[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 1005
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1005
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 28 Jul 2005 08:53:38 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1005 del 28 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Riccardo Orioles: Una cosa. Bella 2. Giuliana Sgrena ricorda Adnan al Bayati 3. Gian Carlo Caselli ricorda Paolo Borsellino 4. Osvaldo Caffianchi: Nel tubo 5. Piero Viotto: Un profilo di Jacques Maritain (parte terza e conclusiva) 6. Letture: Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan 7. Letture: Maurizio Chierici (a cura di), Lula, mille giorni difficili 8. Letture: Gigliola De Donato, Sergio D'Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi 9. Riletture: Britta Benke, Georgia O'Keeffe 10. Riletture: Andrea Kettenmann, Frida Kahlo 11. La "Carta" del Movimento Nonviolento 12. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. RICCARDO ORIOLES: UNA COSA. BELLA [Da "La Catena di San Libero" n. 294 del 25 luglio 2005 (per contatti: riccardoorioles at sanlibero.it) riprendiamo i seguenti testi. Riccardo Orioles e' giornalista eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare - La Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999)] No, cominciamo con una cosa bella, invece. Tornano i ragazzi dell'antimafia in Sicilia. A Palermo, senza aiuto di politici e in maniera assolutamente spontanea, sono sorti almeno tre nuovi gruppi di giovani - uno fa una rivista di satira, un altro la campagna contro il pizzo, un terzo manifestazioni antimafia in provincia - ed e' a loro che dedichiamo, in questi giorni difficili, questo numero della "Catena". Hanno idee buone e nuove: quelli dell'antipizzo, per esempio, non si limitano a far lamentele ma hanno lanciato una proposta precisa ("non comprare da chi paga il pizzo, compra solo dai commercianti dignitosi") che e' gia' stata raccolta da quattromila cittadini. Quelli della satira stanno facendo un loro giornaletto divertentissimo (presente "il Male" o "Frigidaire"?) in cui i mafiosi vengono presi spietatamente per i fondelli; e si vende. I "provinciali" stanno in uno dei posti piu' difficili della Sicilia - Capaci. Io ho dormito nella loro sede piena di coppe sportive, pennarelli, libri, volantini, giornali fatti da loro e - nascosti in uno scaffale - pacchi di foto in cui si vedono bambine con le treccine che sfilano allegramente alla manifestazione antimafia e ventenni che comiziano accanto a Orlando - piu' di dieci anni fa. Quelle bambine ora sono ragazze grandi, e mettono i manifesti di Falcone sull'autostrada. Quei ragazzi ora sono uomini fatti, veterani, e ancora non hanno mollato. Ed ecco che la strada si va riaprendo ed ecco che spunta gia' l'altra generazione. * A Bagheria, a Camporeale, a Castelvetrano - tre nomi che nella storia contadina sono terreno di battaglia da piu' di sessant'anni - quest'estate c'erano tre campi di lavoro organizzati da Libera e popolati da un'ottantina di ragazzi di tutte le parti del mondo: un giamaicano, un tanzaniano, una giapponese, diversi americani, latinos, altri africani: il pianeta. C'erano poi - ma non per un'estate: per sempre - i giovani delle cooperative organizzate, sempre da Libera (ma su una vecchissima idea, di vent'anni fa, dei "Siciliani"), per gestire i terreni confiscati ai mafiosi (irritatissimi: ma quest'anno le cooperative sono state riconosciute e ufficializzate e se ne preparano anche altre). C'erano numerosi militanti, per lo piu' giovani, di Libera, di Legambiente e di altre bande. C'era qualche vecchio pelandrone, ancora intestardito a esserci una volta di piu' alla faccia di tutto. Non c'erano, grazie a Dio, politici, ma pane, vino, acqua fresca e olive. Si stava bene, insomma. Ecco: immaginate tutta questa gente assieme, su un'aia di un posto che, per quelli che sono siciliani o rossi si chiama Portella delle Ginestre e per tutti gli altri e' semplicemente una gialla campagna in fondo alla Sicilia, coi monti, qualche albero, sentieri e un cielo intensissimo addosso. E adesso arriva un'automobile e dalla macchina scende, aiutato da una ragazza e da un altro appena un po' meno vecchio di lui, un vecchio sorridente circa ottantino. Sono quattro in tutto: uno serio e magro, uno corto, ironico, uno che non parla quasi mai ma molto spesso ammicca e questo qua che e' arrivato ora. Nel quarantasette, il giorno del Primo maggio, erano qui, a qualche centinaio di metri di distanza. Il compagno del sindacato, ritto sulla pietra su cui da tempo immemorabile parlavano, clandestini o no, gli oratori dei contadini, aveva appena avuto il tempo di cominciare: "Lavoratori, compagni..." che gia' i mafiosi avevano aperto il fuoco sulla folla dei contadini. "Io? Io ero picciotto, quattordici anni avevo. Scappai. Poi m'arricordai di mio zio cca' bandiera, mio zio portava la bandiera dei socialisti e percio' non era scappato...". I vecchi parlano, in mezzo al gentile cerchio dei ragazzi. Una ragazza cogli occhiali, a ogni pausa del vecchio, traduce. Le parole passano da un ragazzo all'altro, dall'italiano all'inglese e dall'inglese alle altre lingue. I visi, via via che le parole si trasmettono, si animano compostamente. Solo i siciliani - mi sembra - non dicono niente, forse perche' non hanno bisogno di traduzione, forse perche' non sentono necessarie, ora, altre parole. "Poi dovetti emigrare, in Germania dovetti andare, ma poi tornai, siamo tornati tutti prima o poi...". Parla il secondo vecchio, e la ragazza traduce. Parla il terzo, e poi il quarto, e una ragazza biondina di lingua inglese, un compagno di qua sui trent'anni, di nuovo un vecchio, uno della camera del lavoro, un ragazzo di non so dove... C'e' un'aria allegra, di scampagnata fra amici, non di commemorazione. Il sole comincia a scendere, nel grande tramonto siciliano. Dove portera' quel sentiero? Di la' c'e' Piana, di la' San Giuseppe Iato, molto lontano Palermo, piu' in