La nonviolenza e' in cammino. 990



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 990 del 13 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Maria G. Di Rienzo: Acido
2. Vittorio Possenti: La prima urgenza e' la vita. Biopolitica, embrione,
persona
3. Riletture: Juliet Mitchell, La condizione della donna
4. Riletture: Rosalba Spagnoletti (a cura di), I movimenti femministi in
Italia
5. Riletture: Biancamaria Frabotta (a cura di), Femminismo e lotta di classe
in Italia (1970-1973)
6. Riletture: "Donna Parlamento Societa'", Persona, liberta', sessualita':
culture a confronto
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: ACIDO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Per Sumeya Abdullah, un'insegnante elementare di 34 anni di Baghdad, la vita
e' cambiata. Alla fine di giugno ha avuto le gambe bruciate dall'acido,
perche', dice, non indossa ne' velo ne' mantello lungo. Un attacco in
strada, da uomini qualunque. "Stavo facendo la spesa in uno dei distretti
piu' affollati della citta', ha raccontato, All'improvviso ho sentito la mia
pelle bruciare, e' stato orribile, un dolore tremendo. Poi mi sono trovata
in ospedale". I testimoni dell'aggressione dicono che gia' da due settimane
le donne del distretto venivano assalite con l'acido a causa del loro
"abbigliamento immodesto". Gli aggressori lanciano l'acido a piedi, o lo
spruzzano da auto in movimento. "I diritti e la liberta' personale
dovrebbero essere rispettati, ed ogni persona dovrebbe poter scegliere come
vestirsi. E quei criminali dovrebbero essere in prigione.", ha concluso
Sumenya.
L'attacco ad Hania Abdul-Jabbar, sempre in giugno, e' stato ancora peggiore.
"Il mese scorso stavo tornando a casa da scuola quando sono stata presa in
strada da tre uomini. Mi hanno gettato acido sul viso e sulle gambe. Mi
hanno tagliato tutti i capelli mentre mi colpivano in faccia molte volte,
dicendomi che quello era il prezzo che pagavo per la mia disobbedienza alla
volonta' di Dio, perche' non indossavo il velo". Hania, studentessa
universitaria, ha 23 anni. A causa dell'attacco oggi e' cieca da un occhio e
non lascia piu' la propria casa. "Ho paura. In piu' sono sfigurata in modo
permanente, ho una faccia da mostro".
La polizia di Baghdad conferma dozzine di aggressioni all'acido nelle ultime
settimane. Sono i fondamentalisti religiosi, sostiene il capo investigatore
Maj Abbas Dilemi, ma aggiunge che c'e' di peggio: "Le nostre fonti
testimoniano che un gran numero di bambini vengono usati per perpetrare
queste violenze. L'unico adulto che siamo riusciti ad arrestare ha
confermato di non poter accettare che le donne indossino abiti occidentali,
o se ne vadano in giro senza velo, e sostiene che Dio lo proibisce".
Gli attacchi e le intimidazioni non sono limitate alla capitale irachena.
Nella provincia occidentale di Anbar, le residenti donne hanno ricevuto
l'avviso di non uscire di casa senza velo sin dall'aprile 2004. Cinque sono
gia' state uccise per non aver obbedito agli ordini dei fondamentalisti. "Il
nostro e' un paese musulmano, spiega uno di essi, lo sciita 'radicale' Sheik
Hussein Abbas, Le donne devono rispettare questo, e indossare i veli e i
mantelli lunghi. Sono contro l'uso dell'acido su di loro, ma qualcosa deve
pur essere fatto per forzarle a vestire in modo musulmano".
Le donne resistono: "Non forzero' me stessa ad usare qualcosa in cui non mi
sento a mio agio", risponde Hiba Zuheir, 24 anni, residente nel distretto di
Mansour dove sono gia' avvenute numerose aggressioni, "Le donne in Iraq
stanno perdendo il loro posto nella societa'. Noi donne dobbiamo lottare per
determinare chi siamo, e come vogliamo vestirci, nonostante tutti i pericoli
e le minacce".
Se c'e' ancora qualcuno a sinistra convinto che la faccenda del velo sia una
questione di "rispetto per le altre culture", per favore, non ne parli con
me. Ne parli con Sumenya, Hania e Hiba. E se vuole mostrare rispetto,
rispetti il loro dolore, e la loro volonta'.

2. RIFLESSIONE. VITTORIO POSSENTI: LA PRIMA URGENZA E' LA VITA. BIOPOLITICA,
EMBRIONE, PERSONA
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
trasmesso il seguente saggio di Vittorio Possenti. Vittorio Possenti e'
docente di filosofia politica presso l'Universita' di Venezia, dove dirige
il Centro interdipartimentale di ricerca sui diritti umani (Cirdu). In
precedenza ha insegnato storia della filosofia morale. I suoi studi si sono
indirizzati alla politica, la metafisica, l'etica. E' autore di circa 20
volumi, alcuni dei quali tradotti in varie lingue. Coordina "Seconda
navigazione. Annuario di filosofia" (Mondadori, Milano), e' redattore delle
riviste "Per la filosofia"; "La societa'"; "Sensus Communis"; collabora ad
alcuni quotidiani. E' membro del Comitato Nazionale di Bioetica e della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali. Opere di Vittorio Possenti:
Frontiere della pace, Massimo, Milano 1973; Filosofia e societa'. Studi sui
progetti etico-politici contemporanei, Massimo, Milano 1983; Giorgio La Pira
e il pensiero di san Tommaso, Studia Universitatis sancti Thomae in Urbe,
Roma 1983; seconda edizione rivista e aumentata col titolo La Pira tra
storia e profezia. Con Tommaso maestro, Marietti, Genova-Milano 2004; La
buona societa'. Sulla ricostruzione della filosofia politica, Vita e
Pensiero, Milano 1983 (traduzione portoghese IDL, Lisboa 1986); Una
filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in J. Maritain,
Massimo, Milano 1984; Felice Balbo e la filosofia dell'essere, Vita e
Pensiero, Milano 1984; Tra secolarizzazione e nuova cristianita', EDB,
Bologna 1986; Le societa' liberali al bivio. Lineamenti di filosofia della
societa', Marietti, Genova 1992, seconda edizione (traduzione spagnola,
Barcellona 1997); Oltre l'Illuminismo, Edizioni Paoline, Roma 1992
(traduzione polacca, Cracovia 2000); Razionalismo critico e metafisica.
