La nonviolenza e' in cammino. 1008



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1008 del 31 luglio 2005

Sommario di questo numero:
0. Comunicazione di servizio
1. Peppe Sini: Pio Baldelli, Gina Lagorio, Cesare Cases
2. Enrico Peyretti: Il canto del disperato
3. Annamaria Rivera e Giovanni Russo Spena ricordano Dino Frisullo
4. Claudio Cardelli: Don Zeno Saltini e l'esperienza di Nomadelfia
5. Chiara Zamboni colloquia con Esther Cohen
6. Venti letture per una cultura della pace
7. Riletture: Angela Borghesi, La lotta con l'angelo
8. Riletture: Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria
9. Riletture: Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri
10. Riletture: Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Per un temporaneo problema tecnico del server, i numeri 1005 e 1006 del
notiziario, e il supplemento "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 22, non
sono pervenuti agli iscritti alla nostra mailing list. Ce ne scusiamo con i
lettori.
Non ritenendo opportuno procedere ad un simultaneo secondo invio di tutti e
tre i fascicoli a tutti i destinatari per non correre il rischio di intasare
le caselle postali di alcuni interlocutori, informiamo le persone
interessate a riceverli che possono farcene richiesta (al nostro indirizzo
e-mail: nbawac at tin.it) e provvederemo ad inviarli ex novo a tutti coloro che
li richiederanno.
Ovviamente quei fascicoli possono anche essere letti direttamente nelle
specifiche pagine web del sito di Peacelink al nostro notiziario dedicate
(il cui indice e' alla pagina web
http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html ), e sono raggiungibili
anche attraverso il sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org)
dalla home page cliccando su "La nonviolenza e' in cammino", cosi' come
dalla home page del sito di Peacelink (www.peacelink.it) anche da qui
cliccando su "La nonviolenza e' in cammino".
Ritenendo di far cosa utile riproduciamo di seguito gli indici dei testi
contenuti nei tre fascicoli:
- Sommario de "La nonviolenza e' in cammino" n. 1005 del 28 luglio 2005: 1.
Riccardo Orioles: Una cosa. Bella; 2. Giuliana Sgrena ricorda Adnan al
Bayati; 3. Gian Carlo Caselli ricorda Paolo Borsellino; 4. Osvaldo
Caffianchi: Nel tubo; 5. Piero Viotto: Un profilo di Jacques Maritain (parte
terza e conclusiva); 6. Letture: Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura
di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan; 7.
Letture: Maurizio Chierici (a cura di), Lula, mille giorni difficili; 8.
Letture: Gigliola De Donato, Sergio D'Amaro, Un torinese del Sud: Carlo
Levi; 9. Riletture: Britta Benke, Georgia O'Keeffe; 10. Riletture: Andrea
Kettenmann, Frida Kahlo; 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento; 12. Per
saperne di piu'.
- Sommario di "Nonviolenza. Femminile plurale" n. 22 del 28 luglio 2005:
Brunella Casalini: Universalismo e diritti delle donne. Il contributo di
Martha Nussbaum.
- Sommario de "La nonviolenza e' in cammino" n. 1006 del 29 luglio 2005: 1.
Farid Adly: Noi, l'umanita'; 2. Alex Zanotelli: Un continente in fuga; 3.
Brunella Casalini presenta "Il sentimento della liberta'" a cura di
Raffaella Baritono; 4. Maria Chiara Pievatolo: La riflessione di Susan
Moller Okin; 5. Riccardo Orioles: Auguri; 6. Riletture: Maria Grazia
Giannichedda, Franca Ongaro Basaglia (a cura di), Psichiatria
tossicodipendenza perizia; 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento; 8. Per
saperne di piu'.
Di nuovo ci scusiamo con tutte e tutti, e ci fara' molto piacere inviare
questi numeri arretrati a chiunque ce ne fara' richiesta.

1. LUTTI. PEPPE SINI: PIO BALDELLI, GINA LAGORIO, CESARE CASES
Per i poveri diavoli che hanno la mia eta' e hanno fatto il mio mestiere
(anzi: la mia girandola di mestieri, bizzarri taoisti compassionevoli
dell'umanita' e del mondo, divorati dall'inquietudine dell'insufficienza e
dall'urgenza, dalla "febbre del fare") Pio Baldelli resta un punto di
riferimento. La passione per il "potere di tutti", un approccio rigoroso e
non subalterno ai mass-media, un impegno civile costante, una generosita' e
una curiosita' sempre fresche, sempre sorgive. Per garantire a tutti il
diritto di parola si rese anche piu' volte generosamente disponibile a
fungere da direttore responsabile di testate di informazione "alternativa",
che non sempre avevano la sua onesta' e il suo rigore, la sua intelligenza e
la sua umanita' (molte idiozie e fin atrocita' si scrissero e si dissero
negli anni '70 - e ne proviamo ancor oggi come allora un'indignazione e un
dolore che non si estinguono).
Ai militanti che si affacciarono alla lotta politica nei fragorosi anni
aperti, anzi squadernati dal sessantotto, le riflessioni di Baldelli
approntarono strumenti di lavoro ermeneutico e pratico ricchi e fecondi.
Solo nel corso del tempo ricostruii come nella sua storia c'era, fondativo,
il lavoro con Capitini, l'esperienza dei Centri di orientamento sociale, la
lezione barbianese, le esperienze educative e giornalistico-editoriali a un
tempo con altre persone molto care (come Lanfranco Mencaroni, che qui colgo
l'occasione per salutare e ringraziare ancora).
*
Di Gina Lagorio ha scritto Giulio Vittorangeli un commovente ricordo qualche
giorno fa, al quale fervidamente mi associo. Dovrei avere da qualche parte
qualche sua lettera (anche della sua benevolenza in momenti decisivi ebbi il
generoso dono) e l'intervento che mando' anche al convegno viterbese del
1987, il primo dei due che organizzammo per ricordare Primo Levi, allora da
poco scomparso.
Ho amato i suoi libri ed insieme ho sempre sentito che - a differenza di
tanti scrittori - molto al di la' dei suoi libri la sua persona fosse,
valesse molto di piu', insegnasse molto di piu' di quanto avesse scritto
(per quanto alcuni suoi lavori mi siano carissimi, e penso non solo alle
opere in proprio, ma ad alcune preziose curatele, come quei due volumi della
poesia italiana del Novecento da lei diretti insieme a Piero Gelli per
Garzanti un quarto di secolo fa).
*
Non solo per la devozione che mi lega a Renato Solmi, e per la grata memoria
che ho di Franco Fortini, e per la gioia che mi hanno dato i suoi libri, e
perche' per le sue cure ho potuto leggere alcuni degli autori di lingua
tedesca che amo di piu', Cesare Cases e' uno dei maestri segreti di cui piu'
si e' nutrita l'anima mia (ed uso questa formula cosi' sciatta e sdata
proprio pensando alle matte risate che ci saremmo potuti fare se fosse
capitata sotto i suoi occhi e avesse avuto a commentarla con una delle sue
fulminanti stoccate).
Tra le cose che la mia memoria, per imperscrutabile perversione, trattiene
impigliate, e che mi piace recitare alle persone amiche nei momenti di
stanchezza e abbandono - come dire: tra il desco e le bocce -, c'e' una
meravigliosa poesia del Fortini ospite ingrato dove risuona l'emistichio
"come il buon Cases", modalita' formulare che per me e' come il "mastro
d'astuzie Ulisse": il buon Cases, sempre lucido, sempre sarcastico,
attraverso cui mi accorgo oggi di aver imparato non picciola parte del
marxismo fiammeggiante, e di quello raggelato, della cui stoffa, legno e
ferri consistono tanta parte dei miei labirinti mentali, della mia cassetta
degli attrezzi e delle mie scelte nel mondo; il marxismo del mirabolante
acrobata e geniale saltimbanco dialettico Brecht, della ruspa Lukacs che con
duplice movimento tante mura e bastioni abbatte e spiana e tanti nuovi
vertiginosi abissi rivela ed apre; del lucido, entomologico e prensile
sguardo sull'arte della golpe e del lione, e della critica pratica -
inveratrice di umanita', ad ogni menzogna e oppressione inimica, e
rivoluzionaria sempre - di quelle arti superbe e malefiche rovesciatrice.
Il buon Cases, il Cases buono, maestro di critica e di verita'.

