Nonviolenza. Femminile plurale. 22



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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Numero 22 del 28 luglio 2005

In questo numero:
Brunella Casalini: Universalismo e diritti delle donne. Il contributo di
Martha Nussbaum

RIFLESSIONE. BRUNELLA CASALINI: UNIVERSALISMO E DIRITTI DELLE DONNE. IL
CONTRIBUTO DI MARTHA NUSSBAUM
[Dal sito di "Jura gentium. Centro di filosofia del diritto internazionale e
della politica globale" (http://dex1.tsd.unifi.it/juragentium/it/)
riprendiamo il seguente testo di Brunella Casalini scritto nel 2002 sul
libro di Martha Nussbaum, Women and Human Development. The Capabilities
Approach, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2000; tr. it.
Diventare persone. Donne e universalita' dei diritti, Il Mulino, Bologna
2001, pp. 370.
Brunella Casalini (Orbetello, 1963) e' ricercatrice presso la facolta' di
scienze politiche dell'Universita' di Firenze; ha conseguito il titolo di
dottoressa di ricerca in filosofia politica presso l'Universita' di Pisa;
dal 1999 al 2001 e' stata professoressa incaricata di storia delle dottrine
politiche. Opere di Brunella Casalini: Antropologia, filosofia e politica in
John Dewey, Morano, Napoli 1995; Nei limiti del compasso: Locke e le origini
della cultura politica e costituzionale americana, Mimesis, 2002; I rischi
del materno. Pensiero politico femminista e critica del patriarcalismo tra
Sette e Ottocento, Plus, Pisa 2004; ha curato l'edizione di Mary
Wollstonecraft, I diritti degli uomini. Risposta alle riflessioni sulla
rivoluzione, Plus, Pisa 2002.
Martha Nussbaum e' una delle piu' influenti pensatrici contemporanee,
insegna diritto ed etica all'Universita' di Chicago. Fra le opere di Martha
Nussbaum: La fragilita' del bene, Il Mulino, Bologna 1996; Il giudizio del
poeta. Immaginazione letteraria e civile, Feltrinelli, Milano 1996; Terapia
del desiderio. Teoria e pratica nell'etica ellenistica, Vita e Pensiero,
Milano 1998; Coltivare l'umanita', Carocci, Roma 1999; Diventare persone, Il
Mulino, Bologna 2001; Giustizia sociale e dignita' umana, Il Mulino, Bologna
2002; L'intelligenza delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2004. Un'ampia
bibliografia delle opere di Martha Nussbaum, aggiornata fino al 2000,
compilata da Eddie Yeghiayan, e' dsponibile alla pagina web:
http://sun3.lib.uci.edu/eyeghiay/nussbaum.html]

All'attivismo contemporaneo in tema di diritti umani corrisponde spesso sul
piano della teoria un atteggiamento rinunciatario. L'appello al consenso, al
fatto che i diritti umani dovrebbero considerarsi ormai generalmente
accettati, stante l'ampio numero di paesi che hanno ratificato le principali
convenzioni internazionali, si rivela una sorta d'escamotage per evitare la
questione della loro giustificazione sul piano filosofico (1). Molti
segnali, tuttavia, dovrebbero suggerire la debolezza di questa posizione: le
numerose violazioni di fatto dei trattati da parte degli stessi paesi
firmatari, la sfida all'universalismo che viene sia dai teorici del
multiculturalismo, sia dai sostenitori dei cosiddetti Asian Values.
Il bisogno di argomenti e ragioni che rafforzino quanto sancito da carte e
convenzioni emerge in particolar modo qualora si prenda in considerazione la
questione dei diritti delle donne quali diritti umani fondamentali.
L'impegno delle Nazioni Unite in difesa dei diritti delle donne e' stato
sancito dalla Cedaw (2), la convenzione per l'eliminazione di tutte le forme
di discriminazione contro le donne, adottata nel 1979 ed entrata in vigore
nel 1981. La quarta conferenza Onu sulle donne, tenutasi a Pechino nel
settembre del 1995, ha ribadito, facendone "quasi uno slogan", quanto gia'
affermato a Vienna nel 1993, ovvero che i diritti delle donne devono
considerarsi "diritti umani fondamentali" (3). Un ulteriore importante
strumento sul piano giuridico-applicativo e' stato ottenuto con l'adozione
del Protocollo opzionale, entrato in vigore nel dicembre 2000, attraverso il
quale gli stati membri firmatari riconoscono a singole donne e a gruppi di
donne la possibilita' di far ricorso al Comitato Cedaw per denunciare
eventuali violazioni dei diritti stabiliti dalla convenzione (4).
L'efficacia di questi strumenti rimane, pero', limitata. Vincoli procedurali
e di budget continuano ad ostacolare l'operato del Comitato Cedaw, molto
piu' di quanto non accada ad altri analoghi organismi delle Nazioni Unite. A
differenza del Comitato sui diritti umani e del Comitato sull'eliminazione
di ogni forma di discriminazione razziale, fino all'adozione del Protocollo
opzionale, il Comitato Cedaw non poteva ricevere petizioni di singoli
individui o gruppi. D'altra parte, si deve ricordare che la Cedaw, pur
essendo stata ratificata ad oggi da 168 stati membri dell'Onu (con
l'eccezione, degna di nota, degli Stati Uniti d'America), e' stata recepita
con un alto numero di riserve. Molti stati hanno ratificato la Cedaw
riservandosi di tener conto nella sua applicazione delle esigenze derivanti
dall'esistenza di tradizioni locali culturali e religiose in tensione con i
principi affermati dalla convenzione. Se pochi sono i paesi islamici che
hanno ratificato la convenzione, quei pochi hanno accettato con la riserva
di dare comunque priorita' ai principi stabiliti dalla Sharia (5).
Susan Moller Okin ha sostenuto che a fronte dell'attuale situazione "delle
religioni e delle culture mondiali l'attribuzione di valore a culture e
religioni indipendente dal loro contenuto e delle pratiche ammesse al loro
interno e' probabilmente un contributo a giustificare la violazione, a
ostacolare e a trascurare i diritti della donna" (6). Secondo la Okin, alla
domanda "Is Multiculturalism bad for Women?" (7) la risposta dovrebbe essere
che nello stato attuale riconoscere diritti ad alcuni gruppi in relazione
alle loro tradizioni culturali e religiose rischia di legittimare le
condizioni di subordinazione e dominio in cui le donne si trovano
all'interno della maggior parte delle religioni e delle culture
tradizionali. La preoccupazione della Okin e' condivisa da Martha Nussbaum
(sebbene le due autrici assumano posizioni per altri versi distanti (8)).
Anche per Nussbaum il relativismo culturale e' pericolosamente vicino ad una
convergenza con le posizioni razziste e sessiste di numerose tradizioni
locali. Per rispondere alle sfide e ai pericoli del relativismo e'
necessario, secondo Nussbaum, recuperare una qualche forma di essenzialismo.
In particolare, come vedremo, essa ricorre ad una peculiare interpretazione
dell'essenzialismo aristotelico, discostandosi da altre versioni
contemporanee dell'aristotelismo (9) - come quella di MacIntyre -, che
tendono piuttosto a mettere in luce il carattere olistico della teoria
aristotelica del bene e a declinarla in senso relativistico, sostenendo che
gli unici criteri appropriati del bene sono locali, ovvero interni alle
pratiche di ogni singola societa' (10).