Quale realismo?, Morcelliana, Brescia 1996 (seconda edizione ampliata); Dio
e il male, Sei, Torino 1995 (traduzione spagnola, Madrid 1997);
Cattolicesimo e modernita'. Balbo, Del Noce, Rodano, Ares, Milano 1995;
Approssimazioni all'essere. Scritti di metafisica e di morale, Il Poligrafo,
Padova 1995; Il nichilismo teoretico e la "morte della metafisica", Armando,
Roma 1995 (Premio internazionale "Salvatore Valitutti", 1996; traduzione
polacca, Lublin 1998); Terza navigazione. Nichilismo e metafisica, Armando,
Roma 1998; Filosofia e Rivelazione, Citta' Nuova, Roma 2000, seconda
edizione (traduzione inglese, Aldershot 2001, spagnola Rialp 2002, in corso
traduzioni francese e polacca); La filosofia dopo il nichilismo, Rubbettino,
Soveria Mannelli 2001 (traduzione polacca, Lublin 2003); Religione e vita
civile, Armando, Roma 2002, seconda edizione (Premio Capri san Michele, in
corso traduzione polacca); L'azione umana, Citta' Nuova, Roma 2003; Essere e
liberta', Rubbettino, Soveria Mannelli 2004. Opere di autori vari (a cura e
con saggi di Vittorio Possenti): Maritain e Marx, Massimo, Milano 1978,
seconda edizione ampliata 1979, traduzione spagnola Cedial, Bogota' 1980;
Epistemologia e scienze umane, Massimo, Milano 1979; Storia e cristianesimo
in Jacques Maritain, Massimo, Milano 1979; Jacques Maritain oggi, Vita e
Pensiero, Milano 1983; Jacques Maritain e la filosofia dell'essere, Il
Cardo, Venezia 1996; Nichilismo Relativismo Verita'. Un dibattito,
Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Laici o laicisti? Dibattito su religione
e democrazia, Liberallibri, Firenze 2002; La questione della verita',
Armando, Roma 2003]

La vita e' diventata il primo e piu' fondamentale problema della politica, e
non solo delle democrazie, un luogo fondamentale da cui non si puo' evadere.
Non vi e' politica degna di questo nome se questa non mira a preservare,
conservare, promuovere la vita (1). In questo senso ogni politica autentica
e' una biopolitica, che basilarmente significa custodire la vita sin dal
concepimento, e proteggerla nel suo svolgimento attraverso la promozione
della pace e l'emarginazione delle guerre e delle violenze, che
costituiscono la massima negazione del rispetto dell'uomo e del suo vivere.
Se qui mi occupero' della vita e dell'embrione in particolare, nessuno
voglia dimenticare che l'edificazione della pace a livello planetario rimane
l'altro, immenso, inderogabile aspetto di una biopolitica all'altezza del
suo compito (2).
*
Sul concetto di persona in bioetica: funzionalismo e personalismo
L'attuale condizione della bioetica e dei suoi problemi, nonostante il
convergere su di essa di tante ricerche e attenzioni, non puo' non apparire
alquanto precaria, per la difficolta' a fare emergere "evidenze etiche e
antropologiche" condivise. L'urgenza di trovare soluzioni ai dilemmi morali
suscitati dal progredire di tecnologie miranti a un integrale potere di
disposizione sulla vita, ha il suo peso nell'indirizzare verso elaborazioni
precipitose. In questo quadro assume valore emblematico il tema
dell'embrione umano, in cui si combinano la sua "inapparenza", ossia il suo
ridursi a qualcosa di quantitativamente e dimensionalmente minimo, e il
costituire un crocevia imprescindibile, perche' in esso ne va della
comprensione dell'uomo e della vita. Nei suoi confronti va reso operante il
principio di rispetto, che scopre nell'infinitamente piccolo una promessa,
meritevole di tutela e di nonviolenza in una misura pari a quella che si
rivolge ai gia' nati; che tenta di percepire, istruito dai dati che la
scienza mette a disposizione, i molteplici livelli di realta' compresenti
nel fenomeno-vita (3).
Naturalmente con la questione dell'embrione emerge in tutta la sua forza la
domanda sulla persona. Il chiarimento del concetto di persona appare un
crocevia imprescindibile per avviare a soluzione molti problemi con cui la
bioetica si confronta. Se da un lato l'idea che si debba rispettare la
persona risulta quasi universalmente accettata (e' una sorta di valore
ecumenico), occorre ammettere che non di rado si e' d'accordo solo a parole.
Non e' infrequente che nella ricerca sulla identificazione della persona,
particolarmente complessa nei casi di confine, vengano ritagliati concetti
di persona ad hoc tra loro distanti. Un tale evento si verifica in ambito
bioetico, dove quella identificazione e' messa alla prova in modo diretto.
Le scienze biologiche non sanno  alcunche' della persona: con la riflessione
su di essa ci si colloca al di fuori della biologia, si accede alla sfera
del sapere filosofico. Volgendosi verso le cose stesse, il metodo della
filosofia cerca, contrariamente alla scienza che opera un esteso processo di
"disontologizzazione" (legittimo, sul suo piano), l'ordine, il valore e per
cosi' dire il "sapore" dell'essere. Nel progetto scientifico moderno l'uomo
e' visto come sdoppiato in un livello in cui e' considerato soggetto
inalienabile (la persona, interpretata soprattutto come titolare di
diritti), e in un altro in cui e' oggetto, ossia parte della natura
fisico-biologica, su cui sovrintende la mano della scienza. A buon diritto,
Heidegger ha messo in guardia contro la possibilita' che l'uomo comprenda la
propria essenza a partire da quella della tecnica. Poiche' al soggetto si
riconosce una funzione operativa, non una sostanzialita' d'essere o
ontologica, questi sperimenta con angoscia di poter esser oggettivabile e
manipolabile (4).
