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La nonviolenza e' in cammino. 1004
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 1004
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 27 Jul 2005 00:46:29 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1004 del 27 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Nadje Al-Ali: Scegliere la nonviolenza 2. Giulio Vittorangeli ricorda Gina Lagorio 3. Lisa Masier ricorda Gina Lagorio 4. Maria Rosa Cutrufelli ricorda Gina Lagorio 5. Piero Viotto: Un profilo di Jacques Maritain (parte seconda) 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. NADJE AL-ALI: SCEGLIERE LA NONVIOLENZA [Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente intervento di Nadje Al-Ali, che conferma una delle tesi che questo foglio sostiene da anni: che la lotta per la pace e la liberazione dei popoli e delle persone richiede la scelta della nonviolenza; che l'opposizione alla guerra deve essere anche opposizione ad ogni forma di terrorismo, di dittatura, di militarismo, di autoritarismo, di maschilismo, di dominazione violenta; che occorre opporsi a tutte le uccisioni e a tutte le brutalita'. Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Nadje Al-Ali, autorevole docente di antropologia sociale all'Istituto di studi arabi e islamici dell'Universita' di Exeter, nel Regno Unito, e' tra le fondatrici di "Act Togheter. Women's Action in Iraq", e attivista delle "Donne in Nero" di Londra] Per quelle e quelli di noi che vivono a Londra, i recenti attentati nella capitale britannica hanno portato in casa la violenza quotidiana, l'orrore e la paura di milioni di persone che vivono in molti posti del mondo. Per la prima volta, sono stati i nostri parenti in Iraq che hanno chiesto ansiosamente notizie sulla nostra salute e benessere, e non viceversa come e' stato per anni. In questo momento l'Iraq deve essere un posto estremamente pericoloso sia a causa delle forze di occupazione sia a causa della resistenza armata. Altra gente in molte altre citta' del mondo convive con quella quotidiana paura: a Baghdad, a Ramallah, a Gerusalemme o a Kabul, la violenza anche quando non e un evento effettivo e' un peso quotidiano nella mente di ognuno. Sebbene molte amiche e molti amici con cui sono stata impegnata nel contesto dell'attivismo anti-sanzioni e anti-guerra concordino che la cosiddetta "guerra al terrore" non possa essere combattuta con le bombe, solo poche e pochi sembrano riconoscere che non possiamo neanche combattere l'imperialismo Usa con la violenza. Soprattutto quando le vittime di questa violenza sono per lo piu' civili. In Iraq, per esempio, migliaia di uomini, donne e bambini sono stati uccisi solo perche' si trovavano a passare di la', o erano davanti a un distributore di benzina, un supermercato, una moschea, una stazione di polizia, o in strada, nel momento sbagliato. Possiamo definire "resistenza" gli assassinii di civili iracheni/e, di assistenti umanitari/e stranieri/e (e, aggiungerei, di diplomatici)? Per me, l'idea che questi assassinii siano un necessario seppur deplorevole "sottoprodotto" della lotta contro l'imperialismo e' contorta e perversa quanto l'infamante affermazione di M. Albright su "un prezzo che vale la pena pagare" riferita alle migliaia di bambini/e iracheni/e morti/e durante le sanzioni economiche nel tentativo di reprimere Saddam Hussein. * Piu' chiaramente: nel mio attivismo e nei miei testi, sono stata anti-sanzioni, anti-guerra e anti-occupazione. Ma essendo contro queste cose, non ho mai inteso essere automaticamente a favore di qualcuno o qualcosa. Questo era vero sia per la dittatura di Saddam Hussein in passato sia per i combattenti che terrorizzano la popolazione irachena oggi. Cio' che ho trovato davvero demoralizzante e frustrante quando ho partecipato ad iniziative anti-guerra e anti-occupazione nei mesi scorsi e' la raffigurazione del mondo in bianco e nero e la mancanza di chiarezza riguardo alla resistenza irachena. Al recente Tribunale mondiale per l'Iraq di Istanbul, per esempio, quasi ogni speaker ha o iniziato o finito il proprio intervento con affermazioni del tipo: "dobbiamo sostenere la resistenza irachena". Molti speaker hanno aggiunto che questo non era solo per combattere l'occupazione in Iraq ma faceva parte di una piu' ampia lotta contro un neo-colonialismo, un neo-liberismo e un imperialismo invadenti. Ma nessuno di loro ha spiegato alla giuria di coscienza, all'opinione pubblica e ai/alle suoi/sue delegati/e cosa intendessero per "resistenza". Nessuno ha ritenuto necessario differenziare tra il diritto all'autodifesa e il tentativo patriottico di resistere all'occupazione straniera da una parte, e, dall'altra, gli indiscriminati illeciti assassinii di non-combattenti. Ne' qualcuno ha chiesto le motivazioni e gli obiettivi di molti dei numerosi gruppi, reti, individui e gang raggruppati troppo casualmente sotto la "resistenza" - un termine che attraverso la mancanza di una chiara definizione e' stato usato per racchiudere varie forme di opposizione: da quella politica nonviolenta, fino alla resistenza armata, al terrorismo e alla criminalita' di tipo mafioso. Ancora, non definendo e non differenziando esplicitamente, i/le proponenti lo slogan del sostegno incondizionato hanno finito per raggruppare insieme la maggior parte della popolazione irachena che si oppone all'occupazione Usa ed e' impegnata in quotidiane forme di resistenza, con cio' che resta del passato regime, le milizie irachene-islamiche, jihad straniere, mercenari e criminali. * Le opinioni sulla resistenza armata variano tra la popolazione irachena riflettendo la diversita' della societa': non semplicemente in termini di background etnici o religiosi come vorrebbero farci credere molti commentatori, ma diversita' in termini di classe sociale, luogo di residenza, esperienze specifiche con il passato regime, la persistente