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Nonviolenza. Femminile plurale. 22
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 22
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 Jul 2005 15:04:34 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 22 del 28 luglio 2005 In questo numero: Brunella Casalini: Universalismo e diritti delle donne. Il contributo di Martha Nussbaum RIFLESSIONE. BRUNELLA CASALINI: UNIVERSALISMO E DIRITTI DELLE DONNE. IL CONTRIBUTO DI MARTHA NUSSBAUM [Dal sito di "Jura gentium. Centro di filosofia del diritto internazionale e della politica globale" (http://dex1.tsd.unifi.it/juragentium/it/) riprendiamo il seguente testo di Brunella Casalini scritto nel 2002 sul libro di Martha Nussbaum, Women and Human Development. The Capabilities Approach, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2000; tr. it. Diventare persone. Donne e universalita' dei diritti, Il Mulino, Bologna 2001, pp. 370. Brunella Casalini (Orbetello, 1963) e' ricercatrice presso la facolta' di scienze politiche dell'Universita' di Firenze; ha conseguito il titolo di dottoressa di ricerca in filosofia politica presso l'Universita' di Pisa; dal 1999 al 2001 e' stata professoressa incaricata di storia delle dottrine politiche. Opere di Brunella Casalini: Antropologia, filosofia e politica in John Dewey, Morano, Napoli 1995; Nei limiti del compasso: Locke e le origini della cultura politica e costituzionale americana, Mimesis, 2002; I rischi del materno. Pensiero politico femminista e critica del patriarcalismo tra Sette e Ottocento, Plus, Pisa 2004; ha curato l'edizione di Mary Wollstonecraft, I diritti degli uomini. Risposta alle riflessioni sulla rivoluzione, Plus, Pisa 2002. Martha Nussbaum e' una delle piu' influenti pensatrici contemporanee, insegna diritto ed etica all'Universita' di Chicago. Fra le opere di Martha Nussbaum: La fragilita' del bene, Il Mulino, Bologna 1996; Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e civile, Feltrinelli, Milano 1996; Terapia del desiderio. Teoria e pratica nell'etica ellenistica, Vita e Pensiero, Milano 1998; Coltivare l'umanita', Carocci, Roma 1999; Diventare persone, Il Mulino, Bologna 2001; Giustizia sociale e dignita' umana, Il Mulino, Bologna 2002; L'intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004. Un'ampia bibliografia delle opere di Martha Nussbaum, aggiornata fino al 2000, compilata da Eddie Yeghiayan, e' dsponibile alla pagina web: http://sun3.lib.uci.edu/eyeghiay/nussbaum.html] All'attivismo contemporaneo in tema di diritti umani corrisponde spesso sul piano della teoria un atteggiamento rinunciatario. L'appello al consenso, al fatto che i diritti umani dovrebbero considerarsi ormai generalmente accettati, stante l'ampio numero di paesi che hanno ratificato le principali convenzioni internazionali, si rivela una sorta d'escamotage per evitare la questione della loro giustificazione sul piano filosofico (1). Molti segnali, tuttavia, dovrebbero suggerire la debolezza di questa posizione: le numerose violazioni di fatto dei trattati da parte degli stessi paesi firmatari, la sfida all'universalismo che viene sia dai teorici del multiculturalismo, sia dai sostenitori dei cosiddetti Asian Values. Il bisogno di argomenti e ragioni che rafforzino quanto sancito da carte e convenzioni emerge in particolar modo qualora si prenda in considerazione la questione dei diritti delle donne quali diritti umani fondamentali. L'impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti delle donne e' stato sancito dalla Cedaw (2), la convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata nel 1979 ed entrata in vigore nel 1981. La quarta conferenza Onu sulle donne, tenutasi a Pechino nel settembre del 1995, ha ribadito, facendone "quasi uno slogan", quanto gia' affermato a Vienna nel 1993, ovvero che i diritti delle donne devono considerarsi "diritti umani fondamentali" (3). Un ulteriore importante strumento sul piano giuridico-applicativo e' stato ottenuto con l'adozione del Protocollo opzionale, entrato in vigore nel dicembre 2000, attraverso il quale gli stati membri firmatari riconoscono a singole donne e a gruppi di donne la possibilita' di far ricorso al Comitato Cedaw per denunciare eventuali violazioni dei diritti stabiliti dalla convenzione (4). L'efficacia di questi strumenti rimane, pero', limitata. Vincoli procedurali e di budget continuano ad ostacolare l'operato del Comitato Cedaw, molto piu' di quanto non accada ad altri analoghi organismi delle Nazioni Unite. A differenza del Comitato sui diritti umani e del Comitato sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, fino all'adozione del Protocollo opzionale, il Comitato Cedaw non poteva ricevere petizioni di singoli individui o gruppi. D'altra parte, si deve ricordare che la Cedaw, pur essendo stata ratificata ad oggi da 168 stati membri dell'Onu (con l'eccezione, degna di nota, degli Stati Uniti d'America), e' stata recepita con un alto numero di riserve. Molti stati hanno ratificato la Cedaw riservandosi di tener conto nella sua applicazione delle esigenze derivanti dall'esistenza di tradizioni locali culturali e religiose in tensione con i principi affermati dalla convenzione. Se pochi sono i paesi islamici che hanno ratificato la convenzione, quei pochi hanno accettato con la riserva di dare comunque priorita' ai principi stabiliti dalla Sharia (5). Susan Moller Okin ha sostenuto che a fronte dell'attuale situazione "delle religioni e delle culture mondiali l'attribuzione di valore a culture e religioni indipendente dal loro contenuto e delle pratiche ammesse al loro interno e' probabilmente un contributo a giustificare la violazione, a ostacolare e a trascurare i diritti della donna" (6). Secondo la Okin, alla domanda "Is Multiculturalism bad for Women?" (7) la risposta dovrebbe essere che nello stato attuale riconoscere diritti ad alcuni gruppi in relazione alle loro tradizioni culturali e religiose rischia di legittimare le condizioni di subordinazione e dominio in cui le donne si trovano all'interno della maggior parte delle religioni e delle culture tradizionali. La preoccupazione della Okin e' condivisa da Martha Nussbaum (sebbene le due autrici assumano posizioni per altri versi distanti (8)). Anche per Nussbaum il relativismo culturale e' pericolosamente vicino ad una convergenza con le posizioni razziste e sessiste di numerose tradizioni locali. Per rispondere alle sfide e ai pericoli del relativismo e' necessario, secondo Nussbaum, recuperare una qualche forma di essenzialismo. In particolare, come vedremo, essa ricorre ad una peculiare interpretazione dell'essenzialismo aristotelico, discostandosi da altre versioni contemporanee dell'aristotelismo (9) - come quella di MacIntyre -, che tendono piuttosto a mettere in luce il carattere olistico della teoria aristotelica del bene e a declinarla in senso relativistico, sostenendo che gli unici criteri appropriati del bene sono locali, ovvero interni alle pratiche di ogni singola societa' (10). * 1. In Women and Human Development. The Capabilities Approach (11), Martha Nussbaum si confronta con questi problemi a partire dall'analisi della situazione delle donne in uno specifico paese in via di sviluppo: l'India. Frutto