Che cosa e' persona? E chi e' persona? La prima domanda concerne
l'elaborazione della definizione di persona; la seconda l'identificazione
dei soggetti cui attribuire la qualificazione di persona. In questo ultimo
contesto si incontra il delicato problema dell'attribuzione o meno della
personalita' all'embrione umano. Conviene avvertire, a scanso di equivoci,
che i dati della biologia saranno tenuti presenti, ma che l'argomentazione
non potra' che risultare inferenziale e non biologica, perche' l'esser
persona e' una condizione ontologica radicale non sempre evidente, per
l'affermazione della quale l'analisi biologica fornisce solo alcuni
elementi. Essa rileva nell'embrione umano una serie di caratteri, dal cui
insieme non e' possibile attribuire immediatamente la personalita'
all'embrione: non pare esservi cioe' deduzione immediata dallo statuto
biologico dell'embrione di un suo eventuale statuto ontologico personale.
In alcune correnti della bioetica contemporanea a sfondo riduzionistico
viene rifiutato il concetto stesso di persona, e tutto e' ricondotto a forme
compiute di utilitarismo etico e di "sensismo": hanno diritti solo gli
esseri senzienti capaci di provare piacere o dolore. Di conseguenza, saranno
titolari di diritti gli animali adulti, perche' capaci di godere e di
soffrire, ma non gli embrioni umani privi del sistema nervoso. Dal punto di
vista ontologico questo sensismo estremo, che appiattisce ogni rango
dell'essere riducendo tutto a materia animata capace di provare sensazioni,
si potrebbe definire un "animalismo trascendentale" (5). Al di fuori di
questa posizione, le altre sembrano riportabili a due linee, a seconda del
metodo assunto per rispondere alle domande di cui sopra: A) l'approccio
funzionalistico; e B) quello sostanzialistico.
A) La posizione funzionalistica cerca di definire la persona a partire da
sue operazioni ritenute particolarmente qualificanti. Questa posizione si
potrebbe anche denominare empiristica in senso lato, perche' ritiene
empiricamente accertabile l'esser persona e il divenir persona, attraverso
la verifica della presenza di certi caratteri, che sono stati assunti come
rilevanti per definire la persona stessa.
E' noto che vari autori definiscono la persona attraverso i caratteri
dell'autocoscienza, dell'autonomia, della razionalita', del possesso del
senso morale. Altri, come Derek Parfit, in base al possesso di stati
mentali/psicologici coscienti (6). Questa determinazione della persona e'
piu' larga della precedente, per cui coloro che sono persone in base al
primo paradigma lo sono anche secondo Parfit, mentre e' falso il viceversa.
Nelle due posizioni si verifica rispettivamente una "sovradeterminazione" e
una "sottodeterminazione" dell'idea di persona: in genere l'approccio
kantiano-trascendentale, a cui quello di Engelhardt si collega, inclina
verso il primo corno, perche' include nel concetto di persona sue funzioni
alte, mettendo tra parentesi il lato biologico-materiale, mentre l'approccio
psicologico-empirico inclina verso una sottodeterminazione della persona. In
tutti questi casi il principio "ecumenico" del rispetto della persona e' da
intendere come rispetto di sue singole proprieta' o funzioni, non del suo
nucleo ontologico radicale (7).
Con l'assunto secondo cui la condizione necessaria e sufficiente per essere
persona e' il possedere stati mentali coscienti, si viene tra l'altro a
impoverire la vita psichica, perche' il riferimento al livello della
coscienza psicologica lascia da parte sia la vita dell'inconscio istintuale,
sia quella del sopraconscio o preconscio dello spirito. La definizione
psicologica di persona sembra assumere senza prove l'identita' di mente (o
spirito) e di attivita' psichica conscia, non di rado riducendo lo stesso
livello psichico a quello cerebrale-neuronale. Si e' percio' di fronte a una
forma di riduzionismo, se intendiamo con questo termine l'intento
sistematico di riportare il piu' alto al piu' basso, e nella fattispecie lo
spirituale allo psicologico, e questo al cerebrale. Rimane come  problema
aperto quello dell'identita' personale, affidata alla precaria e fluttuante
continuita' stabilita dalla memoria (8).
La teoria della persona definita in base ai suoi stati psichici nega piu' o
meno implicitamente la possibilita' di una differenza intrinseca tra la
specie umana e le altre specie, perche' i flussi che accadono nella psiche
possono essere ridotti a quanto e' comune a specie non-umane e possono
coprire molti livelli, da un minimo a un massimo, senza che con questo siano
stabilite essenze ontologicamente diverse. A tale concezione, che trasforma
differenze essenziali in differenze di quantita' secondo un canone tipico
dell'empirismo, si lega il suggerimento di estendere il gradualismo anche ai
diritti dell'uomo, ad esempio al diritto alla vita. In tal caso verrebbe
formulato un diritto alla vita che parte da zero e progredisce in relazione
al processo ontogenetico del feto, raggiunge un massimo nella vita
post-natale sino alla piena maturita' e incipiente vecchiaia, e poi inizia a
declinare in relazione all'invecchiamento e all'alterazione psicologica
dell'anziano.
La concezione gradualistica della persona e del suo diritto alla vita e'
stata sostenuta da Parfit: "L'ovulo fecondato non e' un essere umano e una
persona fin dall'inizio ma lo diventa lentamente... (si osservi che viene
negata all'ovulo fecondato anche l'appartenenza alla specie umana, non solo
la personalita', ndr), la distruzione di questo organismo all'inizio non e'
moralmente sbagliata, ma a poco a poco lo diventa. Mentre all'inizio non e'
per nulla moralmente sbagliata, in seguito diventa una mancanza non grave
che sarebbe giustificata solo se, tenuto conto di tutto, la futura nascita
del bambino fosse un'eventualita' seriamente peggiore o per i suoi genitori
o per gli altri (manca ogni cenno agli interessi del feto, ndr). Quando
l'organismo diventa un essere umano a pieno titolo, ossia una persona, la
mancanza non grave si trasforma in un atto moralmente molto sbagliato" (9).
Chiaro e sgradevole e' l'assunto fondamentalmente materialistico che
individualita', personalita' e dignita' dipendano dal numero di cellule di
cui siamo composti, ossia: poche cellule=poca o punta dignita'.