la' ancora il continente, l'Europa moderna, il mondo... * Quest'anno i giorni di Borsellino sono andati cosi', nella citta' di Palermo. Alcuni li hanno passati da una parte, imbrattando con segni osceni la sua lapide, cercando di dar fuoco alle cooperative antimafiose o rimettendo a far il giudice il "giudice" Carnevale (quello che sbraitava: "quel cretino di Falcone!"). Altri li hanno passati dall'altra parte, qui a Portella o nella sede di Libera o nelle piazze e i cortili in cui si ricordavano i compagni nostri. Pochi sono rimasti neutrali. E questa, ora come dieci anni fa, e' l'anima di Palermo. "Ciudad del pueblo" come Madrid o Stalingrado o Barcellona; o capitale di Sauron, roccaforte del buio, del non-umano. E queste due Palermo si combattono e sempre si combatteranno. E' possibile una momentanea stanchezza ma non mai un accordo. In citta', ai ragazzi che m'incontravano, mi veniva da dire - involontariamente - "Ehi, ma attento pero', pensa al domani! Non e' a revolverate che ti faranno fuori, ma con la fame". Ma poi, laggiu' a Portella sotto il sole, svanivano l'apprensivita' protettiva e i "pensaci bene". Restavano solidarieta' e hermandia e, guardandoli e sentendoli e vedendoli li', un orgoglio smisurato. * Memoria. Giovedi' 28, alle ore 18, alla Camera del lavoro di via Crociferi a Catania, assemblea in ricordo di Beppe Montana, Ninni Cassara', Robertino Antiochia, Boris Giuliano, Lillo Zucchetto e Natale Mondo, caduti lottando contro la mafia. Saranno presenti don Ciotti, Claudio Fava, Emanuele Giuliano e altri antimafiosi. Organizzano: Libera Catania, Acli, Arci, Asaec, Associazione Penelope, Centro Astalli, Cgil, Citta' Insieme, Citta' Libera, Fare Memoria, Fondazione Giuseppe Fava, Fondazione Montalbano, Foro Democratico, Giovani per Agire, Isola Insieme, Lila, Mani Tese, Magistratura democratica, Millemondi, Movi, Pax Christi, Silp. Per informazioni: liberacatania at libero.it Beppe Montana, commissario a Palermo negli anni piu' duri dell'antimafia, e' stato ucciso dalla mafia il 28 luglio 1985. Aveva collaborato col giudice Chinnici non solo nelle indagini contro Cosa Nostra ma anche incontrando i giovani nelle scuole. Dieci giorni dopo di lui la mafia ha ucciso Ninni Cassara' e Roberto Antiochia: il primo dirigeva la Sezione Investigativa, il secondo e' stato insieme a Lillo Zucchetto tra i suoi migliori investigatori. Un anno dopo la mafia uccideva anche Natale Mondo, collaboratore di Cassara', miracolosamente sopravvissuto alla strage di via Croce Rossa. "L'incontro e la riflessione collettiva che parte da Catania, la citta' che ha visto formare la personalita' di Beppe Montana (per poi dimenticarsene in questi venti anni), vuole tracciare un percorso di impegno civile che, partendo dal ricordo di chi e' stato partecipe di quell'esperienza umana e professionale, sappia anche attualizzarne la testimonianza per rendere possibile cio' che in quegli anni si stava realizzando: la sconfitta di Cosa Nostra". 2. LUTTI. GIULIANA SGRENA RICORDA ADNAN AL BAYATI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 26 luglio 2005. Giuliana Sgrena, giornalista, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza, e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo, sopravvivendo anche alla sparatoria contro l'auto dei servizi italiana in cui viaggiava ormai liberata, sparatoria in cui e' stato ucciso il suo liberatore Nicola Calipari. Opere di Giuliana Sgrena: (a cura di), La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004. Adnan al Bayati, persona di pace, della comprensione e del dialogo, e' stato assassinato qualche giorno fa in Iraq] Il brutale assassinio di Adnan al Bayati e' un esempio, l'ennesimo ma non per questo archiviabile, dell'assoluto imbarbarimento della situazione irachena. I giornalisti occidentali se ne sono andati o vivono bunkerizzati negli alberghi o nelle case e allora si colpiscono i loro collaboratori. Sono diversi i giornalisti iracheni uccisi nelle ultime settimane, da iracheni e da americani. Come Adnan al Bayati, che e' stato barbaramente ucciso con tre colpi di pistola da un commando, a volto scoperto, davanti a sua moglie e alla piccola Fatima di soli diciotto mesi, sabato scorso. Adnan e' stato un prezioso aiuto per tutti noi giornalisti, soprattutto gli italiani, visto che parlava perfettamente la nostra lingua e conosceva bene il nostro paese per essersi laureato a Perugia. L'avevo conosciuto prima dell'inizio dei bombardamenti, quando, un giorno, mi aveva accompagnato, per farmi un favore visto che non avevo una "guida" e un interprete, a una riunione di donne. Poi ci siamo incrociati spesso e nell'ultimo anno era stato lui a procurarmi interprete e autista, che erano della sua famiglia, lui garantiva per loro. E in tempi in cui non sai piu' di chi fidarti non era poca cosa. Non solo. Quando ero a Baghdad, di solito era lui, la mattina, a precedere l'arrivo dei miei collaboratori con le ultime notizie ed era comunque sempre Adnan a dare tutte le indicazioni, anche sui problemi di sicurezza. Sempre disponibile. Un vero signore, molto religioso, sciita, originario di una ricca famiglia di Baquba - a nord di Baghdad, nel cuore del triangolo sunnita -, elegante, dalle buone maniere, un po' flemmatico, all'inizio si era mal adattato alle pretese dei giornalisti, a volte un po' arroganti quando sono presi dal vortice del lavoro quotidiano. Ma dovendo mantenere una famiglia numerosa si era adattato e alla fine era stato lui a imporsi con la sua abilita' e professionalita', ma anche disponibilita'. Lo chiamavi dall'Italia prima di partire e lui ti organizzava tutto. Sempre informato, con contatti consolidati, aveva probabilmente suscitato qualche gelosia nell'ambiente. Quando sono stata rapita e' stato Adnan per conto di Mohanned, l'autista al quale era stata rubata la macchina e poi incarcerato dagli iracheni, e di Wael, messo sotto torchio dagli americani, a mantenere i contatti con "Il manifesto". E anche quando sono tornata e' stato lui a chiamarmi per sapere come stavo, quasi a scusarsi per quello che mi era successo, a mantenere i contatti, a rassicurarmi dopo lo shock del rapimento che mi impediva di riprendere i contatti con l'Iraq. L'ultima chiamata e' di pochi giorni fa, gli avevo chiesto di mettermi in contatto con Wael che non avevo piu' sentito. Il dolore per la morte di Adnan si acuisce all'idea che non sara' l'ultimo amico, conoscente o sconosciuto a morire ammazzato nel clima di impunita' che regna in Iraq e che miete ogni giorno decine di vittime. Adnan lo conoscevamo, di molte altre non sapremo mai nemmeno il nome. 3. MEMORIA. GIAN CARLO CASELLI RICORDA PAOLO BORSELLINO [Ringraziamo di cuore Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per averci inviato questo articolo di Gian Carlo Caselli apparso sul quotidiano "La stampa" il 19 luglio 2005. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna). Gian Carlo Caselli, prestigioso magistrato impegnato contro terrorismo e mafia, e' stato anche direttore dell'amministrazione penitenziaria. Opere di Gian Carlo Caselli: (con Antonio Ingroia), L'eredita' scomoda, Feltrinelli, Milano 2001. Opere su Gian Carlo Caselli: Vincenzo Tessandori, Ettore Boffano, Il procuratore, Baldini & Castoldi, Milano 1995. Paolo Borsellino, eroico magistrato, membro del pool antimafia di Palermo che istrui' il maxiprocesso a Cosa Nostra, fu assassinato dalla mafia nel 1992. Opere di Paolo Borsellino: e' stato tra gli autori dell'atto d'accusa alla base del grande processo noto come "maxiprocesso" alla mafia, una sintesi di quella decisiva sentenza-ordinanza del pool antimafia di Palermo e' stata pubblicata a cura di Corrado Stajano con il titolo Mafia: l'atto d'accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti, Roma 1986; cfr. anche la raccolta di interventi pubblici di Falcone e Borsellino, Magistrati in Sicilia, Ila Palma, Palermo. Opere su Paolo Borsellino: Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, Milano 1994; Giommaria Monti, Falcone e Borsellino, Editori Riuniti, Roma 1996] Perche' e' morto Paolo Borsellino? Per capire quel che accadde il 19 luglio di 13 anni fa, ricordiamo le parole che lo stesso Borsellino, pochi giorni prima di cadere con la sua scorta in via d'Amelio, pronunzio' alla commemorazione di Giovanni Falcone organizzata dall'Agesci di Palermo, nel trigesimo della strage di Capaci. Borsellino (che coraggiosamente non opponeva resistenza al corso delle cose e ben sapeva che di li' a poco avrebbe aperto le ali per raggiungere l'amico) consegno' ai giovani una specie di testamento spirituale, secondo cui "la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti aiutasse a sentire la bellezza del fresco profumo di liberta' che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguita' e quindi della complicita'". E' proprio questo mancato coinvolgimento di tutti che puo' aiutarci a capire perche' Borsellino e' stato ucciso. Lunghissimo e' l'elenco dei morti di mafia, di coloro che hanno dato la vita per il nostro Paese, come testimonianza della loro fede laica o religiosa. Questo elenco non puo' diventare uno schermo dietro il quale nascondere le nostre responsabilita'. Borsellino, Falcone, don Puglisi... se hanno dovuto morire e' stato anche perche' lo Stato, noi tutti, non siamo stati sino in fondo quel che avremmo dovuto essere: Stato, cittadini, cristiani. Se essi sono morti e' perche' noi tutti non siamo stati vivi. Non abbiamo vigilato. Non ci siamo scandalizzati dell'ingiustizia. Non lo abbiamo fatto, non lo abbiamo fatto abbastanza: nella professione, nella vita civile, in quella politica, talora anche in quella religiosa. Coloro che sono morti hanno visto la sopraffazione, la ricchezza facile e ingiusta, l'illegalita', la compravendita della democrazia, lo scialo di morte e violenza, il mercato delle istituzioni, i bambini e i giovani della strada. Questo hanno visto coloro che sono morti. E per questo sono morti. E noi, quante volte, invece di "vedere", ci siamo accontentati di una specie di ipocrisia civile? Quante volte abbiamo subito e praticato, invece di spezzarlo, il giogo delle mediazioni e degli accomodamenti? Quante volte abbiamo preferito il "puzzo del compromesso" al "profumo di liberta'"? Dopo le stragi del 1992, per un certo periodo (due, tre anni) sembro' che questo puzzo potesse finalmente scomparire. Oltre alle condanne pesanti, per centinaia di ergastoli ed un'infinita' di anni di reclusione, a mafiosi interni all'organizzazione, ecco i processi ad imputati "eccellenti" accusati di collusione con Cosa nostra: conclusi ora con significative condanne, ora con assoluzioni per insufficienza di prove, ora con la prescrizione di reati effettivamente commessi; comunque e sempre univocamente dimostrando (con ampiezza e precisione senza precedenti) la commissione di fatti gravissimi ad opera di soggetti appartenenti alla borghesia politica, imprenditoriale e professionale, cioe' a settori che da sempre - in base alle analisi piu' accreditate - hanno un ruolo centrale nella storia della mafia. Partendo da questa realta' (incontrovertibilmente tale, anche quando i fatti storicamente accertati fossero letti come insufficienti per una condanna penale), si potevano innescare rigorosi percorsi di "bonifica politico-morale", prosciugando finalmente l'acqua in cui nuota il pescecane mafioso. Sembrava fatta. Cosa nostra ed i suoi complici stretti in un angolo, sotto una gragnuola di colpi portati con rigoroso rispetto delle regole e delle garanzie. Invece... Invece e' accaduto che pur di scongiurare il salto qualitativo nell'azione di accertamento dei legami e delle collusioni con Cosa nostra alcuni settori dello Stato hanno preferito perdere una guerra che si sarebbe potuto vincere. In particolare, accusando falsamente pm e giudici di costruire teoremi per ragioni politiche o piu' brutalmente di essere "comunisti" o amici dei comunisti; deliberatamente ignorando i risultati