della sua attivita' di consulente presso l'United Nations University's World Institute for Development Economics Research e di due intensi viaggi di studio in India nel marzo del 1997 e nel dicembre del 1998, questo lavoro si muove lungo tre binari: quello filosofico-politico, quello giuridico-comparativo, e, infine, quello narrativo. Il racconto della storia di due donne indiane, Vasanti e Jayamma, che accompagna i diversi capitoli del libro, ha l'intento di ampliare il nostro orizzonte immaginativo e di accrescere le nostre capacita' empatiche di comprensione dell'alterita'. Esso risponde all'idea - enunciata anche in altre opere della Nussbaum - che l'immaginazione letteraria sia "una componente essenziale di una posizione etica che ci chiede di preoccuparci del bene di altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra" (12). Come se si trattasse di stralci di un romanzo, le vite di Vasanti e Jayamma mostrano il possibile, cio' che puo' accadere in una vita umana: quanto di essa e' frutto di scelta, quanto invece dipende dalle circostanze materiali, sociali e culturali in cui una vita e' vissuta. Il racconto dei percorsi cosi' diversi di queste due donne, collocate l'una "nella frangia povera della piccola borghesia" e l'altra "al fondo della scala economica", sottolinea la necessita' di mantenere distinta la vita separata di ognuno, di tener conto della qualita' della vita individuale. E' questo della separatezza delle persone, insieme all'elemento della qualita' della vita, uno dei punti qualificanti l'approccio delle capacita' che Nussbaum sceglie per affrontare la questione della donna nei paesi in via di sviluppo. Elaborato nei primi anni ottanta da Amartya Sen nell'ambito dell'analisi economica - l'approccio delle capacita' misura la qualita' della vita, assumendo come parametro non le preferenze espresse o il reddito pro capite, ma la valutazione di cio' che le persone sono realmente in grado di fare o di essere, in aree della vita ritenute essenziali. Alla base di questo approccio e' una disamina dei limiti delle prospettive utilitariste e welfariste. Nussbaum e Sen criticano l'idea di persona che e' presupposta da queste teorie, ovvero quella di un contenitore di utilita', la cui individualita' non conta piu' di quanto possa contare nel calcolo del consumo nazionale di petrolio la distinzione tra i singoli barili o serbatoi (13). Essi, inoltre, sottolineano gli errori in cui si puo' incorrere nella valutazione della qualita' della vita prendendo per buone le preferenze espresse, senza tener conto del fenomeno delle cosiddette "preferenze adattive". Proprio durante ricerche condotte sulle condizioni di vita delle donne nei paesi in via di sviluppo, Sen si e' reso conto che spesso donne in condizioni di estrema poverta' e disagio non sono in grado di manifestare insoddisfazione e sofferenza, perche' fatalisticamente piegate all'accettazione del loro destino. Da qui l'idea che solo con un approccio volto a misurare non l'opulenza o l'utilita', ma cio' che queste donne potevano effettivamente fare o essere, ovvero le loro capacita' effettive di funzionamento, nelle situazioni in cui si trovavano a vivere, fosse possibile giungere ad un confronto significativo sulle reali condizioni economiche di diversi paesi. Un ulteriore pregio dell'approccio delle capacita', rispetto alle concezioni centrate sulle risorse e sul reddito pro-capite, consiste, secondo Nussbaum, nel porre chiaramente in evidenza il fatto che la ricchezza deve essere concepita solo come un mezzo in vista del fine del pieno funzionamento umano, e non come un fine in se'. E' questo un punto che accomuna la sua posizione a quella di altri neo-aristotelici, come Green, Barker e Maritain: "Tutti questi pensatori - scrive - hanno trovato in Aristotele l'idea che fine ultimo della politica e' sostenere una ricca 'pluralita' di attivita' umane vitali', per usare una frase di Marx, e che queste attivita' sono distinte le une dalle altre e ciascuna avente valore in se'. La ricchezza e' un mezzo per l'attivita' umana e l'attivita' umana non dovrebbe mai essere valutata solo dalla sua tendenza a produrre ricchezza" (14). Riprendendo il capability approach di Sen, in Women and Human Development Martha Nussbaum intende farne un uso in parte diverso e, sicuramente, piu' ambizioso. Suo intento e', infatti, "superare l'uso meramente comparativo" ed elaborare una lista universalistica (aperta e rivedibile) di capacita' umane fondamentali che possa essere proposta come "base per l'elaborazione di principi costituzionali fondamentali", che dovrebbero essere rispettati dai governi di tutte le nazioni, e poter essere rivendicati da tutti i cittadini, perche' possa dirsi garantito il minimo essenziale per il rispetto della dignita' umana (15). La lista di capacita' che Nussbaum propone e' una lista di capacita' individuali (nel senso che e' implicito in essa il principio della persona come fine), ognuna delle quali presuppone l'idea di una soglia di livello minimo, ovvero un livello al di sotto del quale i cittadini non sono in grado di giungere a un vero funzionamento umano. * 2. Vale qui la pena soffermarsi sul tipo di fondazione che Nussbaum invoca a sostegno di questa lista di capacita', che comprende: vita, salute, integrita' fisica, sentimenti, ragion pratica, appartenenza, essere in grado di vivere con le altre specie avendone cura, gioco, controllo del proprio ambiente sia politico che materiale. Nussbaum afferma, in questo e in altri scritti, che la sua lista di capacita' si fonda su una visione essenzialista dell'essere umano. Qui e altrove ella, pero', precisa che il suo essenzialismo prescinde da una qualsiasi concezione metafisica della natura, o da un resoconto "esternista" dell'essenza umana (16). Per visione "esternista" in etica s'intende una visione che assuma la possibilita' di "uno sguardo da nessun luogo", la visione dell'occhio di Dio, ovvero una visione che prescinde totalmente dalle nostre speranze, dalle nostre paure, e dalle nostre credenze. Il punto di partenza della Nussbaum e', invece, "internista": esso muove da un'indagine dichiaratamente valutativa relativa alle nostre intuizioni su cio' che conta nelle nostre vite umane, e non viene dedotta ne' da una qualche teologia naturale ne' da una qualsiasi fonte non morale (17). Attraverso l'appello al concetto di essere umano e' possibile, secondo Nussbaum, giungere all'individuazione di alcuni "provisional fixed points" non negoziabili nei nostri giudizi, che possiamo testare alla luce di diverse teorie, per verificare se le teorie sono in grado di rispondere ad essi o se i principi devono essere riformati. Ai fini della giustificazione del loro approccio, sia Nussbaum sia Sen fanno ricorso alla procedura rawlsiana dell'equilibrio riflessivo. Questa procedura viene applicata in un ambito esplicitamente politico ricercando un accordo tra persone che hanno concezioni comprensive diverse. A differenza di Sen, tuttavia, Nussbaum ritiene che attraverso tale procedura, sottoponendo i punti fissi intuitivi circa cosa significhi vivere una vita autenticamente umana al test di diverse concezioni morali, sia possibile giungere ad un resoconto normativo oggettivo dei funzionamenti umani