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: IL CANTO DEL DISPERATO
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo
intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo
foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace
e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei
Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn.
791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti:
www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web
http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15
novembre 2003 di questo notiziario]

Il salmo 88 e' il canto del disperato. All'opposto del lungo grido di
Giobbe, che ha come modello, questo "rimane senza risposta". E' l'unico
salmo che termina "senza vedere una lama di luce all'orizzonte della vita"
(Gianfranco Ravasi, I salmi, Rizzoli, Milano 1996).
Per tutti noi, dopo il giorno della forza e della salute, della vita attiva
e creativa, viene la notte, spesso assai lunga, della malattia finale, se la
morte non ci prende rapida. Non c'e', allora, un perche' che ci basti. Non
c'e' consolazione, per gli spiriti comuni. E' un buio dentro, da cui solo lo
scorrere lentissimo del tempo puo' farci uscire: dove? come? In quel buio
non lo vediamo. Il calice della disperazione va bevuto fino in fondo. A meno
che non imponiamo all'esistenza le nostre condizioni, e la rifiutiamo
perche' non risponde al nostro volere. Oppure, a meno che la lotta mite
contro forze violente non ci ottenga il privilegio di una morte in piedi.
Questo e' il salmo del dolore senza risposta, con protesta, senza
rassegnazione.
Qui la di-sperazione - nel senso letterale di assenza di speranza - non si
fa silenzio, non spegne l'interrogativo (che e' l'estrema non-sottomissione
alla disperazione), non cessa di invocare, anzi di gridare, e questo grido -
come un minatore sepolto in miniera - martella la chiusura della notte,
anche se le tenebre (vv. 13 e 19) persistono, verso un non visto mattino
(versi 3, 10, 14).
Dio, accusato di dimenticare la sua creatura, e' chiamato subito all'inizio
"Dio della mia salvezza" (v. 2): ora non salva, ma ha salvato, puo' salvare,
deve salvare. Ora, egli e' oblio, collera, furore (vv. 6, 8, 17), respinge e
si nasconde (v. 15), allontana ogni soccorso amico (v. 19), lascia il suo
fedele nell'a-teismo esistenziale, eppure e' a lui e a lui solo, anche se
non ci fosse o non volesse sentire, che la disperazione grida. Dio e' atteso
nella speranza, ed e' reclamato nella disperazione. Il disperato assoluto
non ha nulla e nessuno da reclamare. Dichiarare al mondo il canto gridato
della notte, e' impugnare questa stessa disperazione come arma e forza di
vita: forza quando forza non ce n'e' piu', vita che si afferma dove vita non
c'e'.
Verra' per tutti, per me, breve o lunga, la notte piu' nera, che cancella il
giorno luminoso, e minaccia il senso di tutto. Chi sara' eventualmente in
piedi accanto a me prostrato, non potra' del tutto capire, dal di fuori
della mia notte, che cosa davvero mi accade. Chi vive agli antipodi, nel
girare della terra, vive un'altra ora e un'altra stagione.
Ora, da fuori, prima del mio pozzo senza luce (v. 5), io vedo e dico questo.
Quando saro' in quella fossa, non vedro' e non sapro'. Percio' questo canto
parla e grida ora per il me di allora, e parla ora per chi e' sfinito (vv.
5, 16), sommerso (vv. 8, 18), prigioniero (v. 9), ridotto senza voce ne'
parole.
Il salmista del salmo 88 ha perso tutto, ma non nega, anzi afferma di avere
ancora voce, parole, grida che getta verso Dio, anche con audace accusa:
dire a Dio che dimentica la sua creatura e le promesse che le ha fatto (v.
6) e' la massima bestemmia ebraica. Il salmista ha la parola per noi, per
me, quella che ci manca quando il dolore ci acceca e ci soffoca. La
Scrittura ci e' data come Parola detta a noi, e come parola data a noi,
quando anche la parola nostra e' perduta.

3. MEMORIA. ANNAMARIA RIVERA E GIOVANNI RUSSO SPENA RICORDANO DINO FRISULLO
[Dal quotidiano "Liberazione" del 7 giugno 2003.
Annamaria Rivera, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata
nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e
Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine
dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003.
Giovanni Russo Spena, militante politico, giurista, parlamentare, impegnato
nella sinistra critica e nei movimenti per i diritti. Opere di Giovanni
Russo Spena: Peppino Impastato: anatomia di un depistaggio, Editori Riuniti,
Roma 2001.
Dino Frisullo , impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani,
per la pace e la liberazione dei popoli, fondatore delle associazioni
"Senzaconfine" e "Azad", per il suo impegno di solidarieta' con il popolo
kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto il 6 giugno 2003 nel giorno
del suo cinquantunesimo compleanno. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia
incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' apparso postumo un suo nuovo libro,
Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nel n. 577
del 10 giugno 2003 de "La nonviolenza e' in cammino"]