investigativi e processuali ottenuti e spesso ricorrendo ad un massiccio stravolgimento della verita' o alla sua cancellazione; beatificando regolarmente gli imputati, ancorche' responsabili (a livello penale o politico-morale) di fatti gravissimi e altrettanto regolarmente aggredendo i magistrati che non si decidono a chinare la testa. Ed ecco che il puzzo denunziato come esiziale da Borsellino lo si sente di nuovo. Impressionante e' il numero di coloro (politici, amministratori, imprenditori, operatori economici, medici...) che ancora intrattengono - abitualmente - proficui rapporti, quasi sempre d'affari o di scambio, con mafiosi o con stabili collaboratori dell'organizzazione. E che dopo le terribili stragi del 1992 ci siano ancora personaggi che vivono ed operano nel mondo "legale" (talora con responsabilita' istituzionali di rilievo), disposti a trescare e trattare con mafiosi e/o paramafiosi come se niente fosse, con assoluta "normalita'", e' una vergogna alla quale tutti dovrebbero reagire all'istante. Tutti dovrebbero avvertire proprio il puzzo che Borsellino voleva cancellare. Invece ci si tura il naso. O si cerca di esorcizzare il puzzo sostenendo che bisogna conviverci perche' cosi' va il mondo. Intanto, quelli che si indignano sono sempre di meno. Questione morale e responsabilita' politica sono reperti archeologici, favole per i gonzi. Ma cosi' si calpesta il sacrificio di Paolo Borsellino e se ne tradisce la memoria. 4. PAROLE. OSVALDO CAFFIANCHI: NEL TUBO [Ringraziamo Osvaldo Caffianchi per questo intervento. Osvaldo Caffianchi e' un collaboratore del Centro di ricerca per la pace di Viterbo] Nel tubo incontri i signori con la gobba con la cintura in fiamme, nel tubo d'un lampo apprendi che la guerra e' dappertutto: nel tubo Londra e' Srebrenica, e' Falluja. Nel tubo incontri giovani spauriti che hanno l'ordine di spararti in testa se hai sbagliato pelle, se non sai lo scioglilingua: nel tubo apprendi che la vita e' nulla. Nel tubo vedi che unico e' il destino e solo un gesto puo' salvarci tutti quel gesto fallo tu, salvaci tutti: getta la pistola, disinnesca la bomba. La guerra, il terrorismo, puoi fermarli solo a mani nude, solo le braccia aperte. Deciditi, ti prego. 5. PROFILI. PIERO VIOTTO. UN PROFILO DI JACQUES MARITAIN (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Dal sito www.maritain.org riprendiamo il seguente profilo biografico di Jacques Maritain scritto da Piero Viotto. Piero Viotto (Torino 1924), gia' docente di pedagogia presso l'Universita' Cattolica di Milano, membro del comitato scientifico dell'Institut International Jacques Maritain, autore di varie pubblicazioni, collaboratore delle riviste "Studium", "Vita e pensiero", "Humanitas", "Nuova Secondaria", "Pedagogia e vita", "Educatores", "France forum", "Rivista di Filosofia neoscolastica", e' tra i maggiori studiosi italiani di Maritain del quale ha tradotto anche alcune opere. Tra le opere di Piero Viotto segnaliamo particolarmente: Storia della filosofia, Torino 1958, 1965; Problemi di Pedagogia, Torino 1958, 1974; Pedagogia della scuola di base, Milano 1976, 1984; Pedagogia e politica del tempo libero, Brescia 1973; Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000; Jacques Maritain. Dizionario delle opere, Citta' Nuova Editrice, Roma 2003, 2005. Jacques Maritain, filosofo cattolico (Parigi 1882 - Tolosa 1973), promotore di una rinnovata valorizzazione del pensiero di Tommaso d'Aquino, costruttore di pace. Opere di Jacques Maritain: segnaliamo particolarmente Umanesimo integrale, Borla; ed Il contadino della Garonna, Morcelliana. Opere su Jacques Maritain: segnaliamo per un primo orientamento Lodovico Grassi, Jacques Maritain, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1993; Italo Mancini, Come leggere Maritain, Morcelliana, Brescia 1993; Piero Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000. Indirizzi utili: Institut international "Jacques Maritain", via Quintino Sella 33, 00187 Roma; "Cahiers Jacques Maritain", 21, rue de la Division-Leclerc, Kolbsheim 67120, France] 5. Il periodo di Tolosa e la riflessione sul Concilio (1961-1973) Durante il suo secondo soggiorno negli Stati Uniti, dopo il periodo romano, Maritain frequentemente torna in Francia per tenere conferenze e partecipare a dibattiti. Nel 1949 tenne la lezione inaugurale alla "Settimana degli intellettuali cattolici" con una conversazione su Il cammino della fede e una conferenza su Il significato dell'ateismo contemporaneo all'lnstitut Catholique. La sua presenza in Francia e' dovuta anche ad esigenze editoriali per curare la pubblicazione dei suoi scritti in lingua francese. Nel 1951 pubblica presso Tequi Le nove lezioni sulle prime nozioni della filosofia morale continuando la serie dei volumi didattici iniziata nel 1921 con il primo volume degli Elementi di filosofia, e nel 1959 raccoglie in Per una filosofia dell'educazione quasi tutti i suoi scritti di filosofia dell'educazione rivedendone la stesura. Ma il motivo che riporta in Francia i Maritain e' l'amicizia con la famiglia Grunelius di Kolbsheim in Alsazia, presso la quale i Maritain e i loro amici si riuniscono durante l'estate per incontri di studio e di preghiera. E' proprio a Kolbsheim che nel 1949 viene elaborato il manifesto programmatico Saggezza nel quale vengono recuperate le motivazioni culturali e spirituali che avevano animato le riunioni dei Circoli Tomistici prima del conflitto mondiale. Anche in Francia viene riconosciuta l'opera di Maritain; la "Revue Thomiste" nel 1948 gli dedica un numero unico e il Centro cattolico degli intellettuali francesi il 10 dicembre 1956 organizza una giornata di studio, con la partecipazione di personalita' del mondo della cultura, che daranno il loro contributo per un volume della rivista "Recherches et debats". L'opera di ricerca e di insegnamento di Jacques Maritain e' stata possibile non solo per la collaborazione della moglie Raissa e della cognata Vera Oumancoff, anch'essa