*
1. In Women and Human Development. The Capabilities Approach (11), Martha
Nussbaum si confronta con questi problemi a partire dall'analisi della
situazione delle donne in uno specifico paese in via di sviluppo: l'India.
Frutto della sua attivita' di consulente presso l'United Nations
University's World Institute for Development Economics Research e di due
intensi viaggi di studio in India nel marzo del 1997 e nel dicembre del
1998, questo lavoro si muove lungo tre binari: quello filosofico-politico,
quello giuridico-comparativo, e, infine, quello narrativo. Il racconto della
storia di due donne indiane, Vasanti e Jayamma, che accompagna i diversi
capitoli del libro, ha l'intento di ampliare il nostro orizzonte
immaginativo e di accrescere le nostre capacita' empatiche di comprensione
dell'alterita'. Esso risponde all'idea - enunciata anche in altre opere
della Nussbaum - che l'immaginazione letteraria sia "una componente
essenziale di una posizione etica che ci chiede di preoccuparci del bene di
altre persone le cui vite sono lontane dalla nostra" (12). Come se si
trattasse di stralci di un romanzo, le vite di Vasanti e Jayamma mostrano il
possibile, cio' che puo' accadere in una vita umana: quanto di essa e'
frutto di scelta, quanto invece dipende dalle circostanze materiali, sociali
e culturali in cui una vita e' vissuta. Il racconto dei percorsi cosi'
diversi di queste due donne, collocate l'una "nella frangia povera della
piccola borghesia" e l'altra "al fondo della scala economica", sottolinea la
necessita' di mantenere distinta la vita separata di ognuno, di tener conto
della qualita' della vita individuale.
E' questo della separatezza delle persone, insieme all'elemento della
qualita' della vita, uno dei punti qualificanti l'approccio delle capacita'
che Nussbaum sceglie per affrontare la questione della donna nei paesi in
via di sviluppo. Elaborato nei primi anni ottanta da Amartya Sen nell'ambito
dell'analisi economica - l'approccio delle capacita' misura la qualita'
della vita, assumendo come parametro non le preferenze espresse o il reddito
pro capite, ma la valutazione di cio' che le persone sono realmente in grado
di fare o di essere, in aree della vita ritenute essenziali. Alla base di
questo approccio e' una disamina dei limiti delle prospettive utilitariste e
welfariste. Nussbaum e Sen criticano l'idea di persona che e' presupposta da
queste teorie, ovvero quella di un contenitore di utilita', la cui
individualita' non conta piu' di quanto possa contare nel calcolo del
consumo nazionale di petrolio la distinzione tra i singoli barili o serbatoi
(13). Essi, inoltre, sottolineano gli errori in cui si puo' incorrere nella
valutazione della qualita' della vita prendendo per buone le preferenze
espresse, senza tener conto del fenomeno delle cosiddette "preferenze
adattive". Proprio durante ricerche condotte sulle condizioni di vita delle
donne nei paesi in via di sviluppo, Sen si e' reso conto che spesso donne in
condizioni di estrema poverta' e disagio non sono in grado di manifestare
insoddisfazione e sofferenza, perche' fatalisticamente piegate
all'accettazione del loro destino. Da qui l'idea che solo con un approccio
volto a misurare non l'opulenza o l'utilita', ma cio' che queste donne
potevano effettivamente fare o essere, ovvero le loro capacita' effettive di
funzionamento, nelle situazioni in cui si trovavano a vivere, fosse
possibile giungere ad un confronto significativo sulle reali condizioni
economiche di diversi paesi.
Un ulteriore pregio dell'approccio delle capacita', rispetto alle concezioni
centrate sulle risorse e sul reddito pro-capite, consiste, secondo Nussbaum,
nel porre chiaramente in evidenza il fatto che la ricchezza deve essere
concepita solo come un mezzo in vista del fine del pieno funzionamento
umano, e non come un fine in se'. E' questo un punto che accomuna la sua
posizione a quella di altri neo-aristotelici, come Green, Barker e Maritain:
"Tutti questi pensatori - scrive - hanno trovato in Aristotele l'idea che
fine ultimo della politica e' sostenere una ricca 'pluralita' di attivita'
umane vitali', per usare una frase di Marx, e che queste attivita' sono
distinte le une dalle altre e ciascuna avente valore in se'. La ricchezza e'
un mezzo per l'attivita' umana e l'attivita' umana non dovrebbe mai essere
valutata solo dalla sua tendenza a produrre ricchezza" (14).
Riprendendo il capability approach di Sen, in Women and Human Development
Martha Nussbaum intende farne un uso in parte diverso e, sicuramente, piu'
ambizioso. Suo intento e', infatti, "superare l'uso meramente comparativo"
ed elaborare una lista universalistica (aperta e rivedibile) di capacita'
umane fondamentali che possa essere proposta come "base per l'elaborazione
di principi costituzionali fondamentali", che dovrebbero essere rispettati
dai governi di tutte le nazioni, e poter essere rivendicati da tutti i
cittadini, perche' possa dirsi garantito il minimo essenziale per il
rispetto della dignita' umana (15). La lista di capacita' che Nussbaum
propone e' una lista di capacita' individuali (nel senso che e' implicito in
essa il principio della persona come fine), ognuna delle quali presuppone
l'idea di una soglia di livello minimo, ovvero un livello al di sotto del
quale i cittadini non sono in grado di giungere a un vero funzionamento
umano.
*
2. Vale qui la pena soffermarsi sul tipo di fondazione che Nussbaum invoca a
sostegno di questa lista di capacita', che comprende: vita, salute,
integrita' fisica, sentimenti, ragion pratica, appartenenza, essere in grado
di vivere con le altre specie avendone cura, gioco, controllo del proprio
ambiente sia politico che materiale. Nussbaum afferma, in questo e in altri
scritti, che la sua lista di capacita' si fonda su una visione essenzialista
dell'essere umano. Qui e altrove ella, pero', precisa che il suo
essenzialismo prescinde da una qualsiasi concezione metafisica della natura,
o da un resoconto "esternista" dell'essenza umana (16). Per visione
"esternista" in etica s'intende una visione che assuma la possibilita' di
"uno sguardo da nessun luogo", la visione dell'occhio di Dio, ovvero una
visione che prescinde totalmente dalle nostre speranze, dalle nostre paure,
e dalle nostre credenze. Il punto di partenza della Nussbaum e', invece,
"internista": esso muove da un'indagine dichiaratamente valutativa relativa
alle nostre intuizioni su cio' che conta nelle nostre vite umane, e non
viene dedotta ne' da una qualche teologia naturale ne' da una qualsiasi
fonte non morale (17). Attraverso l'appello al concetto di essere umano e'
possibile, secondo Nussbaum, giungere all'individuazione di alcuni
"provisional fixed points" non negoziabili nei nostri giudizi, che possiamo
testare alla luce di diverse teorie, per verificare se le teorie sono in
grado di rispondere ad essi o se i principi devono essere riformati.