occupazione e l'orientamento politico. Comunque, basandomi su discorsi con amiche ed amici, familiari, cosi' come su molti sondaggi d'opinione, sosterrei che la maggioranza delle irachene e degli iracheni non traducono la loro opposizione all'occupazione nel sostegno ai rivoltosi armati assassini iracheni. Trovo anche difficile credere che la maggior parte delle irachene e degli iracheni sosterrebbe veramente il rapimento, la tortura e l'uccisione di straniere e stranieri a causa dell'occupazione. Ironicamente oggi e' la mancanza di sicurezza nelle strade delle citta' irachene che persuade molte persone, che inizialmente volevano fuori dal paese le forze statunitensi e britanniche, a non chiedere il ritiro immediato. Ovviamente la mancanza di sicurezza e' un effetto della recente guerra e della persistente occupazione. Quest'ultima e' indubbiamente la continuazione brutale di una guerra illegale che ha gia' ucciso e mutilato migliaia di civili con numerose armi convenzionali e non. Le truppe degli Usa e della Gran Bretagna sono state coinvolte nella tortura sistematica di prigionieri cosi' come in altre violazioni delle convenzioni internazionali per i diritti umani e delle leggi umanitarie. Ma il fatto e' che quando un iracheno o un'irachena lascia la sua casa al mattino chiedendosi se rivedra' i suoi cari, potrebbe essere un cecchino o una bomba delle forze d'occupazione o una bomba suicida ad ucciderlo/a. Per abusare di un vecchio cliche', le irachene e gli Iracheni si trovano tra due fuochi. * La cultura della violenza e l'ideologia fascista di fondo di molti dei gruppi che operano sul suolo iracheno oggi non e' una percorribile alternativa all'imperialismo Usa. Anche se noi tutti sappiamo che Bush non e' per la liberta' e la democrazia, per favore smettiamo di chiamare gli attentatori suicidi locali o stranieri "combattenti per la liberta'". Non sono sicura di quanti dei sostenitori/e incondizionati/e della resistenza resisterebbero in Iraq se i militanti responsabili di omicidi e rapimenti di civili iracheni e stranieri dovessero prevalere. Non c'e' dubbio che la precedente Autorita' provvisoria e poi i vari Governi di transizione hanno perso credibilita' tra la maggior parte della popolazione irachena. La ricostruzione e' stata incredibilmente lenta e piena di corruzione e cattiva gestione. I germi per una vera trasformazione politica, per la ricostruzione di spazi politici e per un'opposizione nonviolenta all'occupazione straniera sono stati resi sempre piu' difficili dalla violenza crescente e dall'instabilita' create dalla rivolta. Ma ci sono modi nonviolenti per resistere: le immagini continue di migliaia di iracheni - uomini, donne e bambini di tutte le eta' e provenienza - che dimostrano pacificamente per le strade dell'Iraq dovrebbero inviare un messaggio forte al mondo: messaggio che non dovrebbe essere ignorato a Washington o a Londra, soprattutto se gli iracheni e le irachene sono insieme a persone di tutto il mondo che scendono in strada per solidarieta'. Nello stesso tempo le irachene e gli iracheni, facendo pressione sul loro governo - tanto difettoso come lo fu il processo elettorale- attraverso associazioni della societa' civile, municipi e varie altre istituzioni, possono resistere all'abuso straniero e all'imposizione di attori politici, valori e sistemi economici esterni. Gli iracheni e le irachene a un livello popolare hanno iniziato a fare gruppo, a mobilitarsi e a resistere senza violenza, e continuano a farlo. Le attiviste donne sono state all'avanguardia per azioni ed iniziative. Eppure, gli spazi politici sono stati ristretti non semplicemente in funzione dell'occupazione e del tipo di governo in carica, ma anche, e crucialmente, a causa della mancanza di sicurezza causata dalla violenza della rivolta. * Per quelle di noi preoccupate per la perdita dei diritti delle donne, in Iraq sono stati documentati attacchi crescenti alle donne, la pressione a conformarsi a certi codici di abbigliamento, le restrizioni dei movimenti e del comportamento, cosi' come casi di acido gettato sui volti delle donne, e persino omicidi. E' estremamente miope non condannare questi tipi di aggressioni verso chiunque; per le donne poi diventa una questione di diritto all'esistenza. Le donne e le "questioni delle donne", naturalmente, sono state strumentalizzate - in Afghanistan, ma anche in Iraq. Sappiamo che sia Bush che Blair hanno provato a utilizzare il linguaggio della democrazia e dei diritti umani, specialmente dei diritti delle donne. Ma il loro strumentalizzare le donne non significa che dovremmo condonare o accettare il modo in cui i militanti islamisti stanno, da parte loro, usando simbolicamente le donne - attaccandole fisicamente - per esprimere la loro "resistenza". * E' ora per tutte e tutti di essere molto piu' chiari rispetto a quello che dovremmo sostenere o no. E' ora di abbandonare il sostengo incondizionato ai terroristi e ai criminali responsabili delle uccisioni di civili irachene e iracheni. E' ora di riconoscere che gli iracheni e le irachene sono divisi/e in molte linee differenti e che nascondere queste differenze non aiuta l'unita' nazionale a lungo termine. E' ora di cercare seriamente mezzi nonviolenti di resistenza all'occupazione in Iraq e al piu' ampio imperialismo Usa. E' tempo di dichiarare che il nemico del mio nemico non e' necessariamente mio amico. 2. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI RICORDA GINA LAGORIO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'". Gina Lagorio, scrittrice, e' nata nel 1922 a Bra', in Piemonte, da genitori piemontesi, ma la famiglia si trasferisce presto in Liguria. Insegnante per molti anni, all'impegno culturale ha unito una forte passione morale e civile; e' stata deputata della sinistra indipendente. E' deceduta il 17 luglio 2005. Opere di Gina Lagorio: Le novelle di Simonetta, 1960; Il polline, 1966; Fenoglio, 1970; Approssimato per difetto, 1971; La spiaggia del lupo, 1977; Fuori scena, 1979; Sbarbaro, un modo spoglio di esistere, 1981; Tosca dei gatti, 1983; Penelope senza tela, 1984; Golfo del paradiso, 1987; Russia oltre l'Urss, 1989; Freddo al cuore, 1989; Tra le mura stellate, 1991; Il decalogo di Kieslowski, 1992; Il silenzio, 1993; Il bastardo, 1996; Inventario, 1997; L'arcadia americana, 1999. Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel 1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto, fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita' umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu' alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi: fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano 1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994; Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini, Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992; Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia, Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di Primo Levi, Mursia, Milano 1976. La poesia di Primo Levi "Tracce", che Gina Lagorio cita nel suo intervento citato da Giulio Vittorangeli e che riproduciamo anch'essa, e' ora, col titolo "Agli amici", in Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino 1997; ed anche in Primo Levi, Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1990 (nuova edizione che comprende anche una sezione di "Nuove poesie" in aggiunta a quelle edite nell'ed. or. 1984)] Domenica 17 luglio nella sua casa a Milano e' scomparsa Gina Lagorio, per i postumi di un ictus che aveva segnato i suoi ultimi due anni vita e che e' al centro del suo ultimo libro Capita, che sara' in libreria nei prossimi mesi edito da Garzanti. Il quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005, ha pubblicato un doppio ricordo a firma di Lisa Masier e di Maria Rosa Cutrufelli: "... Tipico di Gina Lagorio congedarsi da tutti noi che l'abbiamo ammirata e amata, solo dopo aver finito di scrivere il libro che racconta la sua malattia. E dopo averlo consegnato alla casa editrice. Particolare che mi ha stretto il cuore. Perche' so bene cosa rappresenta questo gesto per uno scrittore o una scrittrice: il distacco vero, definitivo, della propria opera... L"altra passione e' stata la politica. Si', e' stata parlamentare. Ma non era tanto la politica istituzionale che l'appassionava, quanto la politica intesa come civilta' delle relazioni, come lavoro comune teso a inventare e a intessere rapporti umani piu' giusti e piu' felici". Il mio piccolo e modesto ricordo personale e' legato al maggio 1998, quando nell'organizzare a Bolsena un convegno di studi su Primo Levi, Gina Lagorio non potendo partecipare per un precedente impegno letterario in Sicilia, invio' (in forma cartacea) il suo intervento: "La memoria perenne e la poesia 'ad ora incerta'", tenuto al convegno americano svoltosi tra il 30 aprile e il 2 maggio 1989. Purtroppo quell'intervento non riuscimmo a distribuirlo ai partecipanti al nostro convegno; era nella forma originale in inglese e pur contenendo anche in alcuni passaggi le correzioni autografe dell'autrice non riuscimmo a tradurlo in italiano in tempi brevi per la diffusione. In questi tempi bui in cui si ritorna a dividerci tra "noi" (italiani autoctoni) e "loro" (tutti indifferentemente "musulmani"): solo che quando "loro" muoiono e' un "danno collaterale", quando a morire siamo noi e' "terrorismo barbarico"; mi sembra giusto riproporre la brevissima parte finale di quell'intervento. * "Ora resta, al di la' delle briciole di memoria, il pane grande e buono dell'opera di Levi, che mi e' cara, dal primo all'ultimo libro. E resta, preziosa, la poesia che ebbi con una lettera da lui e che mi sembra giusto leggere qui adesso perche' altri vi sentano quel che io vi sentii. Tracce Cari amici, qui dico amici Nel senso vasto della parola: Moglie, sorella, sodali, parenti, Compagne e compagni di scuola, Persone viste una volta sola O praticate per tutta la vita: Purche' fra noi, per almeno un momento, Sia stato teso un segmento, Una corda ben definita. Dico per voi, compagni d'un cammino Folto, non privo di fatica, E per voi pure, che avete perduto L'anima, l'animo, la voglia di vita. O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu Che mi leggi: ricorda il tempo, Prima che s'indurisse la cera, Quando ognuno era come un sigillo. Di noi ciascuno reca l'impronta Dell'amico incontrato per via; In ognuno la traccia di ognuno. Per il bene od il male In saggezza o in follia Ognuno stampato da ognuno. Ora che il tempo urge da presso, Che le imprese sono finite, A voi tutti l'augurio sommesso Che l'autunno sia lungo e mite. La lettera che contiene 'Tracce' e' datata 16 dicembre 1985. Per me sono queste le ultime parole di Primo Levi: un saluto natalizio di amicizia dove trema un mai dimenticato dolore, eppure spira l'umana brezza di una speranza negli uomini che sulle 'tracce' della fraternita' nel comune destino debbono comunque continuare a procedere, 'ognuno stampato da ognuno'. E se quell'ognuno si chiamava Primo Levi, con un'impronta che il tempo non potra' cancellare". 