convertitasi dell'ebraismo al cristianesimo, ma soprattutto per la spiritualita' che tutti e tre coltivavano in una comune esperienza di fede e di carita'. Cosi' Maritain descrive in Ricordi e appunti la loro vita e le motivazioni della loro spiritualita': "Comprendemmo decisamente tutti e tre che la nostra piccola comunita' laica formava un'unita' a parte, era in mezzo al mondo qualcosa che non era del mondo, senza avere per questo bisogno di aderire a una qualsiasi imitazione secolare dello stato religioso ne' ad alcuna pia organizzazione. E' vero che all'inizio ci consideravamo un po' come monaci e monache laici e che non senza una certa aria di bravata e con molta ingenuita' io scrivevo in alto alle mie lettere un pax benedettino anche quando esse non avevano proprio niente di pacifico. Ma queste illusioni non tardarono a svanire. Eravamo laici, impegnati senza riserva nello stato di vita laica e piu' gli anni passavano, piu' ci sentivamo semplicemente tali, dei laici come il popolo comune. Ma quel piccolo gregge di tre apparteneva a Gesu' Cristo. In tale spirito e con perfetta chiarezza, Vera prese coscienza del suo destino. Se scelse di restare con Raissa e con me, non fu per alcuna considerazione temporale, neppure per amore della sorella, ma a motivo di una vocazione personale, del dono di se stessa a Dio e d'una chiamata che sapeva venire dal fondo dell'eternita'. La vocazione cui ho ora accennato e' la radice soprannaturale della sublime dedizione che ella ebbe per noi. Essa spiega anche perche' ella non si senti' mai sorella e cognata un po' isolata di fronte al coppia Raissa-Jacques. C'era tra noi tre un'unita' profonda e tranquilla, un'unita' radicale che ci e' sempre apparsa come un'immensa grazia di Dio. Il numero tre e' un numero particolarmente santo e che significa la piu' completa pienezza, ecco l'idea o l'impressione che il nostro cuore non cesso' mai di avere. Quando Vera parti' per l'altra vita, che inspiegabile solitudine cadde d'un tratto su di noi, due esseri che pure erano uniti da un cosi' grande amore! Raissa non pote' sopravvivervi; Vera le aveva preparato il posto. Ed ora io sopravvivo a tutt'e due come un mendicante sostenuto da loro. Ma la verita' e' che sopravvivo anche a me stesso". Questi "appunti" spiegano molto bene lo stato d'animo di Maritain, trovatosi solo a "sopravvivere a se stesso", e il suo desiderio, rientrato nel 1961 in Francia, di stabilirsi a Tolosa presso i Piccoli fratelli di Gesu', per continuare nella preghiera e nella riflessione la sua testimonianza cristiana. Gli anni di Tolosa non segnano un declino nell'attivita' culturale di Maritain, ma uno sviluppo significativo, perche' il "vecchio filosofo" continua ad "insegnare", tenendo seminari di studio a Tolosa e a Kolbsheim, collabora a giornali e a riviste, pubblica libri, riflette sulla sua esperienza culturale, che non smentisce ma conferma anche nei suoi ultimi scritti, fino ad Approches sans entraves di cui pote' rivedere le bozze nel 1973 poco prima di morire. Tra i seminari di ricerca, in questo profilo dell'opera pedagogica di Maritain, trova un posto particolare quello del 1964, tradottosi nel volume Della grazia e della umanita' di Gesu' per le osservazioni sulla "educazione" di Gesu' che e' "cresciuto" veramente "in statura, in sapienza e in grazia", come risulta dal Vangelo di s. Luca (2, 52). Nel 1969 Maritain trova pure il tempo di rivedere tutti i suoi scritti di filosofia dell'educazione, per cui pubblica una nuova edizione di Per una filosofia dell'educazione, con varianti rispetto l'edizione del 1959 e con una prefazione di Marie-Odile Metral, studentessa della Sorbona che aveva partecipato alla contestazione studentesca del maggio 1968. Le ultime considerazioni pedagogiche di Maritain riguardano i pericoli che incombono sul mondo contemporaneo a causa del potere tecnocratico conseguente agli sviluppi della civilta' industriale: "Affinche' la nostra civilta' si orienti verso una tecnologia al servizio del bene dell'essere umano, purificata da ogni ambizione tecnocratica, bisogna, mi sembra, contare in primo luogo sulle risorse della natura umana, che malgrado le sue ferite resta buona nella sua essenza ed assetata di bene. Voglio dire che, istintivamente, e mediante un processo per prove ed errori, esso pure penitenziale, nei paesi democratici, si sviluppera' senza dubbio una lotta, ancora piu' o meno cieca, contro il pericolo tecnocratico. Bisogna, pero', che una tale lotta, se alla fine deve essere vittoriosa, divenga l'oggetto di una completa presa di coscienza e sia illuminata da una sicura filosofia sociale e politica". Il vecchio maestro non si smentisce, la prassi deve sempre essere illuminata dalla teoria, se manca la coscienza dei fini si lavora a vuoto. Intanto la Chiesa cattolica ha concluso il Concilio Vaticano secondo, che ha posto la nuova cristianita' davanti al mondo moderno in posizione di apertura e di dialogo e Maritain e' stato chiamato da Paolo VI a ricevere il messaggio della Chiesa agli intellettuali e molte delle intuizioni maritainiane a proposito dei rapporti tra religione e cultura, tra Chiesa e Stato, tra evangelizzazione e promozione umana sono state implicitamente accolte e riconosciute nei documenti conciliari. "In verita' tutte le vestigia del Santo Impero sono oggi liquidate: siamo definitivamente usciti dall'eta' sacrale e da quella barocca; dopo sedici secoli, che sarebbe vergognoso calunniare o pretendere di ripudiare. Ecco compiuto il grande rovesciamento in virtu' del quale non sono piu' le cose umane che s'incaricano di difendere le cose divine, bensi' queste che si offrono a difendere le cose umane (se queste non rifiutano l'aiuto offerto)". Ma le novita' del Concilio vengono fraintese, alcuni cristiani si sono scandalizzati, altri si sono lasciati fuorviare da una teologia progressista che porta ad un nuovo modernismo, e Maritain dal suo rifugio di Tolosa si sente impegnato ad intervenire