La nonviolenza e' in cammino. 1004



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1004 del 27 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Nadje Al-Ali: Scegliere la nonviolenza
2. Giulio Vittorangeli ricorda Gina Lagorio
3. Lisa Masier ricorda Gina Lagorio
4. Maria Rosa Cutrufelli ricorda Gina Lagorio
5. Piero Viotto: Un profilo di Jacques Maritain (parte seconda)
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. NADJE AL-ALI: SCEGLIERE LA NONVIOLENZA
[Da varie persone amiche riceviamo e volentieri diffondiamo il seguente
intervento di Nadje Al-Ali, che conferma una delle tesi che questo foglio
sostiene da anni: che la lotta per la pace e la liberazione dei popoli e
delle persone richiede la scelta della nonviolenza; che l'opposizione alla
guerra deve essere anche opposizione ad ogni forma di terrorismo, di
dittatura, di militarismo, di autoritarismo, di maschilismo, di dominazione
violenta; che occorre opporsi a tutte le uccisioni e a tutte le brutalita'.
Nessuna ambiguita' e' ammissibile. Nadje Al-Ali, autorevole docente di
antropologia sociale all'Istituto di studi arabi e islamici dell'Universita'
di Exeter, nel Regno Unito, e' tra le fondatrici di "Act Togheter. Women's
Action in Iraq", e attivista delle "Donne in Nero" di Londra]

Per quelle e quelli di noi che vivono a Londra, i recenti attentati nella
capitale britannica hanno portato in casa la violenza quotidiana, l'orrore e
la paura di milioni di persone che vivono in molti posti del mondo.
Per la prima volta, sono stati i nostri parenti in Iraq che hanno chiesto
ansiosamente notizie sulla nostra salute e benessere, e non viceversa come
e' stato per anni. In questo momento l'Iraq deve essere un posto
estremamente pericoloso sia a causa delle forze di occupazione sia a causa
della resistenza armata. Altra gente in molte altre citta' del mondo convive
con quella quotidiana paura: a Baghdad, a Ramallah, a Gerusalemme o a Kabul,
la violenza anche quando non e un evento effettivo e' un peso quotidiano
nella mente di ognuno.
Sebbene molte amiche e molti amici con cui sono stata impegnata nel contesto
dell'attivismo anti-sanzioni e anti-guerra concordino che la cosiddetta
"guerra al terrore" non possa essere combattuta con le bombe, solo poche e
pochi sembrano riconoscere che non possiamo neanche combattere
l'imperialismo Usa con la violenza.
Soprattutto quando le vittime di questa violenza sono per lo piu' civili. In
Iraq, per esempio, migliaia di uomini, donne e bambini sono stati uccisi
solo perche' si trovavano a passare di la', o erano davanti a un
distributore di benzina, un supermercato, una moschea, una stazione di
polizia, o in strada, nel momento sbagliato. Possiamo definire "resistenza"
gli assassinii di civili iracheni/e, di assistenti umanitari/e stranieri/e
(e, aggiungerei, di diplomatici)? Per me, l'idea che questi assassinii siano
un necessario seppur deplorevole "sottoprodotto" della lotta contro
l'imperialismo e' contorta e perversa quanto l'infamante affermazione di M.
Albright su "un prezzo che vale la pena pagare" riferita alle migliaia di
bambini/e iracheni/e morti/e durante le sanzioni economiche nel tentativo di
reprimere Saddam Hussein.
*
Piu' chiaramente: nel mio attivismo e nei miei testi, sono stata
anti-sanzioni, anti-guerra e anti-occupazione. Ma essendo contro queste
cose, non ho mai inteso essere automaticamente a favore di qualcuno o
qualcosa. Questo era vero sia per la dittatura di Saddam Hussein in passato
sia per i combattenti che terrorizzano la popolazione irachena oggi.
Cio' che ho trovato davvero demoralizzante e frustrante quando ho
partecipato ad iniziative anti-guerra e anti-occupazione nei mesi scorsi e'
la raffigurazione del mondo in bianco e nero e la mancanza di chiarezza
riguardo alla resistenza irachena.
Al recente Tribunale mondiale per l'Iraq di Istanbul, per esempio, quasi
ogni speaker ha o iniziato o finito il proprio intervento con affermazioni
del tipo: "dobbiamo sostenere la resistenza irachena". Molti speaker hanno
aggiunto che questo non era solo per combattere l'occupazione in Iraq ma
faceva parte di una piu' ampia lotta contro un neo-colonialismo, un
neo-liberismo e un imperialismo invadenti.
Ma nessuno di loro ha spiegato alla giuria di coscienza, all'opinione
pubblica e ai/alle suoi/sue delegati/e cosa intendessero per "resistenza".
Nessuno ha ritenuto necessario differenziare tra il diritto all'autodifesa e
il tentativo patriottico di resistere all'occupazione straniera da una
parte, e, dall'altra, gli indiscriminati illeciti assassinii di
non-combattenti.
Ne' qualcuno ha chiesto le motivazioni e gli obiettivi di molti dei numerosi
gruppi, reti, individui e gang raggruppati troppo casualmente sotto la
"resistenza" - un termine che attraverso la mancanza di una chiara
definizione e' stato usato per racchiudere varie forme di opposizione: da
quella politica nonviolenta, fino alla resistenza armata, al terrorismo e
alla criminalita' di tipo mafioso. Ancora, non definendo e non
differenziando esplicitamente, i/le proponenti lo slogan del sostegno
incondizionato hanno finito per raggruppare insieme la maggior parte della
popolazione irachena che si oppone all'occupazione Usa ed e' impegnata in
quotidiane forme di resistenza, con cio' che resta del passato regime, le
milizie irachene-islamiche, jihad straniere, mercenari e criminali.
*
Le opinioni sulla resistenza armata variano tra la popolazione irachena
riflettendo la diversita' della societa': non semplicemente in termini di
background etnici o religiosi come vorrebbero farci credere molti
commentatori, ma diversita' in termini di classe sociale, luogo di
residenza, esperienze specifiche con il passato regime, la persistente
occupazione e l'orientamento politico. Comunque, basandomi su discorsi con
amiche ed amici, familiari, cosi' come su molti sondaggi d'opinione,
sosterrei che la maggioranza delle irachene e  degli iracheni non traducono
la loro opposizione all'occupazione nel sostegno ai rivoltosi armati
assassini iracheni. Trovo anche difficile credere che la maggior parte delle
irachene e degli iracheni sosterrebbe veramente il rapimento, la tortura e
l'uccisione di straniere e stranieri a causa dell'occupazione.
Ironicamente oggi e' la mancanza di sicurezza nelle strade delle citta'
irachene che persuade molte persone, che inizialmente volevano fuori dal
paese le forze statunitensi e britanniche, a non chiedere il ritiro
immediato.
Ovviamente la mancanza di sicurezza e' un effetto della recente guerra e
della persistente occupazione. Quest'ultima e' indubbiamente la
continuazione brutale di una guerra illegale che ha gia' ucciso e mutilato
migliaia di civili con numerose armi convenzionali e non. Le truppe degli
Usa e della Gran Bretagna sono state coinvolte nella tortura sistematica di
prigionieri cosi' come in altre violazioni delle convenzioni internazionali
per i diritti umani e delle leggi umanitarie. Ma il fatto e' che quando un
iracheno o un'irachena lascia la sua casa al mattino chiedendosi se rivedra'
i suoi cari, potrebbe essere un cecchino o una bomba delle forze
d'occupazione o una bomba suicida ad ucciderlo/a. Per abusare di un vecchio
cliche', le irachene e gli Iracheni si trovano tra due fuochi.
*
La cultura della violenza e l'ideologia fascista di fondo di molti dei
gruppi che operano sul suolo iracheno oggi non e' una percorribile
alternativa all'imperialismo Usa. Anche se noi tutti sappiamo che Bush non
e' per la liberta' e la democrazia, per favore smettiamo di chiamare gli
attentatori suicidi locali o stranieri "combattenti per la liberta'". Non
sono sicura di quanti dei sostenitori/e incondizionati/e della resistenza
resisterebbero in Iraq se i militanti responsabili di omicidi e rapimenti di
civili iracheni e stranieri dovessero prevalere.
Non c'e' dubbio che la precedente Autorita' provvisoria e poi i vari Governi
di transizione hanno perso credibilita' tra la maggior parte della
popolazione irachena. La ricostruzione e' stata incredibilmente lenta e
piena di corruzione e cattiva gestione.
I germi per una vera trasformazione politica, per la ricostruzione di spazi
politici e per un'opposizione nonviolenta all'occupazione straniera sono
stati resi sempre piu' difficili dalla violenza crescente e
dall'instabilita' create dalla rivolta.
Ma ci sono modi nonviolenti per resistere: le immagini continue di migliaia
di iracheni - uomini, donne e bambini di tutte le eta' e provenienza - che
dimostrano pacificamente per le strade dell'Iraq dovrebbero inviare un
messaggio forte al mondo: messaggio che non dovrebbe essere ignorato a
Washington o a Londra, soprattutto se gli iracheni e le irachene sono
insieme a persone di tutto il mondo che scendono in strada per solidarieta'.
Nello stesso tempo le irachene e gli iracheni, facendo pressione sul loro
governo - tanto difettoso come lo fu il processo elettorale- attraverso
associazioni della societa' civile, municipi e varie altre istituzioni,
possono resistere all'abuso straniero e all'imposizione di attori politici,
valori e sistemi economici esterni. Gli iracheni e le irachene a un livello
popolare hanno iniziato a fare gruppo, a mobilitarsi e a resistere senza
violenza, e continuano a farlo. Le attiviste donne sono state
all'avanguardia per azioni ed iniziative. Eppure, gli spazi politici sono
stati ristretti non semplicemente in funzione dell'occupazione e del tipo di
governo in carica, ma anche, e crucialmente, a causa della mancanza di
sicurezza causata dalla violenza della rivolta.
*
Per quelle di noi preoccupate per la perdita dei diritti delle donne, in
Iraq sono stati documentati attacchi crescenti alle donne, la pressione a
conformarsi a certi codici di abbigliamento, le restrizioni dei movimenti e
del comportamento, cosi' come casi di acido gettato sui volti delle donne, e
persino omicidi. E' estremamente miope non condannare questi tipi di
aggressioni verso chiunque; per le donne poi diventa una questione di
diritto all'esistenza.
Le donne e le "questioni delle donne", naturalmente, sono state
strumentalizzate - in Afghanistan, ma anche in Iraq. Sappiamo che sia Bush
che Blair hanno provato a utilizzare il linguaggio della democrazia e dei
diritti umani, specialmente dei diritti delle donne. Ma il loro
strumentalizzare le donne non significa che dovremmo condonare o accettare
il modo in cui i militanti islamisti stanno, da parte loro, usando
simbolicamente le donne - attaccandole fisicamente - per esprimere la loro
"resistenza".
*
E' ora per tutte e tutti di essere molto piu' chiari rispetto a quello che
dovremmo sostenere o no. E' ora di abbandonare il sostengo incondizionato ai
terroristi e ai criminali responsabili delle uccisioni di civili irachene e
iracheni. E' ora di riconoscere che gli iracheni e le irachene sono divisi/e
in molte linee differenti e che nascondere queste differenze non aiuta
l'unita' nazionale a lungo termine. E' ora di cercare seriamente mezzi
nonviolenti di resistenza all'occupazione in Iraq e al piu' ampio
imperialismo Usa. E' tempo di dichiarare che il nemico del mio nemico non e'
necessariamente mio amico.

2. MEMORIA. GIULIO VITTORANGELI RICORDA GINA LAGORIO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento.
Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo
notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre
nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'".
Gina Lagorio, scrittrice, e' nata nel 1922 a Bra', in Piemonte, da genitori
piemontesi, ma la famiglia si trasferisce presto in Liguria. Insegnante per
molti anni, all'impegno culturale ha unito una forte passione morale e
civile; e' stata deputata della sinistra indipendente. E' deceduta il 17
luglio 2005. Opere di Gina Lagorio: Le novelle di Simonetta, 1960; Il
polline, 1966; Fenoglio, 1970; Approssimato per difetto, 1971; La spiaggia
del lupo, 1977; Fuori scena, 1979; Sbarbaro, un modo spoglio di esistere,
1981; Tosca dei gatti, 1983; Penelope senza tela, 1984; Golfo del paradiso,
1987; Russia oltre l'Urss, 1989; Freddo al cuore, 1989; Tra le mura
stellate, 1991; Il decalogo di Kieslowski, 1992; Il silenzio, 1993; Il
bastardo, 1996; Inventario, 1997; L'arcadia americana, 1999.
Primo Levi e' nato a Torino nel 1919, e qui e' tragicamente scomparso nel
1987. Chimico, partigiano, deportato nel lager di Auschwitz, sopravvissuto,
fu per il resto della sua vita uno dei piu' grandi testimoni della dignita'
umana ed un costante ammonitore a non dimenticare l'orrore dei campi di
sterminio. Le sue opere e la sua lezione costituiscono uno dei punti piu'
alti dell'impegno civile in difesa dell'umanita'. Opere di Primo Levi:
fondamentali sono Se questo e' un uomo, La tregua, Il sistema periodico, La
ricerca delle radici, L'altrui mestiere, I sommersi e i salvati, tutti
presso Einaudi; presso Garzanti sono state pubblicate le poesie di Ad ora
incerta; sempre presso Einaudi nel 1997 e' apparso un volume di
Conversazioni e interviste. Altri libri: Storie naturali, Vizio di forma, La
chiave a stella, Lilit, Se non ora, quando?, tutti presso Einaudi; ed Il
fabbricante di specchi, edito da "La Stampa". Ora l'intera opera di Primo
Levi (e una vastissima selezione di pagine sparse) e' raccolta nei due
volumi delle Opere, Einaudi, Torino 1997, a cura di Marco Belpoliti. Opere
su Primo Levi: AA. VV., Primo Levi: il presente del passato, Angeli, Milano
1991; AA. VV., Primo Levi: la dignita' dell'uomo, Cittadella, Assisi 1994;
Marco Belpoliti, Primo Levi, Bruno Mondadori, Milano 1998; Massimo Dini,
Stefano Jesurum, Primo Levi: le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992;
Ernesto Ferrero (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica,
Einaudi, Torino 1997; Giuseppe Grassano, Primo Levi, La Nuova Italia,
Firenze 1981; Gabriella Poli, Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta,
Mursia, Milano 1992; Claudio Toscani, Come leggere "Se questo e' un uomo" di
Primo Levi, Mursia, Milano 1990; Fiora Vincenti, Invito alla lettura di
Primo Levi, Mursia, Milano 1976.
La poesia di Primo Levi "Tracce", che Gina Lagorio cita nel suo intervento
citato da Giulio Vittorangeli e che riproduciamo anch'essa, e' ora, col
titolo "Agli amici", in Primo Levi, Opere, Einaudi, Torino 1997; ed anche in
Primo Levi, Ad ora incerta, Garzanti, Milano 1990 (nuova edizione che
comprende anche una sezione di "Nuove poesie" in aggiunta a quelle edite
nell'ed. or. 1984)]

Domenica 17 luglio nella sua casa a Milano e' scomparsa Gina Lagorio, per i
postumi di un ictus che aveva segnato i suoi ultimi due anni vita e che e'
al centro del suo ultimo libro Capita, che sara' in libreria nei prossimi
mesi edito da Garzanti.
Il quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005, ha pubblicato un doppio
ricordo a firma di Lisa Masier e di Maria Rosa Cutrufelli: "... Tipico di
Gina Lagorio congedarsi da tutti noi che l'abbiamo ammirata e amata, solo
dopo aver finito di scrivere il libro che racconta la sua malattia. E dopo
averlo consegnato alla casa editrice. Particolare che mi ha stretto il
cuore. Perche' so bene cosa rappresenta questo gesto per uno scrittore o una
scrittrice: il distacco vero, definitivo, della propria opera... L"altra
passione e' stata la politica. Si', e' stata parlamentare. Ma non era tanto
la politica istituzionale che l'appassionava, quanto la politica intesa come
civilta' delle relazioni, come lavoro comune teso a inventare e a intessere
rapporti umani piu' giusti e piu' felici".
Il mio piccolo e modesto ricordo personale e' legato al maggio 1998, quando
nell'organizzare a Bolsena  un convegno di studi su Primo Levi, Gina Lagorio
non potendo partecipare per un precedente impegno letterario in Sicilia,
invio' (in forma cartacea) il suo intervento: "La memoria perenne e la
poesia 'ad ora incerta'", tenuto al convegno americano svoltosi tra il 30
aprile e il 2 maggio 1989.
Purtroppo quell'intervento non riuscimmo a distribuirlo ai partecipanti al
nostro convegno; era nella forma originale in inglese e pur contenendo anche
in alcuni passaggi le correzioni autografe dell'autrice non riuscimmo a
tradurlo in italiano in tempi brevi per la diffusione.
In questi tempi bui in cui si ritorna a dividerci tra "noi" (italiani
autoctoni) e "loro" (tutti indifferentemente "musulmani"): solo che quando
"loro" muoiono e' un "danno collaterale", quando a morire siamo noi e'
"terrorismo barbarico"; mi sembra giusto riproporre la brevissima parte
finale di quell'intervento.
*
"Ora resta, al di la' delle briciole di memoria, il pane grande e buono
dell'opera di Levi, che mi e' cara, dal primo all'ultimo libro. E resta,
preziosa, la poesia che ebbi con una lettera da lui e che mi sembra giusto
leggere qui adesso perche' altri vi sentano quel che io vi sentii.

Tracce

Cari amici, qui dico amici
Nel senso vasto della parola:
Moglie, sorella, sodali, parenti,
Compagne e compagni di scuola,
Persone viste una volta sola
O praticate per tutta la vita:
Purche' fra noi, per almeno un momento,
Sia stato teso un segmento,
Una corda ben definita.

Dico per voi, compagni d'un cammino
Folto, non privo di fatica,
E per voi pure, che avete perduto
L'anima, l'animo, la voglia di vita.
O nessuno, o qualcuno, o forse un solo, o tu
Che mi leggi: ricorda il tempo,
Prima che s'indurisse la cera,
Quando ognuno era come un sigillo.
Di noi ciascuno reca l'impronta
Dell'amico incontrato per via;
In ognuno la traccia di ognuno.
Per il bene od il male
In saggezza o in follia
Ognuno stampato da ognuno.

Ora che il tempo urge da presso,
Che le imprese sono finite,
A voi tutti l'augurio sommesso
Che l'autunno sia lungo e mite.

La lettera che contiene 'Tracce' e' datata 16 dicembre 1985. Per me sono
queste le ultime parole di Primo Levi: un saluto natalizio di amicizia dove
trema un mai dimenticato dolore, eppure spira l'umana brezza di una speranza
negli uomini che sulle 'tracce' della fraternita' nel comune destino debbono
comunque continuare a procedere, 'ognuno stampato da ognuno'. E se
quell'ognuno si chiamava Primo Levi, con un'impronta che il tempo non potra'
cancellare".

3. MEMORIA. LISA MASIER RICORDA GINA LAGORIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Lisa Masier scrive di
temi scientifici e culturali sul "Manifesto"]

"Raccontare e' stato per me una seconda maniera di essere, una risposta
istintiva al bisogno di espressione per impadronirmi del mondo, attraverso
un tipo diverso di conoscenza": cosi' Gina Lagorio - scomparsa domenica
mattina nella sua casa di corso Monforte a Milano per i postumi di un ictus
che aveva segnato i suoi ultimi due anni di vita e che e' al centro del suo
prossimo libro, Capita, di imminente pubblicazione per Garzanti - aveva una
volta definito le ragioni della sua scrittura. Scrivere, dunque, era, prima
di tutto, per l'autrice piemontese, uno strumento necessario per apprendere,
per meglio definire e capire gli spazi del proprio universo. Nata a Bra,
vicino a Cuneo, nel 1922, in una famiglia borghese di origini contadine,
l'autrice sarebbe rimasta profondamente legata alla sua terra per tutta la
vita, e avrebbe piu' volte descritto nelle sue opere narrative i paesaggi
piemontesi che facevano da sfondo alla tenuta di famiglia. E non a caso,
avrebbe spesso citato fra gli autori che maggiormente avevano segnato il suo
stile, i nomi di Cesare Pavese e, piu' ancora, di Beppe Fenoglio: proprio su
Fenoglio, del resto, aveva pubblicato nel 1970 una monografia, fra i primi
testi critici che siano stati dedicati allo scrittore di Alba.
Figlia unica ("ho cominciato a scrivere a dieci anni, era una forma di
colloquio con i fratelli che non avevo", avrebbe dichiarato in una
intervista), Gina Lagorio trascorse l'infanzia e la giovinezza a Savona da
cui si allontano' negli anni dell'universita' per laurearsi in letteratura
inglese a Torino e dove poi continuo' a vivere ancora per diverso tempo,
fino al 1974. Anche la Liguria, del resto, rappresenta uno dei luoghi
letterari privilegiati nella scrittura di Gina Lagorio: centrale, in modo
particolare, e' stata l'amicizia con il poeta Camillo Sbarbaro, a cui si
sentiva particolarmente affine per l'atteggiamento sempre antiretorico, e a
cui dedico' nel 1973 una biografia, Sbarbaro controcorrente, che sarebbe poi
stata ripubblicata nel 1981 con un titolo ancor piu' significativo,
Sbarbaro. Un modo spoglio di esistere.
Dopo avere insegnato per una ventina d'anni nelle scuole superiori ("ero
esigentissima, ma avevo un rapporto umano straordinario con i miei alunni,
insegnavo cultura liberatoria come era stata insegnata a me") e avere
collaborato alle pagine culturali di diverse testate, Gina Lagorio esordi'
nel 1969 con un romanzo, Un ciclone chiamato Titti, dedicato a una delle due
figlie. Nel 1964 la sua vita era stata sconvolta dalla morte del marito
Emilio Lagorio, protagonista della Resistenza. Intorno alla sua figura la
scrittrice avrebbe costruito quella che resta come una delle sue opere piu'
importanti, Approssimato per difetto (Garzanti, 1971), in cui la voce di un
uomo, Renzo, narra la propria vita e le proprie relazioni con gli altri,
alla luce della malattia e della morte imminente. (E ancora la figura del
marito ritorna in un altro piccolo libro, Raccontiamoci com'e' andata, edito
da Viennepierre nel 2002).
Nel 1974 Gina Lagorio si trasferi' a Milano, dove intraprese la carriera
politica, battendosi per i diritti delle donne, e sposo' in seconde nozze
l'editore Livio Garzanti, la cui casa editrice pubblico' quasi tutti i suoi
libri. Nel 1987, fu eletta al parlamento, per una legislatura, come
indipendente di sinistra.
Nel corso degli anni Gina Lagorio ha alternato scrittura narrativa,
saggistica e teatrale. Fra i romanzi, oltre a Approssimato per difetto, si
ricordano Il polline (1966), La spiaggia del lupo (1977), Fuori scena
(1979), Tosca dei gatti (1983), Golfo del paradiso (1987), Tra le mura
stellate (1991), Il silenzio (1993), Il bastardo, ovvero gli amori, i
travagli e le lacrime di Don Emanuel di Savoia (1996), Inventario (1997),
L'arcadia americana (1999). Tra le opere di saggistica, invece, vanno citate
fra l'altro Fenoglio (1970), Sui racconti di Sbarbaro (1973), Sbarbaro: un
modo spoglio d'esistere (1981), Penelope senza tela (1984), Russia oltre
l'Urss (1989), e il bel volume dedicato al Decalogo di Kieslowski (1992). I
suoi testi teatrali sono raccolti nel volume Freddo al cuore (1989).

4. MEMORIA. MARIA ROSA CUTRUFELLI RICORDA GINA LAGORIO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 19 luglio 2005. Maria Rosa Cutrufelli e'
nata a Messina e vive a Roma, intellettuale impegnata nel movimento delle
donne, ricercatrice, saggista, narratrice, giornalista, direttrice di
"Tuttestorie", rivista di narrativa di donne. Opere di Maria Rosa
Cutrufelli: L'invenzione della donna, Mazzotta, Milano 1974; L'unita'
d'Italia: guerra contadina e nascita del sottosviluppo del Sud, Bertani,
1974; Disoccupata con onore. Lavoro e condizione della donna, Mazzotta,
Milano 1975; Donna perche' piangi, Mazzotta, Milano 1976; Economia e
politica dei sentimenti, Editori Riuniti, Roma 1980; Il cliente. Inchiesta
sulla domanda di prostituzione, 1981; Mama Africa. Storia di donne e di
utopie, Feltrinelli, Milano 1989; La Briganta, La Luna, Palermo 1990; Il
denaro in corpo, Marco Tropea Editore, Milano 1996; (a cura di), Nella
citta' proibita, Marco Tropea Editore, Milano 1997, Net, Milano 2003;
Lontano da casa, Rai, 1997; Canto al deserto. Storia di Tina, soldato di
mafia, Longanesi, Milano 1994, Tea, Milano 1997; Il paese dei figli perduti,
Marco Tropea Editore, Milano 1999; Giorni d'acqua corrente. Quando la vita
delle donne diventa racconto, Pratiche Editrice, Milano 2002; Terrona,
Citta' Aperta, Troina (En) 2004; La donna che visse per un sogno,
Frassinelli, Milano 2004]

Tipico di Gina, di una donna tenace nelle sue passioni, e soprattutto in
quella passione-principe che per lei era la scrittura. Tipico di Gina
Lagorio congedarsi da tutti noi che l'abbiamo ammirata e amata, solo dopo
aver finito di scrivere il libro che racconta la sua malattia. E dopo averlo
consegnato alla casa editrice. Particolare che mi ha stretto il cuore.
Perche' so bene cosa rappresenta questo gesto per uno scrittore o una
scrittrice: il distacco vero, definitivo, dalla propria opera. L'ultima
volta che ho visto Gina e' stato un anno fa, piu' o meno. Ero andata a
Milano per chiederle di farmi da madrina allo Strega. Lei stava gia' molto
male, ma la malattia non era ancora riuscita a fiaccare quella stupefacente
vitalita' che era la caratteristica forse piu' evidente del suo carattere.
Un modo gioioso d'accostarsi all'esistenza. Una voglia di godersi la vita
nei piaceri piu' grandi come in quelli piu' piccoli, magari trascurabili
all'apparenza. Lei non "rasentava la vita in punta di piedi", come il suo
amico Raffaello Baldini o il suo maestro Sbarbaro: lei la gustava con
pienezza. E chiedeva agli amici di farsi complici di questo suo inesauribile
trasporto vitale.
Cosi' quel giorno a Milano mi accolse con una bottiglia di Veuve Clicquot:
era ben consapevole, Gina, dell'importanza dei riti quotidiani, dei
festeggiamenti familiari e amicali che rendono memorabile l'evento piu'
scontato. Era maestra nel trasformare un incontro o un semplice appuntamento
in qualcosa di speciale, da ricordare: lo champagne nei calici, i fiori
bianchi sul tavolo...
Quel giorno mi mostro' anche come si era organizzata per riuscire a lavorare
nonostante la pesantezza della malattia. Era ben decisa ad approfittare di
ogni ora, di ogni minuto che il dolore le lasciava. Ad ognuna di queste ore,
ad ognuno di questi momenti si aggrappava per continuare a vivere, cioe' a
scrivere: le due cose non sono scindibili, per una scrittrice.
Poi, prima di congedarmi, Gina si raccomando': "Se ci sono iniziative
politiche che ti sembrano importanti, interventi, manifesti, metti pure la
mia firma, mi fido di te". Perche' questa era l'altra passione di Gina
Lagorio: la politica. Si', e' stata parlamentare. Ma non era tanto la
politica istituzionale che l'appassionava, quanto la politica intesa come
civilta' delle relazioni, come lavoro comune teso a inventare e a intessere
rapporti umani piu' giusti e piu' felici.
E questa cifra politica e' il motore, piu' o meno segreto, di molti suoi
libri, dei racconti di viaggio come dei romanzi o dei saggi di critica
letteraria. Non a caso c'e' chi ha notato in tutta la sua opera una forte
"tensione saggistica": che poi, molto semplicemente, non e' che il desiderio
di ancorare l'immaginazione ai fatti del mondo. Una suggestione stilistica.
Un'indicazione di metodo. Un magistero letterario di cui, Gina, ti sono e ti
saro' sempre grata.

5. PROFILI. PIERO VIOTTO. UN PROFILO DI JACQUES MARITAIN (PARTE SECONDA)
[Dal sito www.maritain.org riprendiamo il seguente profilo biografico di
Jacques Maritain  scritto da Piero Viotto.
Piero Viotto (Torino 1924), gia' docente di pedagogia presso l'Universita'
Cattolica di Milano, membro del comitato scientifico dell'Institut
International Jacques Maritain, autore di varie pubblicazioni, collaboratore
delle riviste "Studium", "Vita e pensiero", "Humanitas", "Nuova Secondaria",
"Pedagogia e vita", "Educatores", "France forum", "Rivista di Filosofia
neoscolastica", e' tra i maggiori studiosi italiani di Maritain del quale ha
tradotto anche alcune opere. Tra le opere di Piero Viotto segnaliamo
particolarmente: Storia della filosofia, Torino 1958, 1965; Problemi di
Pedagogia, Torino 1958, 1974; Pedagogia della scuola di base, Milano 1976,
1984; Pedagogia e politica del tempo libero, Brescia 1973; Introduzione a
Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000; Jacques Maritain. Dizionario delle opere,
Citta' Nuova Editrice, Roma 2003, 2005.
Jacques Maritain, filosofo cattolico (Parigi 1882 - Tolosa 1973), promotore
di una rinnovata valorizzazione del pensiero di Tommaso d'Aquino,
costruttore di pace. Opere di Jacques Maritain: segnaliamo particolarmente
Umanesimo integrale, Borla; ed Il contadino della Garonna, Morcelliana.
Opere su Jacques Maritain: segnaliamo per un primo orientamento Lodovico
Grassi, Jacques Maritain, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di
Fiesole 1993; Italo Mancini, Come leggere Maritain, Morcelliana, Brescia
1993; Piero Viotto, Introduzione a Maritain, Laterza, Roma-Bari 2000.
Indirizzi utili: Institut international "Jacques Maritain", via Quintino
Sella 33, 00187 Roma; "Cahiers Jacques Maritain", 21, rue de la
Division-Leclerc, Kolbsheim 67120, France]

4. Il periodo americano e le opere della maturita' (1940-1959)
Per tutto il "periodo di Meudon" Maritain insegna all'Institut Catholique
nelle cattedre di filosofia teoretica e storia della filosofia, dedicandosi
anche a corsi di cosmologia; a partire dall'inverno 1932-1933 tiene anche
corsi al Mediaeval Institut di Toronto in Canada. Si trova proprio a Toronto
quando nei primi mesi del 1940 la polizia nazista lo cerca a Meudon, per cui
si vede precluso il ritorno in patria e deve riparare negli Stati Uniti ove
viene chiamato ad insegnare nelle universita' di Princeton e di Notre Dame,
inserendosi nella tradizione di studi tomistici, come Maritain stesso
descrive nelle sue Riflessioni sull'America: "Come il lettore forse sapra',
io sono un filosofo tomista. C'era in Francia, prima della guerra, un forte
movimento tomista, che era tuttavia il frutto dello sforzo di non molti
'ribelli', capaci di proclamare la verita' contro corrente: i circoli
intellettuali ufficiali risolutamente si rifiutavano - e tuttora si
rifiutano, nel loro atteggiamento, di riconoscere persino l'esistenza di
tali ribelli e della loro opera. Gia': quale apporto ci si puo' mai
attendere, per la filosofia dei nostri tempi, da un uomo - un teologo! un
santo! - che visse nel tredicesimo secolo? Ebbene, qui in America filosofi
che considerano l'Aquinate come un pensatore contemporaneo stanno insegnando
non soltanto nelle universita' cattoliche, ma anche in quelle laiche.
Potremmo qui ricordare, in proposito, qualche esempio significativo per
quanto riguarda Chicago.
In nessuna universita' europea avrei poi trovato lo spirito di liberta' e di
simpatia da me incontrato a Princeton nell'insegnare filosofia morale nella
luce di Tommaso d'Aquino.
A proposito di Princeton, dove mi trovo ora a godere della paradisiaca
condizione di un Emerito, mi sia concesso di protestare i sensi della mia
riconoscenza verso il Rettore Harold Dodds, e mi si lasci indulgere, su
questo stesso terreno, in un briciolo di ricordi personali. Nel dicembre
1947, sulla via del ritorno a Roma da Citta' del Messico, feci una sosta
logistica di poche ore a New York. Il Rettore Dodds era la': egli era stato
cosi' gentile e premuroso da raggiungermi a New York per offrirmi - se mai
io avessi rinunciato al mio ufficio diplomatico presso il Vaticano - una
cattedra all'universita' di Princeton, e precisamente nella mia qualita' di
filosofo d'ispirazione e di principi tomistici. Il fatto che quella di
Princeton fosse un'universita' laica di origine presbiteriana non costituiva
davvero un ostacolo: anzi, doveva essere semplicemente piu' interessante una
mia nomina a tale insegnamento.
Lo spirito di liberta' del quale sto parlando e' in stretto rapporto, mi
pare, con quel perpetuo processo di autocritica, di autocorrezione, di
miglioramento, che si puo' benissimo osservare tanto nei piccoli collegi
(che qui costituiscono per cosi' dire la spina dorsale dell'intero sistema o
campo dell'istruzione) quanto nelle grandi universita': e sia nelle grandi
universita' cattoliche, come quella di Notre Dame, sia nelle grandi
universita' laiche, quali appunto quella di Princeton o quella di Chicago.
Gia': e non posso che sentirmi orgoglioso di tenere regolari corsi sia
all'universita' cattolica di Notre Dame, sia in quella laica di Chicago,
oltre che presso I'Hunter College (vecchia e cara conoscenza quest'ultimo:
ebbi l'onore di tenervi il discorso ufficiale in occasione dell'insediamento
del Rettore George Shuster, il 10 ottobre 1940), dove lo stesso spirito di
liberta' e' alimentato da questo grande umanista cristiano. Orbene, per
ritornare al nocciolo del nostro discorso, dopo queste digressioni di
carattere personale (che temo, peraltro, debbano fare ancor capolino),
bisogna pur prendere atto che nelle riviste filosofiche delle piu' svariate
tendenze appare obiettivamente scontato che il "neotomismo", come dicono,
rappresenta una delle correnti vitali della filosofia americana d'oggi. La
National Society for the Study of Education sollecito' un filosofo tomista
perche scrivesse, per il suo Annuario del 1955, un capitolo intitolato
Modern Philosophies and Education. (Il Tomismo dunque, per questo Annuario,
occupa un posto fra le filosofie moderne. E dire che ne' Emile Brehier, ne'
i suoi colleghi della Sorbona hanno mai voluto riconoscere questo fatto!).
E' questione di lealta' ed obiettivita' intellettuale. Mi si lasci qui
ricorrere ad un altro esempio, che ha per me un significato tutto
particolare. Un grande commentatore di Tommaso d'Aquino, Giovanni di San
Tommaso, che visse nel diciassettesimo secolo, e' stato per me e per i miei
amici un veramente caro maestro ed ispiratore. Ma nel nostro culto per lui
noi eravamo del tutto soli. I circoli intellettuali francesi, dei quali
parlavo poc'anzi, erano, manco a dirlo, sublimemente ignoranti nei suoi
riguardi; diro' di piu': fra gli stessi interessati alla filosofia
dell'Aquinate una forte maggioranza presumeva di avere vista abbastanza
buona per leggere il testo della Summa senza bisogno di ausilio alcuno, e
provava semplicemente ripugnanza per tutti i commentatori, e particolarmente
per Giovanni di San Tommaso, a causa del suo stile spiccatamente tecnico ed
involuto. Fu finalmente possibile, tuttavia, avere una buona edizione delle
sue opere, almeno in latino, pubblicata in Francia ed in Italia; e si
arrivo' ad avere anche una traduzione francese del suo trattato "sui doni
dello Spirito Santo", che costituisce un'opera fondamentale nella vita dello
spirito, in una pubblicazione curata da mia moglie. Quanto pero' ad avere in
una traduzione francese (o italiana, o tedesca) i suoi trattati logici e
filosofici, l'idea stessa era addirittura inconcepibile: in conseguenza di
una siffatta situazione generale era logico che tale autore finisse con
l'essere, per il nostro sparuto gruppo, come una sorta di ermetico ed
esoterico santone, la conoscenza del quale era privilegio di pochi iniziati.
Ebbene, la Logica Materiale di Giovanni di San Tommaso, un libro di
seicentocinquanta pagine, e' apparso in inglese qui in America, tradotto dal
nostro amico e collega Yves Simon e da due eminenti giovani studiosi
americani. Il libro fu pubblicato dalla Chicago University Press ed ebbe la
piu' ampia e favorevole accoglienza da parte delle riviste filosofiche di
questo paese. Se pertanto oggi sembra quasi altrettanto naturale leggere
Giovanni di San Tommaso quanto leggere Berkeley o Leibniz, dobbiamo questa
nostra vittoria su inveterati pregiudizi - vittoria che non si sarebbe
neppur potuta sognare venticinque anni fa - precisamente all'apertura
mentale che sta alla base della cultura americana".
Proprio questo insistente riferimento a Giovanni di s. Tommaso conferma la
posizione filosofica di Maritain, per cui il tomismo non e' la filosofia di
un uomo solo, ma una tradizione culturale che in s. Tommaso si e' espressa
in uno dei suoi vertici, ma che ha radici molto lontane nella filosofia
dell'essere e nel realismo del pensiero ebraico, per svilupparsi ed
approfondirsi col cristianesimo, fino ad essere la filosofia raccomandata
dalla Chiesa, senza peraltro diventare una questione di fede, perche'
perderebbe la sua natura razionale e laica. Negli Usa Maritain non insegna
soltanto in diverse universita', ma con altri esuli francesi e belgi fonda
lui stesso un'istituto universitario ed una casa editrice per continuare in
terra libera la cultura francese. Nasce il 14 febbraio 1942 a New York
l'Ecole libre des hautes etudes, che Maritain cosi presenta: "E'
essenzialmente e prima di tutto per fare opera di insegnamento superiore e
per servire la conoscenza disinteressata, che e' stata fondata questa Scuola
di alti studi. Ma nelle circostanze presenti questa creazione riveste un
significato particolare. Dedicarsi alla libera ricerca, voler servire la
scienza e la verita', e non mettersi al servizio di un partito o di una
razza, o di uno Stato tentacolare, di una scienza o di una verita'
fabbricati secondo l'interesse del momento, significa gia' contrastare le
potenze delle tenebre, che oggi minacciano il mondo. E' la verita' che ci
libera. Noi vogliamo servire la verita', noi vogliamo servire la liberta'".
Molti perseguitati politici e razziali poterono insegnare in questa
Universita' e testimoniare in America lo spirito democratico che i regimi
fascisti cercavano di distruggere in Europa.
In questa libera universita' insegnarono uomini famosi, come il fisico Jean
Perrin e lo storico dell'arte Henri Focillon, di cui Maritain commemoro'
l'opera con un discorso al Metropolitan Museum of Art, evidenziando la sua
importanza nella storia della critica estetica. L'attivita' di questa
Universita' si puo' verificare leggendo il catalogo della casa editrice
Editions de la Maison Francaise, curato da Maritain, che non si rifiutava
anche ad umili compiti organizzativi per testimoniare le sue convinzioni
religiose, filosofiche e politiche.
La sua testimonianza in America non si limito' al piano dell'insegnamento e
della cultura, si concretizzo' anche a livello di partecipazione politica,
pur senza mai identificarsi in un partito politico. Invitato a partecipare
alle attivita' della Resistenza, indirizzo' ai francesi numerosi messaggi
radiofonici sostenendo le forze democratiche contro gli occupanti tedeschi e
il governo collaborazionista di Vichy e preparo' la stesura del manifesto
dei cattolici europei democratici esiliati in America. Un suo volumetto
Attraverso il disastro pubblicato a New York, ebbe anche una edizione
clandestina nella Francia occupata dai nazisti, e fu completato da un
secondo volumetto Attraverso la vittoria, nel quale, prefigurando la
collaborazione, oltre ogni forma di rivoluzione e di reazione, tra cattolici
e socialisti, affermava che la storia avrebbe fatto giustizia della
contrapposizione tra cristianesimo e democrazia: "La resistenza francese e'
stata l'occasione di un avvicinamento di importanza straordinaria, nel quale
gli uomini della rivoluzione francese e gli uomini della fede e della
speranza cristiana si sono riconosciuti. Questi cristiani hanno compreso che
l'ispirazione democratica deriva in definitiva dall'ispirazione evangelica,
per laicizzata e deformata che possa essere stata. Questi democratici hanno
compreso che l'ispirazione cristiana puo' fare dei difensori indomabili
della liberta' e dei diritti della persona umana".
Malgrado questa precisa posizione politica Maritain rifiuta di partecipare a
schieramenti politici e quando il generale De Gaulle lo invita ad entrare
nel "Comite' national de la France Libre" risponde con cordialita', ma
rifiuta con fermezza, perche' il vero intellettuale deve essere al di sopra
delle parti.
Nel periodo americano Maritain, a contatto con una societa' democratica
ricca di multiformi fermenti culturali, scrive le sue opere fondamentali di
pedagogia, di.politica e di estetica, sempre nell'impegno di una presenza
immediata nel dibattito culturale. Da una serie di lezioni tenute nel 1943
all'Universita' di Yale nasce L'educazione al bivio, che avra' notevole
successo editoriale, nelle tre stesure inglese, francese, italiana curate
direttamente da Maritain, tanto da essere tradotta anche in giapponese.
Ma sarebbe limitativo considerare il discorso pedagogico maritainiano
bloccato su questa opera, perche' altre conferenze e comunicazioni hanno
sviluppato e precisato la tematica impostata nelle lezioni di Yale. Infatti
nel 1955 collabora ad un volume della "The national society for the study of
education" sulla filosofia dell'educazione, avendo come "consulente
pedagogico" William P. Cunningham, con un testo Prospettive tomistiche
sull'educazione, e partecipa ad una tavola rotonda in occasione del
cinquantesimo anniversario della fondazione della Kent School, con un
contributo su Alcuni aspetti tipici dell'educazione cristiana. Entrambi i
testi saranno poi pubblicati in volume in edizione francese, mentre altri
interventi pedagogici in lingua inglese saranno raccolti, con
l'autorizzazione dell'autore, da Donald e dalla Gallagher per conto della
Notre Dame University. In questa antologia sono particolarmente importanti
alcuni testi sull'educazione morale che completano l'opera pedagogica
maritainiana nella sua stesura definitiva del 1969 e che debbono essere
tenuti presenti per una valutazione completa del pensiero maritainiano
spesso studiato in modo riduttivo. D'altra parte il pensiero pedagogico di
Maritain va ricostruito e studiato attraverso l'esame critico di tutti i
suoi scritti, perche' le opere di estetica, di morale, di politica hanno
frequenti riferimenti ai problemi dell'educazione.
Il problema dell'educazione civica, e il problema del pluralismo delle
strutture educative, non vanno considerati solo attraverso l'appendice
all'edizione francese de L'educazione al bivio, perche' si dimenticherebbero
le pagine scritte al riguardo da Maritain nella sua opera politica piu'
importante, L'uomo e lo Stato, che raccoglie sei lezioni di filosofia
politica tenute all'Universita' di Chicago nel dicembre del 1949. Questo
testo senza negare le posizioni assunte nel 1936 con Umanesimo integrale,
sviluppando le premesse di quel discorso, rappresenta la trattazione piu'
organica della dottrina dello Stato democratico elaborata da Maritain a
contatto con la societa' americana, al di fuori degli ideologismi che
inquinano frequentemente il pensiero europeo. La base della democrazia,
sempre riconosciuta come il frutto dell'influenza del cristianesimo nella
storia dell'umanita', viene riscontrata nel diritto naturale, non inteso
come giusrazionalismo contrattualistico, ma come giusnaturalismo che rimanda
dalla legge civile alla legge morale e dalla legge morale propria della
coscienza umana alla legge eterna, propria di Dio; per cui solo Dio puo'
essere pienamente "sovrano" al di sopra della legge. Questo testo va letto
in relazione a due altri scritti del periodo americano, che si affiancano da
una parte e dall'altra a giustificare lo Stato di diritto: I diritti
dell'uomo e la legge naturale (1945) e Cristianesimo e democrazia (1945).
L'influenza di Maritain sulla cultura americana e' dimostrata dal fascicolo
monografico che, in occasione del suo sessantesimo compleanno, due riviste,
una di Montreal in Canada, "La Nouvelle Releve", ed una di New York negli
Usa, "The Thomist", dedicano alla sua opera di filosofo, seguite poco dopo
da un numero unico della rivista "A Ordem" di Rio de Janeiro, e dalla
fondazione nel settembre del 1958 di un "Centre Jacques Maritain" presso
l'Universita' di Notre Dame nello stato dell'Indiana (Usa) per documentare e
conservare l'opera filosofica di Jacques e Raissa Maritain.
I rapporti tra Chiesa e Stato, che Maritain aveva esaminato nella sua opera
di filosofia politica, furono concretamente sperimentati durante il periodo
romano, che rappresenta una breve ma significativa parentesi, del periodo
americano. Infatti nel dicembre del 1944 Maritain non puo' sottrarsi alle
richieste di impegno politico per la nuova Repubblica Francese, nata dalla
Resistenza, e finisce per accettare la nomina ad ambasciatore a Roma presso
la Santa Sede. Questa esperienza duro' pochi mesi, perche' Maritain
rinuncio' all'incarico nella primavera del 1948, ma confermo' la sua
posizione di intellettuale impegnato nella testimonianza cristiana nella
vita culturale. Infatti proseguendo l'impegno di apostolato intellettuale,
gia' dimostrato a Meudon in Francia e a New York in America, fondo' il
"Centro s. Luigi di Francia" presso il quale organizzo' incontri e dibattiti
a cui parteciparono tra gli altri Marrou, Journet, Lacombe, Couturier. Il 19
dicembre 1946 Maritain stesso vi tenne una conferenza di particolare
interesse pedagogico dal titolo Educazione e civismo. Da una conferenza su
Persona e individuo, tenuta presso la Pontificia Accademia di s. Tommaso,
sviluppando una tematica antropologica che aveva gia' presentato in altri
incontri, a Oxford e a Parigi, trae la stesura definitiva de La persona
umana e il bene comune, con interessanti considerazioni pedagogiche sulla
natura e sulla cultura come termini costituzionali dell'evento educativo.
Rientrato negli Stati Uniti, Maritain insegna filosofia morale alla
Princeton University e tiene corsi alla Universita' Cattolica di Notre Dame
e all'Hunter College di New York. Da questa attivita' intellettuale intende
trarre un'opera sulla filosofia morale in due volumi, il primo dedicato alla
storia ed il secondo alla trattazione sistematica; purtroppo ha potuto
pubblicare soltanto il primo volume, nel quale pero' sono gia' individuabili
le linee strutturali del secondo come l'autore stesso riconosce nella
introduzione all'opera: "Saro' riuscito a rendere sensibile l'intensita' del
dramma intellettuale implicato dalle peripezie della storia che fa la
materia del presente libro? E' un libro voluminoso e che senza dubbio
richiede tanta cura per essere letto quanta ne ha richiesta per essere
scritto. La nostra speranza e' che se avra' la buona sorte di trovare dei
lettori abbastanza pazienti per farsi attenti al suo interno movimento, come
allo svolgimento tematico, ai giri e rigiri del multiforme pensiero del
quale analizza lo sviluppo, i progressi e le cadute, esso li potra' aiutare
a discernere la natura dei mali di cui soffre nella nostra epoca la
filosofia morale, e soprattutto a prendere coscienza, in actu exercito,
delle basi filosofiche dell'etica e del valore dei concetti primi che essa
mette in opera. Tutta la materia e tutte le verita', che noi vorremmo
discutere in forma dottrinale e sistematica nel nostro secondo volume, sono
gia' presenti nel primo, non allo stato sistematico e in una forma per cosi'
dire fluida, ma in un senso, almeno crediamo, forse piu' stimolante per lo
spirito".
Anche da questa dichiarazione appare evidente l'impostazione pedagogica di
tutta l'opera di Maritain, che non vuole essere una esposizione astratta di
principi teoretici ma inviscerarsi nella concretezza del divenire storico e
coinvolgere il lettore in una riflessione personale. Da questa opera sono
ricavabili espliciti riferimenti ai problemi dell'educazione morale come
impegno della coscienza a realizzare la liberazione della persona.
L'impegno politico di Maritain si manifesto' anche all'Unesco in quanto fu
chiamato a rappresentare il governo francese e collaboro' alla stesura della
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo lavorando con intellettuali
di tutto il mondo, delle diverse posizioni filosofiche e politiche, e delle
diverse confessioni religiose. Per conto dell'Unesco raccolse in un volume,
con una prefazione introduttiva, i commenti e le interpretazioni al testo
della Dichiarazione evidenziando la possibilita' di comprensione e di
collaborazione tra culture e civilta' diverse, sulla base di un
riconoscimento pratico dei principi di rispetto reciproco, che ciascuno
giustifica moralmente secondo le sue convinzioni ideologiche. Il pluralismo
per Maritain non e' una ideologia, ne' una riduzione al minimo comune
denominatore culturale delle diverse convinzioni morali, ma una metodologia
di convivenza civile. Le sue considerazioni di filosofia del diritto
espresse a commento della Dichiarazione non erano che la traduzione
operativa dei principi di filosofia politica che aveva espresso nel discorso
inaugurale "Le condizioni della pace nel mondo", in occasione della seconda
conferenza generale dell'Unesco a Citta' del Messico il 6 novembre 1947.
L'assegnazione del premio Leone XIII per l'opera eccezionale svolta da
Maritain nel campo della educazione sociale cristiana, attribuitogli nel
1948 dalla Sheil School of Social Studies di Chicago, conferma l'influenza
del pensiero maritainiano in America.
(Parte seconda - segue)

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 1004 del 27 luglio 2005

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