Ai fini della giustificazione del loro approccio, sia Nussbaum sia Sen fanno
ricorso alla procedura rawlsiana dell'equilibrio riflessivo. Questa
procedura viene applicata in un ambito esplicitamente politico ricercando un
accordo tra persone che hanno concezioni comprensive diverse. A differenza
di Sen, tuttavia, Nussbaum ritiene che attraverso tale procedura,
sottoponendo i punti fissi intuitivi circa cosa significhi vivere una vita
autenticamente umana al test di diverse concezioni morali, sia possibile
giungere ad un resoconto normativo oggettivo dei funzionamenti umani
fondamentali (18). Seguendo Aristotele l'autrice di Women and Human
Capabilities sostiene la possibilita' di individuare un'unica lista di
funzionamenti umani, seppure storico-empirica e sempre aperta a successive
revisioni. Per Sen, che non ha mai fornito una lista delle capacita', la
strada intrapresa dalla Nussbaum potrebbe non essere inconsistente con il
suo approccio, ma, in ogni caso, non e' ad esso necessaria. Egli, d'altra
parte, non ha nascosto le sue perplessita' per la concezione "overspecified"
di natura umana che la posizione della Nussbaum implica, e ha sempre
preferito un approccio generale ad un approccio valutativo completo (19).
Alla domanda perche' fermarsi ad un approccio generale, Sen risponde che "la
motivazione sottostante ha a che fare con il riconoscimento del fatto che un
accordo sull'usabilita' dell'approccio delle capacita' - un accordo sulla
valutazione dello spazio degli object-values - non ha bisogno di presupporre
un accordo su come l'esercizio valutativo puo' essere completato. E'
possibile essere in disaccordo sia sulle basi esatte sui cui si fonda la
determinazione dei pesi relativi, sia sui pesi relativi effettivi scelti,
persino quando c'e' un accordo ponderato sulla natura generale degli
object-values (in questo caso, funzionamenti personali e capacita'). Il
fatto che l'approccio delle capacita' sia consistente con diverse teorie
sostantive non dovrebbe essere una fonte di imbarazzo". L'approccio delle
capacita' di Sen non ha bisogno "di un previo accordo sui valori relativi
dei diversi funzionamenti e delle diverse capacita', o su una specifica
procedura per decidere di questi valori relativi" (20), esso funziona anche
in assenza di un accordo su un qualche visione comprensiva. In questo senso,
Sen rimane piu' vicino alla teoria di Rawls (21), sebbene - come vedremo -
anche Nussbaum guardi a Rawls come ad un interlocutore privilegiato e
confessi che nei suoi ultimi lavori e' divenuta sempre piu' forte
l'influenza di Kant e Rawls sul suo pensiero. Nussbaum sposa, in
particolare, l'idea rawlsiana di un liberalismo politico e non comprensivo,
ovvero di un liberalismo che parte dall'accettazione dell'esistenza di una
pluralita' di dottrine comprensive ragionevoli e chiede ai propri cittadini
un'adesione politica, e non "metafisica", ai principi che sorreggono le
istituzioni politiche fondamentali, principi tra i quali deve collocarsi in
primo luogo il principio dell'eguaglianza dei cittadini. A differenza del
liberalismo comprensivo - di un John Stuart Mill o di un Joseph Raz -, il
liberalismo politico non attribuisce allo stato il compito di favorire la
formazione di cittadini autonomi, e non si pronuncia sul fatto se vite
autonome debbano, o no, considerarsi migliori di "vite gerarchicamente
ordinate" (22).
*
3. In Women and Human Capabilities, la lista delle capacita' e' intesa come
una sorta di rielaborazione critica dell'elenco dei "beni principali"
proposto da Rawls in A Theory of Justice: "Possiamo considerare l'elenco
delle capacita' - scrive Nussbaum - come una lista di opportunita' di
funzionamento, in modo che sia sempre razionale volerle indipendentemente da
quello che si vuole". Come gia' sostenuto da Sen, il limite dell'approccio
rawlsiano consisterebbe nel misurare chi sta peggio e chi sta meglio in base
alla risorse disponibili. Cio' potrebbe funzionare, per Nussbaum (e Sen), se
gli individui fossero sostanzialmente simili, ma nella realta' gli individui
presentano forti variazioni sia dal punto di vista delle risorse di cui
possono avere bisogno sia della loro capacita' di trasformare risorse in
funzionamenti. L'enfasi sulla ricchezza e sul reddito presente nella lista
dei beni principali di Rawls non tiene sufficientemente conto del fatto che
le circostanze sono un elemento spesso determinante per la qualita' della
vita. Se anche le donne indiane potessero godere dello stesso reddito degli
uomini le loro opportunita' e la loro effettiva liberta' sarebbero ancora
fortemente condizionate dalle circostanze in cui si trovano a vivere e dalla
posizione di svantaggio dalla quale si trovano a dover partire. Una teoria
della giustizia, per Nussbaum, deve tener conto non solo delle liberta'
negative e dei beni primari ma anche delle effettive liberta' positive di
ottenere certi funzionamenti. D'accordo su questo punto con Sen, l'autrice
afferma che "i criteri generali basati sull'utilita' e sulle risorse
risultano insensibili alle variazioni contestuali, al modo in cui le
circostanze formano le preferenze e le capacita' degli individui di
trasformare risorse in attivita' umana significativa" (23).
Il passaggio dal linguaggio delle risorse a quello delle capacita', non e'
tuttavia l'unica variazione significativa introdotta in Women and Human
Capabilities rispetto alla concezione di Rawls. Se quest'ultimo, infatti, ha
sostenuto che la sua teoria della giustizia nasce all'interno della
tradizione politica occidentale, Nussbaum considera la sua lista delle
capacita' come risultato di una comunicazione in cui "l'orizzonte di
comunicabilita' non e' fissato da un ethos condiviso, ma dal genere umano"
(24). La lista e' concepita in modo che su di essa possano risultare
convergenti le nostre intuizioni ponderate su quelle "funzioni che sono
particolarmente essenziali per la vita umana, nel senso che la loro presenza
o assenza e' contrassegno caratteristico della presenza o assenza della vita
umana", e sull'idea che possa darsi un modo particolarmente umano, e non
meramente animale, di assolvere a queste funzioni. Nussbaum ritiene che la
possibilita' di questo consenso universale abbia trovato una qualche forma
di conferma nelle discussioni svolte durante numerose occasioni di incontro
multiculturale, in seguito alle quali la lista e' stata affinata, rivista e
ampliata. Se Rawls, infine, pensa di poter proporre un elenco di beni che
prescinda da una qualche concezione del bene, Nussbaum afferma che non e'
possibile fare a meno di una qualche idea di autentico funzionamento umano,
e che Rawls stesso in qualche misura e' costretto a presupporla quando parla
della societa' come impresa cooperativa e del valore della scelta autonoma.
*
4. Vediamo meglio quali sono le idee che informano la lista delle capacita'
formulata dalla Nussbaum. Essa - si legge in Women and Human Development -
non costituisce "una teoria della giustizia completa, ma ci da' la base per
determinare un minimo sociale accettabile in varie aree" (25). Parte
integrante della visione neo-aristotelica che ispira la lista delle
capacita', insieme all'idea kantiana dell'inviolabilita' della persona, e'
l'importanza centrale attribuita alla socialita' e alla ragion pratica, come
funzionamenti che sostengono tutti gli altri rendendo il loro conseguimento
pienamente umano. Con l'accento particolare posto su tali voci della lista,
Nussbaum sembra voler accentuare la possibilita' dell'approccio delle
capacita' di presentarsi come alternativa plausibile a quella visione
individualistica delle liberta' e dei diritti che pare essere piu' forte in
occidente che in altre culture, e alla quale - a suo avviso erroneamente -
e' stata ridotta la tradizione liberale occidentale.
L'elenco e' una lista di capacita' combinate: esso considera il fatto che
tutte le capacita' interne (dal saper parlare, al saper giocare, alle
capacita' procreative, ecc.) hanno bisogno di un ambiente circostante che ne
favorisca lo sviluppo. Esso insiste cioe' sulla "duplice importanza delle
circostanze materiali e sociali, sia nella formazione delle capacita'
interne, sia nella loro espressione una volta formate" (26).
Un aspetto importante dell'approccio della Nussbaum e' dato dalla
distinzione tra capacita' e funzionamenti. Lo stato dovrebbe impegnarsi
nella promozione delle capacita', non nel richiedere ai propri cittadini
particolari funzionamenti. "Quando si tratta di cittadini adulti, la
capacita', non il funzionamento, e' la meta politica appropriata" (27).
Questa distinzione e' necessaria se si vuol rispettare il valore della
ragion pratica nelle scelte individuali, e non cadere in forme di
paternalismo poco rispettose del pluralismo. Il pluralismo e' qui
salvaguardato dal fatto che la promozione della lista delle capacita' e'
aperta a funzionamenti relativistici. Una volta articolata tale
differenziazione, tuttavia, l'autrice e' costretta a reintrodurre tutta una
serie di casi e circostanze in cui pare quanto meno discutibile che lo stato
possa accontentarsi di promuovere capacita' senza richiedere specifici
funzionamenti. Sia il fatto che alcune scelte possono ridurre o comportare
una rinuncia permanente a determinate capacita' (come nel caso della
mutilazione genitale femminile), sia la considerazione che per incoraggiare
la formazione di alcune capacita' possa essere talvolta utile esigere certi
funzionamenti, mostrano la difficolta' di eliminare del tutto alcune forme
di "paternalismo". I limiti entro cui tale azione paternalistica e'
ammissibile dovrebbero essere lasciati - secondo Nussbaum - "ai processi
democratici di ciascuna nazione" (28).
L'accusa di paternalismo spesso rivolta alle teorie universaliste e' una
delle difficolta' con cui l'autrice si confronta piu' seriamente sul piano
teorico nel corso di Women and Human Development - come vedremo sia dalla
sua analisi del ruolo delle preferenze nella giustificazione di scelte
politiche fondamentali, sia dal suo tentativo di rispondere alle sfide del
relativismo. Non c'e' dubbio, tuttavia, che prendendo in considerazione i
casi in cui lo stato non puo' accontentarsi di garantire capacita', Nussbaum
si trovi almeno parzialmente in contraddizione con la sua opzione per un
"liberalismo politico" e non "comprensivo". Cio' emerge chiaramente quando
scrive: "Se aspiriamo a produrre adulti che abbiano tutte le capacita'
elencate, cio' comportera' spesso richiedere certi tipi di funzionamento nei
bambini, poiche', come ho sostenuto, e' spesso necessario esercitare una
funzione nell'infanzia per produrre una capacita' adulta matura" e, ancora,
quando sostiene che in base a questo interesse sembra legittimo richiedere
l'istruzione primaria e secondaria, nonche' esigere che i genitori
garantiscano la salute, l'integrita' fisica e il benessere emotivo dei loro
figli, e prevenire e punire eventuali abusi o negligenze in tal senso.
D'altra parte l'obbligo dello stato di garantire la lista completa delle
capacita', indipendentemente dai funzionamenti che un individuo puo'
decidere o meno di perseguire, non implica forse come valore di fondo il
fatto che le opzioni di vita, anche quella di rinunciare ad un insieme di
capacita', sono giustificate solo se sono autonome?
Detto in altri termini, l'autonomia rimane un valore fondamentale
all'interno del liberalismo della Nussbaum, anche se esso consente che la si
possa giocare per sottomettersi ad una vita ordinata gerarchicamente, in
quanto quella subordinazione rimane accettabile solo se avviene in un
contesto che garantisce la scelta, il che presuppone non solo un insieme di
capacita', ma anche un individuo in grado di scegliere (29).
*
5. L'elaborazione di norme universali che trascendano barriere culturali,
religiose, di razza e di genere e' - come abbiamo visto - una questione
strategica urgente, secondo Nussbaum, nella prospettiva del femminismo
internazionale, e piu' in generale dal punto di vista di un governo della
globalizzazione, che sappia imporre "vincoli alle scelte utilitaristiche che
le nazioni possono fare" (30). Una prospettiva universalista, tuttavia, non
puo' oggi evitare un confronto con le sfide e gli argomenti dei sostenitori
del relativismo e del multiculturalismo. L'argomento meno serio e piu'
debole nei confronti dell'universalismo e' costituito, secondo Nussbaum,
dall'accusa di occidentalizzazione.
La scelta del punto di vista delle donne in un paese come l'India, che e' la
piu' grande democrazia al mondo, e che gode di un sistema costituzionale che
riconosce sul piano formale l'eguaglianza dei diritti civili e politici
delle donne, offre alla Nussbaum una posizione particolarmente favorevole
contro quanti sono pronti al sospetto di fronte al linguaggio
universalistico in materia di giustizia e diritti umani. Nussbaum non
nasconde la sua irritazione nei confronti di quegli occidentali che per
"senso di colpa" o per cattiva informazione si ostinano a voler considerare
tutti i mali di un paese come l'India e delle donne indiane come un portato
della colonizzazione e dell'Occidente: "chi sostiene che le donne erano
tutte felici in India prima che le idee occidentali venissero a turbarle non
merita attenzione, perche' ignora - scrive - enormi lembi di realta', tra
cui il movimento indigeno per l'educazione femminile, per l'abolizione della
purdah, per la partecipazione politica delle donne, che si sono rafforzati
nel corso dell'Ottocento e all'inizio del Novecento, sia nella tradizione
indu' sia nella tradizione musulmana, in qualche modo precedendo il
movimento femminista britannico e statunitense. Allo stesso modo si rivela
fuori della realta' chi oggi neghi che le idee di liberta' politica,
uguaglianza sessuale e non discriminazione siano idee indiane" (31). La vera
sfida che l'universalismo deve affrontare e prendere sul serio e'
rappresentata per Nussbaum dalla possibilita' di proporre criteri universali
che riescano ad essere abbastanza flessibili e sensibili verso la
complessita' di tradizioni diverse e di contesti quotidiani complessi.
Una prospettiva universalista deve rispondere ad almeno tre argomenti piu'
seri dell'accusa di occidentalizzazione.
Il primo argomento e' relativo al problema della diversita' culturale.
L'universalismo, secondo i teorici del multiculturalismo, nel valutare
attraverso criteri universali la condizione delle donne indiane non e' in
grado di rispettare quella tradizione di deferenza, di modestia femminile,
di castita' e di obbedienza che sarebbe propria del patrimonio culturale
indiano. Nussbaum non intende negare che sia importante per una donna
indiana poter scegliere di mantenersi fedele a questi valori, essa
sottolinea, tuttavia, da un lato la necessita' di verificare se esistano le
condizioni per cui si possa a ragione parlare di scelta, dall'altro
l'opportunita' di riconoscere che sono esistite nella storia indiana anche
voci femminili che hanno parlato della sofferenza e del dolore prodotto
nelle donne indiane da una tradizione che le riduceva in una condizione di
totale isolamento e impotenza. Perche' - si chiede Nussbaum - dovremmo
considerare la tradizione trasmessa da guide religiose e culturali maschili
come piu' pure e rappresentative dei valori indiani delle voci di protesta
che si sono alzate nella storia contro quella tradizione? Nel valutare una
tradizione, prima di lamentare la sua eventuale estinzione, secondo Nussbaum
dovremmo poter disporre di criteri per dire se essa contenga pratiche lesive
nei confronti delle persone e se la sua scomparsa non costituisca l'unica
via per evitare un danno alla dignita' umana.
L'argomento della diversita' culturale viene declinato spesso in termini
relativistici: ovvero viene tradotto nell'idea per cui ogni cultura dovrebbe
trovare al suo interno i propri principi guida, come se ogni cultura fosse
un'isola priva di comunicazioni con l'esterno. Contro questa posizione
Nussbaum ci invita non solo a guardare al carattere aperto e pluralistico di
ogni cultura, compresa la cultura indiana - un invito gia' presente in
Laicismo indiano di Amartya Sen -, ma anche a considerare gli esiti
autodistruttivi dello stesso relativismo: "nel chiederci di sottometterci a
norme locali, ci chiede di osservare norme che sono nella maggioranza dei
casi non relativistiche. Gran parte delle tradizioni locali si considerano
assolutamente, e non relativamente, vere: quindi nel chiederci di seguire
l'elemento locale, il relativismo ci chiede di non seguire il relativismo"
(32).
L'obiezione piu' seria contro l'universalismo e' rappresentata per l'autrice
dall'accusa di paternalismo. Si tratta di un'obiezione seria perche' ci
invita a rispettare il principio della liberta' di scelta individuale. Su
questo specifico problema la posizione della Nussbaum e' articolata. In
primo luogo, la sua risposta consiste nell'osservare che non esiste
un'incompatibilita' di fondo tra universalismo e riconoscimento della
liberta' di scelta individuale, nella misura in cui quest'ultimo presuppone
la condivisione di almeno un principio universale: "il valore di poter
pensare e scegliere per proprio conto". Quando si passa dal piano della
teoria al piano della politica la questione si complica. Nussbaum tiene qui
distinta la questione dell'imposizione di norme universali da parte di
istituzioni sovranazionali da quella della loro imposizione da parte di
istituzionali nazionali democratiche.
Ogni stato nazionale democratico ha nei confronti dei suoi cittadini un
atteggiamento paternalistico, nella misura in cui, per esempio, impedisce
loro di fare quello che vorrebbero per evitare che possano ledere altri. E'
in sostanza possibile, secondo l'autrice, accettare certe forme di
paternalismo e rifiutarne altre: "il paternalismo non ci piace, proprio
perche' c'e' qualcos'altro che ci piace, la liberta' di scelta di qualcuno
nelle questioni fondamentali. E' perfettamente coerente rifiutare alcune
forme di paternalismo, e sostenerne altre che riconoscono questi valori
centrali, su una base egualitaria" (33). Uno stato democratico, impegnato a
garantire non solo l'eguaglianza formale delle donne nel godimento dei
diritti civili e politici, ma anche la loro effettiva capacita' di
partecipazione e di scelta, dovra' necessariamente adottare una serie di
misure redistributive che interferiranno nelle scelte di alcuni, e quindi in
questo senso configurera' una forma anche ampia di paternalismo, che sara'
giustificata nella misura in cui sara' volta a riconoscere in modo piu'
egualitario la liberta' di scelta di ognuno nelle questioni fondamentali.
Diversa e' la posizione della Nussbaum quando si tratta di prendere in
considerazione il ruolo delle istituzioni internazionali in vista di un
maggiore rispetto di principi universali su scala globale. Tutta la
riflessione condotta in Women and Human Development sembra mossa in
proposito da una certa cautela. La ragione principale addotta a
giustificazione di questa posizione e' costituita dalla necessita' di tener
presente le scarse credenziali democratiche delle attuali istituzioni
internazionali. La Nussbaum non s'impegna in una valutazione delle
conseguenze che potrebbero derivare dall'applicazione del suo approccio
delle capacita' sul piano del diritto internazionale.
Charlesworth ha osservato che si potrebbe, per esempio, pensare di
utilizzare l'approccio delle capacita' per valutare l'ammissibilita' delle
riserve presentate da alcuni degli stati firmatari della Cedaw, considerando
se l'effetto del loro richiamo alla tradizione e alle culture locali e' tale
da ridurre la possibilita' delle donne di vivere una vita autenticamente
umana (34). Nussbaum, pero', pur non negando che l'approccio delle capacita'
possa essere utile per valutare i principi su cui si fonda il diritto
internazionale, sembra piuttosto restia a prenderne in considerazione
un'applicazione vincolante, nella misura in cui cio' puo' entrare in
tensione con la volonta' espressa degli stati, in particolare qualora si
tratti di democrazie costituzionali come nel caso dell'India (35). In
sostanza, se l'osservazione di Charlesworth mira ad un'utilizzazione
dell'approccio delle capacita' volto a limitare le pretese delle sovranita'
nazionali (per esempio col giudicare inammissibili alcune riserve nei
confronti delle convenzioni internazionali), la Nussbaum non pare disposta
ad andare in quella direzione (36).
Il fatto - ammesso dalla stessa Nussbaum - che la realizzazione di una
politica che assuma come principi guida la sua lista delle capacita'
richiede non solo una cooperazione sul piano internazionale, ma anche una
qualche forma di politica redistributiva tra paesi ricchi e paesi poveri, fa
pensare che sarebbe stata necessaria da parte dell'autrice una piu'
articolata riflessione sulle istituzioni internazionali, sulla possibilita'
effettiva di riformarle e di renderle rappresentative, cosi' da legittimare
un loro piu' efficace impegno a difesa dalle violazioni dei piu'
fondamentali diritti umani. In tutto il testo, alla fiducia nel ruolo delle
ong, nel miglioramento delle condizioni di alcune donne in paesi come
l'India, corrisponde una sottile diffidenza verso un ruolo piu' attivo di
pressione da parte delle organizzazioni internazionali e sembra mancare un
rilievo adeguato sugli effetti di ricorsi sul piano giudiziale alle
convenzioni internazionali, la cui funzione pare invece limitata
dall'autrice al piano della persuasione. Come valuterebbe Nussbaum la
possibilita' del ricorso da parte di singole individue o di gruppi di donne
al Comitato della Cedaw aperta dall'introduzione del Protocollo opzionale,
per il momento ratificato da poco piu' di una decina di paesi? Se e' vero
che il linguaggio delle capacita' copre piu' o meno lo stesso spazio del
linguaggio dei diritti umani - come evidenzia l'autrice stessa -, mi pare
che esso sia sostanzialmente piu' debole dal punto di vista della
possibilita' per i singoli di rivendicare pretese legittime. Il vantaggio
che esso presenta di uscire dall'interminabile dibattito sul carattere
esclusivamente "occidentale" o no dei diritti lascia tutto sommato piu'
problemi aperti di quanti riesce a risolverne (37).
*
6. Ho sottolineato inizialmente l'importanza che ha per l'approccio fondato
sulle capacita' la critica alle concezioni welfariste e il rilievo posto sul
fenomeno delle cosiddette preferenze adattive o distorte. Se l'approccio
welfarista e' mosso dalla preoccupazione di rispettare le scelte e le
preferenze espresse dalla gente, ci si puo' chiedere in che misura
l'approccio delle capacita' finisca per optare per una forma di platonismo,
ovvero per una visione in cui l'urgenza di vedere salvaguardati alcuni
principi universali di giustizia legittimi passa sopra a quello che la gente
puo' pensare dei cambiamenti che si sono introdotti (38). Il femminismo
internazionale e' spesso accusato proprio di voler imporre a donne che hanno
loro tradizioni e costumi principi ad esse estranei.
Per giungere alla formulazione di un'alternativa credibile tanto al
platonismo che al welfarismo la Nussbaum si impegna in una disamina del
ruolo delle preferenze nelle scelte pubbliche, al fine di valutare quando e'
giusto tenerne conto e quando e' necessario sottoporle ad un vaglio
critico-razionale. La sua argomentazione prende le mosse dall'esame delle
ragioni che hanno indotto gli economisti utilitaristi ad introdurre delle
correzioni al welfarismo soggettivista che vanno dalla considerazione
dell'errore cognitivo alla distinzione tra bisogni razionali e irrazionali.
Autori come Harsanyi e Brandt hanno tentato di risolvere questi problemi
introducendo l'idea di una procedura di creazione e valutazione delle
preferenze che in modi diversi comporta il riferimento all'idea di "una
comunita' di uguali, noncuranti del potere e dell'autorita', privi di
invidia e di paura, ispirati dalla consapevolezza del posto che occupano
nella gerarchia sociale". Questa direzione proceduralista e' stata
perfezionata da Rawls e Habermas, creando un "modello kantiano ideale di
comunita' morale, introducendo vincoli sull'informazione e sulle procedure"
(39). Forme di proceduralismo, come quelle di Habermas e Rawls, sono per
Nussbaum "moralmente cariche" e tali da convergere in ultima analisi con un
approccio, quale quello da lei scelto, che parte dall'individuazione di un
insieme di mete sociali fondamentali.
Nella sua ricca analisi delle concezioni welfariste, Nussbaum considera
anche la critica di Elster al meccanismo delle preferenze adattive, da
quest'ultimo illustrato mediante l'esempio "della volpe e dell'uva acerba".
Elster, osserva Nussbaum, sembra sospettoso verso ogni forma di preferenza
adattiva. Eppure si dovrebbe ammettere che esistono forme di adeguamento dei
desideri alla realta' che sono necessarie e salutari, perche' scoraggiano le
persone dal perseguimento di desideri irrealizzabili. Il punto e' qui di
nuovo stabilire dei criteri in base ai quali individuare questi casi. Per
poterlo fare si ha bisogno, secondo Nussbaum, di qualcosa che la teoria di
Elster non offre: una teoria dei beni fondamentali e una teoria della
giustizia, ovvero una teoria normativa. Una volta affermato che e'
necessaria una teoria del valore intrinseco, lo scivolamento verso il
platonismo, ovvero verso una concezione filosofica che fa riferimento a
valori eterni, che prescindono totalmente da desideri e preferenze,
sembrerebbe breve. Nussbaum, tuttavia, trova questa mossa non convincente,
in quanto disconosce il fatto che "il desiderio e' una parte intelligente
dell'essere umano": "le emozioni, i desideri e gli appetiti di un essere
umano sono tutte parti umanamente significative della sua personalita',
degne di rispetto in quanto tali" (40). Nella teoria formulata in Women and
Human Development i desideri giocano un ruolo duplice, epistemico e
giustificativo, nel tentativo di giungere ad un equilibrio riflessivo.
La lista delle capacita' trova un sostegno nel suo essere stata frutto di un
reale confronto interculturale nel contesto di incontri con colleghi di
altri paesi, in condizioni di informazione adeguata e che favorivano una
discussione critica. Essa trova inoltre il conforto di situazioni in cui
donne che hanno potuto godere del raggiungimento di determinate capacita'
hanno dimostrato di non essere propense a rinunciarvi per tornare a forme di
vita tradizionali, nonostante questa scelta fosse loro lasciata aperta. Cio'
lascia sperare, secondo Nussbaum, nella possibilita' nel lungo periodo di un
consenso convergente tra un proceduralismo informato e una teoria dei beni
sostanziali, consenso che rappresenta un requisito essenziale per la
stabilita'. Tale consenso dovrebbe dipendere da quanto in prospettiva sara'
possibile educare gli uomini "in modo da sostenere concezioni politiche che
trattino le donne come eguali" (41).
L'idea che si possa giungere ad una convergenza sulla lista di capacita'
proposta dalla Nussbaum sembra ottimistica, soprattutto per quanto concerne
alcune voci della lista. Si consideri la terza capacita' elencata:
l'integrita' fisica. Questa capacita' viene descritta come "Essere in grado
di muoversi liberamente da un luogo all'altro; di considerare inviolabili i
confini del proprio corpo, cioe' di poter essere protetti contro le
aggressioni, compresa l'aggressione sessuale, l'abuso sessuale infantile e
la violenza domestica; avere la possibilita' di godere del piacere sessuale
e di scelta in campo riproduttivo". L'estensione di questa capacita' fino a
coprire la possibilita' di godere di piacere sessuale e della liberta' di
scelta in campo riproduttivo difficilmente potrebbe raccogliere una qualche
forma di consenso, come dimostra la conferenza di Pechino del 1995 dove
queste questioni hanno incontrato la decisa opposizione dei paesi cattolici
e islamici (42).
*
7. L'affermazione dell'eguaglianza sessuale trova nel mondo contemporaneo
due terreni significativi di tensione e conflitto: la famiglia e la liberta'
religiosa. Nel terzo capitolo Nussbaum affronta il problema del ruolo della
religione cercando di delineare una posizione alternativa tanto
all'umanesimo femminista secolare quanto al femminismo tradizionalista. Se
le femministe umaniste - tra le quali puo' collocarsi Susan Moller Okin -
dimostrano la tendenza a vedere tutte le religioni come intrinsecamente
patriarcali, le tradizionaliste considerano solo la comunita' tradizionale e
religiosa come capace di fornire una guida tale da dare un senso concreto al
futuro delle donne. Entrambe queste posizioni, secondo Nussbaum, finiscono
per commettere lo stesso errore: non prendono sul serio il dilemma
rappresentato dalla tensione tra riconoscimento dell'eguaglianza dei diritti
e liberta' di religione. Le femministe secolari hanno, comunque, a
differenza delle tradizionaliste, il merito di lottare per una causa giusta:
quella del pieno riconoscimento dell'eguaglianza delle donne nel godimento
dei diritti.
L'approccio delle capacita' riconosce nella religione una fondamentale area
espressiva dell'essere umano. A differenza dell'umanesimo secolare esso,
inoltre, e' attento al pluralismo interno alle diverse religioni e
tradizioni. Liquidando tutte le religioni come patriarcali, infatti, secondo
la Nussbaum l'umanesimo secolare femminista si preclude il dialogo con
quelle donne che stanno cercando di operare una revisione di diverse
prospettive religiose e che potrebbero divenire sue potenziali alleate.
Credo sia questo un punto importante: troppo poco infatti sono conosciuti in
Occidente i lavori di donne come Neera Nawaz - citata dalla Nussbaum -, ma
altri nomi potrebbero essere ricordati - penso, per esempio, a Fatema
Mernissi - che rileggendo la tradizione religiosa stanno tentando di farne
emergere un quadro meno ostile all'universo femminile e tale da non offrire
giustificazione alle attuali derive fondamentaliste.
Come riconoscere il diritto delle donne al godimento della lista delle
capacita' umane fondamentali spesso messe in pericolo dalle tradizioni
culturali e religiose, rispettando al tempo stesso il pluralismo religioso?
Nell'affrontare questo dilemma Nussbaum si avvale di alcuni principi guida:
1. le capacita' religiose devono intendersi sempre come capacita'
individuali, e non come capacita' di gruppi; 2. il rispetto che lo stato
deve alle diverse religioni viene meno quando una pratica religiosa lede le
capacita' fondamentali. In termini giuridici il rispetto di questi principi
guida potrebbe tradursi, secondo Nussbaum, in qualcosa di simile al
Religious Freedom Restauration Act, una legge statunitense del 1993 -
successivamente dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema degli Stati
Uniti d'Amerca - che stabiliva l'inammissibilita' d'interferenze dello stato
nelle pratiche religiose a meno che tali interferenze non fossero
giustificate da un interesse generale imprescindibile, non promuovibile con
mezzi meno restrittivi. Un'impostazione di questo tipo non consente allo
stato di sindacare, per esempio, sulla scelta dei cattolici di non ordinare
sacerdoti di sesso femminile, finche' le donne sono libere di uscire dalla
chiesa cattolica, qualora lo vogliano.
L'applicazione di questa legislazione ad un caso come quello dell'India
deve, tuttavia, tener conto di una situazione ben piu' complessa e
difficile, in quanto in questo paese vaste aree del diritto civile sono
monopolio delle principali religioni. L'esistenza di sistemi separati di
diritto privato, secondo Nussbaum, non costituisce in se' un problema,
sebbene sia critica dal punto di vista dell'approccio delle capacita' in
quanto profila un sistema di incertezza giuridica in cui e' facile che i
cittadini vengano trattati diversamente a seconda delle religione a cui
appartengono. Le tensioni esistenti tra musulmani e indu' suggeriscono
all'autrice una via piu' prudente e gradualista della secolarizzazione
completa del diritto privato. La via indicata e' quella dell'imposizione di
vincoli giudiziari e legislativi che spingano i codici religiosi ad un
maggior rispetto delle garanzie sia in materia di eguaglianza sessuale sia
di effettiva liberta' da parte dei singoli di abbandonare un'appartenenza
religiosa. Parte della strategia gradualista, suggerita dalla Nussbaum,
consiste anche nell'invito all'apertura di un dibattito sulle convenzioni in
materia di diritti delle donne alle quali l'India ha aderito, in vista di un
adeguamento dei sistemi legali religiosi.
Visto che la famiglia e' stata ed e' in molti casi il luogo in cui
storicamente si e' riprodotta la subordinazione della donna, e considerato
il fatto che i codici religiosi regolano in primo luogo il diritto
familiare, limitando spesso severamente i diritti delle donne, ci si puo'
chiedere se - contrariamente a quanto sostenuto dalla Nussbaum - non possa
sussistere in queste materie un interesse imprescindibile dello stato ad
imporre un codice civile uniforme e quindi a porre dei limiti all'esistenza
di sistemi legali religiosi separati, sebbene questo ponga dei limiti al
pluralismo religioso. L'insistenza della Nussbaum sul fatto che
l'appartenenza della donna ad un certo gruppo o ad una certa cultura non
dovrebbe essere considerata vincolante per lei, a meno che non e' stata lei
stessa a farla propria, avendo a disposizione tutte le proprie capacita',
pone infiniti problemi finche' la donna non ha garanzie di effettiva
eguaglianza e liberta' in uno spazio fondamentale come quello della
famiglia.
L'interrogativo sollevato sopra si rafforza con la lettura del quarto
capitolo, dove proprio sulla famiglia si concentra l'analisi. Qui Nussbaum
riprende temi comuni alla critica femminista sulla concezione tradizionale
della famiglia, sostenendo: 1. che la famiglia non puo' considerarsi
un'istituzione naturale; 2. che essa in quanto modellata dalle leggi dello
stato non puo' considerarsi una sfera "privata"; 3. che l'inclinazione delle
donne alla cura non e' un dato naturale, ma frutto del particolare processo
di socializzazione cui le donne sono sottoposte, processo in cui hanno un
ruolo cruciale le tradizioni e le leggi.
La famiglia in quanto luogo degli affetti e delle cure ha un ruolo
importante nella formazione delle capacita' umane, essa pero' - come
dimostra proprio la storia delle donne - puo' anche costituire un grave
impedimento al loro pieno sviluppo. Questo problema pone la questione se la
famiglia, in quanto struttura fondamentale della societa', debba essere
soggetta e regolata da criteri di giustizia. E' questa l'obiezione che molte
femministe hanno sollevato contro la posizione assegnata alla famiglia
all'interno di Una teoria della giustizia di Rawls, con la quale la stessa
Nussbaum si confronta lungamente. Due paiono i limiti principali della
proposta rawlsiana, anche nell'articolazione che essa riceve in The Idea of
Public Reason Revisited: 1. Rawls continua a pensare alla famiglia come ad
un'istituzione naturale; 2. egli non si misura fino in fondo con la
differenza che sussiste tra un'istituzione come la famiglia e organizzazioni
quali chiese, universita', ecc. Se nella famiglia sembra riproporsi la
tensione, gia' vista analizzando la religione, tra il valore intrinseco
delle capacita' espressive e affettive consentite dallo spazio delle
relazioni familiari e il principio della capacita' individuale, la famiglia
presenta un tratto peculiare e distintivo rispetto alla religione: essa non
esiste senza il sostegno della legge e quindi senza lo Stato. "Non serve -
scrive Nussbaum - far pressione affinche' lo stato possa controllare la
famiglia dall'esterno, nello stesso modo in cui controlla una universita'
privata, a causa del tipo di rapporto che lo stato ha col matrimonio, e
anche a causa della diffusa influenza della famiglia sulle sorti e sulle
liberta' dei cittadini. La famiglia appartiene semplicemente alla struttura
fondamentale della societa', e i principi di equita' basati sulle capacita'
le dovrebbero essere applicati direttamente come parte di quella struttura,
entro i limiti posti da altre capacita', specialmente quelle riguardanti le
liberta' personali (associative, di decoro, di scelta) dei cittadini.
Affermato che la famiglia non e' un'istituzione prepolitica, e che la
politica ha un ruolo costitutivo nel determinarne la forma, si apre lo
spazio per concepirla in termini piu' ampi di quelli classici, costituiti
dalla famiglia eterosessuale, nucleare. Altre forme di relazioni possono
assolvere quei bisogni affettivi a cui risponde anche la famiglia. I
collettivi di donne, come la Self-Employed Women's Association (Sewa), in
contesti come l'India, dove la famiglia e' spesso luogo di oppressione,
potrebbero costituire delle forme di relazioni affettive degne del sostegno
di uno stato che non dovrebbe dare per scontati i gruppi tradizionali".
Nussbaum sostiene l'efficacia delle associazioni femminili, facendo appello
tra l'altro anche al fatto che tra le donne indiane sarebbe molto piu'
diffuso l'ideale della solidarieta' femminile che quello dell'amore
romantico.
Non e' certo mia intenzione disconoscere l'importanza di un'apertura verso
una concezione della famiglia che vada al di la' dell'idea della famiglia
eterosessuale, mi pare tuttavia che la Nussbaum sia in qualche misura
costretta a guardare in questa direzione proprio per la sua cautela nei
confronti di una riforma del codice civile che sottragga il diritto
familiare al monopolio che su di esso esercitano attualmente in India le
principali tradizioni religiose.
*
Note
1. Cfr. M. Freeman, The Philosophical Foundations of Human Rights, "Human
Rights Quarterly", 16 (1994), pp. 491-514.
2. L'acronimo Cedaw sta per Convention for the Elimination of all Forms of
Discrimination Against Women.