fondamentali (18). Seguendo Aristotele l'autrice di Women and Human Capabilities sostiene la possibilita' di individuare un'unica lista di funzionamenti umani, seppure storico-empirica e sempre aperta a successive revisioni. Per Sen, che non ha mai fornito una lista delle capacita', la strada intrapresa dalla Nussbaum potrebbe non essere inconsistente con il suo approccio, ma, in ogni caso, non e' ad esso necessaria. Egli, d'altra parte, non ha nascosto le sue perplessita' per la concezione "overspecified" di natura umana che la posizione della Nussbaum implica, e ha sempre preferito un approccio generale ad un approccio valutativo completo (19). Alla domanda perche' fermarsi ad un approccio generale, Sen risponde che "la motivazione sottostante ha a che fare con il riconoscimento del fatto che un accordo sull'usabilita' dell'approccio delle capacita' - un accordo sulla valutazione dello spazio degli object-values - non ha bisogno di presupporre un accordo su come l'esercizio valutativo puo' essere completato. E' possibile essere in disaccordo sia sulle basi esatte sui cui si fonda la determinazione dei pesi relativi, sia sui pesi relativi effettivi scelti, persino quando c'e' un accordo ponderato sulla natura generale degli object-values (in questo caso, funzionamenti personali e capacita'). Il fatto che l'approccio delle capacita' sia consistente con diverse teorie sostantive non dovrebbe essere una fonte di imbarazzo". L'approccio delle capacita' di Sen non ha bisogno "di un previo accordo sui valori relativi dei diversi funzionamenti e delle diverse capacita', o su una specifica procedura per decidere di questi valori relativi" (20), esso funziona anche in assenza di un accordo su un qualche visione comprensiva. In questo senso, Sen rimane piu' vicino alla teoria di Rawls (21), sebbene - come vedremo - anche Nussbaum guardi a Rawls come ad un interlocutore privilegiato e confessi che nei suoi ultimi lavori e' divenuta sempre piu' forte l'influenza di Kant e Rawls sul suo pensiero. Nussbaum sposa, in particolare, l'idea rawlsiana di un liberalismo politico e non comprensivo, ovvero di un liberalismo che parte dall'accettazione dell'esistenza di una pluralita' di dottrine comprensive ragionevoli e chiede ai propri cittadini un'adesione politica, e non "metafisica", ai principi che sorreggono le istituzioni politiche fondamentali, principi tra i quali deve collocarsi in primo luogo il principio dell'eguaglianza dei cittadini. A differenza del liberalismo comprensivo - di un John Stuart Mill o di un Joseph Raz -, il liberalismo politico non attribuisce allo stato il compito di favorire la formazione di cittadini autonomi, e non si pronuncia sul fatto se vite autonome debbano, o no, considerarsi migliori di "vite gerarchicamente ordinate" (22). * 3. In Women and Human Capabilities, la lista delle capacita' e' intesa come una sorta di rielaborazione critica dell'elenco dei "beni principali" proposto da Rawls in A Theory of Justice: "Possiamo considerare l'elenco delle capacita' - scrive Nussbaum - come una lista di opportunita' di funzionamento, in modo che sia sempre razionale volerle indipendentemente da quello che si vuole". Come gia' sostenuto da Sen, il limite dell'approccio rawlsiano consisterebbe nel misurare chi sta peggio e chi sta meglio in base alla risorse disponibili. Cio' potrebbe funzionare, per Nussbaum (e Sen), se gli individui fossero sostanzialmente simili, ma nella realta' gli individui presentano forti variazioni sia dal punto di vista delle risorse di cui possono avere bisogno sia della loro capacita' di trasformare risorse in funzionamenti. L'enfasi sulla ricchezza e sul reddito presente nella lista dei beni principali di Rawls non tiene sufficientemente conto del fatto che le circostanze sono un elemento spesso determinante per la qualita' della vita. Se anche le donne indiane potessero godere dello stesso reddito degli uomini le loro opportunita' e la loro effettiva liberta' sarebbero ancora fortemente condizionate dalle circostanze in cui si trovano a vivere e dalla posizione di svantaggio dalla quale si trovano a dover partire. Una teoria della giustizia, per Nussbaum, deve tener conto non solo delle liberta' negative e dei beni primari ma anche delle effettive liberta' positive di ottenere certi funzionamenti. D'accordo su questo punto con Sen, l'autrice afferma che "i criteri generali basati sull'utilita' e sulle risorse risultano insensibili alle variazioni contestuali, al modo in cui le circostanze formano le preferenze e le capacita' degli individui di trasformare risorse in attivita' umana significativa" (23). Il passaggio dal linguaggio delle risorse a quello delle capacita', non e' tuttavia l'unica variazione significativa introdotta in Women and Human Capabilities rispetto alla concezione di Rawls. Se quest'ultimo, infatti, ha sostenuto che la sua teoria della giustizia nasce all'interno della tradizione politica occidentale, Nussbaum considera la sua lista delle capacita' come risultato di una comunicazione in cui "l'orizzonte di comunicabilita' non e' fissato da un ethos condiviso, ma dal genere umano" (24). La lista e' concepita in modo che su di essa possano risultare convergenti le nostre intuizioni ponderate su quelle "funzioni che sono particolarmente essenziali per la vita umana, nel senso che la loro presenza o assenza e' contrassegno caratteristico della presenza o assenza della vita umana", e sull'idea che possa darsi un modo particolarmente umano, e non meramente animale, di assolvere a queste funzioni. Nussbaum ritiene che la possibilita' di questo consenso universale abbia trovato una qualche forma di conferma nelle discussioni svolte durante numerose occasioni di incontro multiculturale, in seguito alle quali la lista e' stata affinata, rivista e ampliata. Se Rawls, infine, pensa di poter proporre un elenco di beni che prescinda da una qualche concezione del bene, Nussbaum afferma che non e' possibile fare a meno di una qualche idea di autentico funzionamento umano, e che Rawls stesso in qualche misura e' costretto a presupporla quando parla della societa' come impresa cooperativa e del valore della scelta autonoma. * 4. Vediamo meglio quali sono le idee che informano la lista delle capacita' formulata dalla Nussbaum. Essa - si legge in Women and Human Development - non costituisce "una teoria della giustizia completa, ma ci da' la base per determinare un minimo sociale accettabile in varie aree" (25). Parte integrante della visione neo-aristotelica che ispira la lista delle capacita', insieme all'idea kantiana dell'inviolabilita' della persona, e' l'importanza centrale attribuita alla socialita' e alla ragion pratica, come funzionamenti che sostengono tutti gli altri rendendo il loro conseguimento pienamente umano. Con l'accento particolare posto su tali voci della lista, Nussbaum sembra voler accentuare la possibilita' dell'approccio delle capacita' di presentarsi come alternativa plausibile a quella visione individualistica delle liberta' e dei diritti che pare essere piu' forte in occidente che in altre culture, e alla quale - a suo avviso erroneamente - e' stata ridotta la tradizione liberale occidentale. L'elenco e' una lista di capacita' combinate: esso considera il fatto che tutte le capacita' interne (dal saper parlare, al saper giocare, alle capacita' procreative, ecc.) hanno bisogno di un ambiente circostante che ne favorisca lo sviluppo. Esso insiste cioe' sulla "duplice importanza delle circostanze materiali e sociali, sia nella formazione delle capacita' interne, sia nella loro espressione una volta formate" (26). Un aspetto importante dell'approccio della Nussbaum e' dato dalla distinzione tra capacita' e funzionamenti. Lo stato dovrebbe impegnarsi nella promozione delle capacita', non nel richiedere ai propri cittadini particolari funzionamenti. "Quando si tratta di cittadini adulti, la capacita', non il funzionamento, e' la meta politica appropriata" (27). Questa distinzione e' necessaria se si vuol rispettare il valore della ragion pratica nelle scelte individuali, e non cadere in forme di paternalismo poco rispettose del pluralismo. Il pluralismo e' qui salvaguardato dal fatto che la promozione della lista delle capacita' e' aperta a funzionamenti relativistici. Una volta articolata tale differenziazione, tuttavia, l'autrice e' costretta a reintrodurre tutta una serie di casi e circostanze in cui pare quanto meno discutibile che lo stato possa accontentarsi di promuovere capacita' senza richiedere specifici funzionamenti. Sia il fatto che alcune scelte possono ridurre o comportare una rinuncia permanente a determinate capacita' (come nel caso della mutilazione genitale femminile), sia la considerazione che per incoraggiare la formazione di alcune capacita' possa essere talvolta utile esigere certi funzionamenti, mostrano la difficolta' di eliminare del tutto alcune forme di "paternalismo". I limiti entro cui tale azione paternalistica e' ammissibile dovrebbero essere lasciati - secondo Nussbaum - "ai processi democratici di ciascuna nazione" (28). L'accusa di paternalismo spesso rivolta alle teorie universaliste e' una delle difficolta' con cui l'autrice si confronta piu' seriamente sul piano teorico nel corso di Women and Human Development - come vedremo sia dalla sua analisi del ruolo delle preferenze nella giustificazione di scelte politiche fondamentali, sia dal suo tentativo di rispondere alle sfide del relativismo. Non c'e' dubbio, tuttavia, che prendendo in considerazione i casi in cui lo stato non puo' accontentarsi di garantire capacita', Nussbaum si trovi almeno parzialmente in contraddizione con la sua opzione per un "liberalismo politico" e non "comprensivo". Cio' emerge chiaramente quando scrive: "Se aspiriamo a produrre adulti che abbiano tutte le capacita' elencate, cio' comportera' spesso richiedere certi tipi di funzionamento nei bambini, poiche', come ho sostenuto, e' spesso necessario esercitare una funzione nell'infanzia per produrre una capacita' adulta matura" e, ancora, quando sostiene che in base a questo interesse sembra legittimo richiedere l'istruzione primaria e secondaria, nonche' esigere che i genitori garantiscano la salute, l'integrita' fisica e il benessere emotivo dei loro figli, e prevenire e punire eventuali abusi o negligenze in tal senso. D'altra parte l'obbligo dello stato di garantire la lista completa delle capacita', indipendentemente dai funzionamenti che un individuo puo' decidere o meno di perseguire, non implica forse come valore di fondo il fatto che le opzioni di vita, anche quella di rinunciare ad un insieme di capacita', sono giustificate solo se sono autonome? Detto in altri termini, l'autonomia rimane un valore fondamentale all'interno del liberalismo della Nussbaum, anche se esso consente che la si possa giocare per sottomettersi ad una vita ordinata gerarchicamente, in quanto quella subordinazione rimane accettabile solo se avviene in un contesto che garantisce la scelta, il che presuppone non solo un insieme di capacita', ma anche un individuo in grado di scegliere (29). * 5. L'elaborazione di norme universali che trascendano barriere culturali, religiose, di razza e di genere e' - come abbiamo visto - una questione strategica urgente, secondo Nussbaum, nella prospettiva del femminismo internazionale, e piu' in generale dal punto di vista di un governo della globalizzazione, che sappia imporre "vincoli alle scelte utilitaristiche che le nazioni possono fare" (30). Una prospettiva universalista, tuttavia, non puo' oggi evitare un confronto con le sfide e gli argomenti dei sostenitori del relativismo e del multiculturalismo. L'argomento meno serio e piu' debole nei confronti dell'universalismo e' costituito, secondo Nussbaum, dall'accusa di occidentalizzazione. La scelta del punto di vista delle donne in un paese come l'India, che e' la piu' grande democrazia al mondo, e che gode di un sistema costituzionale che riconosce sul piano formale l'eguaglianza dei diritti civili e politici delle donne, offre alla Nussbaum una posizione particolarmente favorevole contro quanti sono pronti al sospetto di fronte al linguaggio universalistico in materia di giustizia e diritti umani. Nussbaum non nasconde la sua irritazione nei confronti di quegli occidentali che per "senso di colpa" o per cattiva informazione si ostinano a voler considerare tutti i mali di un paese come l'India e delle donne indiane come un portato della colonizzazione e dell'Occidente: "chi sostiene che le donne erano tutte felici in India prima che le idee occidentali venissero a turbarle non merita attenzione, perche' ignora - scrive - enormi lembi di realta', tra cui il movimento indigeno per l'educazione femminile, per l'abolizione della purdah, per la partecipazione politica delle donne, che si sono rafforzati nel corso dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, sia nella tradizione indu' sia nella tradizione musulmana, in qualche modo precedendo il movimento femminista britannico e statunitense. Allo stesso modo si rivela fuori della realta' chi oggi neghi che le idee di liberta' politica, uguaglianza sessuale e non discriminazione siano idee indiane" (31). La vera sfida che l'universalismo deve affrontare e prendere sul serio e' rappresentata per Nussbaum dalla possibilita' di proporre criteri universali che riescano ad essere abbastanza flessibili e sensibili verso la complessita' di tradizioni diverse e di contesti quotidiani complessi. Una prospettiva universalista deve rispondere ad almeno tre argomenti piu' seri dell'accusa di occidentalizzazione. Il primo argomento e' relativo al problema della diversita' culturale. L'universalismo, secondo i teorici del multiculturalismo, nel valutare attraverso criteri universali la condizione delle donne indiane non e' in grado di rispettare quella tradizione di deferenza, di modestia femminile, di castita' e di obbedienza che sarebbe propria del patrimonio culturale indiano. Nussbaum non intende negare che sia importante per una donna indiana poter scegliere di mantenersi fedele a questi valori, essa sottolinea, tuttavia, da un lato la necessita' di verificare se esistano le condizioni per cui si possa a ragione parlare di scelta, dall'altro l'opportunita' di riconoscere che sono esistite nella storia indiana anche voci femminili che hanno parlato della sofferenza e del dolore prodotto nelle donne indiane da una tradizione che le riduceva in una condizione di totale isolamento e impotenza. Perche' - si chiede Nussbaum - dovremmo considerare la tradizione trasmessa da guide religiose e culturali maschili come piu' pure e rappresentative dei valori indiani delle voci di protesta che si sono alzate nella storia contro quella tradizione? Nel valutare una tradizione, prima di lamentare la sua eventuale estinzione, secondo Nussbaum dovremmo poter disporre di criteri per dire se essa contenga pratiche lesive nei confronti delle persone e se la sua scomparsa non costituisca l'unica via per evitare un danno alla dignita' umana. L'argomento della diversita' culturale viene declinato spesso in termini relativistici: ovvero viene tradotto nell'idea per cui ogni cultura dovrebbe trovare al suo interno i propri principi guida, come se ogni cultura fosse un'isola priva di comunicazioni con l'esterno. Contro questa posizione Nussbaum ci invita non solo a guardare al carattere aperto e pluralistico di ogni cultura, compresa la cultura indiana - un invito gia' presente in Laicismo indiano di Amartya Sen -, ma anche a considerare gli esiti autodistruttivi dello stesso relativismo: "nel chiederci di sottometterci a norme locali, ci chiede di osservare norme che sono nella maggioranza dei casi non relativistiche. Gran parte delle tradizioni locali si considerano assolutamente, e non relativamente, vere: quindi nel chiederci di seguire l'elemento locale, il relativismo ci chiede di non seguire il relativismo" (32). L'obiezione piu' seria contro l'universalismo e' rappresentata per l'autrice dall'accusa di paternalismo. Si tratta di un'obiezione seria perche' ci invita a rispettare il principio della liberta' di scelta individuale. Su questo specifico problema la posizione della Nussbaum e' articolata. In primo luogo, la sua risposta consiste nell'osservare che non esiste un'incompatibilita' di fondo tra universalismo e riconoscimento della liberta' di scelta individuale, nella misura in cui quest'ultimo presuppone la condivisione di almeno un principio universale: "il valore di poter pensare e scegliere per proprio conto". Quando si passa dal piano della teoria al piano della politica la questione si complica. Nussbaum tiene qui distinta la questione dell'imposizione di norme universali da parte di istituzioni sovranazionali da quella della loro imposizione da parte di istituzionali nazionali democratiche. Ogni stato nazionale democratico ha nei confronti dei suoi cittadini un atteggiamento paternalistico, nella misura in cui, per esempio, impedisce loro di fare quello che vorrebbero per evitare che possano ledere altri. E' in sostanza possibile, secondo l'autrice, accettare certe forme di paternalismo e rifiutarne altre: "il paternalismo non ci piace, proprio perche' c'e' qualcos'altro che ci piace, la liberta' di scelta di qualcuno nelle questioni fondamentali. E' perfettamente coerente rifiutare alcune forme di paternalismo, e sostenerne altre che riconoscono questi valori centrali, su una base egualitaria" (33). Uno stato democratico, impegnato a garantire non solo l'eguaglianza formale delle donne nel godimento dei diritti civili e politici, ma anche la loro effettiva capacita' di partecipazione e di scelta, dovra' necessariamente adottare una serie di misure redistributive che interferiranno nelle scelte di alcuni, e quindi in questo senso configurera' una forma anche ampia di paternalismo, che sara' giustificata nella misura in cui sara' volta a riconoscere in modo piu' egualitario la liberta' di scelta di ognuno nelle questioni fondamentali. Diversa e' la posizione della Nussbaum quando si tratta di prendere in considerazione il ruolo delle istituzioni internazionali in vista di un maggiore rispetto di principi universali su scala globale. Tutta la riflessione condotta in Women and Human Development sembra mossa in proposito da una certa cautela. La ragione principale addotta a giustificazione di questa posizione e' costituita dalla necessita' di tener presente le scarse credenziali democratiche delle attuali istituzioni internazionali. La Nussbaum non s'impegna in una valutazione delle conseguenze che potrebbero derivare dall'applicazione del suo approccio delle capacita' sul piano del diritto internazionale. Charlesworth ha osservato che si potrebbe, per esempio, pensare di utilizzare l'approccio delle capacita' per valutare l'ammissibilita' delle riserve presentate da alcuni degli stati firmatari della Cedaw, considerando se l'effetto del loro richiamo alla tradizione e alle culture locali e' tale da ridurre la possibilita' delle donne di vivere una vita autenticamente umana (34). Nussbaum, pero', pur non negando che l'approccio delle capacita' possa essere utile per valutare i principi su cui si fonda il diritto internazionale, sembra piuttosto restia a prenderne in considerazione un'applicazione vincolante, nella misura in cui cio' puo' entrare in tensione con la volonta' espressa degli stati, in particolare qualora si tratti di democrazie costituzionali come nel caso dell'India (35). In sostanza, se l'osservazione di Charlesworth mira ad un'utilizzazione dell'approccio delle capacita' volto a limitare le pretese delle sovranita' nazionali (per esempio col giudicare inammissibili alcune riserve nei confronti delle convenzioni internazionali), la Nussbaum non pare disposta ad andare in quella direzione (36). Il fatto - ammesso dalla stessa Nussbaum - che la realizzazione di una politica che assuma come principi guida la sua lista delle capacita' richiede non solo una cooperazione sul piano internazionale, ma anche una qualche forma di politica redistributiva tra paesi ricchi e paesi poveri, fa pensare che sarebbe stata necessaria da parte dell'autrice una piu' articolata riflessione sulle istituzioni internazionali, sulla possibilita' effettiva di riformarle e di renderle rappresentative, cosi' da legittimare un loro piu' efficace impegno a difesa dalle violazioni dei piu' fondamentali diritti umani. In tutto il testo, alla fiducia nel ruolo delle ong, nel miglioramento delle condizioni di alcune donne in paesi come l'India, corrisponde una sottile diffidenza verso un ruolo piu' attivo di pressione da parte delle organizzazioni internazionali e sembra mancare un rilievo adeguato sugli effetti di ricorsi sul piano giudiziale alle convenzioni internazionali, la cui funzione pare invece limitata dall'autrice al piano della persuasione. Come valuterebbe Nussbaum la possibilita' del ricorso da parte di singole individue o di gruppi di donne al Comitato della Cedaw aperta dall'introduzione del Protocollo opzionale, per il momento ratificato da poco piu' di una decina di paesi? Se e' vero che il linguaggio delle capacita' copre piu' o meno lo stesso spazio del linguaggio dei diritti umani - come evidenzia l'autrice stessa -, mi pare che esso sia sostanzialmente piu' debole dal punto di vista della possibilita' per i singoli di rivendicare pretese legittime. Il vantaggio che esso presenta di uscire dall'interminabile dibattito sul carattere esclusivamente "occidentale" o no dei diritti lascia tutto sommato piu' problemi aperti di quanti riesce a risolverne (37). * 6. Ho sottolineato inizialmente l'importanza che ha per l'approccio fondato sulle capacita' la critica alle concezioni welfariste e il rilievo posto sul fenomeno delle cosiddette preferenze adattive o distorte. Se l'approccio welfarista e' mosso dalla preoccupazione di rispettare le scelte e le preferenze espresse dalla gente, ci si puo' chiedere in che misura l'approccio delle capacita' finisca per optare per una forma di platonismo, ovvero per una visione in cui l'urgenza di vedere salvaguardati alcuni principi universali di giustizia legittimi passa sopra a quello che la gente puo' pensare dei cambiamenti che si sono introdotti (38). Il femminismo internazionale e' spesso accusato proprio di voler imporre a donne che hanno loro tradizioni e costumi principi ad esse estranei. Per giungere alla formulazione di un'alternativa credibile tanto al platonismo che al welfarismo la Nussbaum si impegna in una disamina del ruolo delle preferenze nelle scelte pubbliche, al fine di valutare quando e' giusto tenerne conto e quando e' necessario sottoporle ad un vaglio critico-razionale. La sua argomentazione prende le mosse dall'esame delle ragioni che hanno indotto gli economisti utilitaristi ad introdurre delle correzioni al welfarismo soggettivista che vanno dalla considerazione dell'errore cognitivo alla distinzione tra bisogni razionali e irrazionali. Autori come Harsanyi e Brandt hanno tentato di risolvere questi problemi introducendo l'idea di una procedura di creazione e valutazione delle preferenze che in modi diversi comporta il riferimento all'idea di "una comunita' di uguali, noncuranti del potere e dell'autorita', privi di invidia e di paura, ispirati dalla consapevolezza del posto che occupano nella gerarchia sociale". Questa direzione proceduralista e' stata perfezionata da Rawls e Habermas, creando un "modello kantiano ideale di comunita' morale, introducendo vincoli sull'informazione e sulle procedure" (39). Forme di proceduralismo, come quelle di Habermas e Rawls, sono per Nussbaum "moralmente cariche" e tali da convergere in ultima analisi con un approccio, quale quello da lei scelto, che parte dall'individuazione di un insieme di mete sociali fondamentali. Nella sua ricca analisi delle concezioni welfariste, Nussbaum considera anche la critica di Elster al meccanismo delle preferenze adattive, da quest'ultimo illustrato mediante l'esempio "della volpe e dell'uva acerba". Elster, osserva Nussbaum, sembra sospettoso verso ogni forma di preferenza adattiva. Eppure si dovrebbe ammettere che esistono forme di adeguamento dei desideri alla realta' che sono necessarie e salutari, perche' scoraggiano le persone dal perseguimento di desideri irrealizzabili. Il punto e' qui di nuovo stabilire dei criteri in base ai quali individuare questi casi. Per poterlo fare si ha bisogno, secondo Nussbaum, di qualcosa che la teoria di Elster non offre: una teoria dei beni fondamentali e una teoria della giustizia, ovvero una teoria normativa. Una volta affermato che e' necessaria una teoria del valore intrinseco, lo scivolamento verso il platonismo, ovvero verso una concezione filosofica che fa riferimento a valori eterni, che prescindono totalmente da desideri e preferenze, sembrerebbe breve. Nussbaum, tuttavia, trova questa mossa non convincente, in quanto disconosce il fatto che "il desiderio e' una parte intelligente dell'essere umano": "le emozioni, i desideri e gli appetiti di un essere umano sono tutte parti umanamente significative della sua personalita', degne di rispetto in quanto tali" (40). Nella teoria formulata in Women and Human Development i desideri giocano un ruolo duplice, epistemico e giustificativo, nel tentativo di giungere ad un equilibrio riflessivo. La lista delle capacita' trova un sostegno nel suo essere stata frutto di un reale confronto interculturale nel contesto di incontri con colleghi di altri paesi, in condizioni di informazione adeguata e che favorivano una discussione critica. Essa trova inoltre il conforto di situazioni in cui donne che hanno potuto godere del raggiungimento di determinate capacita' hanno dimostrato di non essere propense a rinunciarvi per tornare a forme di vita tradizionali, nonostante questa scelta fosse loro lasciata aperta. Cio' lascia sperare, secondo Nussbaum, nella possibilita' nel lungo periodo di un consenso convergente tra un proceduralismo informato e una teoria dei beni sostanziali, consenso che rappresenta un requisito essenziale per la stabilita'. Tale consenso dovrebbe dipendere da quanto in prospettiva sara' possibile educare gli uomini "in modo da sostenere concezioni politiche che trattino le donne come eguali" (41). L'idea che si possa giungere ad una convergenza sulla lista di capacita' proposta dalla Nussbaum sembra ottimistica, soprattutto per quanto concerne alcune voci della lista. Si consideri la terza capacita' elencata: l'integrita' fisica. Questa capacita' viene descritta come "Essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all'altro; di considerare inviolabili i confini del proprio corpo, cioe' di poter essere protetti contro le aggressioni, compresa l'aggressione sessuale, l'abuso sessuale infantile e la violenza domestica; avere la possibilita' di godere del piacere sessuale e di scelta in campo riproduttivo". L'estensione di questa capacita' fino a coprire la possibilita' di godere di piacere sessuale e della liberta' di scelta in campo riproduttivo difficilmente potrebbe raccogliere una qualche forma di consenso, come dimostra la conferenza di Pechino del 1995 dove queste questioni hanno incontrato la decisa opposizione dei paesi cattolici e islamici (42). * 7. L'affermazione dell'eguaglianza sessuale trova nel mondo contemporaneo due terreni significativi di tensione e conflitto: la famiglia e la liberta' religiosa. Nel terzo capitolo Nussbaum affronta il problema del ruolo della religione cercando di delineare una posizione alternativa tanto all'umanesimo femminista secolare quanto al femminismo tradizionalista. Se le femministe umaniste - tra le quali puo' collocarsi Susan Moller Okin - dimostrano la tendenza a vedere tutte le religioni come intrinsecamente patriarcali, le tradizionaliste considerano solo la comunita' tradizionale e religiosa come capace di fornire una guida tale da dare un senso concreto al futuro delle donne. Entrambe queste posizioni, secondo Nussbaum, finiscono per commettere lo stesso errore: non prendono sul serio il dilemma rappresentato dalla tensione tra riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti e liberta' di religione. Le femministe secolari hanno, comunque, a differenza delle tradizionaliste, il merito di lottare per una causa giusta: quella del pieno riconoscimento dell'eguaglianza delle donne nel godimento dei diritti. L'approccio delle capacita' riconosce nella religione una fondamentale area espressiva dell'essere umano. A differenza dell'umanesimo secolare esso, inoltre, e' attento al pluralismo interno alle diverse religioni e tradizioni. Liquidando tutte le religioni come patriarcali, infatti, secondo la Nussbaum l'umanesimo secolare femminista si preclude il dialogo con quelle donne che stanno cercando di operare una revisione di diverse prospettive religiose e che potrebbero divenire sue potenziali alleate. Credo sia questo un punto importante: troppo poco infatti sono conosciuti in Occidente i lavori di donne come Neera Nawaz - citata dalla Nussbaum -, ma altri nomi potrebbero essere ricordati - penso, per esempio, a Fatema Mernissi - che rileggendo la tradizione religiosa stanno tentando di farne emergere un quadro meno ostile all'universo femminile e tale da non offrire giustificazione alle attuali derive fondamentaliste. Come riconoscere il diritto delle donne al godimento della lista delle capacita' umane fondamentali spesso messe in pericolo dalle tradizioni culturali e religiose, rispettando al tempo stesso il pluralismo religioso? Nell'affrontare questo dilemma Nussbaum si avvale di alcuni principi guida: 1. le capacita' religiose devono intendersi sempre come capacita' individuali, e non come capacita' di gruppi; 2. il rispetto che lo stato deve alle diverse religioni viene meno quando una pratica religiosa lede le capacita' fondamentali. In termini giuridici il rispetto di questi principi guida potrebbe tradursi, secondo Nussbaum, in qualcosa di simile al Religious Freedom Restauration Act, una legge statunitense del 1993 - successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d'Amerca - che stabiliva l'inammissibilita' d'interferenze dello stato nelle pratiche religiose a meno che tali interferenze non fossero giustificate da un interesse generale imprescindibile, non promuovibile con mezzi meno restrittivi. Un'impostazione di questo tipo non consente allo stato di sindacare, per esempio, sulla scelta dei cattolici di non ordinare sacerdoti di sesso femminile, finche' le donne sono libere di uscire dalla chiesa cattolica, qualora lo vogliano. L'applicazione di questa legislazione ad un caso come quello dell'India deve, tuttavia, tener conto di una situazione ben piu' complessa e difficile, in quanto in questo paese vaste aree del diritto civile sono monopolio delle principali religioni. L'esistenza di sistemi separati di diritto privato, secondo Nussbaum, non costituisce in se' un problema, sebbene sia critica dal punto di vista dell'approccio delle capacita' in quanto profila un sistema di incertezza giuridica in cui e' facile che i cittadini vengano trattati diversamente a seconda delle religione a cui appartengono. Le tensioni esistenti tra musulmani e indu' suggeriscono all'autrice una via piu' prudente e gradualista della secolarizzazione completa del diritto privato. La via indicata e' quella dell'imposizione di vincoli giudiziari e legislativi che spingano i codici religiosi ad un maggior rispetto delle garanzie sia in materia di eguaglianza sessuale sia di effettiva liberta' da parte dei singoli di abbandonare un'appartenenza religiosa. Parte della strategia gradualista, suggerita dalla Nussbaum, consiste anche nell'invito all'apertura di un dibattito sulle convenzioni in materia di diritti delle donne alle quali l'India ha aderito, in vista di un adeguamento dei sistemi legali religiosi. Visto che la famiglia e' stata ed e' in molti casi il luogo in cui storicamente si e' riprodotta la subordinazione della donna, e considerato il fatto che i codici religiosi regolano in primo luogo il diritto familiare, limitando spesso severamente i diritti delle donne, ci si puo' chiedere se - contrariamente a quanto sostenuto dalla Nussbaum - non possa sussistere in queste materie un interesse imprescindibile dello stato ad imporre un codice civile uniforme e quindi a porre dei limiti all'esistenza di sistemi legali religiosi separati, sebbene questo ponga dei limiti al pluralismo religioso. L'insistenza della Nussbaum sul fatto che l'appartenenza della donna ad un certo gruppo o ad una certa cultura non dovrebbe essere considerata vincolante per lei, a meno che non e' stata lei stessa a farla propria, avendo a disposizione tutte le proprie capacita', pone infiniti problemi finche' la donna non ha garanzie di effettiva eguaglianza e liberta' in uno spazio fondamentale come quello della famiglia. L'interrogativo sollevato sopra si rafforza con la lettura del quarto capitolo, dove proprio sulla famiglia si concentra l'analisi. Qui Nussbaum riprende temi comuni alla critica femminista sulla concezione tradizionale della famiglia, sostenendo: 1. che la famiglia non puo' considerarsi un'istituzione naturale; 2. che essa in quanto modellata dalle leggi dello stato non puo' considerarsi una sfera "privata"; 3. che l'inclinazione delle donne alla cura non e' un dato naturale, ma frutto del particolare processo di socializzazione cui le donne sono sottoposte, processo in cui hanno un ruolo cruciale le tradizioni e le leggi. La famiglia in quanto luogo degli affetti e delle cure ha un ruolo importante nella formazione delle capacita' umane, essa pero' - come dimostra proprio la storia delle donne - puo' anche costituire un grave impedimento al loro pieno sviluppo. Questo problema pone la questione se la famiglia, in quanto struttura fondamentale della societa', debba essere soggetta e regolata da criteri di giustizia. E' questa l'obiezione che molte femministe hanno sollevato contro la posizione assegnata alla famiglia all'interno di Una teoria della giustizia di Rawls, con la quale la stessa Nussbaum si confronta lungamente. Due paiono i limiti principali della proposta rawlsiana, anche nell'articolazione che essa riceve in The Idea of Public Reason Revisited: 1. Rawls continua a pensare alla famiglia come ad un'istituzione naturale; 2. egli non si misura fino in fondo con la differenza che sussiste tra un'istituzione come la famiglia e organizzazioni quali chiese, universita', ecc. Se nella famiglia sembra riproporsi la tensione, gia' vista analizzando la religione, tra il valore intrinseco delle capacita' espressive e affettive consentite dallo spazio delle relazioni familiari e il principio della capacita' individuale, la famiglia presenta un tratto peculiare e distintivo rispetto alla religione: essa non esiste senza il sostegno della legge e quindi senza lo Stato. "Non serve - scrive Nussbaum - far pressione affinche' lo stato possa controllare la famiglia dall'esterno, nello stesso modo in cui controlla una universita' privata, a causa del tipo di rapporto che lo stato ha col matrimonio, e anche a causa della diffusa influenza della famiglia sulle sorti e sulle liberta' dei cittadini. La famiglia appartiene semplicemente alla struttura fondamentale della societa', e i principi di equita' basati sulle capacita' le dovrebbero essere applicati direttamente come parte di quella struttura, entro i limiti posti da altre capacita', specialmente quelle riguardanti le liberta' personali (associative, di decoro, di scelta) dei cittadini. Affermato che la famiglia non e' un'istituzione prepolitica, e che la politica ha un ruolo costitutivo nel determinarne la forma, si apre lo spazio per concepirla in termini piu' ampi di quelli classici, costituiti dalla famiglia eterosessuale, nucleare. Altre forme di relazioni possono assolvere quei bisogni affettivi a cui risponde anche la famiglia. I collettivi di donne, come la Self-Employed Women's Association (Sewa), in contesti come l'India, dove la famiglia e' spesso luogo di oppressione, potrebbero costituire delle forme di relazioni affettive degne del sostegno di uno stato che non dovrebbe dare per scontati i gruppi tradizionali". Nussbaum sostiene l'efficacia delle associazioni femminili, facendo appello tra l'altro anche al fatto che tra le donne indiane sarebbe molto piu' diffuso l'ideale della solidarieta' femminile che quello dell'amore romantico. Non e' certo mia intenzione disconoscere l'importanza di un'apertura verso una concezione della famiglia che vada al di la' dell'idea della famiglia eterosessuale, mi pare tuttavia che la Nussbaum sia in qualche misura costretta a guardare in questa direzione proprio per la sua cautela nei confronti di una riforma del codice civile che sottragga il diritto familiare al monopolio che su di esso esercitano attualmente in India le principali tradizioni religiose. * Note 1. Cfr. M. Freeman, The Philosophical Foundations of Human Rights, "Human Rights Quarterly", 16 (1994), pp. 491-514. 2. L'acronimo Cedaw sta per Convention for the Elimination of all Forms of Discrimination Against Women. 3. Cfr. C. Scoppa, I diritti delle donne sono diritti umani, in S. Bartoloni (a cura di), A volto scoperto. Donne e diritti umani, Manifestolibri, Roma 2002, pp. 69-82. 4. Le Nazioni Unite dispongono attualmente di due organismi responsabili in materia di diritti delle donne: la Commissione sullo status delle donne, creata nel 1947, e la Commissione per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne che ha il compito di monitorare il rispetto della Cedaw da parte degli stati firmatari ed e' composta da 23 esperti indipendenti in rappresentanza delle diverse aree geografiche. Cfr. U. A. O'Hare, Ending the "Ghettoisation": The Right of Individual Petition to the Women's Convention, "Web Journal of Current Legal Issues", 5 (1997). 5. Cfr. H. Charlesworth, Martha Nussbaum's Feminist Internationalism, "Ethics", 111, October 2000, p. 67. 6. S. M. Okin, Un conflitto sui diritti fondamentali, "Filosofia e questioni pubbliche", III, 1 (1997), p. 6. Cfr. l'utile testo a cura di Maria Chiara Pievatolo, Susan Moller Okin: una scheda informativa, disponibile alla pagina web: http://lgxserver.uniba.it/lei/filpol/schedaok.htm 7. S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, a cura di J. Cohen, M. Howard e M. C. Nussbaum, Princeton University press, Princeton 1999. Per una traduzione italiana a cura di M. C. Pievatolo del saggio introduttivo della Okin cfr. Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le donne?, alla pagina web: http://lgxserver.uniba.it/lei/filpol/okin.htm 8. V. M. Nussbaum, A Plea for Difficulty, in S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, cit. e la risposta di Okin, ivi. 9. G. Zanetti, Introduzione, in M. Nussbaum, La fragilita' del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 1986, pp. 9-31 e V. Gessa-Koroutschka, Dimensioni della moralita'. Etica e politica nella filosofia tedesca contemporanea, Liguori, Napoli 1999, pp. 79-92. 10. Cfr. M. Nussbaum, Non-Relative Virtues: An Aristotelian Approach, in A. Sen e M. Nussbaum (a cura di), The Quality of Life, Clarendon Press, Oxford 1993, p. 243. 11. Quest'opera della Nussbaum e' stata oggetto gia' di una notevole attenzione, v.: Symposium on Martha Nussbaum's Political Philosophy, "Ethics", 11, October 2000, pp. 5-140, e Assessing Martha Nussbaum's Latest Version of the Human Capabilities Approach, "Ideas NewsLetter", June 2001. 12. M. Nussbaum, Poetic Justice. The Literary Imagination and Public Life, Beacon Press, Boston 1995; tr. it. Il giudizio del poeta. Immaginazione letteraria e vita civile, Feltrinelli, Milano 1996, p. 17. 13. Ivi, p. 34. 14. M. Nussbaum, Aristotle, Politics, and Human Capabilities: A Response to Antony, Arneson, Charlseworth, and Mulgan, "Ethics", 111, October 2000, p. 106. 15. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 26. 16. Per un'analisi critica dell'essenzialismo proposto da Nussbaum, cfr. L. M. Antony, Natures and Norms, in "Ethics", 111, October 2000, pp. 8-36. 17. Nussbaum attribuisce questa stessa teoria ad Aristotele, cfr. ivi, p. 96. 18. Sulle differenze tra la teoria di Nussbaum e quella di Sen, cfr. ivi, pp. 24-29 e D. A. Crocker, Functioning and Capability. The Foundation of Sen's and Nussbaum's Development Ethic, "Political Theory", 20, 4 (1992), pp. 584-612. 19. Cfr. A. Sen, Capability and Well-Being, in A. Sen e M. Nussbaum, The Quality of Life, cit., pp. 46-49. 20. Ivi, pp. 47-48. 21. Cfr. Crocker, op. cit., pp. 797-799. 22. Cfr. su questo punto v., in particolare, M. Nussbaum, A Plea for Difficulty, in S. Moller Okin, op. cit., pp. 108-111. 23. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 89. 24. Cfr. V. Gessa-Kurotschka, op. cit., p. 83. 25. M. Nussbaum, Diventare persone, cit, p. 94. 26. Ivi, p. 104. 27. Ivi, p. 105. 28. Ivi, p. 114. 29. Mi sembra di poter riarticolare cosi' la critica che Okin rivolge a Nussbaum, cfr. S. M. Okin, Reply, in S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, cit., p. 129. In A. Phillips, Feminism and Liberalism Revisited: Has Martha Nussbau, Got it Right? ("Constellations", 8, 2, 2001, pp. 249-266), Phillips contrappone ad un femminismo liberale fondato sull'autonomia un femminismo centrato sull'idea di eguaglianza. 30. Ivi, p. 46. 31. Ivi, pp. 58-59. 32. Ivi, p. 68. 33. Ivi, p. 75. 34. H. Charlesworth, op. cit., pp. 70-71. 35. Cfr. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 123. 36. In risposta alle osservazioni di Charlesworth, Nussbaum riprende un caso gia' proposto in Women and Human Development (ivi, p. 249). Ricorda, cioe', il ricorso alla Corte Suprema indiana da parte di un gruppo di attivisti che nel 1987 chiesero un pronunciamento sul mancato adempimento da parte dello stato indiano degli obblighi derivanti dalla Cedaw, denunciando, in particolare, l'urgenza di una legge sulla violenza sessuale. In quella circostanza la sentenza della Corte riconobbe l'obbligo dell'India di mantenere gli impegni presi con la firma della Cedaw, sollecitando il legislatore a promuovere una legge contro la violenza sessuale. Nussbaum cita questo esempio come un "eccellente paradigma di combinazione tra pressione sopranazionale e sovranita' statale". La Cedaw infatti, pur svolgendo una funzione positiva di pressione, lascia il ruolo di agente del cambiamento alle istituzioni democratiche nazionali, ovvero non risulta in grado da sola di limitare la sovranita' nazionale. Cfr. M. Nussbaum, Aristotle, Politics and Human Capabilities, cit., pp. 133-134. Dal momento che lo stato indiano ha dichiarato, firmando la convenzione con riserva, di essere disposto ad adempiere ad alcuni fondamentali articoli della Cedaw (in particolare gli articoli 5 (a) e 16, comma 1) nei limiti consentiti dalla sua politica di rispetto verso le singole comunita' culturali e religiose, lo stesso effetto persuasivo della convenzione rischia di essere pressoche' nullo. Per questo mi pare che il punto sollevato da Charlesworth rimanga importante e la risposta della Nussbaum non sufficientemente adeguata. 37. Sul rapporto tra linguaggio dei diritti e linguaggio delle capacita' - aspetto che appare ancora non sufficientemente sviluppato nella sua formulazione attuale - v. ivi, pp. 115-120. 38. Cfr. ivi, pp. 149-150. 39. Ivi, p. 167. 40. Ivi, p. 187. 41. Ivi, p. 199. 42. Cfr. H. Charlseworth, cit., p. 71. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 22 del 28 luglio 2005
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