e scrive nel 1966 Il contadino della Garonna contro i "poveri cristiani sofisticati" malati di "logofobia" e di "cronolatria" suscitando una nuova polemica, ma restando fermo nell'affermazione dei valori del Concilio. A chi lo accusa di avere rinunciato all'"umanesimo integrale", ai discepoli infedeli che lo vogliono coinvolgere nell'affermazione di tesi contrastanti con l'autorita' della Chiesa, risponde riaffermando il "primato dello spirituale". In una lettera del marzo 1967 alla rivista "Masses ouvrieres" scrive: "In Italia c'e' chi afferma che ho rinnegato Umanesimo integrale. E' una stupidaggine e una calunnia; tengo piu' che mai a tutte le posizioni di Umanesimo integrale". Coloro che vogliono "storicizzare" il pensiero di Maritain e farlo passare per un filosofo alla moda, secondo le diverse stagioni, sono serviti. Il "contadino della Garonna" e' ancora il giovane docente del Collegio Stanislao convinto che la verita' e' una sola e non passa col tempo, e che l'insegnamento consiste proprio nella "liberazione dell'intelligenza" e che la "docilita'" all'oggetto e' il principio della saggezza filosofica contro ogni presunzione intellettuale. L'opera piu' importante del periodo tolosano non e' Il contadino della Garonna anche se questa opera ha avuto un notevole successo editoriale, ma uno studio sistematico sulla realta' e sul mistero della Chiesa, che puo' essere considerato una risposta in positivo alle inquietudini della crisi postconciliare. L'introduzione di La Chiesa del Cristo. La persona della Chiesa e il suo personale, scritta nel 1970, conferma fin dalle prime righe la coerenza di un impegno culturale di ricerca e di insegnamento, la continuita' di una linea metodologica che caratterizzano tutta l'opera maritainiana. "Con quale diritto un laico che non ha autorita' per trattare simili argomenti (non e' un teologo) si e' avventurato a scrivere queste pagine sulla Chiesa del Cristo, che e' un mistero di fede? Rispondo che la sola autorita' della quale ci si possa valere parlando agli altri e' quella della verita'; e che in un momento storico di profondo turbamento si puo' senz'altro permettere a un vecchio filosofo cristiano, il cui pensiero e' da sessant'anni dominato dal mistero della Chiesa, di dare la testimonianza della sua fede e della sua meditazione". La riflessione sul mistero della Chiesa e' una costante del pensiero di Maritain, che vede nella Chiesa un mistero di salvezza ed una istituzione sociale predisposta dalla provvidenza di Dio per l'educazione dell'umanita'. In questa ricerca ecclesiologica Maritain si e' sempre affiancato ad un teologo, padre Clerissac nei primi anni della conversione, il cardinal Journet nel periodo della maturita', per avere quei riferimenti teologici che sono necessari per una adeguata e corretta impostazione di una filosofia della religione. Raissa Maritain aveva sempre collaborato con Jacques nel lavoro di ricerca filosofica e nel rifugio tolosano Jacques trova il tempo di raccogliere tutti gli scritti di Raissa, editi ed inediti, e di pubblicare Il diario di Raissa, nella cui prefazione scrive: "A dominare tutto il resto c'era poi la sua preoccupazione per il mio lavoro filosofico, e per la specie di perfezione che ne aspettava. A questo lavoro Raissa ha sacrificato tutto. Nonostante tutte le pene morali e fisiche e, in alcuni momenti, una quasi completa mancanza di forze, e' riuscita con uno scatto di volonta', e perche' la collaborazione che le ho sempre domandata era per lei un dovere sacro, a rileggere sul manoscritto tutto quello che ho scritto e pubblicato sia in francese sia in inglese". Questa collaborazione fu particolarmente preziosa per i problemi relativi all'estetica, perche' Raissa componeva poesie, e sulla mistica, perche' Raissa era un'anima contemplativa: "In un certo senso, Raissa ha detto tutto nelle sue poesie. E queste non sono forse nate la' dove, per rarissima coincidenza, tutte le sorgenti costituiscono una cosa sola, e dove l'esperienza creatrice del poeta non e' che il puro specchio dell'esperienza mistica?". Nel 1970, a conclusione della sua lunga avventura spirituale, Maritain, che fino ad allora a Tolosa aveva vissuto come ospite presso i Piccoli fratelli di Gesu', non contraddicendo ma realizzando la sua vocazione di laico impegnato nel lavoro e nella preghiera per testimoniare nel mondo il cristianesimo, volle essere accolto nella comunita' come piccolo fratello. Le ragioni di questa scelta e di questa decisione sono espresse nella lettera ai Piccoli fratelli del luglio 1970: "Cari Piccoli Fratelli, desidero parteciparvi una notizia che mi concerne e che forse vi sorprendera' un poco: il vecchio Jacques ha fatto domanda di entrare tra i Piccoli Fratelli di Gesu'; e fratel Rene' e il Consiglio hanno avuto la grande carita' di accettare la sua richiesta. Hanno anche voluto consentire che io faccia a Tolosa il mio noviziato che comincera' a meta' ottobre. Se accoglierete questa notizia con una sonora risata vi capiro' benissimo: questo vecchietto d'un filosofo, prossimo agli 88 anni e che si mette disinvoltamente a saltare il limite d'eta' (non superare i 35 anni) imposto ai postulanti. Di fatto i fratelli tra i quali vivo qui hanno preso le cose dal lato buono, ed io ne sono vivamente riconoscente a loro, come anche a Rene' e al Consiglio. Se sono sempre stato un laico inveterato, e' perche' la mia lunga avventura di don Chisciotte di s. Tommaso esigeva in modo assoluto di essere vissuta sotto la mia sola responsabilita' di franco-tiratore. Ora avviene che l'avventura in questione e' terminata, con il libro di cui ho appena finito di completare il manoscritto, e che uscira' tra qualche mese. Un filosofo alla fine della sua vita fa bene a volgersi verso le cose di lassu', ma dopo aver osato affrontare un argomento come La Chiesa del Cristo , non scrive piu' libri. Una volta capito bene questo, mi sono sentito libero di seguire il mio desiderio di condividere a fondo la vostra vita. Essere consacrato a Dio dalle mani della sua Chiesa, praticare l'obbedienza religiosa: potevo fare una scelta migliore? Gli anni passati alla Fraternita' di studi mi hanno confermato nell'amore della vocazione e dello spirito dei Piccoli Fratelli di Gesu', e nella convinzione che essi portano al nostro tempo cio' di cui esso ha piu' bisogno. E, a dire il vero, non e' forse stata l'idea di vivere la vita di contemplazione nel mondo, senza essere del mondo, ad animare Raissa, Vera e me nel piccolo gregge che formavamo? Tutte e due, esse sono andate fino alla fine su questa strada, in un dono totale di loro stesse, e al prezzo dei dolori della Croce, mentre io cercavo di seguirle, da povero maneggiatore di concetti che fa - forse non troppo male - la teoria di cio' che pratica nel peggiore dei modi. Penso che ora esse approvano la decisione da me presa, e che vi ringrazieranno, molto meglio di quanto posso fare io, di volere accogliermi tra voi. Che io possa vivere almeno un briciolo di tempo, e morire, da buon Piccolo Fratello di Gesu'! Pregate per me". La realizzazione "integrale" della vocazione di Piccolo fratello non impedi' a Maritain di continuare il suo lavoro intellettuale, tanto che "Le Monde" pubblico' nel numero del 2-3 settembre 1973 il testo di una delle sue ultime conferenze dal titolo significativo Le due grandi Patrie; quasi un testamento, essendo Jacques Maritain passato da questa Patria provvisoria alla Patria definitiva il 28 aprile del 1973. Anche in questo ultimo scritto Maritain confermava la sua speranza: "Verra' un giorno in cui questa grande patria, che e' il mondo, ritrovera' in buona parte, in mezzo a mali anch'essi nuovi, secondo la legge della storia del mondo, il fine vero per cui e' stata creata; un giorno in cui una nuova civilta' dara' agli uomini, non certo la felicita' perfetta, ma un ordinamento piu' degno di loro e li rendera' piu' felici sulla terra. Poiche' io penso che la meravigliosa pazienza di Dio non sia ancora esaurita, e che il giudizio finale non avverra' domani". * 6. Quasi un autoritratto e la testimonianza della nipote Nel 1954, a settantadue anni, dopo avere superato numerose vicissitudini in polemica con gli uomini della cultura e della politica, della teologia e della religione, che piu' volte lo avevano aggredito per la franchezza delle sue posizioni sui problemi piu' scottanti della storia contemporanea, Maritain, fiero della sua indipendenza e della sua lealta' alla verita' tenacemente ricercata e professata, cosi' si presentava nella prefazione ai suoi Ricordi e appunti: "Che sono io dunque?, mi domandavo allora. Un professore? Non lo credo; ho insegnato per necessita'. Uno scrittore? Forse. Un filosofo? Lo spero. Ma anche una specie di romantico della giustizia troppo pronto ad immaginarsi, a ogni combattimento, che fra gli uomini sorgera' senz'altro il giorno della giustizia come della verita'. Forse sono anche una specie di rabdomante con l'orecchio incollato sulla terra, per captare il mormorio delle sorgenti nascoste, l'impercettibile fruscio delle germinazioni invisibili. E forse, come qualsiasi cristiano, nonostante le paralizzanti miserie e debolezze e tutte le grazie tradite di cui prendo consapevolezza alla sera della mia vita, sono anche un mendicante del cielo travestito da uomo del nostro secolo, una specie di agente segreto del Re dei Re nei territori del principe di questo mondo, un agente segreto che si assume i propri rischi a somiglianza del gatto di Kipling girovagante tutto solo". Una simile tempra di pensatore non poteva chiudersi in una scuola, militare in un partito politico, iscriversi a un'accademia, diventare il portavoce di qualsivoglia struttura sociale. Per tutta la sua vita ha pagato di persona, ha impegnato solo se stesso, ha tracciato delle piste di ricerche, senza mai definire un sistema dottrinale chiuso, usando il tomismo come una metodologia per la discussione dei problemi reali della societa' e della Chiesa, incessantemente approfondendo il suo punto di vista sulle questioni affrontate in dialogo con tutte le correnti del pensiero contemporaneo. La filosofia di Maritain e' una filosofia esistenziale, che senza nulla perdere della oggettivita' della scienza e della universalita' del sapere intelligibile, nasce dalla esperienza e va diritta all'esperienza, anche se procede secondo le leggi ferree della logica e non si risolve nella esperienza individuale del filosofo. "L'esistenzialismo di s. Tommaso e' completamente diverso da quello delle filosofie di oggi; dicendo che, a mio avviso, e' il solo esistenzialismo autentico, non e' che io stia cercando di 'ringiovanire' il tomismo con artifizi verbali, cose di cui mi vergognerei, o che stia tentando di rimodernare s. Tommaso, secondo un costume alla moda. Non sono un neo-tomista; tutto sommato preferirei essere un paleotomista; sono, almeno spero di essere, un tomista. Da piu' di trent'anni constato quanto sia difficile ottenere che i nostri contemporanei non confondano le facolta' di invenzione dei filosofi con quelle degli artisti delle grandi case di moda". Cosi' scriveva nella premessa dettata nel 1964 per il Breve trattato dell'esistenza e dell'esistente. Nel suo ultimo libro, pubblicato postumo, si puo' leggere questo pensiero che ricapitola tutta la sua esperienza culturale: "Il tomismo autentico e' sempre nell'angoscia di verita' nuove da scoprire, da riconoscere, da integrare. Le chiavi che esso s'ingegna a fabbricare servono ad aprire le porte, non a chiuderle. Non e' un sistema chiuso, e' una saggezza essenzialmente aperta e senza frontiere, per il fatto stesso di essere una dottrina in movimento e in sviluppo vitale". Pur affrontando le piu' disparate questioni, dall'estetica al diritto, dalla politica alla pedagogia, Maritain ha sempre trattato gli argomenti della sua ricerca "da filosofo", utilizzando tutti i riferimenti impliciti nel suo lavoro riferibili ad altre forme di conoscenza, dalla sperimentazione scientifica alla quantificazione matematica, dalla poesia alla mistica, dalla etnologia alla psicoanalisi. Questo suo atteggiamento di laicita', aperto a tutte le metodologie di ricerca, non e' solo l'atteggiamento della sua personalita' di filosofo, ma una precisa metodologia epistemologica, il "distinguere per unire", che, superando le polemiche del fideismo medioevale e del razionalismo illuministico esalta la "santita' dell'intelligenza", mettendo la ragione in relazione vitale con tutte le forme della conoscenza umana di un "animale ragionevole". Per concludere questo profilo e' bene sentire chi l'ha avuto per maestro negli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, per conoscere, al di la' del pensiero, il comportamento diretto nell'azione educativa, nel rapporto interpersonale tra l'educando e l'educatore, che va risolto pedagogicamente in quell'"essere con l'educando", che e' la traduzione del principio politico dell'"esistere con il popolo" teorizzato da Maritain. Scrive la nipote, Eveline Garnier, figlia della sorella di Jacques: "La cosa piu' sorprendente nelle relazioni intercorse tra mio zio e me sta proprio nel fatto che non ha mai fatto intravedere che era nato molti anni prima di me. Quando ero una fanciulla, egli giocava con me, mi portava al circo, rideva quando io ridevo. Quando divenni una adolescente risenti' anche lui delle inquietudini che mi agitavano. Quando fui giovane soffri' con me le nuove difficolta' che dovevo affrontare. Egli si adattava senza alcuno sforzo apparente a tutti gli stati del mio sviluppo. E li seguiva con un movimento di attenzione e di tenerezza, che mi lasciava l'interezza della liberta'. Non tentava mai di farmi parteggiare per i suoi gusti, ma la gioia brillava nei suoi occhi quando gli comunicavo la mia ammirazione per un pittore che egli amava". Non solo nella sua filosofia dell'educazione, ma anche nella sua esperienza educativa, familiare, scolastica, accademica, Maritain ci ha insegnato che in educazione quel che conta non sono i programmi, i metodi, le strutture, ma la personalita' dell'educatore. (Parte terza - fine) 6. LETTURE. BIANCA BECCALLI, CHIARA MARTUCCI (A CURA DI): CON VOCI DIVERSE. UN CONFRONTO SUL PENSIERO DI CAROL GILLIGAN Bianca Beccalli, Chiara Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan, La Tartaruga edizioni, Milano 2005, pp. 144, euro 13,20. Nato da una giornata di studi svoltasi all'Universita' di Milano nel 2003, il volume, aperto da una prefazione di Bianca Beccalli, comprende contributi di Silvia Vegetti Finzi, Eva Cantarella, Carol Gilligan, Claudia Zanardi, Bianca Beccalli e Luca Beretta, Carmen Leccardi, Barbara Mapelli, Tiziana Vettor. Muovendo dalla discussione delle tesi della pensatrice americana - docente di psicologia alla New York University ed autrice di un testo ormai classico (Con voce di donna, 1982, tr. it. Feltrinelli, Milano 1987) e di altri acuti studi (tra cui La nascita del piacere, 2002, tr. it. Einaudi, Torino 2003) - questa riflessione a piu' voci tocca molte decisive questioni. E' un libro appassionante, colmo di idee e proposte di discussione, che vivamente raccomandiamo. 7. LETTURE. MAURIZIO CHIERICI (A CURA DI): LULA, MILLE GIORNI DIFFICILI Maurizio Chierici (a cura di), Lula, mille giorni difficili, Nuova iniziativa editoriale, Roma 2005 (suppl. a "L'Unita'"), pp. 190, euro 6,90. A cura di un esperto conoscitore dell'America Latina, e con una prefazione dello stesso Lula, una raccolta di interventi ed interviste sulle aperture, le lotte, le speranze e le contraddizioni del Brasile governato dal carismatico leader operaio. 8. LETTURE. GIGLIOLA DE DONATO, SERGIO D'AMARO: UN TORINESE DEL SUD: CARLO LEVI Gigliola De Donato, Sergio D'Amaro, Un torinese del Sud: Carlo Levi, Baldini Castldi Dalai, Milano 2001, 2005, pp. 384, euro 9,90. Una bella biografia, che e' anche una rievocazione di quell'Italia civile dell'antifascismo, della lotta contro la mafia e contro la miseria, della nonviolenza in atto, che costituisce la corrente calda e il filo rosso della tradizione migliore della sinistra italiana, gobettiana e gramsciana, meridionalista e intransigente, ricca della verita' (la poesia onesta, lo slancio creaturale, la solidarieta' che si fa condivisione della della vita e lotta di tutti gli oppressi) di figure come Umberto Saba, Rocco Scotellaro, Danilo Dolci. Un libro da leggere, in memoria e gratitudine, per poi tornare a rileggere ancora e ancora le opere di Carlo Levi. 9. RILETTURE. BRITTA BENKE: GEORGIA O'KEEFFE Britta Benke, Georgia O'Keeffe, Taschen, Koeln 2000, pp. 96. Una bella monografia sulla pittrice americana (1887-1986), riccamente illustrata. Una ricostruzione delle diverse fasi ed esperienze di un tragitto esistenziale e di un'opera pittorica dagli esiti acutamente interrogativi, uno sguardo metamorfico e metafisico che convoca a meditazioni essenziali; come - un esempio per tutti - in Ladder to the Moon, del 1958, una tela che non cessa di interpellarmi. 10. RILETTURE. ANDREA KETTENMANN: FRIDA KAHLO Andrea Kettenmann, Frida Kahlo, Taschen, Koeln 2001, pp. 96. Una bella monografia sulla pittrice e militante messicana (1907-1954), riccamente illustrata. All'incrocio e all'ascolto di molte diverse esperienze, Frida Kahlo e' nella vita e nell'arte una sperimentatrice appassionata, che sa trasmettere il sentimento del mistero e della fragilita' della persona e delle relazioni, e del dolore che le invade e lacera; ed insieme sa chiamare alla lotta contro ogni oppressione, per un'umanita' di persone libere ed eguali, solidali e amorose. 11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 12. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1005 del 28 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: La nonviolenza e' in cammino. 1005
- Next by Date: Nonviolenza. Femminile plurale. 22
- Previous by thread: La nonviolenza e' in cammino. 1005
- Next by thread: Nonviolenza. Femminile plurale. 22
- Indice: