomadelfia tra societa' civile e religiosa (Atti del convegno di studi su don Zeno - 1999), Morcelliana; Nomadelfia, un popolo nuovo, Ed. Nomadelfia; Beppe Lopetrone con i Nomadelfi, Don Zeno 100 anni, (libro fotografico; cfr. anche il sito www.donzeno.it). Presso Nomadelfia sono disponibili - oltre a tutti i libri citati - anche videocassette ed altri materiali] E' noto che l'eccessivo attaccamento alla proprieta' privata e' fonte di egoismo e di violenza; percio', fin dai tempi antichi, e' sorto l'ideale di una vita comunitaria, dedita al lavoro in una fraterna condivisione dei prodotti dell'attivita' di tutti. In campo cristiano si puo' risalire al monachesimo benedettino e alla celebre Utopia (1516) di Tommaso Moro. Molto conosciuta e' la Comunita' dell'Arca, fondata in Francia da Lanza del Vasto, e modello per altre esperienze comunitarie anche in Italia. Una via originale e' quella trovata da don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia, una comunita' ancora fiorente, dopo circa mezzo secolo di vita, situata a 8 chilometri da Grosseto sulla statale per Siena. * La vita di don Zeno Zeno Saltini nacque il 30 agosto 1900 a Fossoli di Carpi (Modena), in una famiglia patriarcale, dedita alla coltivazione dei propri poderi. A 14 anni rifiuta di continuare gli studi e va a lavorare nei poderi della famiglia, vivendo in mezzo ai braccianti e imparando da loro le prime teorie socialiste. Chiamato alle armi nel 1917, conosce la terribile realta' della guerra e matura in lui l'idea di farsi apostolo di una nuova civilta', senza servi ne' padroni. Riprende gli studi e si laurea in legge. Sollecitato da un'intensa vocazione religiosa, a 30 anni entra in seminario: nel 1931 celebra la prima messa e si fa padre di un ragazzo che esce dal carcere. A S. Giacomo di Roncolo (Modena) fonda l'Opera dei Piccoli Apostoli, dedita all'accoglimento dei bambini abbandonati. Nel 1941 una giovane studentessa, Irene, scappa di casa e si presenta a don Zeno dichiarandosi disposta a fare da mamma ai piccoli trovatelli. Altre giovani donne la seguono: si chiameranno "mamme di vocazione". Nel 1947 i Piccoli Apostoli occupano il campo di concentramento di Fossoli e si formano le prime famiglie di sposi, disposti anch'essi ad accogliere come figli i fanciulli senza famiglia. I Piccoli Apostoli, decisi a costruire una nuova civilta' fondata sul Vangelo, diventano un popolo: Nomadelfia (dal greco: "la fraternita' e' legge"). La comunita' e' cresciuta (circa 1.100 persone), ma non e' facile trovare le risorse per sfamare tante persone: gli adulti si arrangiano, qualcuno torna nei campi, nasce una piccola cooperativa che fallisce. Questi conti che non tornano mettono don Zeno nei guai: il 5 febbraio 1952 un decreto del S. Ufficio intima a don Zeno di lasciare Nomadelfia e di mettersi a disposizione del suo vescovo. Il coraggioso sacerdote, l'anno seguente, ottiene la riduzione alla stato laicale per poter continuare a vivere come padre di questo popolo nuovo. I nomadelfi vengono mandati via da Fossoli con l'intervento della polizia. Emigrano in Toscana, dove una signora milanese (Maria Giovanna Pirelli) regala loro la tenuta "Rosellana", presso Grosseto, che viene ripulita dai sassi e messa a coltivazione. Nel 1962 don Zeno riprende l'esercizio del sacerdozio e Nomadelfia viene eretta a parrocchia. Muore a Nomadelfia il 15 gennaio 1981 circondato dall'affetto di tutti i suoi "figli". * Nomadelfia oggi La comunita' ha oggi salde tradizioni e continua sulla via tracciata dal fondatore: la popolazione e' di circa 320 persone su un territorio di 4 Km. quadrati. In Nomadelfia non circola denaro, non esiste proprieta' privata, non e' ammessa nessuna forma di sfruttamento, ma tutto e' comune. Uomini e donne lavorano in gruppo, ciascuno a vantaggio della comunita'; se hanno denari per qualche rendita particolare, li versano al fondo comune. L'attivita' fondamentale e' quella agricola: la tenuta produce a sufficienza pane, vino, olio, latte e verdure, oltre a una minore quantita' di carne e formaggi. Nomadelfia possiede anche diversi laboratori, una tipografia, una falegnameria, un piccolo caseificio e un frantoio. Uomini e donne lavorano nelle aziende della comunita', in casa, nei laboratori e uffici; tutti i lavori che si possono compiere insieme vengono eseguiti da tutta la popolazione (sono chiamati "lavori di massa"). * La famiglia e la scuola Don Zeno era convinto che "l'egoismo familiare e' piu' deleterio dell'egoismo personale". Per questo nel 1954 aveva creato i gruppi familiari, composti ciascuno da 4 o 5 famiglie per un totale di circa 30 persone fra adulti e figli. Queste famiglie hanno in comune una casetta centrale con cucina, sale da pranzo e laboratori, mentre ciascuna famiglia ha le proprie camere in casette separate. Per evitare che il gruppo familiare diventi a sua volta un centro di egoismo, per essere disponibili a vivere con tutti e a distaccarsi dalle cose, ogni tre anni la presidenza scioglie i gruppi familiari e li ricompone con altre famiglie. Ciascuna famiglia, ovviamente, rimane sempre unita e porta con se' soltanto gli effetti personali (artt. 13 e 14 della Costituzione di Nomadelfia). I nomadelfi hanno rifiutato la scuola pubblica per creare una scuola "paterna", gestita sotto la loro responsabilita', presentando poi i figli agli esami della scuola statale. Uno dei principi fondamentali e' la "paternita' in solido", nel senso che tutti gli uomini e le donne devono essere padri e madri per tutti i figli, anche per quelli che non appartengono alla loro famiglia, e devono quindi intervenire nell'educazione di tutti e trattarli alla pari secondo una linea pedagogica comune, ispirata al Vangelo. Concludo citando un brano da una lettera di don Zeno di Nomadelfia: "L'invidia, la lotta, il potere inteso in senso deleterio, non ci possono essere in Nomadelfia. Ma anche noi siamo fatti con la stessa creta di Adamo, quindi peccatori; pero' insistentemente e ripetutamente pentiti e decisi a correggerci e migliorarci. L'emulazione, cioe' il buon esempio imitato, e' invece virtu' che e' alla base della nostra vita fraterna. La corsa ai primi posti, il desiderio di stare in alto, non esiste tra noi, perche' le cariche comportano sempre oneri e non onori, tanto che nella Costituzione abbiamo dovuto mettere un articolo che dice espressamente che le cariche non si possono rifiutare" (primo settembre 1982)... 5. LIBRI. CHIARA ZAMBONI COLLOQUIA CON ESTHER COHEN [Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 luglio 2005. Segnaliamo che alcune espressioni contenute in questa conversazione, che e' relativa a temi anche di grande intensita' emotiva e rievoca feroci pregiudizi e crudelissime pratiche di persecuzione, potranno dispiacere alla sensibilita' di chi legge, che avra' la bonta' d'animo di saperle leggere adeguatamente contestualizzandole, in una trama di ragionamento e di impegno contro ogni razzismo, contro ogni totalitarismo, contro ogni violenza. Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica, 1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994; La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997. Esther Cohen, illustre studiosa, e' docente di critica letteraria alla Universidad Nacional Autonoma de Mexico; svolge attivita' di ricerca presso l'Istituto di ricerche filologiche della stessa universita'; e' direttice della collana "La Huella del Otro" presso la casa editrice Taurus. Tra le opere recenti di Esther Cohen: La palabra inconclusa, Taurus, Mexico 1994; El silencio del nombre, Anthropos, Barcelona 1999; Con el diablo en el cuerpo. Filosofos y brujas en el Renacimiento, Taurus, Mexico 2003 (tr. it. Con il diavolo in corpo. Filosofia e streghe nel Rinascimento, Ombre corte, Verona 2005)] Esther Cohen ha scritto un libro intitolato Con il diavolo in corpo. Filosofia e streghe nel Rinascimento (Ombre corte, pp. 173, euro 13,50), nel quale pone al centro la sessualita' femminile, l'eccesso del godimento che la caratterizza, e il corpo, per leggere il lato in ombra, il lato oscuro del Rinascimento. Esiste una linea di rottura, una faglia, a partire dalla quale poter vedere il lato invisibile dello splendore del Rinascimento: si tratta della persecuzione delle donne per stregoneria. Si sa che i rapporti tra donne e uomini variano nel tempo e slittano e si modificano impercettibilmente, ma al medesimo tempo si inscrivono con nettezza nel simbolico. Uno dei segni piu' significativi e' la forma che prende la sessualita' accolta e riconosciuta, e l'esclusione che cio' implica. Alla fine del Quattrocento si gioca una battaglia simbolica sulla sessualita' - su quella femminile - proprio nel definire i tratti e i comportamenti e i patti attribuiti a quelle donne che vengono considerate e condannate come streghe. * - Chiara Zamboni: Lei parla del Malleus maleficarum (il martello delle streghe) del 1486, come uno scritto fondamentale perche' descrive che cosa sia una strega. I domenicani, che ne sono gli autori, segnalano l'ambiguita' della strega, l'impossibilita' di ridurla a un tipo preciso. In che senso? Perche' questo testo segnala un nodo cruciale di quel passaggio di civilta' che a lei interessa mostrare? - Esther Cohen: Mi sembra che la pubblicazione del Malleus maleficarum costituisca un momento di rottura con il passato medievale. Si tratta del momento nel quale la "strega", che aveva rivestito fino ad allora un ruolo importante nell'economia simbolica medievale e in fin dei conti aveva avuto una funzione precisa anche per la Chiesa, cambia nello sguardo sociale. In questo periodo siamo di fronte a una nuova disposizione del sapere, vengono gettate le basi del pensiero scientifico: la strega ha una posizione che niente ha a che fare con tale nuovo inizio. E' per questo che viene annullata, nella forma molto concreta di essere bruciata viva. Con lei vengono bruciati tutti i desideri, che in qualche modo rimanevano ai margini della nuova organizzazione del sapere rinascimentale. Se nel testo parlo di ambiguita', e' perche' non c'e' nessun tratto che la possa caratterizzare in modo univoco, distinguendola dal resto delle donne. In questo senso tutte le donne possono, a un certo punto, diventare streghe. Ma quello che mi e' interessato di piu' mettere in evidenza e' l'incapacita' di queste donne di formulare un discorso proprio, che autolegittimasse la loro pratica. E questo a differenza dei maghi e filosofi del Rinascimento che, anche se praticavano la magia, avevano la capacita' di produrre discorsi all'altezza di una accettabile difesa di tale pratica. * - Chiara Zamboni: La donna, accusata di stregoneria, e' presentata nel libro come portatrice di un sapere popolare, radicato e diffuso. Sono gli inquisitori a descriverla come una strega secondo i loro modelli di riferimento. Queste donne hanno un loro sapere, fondato sull'esperienza, hanno delle loro logiche discorsive. Quello che e' mancato loro e' stata la capacita' di entrare in un rapporto di mediazione con il discorso dominante. Potrebbe spiegare in che senso? - Esther Cohen: Certamente, la donna nel Medioevo aveva di frequente delle conoscenze precise e questo era accettato dalla Chiesa. Ma e' proprio questo sapere a venir escluso dal sapere ufficiale nel Rinascimento. Prima la loro esperienza, che si fondava su un sapere concreto, era vista come parte del sistema simbolico del tempo. Il problema si avverte quando il sistema scientifico incomincia a riorganizzarsi nello spazio sociale del Rinascimento. E' a questo punto che le donne "di sapere" incominciano a essere indicate come streghe, come donne cioe' che agiscono fuori dal contesto riconosciuto, ufficiale. Sono state bruciate per bruciare in fondo un sapere popolare che si e' avuto intenzione di cancellare dal paradigma dominante. * - Chiara Zamboni: Parla di una alterita' dentro di se', che a ognuno di noi fa paura. Cita in questo senso Derrida, e a me viene in mente anche Kristeva di Stranieri a noi stessi. Si tratta dell'essere invasi, posseduti tra se' e se' da un fantasma, scrive Derrida. Da una alterita' inconoscibile, scrive Kristeva, che l'io non puo' controllare. Questa idea l'ha guidata nel libro. Come? - Esther Cohen: Credo, con Derrida, che la paura per le streghe non mostri se non la propria paura, la paura dei nostri desideri piu' bassi, e, in un certo senso, piu' nascosti. Quando si legge il Malleus maleficarum, l'impressione che si ha e' decisamente quella di un paio di uomini di chiesa che semplicemente hanno paura e che si immaginano percio' ogni sorta di perversione. Questa paura e' il filo conduttore che attraversa tutto il mio libro, o, per meglio dire, questa idea di Derrida e' il sostegno di una buona parte del mio testo. Ma dietro questa idea c'e' anche Bataille e la sua parte maledetta, cioe' l'idea dello spreco, del desiderio improduttivo di vecchie donne che godono di una sessualita' senza limiti, che non hanno piu' l'eta' per procreare. Come l'ebreo medievale faceva usura, guadagnando senza lavorare e cosi' rubava il tempo che apparteneva solo a Dio, allo stesso modo queste donne sfruttavano il piacere del corpo senza produrre. * - Chiara Zamboni: Dimostra un grande amore per il Rinascimento e al medesimo tempo lo vede come luogo di scontro tra il filosofo, il mago, l'inquisitore e la strega: i filosofi maghi del Rinascimento come Pico della Mirandola, e anche Giordano Bruno, hanno separato nettamente magia bianca e magia nera, quella "buona" dalla "cattiva", impedendo in questo modo una continuita' tra un sapere popolare, prevalentemente femminile, e un sapere "alto", che in questo modo si e' difeso. Qual e' la loro responsabilita'? - Esther Cohen: Certo che guardo al Rinascimento con ammirazione, ma, come dice Walter Benjamin, non esiste un documento di cultura che non sia allo stesso tempo un documento di barbarie. Penso che la barbarie propria del Rinascimento sia rappresentata dalla caccia alle streghe. Nei confronti cioe' di quelle donne rimaste al di fuori del sapere egemonico ed escluse da esso. I filosofi come Pico della Mirandola e Agrippa, sapendo qual era lo statuto della magia, hanno saputo difendersi, facendo una critica dura e precisa alla pratica della stregoneria. Eppure essi al medesimo tempo hanno utilizzato le stesse pratiche. La differenza stava nella loro capacita' di dire in che senso erano fondate le loro pratiche e invece quelle della stregoneria erano da condannare. I filosofi sapevano, in linea di massima, come difendersi dall'Inquisizione, mentre erano le donne accusate di stregoneria che non avevano avuto la capacita' di esprimere il senso e il valore di quello che facevano: una capacita' discorsiva che le avrebbe salvate dal rogo. In questo consiste la responsabilita' della cultura "alta": questi filosofi, per salvarsi, hanno condannato le pratiche di stregoneria e in questo modo hanno indirettamente condannato quelle donne, che usavano tali pratiche. Eppure le pratiche che essi adoperavano erano simili, ma giustificate discorsivamente. * - Chiara Zamboni: Tocca anche il problema del male. Nel caso delle streghe lo mostra legato a una erotizzazione diffusa, a una sessualita' eccedente la procreazione, al legame tra donna vecchia e godimento. - Esther Cohen: Tocco il problema del male, che in qualche modo rappresenta la preoccupazione sia del Medioevo come del Rinascimento. Questo e' vero anche per la tradizione ebraica: dal Medioevo in poi il problema che ad esempio si poneva la cabala era "de unde malum"? E a me sembra che il male nel Rinascimento abbia preso la figura ossessionante della libera e improduttiva sessualita' delle donne. Questa eccedenza del godimento, attribuita alla strega, penso che sia un elemento dell'immaginario, che, anche se non con quella forza, e' ancora vivo nella nostra societa'. Ad esempio l'esistenza dell'aids e' interpretata come segno del castigo per una sessualita' oscena, improduttiva, che prescinde dalla questione della procreazione. A me pare che la lezione che possiamo trarre dal Rinascimento e dalla sua barbarie sia che la barbarie non e' lontana da noi. Lo abbiamo visto nella seconda guerra mondiale con la "soluzione finale": attraverso questo filtro possiamo capire che cosa sia avvenuto nel Rinascimento. Ruanda, Cambogia e Iraq continuano a parlarci della allergia nei confronti dell'altro, sia nero, ebreo, indigeno o donna. E' per questo che il lavoro della memoria e' cosi' importante: riuscire, come dice Derrida, a fare della memoria non un problema del passato, ma dell'avvenire. * - Chiara Zamboni: E oggi? Il patto dominante tra donne e uomini sembra essere quello che le donne nella vita pubblica diventino eguali agli uomini. Cio' tranquillizza gli uomini, che sanno le regole di questo gioco. Piu' provocatoria la valorizzazione della differenza femminile, che puo' facilmente scivolare oltre un limite, al di la' del quale gli uomini l'avvertono come una minaccia. Cosa potrebbe dire dell'oggi a partire dalle analisi del suo libro? - Esther Cohen: Mi sembra che la battaglia non l'abbiamo ancora vinta. Adesso, anche se in teoria gli uomini accettano la liberazione della donna, la liberta' femminile continua a essere una minaccia per la mascolinita'. Io posso parlare dal punto di vista dell'America Latina - abito in Messico - e non da quello dell'Europa, dove la liberazione ha avuto altre caratteristiche. Ma direi che anche in Italia o in Francia una donna deve ancora lottare per poter essere una donna libera e allo stesso tempo avere un rapporto di felice eguaglianza con gli uomini. 6. MATERIALI. VENTI LETTURE PER UNA CULTURA DELLA PACE [Questa proposta di un percorso di lettura, gia' pubblicata nel n. 765 di questo foglio, e' apparsa dapprima sulla "Rivista del volontariato" n. 12, dicembre 2003 (per contatti: www.rivistadelvolontariato.it)] Ovviamente non c'e' la biblioteca ideale della pace e della nonviolenza, non ci sono ne' i dieci ne' i cento libri che occorre aver letto. Perche' ogni persona puo' accostarsi all'impegno di pace e alla scelta della nonviolenza (ed e' opinione di chi scrive queste righe che senza la scelta della nonviolenza l'impegno di pace resti inadeguato, subalterno ed ambiguo) a partire dal suo vissuto, dalle sue esperienze e riflessioni, dalle letture che incontra, dal colloquio corale di cui si trova ad esser parte. E cosi' vi e' chi ha fatto la scelta della nonviolenza perche' ha letto Tolstoj e chi l'ha fatta perche' ha letto Dostoevskij; chi e' passato attraverso Voltaire e Zola, e chi per Erasmo e Thomas More, chi leggendo Leopardi e Kafka, e chi i Vangeli e la Bhagavad Gita, o i tragici greci, o Shakespeare e Cervantes, o Kant, o Martin Buber, o Norberto Bobbio. Qui di seguito si indicano alcune autrici ed alcuni autori, e talvolta dei singoli libri, che a chi scrive queste righe dicono cose toccanti ed ortative in tal senso. Ma certo tanti altri libri e persone citar si potrebbero. * 1. Di Simone Weil tutto quello che ha scritto, ma particolarmente i Quaderni, in quattro volumi presso Adelphi (e la sua bella biografia scritta da Simone Petrement, sempre presso Adelphi). 2. Anche di Primo Levi va letto tutto (adesso vi e' per fortuna un'edizione complessiva delle opere in due volumi presso Einaudi) ma prima di ogni altra cosa direi I sommersi e i salvati, l'ultima testimonianza di una Resistenza che ancora ci chiama alla lotta in difesa e a inveramento della dignita' umana. 3. Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, edito da Einaudi, e' la migliore silloge in un solo volume, a cura di Giuliano Pontara, che vi ha premesso un saggio introduttivo importante quanto e forse piu' della stessa antologia, poiche' costituisce la migliore sintesi del pensiero gandhiano disponibile in Italia. 4. Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli (ma anche presso altri editori); un libro fondamentale, chi non lo ha letto ancora non sa qualcosa di decisivo. 5. Anche di Hannah Arendt si dovrebbe leggere tutto, ma almeno Le origini del totalitarismo (Comunita'), La banalita' del male (Feltrinelli), Vita activa (Bompiani), La vita della mente (Il Mulino); e la sua biografia scritta da Elisabeth Young-Bruehl (Bollati Boringhieri). 6. E tutto bisognerebbe leggere anche di Franco Basaglia e di Franca Ongaro Basaglia; ma del primo almeno i due volumi degli Scritti (Einaudi), e della seconda, oltre i testi a quattro mani nella raccolta teste' citata, anche almeno Salute/malattia (Einaudi) e Una voce (Il Saggiatore). 7. Tutto va letto di Vandana Shiva, ma almeno Terra madre (Utet). 8. Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi. 9. Di Danilo Dolci almeno alcuni libri che raccolgono - scelti dall'autore - vari interventi, come Esperienze e riflessioni (Laterza), e parte cospicua dell'opera poetica, come Creatura di creature (successive edizioni presso vari editori); e Dal trasmettere al comunicare (Sonda). 10. Rosa Luxemburg e' figura imprescindibile; due buone antologie sono Scritti scelti (Einaudi), e Scritti politici (Editori Riuniti); per un'introduzione: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg (Mondadori). 11. Di Rigoberta Menchu' va letto il notissimo libro-intervista a cura di Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchu' (Giunti). 12. Anche di Assia Djebar tutto va letto, e per un primo incontro La donna senza sepoltura, Il Saggiatore. 13. Di Nelson Mandela va letta la bella autobiografia Lungo cammino verso la liberta' (Feltrinelli). 14. Tutto di Guenther Anders, ma almeno L'uomo e' antiquato (Il Saggiatore, Bollati Boringhieri), Noi figli di Eichmann (Giuntina), Essere o non essere (Einaudi), il carteggio con Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima (Einaudi, Linea d'ombra). 15. Hans Jonas, almeno Il principio responsabilita', Einaudi. 16. Anche di Ernesto Balducci occorrerebbe leggere tutto, ma almeno l'antologia curata insieme a Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia (Principato), che costituisce un'ottima introduzione al pensiero di pace dal Rinascimento al XX secolo. 17. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, tre volumi, Edizioni Gruppo Abele. 18. Di Lev Tolstoj almeno La confessione (SE), Il regno di Dio e' in voi (Publiprint-Manca), La vera vita (Manca). 19. Di Aldo Capitini almeno gli Scritti sulla nonviolenza (Protagon), e gli Scritti filosofici e religiosi (Fondazione centro studi Aldo Capitini). 20. Infine segnaliamo tutti i lavori del Centro nuovo modello di sviluppo (di Vecchiano, Pisa) che e' una delle eredita' feconde dell'esperienza della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani; sono editi perlopiu' dalla Emi. 7. RILETTURE. ANGELA BORGHESI: LA LOTTA CON L'ANGELO Angela Borghesi, La lotta con l'angelo, Marsilio, Venezia 1989, pp. 276, lire 32.000. Una bella, appassionante monografia su Giacomo Debenedetti. 8. RILETTURE. MARIA CORTI: PRINCIPI DELLA COMUNICAZIONE LETTERARIA Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano 1976, 1984, pp. 208, lire 15.000. Una "introduzione alla semiotica della letteratura" di una delle piu' grandi maestre negli studi di linguistica, di filologia e di quella bizzarra, enigmatica cosa che e' l'opera letteraria e il mondo di relazioni che essa crea. 9. RILETTURE. JUDITH REVEL: FOUCAULT, LE PAROLE E I POTERI Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996, pp. 112, lire 16.000. Un agile, puntuale, denso e acuto profilo foucaultiano. 10. RILETTURE. JACQUELINE RISSET: LA LETTERATURA E IL SUO DOPPIO Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio, Rizzoli, Milano 1991, pp. 138, lire 32.000. Una monografia "sul metodo critico di Giovanni Macchia", che e' anche molto di piu'. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1008 del 31 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1007
- Next by Date: La domenica della nonviolenza. 32
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1007
- Next by thread: La domenica della nonviolenza. 32
- Indice: