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Nonviolenza. Femminile plurale. 20
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 20
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 14 Jul 2005 11:53:39 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 20 del 14 luglio 2005 In questo numero: 1. Lidia Menapace: Della politica e dei movimenti 2. Valeria Ando': I fili del mio discorso 3. Riletture: Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita' 4. Riletture: Angela Ales Bello, Invito alla lettura di Edith Stein 5. Riletture: Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa 6. Riletture: Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein 1. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: DELLA POLITICA E DEI MOVIMENTI [Da "Alternative" n. 1, 2005 (nel sito www.alternativebo.org) riprendiamo il seguente articolo. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] Un impetuoso movimento di contestazione investi' il mondo e si chiamo' Sessantotto: lo cito per un sommario bilancio. Incendio' le universita' e le scuole per contestarne programmi e metodi, la sua cultura era soprattutto antiautoritaria (Marcuse, Chomsky...), i metodi creativi spettacolari di strada. I raduni delle giovani generazioni avevano vestiario multicolore, canzoni trascinanti e una stretta parentela con le arti. La risposta del potere fu ovunque violentissima. Ma l'anno dopo il movimento si diffuse anche nelle fabbriche, per allargare l'analisi di classe dei diritti conculcati e di una organizzazione del lavoro alienante e ingiusta: la selezione di classe nelle scuole dava poi una gerarchia di classe alla societa', che escludeva i lavoratori e le lavoratrici dalla possibilita' di fruire di diritti come l'istruzione, la salute, la casa ecc. Anche nei confronti della classe operaia la repressione fu pesante: assalti di polizia, repressione giudiziaria, criminalizzazione del movimento; ma non riusci' a distruggere la salda organizzazione costruita con lotte nonviolente nel corso del secolo. Si pote' avere uno statuto dei lavoratori e lotte delle donne per il divorzio e l'aborto. Si fece pero' strada, anche a seguito di spettacolari provocazioni, l'idea di un sistema organizzativo e di metodi di lotta "adeguati", il che volle dire la costruzione di partitini molto rigidi ed esclusivi e la risposta violenta che imponeva di infilarsi in forme clandestine. Come e' noto, fu l'inizio della sconfitta del Sessantotto, che pure fece sentire i suoi effetti ancora per una stagione di lotte per i diritti, di impetuose presenze femministe e cosi' via. Ma la nascita delle Br e il passaggio alla clandestinita' di pezzi della parte maschile di Lotta continua e la teorizzazione di Potere operaio sulla immodificabilita' dello Stato, portarono a una separazione dalle radici sociali del movimento, alla sua marginalizzazione e infine sconfitta. Come succede ai vinti, l'immagine che di noi fu trasmessa fu quella esasperatamente partitico-ideologica e della violenza. * Ma le ragioni del Sessantotto restavano ancora tutte li': infatti aveva ripreso vigore la cultura che esprimeva il dominio delle classi e delle gerarchie dominanti, la costruzione di una societa' ineguale e ingiusta, che muoveva all'attacco dello Stato sociale ottenuto (un solo canale formativo prolungato, diritto alla salute attraverso un sistema sanitario pubblico, pensioni decenti, servizi sociali diffusi). Quando dalla prima guerra del Golfo con il motto femminista "Fuori la guerra dalla storia!", poi nel 1995 a Pechino, e dal Chiapas e dallo zapatismo, poi da Seattle, nasce in Europa e nel mondo un movimento contro la globalizzazione per "un altro mondo possibile", quelle ragioni ci sono ancora tutte e se e' possibile ancora piu' ampie e radicate. Investono un progetto di mutamento del mondo, si attestano verso il mondo globalizzato dal capitalismo neoliberista e guerrafondaio. Sconfitta in Europa la socialdemocrazia, per non aver saputo - tra l'altro - accogliere il Sessantotto, e nell'Urss la versione statalista dittatoriale e militarista della rivoluzione proletaria, resta da fronteggiare la rivincita capitalistica, di rara violenza, che impugna la guerra come strumento del dominio e usa il sistema comunicativo come efficace mezzo di egemonia virtuale. Tuttavia le ragioni di chi vede l'ingiustizia e il disordine sociale al potere sono forti e profonde e contro la guerra si leva un impegno di straordinaria forza e permanenza. * Siamo di nuovo a un bivio: se le forze politiche progressiste si chiudono in una critica sprezzante verso il "populismo" e il "corporativismo" del movimento e il sistema rilancia la sua predicazione di paura contro il terrorismo come cercando di proporre una impossibile successione tra Sessantotto e Altromondismo (i tentativi di collegare squallidi epigoni criminali delle Br al movimento sono risibili), il movimento e' di nuovo in difficolta'. Tuttavia ha fatto alcune non reversibili scelte che lo mettono al riparo dal ripetere una parabola come quella sessantottina: in primo luogo la scelta dell'azione nonviolenta nella lotta politica. L'evento succede tra Genova e Firenze: quando alle manifestazioni di Genova la risposta del sistema (incluso il ceto politico progressista) e' violentissima, il rischio che si inizi una nuova replica violenta e di innalzamento del livello dello scontro e' molto forte: ma non avviene. A Firenze dove si tiene il primo Forum sociale europeo l'enorme affluenza si distribuisce in tutta tranquillita', senza nemmeno una vetrina rotta e con forme espressive e linguaggi creativi colorati femministi spettacolari. Al movimento si sono connesse le culture del femminismo, dell'ecologia, del pacifismo. * Qui siamo. E ora bisogna trovare forme organizzative e un rapporto col sistema politico-rappresentativo, in difficolta' e involuzione in molti paesi europei. Se ci fermiamo all'Italia, che di cio' e' un laboratorio avanzato, vediamo in corso una modifica della Costituzione pericolosissima, che concentra il potere in un premierato assoluto e veicola una cultura dell'indifferenza sociale, della repressione poliziesca, e mette sotto tiro tutte le istanze umanitarie, dall'accoglienza verso l'immigrazione al sistema carcerario. La guerra torna all'orizzonte pericolosissima, avendo costruito anche una cultura del suo "uso" come fondamento delle relazioni internazionali (guerra costituente) e della sua quotidianita' (guerra permanente). Ai conflitti di classe (sempre gestibili in forma di lotta nonviolenta) vengono sostituiti finti conflitti di "civilta'" cui si da' il timbro assolutistico delle guerre di religione. La proposta che cercai di elaborare gia' ai margini del Sessantotto si chiamava "sistema pattizio tra forme politiche" e muoveva dall'analisi della natura dei nuovi movimenti e delle nuove culture politiche. Quando fu pensato aveva certo un carattere di ingegneria sociopolitica, ma si e' in gran parte realizzato in forme piu' creative e non mi pare utile lasciarlo cadere proprio ora. Dicevo: la forma del partito politico, che fu una delle piu' straordinarie invenzioni del pensiero politico soprattutto di sinistra, e' in declino e in esaurimento storico perche' e' un soggetto "unificato" e "generalista" e non puo' rappresentare ne' interpretare una societa' complessa, e la complessita' e' una scoperta non rifiutabile. Niklas Luhmann invento' per Thatcher, Kohl e Reagan una ricetta - che Craxi trasferi' in Italia come se fosse di sinistra - che piu' o meno dice: la societa' complessa e' molto conflittuale, pone problemi di governabilita' e non e' piu' analizzabile sotto il segno di una ideologia generale, perche' pone problemi piuttosto di pensiero unico, le persone si agitano molto per "single issues", per ragioni particolari; ma nessuna societo' puo' essere governata se non ha anche momenti di riconoscimento generale, preferibilmente plebiscitari. La ricetta quindi diventava governabilita' sulla base di esecutivi rafforzati e decisionisti; movimenti tenuti accuratamente nell'ambito delle rivendicazioni particolari; momenti unificanti nel plebiscito dell'elezione diretta del "capo": decisionismo e presidenzialismo. Sembra di leggere Berlusconi. Bisogna dare una risposta di sinistra all'intuizione luhmanniana. La risposta non puo' essere di negare la complessita', ma di interpretarla diversamente come fece Marx ai suoi tempi, che non nego' la giustezza dell'analisi sociale dei grandi economisti classici, ma ne critico' le ricette esecutive politiche, economiche e sociali. * Orbene i movimenti interpretano la complessita' sociale ed esprimono soggettivita' non riducibili "ad unum". Questi soggetti sono certamente, in primis, il mondo del lavoro dipendente allargatosi a dismisura ma privato della coscienza di se', in gran parte insidiando i suoi insediamenti sociali e le forme di erogazione della prestazione lavorativa; poi il movimento delle donne che investe di una critica appassionata tutte le relazioni sociali che non riconoscano la differenza di genere e pone come fondamento dell'azione politica non la forzata "sintesi", bensi' la molteplicita' delle culture e delle forme espressive (dal diritto allo Stato, la risposta e' ancora da dare); e ancora il movimento ecologista che pone la questione non considerata dall'economia classica, compresa quella marxista, della misurabilita' delle risorse e della cura del pianeta; il movimento pacifista che mette all'orizzonte la definizione di pace (che non c'e' nel diritto) come misura dell'azione politica; infine il movimento degli intellettuali (professori, ricercatori/trici, universitari/e, giornalisti/e...) che finalmente hanno un'identita' in quanto esperti della comunicazione e quindi titolari di un potere specifico, non costretti a "trasferire" le loro coscienze al servizio del capitale o della classe, operazione sempre rischiosa e infelice. Tutti questi movimenti non sono (solo) rivendicativi, bensi' politici, e hanno un diritto fondativo di accesso diretto alla politica. Che fare dei partiti? essi sono gli esperti delle istituzioni, il cui peso nella politica odierna e' fortissimo e quindi a buon diritto e solo in questo senso fanno parte del blocco sociale dell'"altromondo". Di essi infatti e' caratteristico l'approccio nonviolento alla lotta politica e il movimento deve riconoscerglielo: a sua volta il partito deve riconoscere la pratica olistica dei movimenti. I nuovi movimenti non sono rappresentabili simbolicamente come un mosaico, cioe' un disegno che altri traccia e compone di pezzi ciascuno dei quali non ha autonomia, bensi' con un simbolico olistico, vale a dire che in ciascuno di essi agisce un punto di vista specifico (a partire da se', si dice nel linguaggio femminista) dal quale pero' si legge l'universo. Non voglio fare il solito esempio appunto del femminismo al quale si dovrebbe facilmente riconoscere politicita' universale, ma anche il piu' "modesto" dei movimenti (prendiamo quello che si occupa dell'acqua) non e' rivendicativo e invero chiunque faccia parte del Contratto mondiale dell'acqua sa - e non per catechismo dall'alto ma per analisi sociale e scientifica e politica fatta in proprio - che dall'acqua si passa senza forzature al neoliberismo e all'uso della guerra. Cosi' il movimento pacifista e' in grado di analizzare la misurabilita' delle risorse e la pericolosita' del modello consumistico e violento come fonte delle moderne guerre infinite. * Cio' che propongo dunque e' di riprendere con pazienza l'analisi politica, partire dal riconoscimento da parte dei partiti che i nuovi movimenti non possono essere "sintetizzati" nel partito e che il blocco sociale e' una formazione molteplice e paritaria tra forme politiche rette da un "sistema pattizio tra forme politiche" per l'appunto, in modo che sia possibile stabilire relazioni chiare, precise e profonde, tra le varie forme della politica. E non capiti come sta succedendo che i partiti si ritraggano di nuovo e guardino il movimento con sospetto e fastidio. Sarebbe una sconfitta molto pesante e senza perdono perche' la posta in gioco e le conseguenze questa volta non saranno "solo" una forte riduzione della liberta' (i giornalisti sottoposti al codice militare di guerra se raccontano cio' che vedono in Iraq), un rilancio alla grande del patriarcato, la riduzione del lavoro a merce, e basta, ma la guerra, l'orrore distruttivo, un'avventura suicida. 2. RIFLESSIONE. VALERIA ANDO': I FILI DEL MIO DISCORSO [Ringraziamo Valeria Ando' (per contatti: andov at tele2.it) per averci messo a disposizione (in una versione appositamente rivista e ridotta nelle note) l'introduzione ("I fili del mio discorso", pp. 9-24) del suo recente libro L'ape che tesse, Carocci, Roma 2005. Valeria Ando', docente di Cultura greca all'Universita' di Palermo, e' tra le promotrici ed animatrici presso quell'ateneo di un gruppo di riflessione e di pratica di nonviolenza di genere; direttrice del Cisap (Centro interdipartimentale di ricerche sulle forme di produzione e di trasmissione del sapere nelle societa' antiche e moderne), autrice di molti saggi, ha tra l'altro curato l'edizione di Ippocrate, Natura della donna, Rizzoli, Milano 2000. Opere di Valeria Ando': (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002; con Andrea Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002; L'ape che tesse. Saperi femminili nella Grecia antica, Carocci, Roma 2005] "Gli altri, i re in armi, si riversarono fuori dal ventre cavo del cavallo, come api dalla quercia, le quali, dopo avere faticato all'interno dell'ampio alveare tessendo con arte nascosta il favo dolcissimo, sciamando dalla cella rotonda gia' nel campo tormentano con le loro punture i viandanti" (Trifiodoro, La presa di Ilio, 533-538). Api che tessono. Un'immagine ardita questa costruita da Trifiodoro che, nel punto culminante della sua narrazione sulla presa di Troia, paragona i guerrieri Achei che escono dal ventre del cavallo di legno alle api laboriose che, dopo avere "tessuto" i favi, sciamano nella campagna. Un'immagine che mette insieme l'operosita' dell'ape, quella "melissa" emblema tradizionale nel mondo greco della donna virtuosa, e il lavoro della tessitura, specifica attivita' femminile. Tessere, intrecciare trama e ordito nella fabbricazione di un tessuto, diventa metafora della sapiente organizzazione dei favi, attraverso la quale si esprime, da Semonide in poi, la virtu' della donna che, nel chiuso della casa, lavora alacremente. Immagine non nuova, peraltro: nell'Economico di Senofonte, laddove il parallelo tra la donna e la melissa trova la sua piu' compiuta espressione, proprio "tessere" e' il termine usato per indicare il lavoro di disposizione dei favi, l'abile "intelaiatura" in ordine geometrico delle celle (Senofonte, Economico, VII 34). L'ape che tesse dunque: da questa immagine voglio prendere le mosse per costruire il mio discorso, un'immagine nella quale trova espressione l'aspetto forse piu' vistoso del femminile, quello che riguarda il quotidiano lavoro di cura condotto all'interno della casa. Sulle donne e sui loro saperi vorrei infatti tessere anch'io la trama della mia riflessione, una trama lasca e discontinua, il cui filo si dipana a fatica attraverso quello che di esse ci dicono i testi della Grecia antica. Non ho un intento descrittivo ne' una pretesa di esaustivita'. Si tratta per me di risalire, facendone un punto di riferimento forte, alla tradizione di sapere femminile, nella cui genealogia sono iscritta, per trarre da essa un senso nuovo che, radicandomi piu' autenticamente in me stessa e nella mia storia genealogica, riorienti il mio rapporto col mondo: intendo indagare cioe' sui saperi femminili per una sorta di azzardo, una scommessa intellettuale e politica legata alla contingenza dell'oggi che, in quanto donna, mi interpella. Uso il termine "sapere" per le donne greche dell'antichita' nell'accezione moderna che, differenziandolo radicalmente dal "conoscere" inteso come acquisizione di contenuti oggettivabili, ne fa invece l'esito di un percorso in cui l'esperienza e i vissuti siano imprescindibili e strutturalmente integrati nelle competenze assunte dal soggetto. Un sapere pertanto non cumulativo ne' oggettuale, e nemmeno teoricamente formalizzabile e per cio' stesso trasmissibile in forme canonizzate, ma conoscenza incarnata, pratica quotidiana, in una parola dimensione di vita (1). Faccio quindi astrazione dallo sforzo definitorio che nell'ambito della stessa speculazione filosofica greca e' stato compiuto in merito a nozioni quali appunto quelle di scienza, conoscenza, sapienza, come anche da differenze e usi linguistici dei termini greci corrispondenti. L'assunto di fondo e' che indagare sui saperi femminili in Grecia puo' consentirci di riflettere sulla mappatura dei saperi nella loro articolazione gerarchica attuale, in ragione degli spazi in cui essi trovano la loro elaborazione e applicazione, e dunque di ridisegnare il rapporto tra pubblico e privato. Un dato infatti emergera' in forma vistosa dai testi, cioe' che i saperi delle donne in Grecia sono afferenti soprattutto alla sfera domestica della famiglia e della casa, in linea con la demarcazione netta degli spazi destinati all'universo femminile. Privilegio deliberatamente la dicotomia pubblico/privato, o meglio politico/domestico, nell'indagine sul femminile, nonostante il dibattito critico ne abbia manifestato la problematicita' e non univocita', nonche' l'improprieta' di applicazione per l'eta' arcaica, in quanto la ritengo lente efficace per riconsiderare i saperi, in vista di una riflessione sulle forme attraverso le quali si struttura oggi l'agire politico. Sono consapevole infatti che questa, come forse qualunque griglia rigorosamente dicotomica, rischia di imbrigliare all'interno di uno schema in cui ai due poli si attribuisce uno statuto ontologico rigido, che non prevede flessibilita' e gradazioni e in cui, quel che e' peggio, la tensione tra i due estremi e' regolata da codici eteronomi fissati a livello ideologico. Sicche' per me la scelta di questa opposizione e' indotta dalla volonta' di riflettere sulla potenzialita' che i saperi tradizionalmente femminili possono fornire oggi alle donne, competenza simbolica da spendere nello spazio pubblico. In questo consiste la scommessa politica di cui parlavo, come chiariro' subito. * Dal mondo antico fino ai nostri giorni si e' assistito ad una progressiva svalutazione e cancellazione dei saperi femminili, confinati nello spazio domestico, mentre riconoscimento sociale, oltre che spessore epistemologico, e' stato assegnato ai saperi codificati e formalizzati a livello teorico, che sono risultati vincenti e quindi trasmessi attraverso le istituzioni educative (2): saperi, questi ultimi, funzionali alla riproduzione delle societa' che ne hanno via via definito i contenuti, in ragione dei contesti politici e socio-economici delle diverse epoche, distribuendoli per aree e ambiti disciplinari sempre piu' parcellizzati. Queste forme di sapere, vistosamente connesse a dinamiche di potere, pur nella loro pluralita', sono tuttavia riconducibili ad un'unica tradizione cognitiva, di cui la piu' recente riflessione filosofica e il pensiero femminile hanno contribuito a smascherare, contestandola, la presupposizione di neutralita', per affermarne invece la forte connotazione "maschile". Peraltro nella scena pubblica, teatro del sapere-potere, si celebrano i trionfi storicamente e culturalmente riconducibili all'universo maschile: la competizione, la guerra, la deriva della politica in forme deteriori di squallide beghe di palazzo. Di questi fenomeni si manifesta con sempre maggiore evidenza l'ingombrante presenza, la crescita incalzante ed esponenziale, nonostante che il lento lavoro compiuto dalla politica delle donne, l'acquisita competenza ad esserci, la' dove ciascuna di noi si trovava, consapevole della propria differenza, avesse eroso la forza di dominio del pensiero unico e unificante: prova ne era che la pratica del "partire da se'", perseguita pervicacemente dalle donne, aveva cambiato la quotidianita', nella famiglia, nel posto di lavoro, nei gruppi politici (3). Ma i dolorosi e sconvolgenti eventi degli ultimi anni, rispetto ai quali e' lecito parlare di vera e propria crisi di civilta' - lo stato di guerra permanente, la barbarie terroristica, la progressiva degradante condizione del Sud del mondo - hanno provocato una grande scossa, intellettuale ed emotiva: al dolore e allo sgomento che ci attraversano per la disumanita' del presente, per il carico di morte e ingiustizia sociale, si accompagna la convinzione della necessita' di un radicale e non piu' rinviabile cambiamento di civilta', che ridia senso alla nostra umanita'. * Da qui il desiderio di riconsiderare i saperi femminili, valutandoli nella loro portata di alterita', nelle valenze che essi assumono, nei sensi che possono ricoprire, senza che cio' significhi, beninteso, riferirsi ad una visione mitica di un femminile salvifico. Spezzata infatti la concezione unitaria e monolitica del sapere, che aveva indotto le donne ad un atteggiamento emancipazionista di conquista e condivisione del sapere ufficiale che per secoli le aveva escluse, l'indagine sui saperi femminili non determina piu' soltanto l'emersione di cio' che era stato rimosso e cancellato, e dunque il risarcimento di un debito della storia. La loro assunzione nell'universo dei saperi riconosciuti comporta la necessita' di valutarli nella loro specificita' e di individuare, nella rigida separazione e opposizione di ambiti di competenza rispetto al maschile, una positiva valorizzazione, le radici di un'estraneita' creativa. La sfida piu' ardua, per me, e' interpretarli come laboratorio di pratiche, nel senso che il loro continuo esercizio, la quotidiana applicazione e la loro progressiva acquisizione hanno determinato le condizioni di possibilita' grazie alle quali le donne hanno maturato consapevolezza della loro competenza, e da qui, proprio in forza dei saperi esperiti nello spazio domestico, hanno intrapreso un'azione che non esito a definire politica. Questo, lo vedremo, e' cio' che fanno alcuni personaggi femminili che popolano i testi greci, che mi sono venuti incontro nel mio percorso di indagine. Le une, eroine dell'epica come Andromaca e Penelope, agiscono in modo tanto discreto da richiedere lo svelamento e la decifrazione della loro azione, altre, personaggi di commedie dell'Atene classica come Lisistrata e Prassagora, in modo aperto e dichiarato. Tutte pero' lasciano le loro stanze, interrompono il quotidiano lavoro al telaio, l'incessante ripetizione di gesti sempre uguali, spezzano la passivita' cui sembra relegarle il loro ruolo: anzi, e' proprio il loro "patire", vissuto consapevolmente, a trasformare in azione attuabile la destinata passivita' delle loro esistenze. Lo straordinario lavoro di civilta' compiuto dalle donne nella riproduzione della vita, inteso come opera di mediazione tra i nudi dati della vita biologica e la loro culturalizzazione, e' chiave di accesso, responsabile e competente, alla sfera pubblica e politica, in grado di spezzare gli steccati e consentire il passaggio dalla dimensione intima della casa, dallo spazio interno delle mura domestiche verso lo spazio esterno della comunita' politica. La dimensione pubblica, che ufficialmente le esclude, diventa paradossalmente il terreno del loro agire. Accedono cioe' anch'esse all'azione e al discorso, le attivita' piu' propriamente "politiche", quelle in cui, secondo la riflessione di Hannah Arendt, la condizione umana trova la sua espressione piu' piena, in quanto attraverso esse si manifesta l'identita' individuale. In questa concezione, il lavoro del corpo, volto al soddisfacimento dei bisogni e delle necessita' della vita, e l'opera delle mani, applicata alla fabbricazione di strumenti utili allo svolgersi della vita stessa, si collocano su un piano distinto e separato dalla politica, che risulta quindi fondata sull'esperienza di un'azione e di una parola scisse dalla concretezza dei corpi (4). Proprio dall'universo del lavoro e dell'opera muovono invece questi personaggi femminili che intraprendono un'azione. Per questo ritengo che l'esemplarita' del modello da essi fornito potra' stimolare un ripensamento e una verifica di senso, nel presente, della dicotomia pubblico/privato, che ridefinisca i contenuti di entrambi gli ambiti, conferendo a ciascuno di essi valenze nuove, e da li', come dicevo, reinterpretare e riorientare l'agire politico. Le donne infatti tradizionalmente sono immerse nel mondo di riproduzione e cura della vita, un mondo pulsante di emozioni, sentimenti, dolori, gioie, a contatto con la materialita' del corpo, con gli strumenti e gli oggetti indispensabili al riprodursi del ciclo biologico, e nel quale le relazioni tra i soggetti sono regolate dall'etica della cura, intesa come capacita' di ascolto, accudimento, attenzione e assunzione su di se' dei bisogni dell'altro: questo mondo, nascosto nell'intimita' domestica, costituisce il luogo della passivita', ma anche della potenzialita' di intraprendere una nuova azione. La possibilita' di osare un cominciamento, partendo dall'inazione, sorge da una cosciente capacita' di investire di qualita' la passivita', farsi, per cosi' dire, "materia passiva". Per far questo occorre riappropriarsi del lavoro e dell'opera prodotti nello spazio chiuso, e considerare i tempi del nascondimento come necessari all'acquisizione di consapevolezza. Fare della passivita' un sapere, che affonda le radici nella tradizione storica della genealogia femminile, puo' dare alla politica un senso nuovo, in cui l'azione e il discorso traggano dall'universo privato la sapienza del prendersi cura (5). * Muovendo da questa prospettiva, l'azione di Andromaca che imprevedibilmente invade lo spazio bellico apparira' in tutta la sua carica di sorprendente valicamento della sfera domestica; l'incessante farsi e disfarsi della tela di Penelope potra' essere letto come il tentativo di costruzione di un nuovo ordine in cui il sapere femminile si trasformi in azione consapevole; la politicita' delle azioni di Lisistrata e Prassagora, evidente gia' nel dettato delle commedie, potra' suggerire riflessioni circa il possibile interscambio tra oikos e polis. Per converso, la lettura che condurro' di un'opera come l'Economico di Senofonte mi portera' a farne emergere con evidenza il carico di responsabilita' culturale; in essa infatti il gentiluomo Iscomaco insegna alla moglie le regole dell'amministrazione della casa secondo il modello militare e politico: se l'esercito e la citta' impongono alla casa la norma del comando gerarchico, la donna viene deportata in un ordine che non le appartiene e che la espropria di qualunque possibilita' di azione autonoma. * A questa prima linea di indagine, di cui ho svolto il filo rintracciandolo nelle trame nascoste delle testimonianze, fara' seguire una seconda, piu' facilmente coglibile dalla stessa emergenza testuale. Si tratta cioe' di individuare tra i testi greci un universo sommerso, in cui il femminile e i suoi saperi e valori assumono valenze inattese, divengono paradigmi su cui il maschile modella il suo pensiero e la sua azione. Si potrebbe dire, con un'espressione ormai abusata, che il femminile "e' buono per pensare", a patto pero' che venga metaforizzato. E' cio' che accade con le numerose metafore della tessitura, la cui espressione piu' compiuta a livello speculativo si rintraccia nel Politico di Platone, dove l'arte del tessere viene analizzata ed esplicitamente presentata come modello dell'arte della politica. E ancora in Platone, paradossalmente, proprio cio' che e' piu' intimamente legato al femminile, come dato naturale e culturale assieme, cioe' la gravidanza, il parto, l'allevamento, diventa metafora dell'attivita' considerata esclusivamente maschile, cioe' il filosofare. In dialoghi come il Teeteto o il Simposio, metaforizzare la maternita' comporta da un lato un processo appropriativo della specificita' unicamente femminile, dall'altro, con l'eliminazione del peso della corporeita', la sostanziale cancellazione delle donne. Eppure, ancorche' metafora, nella maternita' e' possibile scorgere, tra le righe del discorso messo in bocca a Diotima, maestra di Socrate proprio in materia di amore, la costruzione di un modello di relazione in cui la carenza limitante iscritta in ogni essere si trasforma in straordinaria capacita' di apertura all'altro, in un nuovo modo di vivere la soggettivita' come strutturalmente sbilanciata verso l'alterita'. Questa lettura che propone una modellizzazione del materno come fondante in forma paradigmatica la relazione con l'altro, consente di sottrarre il testo platonico ad univoche ed antistoriche accuse. In piu', l'esperienza femminile della maieutica e dell'allevamento dei figli, metafore della relazione pedagogica, aiuta a delineare un modello antiautoritario di trasmissione del sapere, in cui la conoscenza e' frutto di un lungo percorso di doloroso travaglio che accomuna il maestro e l'allievo. * C'e' poi un sapere su cui intendo indagare, inquietante per la straordinaria potenzialita' che ha di piegare e assoggettare il maschile, cioe' la seduzione erotica: competenza femminile, arte, gioco, di cui, andando indietro fino al piu' antico passato mitico, si puo' cogliere la signoria simbolica e la capacita' di erodere il sistema di potere, politico e sessuale, detenuto dal maschile, e per cio' stesso costantemente messa sotto controllo da parte del pensiero etico. * Sfidero' infine i testi di Aristotele: sfida ardita se si pensa che si tratta del pensatore che legittima la subordinazione politica della donna teorizzandone a livello biologico l'inferiorita' naturale. Eppure, vorrei trarre dalla sua concezione della madre-materia la teorizzazione filosofica di quella attivita' della passivita' con cui intendo leggere e interpretare il sapere e l'agire politico femminile. Non buia e inerte si rivela infatti all'indagine la materia aristotelica, ma dotata di un suo movimento desiderante, una "orexis", che la proietta verso l'attualizzazione della sua potenza. Adattando alla riflessione aristotelica il mio sforzo interpretativo di un femminile tanto piu' attivo in ragione della sua passivita', ho tratto, imprevedibilmente, una sorta di suggello teorico, per di piu' di grande spessore speculativo, al mio percorso. * Studiare i saperi delle donne nell'area culturale della Grecia antica, della quale mi occupo professionalmente, puo' costituire inoltre lente privilegiata per rintracciare analogie e differenze con la cultura nella quale viviamo, che su un supposto rapporto di filiazione dalla cultura greca ha costruito la sua identita'. In realta', se e' vero che parto dalla mia cultura di appartenenza, cioe' quella italiana, europea, occidentale dei primi anni del terzo millennio, e' anche vero che il cosiddetto villaggio globale ne ha spezzato i confini, abbattendone gli steccati identitari. Sicche', occuparsi oggi di Grecia antica costringe ad un atteggiamento alternato di continuita'/discontinuita', in un movimento inesausto, purche' vigile e consapevole. Intendo dire che il meticciamento della cultura contemporanea, l'ibridazione dei tratti distintivi connotanti induce a considerare la cultura greca antica come assolutamente "altra", distante e lontana da noi; altre volte invece, specie se vogliamo stabilire con i Greci dell'antichita' un'interazione con la nostra dimensione di vita, allora sara' necessario porci in relazione ad essi in un rapporto di continuita', direi volontario e finalizzato. Posizionare la mia ricerca, radicandola nel progetto etico che informa la mia vita di cittadina del pianeta in questo momento della storia, costituisce per me una risposta possibile di fronte alla complessiva e disperante perdita di senso del lavoro accademico, stretto com'e' tra le maglie di progetti di riforma dettati da logiche economicistiche di competizione mercantile. * Ma non solo: al posizionamento induce anche la forte impasse metodologica in cui versano gli studi sulle donne nel mondo greco. Parlare di donne in Grecia comporta infatti inserire la propria riflessione all'interno di un percorso di studi impervio e accidentato, le cui difficolta' sono state ampiamente affrontate e discusse nel dibattito epistemologico sempre vivo, che accompagna l'inesausta messe di studi, di portata non piu' dominabile. Le donne, si sa, specie quelle dei periodi piu' remoti della storia, sono mute, le loro voci sono state soffocate, spente dal silenzio imposto loro dalla memoria storica. Passando come "ombre leggere" e silenziose, di loro possiamo sapere e parlare solo attraverso voci maschili, tanto autorevoli da sovrapporsi prepotentemente al loro silenzio: sono stati gli uomini a raccontare la loro storia, gli artisti le hanno raffigurate, i filosofi hanno dettato per loro regole di comportamento, i medici hanno descritto il loro corpo e prescritto rimedi per le loro malattie, politici e legislatori hanno fissato per loro diritti e doveri, i moralisti ne hanno esaltato vizi e virtu', i poeti hanno creato personaggi femminili indagando sul loro animo. Sicche' in realta' non conosciamo le donne ma la rappresentazione che il discorso maschile ne ha tracciato, selezionando dati, stabilendo norme, inventando eroine. Cio' e' ancora piu' vero per la Grecia antica, in cui il silenzio femminile e' profondo e assoluto, interrotto soltanto dall'eccezione di alcune voci poetiche, prima espressione della progressiva assunzione di parola compiuta dalle donne nel corso della storia (6). Se da una parte le donne greche sono per noi mute, dall'altra, come e' stato rilevato, gli autori che ne hanno fatto oggetto di discorso "non sono colleghi", cui poter chiedere la completezza e verificabilita' della documentazione. Proprio questi due dati hanno condotto la ricerca storica e antropologica sulle donne in Grecia ad una grande varieta' di approcci e conseguente difformita' di risultati, al variare dei testi adoperati e delle premesse ideologiche dei singoli studiosi. Anche la storia sulle donne infatti, come qualunque altro ambito riguardante il mondo antico, si trova al punto di intersezione tra la tradizione dei testi classici e le societa' che li hanno via via letti e studiati, e questa mutua retroazione e' stata condizionata, nel caso specifico, dal dibattito sulla condizione femminile nei diversi contesti sociali. E' a questo dibattito, per esempio, che va riferita la polemica tra l'interpretazione "ortodossa" sulla esclusione delle donne in Grecia, e i tentativi autorevoli di smentita e aggiustamenti. Primo tra questi e' stato un famoso articolo di Gomme, del 1925, che ha messo in dubbio la convizione circa la posizione "ignoble" della donna ad Atene nel periodo classico, seguito negli anni '50 da Kitto, che ha negato, con toni ironicamente polemici, l'esistenza di prove sulla "clausura quasi orientale" della donna ateniese. * Il femminismo, con la riflessione marcatamente politica di riferimento, ha promosso una serie di studi sulle donne in Grecia, condotti soprattutto da studiose che nei decenni dal '60 in poi hanno avuto accesso in maniera non piu' sporadica all'insegnamento universitario e che, in particolare negli Stati Uniti, hanno trovato riconoscimento istituzionale nei dipartimenti di Womens' Studies. In questi studi, nei quali viene ribadita la segregazione, viene sottolineata l'esclusione e lo status sociale di subalternita' ed emarginazione dalla politica, sicche' le donne sono studiate come gruppo sociale oppresso, antagonista rispetto al gruppo maschile dominante. La rivista "Arethusa" dedica alle donne due intere annate, precisamente il 1973 e il 1978, mentre nel 1975 Sarah Pomeroy pubblica il primo volume monografico sulle donne in Grecia e a Roma. Questo saggio ha fornito un affresco variegato che evidenzia le difformita' tra le diverse epoche e i differenti contesti, distinguendo opportunamente tra la tipologia delle fonti, letterarie, mitografiche e figurative. Anzi la stessa autrice segnala che la gamma di opinioni diverse circa la condizione sociale della donna greca sia dovuta all'errore di "considerare le donne come una massa indifferenziata", senza tenere conto delle specifiche situazioni e testimonianze. * In realta', gli studi che si sono succeduti nel tempo hanno affrontato il tema delle donne greche distinguendo bene i differenti contesti storici e geografici e il differente status sociale delle donne, e soprattutto introducendo tipologie nuove di testimonianze: in Italia, gli studi di Eva Cantarella, che pur continuano a muoversi in un'ottica di denuncia, hanno il merito di avere portato l'attenzione sulle fonti giuridiche, che appaiono non sottoposte a filtro ideologico; dall'indagine, avviata dalla scuola pavese, sui testi di ginecologia, e' emersa la ricostruzione medica della fisiologia femminile nelle sue connessioni con dinamiche sociali (7), e si e' evidenziato, insperabilmente, quanto il corpo fosse terreno su cui le donne avevano un loro proprio sapere. Dunque, sul piano metodologico, e' ormai acquisita la impraticabilita' di affermazioni univoche, dal momento che le testimonianze rinviano ad ambiti diversi in cui, con differente gradazione, puo' definirsi la sfera d'azione della donna. Per esempio, come ha suggerito Gould, elementi costitutivi della cultura, distinti ma complementari, come il diritto, il mito e il costume, rivelano la complessita' della posizione sociale femminile (8). Sicche', la stessa nozione di "marginalita'" e' apparsa inadeguata per rappresentare la condizione della donna greca, potendosi semmai circoscrivere questo fenomeno solo alle donne di condizione libera ad Atene in eta' classica; ma anche in questo caso, a fronte dell'esclusione dal "formal power" politico sono state riconosciute "unformalized rules" praticate nel sociale. Ormai affrancati da vocazioni vittimistiche, alcuni studi hanno cercato di rintracciare, al contrario, spazi di espressione femminile, per esempio nei rituali religiosi e nello sport (9), o hanno ricostruito personalita' storiche d'eccezione (10). * Al filone che si puo' definire latamente "femminista", ha fatto seguito negli anni '80 l'approccio che ha il suo referente teorico nella gender theory, sull'onda di quanto andava maturando piu' in generale nella ricerca storica e antropologica per l'eta' moderna e contemporanea. Secondo questa teoria il genere sessuale diviene una efficace categoria di analisi storica, nel senso che non solo le donne non possono piu' essere oggetto di indagine come gruppo isolato, ma anzi proprio le relazioni tra i due gruppi sessuati, da studiare nella costante tensione reciproca che li attraversa, strutturano l'intera organizzazione sociale e i rapporti di potere che ne sono alla base (11). Dalla storia delle donne si e' cioe' passati alla storia di genere, per l'impossibilita' metodologica di fare astrazione dalla relazione conflittuale che governa e ha governato il rapporto tra i sessi. Se tra questi esiste un aperto conflitto, tuttora irrisolto, ed esso e' rintracciabile nei diversi contesti storico-sociali, e dunque anche nella Grecia antica, ad entrambi i poli impegnati nella relazione va rivolta l'analisi, in quanto si definiscono reciprocamente. La relazionalita' nel conflitto, lo scambio e l'interferenza tra femminile e maschile divengono pertanto oggetto di analisi, specie da parte della critica anglofona, statunitense in particolare. * In territorio francese, superati gli studi di impostazione tradizionale, e' stata introdotta una specificita', all'interno della nozione di gender, costituita dall'efficace categoria di "antropologia storica dei sessi", secondo la definizione di Pauline Schmitt Pantel. Sul solco della scuola antropologica francese di Gernet e Vernant, che hanno analizzato il mondo greco cogliendovi la rappresentazione dell'essere umano nei principali fenomeni culturali astraendo dai singoli eventi, l'antropologia storica e' invece fortemente radicata nella storia, attenta ai cambiamenti e alle fratture, pronta a cogliere la dimensione dinamica che il tempo storico introduce. Sicche' l'antropologia storica dei sessi comporta l'immissione, nell'indagine storiografica sul mondo greco, della differenza sessuale e dei rapporti tra i sessi, nel senso che la dimensione sessuata permette un modo nuovo di guardare alla storia (12). Questo metodo di lettura e' alla base della Storia delle donne in occidente, di Duby e Perrot, il cui il primo volume e' dedicato a L'antichita', e informa la vasta produzione di Nicole Loraux, col suo intelligente progetto di lettura sessuata della democrazia ateniese (13). * I cambiamenti di prospettiva, la pluralita' di approcci e il moltiplicarsi di tematiche prima inesplorate hanno accompagnato la trasformazione, nel campo politico, da una posizione emancipazionista, con la sostanziale accettazione di logiche di omologazione, ad una concezione che al mito dell'uguaglianza contrappone l'assunzione consapevole della differenza. Mi riferisco alla elaborazione teorica, prodotta dalla filosofia femminile, che proprio nella irriducibile differenza tra i sessi individua il fondamento speculativo su cui costruire nuove forme di soggettivita' e nuovi modelli di relazione, non piu' in termini di complementarita' ma anzi di approfondimento delle specificita'. Il pensiero della differenza sessuale, diffuso dagli anni '80 in Francia da Luce Irigaray e in Italia dalla comunita' filosofica Diotima, ha consentito infatti alle donne, attraverso l'iscrizione in una linea genealogica materna, di riconoscersi in un nuovo ordine simbolico, quello appunto femminile e materno, riattualizzato nella pratica politica di relazioni tra donne, produttrice di spazi autonomi di liberta'. Questo pensiero costituisce lo sfondo speculativo su cui proietto la mia ricerca. E' questo l'orizzonte da cui far affiorare un senso nuovo della mia lettura di donne del passato. Nella "tessitura" del mio testo, avro' come compagne, straordinarie e insostituibili, eroine del mito, invenzioni letterarie, personaggi della storia, mute come tutte le donne del passato. Con loro, con la loro testimonianza silenziosa, con la loro vita quotidiana, con i loro vissuti mi accompagnero' in questo percorso. Con loro annodero' i fili sparsi del mio discorso. * Note 1. Una proposta di epistemologia femminile, intesa come passiva e ricettiva, e in cui il pensare si nutre del sentire, in L. Mortari, Verso un'epistemologia femminile, "Studium educationis. Rivista per la formazione delle professioni educative", II, 2003, Genere e educazione, pp. 365-380, che attinge al pensiero di Maria Zambrano, Simone Weil, Hannah Arendt e Edith Stein. Ai saperi dell'esperienza e' dedicato il volume di Diotima, Il profumo della maestra. Nei laboratori della vita quotidiana, Liguori, Napoli 1999. La specificita' dei saperi femminili nella loro opposizione rispetto ai saperi sistematizzati maschili e' evidenziata da G. Seveso, Per una storia dei saperi femminili, Unicopli, Milano, 2000, che ne delinea la storia anche attraverso il richiamo ai miti greci. 2. Le ricadute nella riflessione e nella pratica pedagogica di due opposti modelli epistemologici sono ormai oggetto di numerosi studi, tra cui mi limito a citare F. Cambi, Il femminile, la differenza e la filosofia dell'educazione. Contributi per un nuovo modello pedagogico, in E. Beseghi, V. Telmon (a cura di), Educazione al femminile: dalla parita' alla differenza, La Nuova Italia, Firenze, 1992, pp. 57-87, A. M. Piussi, La grazia di nascere donne. Insegnare e imparare il mondo nell'orizzonte della differenza sessuale, ivi, pp. 89-109, e A. M. Piussi, Oltre l'uguaglianza: farsi passaggio, in AA. VV., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Guerini, Milano, 2001, pp. 207-236, in un volume cui rimando per un approccio complessivo alla pedagogia della differenza sessuale con bibliografia. 3. Per la teorizzazione del "partire da se'", cfr. Diotima, La sapienza di partire da se', Liguori, Napoli, 1996. 4. Riferirsi alla distinzione arendtiana, sviluppata in Vita activa del 1958, e' legittimato dal fatto che, come e' noto, proprio la polis greca e' il modello su cui l'intera riflessione e' costruita. Un intelligente uso e superamento del pensiero arendtiano dall'ottica del pensiero femminile e', tra i molti, in L. Muraro, Vita passiva, in AA. VV., La rivoluzione inattesa, Nuova Pratiche Editrice, Milano, 1997, pp. 65-84. 5. Il dibattito sul rapporto tra donne e politica, in una prospettiva che aggiorni lo slogan degli anni '70 "il personale e' politico", e' tanto ampio e affrontato da diverse ottiche e orientamenti che e' impossibile darne conto. Nell'ambito del pensiero della differenza sessuale si vedano per esempio L. Cigarini, La politica del desiderio, Pratiche, Parma, 1995, e le continue riprese del tema dalle pagine di "Via Dogana", rivista della Libreria delle donne di Milano. 6. Beninteso di quella occidentale. Cfr. le osservazioni di G. Duby, M. Perrot, Storia delle donne in occidente. L'antichita', Laterza, Roma-Bari, 1990, nella introduzione a p. V dicono che "la registrazione primaria di cio' che esse fanno e dicono e' mediata dai criteri di selezione degli scribi del potere". 7. Mi riferisco a S. Campese, P. Manuli, G. Sissa, Madre materia. Sociologia e biologia della donna greca, Boringhieri, Torino, 1983. Ma la ginecologia costituisce ormai un ampio settore di ricerca, soprattutto nell'ambito degli studi in lingua inglese e francese. 8. Cfr. J. Gould, Law, Custom and Myth: Aspect of the Social Position of Women in Classical Athens, "The Journal of Hellenic Studies", 100, 1980, pp. 38-59. 9; Nel volume di G. Arrigoni (a cura di), Le donne in Grecia, Laterza, Roma-Bari, 1985. 10. Nel volume Grecia al femminile (a cura di N. Loraux), Laterza, Roma-Bari , 1993. 11. La teorizzazione della nozione di gender e' stata condotta da J. W. Scott, Il "genere": un'utile categoria di analisi storica, in Altre storie. La critica femminista alla storia (a cura di P. Di Cori), Clueb, Bologna, 1996, pp. 307-347 ("Rivista di storia contemporanea", 4, 1987; "Les Cahiers du Grif", 1988), che ne fonda la definizione su due proposizioni: "il genere e' un elemento costitutivo delle relazioni sociali fondate su una cosciente differenza tra i sessi, e il genere e' un fattore primario del manifestarsi dei rapporti di potere" (p. 333). 12. Questa riflessione e' sviluppata in P. Schmitt Pantel, La difference des sexes, histoire, anthropologie et cite' grecque, in M. Perrot (sous la direction de), Une histoire des femmes est-elle possible?, Editions Rivages, Paris, 1984, pp. 98-119 e Autour d'une anthropologie des sexes: a' propos de la femme sans nom d'Ischomaque, "Metis", 9-10, 1994-95, pp. 299-305. 13. Mi riferisco in particolare a N. Loraux, Les enfants d'Athena. Idees atheniennes sur la citoyennete' et la division des sexes, Maspero, Paris, 1981, e Il femminile e l'uomo greco, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1991 (Paris, 1989). 3. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: EDITH STEIN. LA PASSIONE PER LA VERITA' Angela Ales Bello, Edith Stein. La passione per la verita', Edizioni Messaggero di Sant'Antonio, Padova 1998, 2003, pp. 142, euro 11. Un puntuale profilo pubblicato nella bella collana "Tracce del sacro nella cultura contemporanea". 4. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: INVITO ALLA LETTURA DI EDITH STEIN Angela Ales Bello, Invito alla lettura di Edith Stein, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 1999, pp. 96, lire 12.000. Una breve ma acuta antologia di scritti di Edith Stein curata dalla sua maggiore studiosa italiana. 5. RILETTURE. ANGELA ALES BELLO: EDITH STEIN. PATRONA D'EUROPA Angela Ales Bello, Edith Stein. Patrona d'Europa, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (Al) 2000, pp. 156, euro 10,33. Un'agile, sempre accurata e pertinente, monografia introduttiva. 6. RILETTURE. LAURA BOELLA, ANNAROSA BUTTARELLI: PER AMORE DI ALTRO. L'EMPATIA A PARTIRE DA EDITH STEIN Laura Boella, Annarosa Buttarelli, Per amore di altro. L'empatia a partire da Edith Stein, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 118, euro 8,25. Uno studio che vivamente raccomandiamo. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 20 del 14 luglio 2005
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