Ora che Dino ci ha lasciati, lo smarrimento che proviamo e' la coscienza che
un pezzo della nostra storia, personale e collettiva, se ne e' andato. Con
lui abbiamo attraversato l'arco glorioso e turbolento che va dal '68 al
movimento per la pace dei nostri giorni; da lui abbiamo appreso, discutendo
e litigando, consentendo e dissentendo ferocemente, la propensione a
schierarci senza se e senza ma ovunque un diritto fosse violato, una
minoranza fosse oppressa, un gruppo sociale fosse discriminato.
Grazie a lui abbiamo compreso che nelle vicende del popolo palestinese,
nelle rivendicazioni dei curdi, nella richiesta di rispetto degli immigrati
e' racchiuso per intero il senso del nostro presente: "fatti sociali totali"
che ci rivelano piu' d'ogni analisi geopolitica quali siano la valenza e il
frutto della globalizzazione neoliberista, la sua profonda pulsione a
liberarsi di tutti gli "scarti", di tutte le eccedenze sociali e politiche
che intralciano il suo cammino. Ben prima di noi e ben prima di ogni
teorizzazione dotta, Dino, infatti, aveva scoperto il senso del "glocale".
Occuparsi, come faceva Dino, qui e ora e assai concretamente assumendone per
intero i bisogni esistenziali oltre che politici, di un gruppo di immigrati
bangladeshi, di una collettivita' di richiedenti asilo, di una piccola
minoranza oppressa, di un gruppo di rom deportati, leggendone le "piccole
storie" come pregnanti indizi ed effetti della "grande storia": questo era
per lui l'unico modo possibile per praticare sapere critico e impegno
politico adeguati al presente, dunque scevri da politicismi e fumisterie
ideologiche. La locuzione "irritante e irresistibile", che e' banale e
impronunciabile se non con ironia, nel caso di Dino s'attagliava alla
perfezione.
Irritante era Dino, per chi non lo conoscesse profondamente, quando
pretendeva - e spesso ci riusciva! - di rovesciare l'esito di
un'interminabile e faticosa assemblea arrivando alla fine, con la sua aria
distratta e affaccendata. Quando, nello scetticismo generale, si ostinava
nella pretesa d'improvvisare da un giorno all'altro "una grande
manifestazione" che talvolta per miracolo riusciva. E quando, perfettamente
puntuale nell'ora ma non nel giorno, faceva ingresso con sorriso angelico in
un seminario che volgeva alla fine proponendo la sua relazione introduttiva,
che nondimeno risultava decisiva.
Irresistibile era Dino per la rara capacita' di coniugare il massimo di
radicalita' con il massimo di ricerca di unita', per l'attitudine a mettere
insieme il diavolo e l'acqua santa, i cattolici e gli atei, i vecchi
partigiani e i giovani centrosociali, intorno a una lotta per la difesa dei
diritti dei dannati della terra. E irresistibile ti risultava quando,
andando al di la' delle apparenze, eri capace di scoprire quanto di sapere e
di cultura - cultura alta e vasta, conoscenza dei classici, insieme alle
competenze piu' specifiche, straordinaria capacita' di scrittura, incisiva e
rapidissima - si nascondesse dietro quell'aria nonchalante da militante a
tempo pieno, che mai ha il tempo di occuparsi di se stesso. Dino fra l'altro
aveva scritto, con scrittura sapiente e rara capacita' di analisi, opere
importanti e insufficientemente note.
Un militante sui generis era Dino, in questo assai diverso dal modello che
s'era imposto nel corso degli anni Settanta: perche' all'ostinazione sapeva
unire una straordinaria dolcezza, perche' non conosceva settarismi e
ideologismi, perche' in nessun modo era irregimentabile, da nessun comitato
centrale, fosse pure quello della piu' aperta delle formazioni politiche
della nuova sinistra. Perche' Dino, in fondo, dell'impegno politico
coltivava una visione e una pratica "romantiche", si direbbe banalmente: un
impegno, certo, totalizzante e radicale, generoso fino alla dissipazione di
se', intransigente fino all'ostinazione, rigoroso e al tempo stesso vasto e
molteplice; insomma, l'intera vita come impegno.
Perche' proviamo ora un senso di perdita irreparabile, cui si accompagna una
specie di rimorso? Perche' solo ora comprendiamo che, se abbiamo potuto
preservare i nostri sia pur angusti spazi privati dall'assedio della
politica, conciliare il nostro impegno con qualche raro svago, riservarci
qualche piccolo ambito di vita borghese, e' perche' inconsciamente avevamo
affidato a Dino la missione di testimoniare e militare a tempo pieno. Dino
lo ha fatto sempre, anche per noi.

4. PROFILI. CLAUDIO CARDELLI: DON ZENO SALTINI E L'ESPERIENZA DI NOMADELFIA
[Da "Azione nonviolenta" di dicembre 1996 (disponibile anche nel sito:
www.nonviolenti.org).
Claudio Cardelli, prestigioso amico della nonviolenza, gia' collaboratore di
Aldo Capitini, benemerito studioso e divulgatore della riflessione
nonviolenta. Opere di Claudio Cardelli: Nonviolenza e civilta'
contemporanea, D'Anna, Messina-Firenze 1981. Segnaliamo anche le schede su
vari pensatori e correnti di pensiero pubblicate su "Azione nonviolenta"
negli ultimi anni. Cfr. anche il suo contributo in AA. VV., Periferie della
memoria, Anppia-Movimento Nonviolento, Torino-Verona 1999.
Zeno Saltini, sacerdote cattolico ed educatore (1900-1981), nato a Fossoli
di Carpi (Modena), fondatore della comunita' di "Nomadelfia" che ha sede
dapprima nell'ex-campo di concentramento di Fossoli poi nei pressi di
Grosseto, Zeno Saltini e' una grande figura di costruttore di pace e di
nonviolenza. Dal sito di Nomadelfia (www.nomadelfia.it) riprendiamo la
seguente scheda biografica: "Padre e fondatore di Nomadelfia e' don Zeno
Saltini. 30 agosto 1900: Zeno Saltini nasce a Fossoli di Carpi (Mo), in una
famiglia patriarcale. 1914 - Il rifiuto della scuola: a 14 anni e mezzo Zeno
rifiuta di continuare gli studi, affermando che a scuola insegnano cose che
non incidono nella vita, e va a lavorare nei poderi della famiglia. Vive in
mezzo ai braccianti, conosce le loro miserie e ne condivide le giuste
aspirazioni. 1920 - "Cambio civilta'": soldato di leva nella caserma del III
Telegrafisti a Firenze, ha uno scontro violento, lui cattolico, con un amico
anarchico alla presenza degli altri soldati. L'anarchico sostiene che Cristo
e la Chiesa sono di ostacolo al progresso umano. Zeno sostiene il contrario,
pur riconoscendo che i cristiani sono in gran parte incoerenti. Ma
l'anarchico e' istruito e lui no. Tra i fischi degli altri soldati, Zeno si
ritira da solo e decide: "Gli rispondero' con la mia vita. Cambio civilta'
cominciando da me stesso. Per tutta la vita non voglio piu' essere ne' servo
ne' padrone". Decide di studiare legge e teologia, mentre continua a
dedicarsi ad attivita' di apostolato ed al recupero di ragazzi sbandati. Si
laurea in legge presso l'Universita' Cattolica di Milano. Aveva intenzione
di difendere come avvocato coloro che non potevano pagarsi un difensore; ora
pero' si rende conto che la sua missione e' di prevenire che cadano in
disgrazia: decide di farsi sacerdote.  6 gennaio 1931 - Sacerdote, "il primo
figlio": celebra la sua prima messa nel duomo di Carpi e all'altare prende
come figlio un ragazzo di 17 anni appena uscito dal carcere: Danilo. 1941 -
"La prima mamma": a S. Giacomo Roncole, vicino a Mirandola (Mo), don Zeno
accoglie come figli altri fanciulli abbandonati e fonda l'Opera Piccoli
Apostoli. Ha giurato sull'altare che mai avrebbe fatto un collegio. Scoppia
la seconda guerra mondiale. Nel 1941 una giovane studentessa, Irene, scappa
da casa e si presenta a don Zeno dichiarandosi disposta a far da mamma ai
Piccoli Apostoli. Don Zeno, con l'approvazione del vescovo, le affida i piu'
piccoli e nasce con lei una maternita' nuova, virginea. Altre giovani donne
la seguono, sono le "mamme di vocazione". Alcuni sacerdoti si uniscono a don
Zeno e danno inizio ad un clero comunitario. 1943-1945. La Resistenza: con
l'armistizio dell'8 settembre 1943 i tedeschi occupano l'Italia. Don Zeno,
che aveva preso piu' volte posizione contro il fascismo, la guerra e le
leggi razziali, parte per il sud. Alcuni figli lo seguono per sfuggire alle
deportazioni in Germania. A S. Giacomo l'Opera e' duramente perseguitata e
si tenta di disperderla. Diversi giovani Piccoli Apostoli entrano nelle
formazioni partigiane, mentre alcuni sacerdoti Piccoli Apostoli
contribuiscono all'organizzazione della Resistenza e aiutano centinaia di
ebrei e di perseguitati politici a raggiungere la Svizzera con documenti
falsi. Sette Piccoli Apostoli perdono la vita per la riconquista della
liberta'. 1947-1948 - Nasce Nomadelfia: dopo la fine della guerra, nel 1947,
i Piccoli Apostoli occupano l'ex campo di concentramento di Fossoli, vicino
a Carpi, per costruire la loro nuova citta'. Abbattono muraglie e
reticolati, mentre accanto alle famiglie di mamme di vocazione si formano le
prime famiglie di sposi, che chiedono a don Zeno di poter accogliere i figli
abbandonati, decisi ad amarli alla pari di quelli che nasceranno dal loro
matrimonio. Il 14 febbraio 1948 approvano il testo di una Costituzione che
verra' firmata sull'altare. L'Opera Piccoli Apostoli diventa cosi'
Nomadelfia, che significa dal greco: "Dove la fraternita' e' legge". 1950 -
Il "Movimento della Fraternita' Umana": nel 1950 Nomadelfia propone al
popolo un movimento politico chiamato "Movimento della Fraternita' Umana",
per abolire ogni forma di sfruttamento e per promuovere una democrazia
diretta. Ma l'ostilita' delle forze politiche al governo e di alcuni
ambienti ecclesiastici blocca l'iniziativa. I nomadelfi sono 1.150, dei
quali 800 figli accolti (molti dei quali bisognosi di cure particolari) e
150 ospiti senza casa e senza lavoro. La situazione economica diventa sempre
piu' pesante. Sfruttando questo pretesto si tenta di sciogliere Nomadelfia.
1952 - Lo scioglimento: il 5 febbraio 1952 il Sant'Ufficio ordina a don Zeno
di lasciare Nomadelfia. Don Zeno ubbidisce. Costretti ad abbandonare
Fossoli, i nomadelfi si rifugiano a Grosseto, su una tenuta di diverse
centinaia di ettari da bonificare, donata da Maria Giovanna Albertoni
Pirelli, dove vivono in gran parte sotto le tende. Pur lontano dai figli,
don Zeno cerca di provvedere alle loro necessita', e sempre piu' spesso deve
difenderne in tribunale alcuni che, strappati alle famiglie di Nomadelfia,
sono ricaduti nella malavita. 1953 - La laicizzazione "pro gratia": chiede
percio' al papa di poter rinunciare temporaneamente all'esercizio del
sacerdozio per tornare alla guida dei suoi figli. Nel 1953 Pio XII gli
concede la laicizzazione "pro gratia". Depone la veste, torna fra i suoi
figli. I nomadelfi dopo la dispersione sono circa 400. 1962 - La "seconda"
prima messa: nel 1954 don Zeno crea i "gruppi familiari". Nel 1961 i
nomadelfi si danno una nuova Costituzione come associazione civile, e don
Zeno chiede alla Santa Sede di riprendere l'esercizio del sacerdozio.
Nomadelfia viene eretta in parrocchia e don Zeno nominato parroco. Il 22
gennaio 1962 celebra la sua "seconda prima messa". Nel 1965 don Zeno propone
ai nomadelfi una nuova forma di apostolato: le "Serate di Nomadelfia", uno
spettacolo di danze. Nel 1968 inizia la pubblicazione del mensile
"Nomadelfia e' una proposta". Nello stesso anno i nomadelfi ottengono dal
Ministero della Pubblica Istruzione di educare i figli sotto la loro
responsabilita', nella propria scuola interna. 12 agosto 1980. I nomadelfi
presentano a Giovanni Paolo II, nella villa di Castelgandolfo, una "Serata".
E' presente tutta la popolazione di Nomadelfia. Il papa dice tra l'altro:
"Se siamo vocati ad essere figli di Dio e tra noi fratelli, allora la regola
che si chiama Nomadelfia e' un preavviso e un preannuncio di questo mondo
futuro dove siamo chiamati tutti". 15 gennaio 1981 - La morte di don Zeno:
pochi mesi dopo don Zeno, colpito da infarto, rivolge ai nomadelfi le ultime
parole prima dell'agonia: si puo' considerare il suo testamento. Muore in
Nomadelfia il 15 gennaio 1981, mentre il Papa riceve una delegazione di
nomadelfi insieme ai quali prega per lui e invia la sua benedizione". Opere
di Zeno Saltini: Don Zeno di Nomadelfia, L'uomo e' diverso, Ed. Nomadelfia;
Tra le zolle, Ed. Nomadelfia; Sete di giustizia, Ed. Nomadelfia; I due
regni, Ed. Nomadelfia; Dirottiamo la storia del rapporto umano, Ed.
Nomadelfia; Dimidia hora, Ed. Nomadelfia; Lettere da una vita - vol. 1
(lettere scritte da don Zeno fra il 1900 e il 1952), EDB; Lettere da una
vita - vol. 2 (lettere scritte da don Zeno fra il 1953 e il 1981), EDB; Don
Zeno racconta l'avventura di Nomadelfia (autobiografia coordinata da Mario
Sgarbossa e illustrata dai ragazzi di Nomadelfia), Ed. Nomadelfia. Opere su
don Zeno Saltini e Nomadelfia: Norina Galavotti di Nomadelfia, Mamma a
Nomadelfia, Ed. Nomadelfia; Mario Sgarbossa , Don Zeno... e poi vinse il
sogno, Citta' Nuova; Virgilio Angelo Galli, Qualcosa del padre, Mucchi
Editore; Remo Rinaldi, Don Zeno, Turoldo e Nomadelfia. Era semplicemente
Vangelo, EDB; Vittoria Fabretti, Don Zeno di Nomadelfia, Edizioni Messaggero
Padova; Maurilio Guasco, Paolo Trionfini, Don Zeno e Nomadelfia tra societa'
civile e religiosa (Atti del convegno di studi su don Zeno - 1999),
Morcelliana; Nomadelfia, un popolo nuovo, Ed. Nomadelfia; Beppe Lopetrone
con i Nomadelfi, Don Zeno 100 anni, (libro fotografico; cfr. anche il sito
www.donzeno.it). Presso Nomadelfia sono disponibili - oltre a tutti i libri
citati - anche videocassette ed altri materiali]

E' noto che l'eccessivo attaccamento alla proprieta' privata e' fonte di
egoismo e di violenza; percio', fin dai tempi antichi, e' sorto l'ideale di
una vita comunitaria, dedita al lavoro in una fraterna condivisione dei
prodotti dell'attivita' di tutti. In campo cristiano si puo' risalire al
monachesimo benedettino e alla celebre Utopia (1516) di Tommaso Moro.
Molto conosciuta e' la Comunita' dell'Arca, fondata in Francia da Lanza del
Vasto, e modello per altre esperienze comunitarie anche in Italia. Una via
originale e' quella trovata da don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia,
una comunita' ancora fiorente, dopo circa mezzo secolo di vita, situata a 8
chilometri da Grosseto sulla statale per Siena.
*
La vita di don Zeno
Zeno Saltini nacque il 30 agosto 1900 a Fossoli di Carpi (Modena), in una
famiglia patriarcale, dedita alla coltivazione dei propri poderi. A 14 anni
rifiuta di continuare gli studi e va a lavorare nei poderi della famiglia,
vivendo in mezzo ai braccianti e imparando da loro le prime teorie
socialiste.
Chiamato alle armi nel 1917, conosce la terribile realta' della guerra e
matura in lui l'idea di farsi apostolo di una nuova civilta', senza servi
ne' padroni. Riprende gli studi e si laurea in legge.
Sollecitato da un'intensa vocazione religiosa, a 30 anni entra in seminario:
nel 1931 celebra la prima messa e si fa padre di un ragazzo che esce dal
carcere.
A S. Giacomo di Roncolo (Modena) fonda l'Opera dei Piccoli Apostoli, dedita
all'accoglimento dei bambini abbandonati. Nel 1941 una giovane studentessa,
Irene, scappa di casa e si presenta a don Zeno dichiarandosi disposta a fare
da mamma ai piccoli trovatelli. Altre giovani donne la seguono: si
chiameranno "mamme di vocazione".
Nel 1947 i Piccoli Apostoli occupano il campo di concentramento di Fossoli e
si formano le prime famiglie di sposi, disposti anch'essi ad accogliere come
figli i fanciulli senza famiglia. I Piccoli Apostoli, decisi a costruire una
nuova civilta' fondata sul Vangelo, diventano un popolo: Nomadelfia (dal
greco: "la fraternita' e' legge").
La comunita' e' cresciuta (circa 1.100 persone), ma non e' facile trovare le
risorse per sfamare tante persone: gli adulti si arrangiano, qualcuno torna
nei campi, nasce una piccola cooperativa che fallisce.
Questi conti che non tornano mettono don Zeno nei guai: il 5 febbraio 1952
un decreto del S. Ufficio intima a don Zeno di lasciare Nomadelfia e di
mettersi a disposizione del suo vescovo.
Il coraggioso sacerdote, l'anno seguente, ottiene la riduzione alla stato
laicale per poter continuare a vivere come padre di questo popolo nuovo.
I nomadelfi vengono mandati via da Fossoli con l'intervento della polizia.
Emigrano in Toscana, dove una signora milanese (Maria Giovanna Pirelli)
regala loro la tenuta "Rosellana", presso Grosseto, che viene ripulita dai
sassi e messa a coltivazione. Nel 1962 don Zeno riprende l'esercizio del
sacerdozio e Nomadelfia viene eretta a parrocchia.
Muore a Nomadelfia il 15 gennaio 1981 circondato dall'affetto di tutti i
suoi "figli".
*
Nomadelfia oggi
La comunita' ha oggi salde tradizioni e continua sulla via tracciata dal
fondatore: la popolazione e' di circa 320 persone su un territorio di 4 Km.
quadrati. In Nomadelfia non circola denaro, non esiste proprieta' privata,
non e' ammessa nessuna forma di sfruttamento, ma tutto e' comune.
Uomini e donne lavorano in gruppo, ciascuno a vantaggio della comunita'; se
hanno denari per qualche rendita particolare, li versano al fondo comune.
L'attivita' fondamentale e' quella agricola: la tenuta produce a sufficienza
pane, vino, olio, latte e verdure, oltre a una minore quantita' di carne e
formaggi. Nomadelfia possiede anche diversi laboratori, una tipografia, una
falegnameria, un piccolo caseificio e un frantoio.
Uomini e donne lavorano nelle aziende della comunita', in casa, nei
laboratori e uffici; tutti i lavori che si possono compiere insieme vengono
eseguiti da tutta la popolazione (sono chiamati "lavori di massa").
*
La famiglia e la scuola
Don Zeno era convinto che "l'egoismo familiare e' piu' deleterio
dell'egoismo personale". Per questo nel 1954 aveva creato i gruppi
familiari, composti ciascuno da 4 o 5 famiglie per un totale di circa 30
persone fra adulti e figli. Queste famiglie hanno in comune una casetta
centrale con cucina, sale da pranzo e laboratori, mentre ciascuna famiglia
ha le proprie camere in casette separate.
Per evitare che il gruppo familiare diventi a sua volta un centro di
egoismo, per essere disponibili a vivere con tutti e a distaccarsi dalle
cose, ogni tre anni la presidenza scioglie i gruppi familiari e li ricompone
con altre famiglie. Ciascuna famiglia, ovviamente, rimane sempre unita e
porta con se' soltanto gli effetti personali (artt. 13 e 14 della
Costituzione di Nomadelfia).
I nomadelfi hanno rifiutato la scuola pubblica per creare una scuola
"paterna", gestita sotto la loro responsabilita', presentando poi i figli
agli esami della scuola statale.
Uno dei principi fondamentali e' la "paternita' in solido", nel senso che
tutti gli uomini e le donne devono essere padri e madri per tutti i figli,
anche per quelli che non appartengono alla loro famiglia, e devono quindi
intervenire nell'educazione di tutti e trattarli alla pari secondo una linea
pedagogica comune, ispirata al Vangelo.
Concludo citando un brano da una lettera di don Zeno di Nomadelfia:
"L'invidia, la lotta, il potere inteso in senso deleterio, non ci possono
essere in Nomadelfia. Ma anche noi siamo fatti con la stessa creta di Adamo,
quindi peccatori; pero' insistentemente e ripetutamente pentiti e decisi a
correggerci e migliorarci. L'emulazione, cioe' il buon esempio imitato, e'
invece virtu' che e' alla base della nostra vita fraterna. La corsa ai primi
posti, il desiderio di stare in alto, non esiste tra noi, perche' le cariche
comportano sempre oneri e non onori, tanto che nella Costituzione abbiamo
dovuto mettere un articolo che dice espressamente che le cariche non si
possono rifiutare" (primo settembre 1982)...

5. LIBRI. CHIARA ZAMBONI COLLOQUIA CON ESTHER COHEN
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 29 luglio 2005. Segnaliamo che alcune
espressioni contenute in questa conversazione, che e' relativa a temi anche
di grande intensita' emotiva e rievoca feroci pregiudizi e crudelissime
pratiche di persecuzione, potranno dispiacere alla sensibilita' di chi
legge, che avra' la bonta' d'animo di saperle leggere adeguatamente
contestualizzandole, in una trama di ragionamento e di impegno contro ogni
razzismo, contro ogni totalitarismo, contro ogni violenza.
Chiara Zamboni e' docente di filosofia del linguaggio all'Universita' di
Verona, partecipa alla comunita' filosofica femminile di "Diotima". Tra le
opere di Chiara Zamboni: Favole e immagini della matematica, Adriatica,
1984; Interrogando la cosa. Riflessioni a partire da Martin Heidegger e
Simone Weil, IPL, 1993; L'azione perfetta, Centro Virginia Woolf, Roma 1994;
La filosofia donna, Demetra, Colognola ai Colli (Vr) 1997.
Esther Cohen, illustre studiosa, e' docente di critica letteraria alla
Universidad Nacional Autonoma de Mexico; svolge attivita' di ricerca presso
l'Istituto di ricerche filologiche della stessa universita'; e' direttice
della collana "La Huella del Otro" presso la casa editrice Taurus. Tra le
opere recenti di Esther Cohen: La palabra inconclusa, Taurus, Mexico 1994;
El silencio del nombre, Anthropos, Barcelona 1999; Con el diablo en el
cuerpo. Filosofos y brujas en el Renacimiento, Taurus, Mexico 2003 (tr. it.
Con il diavolo in corpo. Filosofia e streghe nel Rinascimento, Ombre corte,
Verona 2005)]

Esther Cohen ha scritto un libro intitolato Con il diavolo in corpo.
Filosofia e streghe nel Rinascimento (Ombre corte, pp. 173, euro 13,50), nel
quale pone al centro la sessualita' femminile, l'eccesso del godimento che
la caratterizza, e il corpo, per leggere il lato in ombra, il lato oscuro
del Rinascimento. Esiste una linea di rottura, una faglia, a partire dalla
quale poter vedere il lato invisibile dello splendore del Rinascimento: si
tratta della persecuzione delle donne per stregoneria. Si sa che i rapporti
tra donne e uomini variano nel tempo e slittano e si modificano
impercettibilmente, ma al medesimo tempo si inscrivono con nettezza nel
simbolico. Uno dei segni piu' significativi e' la forma che prende la
sessualita' accolta e riconosciuta, e l'esclusione che cio' implica. Alla
fine del Quattrocento si gioca una battaglia simbolica sulla sessualita' -
su quella femminile - proprio nel definire i tratti e i comportamenti e i
patti attribuiti a quelle donne che vengono considerate e condannate come
streghe.
*
- Chiara Zamboni: Lei parla del Malleus maleficarum (il martello delle
streghe) del 1486, come uno scritto fondamentale perche' descrive che cosa
sia una strega. I domenicani, che ne sono gli autori, segnalano l'ambiguita'
della strega, l'impossibilita' di ridurla a un tipo preciso. In che senso?
Perche' questo testo segnala un nodo cruciale di quel passaggio di civilta'
che a lei interessa mostrare?
- Esther Cohen: Mi sembra che la pubblicazione del Malleus maleficarum
costituisca un momento di rottura con il passato medievale. Si tratta del
momento nel quale la "strega", che aveva rivestito fino ad allora un ruolo
importante nell'economia simbolica medievale e in fin dei conti aveva avuto
una funzione precisa anche per la Chiesa, cambia nello sguardo sociale. In
questo periodo siamo di fronte a una nuova disposizione del sapere, vengono
gettate le basi del pensiero scientifico: la strega ha una posizione che
niente ha a che fare con tale nuovo inizio. E' per questo che viene
annullata, nella forma molto concreta di essere bruciata viva. Con lei
vengono bruciati tutti i desideri, che in qualche modo rimanevano ai margini
della nuova organizzazione del sapere rinascimentale. Se nel testo parlo di
ambiguita', e' perche' non c'e' nessun tratto che la possa caratterizzare in
modo univoco, distinguendola dal resto delle donne. In questo senso tutte le
donne possono, a un certo punto, diventare streghe. Ma quello che mi e'
interessato di piu' mettere in evidenza e' l'incapacita' di queste donne di
formulare un discorso proprio, che autolegittimasse la loro pratica. E
questo a differenza dei maghi e filosofi del Rinascimento che, anche se
praticavano la magia, avevano la capacita' di produrre discorsi all'altezza
di una accettabile difesa di tale pratica.
*
- Chiara Zamboni: La donna, accusata di stregoneria, e' presentata nel libro
come portatrice di un sapere popolare, radicato e diffuso. Sono gli
inquisitori a descriverla come una strega secondo i loro modelli di
riferimento. Queste donne hanno un loro sapere, fondato sull'esperienza,
hanno delle loro logiche discorsive. Quello che e' mancato loro e' stata la
capacita' di entrare in un rapporto di mediazione con il discorso dominante.
Potrebbe spiegare in che senso?
- Esther Cohen: Certamente, la donna nel Medioevo aveva di frequente delle
conoscenze precise e questo era accettato dalla Chiesa. Ma e' proprio questo
sapere a venir escluso dal sapere ufficiale nel Rinascimento. Prima la loro
esperienza, che si fondava su un sapere concreto, era vista come parte del
sistema simbolico del tempo. Il problema si avverte quando il sistema
scientifico incomincia a riorganizzarsi nello spazio sociale del
Rinascimento. E' a questo punto che le donne "di sapere" incominciano a
essere indicate come streghe, come donne cioe' che agiscono fuori dal
contesto riconosciuto, ufficiale. Sono state bruciate per bruciare in fondo
un sapere popolare che si e' avuto intenzione di cancellare dal paradigma
dominante.
*
- Chiara Zamboni: Parla di una alterita' dentro di se', che a ognuno di noi
fa paura. Cita in questo senso Derrida, e a me viene in mente anche Kristeva
di Stranieri a noi stessi. Si tratta dell'essere invasi, posseduti tra se' e
se' da un fantasma, scrive Derrida. Da una alterita' inconoscibile, scrive
Kristeva, che l'io non puo' controllare. Questa idea l'ha guidata nel libro.
Come?
- Esther Cohen: Credo, con Derrida, che la paura per le streghe non mostri
se non la propria paura, la paura dei nostri desideri piu' bassi, e, in un
certo senso, piu' nascosti. Quando si legge il Malleus maleficarum,
l'impressione che si ha e' decisamente quella di un paio di uomini di chiesa
che semplicemente hanno paura e che si immaginano percio' ogni sorta di
perversione. Questa paura e' il filo conduttore che attraversa tutto il mio
libro, o, per meglio dire, questa idea di Derrida e' il sostegno di una
buona parte del mio testo. Ma dietro questa idea c'e' anche Bataille e la
sua parte maledetta, cioe' l'idea dello spreco, del desiderio improduttivo
di vecchie donne che godono di una sessualita' senza limiti, che non hanno
piu' l'eta' per procreare. Come l'ebreo medievale faceva usura, guadagnando
senza lavorare e cosi' rubava il tempo che apparteneva solo a Dio, allo
stesso modo queste donne sfruttavano il piacere del corpo senza produrre.
*
- Chiara Zamboni: Dimostra un grande amore per il Rinascimento e al medesimo
tempo lo vede come luogo di scontro tra il filosofo, il mago, l'inquisitore
e la strega: i filosofi maghi del Rinascimento come Pico della Mirandola, e
anche Giordano Bruno, hanno separato nettamente magia bianca e magia nera,
quella "buona" dalla "cattiva", impedendo in questo modo una continuita' tra
un sapere popolare, prevalentemente femminile, e un sapere "alto", che in
questo modo si e' difeso. Qual e' la loro responsabilita'?
- Esther Cohen: Certo che guardo al Rinascimento con ammirazione, ma, come
dice Walter Benjamin, non esiste un documento di cultura che non sia allo
stesso tempo un documento di barbarie. Penso che la barbarie propria del
Rinascimento sia rappresentata dalla caccia alle streghe. Nei confronti
cioe' di quelle donne rimaste al di fuori del sapere egemonico ed escluse da
esso. I filosofi come Pico della Mirandola e Agrippa, sapendo qual era lo
statuto della magia, hanno saputo difendersi, facendo una critica dura e
precisa alla pratica della stregoneria. Eppure essi al medesimo tempo hanno
utilizzato le stesse pratiche. La differenza stava nella loro capacita' di
dire in che senso erano fondate le loro pratiche e invece quelle della
stregoneria erano da condannare. I filosofi sapevano, in linea di massima,
come difendersi dall'Inquisizione, mentre erano le donne accusate di
stregoneria che non avevano avuto la capacita' di esprimere il senso e il
valore di quello che facevano: una capacita' discorsiva che le avrebbe
salvate dal rogo. In questo consiste la responsabilita' della cultura
"alta": questi filosofi, per salvarsi, hanno condannato le pratiche di
stregoneria e in questo modo hanno indirettamente condannato quelle donne,
che usavano tali pratiche. Eppure le pratiche che essi adoperavano erano
simili, ma giustificate discorsivamente.
*
- Chiara Zamboni: Tocca anche il problema del male. Nel caso delle streghe
lo mostra legato a una erotizzazione diffusa, a una sessualita' eccedente la
procreazione, al legame tra donna vecchia e godimento.
- Esther Cohen: Tocco il problema del male, che in qualche modo rappresenta
la preoccupazione sia del Medioevo come del Rinascimento. Questo e' vero
anche per la tradizione ebraica: dal Medioevo in poi il problema che ad
esempio si poneva la cabala era "de unde malum"? E a me sembra che il male
nel Rinascimento abbia preso la figura ossessionante della libera e
improduttiva sessualita' delle donne. Questa eccedenza del godimento,
attribuita alla strega, penso che sia un elemento dell'immaginario, che,
anche se non con quella forza, e' ancora vivo nella nostra societa'. Ad
esempio l'esistenza dell'aids e' interpretata come segno del castigo per una
sessualita' oscena, improduttiva, che prescinde dalla questione della
procreazione. A me pare che la lezione che possiamo trarre dal Rinascimento
e dalla sua barbarie sia che la barbarie non e' lontana da noi. Lo abbiamo
visto nella seconda guerra mondiale con la "soluzione finale": attraverso
questo filtro possiamo capire che cosa sia avvenuto nel Rinascimento.
Ruanda, Cambogia e Iraq continuano a parlarci della allergia nei confronti
dell'altro, sia nero, ebreo, indigeno o donna. E' per questo che il lavoro
della memoria e' cosi' importante: riuscire, come dice Derrida, a fare della
memoria non un problema del passato, ma dell'avvenire.
*
- Chiara Zamboni: E oggi? Il patto dominante tra donne e uomini sembra
essere quello che le donne nella vita pubblica diventino eguali agli uomini.
Cio' tranquillizza gli uomini, che sanno le regole di questo gioco. Piu'
provocatoria la valorizzazione della differenza femminile, che puo'
facilmente scivolare oltre un limite, al di la' del quale gli uomini
l'avvertono come una minaccia. Cosa potrebbe dire dell'oggi a partire dalle
analisi del suo libro?
- Esther Cohen: Mi sembra che la battaglia non l'abbiamo ancora vinta.
Adesso, anche se in teoria gli uomini accettano la liberazione della donna,
la liberta' femminile continua a essere una minaccia per la mascolinita'. Io
posso parlare dal punto di vista dell'America Latina - abito in Messico - e
non da quello dell'Europa, dove la liberazione ha avuto altre
caratteristiche. Ma direi che anche in Italia o in Francia una donna deve
ancora lottare per poter essere una donna libera e allo stesso tempo avere
un rapporto di felice eguaglianza con gli uomini.

6. MATERIALI. VENTI LETTURE PER UNA CULTURA DELLA PACE
[Questa proposta di un percorso di lettura, gia' pubblicata nel n. 765 di
questo foglio, e' apparsa dapprima sulla "Rivista del volontariato" n. 12,
dicembre 2003 (per contatti: www.rivistadelvolontariato.it)]

Ovviamente non c'e' la biblioteca ideale della pace e della nonviolenza, non
ci sono ne' i dieci ne' i cento libri che occorre aver letto. Perche' ogni
persona puo' accostarsi all'impegno di pace e alla scelta della nonviolenza
(ed e' opinione di chi scrive queste righe che senza la scelta della
nonviolenza l'impegno di pace resti inadeguato, subalterno ed ambiguo) a
partire dal suo vissuto, dalle sue esperienze e riflessioni, dalle letture
che incontra, dal colloquio corale di cui si trova ad esser parte.
E cosi' vi e' chi ha fatto la scelta della nonviolenza perche' ha letto
Tolstoj e chi l'ha fatta perche' ha letto Dostoevskij; chi e' passato
attraverso Voltaire e Zola, e chi per Erasmo e Thomas More, chi leggendo
Leopardi e Kafka, e chi i Vangeli e la Bhagavad Gita, o i tragici greci, o
Shakespeare e Cervantes, o Kant, o Martin Buber, o Norberto Bobbio.
Qui di seguito si indicano alcune autrici ed alcuni autori, e talvolta dei
singoli libri, che a chi scrive queste righe dicono cose toccanti ed
ortative in tal senso. Ma certo tanti altri libri e persone citar si
potrebbero.
*
1. Di Simone Weil tutto quello che ha scritto, ma particolarmente i
Quaderni, in quattro volumi presso Adelphi (e la sua bella biografia scritta
da Simone Petrement, sempre presso Adelphi).
2. Anche di Primo Levi va letto tutto (adesso vi e' per fortuna un'edizione
complessiva delle opere in due volumi presso Einaudi) ma prima di ogni altra
cosa direi I sommersi e i salvati, l'ultima testimonianza di una Resistenza
che ancora ci chiama alla lotta in difesa e a inveramento della dignita'
umana.
3. Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, edito da Einaudi, e'
la migliore silloge in un solo volume, a cura di Giuliano Pontara, che vi ha
premesso un saggio introduttivo importante quanto e forse piu' della stessa
antologia, poiche' costituisce la migliore sintesi del pensiero gandhiano
disponibile in Italia.
4. Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli (ma anche presso altri
editori); un libro fondamentale, chi non lo ha letto ancora non sa qualcosa
di decisivo.
5. Anche di Hannah Arendt si dovrebbe leggere tutto, ma almeno Le origini
del totalitarismo (Comunita'), La banalita' del male (Feltrinelli), Vita
activa (Bompiani), La vita della mente (Il Mulino); e la sua biografia
scritta da Elisabeth Young-Bruehl (Bollati Boringhieri).
6. E tutto bisognerebbe leggere anche di Franco Basaglia e di Franca Ongaro
Basaglia; ma del primo almeno i due volumi degli Scritti (Einaudi), e della
seconda, oltre i testi a quattro mani nella raccolta teste' citata, anche
almeno Salute/malattia (Einaudi) e Una voce (Il Saggiatore).
7. Tutto va letto di Vandana Shiva, ma almeno Terra madre (Utet).
8. Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, Einaudi.
9. Di Danilo Dolci almeno alcuni libri che raccolgono - scelti dall'autore -
vari interventi, come Esperienze e riflessioni (Laterza), e parte cospicua
dell'opera poetica, come Creatura di creature (successive edizioni presso
vari editori); e Dal trasmettere al comunicare (Sonda).
10. Rosa Luxemburg e' figura imprescindibile; due buone antologie sono
Scritti scelti (Einaudi), e Scritti politici (Editori Riuniti); per
un'introduzione: Lelio Basso (a cura di), Per conoscere Rosa Luxemburg
(Mondadori).
11. Di Rigoberta Menchu' va letto il notissimo libro-intervista a cura di
Elisabeth Burgos, Mi chiamo Rigoberta Menchu' (Giunti).
12. Anche di Assia Djebar tutto va letto, e per un primo incontro La donna
senza sepoltura, Il Saggiatore.
13. Di Nelson Mandela va letta la bella autobiografia Lungo cammino verso la
liberta' (Feltrinelli).
14. Tutto di Guenther Anders, ma almeno L'uomo e' antiquato (Il Saggiatore,
Bollati Boringhieri), Noi figli di Eichmann (Giuntina), Essere o non essere
(Einaudi), il carteggio con Claude Eatherly, Il pilota di Hiroshima
(Einaudi, Linea d'ombra).
15. Hans Jonas, almeno Il principio responsabilita', Einaudi.
16. Anche di Ernesto Balducci occorrerebbe leggere tutto, ma almeno
l'antologia curata insieme a Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia
(Principato), che costituisce un'ottima introduzione al pensiero di pace dal
Rinascimento al XX secolo.
17. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, tre volumi, Edizioni
Gruppo Abele.
18. Di Lev Tolstoj almeno La confessione (SE), Il regno di Dio e' in voi
(Publiprint-Manca), La vera vita (Manca).
19. Di Aldo Capitini almeno gli Scritti sulla nonviolenza (Protagon), e gli
Scritti filosofici e religiosi (Fondazione centro studi Aldo Capitini).
20. Infine segnaliamo tutti i lavori del Centro nuovo modello di sviluppo
(di Vecchiano, Pisa) che e' una delle eredita' feconde dell'esperienza della
scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani; sono editi perlopiu' dalla Emi.

7. RILETTURE. ANGELA BORGHESI: LA LOTTA CON L'ANGELO
Angela Borghesi, La lotta con l'angelo, Marsilio, Venezia 1989, pp. 276,
lire 32.000. Una bella, appassionante monografia su Giacomo Debenedetti.

8. RILETTURE. MARIA CORTI: PRINCIPI DELLA COMUNICAZIONE LETTERARIA
Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria, Bompiani, Milano 1976,
1984, pp. 208, lire 15.000. Una "introduzione alla semiotica della
letteratura" di una delle piu' grandi maestre negli studi di linguistica, di
filologia e di quella bizzarra, enigmatica cosa che e' l'opera letteraria e
il mondo di relazioni che essa crea.

9. RILETTURE. JUDITH REVEL: FOUCAULT, LE PAROLE E I POTERI
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri, Roma 1996, pp.
112, lire 16.000. Un agile, puntuale, denso e acuto profilo foucaultiano.

10. RILETTURE. JACQUELINE RISSET: LA LETTERATURA E IL SUO DOPPIO
Jacqueline Risset, La letteratura e il suo doppio, Rizzoli, Milano 1991, pp.
138, lire 32.000. Una monografia "sul metodo critico di Giovanni Macchia",
che e' anche molto di piu'.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1008 del 31 luglio 2005

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