3. MEMORIA. LISA MASIER RICORDA GINA LAGORIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Lisa Masier scrive di temi scientifici e culturali sul "Manifesto"] "Raccontare e' stato per me una seconda maniera di essere, una risposta istintiva al bisogno di espressione per impadronirmi del mondo, attraverso un tipo diverso di conoscenza": cosi' Gina Lagorio - scomparsa domenica mattina nella sua casa di corso Monforte a Milano per i postumi di un ictus che aveva segnato i suoi ultimi due anni di vita e che e' al centro del suo prossimo libro, Capita, di imminente pubblicazione per Garzanti - aveva una volta definito le ragioni della sua scrittura. Scrivere, dunque, era, prima di tutto, per l'autrice piemontese, uno strumento necessario per apprendere, per meglio definire e capire gli spazi del proprio universo. Nata a Bra, vicino a Cuneo, nel 1922, in una famiglia borghese di origini contadine, l'autrice sarebbe rimasta profondamente legata alla sua terra per tutta la vita, e avrebbe piu' volte descritto nelle sue opere narrative i paesaggi piemontesi che facevano da sfondo alla tenuta di famiglia. E non a caso, avrebbe spesso citato fra gli autori che maggiormente avevano segnato il suo stile, i nomi di Cesare Pavese e, piu' ancora, di Beppe Fenoglio: proprio su Fenoglio, del resto, aveva pubblicato nel 1970 una monografia, fra i primi testi critici che siano stati dedicati allo scrittore di Alba. Figlia unica ("ho cominciato a scrivere a dieci anni, era una forma di colloquio con i fratelli che non avevo", avrebbe dichiarato in una intervista), Gina Lagorio trascorse l'infanzia e la giovinezza a Savona da cui si allontano' negli anni dell'universita' per laurearsi in letteratura inglese a Torino e dove poi continuo' a vivere ancora per diverso tempo, fino al 1974. Anche la Liguria, del resto, rappresenta uno dei luoghi letterari privilegiati nella scrittura di Gina Lagorio: centrale, in modo particolare, e' stata l'amicizia con il poeta Camillo Sbarbaro, a cui si sentiva particolarmente affine per l'atteggiamento sempre antiretorico, e a cui dedico' nel 1973 una biografia, Sbarbaro controcorrente, che sarebbe poi stata ripubblicata nel 1981 con un titolo ancor piu' significativo, Sbarbaro. Un modo spoglio di esistere. Dopo avere insegnato per una ventina d'anni nelle scuole superiori ("ero esigentissima, ma avevo un rapporto umano straordinario con i miei alunni, insegnavo cultura liberatoria come era stata insegnata a me") e avere collaborato alle pagine culturali di diverse testate, Gina Lagorio esordi' nel 1969 con un romanzo, Un ciclone chiamato Titti, dedicato a una delle due figlie. Nel 1964 la sua vita era stata sconvolta dalla morte del marito Emilio Lagorio, protagonista della Resistenza. Intorno alla sua figura la scrittrice avrebbe costruito quella che resta come una delle sue opere piu' importanti, Approssimato per difetto (Garzanti, 1971), in cui la voce di un uomo, Renzo, narra la propria vita e le proprie relazioni con gli altri, alla luce della malattia e della morte imminente. (E ancora la figura del marito ritorna in un altro piccolo libro, Raccontiamoci com'e' andata, edito da Viennepierre nel 2002). Nel 1974 Gina Lagorio si trasferi' a Milano, dove intraprese la carriera politica, battendosi per i diritti delle donne, e sposo' in seconde nozze l'editore Livio Garzanti, la cui casa editrice pubblico' quasi tutti i suoi libri. Nel 1987, fu eletta al parlamento, per una legislatura, come indipendente di sinistra. Nel corso degli anni Gina Lagorio ha alternato scrittura narrativa, saggistica e teatrale. Fra i romanzi, oltre a Approssimato per difetto, si ricordano Il polline (1966), La spiaggia del lupo (1977), Fuori scena (1979), Tosca dei gatti (1983), Golfo del paradiso (1987), Tra le mura stellate (1991), Il silenzio (1993), Il bastardo, ovvero gli amori, i travagli e le lacrime di Don Emanuel di Savoia (1996), Inventario (1997), L'arcadia americana (1999). Tra le opere di saggistica, invece, vanno citate fra l'altro Fenoglio (1970), Sui racconti di Sbarbaro (1973), Sbarbaro: un modo spoglio d'esistere (1981), Penelope senza tela (1984), Russia oltre l'Urss (1989), e il bel volume dedicato al Decalogo di Kieslowski (1992). I suoi testi teatrali sono raccolti nel volume Freddo al cuore (1989). 4. MEMORIA. MARIA ROSA CUTRUFELLI RICORDA GINA LAGORIO [Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Maria Rosa Cutrufelli e' nata a Messina e vive a Roma, intellettuale impegnata nel movimento delle donne, ricercatrice, saggista, narratrice, giornalista, direttrice di "Tuttestorie", rivista di narrativa di donne. Opere di Maria Rosa Cutrufelli: L'invenzione della donna, Mazzotta, Milano 1974; L'unita' d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud, Bertani, 1974; Disoccupata con onore. Lavoro e condizione della donna, Mazzotta, Milano 1975; Donna perche' piangi, Mazzotta, Milano 1976; Economia e politica dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980; Il cliente. Inchiesta sulla domanda di prostituzione, 1981; Mama Africa. Storia di donne e di utopie, Feltrinelli, Milano 1989; La Briganta, La Luna, Palermo 1990; Il denaro in corpo, Marco Tropea Editore, Milano 1996; (a cura di), Nella citta' proibita, Marco Tropea Editore, Milano 1997, Net, Milano 2003; Lontano da casa, Rai, 1997; Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di mafia, Longanesi, Milano 1994, Tea, Milano 1997; Il paese dei figli perduti, Marco Tropea Editore, Milano 1999; Giorni d'acqua corrente. Quando la vita delle donne diventa racconto, Pratiche Editrice, Milano 2002; Terrona, Citta' Aperta, Troina (En) 2004; La donna che visse per un sogno, Frassinelli, Milano 2004] Tipico di Gina, di una donna tenace nelle sue passioni, e soprattutto in quella passione-principe che per lei era la scrittura. Tipico di Gina Lagorio congedarsi da tutti noi che l'abbiamo ammirata e amata, solo dopo aver finito di scrivere il libro che racconta la sua malattia. E dopo averlo consegnato alla casa editrice. Particolare che mi ha stretto il cuore. Perche' so bene cosa rappresenta questo gesto per uno scrittore o una scrittrice: il distacco vero, definitivo, dalla propria opera. L'ultima volta che ho visto Gina e' stato un anno fa, piu' o meno. Ero andata a Milano per chiederle di farmi da madrina allo Strega. Lei stava gia' molto male, ma la malattia non era ancora riuscita a fiaccare quella stupefacente vitalita' che era la caratteristica forse piu' evidente del suo carattere. Un modo gioioso d'accostarsi all'esistenza. Una voglia di godersi la vita nei piaceri piu' grandi come in quelli piu' piccoli, magari trascurabili all'apparenza. Lei non "rasentava la vita in punta di piedi", come il suo amico Raffaello Baldini o il suo maestro Sbarbaro: lei la gustava con pienezza. E chiedeva agli amici di farsi complici di questo suo inesauribile trasporto vitale. Cosi' quel giorno a Milano mi accolse con una bottiglia di Veuve Clicquot: era ben consapevole, Gina, dell'importanza dei riti quotidiani, dei festeggiamenti familiari e amicali che rendono memorabile l'evento piu' scontato. Era maestra nel trasformare un incontro o un semplice appuntamento in qualcosa di speciale, da ricordare: lo champagne nei calici, i fiori bianchi sul tavolo... Quel giorno mi mostro' anche come si era organizzata per riuscire a lavorare nonostante la pesantezza della malattia. Era ben decisa ad approfittare di ogni ora, di ogni minuto che il dolore le lasciava. Ad ognuna di queste ore, ad ognuno di questi momenti si aggrappava per continuare a vivere, cioe' a scrivere: le due cose non sono scindibili, per una scrittrice. Poi, prima di congedarmi, Gina si raccomando': "Se ci sono iniziative politiche che ti sembrano importanti, interventi, manifesti, metti pure la mia firma, mi fido di te". Perche' questa era l'altra passione di Gina Lagorio: la politica. Si', e' stata parlamentare. Ma non era tanto la politica istituzionale che l'appassionava, quanto la politica intesa come civilta' delle relazioni, come lavoro comune teso a inventare e a intessere rapporti umani piu' giusti e piu' felici. E questa cifra politica e' il motore, piu' o meno segreto, di molti suoi libri, dei racconti di viaggio come dei romanzi o dei saggi di critica letteraria. Non a caso c'e' chi ha notato in tutta la sua opera una forte "tensione saggistica": che poi, molto semplicemente, non e' che il desiderio di ancorare l'immaginazione ai fatti del mondo. Una suggestione stilistica. Un'indicazione di metodo. Un magistero letterario di cui, Gina, ti sono e ti saro' sempre grata. 5. PROFILI. PIERO VIOTTO. UN PROFILO DI JACQUES MARITAIN (PARTE SECONDA) [Dal sito www.maritain.org riprendiamo il seguente profilo biografico di Jacques Maritain scritto da Piero Viotto. Piero Viotto (Torino 1924), gia' docente di pedagogia presso l'Universita' Cattolica di Milano, membro del comitato scientifico dell'Institut International Jacques Maritain, autore di varie pubblicazioni, collaboratore delle riviste "Studium", "Vita e pensiero", "Humanitas", "Nuova Secondaria", "Pedagogia e vita", "Educatores", "France forum", "Rivista di Filosofia neoscolastica", e' tra i maggiori studiosi italiani di Maritain del quale ha tradotto anche alcune opere. Tra le opere di Piero Viotto segnaliamo particolarmente: Storia della filosofia, Torino 1958, 1965; Problemi di Pedagogia, Torino 1958, 1974; Pedagogia della scuola di base, Milano 1976, 1984; Pedagogia e politica del tempo libero, Brescia 1973; Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000; Jacques Maritain. Dizionario delle opere, Citta' Nuova Editrice, Roma 2003, 2005. Jacques Maritain, filosofo cattolico (Parigi 1882 - Tolosa 1973), promotore di una rinnovata valorizzazione del pensiero di Tommaso d'Aquino, costruttore di pace. Opere di Jacques Maritain: segnaliamo particolarmente Umanesimo integrale, Borla; ed Il contadino della Garonna, Morcelliana. Opere su Jacques Maritain: segnaliamo per un primo orientamento Lodovico Grassi, Jacques Maritain, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole 1993; Italo Mancini, Come leggere Maritain, Morcelliana, Brescia 1993; Piero Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000. Indirizzi utili: Institut international "Jacques Maritain", via Quintino Sella 33, 00187 Roma; "Cahiers Jacques Maritain", 21, rue de la Division-Leclerc, Kolbsheim 67120, France] 4. Il periodo americano e le opere della maturita' (1940-1959) Per tutto il "periodo di Meudon" Maritain insegna all'Institut Catholique nelle cattedre di filosofia teoretica e storia della filosofia, dedicandosi anche a corsi di cosmologia; a partire dall'inverno 1932-1933 tiene anche corsi al Mediaeval Institut di Toronto in Canada. Si trova proprio a Toronto quando nei primi mesi del 1940 la polizia nazista lo cerca a Meudon, per cui si vede precluso il ritorno in patria e deve riparare negli Stati Uniti ove viene chiamato ad insegnare nelle universita' di Princeton e di Notre Dame, inserendosi nella tradizione di studi tomistici, come Maritain stesso descrive nelle sue Riflessioni sull'America: "Come il lettore forse sapra', io sono un filosofo tomista. C'era in Francia, prima della guerra, un forte movimento tomista, che era tuttavia il frutto dello sforzo di non molti 'ribelli', capaci di proclamare la verita' contro corrente: i circoli intellettuali ufficiali risolutamente si rifiutavano - e tuttora si rifiutano, nel loro atteggiamento, di riconoscere persino l'esistenza di tali ribelli e della loro opera. Gia': quale apporto ci si puo' mai attendere, per la filosofia dei nostri tempi, da un uomo - un teologo! un santo! - che visse nel tredicesimo secolo? Ebbene, qui in America filosofi che considerano l'Aquinate come un pensatore contemporaneo stanno insegnando non soltanto nelle universita' cattoliche, ma anche in quelle laiche. Potremmo qui ricordare, in proposito, qualche esempio significativo per quanto riguarda Chicago. In nessuna universita' europea avrei poi trovato lo spirito di liberta' e di simpatia da me incontrato a Princeton nell'insegnare filosofia morale nella luce di Tommaso d'Aquino. A proposito di Princeton, dove mi trovo ora a godere della paradisiaca condizione di un Emerito, mi sia concesso di protestare i sensi della mia riconoscenza verso il Rettore Harold Dodds, e mi si lasci indulgere, su questo stesso terreno, in un briciolo di ricordi personali. Nel dicembre 1947, sulla via del ritorno a Roma da Citta' del Messico, feci una sosta logistica di poche ore a New York. Il Rettore Dodds era la': egli era stato