3. Cfr. C. Scoppa, I diritti delle donne sono diritti umani, in S. Bartoloni
(a cura di), A volto scoperto. Donne e diritti umani, Manifestolibri, Roma
2002, pp. 69-82.
4. Le Nazioni Unite dispongono attualmente di due organismi responsabili in
materia di diritti delle donne: la Commissione sullo status delle donne,
creata nel 1947, e la Commissione per l'eliminazione della discriminazione
nei confronti delle donne che ha il compito di monitorare il rispetto della
Cedaw da parte degli stati firmatari ed e' composta da 23 esperti
indipendenti in rappresentanza delle diverse aree geografiche. Cfr. U. A.
O'Hare, Ending the "Ghettoisation": The Right of Individual Petition to the
Women's Convention, "Web Journal of Current Legal Issues", 5 (1997).
5. Cfr. H. Charlesworth, Martha Nussbaum's Feminist Internationalism,
"Ethics", 111, October 2000, p. 67.
6. S. M. Okin, Un conflitto sui diritti fondamentali, "Filosofia e questioni
pubbliche", III, 1 (1997), p. 6. Cfr. l'utile testo a cura di Maria Chiara
Pievatolo, Susan Moller Okin: una scheda informativa, disponibile alla
pagina web: http://lgxserver.uniba.it/lei/filpol/schedaok.htm
7. S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for Women?, a cura di J. Cohen, M.
Howard e M. C. Nussbaum, Princeton University press, Princeton 1999. Per una
traduzione italiana a cura di M. C. Pievatolo del saggio introduttivo della
Okin cfr. Multiculturalismo e femminismo. Il multiculturalismo danneggia le
donne?, alla pagina web: http://lgxserver.uniba.it/lei/filpol/okin.htm
8. V. M. Nussbaum, A Plea for Difficulty, in S. M. Okin, Is Multiculturalism
Bad for Women?, cit. e la risposta di Okin, ivi.
9. G. Zanetti, Introduzione, in M. Nussbaum, La fragilita' del bene. Fortuna
ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, Bologna 1986,
pp. 9-31 e V. Gessa-Koroutschka, Dimensioni della moralita'. Etica e
politica nella filosofia tedesca contemporanea, Liguori, Napoli 1999, pp.
79-92.
10. Cfr. M. Nussbaum, Non-Relative Virtues: An Aristotelian Approach, in A.
Sen e M. Nussbaum (a cura di), The Quality of Life, Clarendon Press, Oxford
1993, p. 243.
11. Quest'opera della Nussbaum e' stata oggetto gia' di una notevole
attenzione, v.: Symposium on Martha Nussbaum's Political Philosophy,
"Ethics", 11, October 2000, pp. 5-140, e Assessing Martha Nussbaum's Latest
Version of the Human Capabilities Approach, "Ideas NewsLetter", June 2001.
12. M. Nussbaum, Poetic Justice. The Literary Imagination and Public Life,
Beacon Press, Boston 1995; tr. it. Il giudizio del poeta. Immaginazione
letteraria e vita civile, Feltrinelli, Milano 1996, p. 17.
13. Ivi, p. 34.
14. M. Nussbaum, Aristotle, Politics, and Human Capabilities: A Response to
Antony, Arneson, Charlseworth, and Mulgan, "Ethics", 111, October 2000, p.
106.
15. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 26.
16. Per un'analisi critica dell'essenzialismo proposto da Nussbaum, cfr. L.
M. Antony, Natures and Norms, in "Ethics", 111, October 2000, pp. 8-36.
17. Nussbaum attribuisce questa stessa teoria ad Aristotele, cfr. ivi, p.
96.
18. Sulle differenze tra la teoria di Nussbaum e quella di Sen, cfr. ivi,
pp. 24-29 e D. A. Crocker, Functioning and Capability. The Foundation of
Sen's and Nussbaum's Development Ethic, "Political Theory", 20, 4 (1992),
pp. 584-612.
19. Cfr. A. Sen, Capability and Well-Being, in A. Sen e M. Nussbaum, The
Quality of Life, cit., pp. 46-49.
20. Ivi, pp. 47-48.
21. Cfr. Crocker, op. cit., pp. 797-799.
22. Cfr. su questo punto v., in particolare, M. Nussbaum, A Plea for
Difficulty, in S. Moller Okin, op. cit., pp. 108-111.
23. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 89.
24. Cfr. V. Gessa-Kurotschka, op. cit., p. 83.
25. M. Nussbaum, Diventare persone, cit, p. 94.
26. Ivi, p. 104.
27. Ivi, p. 105.
28. Ivi, p. 114.
29. Mi sembra di poter riarticolare cosi' la critica che Okin rivolge a
Nussbaum, cfr. S. M. Okin, Reply, in S. M. Okin, Is Multiculturalism Bad for
Women?, cit., p. 129. In A. Phillips, Feminism and Liberalism Revisited: Has
Martha Nussbau, Got it Right? ("Constellations", 8, 2, 2001, pp. 249-266),
Phillips contrappone ad un femminismo liberale fondato sull'autonomia un
femminismo centrato sull'idea di eguaglianza.
30. Ivi, p. 46.
31. Ivi, pp. 58-59.
32. Ivi, p. 68.
33. Ivi, p. 75.
34. H. Charlesworth, op. cit., pp. 70-71.
35. Cfr. M. Nussbaum, Diventare persone, cit., p. 123.
36. In risposta alle osservazioni di Charlesworth, Nussbaum riprende un caso
gia' proposto in Women and Human Development (ivi, p. 249). Ricorda, cioe',
il ricorso alla Corte Suprema indiana da parte di un gruppo di attivisti che
nel 1987 chiesero un pronunciamento sul mancato adempimento da parte dello
stato indiano degli obblighi derivanti dalla Cedaw, denunciando, in
particolare, l'urgenza di una legge sulla violenza sessuale. In quella
circostanza la sentenza della Corte riconobbe l'obbligo dell'India di
mantenere gli impegni presi con la firma della Cedaw, sollecitando il
legislatore a promuovere una legge contro la violenza sessuale. Nussbaum
cita questo esempio come un "eccellente paradigma di combinazione tra
pressione sopranazionale e sovranita' statale". La Cedaw infatti, pur
svolgendo una funzione positiva di pressione, lascia il ruolo di agente del
cambiamento alle istituzioni democratiche nazionali, ovvero non risulta in
grado da sola di limitare la sovranita' nazionale. Cfr. M. Nussbaum,
Aristotle, Politics and Human Capabilities, cit., pp. 133-134. Dal momento
che lo stato indiano ha dichiarato, firmando la convenzione con riserva, di
essere disposto ad adempiere ad alcuni fondamentali articoli della Cedaw (in
particolare gli articoli 5 (a) e 16, comma 1) nei limiti consentiti dalla
sua politica di rispetto verso le singole comunita' culturali e religiose,
lo stesso effetto persuasivo della convenzione rischia di essere pressoche'
nullo. Per questo mi pare che il punto sollevato da Charlesworth rimanga
importante e la risposta della Nussbaum non sufficientemente adeguata.
37. Sul rapporto tra linguaggio dei diritti e linguaggio delle capacita' -
aspetto che appare ancora non sufficientemente sviluppato nella sua
formulazione attuale - v. ivi, pp. 115-120.
38. Cfr. ivi, pp. 149-150.
39. Ivi, p. 167.
40. Ivi, p. 187.
41. Ivi, p. 199.
42. Cfr. H. Charlseworth, cit., p. 71.

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NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE
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Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino"
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
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Numero 22 del 28 luglio 2005