cosi' gentile e premuroso da raggiungermi a New York per offrirmi - se mai io avessi rinunciato al mio ufficio diplomatico presso il Vaticano - una cattedra all'universita' di Princeton, e precisamente nella mia qualita' di filosofo d'ispirazione e di principi tomistici. Il fatto che quella di Princeton fosse un'universita' laica di origine presbiteriana non costituiva davvero un ostacolo: anzi, doveva essere semplicemente piu' interessante una mia nomina a tale insegnamento. Lo spirito di liberta' del quale sto parlando e' in stretto rapporto, mi pare, con quel perpetuo processo di autocritica, di autocorrezione, di miglioramento, che si puo' benissimo osservare tanto nei piccoli collegi (che qui costituiscono per cosi' dire la spina dorsale dell'intero sistema o campo dell'istruzione) quanto nelle grandi universita': e sia nelle grandi universita' cattoliche, come quella di Notre Dame, sia nelle grandi universita' laiche, quali appunto quella di Princeton o quella di Chicago. Gia': e non posso che sentirmi orgoglioso di tenere regolari corsi sia all'universita' cattolica di Notre Dame, sia in quella laica di Chicago, oltre che presso I'Hunter College (vecchia e cara conoscenza quest'ultimo: ebbi l'onore di tenervi il discorso ufficiale in occasione dell'insediamento del Rettore George Shuster, il 10 ottobre 1940), dove lo stesso spirito di liberta' e' alimentato da questo grande umanista cristiano. Orbene, per ritornare al nocciolo del nostro discorso, dopo queste digressioni di carattere personale (che temo, peraltro, debbano fare ancor capolino), bisogna pur prendere atto che nelle riviste filosofiche delle piu' svariate tendenze appare obiettivamente scontato che il "neotomismo", come dicono, rappresenta una delle correnti vitali della filosofia americana d'oggi. La National Society for the Study of Education sollecito' un filosofo tomista perche scrivesse, per il suo Annuario del 1955, un capitolo intitolato Modern Philosophies and Education. (Il Tomismo dunque, per questo Annuario, occupa un posto fra le filosofie moderne. E dire che ne' Emile Brehier, ne' i suoi colleghi della Sorbona hanno mai voluto riconoscere questo fatto!). E' questione di lealta' ed obiettivita' intellettuale. Mi si lasci qui ricorrere ad un altro esempio, che ha per me un significato tutto particolare. Un grande commentatore di Tommaso d'Aquino, Giovanni di San Tommaso, che visse nel diciassettesimo secolo, e' stato per me e per i miei amici un veramente caro maestro ed ispiratore. Ma nel nostro culto per lui noi eravamo del tutto soli. I circoli intellettuali francesi, dei quali parlavo poc'anzi, erano, manco a dirlo, sublimemente ignoranti nei suoi riguardi; diro' di piu': fra gli stessi interessati alla filosofia dell'Aquinate una forte maggioranza presumeva di avere vista abbastanza buona per leggere il testo della Summa senza bisogno di ausilio alcuno, e provava semplicemente ripugnanza per tutti i commentatori, e particolarmente per Giovanni di San Tommaso, a causa del suo stile spiccatamente tecnico ed involuto. Fu finalmente possibile, tuttavia, avere una buona edizione delle sue opere, almeno in latino, pubblicata in Francia ed in Italia; e si arrivo' ad avere anche una traduzione francese del suo trattato "sui doni dello Spirito Santo", che costituisce un'opera fondamentale nella vita dello spirito, in una pubblicazione curata da mia moglie. Quanto pero' ad avere in una traduzione francese (o italiana, o tedesca) i suoi trattati logici e filosofici, l'idea stessa era addirittura inconcepibile: in conseguenza di una siffatta situazione generale era logico che tale autore finisse con l'essere, per il nostro sparuto gruppo, come una sorta di ermetico ed esoterico santone, la conoscenza del quale era privilegio di pochi iniziati. Ebbene, la Logica Materiale di Giovanni di San Tommaso, un libro di seicentocinquanta pagine, e' apparso in inglese qui in America, tradotto dal nostro amico e collega Yves Simon e da due eminenti giovani studiosi americani. Il libro fu pubblicato dalla Chicago University Press ed ebbe la piu' ampia e favorevole accoglienza da parte delle riviste filosofiche di questo paese. Se pertanto oggi sembra quasi altrettanto naturale leggere Giovanni di San Tommaso quanto leggere Berkeley o Leibniz, dobbiamo questa nostra vittoria su inveterati pregiudizi - vittoria che non si sarebbe neppur potuta sognare venticinque anni fa - precisamente all'apertura mentale che sta alla base della cultura americana". Proprio questo insistente riferimento a Giovanni di s. Tommaso conferma la posizione filosofica di Maritain, per cui il tomismo non e' la filosofia di un uomo solo, ma una tradizione culturale che in s. Tommaso si e' espressa in uno dei suoi vertici, ma che ha radici molto lontane nella filosofia dell'essere e nel realismo del pensiero ebraico, per svilupparsi ed approfondirsi col cristianesimo, fino ad essere la filosofia raccomandata dalla Chiesa, senza peraltro diventare una questione di fede, perche' perderebbe la sua natura razionale e laica. Negli Usa Maritain non insegna soltanto in diverse universita', ma con altri esuli francesi e belgi fonda lui stesso un'istituto universitario ed una casa editrice per continuare in terra libera la cultura francese. Nasce il 14 febbraio 1942 a New York l'Ecole libre des hautes etudes, che Maritain cosi presenta: "E' essenzialmente e prima di tutto per fare opera di insegnamento superiore e per servire la conoscenza disinteressata, che e' stata fondata questa Scuola di alti studi. Ma nelle circostanze presenti questa creazione riveste un significato particolare. Dedicarsi alla libera ricerca, voler servire la scienza e la verita', e non mettersi al servizio di un partito o di una razza, o di uno Stato tentacolare, di una scienza o di una verita' fabbricati secondo l'interesse del momento, significa gia' contrastare le potenze delle tenebre, che oggi minacciano il mondo. E' la verita' che ci libera. Noi vogliamo servire la verita', noi vogliamo servire la liberta'". Molti perseguitati politici e razziali poterono insegnare in questa Universita' e testimoniare in America lo spirito democratico che i regimi fascisti cercavano di distruggere in Europa. In questa libera universita' insegnarono uomini famosi, come il fisico Jean Perrin e lo storico dell'arte Henri Focillon, di cui Maritain commemoro' l'opera con un discorso al Metropolitan Museum of Art, evidenziando la sua importanza nella storia della critica estetica. L'attivita' di questa Universita' si puo' verificare leggendo il catalogo della casa editrice Editions de la Maison Francaise, curato da Maritain, che non si rifiutava anche ad umili compiti organizzativi per testimoniare le sue convinzioni religiose, filosofiche e politiche. La sua testimonianza in America non si limito' al piano dell'insegnamento e della cultura, si concretizzo' anche a livello di partecipazione politica, pur senza mai identificarsi in un partito politico. Invitato a partecipare alle attivita' della Resistenza, indirizzo' ai francesi numerosi messaggi radiofonici sostenendo le forze democratiche contro gli occupanti tedeschi e il governo collaborazionista di Vichy e preparo' la stesura del manifesto dei cattolici europei democratici esiliati in America. Un suo volumetto Attraverso il disastro pubblicato a New York, ebbe anche una edizione clandestina nella Francia occupata dai nazisti, e fu completato da un secondo volumetto Attraverso la vittoria, nel quale, prefigurando la collaborazione, oltre ogni forma di rivoluzione e di reazione, tra cattolici e socialisti, affermava che la storia avrebbe fatto giustizia della contrapposizione tra cristianesimo e democrazia: "La resistenza francese e' stata l'occasione di un avvicinamento di importanza straordinaria, nel quale gli uomini della rivoluzione francese e gli uomini della fede e della speranza cristiana si sono riconosciuti. Questi cristiani hanno compreso che l'ispirazione democratica deriva in definitiva dall'ispirazione evangelica, per laicizzata e deformata che possa essere stata. Questi democratici hanno compreso che l'ispirazione cristiana puo' fare dei difensori indomabili della liberta' e dei diritti della persona umana". Malgrado questa precisa posizione politica Maritain rifiuta di partecipare a schieramenti politici e quando il generale De Gaulle lo invita ad entrare nel "Comite' national de la France Libre" risponde con cordialita', ma rifiuta con fermezza, perche' il vero intellettuale deve essere al di sopra delle parti. Nel periodo americano Maritain, a contatto con una societa' democratica ricca di multiformi fermenti culturali, scrive le sue opere fondamentali di pedagogia, di.politica e di estetica, sempre nell'impegno di una presenza immediata nel dibattito culturale. Da una serie di lezioni tenute nel 1943 all'Universita' di Yale nasce L'educazione al bivio, che avra' notevole successo editoriale, nelle tre stesure inglese, francese, italiana curate direttamente da Maritain, tanto da essere tradotta anche in giapponese. Ma sarebbe limitativo considerare il discorso pedagogico maritainiano bloccato su questa opera, perche' altre conferenze e comunicazioni hanno sviluppato e precisato la tematica impostata nelle lezioni di Yale. Infatti nel 1955 collabora ad un volume della "The national society for the study of education" sulla filosofia dell'educazione, avendo come "consulente pedagogico" William P. Cunningham, con un testo Prospettive tomistiche sull'educazione, e partecipa ad una tavola rotonda in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione della Kent School, con un contributo su Alcuni aspetti tipici dell'educazione cristiana. Entrambi i testi saranno poi pubblicati in volume in edizione francese, mentre altri interventi pedagogici in lingua inglese saranno raccolti, con l'autorizzazione dell'autore, da Donald e dalla Gallagher per conto della Notre Dame University. In questa antologia sono particolarmente importanti alcuni testi sull'educazione morale che completano l'opera pedagogica maritainiana nella sua stesura definitiva del 1969 e che debbono essere tenuti presenti per una valutazione completa del pensiero maritainiano spesso studiato in modo riduttivo. D'altra parte il pensiero pedagogico di Maritain va ricostruito e studiato attraverso l'esame critico di tutti i suoi scritti, perche' le opere di estetica, di morale, di politica hanno frequenti riferimenti ai problemi dell'educazione. Il problema dell'educazione civica, e il problema del pluralismo delle strutture educative, non vanno considerati solo attraverso l'appendice all'edizione francese de L'educazione al bivio, perche' si dimenticherebbero le pagine scritte al riguardo da Maritain nella sua opera politica piu' importante, L'uomo e lo Stato, che raccoglie sei lezioni di filosofia politica tenute all'Universita' di Chicago nel dicembre del 1949. Questo testo senza negare le posizioni assunte nel 1936 con Umanesimo integrale, sviluppando le premesse di quel discorso, rappresenta la trattazione piu' organica della dottrina dello Stato democratico elaborata da Maritain a contatto con la societa' americana, al di fuori degli ideologismi che inquinano frequentemente il pensiero europeo. La base della democrazia, sempre riconosciuta come il frutto dell'influenza del cristianesimo nella storia dell'umanita', viene riscontrata nel diritto naturale, non inteso come giusrazionalismo contrattualistico, ma come giusnaturalismo che rimanda dalla legge civile alla legge morale e dalla legge morale propria della coscienza umana alla legge eterna, propria di Dio; per cui solo Dio puo' essere pienamente "sovrano" al di sopra della legge. Questo testo va letto in relazione a due altri scritti del periodo americano, che si affiancano da una parte e dall'altra a giustificare lo Stato di diritto: I diritti dell'uomo e la legge naturale (1945) e Cristianesimo e democrazia (1945). L'influenza di Maritain sulla cultura americana e' dimostrata dal fascicolo monografico che, in occasione del suo sessantesimo compleanno, due riviste, una di Montreal in Canada, "La Nouvelle Releve", ed una di New York negli Usa, "The Thomist", dedicano alla sua opera di filosofo, seguite poco dopo da un numero unico della rivista "A Ordem" di Rio de Janeiro, e dalla fondazione nel settembre del 1958 di un "Centre Jacques Maritain" presso l'Universita' di Notre Dame nello stato dell'Indiana (Usa) per documentare e conservare l'opera filosofica di Jacques e Raissa Maritain. I rapporti tra Chiesa e Stato, che Maritain aveva esaminato nella sua opera di filosofia politica, furono concretamente sperimentati durante il periodo romano, che rappresenta una breve ma significativa parentesi, del periodo americano. Infatti nel dicembre del 1944 Maritain non puo' sottrarsi alle richieste di impegno politico per la nuova Repubblica Francese, nata dalla Resistenza, e finisce per accettare la nomina ad ambasciatore a Roma presso la Santa Sede. Questa esperienza duro' pochi mesi, perche' Maritain rinuncio' all'incarico nella primavera del 1948, ma confermo' la sua posizione di intellettuale impegnato nella testimonianza cristiana nella vita culturale. Infatti proseguendo l'impegno di apostolato intellettuale, gia' dimostrato a Meudon in Francia e a New York in America, fondo' il "Centro s. Luigi di Francia" presso il quale organizzo' incontri e dibattiti a cui parteciparono tra gli altri Marrou, Journet, Lacombe, Couturier. Il 19 dicembre 1946 Maritain stesso vi tenne una conferenza di particolare interesse pedagogico dal titolo Educazione e civismo. Da una conferenza su Persona e individuo, tenuta presso la Pontificia Accademia di s. Tommaso, sviluppando una tematica antropologica che aveva gia' presentato in altri incontri, a Oxford e a Parigi, trae la stesura definitiva de La persona umana e il bene comune, con interessanti considerazioni pedagogiche sulla natura e sulla cultura come termini costituzionali dell'evento educativo. Rientrato negli Stati Uniti, Maritain insegna filosofia morale alla Princeton University e tiene corsi alla Universita' Cattolica di Notre Dame e all'Hunter College di New York. Da questa attivita' intellettuale intende trarre un'opera sulla filosofia morale in due volumi, il primo dedicato alla storia ed il secondo alla trattazione sistematica; purtroppo ha potuto pubblicare soltanto il primo volume, nel quale pero' sono gia' individuabili le linee strutturali del secondo come l'autore stesso riconosce nella introduzione all'opera: "Saro' riuscito a rendere sensibile l'intensita' del dramma intellettuale implicato dalle peripezie della storia che fa la materia del presente libro? E' un libro voluminoso e che senza dubbio richiede tanta cura per essere letto quanta ne ha richiesta per essere scritto. La nostra speranza e' che se avra' la buona sorte di trovare dei lettori abbastanza pazienti per farsi attenti al suo interno movimento, come allo svolgimento tematico, ai giri e rigiri del multiforme pensiero del quale analizza lo sviluppo, i progressi e le cadute, esso li potra' aiutare a discernere la natura dei mali di cui soffre nella nostra epoca la filosofia morale, e soprattutto a prendere coscienza, in actu exercito, delle basi filosofiche dell'etica e del valore dei concetti primi che essa mette in opera. Tutta la materia e tutte le verita', che noi vorremmo discutere in forma dottrinale e sistematica nel nostro secondo volume, sono gia' presenti nel primo, non allo stato sistematico e in una forma per cosi' dire fluida, ma in un senso, almeno crediamo, forse piu' stimolante per lo spirito". Anche da questa dichiarazione appare evidente l'impostazione pedagogica di tutta l'opera di Maritain, che non vuole essere una esposizione astratta di principi teoretici ma inviscerarsi nella concretezza del divenire storico e coinvolgere il lettore in una riflessione personale. Da questa opera sono ricavabili espliciti riferimenti ai problemi dell'educazione morale come impegno della coscienza a realizzare la liberazione della persona. L'impegno politico di Maritain si manifesto' anche all'Unesco in quanto fu chiamato a rappresentare il governo francese e collaboro' alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo lavorando con intellettuali di tutto il mondo, delle diverse posizioni filosofiche e politiche, e delle diverse confessioni religiose. Per conto dell'Unesco raccolse in un volume, con una prefazione introduttiva, i commenti e le interpretazioni al testo della Dichiarazione evidenziando la possibilita' di comprensione e di collaborazione tra culture e civilta' diverse, sulla base di un riconoscimento pratico dei principi di rispetto reciproco, che ciascuno giustifica moralmente secondo le sue convinzioni ideologiche. Il pluralismo per Maritain non e' una ideologia, ne' una riduzione al minimo comune denominatore culturale delle diverse convinzioni morali, ma una metodologia di convivenza civile. Le sue considerazioni di filosofia del diritto espresse a commento della Dichiarazione non erano che la traduzione operativa dei principi di filosofia politica che aveva espresso nel discorso inaugurale "Le condizioni della pace nel mondo", in occasione della seconda conferenza generale dell'Unesco a Citta' del Messico il 6 novembre 1947. L'assegnazione del premio Leone XIII per l'opera eccezionale svolta da Maritain nel campo della educazione sociale cristiana, attribuitogli nel 1948 dalla Sheil School of Social Studies di Chicago, conferma l'influenza del pensiero maritainiano in America. (Parte seconda - segue) 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1004 del 27 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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