*
L'equivoco dell'approccio funzionalistico (attualistico)
Siamo ora in possesso di un bagaglio sufficiente per procedere ad una
indagine da svolgere dialetticamente, ossia tenendo l'occhio su entrambi gli
approcci: quello sostanzialista della corrente B) e quello attualistico e
spesso empiristico secondo A). Nel caso B) l'essere persona non dipende dal
grado di presenza e di realizzazione empirica di certe qualita' e funzioni,
ma da una posizione d'essere, cioe' dalla natura ontologica (essenza) di
determinati individui, costante in loro. Ne consegue che dalla identica
posizione d'essere (essenza) scaturisce l'ugual valore di ogni persona, in
modo indipendente dal possesso attuale di certe proprieta' e/o funzioni.
Nell'approccio funzionalistico le differenze di essenza sono ricondotte
(gia' e' stato notato) a differenze di grado, disposte secondo un continuum,
per cui non sarebbe piu' possibile fissare univocamente in base a
considerazioni di essenza che cosa sia persona e chi lo sia. A cio' consegue
che la risposta a tali due domande dipenda fondamentalmente da una
stipulazione contrattuale per sua natura soggetta a variazione.
In questa posizione si fa avanti un equivoco filosofico notevole,
consistente nella dissoluzione della sostanza (e della sua realta') e nella
concomitante sua risoluzione nel concetto di funzione. Kelsen ha espresso in
modo incisivo questa capitale trasformazione: "La dottrina pura del diritto
ha riconosciuto il concetto di persona come un concetto di sostanza, come la
ipostatizzazione di postulati etico-politici (per es. liberta', proprieta')
e lo ha percio' dissolto. Come nello spirito della filosofia kantiana, tutta
la sostanza viene ridotta a funzione. Cio' e' stato dimostrato da Cassirer,
uno dei migliori kantiani, quando era ancora kantiano, nel suo bel libro"
(10). Nel noto dibattito di Davos del 1929 tra Heidegger e Cassirer,
quest'ultimo affermava: "L'essere della nuova metafisica non e' piu'
l'essere di una sostanza, ma l'essere che viene da una molteplicita' di
significati e di determinazioni funzionali" (11).
L'equivoco cui alludiamo consiste fondamentalmente nell'identificare ordine
dell'essere e ordine dell'agire, con una piena risoluzione del primo nel
secondo; di modo che la sostanza non e' piu' in radice denotata dal suo atto
d'essere ma da una processualita' funzional-attualistica, in cui a seconda
dei casi e delle scuole si pone l'accento su singole funzioni del campo
dell'agire, ad es. quelle idealistiche dell'autocoscienza e della relazione,
quelle prassistico-sociali, quelle produttivistico-tecniche, ecc. Abolito il
dislivello tra sostanza/esistenza e le sue funzioni/operazioni, il soggetto
individuale e' interpretato come attuosita' funzionale che si esprime in una
somma di atti, non come atto primo di essere d'una sostanza, che costituisca
il "luogo" di consistenza e di inesione di tutti gli altri atti, che saranno
dunque atti secondi operativi, e che li renda possibili e li "sostenga". La
filosofia dell'essere avverte che si' l'ordine dell'agire dipende da quello
dell'essere (operatio sequitur esse) - di modo che l'analisi del primo e'
utile e necessaria per conoscere qualcosa del secondo - ma che i due ordini
rimangono distinti nell'ente finito. Questo non si identifica mai con le sue
operazioni, mentre cio' accade solo nell'Atto puro, che e' identicamente il
suo essere e il suo agire, il suo conoscere e il suo amare.
Con l'anteriorita' e la distinzione dell'atto primo della sostanza rispetto
alle sue operazioni si guadagna un assioma notevole, ossia l'antecedenza e
il maggior valore della persona nei confronti delle sue operazioni; in cio'
si fonda anche l'identita' del soggetto, che altrimenti rischierebbe di
esser dissolta nella molteplicita' anche contraddittoria degli atti
temporalmente succedentisi. Non sembra pertanto risolutivo e corretto il
metodo di inferire il carattere personale di un individuo in base a certe
sue operazioni. In virtu' del dislivello non colmabile tra i registri
dell'essere e dell'agire, dovrebbe rimanere aperta la possibilita' che la
persona sia presente anche in mancanza di sue operazioni.
In linea generale l'approccio funzionalistico si manifesta impari nel
cogliere la densita' preoperazionale e l'ulteriorita' della persona, in
certo modo risolta-dissolta nelle sue operazioni, nonche' nel raggiungere la
cosa stessa, ossia il cuore della realta'. Questa e' infatti una immensa
repubblica di soggetti individui o di sostanze individuali, ciascuna delle
quali esercita in proprio, nei gradi e nelle forme piu' diverse e con una
ricchezza al di la' di ogni immaginazione, il proprio atto d'essere (actus
essendi). Dovunque l'essere e la vita sovrabbondano, crescono, declinano, si
mescolano. Di fronte a cio' sarebbe degno del pensiero lo stupore, la
contemplazione, il risveglio al senso dell'essere nel superamento del sonno
di fronte ad esso, in cui perlopiu' versiamo. Dinanzi ad un cosmo che e' una
immensa repubblica di soggetti individuali, il compito essenziale della
filosofia si puo' forse ricondurre alla conoscenza dei modi infinitamente
vari con cui gli individui esercitano il loro esistere.
*
Il personalismo ontologico
B) La prospettiva del personalismo ontologico, pur assegnando rilievo alla
ricerca degli indizi che possano segnalare la presenza della persona, non
ritiene che l'esser persona o il divenirlo siano accertabili solo
funzionalmente o empiricamente (e questo in particolare negli stati-limite),
ma che siano argomentabili razionalmente entro una concezione dell'essere e
dei suoi diversi gradi. Questa linea fa perno sull'idea di sostanza.
Nella tradizione filosofica sono state avanzate  determinazioni del concetto
di persona, tra loro affini, che per la loro coerenza razionale si pongono
come imprescindibili termini di confronto. La piu' nota e antica e' la
determinazione formulata da Boezio, secondo cui persona e' "rationalis
naturae individua substantia". Vicine si collocano le definizioni di
Riccardo di San Vittore ("rationalis naturae individua existentia") e di
Tommaso d'Aquino ("individuum subsistens in rationali natura") (12). Queste
definizioni tengono insieme i concetti necessari, cioe' natura, individuo,
sostanza, esistenza, razionalita'. Esse non escludono il livello
corporeo-biologico-genetico, nel senso che la sostanza individuale umana e'
anche corporea. Di conseguenza ci si puo' attendere che non venga messo da
parte il livello genetico-biologico, come sembra accadere nell'approccio
stipulativo-idealistico che vede l'autocoscienza, la razionalita' e il
giudizio morale come unici elementi costitutivi della persona.
Non c'e' percio' contraddizione nel sostenere che un individuo pu' essere
allo stesso tempo persona in atto e personalita' in potenza. Mentre il
divenire persona come possesso del suo proprio statuto ontologico radicale
non e' un processo, ma un evento o atto istantaneo, per cui si e' stabiliti
nell'esser persona una volta per tutte, la personalita' e' qualcosa che si
acquista processualmente, attraverso l'effettuazione di atti personali
(secondi). Ne consegue che dalla identica posizione d'essere (essenza)
scaturisce l'ugual valore di ogni persona, in modo indipendente dal possesso
attuale di certe proprieta' e/o funzioni. Con l'anteriorita' e la
distinzione dell'atto primo della sostanza rispetto alle sue operazioni si
afferma invece l'antecedenza e il maggior valore della persona nei confronti
delle sue operazioni; in cio' si fonda anche l'identita' del soggetto, che
altrimenti rischierebbe di esser dissolta nella molteplicita', anche
contraddittoria, degli atti che si succedono nel tempo (13).
La domanda che ora ci incalza e' se l'individuo umano possa essere separato
dalla persona, ossia esistere eventualmente in forma non personale. In base
alla corrente che determina la persona sulla scorta della
coscienza/autocoscienza, e' possibile che esistano individui umani non
ancora/non piu' persone. Tale e' la posizione di Engelhardt che, negando
l'equivalenza dei termini "essere umano" e "persona", conclude: "Non tutti
gli esseri umani sono persone... I feti, gli infanti, i ritardati mentali
gravi e coloro che sono in coma senza speranza costituiscono esempi di
non-persone umane. Tali entita' sono membri della specie umana" (14).
Tuttavia la definizione di persona come un ente dotato di coscienza o di
autocoscienza o di stati psichici non stringe adeguatamente il problema,
perche' non costituisce una definizione pienamente reale della persona; ne
coglie solo un aspetto o un attributo che non e' in senso proprio
essenziale, cioe' relativo ai caratteri essenziali. Se nella definizione di
un cosa si seleziona una sua proprieta', si determina una classe di
"oggetti", a cui naturalmente appartengono tutti coloro che la possiedono.
Con questo siamo pero' lontani dall'aver risolto il problema di una
definizione reale, che e' quanto soprattutto importa, perche' la proprieta'
prescelta potrebbe non essere "essenziale" in senso proprio. Se si procede
cosi' nella determinazione del concetto di persona, ne consegue che verranno
arbitrariamente eliminati dalla "classe delle persone" individui che lo
sono, ma che mancano del carattere abusivamente assunto come essenziale (in
ipotesi: la coscienza, la memoria, ecc.).
Per chiarire meglio questo aspetto, e' consigliabile condensare i principali
asserti che lo riguardano:
- se definiamo caratteri essenziali quelli che concernono la determinazione
di essenza di un qualsiasi ente, essi non posseggono un piu' o un meno, ma
ci sono o non ci sono, a differenza dei caratteri accidentali che sono
soggetti a cambiamento (crescita, diminuzione, privazione, ecc.). Nel caso
della persona, cio' che la rende tale e' l'essere un individuo di natura
spirituale (la qual cosa o c'e' o non c'e'), non il maggior o minor grado di
coscienza;
- i caratteri e le funzioni che possono crescere, diminuire, mancare, sono
per cio' stesso non essenziali. In particolare la privazione di una qualita'
(es. la vista, la parola, la coscienza) ammette gradi, mentre cio' non
accade con le proprieta' essenziali. Di conseguenza per il fatto che la
coscienza o gli stati psichici possono avere gradi, essi non costituiscono
una determinazione essenziale dell'esser persona. Si puo' anzi arrivare sino
alla privazione completa di una certa qualita' non essenziale, senza che
muti la natura ontologica di un oggetto: una persona umana non e' meno
persona se e' cieca;
- mentre i caratteri essenziali sono presenti sin dall'istante in cui si
forma la sostanza in oggetto, e si perdono solo con la sua dissoluzione,
quelli non essenziali possono essere posseduti prima potenzialmente, poi
svilupparsi e infine declinare.
Le precedenti considerazioni, nonche' quelle gia' addotte sul dislivello tra
registro dell'essere e quello dell'agire/funzioni, rendono plausibile
sostenere che l'individuo umano e' per se' persona, nonostante la
possibilita' di essere talvolta privo della coscienza (o della capacita' di
relazione, ecc.). Affermare cio' implica la equiestensionalita' dei due
concetti di "individuo umano" e di "persona umana".
Il personalismo ontologico potrebbe esser chiamato anche "personalismo
biologico", nel senso che esso interpreta come indissociabili il biologico
umano e il personale. Esso legge nel movimento teso a un fine e
autoprogrammato dell'embrione verso piu' compiuti stati corporei e psichici,
la regia di una forma immanente. Questa, presente sin dall'inizio, presiede
all'intero processo con la sua capacita' costruttiva unificante.
L'equivalenza dei concetti di "individuo umano" e di "persona umana" conduce
ad attribuire all'embrione lo statuto di persona. Tale conclusione, che gode
del grado di certezza che e' proprio del sapere filosofico, sembra la piu'
plausibile. In virtu' dei piu' sicuri elementi offerti dalla scienza
biologica e' certa l'individualita' sostanziale dell'embrione umano,
manifestata dalla sua attivita' immanente, autonoma, autoprogrammata,
finalizzata. Appena concepito, lo zigote comincia a comportarsi come un
essere vivo, indipendente, in possesso di un patrimonio genetico
assolutamente individualizzato e appartenente in modo esclusivo alla specie
umana, e che procede a svilupparsi in modo omogeneo e continuo. Secondo il
rapporto Warnock, "una volta che il processo e' incominciato non c'e' una
particolare parte dello sviluppo che sia piu' importante di un'altra: tutte
sono parte di un processo continuo". Dalle informazioni della biologia si
trae la certezza che sin dall'istante del concepimento c'e' vita umana per
la sua origine, la sua struttura genetica, per l'organizzazione cellulare,
per il senso teleologico dell'ontogenesi.
*
Il caso della Fivet
Difficilmente si puo' essere tanto disattenti da non cogliere la profonda e
crescente rivoluzione introdotta dalle tecniche di "fecondazione assistita o
extracorporea" umana (torneremo su quale sia il miglior modo per
denominarle), iniziate nel 1978 e da allora entrate in modo prepotente nella
vita  di tutti, compresi quelli - e sono la maggior parte - che
probabilmente non vi faranno mai ricorso. Le nuove tecniche cambiano il
nostro modo di guardare alla procreazione, alla nascita, alla vita, alla
famiglia, accendono i desideri, creano nell'immaginario collettivo una nuova
percezione della paternita', maternita', figliolanza, sviluppano attese e
paure inedite, danno all'uomo un sentimento di onnipotenza. Se non e' qui
idoneo il termine di rivoluzione, difficilmente sapremmo dove potrebbe
applicarsi.
Il fatto e' che la tecnica si pone come mediatrice di un desiderio umano
fondamentale: quello di avere un figlio. E' un desiderio sano e solido, non
pero' un diritto che esibisca se stesso per farsi valere a ogni costo. Il
desiderio lasciato a se stesso puo' raggiungere di fatto due esiti opposti,
di cui da' testimonianza la cronaca quotidiana. Essa  parla due lingue
completamente estranee, entrambe pero' lingue del desiderio assolutizzato, e
ci dice: nessun figlio a nessun costo (aborto), e un figlio a ogni costo
(Fivet). Sostenuta dalla tecnica, la logica del desiderio, se non e'
regolata da altri fattori, produce esiti contraddittori.
Naturalmente e' facile l'obiezione che, se l'attuale situazione delle
tecniche e della loro efficacia e' assai meno rosea di quanto si tende a far
credere, si puo' congetturare con buone probabilita' di azzeccarci che  i
progressi delle tecniche potranno rendere sempre piu' efficaci e con minimi
sprechi la "fecondazione assistita". Allo stato attuale comunque ignoriamo
se e quando sara' possibile arrivare a un solo ciclo di "cura" e a un solo
embrione prodotto e impiantato per ottenere un figlio in braccio.
Ma il porsi in una situazione ideale in cui si da' per acquisito che la
tecnologia della Fivet (acronimo di "fecondazione in vitro ed embryo
transfer") abbia raggiunto un alto grado di efficacia e di compiutezza ha il
vantaggio, se cosi' si puo' dire, di far emergere con maggior forza i gravi
problemi insiti nella "fecondazione assistita", a cominciare da quello del
linguaggio. La sua costante e spesso intenzionale manipolazione, suggerita
dallo scientismo, rinforzata dall'emergere di un'etica utilitaristica e
ampiamente propagandata dai mezzi di comunicazione, costituisce la premessa
di valutazioni e decisioni erronee. Opporsi alla manipolazione del
linguaggio e ripristinare  il suo corretto impiego concettuale costituisce
un passo indispensabile per recuperare liberta' per l'opinione pubblica e
freschezza di giudizio non pilotato. Evitare le mistificazioni che
provengono dall'impiego artefatto del linguaggio e' in realta' una grande
battaglia di civilta'. In questo spirito riterrei necessario eliminare d'ora
innanzi i termini in vario modo ingannevoli di "fecondazione assistita" e di
"procreazione assistita", che viceversa sono tuttora assai impiegati nel
trasmettere all'opinione pubblica un modo non corretto di percepire il
problema.
Nella sua oggettivita' il termine Fivet descrive meglio il processo e poco
si presta a manipolazioni: esso dice appunto che il procedimento crea
artificialmente o in provetta un embrione umano, che successivamente viene
trasferito meccanicamente nel grembo della futura madre. Ancor meno
ingannevole e' il termine acronimo inglese "Art" (Artificial Reproduction
Technique) perche' dichiara subito che siamo di fronte a una tecnica di
riproduzione artificiale. Sufficientemente parlanti sono pure i termini
"tecniche di fecondazione extracorporea", oppure "tecniche di fecondazione
extracorporea medicalmente indotta". Riterrei invece decisamente da evitare
la dizione, peraltro molto usata, di "procreazione assistita": non siamo
infatti di fronte alla procreazione per unione fra due persone di sesso
diverso e conseguente gestazione nel grembo materno, ma a qualcosa di
qualitativamente differente, nonostante l'identico sbocco dei due processi
che sfociano nella nascita del bambino.
La differenza qualitativa  sorge dalla considerazione di che cosa significhi
"assistere": la' dove vi e' realmente assistenza, il soggetto assistito
opera come soggetto primo, autonomo e iniziante di un processo vitale, che
non gli viene sottratto nelle sue naturali modalita', mentre l'assistenza si
limita a coadiuvare. Nella cosiddetta fecondazione assistita invece i
"tecnologhi della provetta" si sostituiscono ai due soggetti, i futuri padre
e madre. La' dove vi e' sostituzione, non puo' piu' parlarsi di assistenza.
Secondo la Donum vitae "la Fivet... e' attuata al di fuori del corpo dei
coniugi mediante gesti di terze persone la cui competenza e attivita'
tecnica determinano il successo dell'intervento; essa affida la vita e
l'identita' dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un
dominio della tecnica sull'origine e sul destino della persona umana". Se
dunque nel termine "fecondazione assistita" e' l'aggettivo a fare problema,
in quello di procreazione assistita lo fanno tanto il sostantivo quanto
l'aggettivo. Si aggiunga che nella massima parte dei casi la generazione
artificiale extracorporea non e' attualmente una terapia in senso proprio,
poiche' se e' vero che riesce generalmente a mettere a disposizione
l'effetto desiderato (il figlio), non interviene sulle cause, ossia non cura
i soggetti sterili che rimangono tali e non vengono liberati dalla loro
patologia.
E che dire di coloro che mettono a disposizione il loro seme a fini di
fecondazione eterologa, e che si disinteressano totalmente dei loro figli,
perche' tali sono gli embrioni prodotti, compresi quelli congelati? Il
confuso e manipolato lessico finora invalso li chiama "donatori". Ma essi
non donano un bel niente. Mettono a disposizione qualcosa che in natura e'
in genere sovrabbondante, ossia il seme/sperma umano; ma lo rendono
disponibile in maniera dissociata, separando il momento animale-vitale della
fecondazione da quello in se' fondamentale dell'incontro dell'uomo e della
donna in un atto che non e' solo biologico ma coinvolge tutto il dinamismo
personale e interpersonale della procreazione umana. Di per se' il dono e'
un atto personale, libero, intenzionale, rivolto a qualcuno che ci sta
dinanzi e di cui vediamo il volto. Il supposto "donatore" di seme e' altra
cosa: egli fornisce sperma come un oggetto a qualcuno che e' per lui
sconosciuto, una x. Probabilmente il termine donatore e' un'estrapolazione
del tutto impropria di fenomeni chimici all'ambito della generazione. In
chimica si chiama donatore un elemento capace di cedere a un altro qualcosa
come un atomo o un raggruppamento atomico: ad esempio e' donatore di
idrogeno un composto capace di cedere idrogeno ad altro composto che
funziona da "accettore". Si intende immediatamente quale straordinario
equivoco vi sia nell'estendere alla generazione umana extracorporea il
linguaggio della chimica: significa appunto disumanizzarla e riportarla
pienamente nell'area della oggettivazione scientifica e della produzione
tecnica.
Non pare dunque scenario inventato  la previsione che i successi della
scienza e la fiducia in essa che facilmente producono, uniti alla mentalita'
eugenetica che va prendendo piede, conducano a ritenere che la vera e sicura
generazione sia quella interamente artificiale, non piu' il naturale
concepimento seguito da gravidanza. Si perverrebbe allora alla realizzazione
del sogno faustiano della produzione artificiale dell'uomo, descritto oltre
due secoli fa da Goethe nel Faust, come gia' ricordato. Se Darwin credeva
che l'uomo fosse stato "creato dagli animali" nel senso che provenisse da
essi, oggi ci incamminiamo a credere che l'uomo futuro sara' prodotto dai
tecnologhi. Decisamente Faust e Wagner hanno prevalso su Darwin. Con la
nuova posizione l'intero ambito di quel che era appropriato chiamare
"procreazione umana" cambia nettamente e, uscendo dall'area del procreare,
entra in quella del fare, del produrre tecnico.
Contestualmente nasce una nuova industria: l'industria altamente tecnologica
della fecondazione extracorporea che, come ogni industria, e' soggetta a
fattori ben noti: il profitto, la legge della domanda-offerta, la
pubblicita', la concorrenza, il mercato, la sollecitazione al consumo, ecc.,
dove l'affare (il business) e' appunto produrre bambini e costruire
artificialmente famiglie. Con il cambiamento detto si opera una transizione
per cui l'"essere qualcuno" si muta in "essere qualcosa". A nessuno sfugge
la problematica concezione sottostante e i seri rischi che le sono connessi,
dipendenti in ultima istanza dalla fuoriuscita del delicato evento della
procreazione umana dall'ambito del rapporto naturale fra uomo e donna per
entrare in quello della produzione tecnica. Produzione tecnologica contro
procreazione, cui si collega l'evento, anch'esso di particolare rilievo,
secondo cui gli interessi degli adulti coinvolti (e dei fattori economici)
prevalgono sugli interessi dell'embrione e del bambino.
*
Conclusioni
Il rispetto della vita umana inizia dal rispetto dell'embrione: una
posizione che non ha nulla del panvitalismo il quale non distingue fra le
quasi infinite modalita' della vita. L'embrione umano e' vita umana, non
genericamente vita. E' percio' una vera banalita' sostenere che vita e
persona non sono sinonimi: lo sanno tutti, ma non e' questo il punto,
poiche' la domanda verte non solo sulla vita indistintamente, ma su quella
umana. Quest'ultima inizia con la trasformazione sostanziale del
concepimento in cui dal seme e dall'uovo prende avvio una realta'/sostanza
diversa. Al momento del concepimento si forma un individuo umano (ossia
appartenente alla specie umana) quale sostanza determinata e che esercita in
proprio l'atto di esistere, anche nel caso in cui successivamente per
divisione l'uno diventasse due (gemelli monozigoti). Qui rimarrebbe da
determinare se un embrione che poi si scindera' sia all'inizio una sola
sostanza, o una soltanto in apparenza: ma in entrambi i casi abbiamo che
fare con individualita' sostanziali appartenenti alla specie umana. In altri
termini non vi sono motivi sufficienti per sostenere che nel processo di
formazione di gemelli monozigoti accada una seconda trasformazione
sostanziale dopo la prima consistente nell'unione fra spermatozoo e oocita:
piuttosto puo' accadere una moltiplicazione per due o duplicazione.
Uno degli aspetti piu' inquietanti della Fivet non e' solo l'inclinazione
quasi irresistibile alla eugenetica che essa comporta; consiste nel fatto
che si finisce per negare all'embrione ogni diritto. Esso diventa res
nullius, cui si infligge la "pena" violenta del congelamento. Ma
l'indisponibilita' dell'embrione umano richiede che nessuna violenza sia
esercitata nei suoi confronti, fra cui appunto quella inapparente ma non per
questo meno insidiosa e profonda, di congelarlo. Con questo metodo il
soggetto adulto si arroga un potere arbitrario: quello di bloccare la
crescita naturale dell'embrione, impedendogli di svilupparsi e di diventare
feto e poi neonato. Sia lecito avanzare alcune domande: sulla base di quale
fondamento, in virtu' di quale legittimita' o regola ci attribuiamo il
diritto di congelare l'embrione umano, esercitando su di lui la massima
costrizione possibile, quella di impedirgli di crescere (temporaneamente o
permanentemente)? Quale giustificazione ha la violenza (bianca, perche' non
scorre sangue, ma violenza e', sottile e barbara) e la altrettanto intensa
volonta' di potenza che mettiamo in atto su di lui, bloccandolo ad uno
stadio iniziale di svolgimento? A parte l'assassinio, si da' violenza piu'
alta di quella di bloccare un processo vitale, destinato certamente alla
nascita, con la tecnica del congelamento che per l'embrione soprannumerario
rappresenta un "ergastolo tecnologico" che si concludera' con la
soppressione o "in lavandino" o per prelievo di cellule staminali? Sulla
base di quale "diritto" appunto, se non quello di considerare l'embrione
umano o il concepito un "signor nessuno"? Molti di coloro che sostengono la
liceita' di manipolare e sopprimere l'embrione, affermano infatti che non si
fa del male a "nessuno". L'embrione umano, appunto, come nessuno.
Riducendo l'embrione a nessuno, questi viene escluso dal criterio centrale e
fondativo di ogni civile convivenza, raffigurabile nel principio del neminem
laedere. Ma cio' non puo' che comportare conseguenze catastrofiche, poiche'
nelle societa' umane si puo' forse fare a meno per qualche tempo di un
criterio di giustizia distributiva, non invece in alcun modo della garanzia
del neminem laedere che non trae la sua validita' dal consenso, e tolta la
quale non si da' piu' alcuna forma di societa' civile. Una biopolitica degna
di questo nome, chiamata a non derogare dal rispetto rigoroso del criterio
del neminem laedere, non puo' che garantire adeguata protezione all'embrione
come appartenente alla specie umana.
*
Note
1. "Che si tratti di vita individuale o di vita della specie, e' la vita
medesima che la politica e' chiamata a mettere in salvo, appunto
immunizzandola dai rischi di estinzione che la minacciano. Quando si parla
di 'biopolitica' come di quella politica in cui e' in gioco la realta' e la
possibilita' stessa del vivente, e' a questa estrema riduzione di senso che
occorre guardare per intenderla nella sua accezione piu' originaria e
generale", R. Esposito, Immunitas, Einaudi, Torino 2002, p. 134.
2. Sulla pace cfr. il mio studio "Dottrina sociale della Chiesa, pace,
riforma dell'Onu",  La societa', n. 5, 2003, pp. 639-655, e Pace e guerra
fra le nazioni, dispense del corso di Filosofia politica, Cafoscarina,
Venezia 2004.
3. Cfr L. Lombardi Vallauri, Terre, Vita e pensiero, Milano 1989.
4. Con l'approccio ontologico alla persona e al suo valore sembra potersi
raggiungere un altro guadagno, cioe' una considerazione meditante della
procreazione umana, quale atto proprio dell'uomo. Nel nostro saggio non ci
occuperemo di cio', se non per notare che un evento essenziale della vita
quale e' la generazione, appare quasi abbandonato alla sua fattuale
materialita' dalla cultura. Un tale esito consegue alla gia' sottolineata
ipertrofia della domanda etica e alla correlata precipitazione a stabilire
se un certo atto sia moralmente lecito o meno, senza una previa istituzione
di senso sul tema. G. Angelini ha in proposito appropriatamente parlato di
"evidente difetto di sapienza che caratterizza il sapere pubblico a
proposito di generazione" ("Il dibattito teorico sull'embrione", Teologia,
n. 2, 1991, p. 151).
Che cosa significa che c'e' un embrione? Che esso nascera', come figlio di
un padre e di una madre? Non e' un equivoco pensare di cavarsela, di fronte
a questa e a simili domande, con una rapida istituzione del lecito e
dell'illecito, non cogliendo la loro suprema importanza per la comprensione
dell'esser uomo, della vita e della morte? Non sembra un atto di leggerezza
non sostare a lungo presso quelle questioni?
In certo modo i precedenti interrogativi sono presenti in filigrana nella
creazione artificiale di Homunculus da parte di Wagner nel Faust: "Il
procreare che fu gia' di moda, noi lo dichiariamo una vuota farsa. Il
delicato punto dal quale balzava la vita, la dolce forza che si sprigionava
dall'intimo essere e prendeva e dava, destinata a dar forma a se stessa e a
far sue in un primo tempo sostanze piu' affini e, poi, sostanze estranee, e'
stata deposta dalla sua dignita'. Se le bestie continuano a provarvi,
l'uomo, con le sue grandi qualita', dovra' in futuro avere una piu' alta,
una assai piu' alta origine" (Wagner, Atto secondo, Laboratorio).
5. Si vedano in proposito gli scritti di Peter Singer, fra cui:  Etica
pratica, Liguori, Napoli 1989, e La vita come si dovrebbe, Il Saggiatore,
Milano 2001.
6. Su questi aspetti cfr. H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica, Il
Saggiatore, Milano 1991; e D. Parfit, Ragioni e persone, Il Saggiatore,
Milano 1989.
7. Accede alla definizione solo psicologica di persona anche M. Mori, per il
quale persona "indica l'individuo dotato di coscienza di se' o
autocoscienza". Esplicito e' il rifiuto della determinazione tradizionale
della persona: "In particolare la persona [intesa in senso solo psicologico]
non e' affatto una individua substantia, e proprio per questo in questa
prospettiva non e' assurdo sostenere che animali non-uomini o anche macchine
siano persone (cioe' siano dotate di qualche forma di coscienza di se')"
("Per un chiarimento delle diverse prospettive etiche sottese alla
bioetica", in AA. VV., Quale etica per la bioetica?, Angeli, Milano 1990, p.
64 e 65). Sembra tuttavia che, negando che la persona sia (almeno) individua
substantia, il suo concetto perda ogni connotato, e tutto possa ugualmente
bene venir definito persona o non-persona.
8. La determinazione della persona soprattutto o solo mediante la coscienza
di se' si rinviene gia' in Locke, per il quale la persona e' "un essere
consapevole di se'"; "senza coscienza non c'e' persona" (Saggio, II, XXVII).
L'identita' personale e' assicurata dalla memoria, coscienza della propria
permanenza nel tempo.
9. D. Parfit, Ragioni e persone, Il Saggiatore, Milano 1989, p. 410 s. In un
altro scritto ("Later selves and moral principles"), lo stesso autore
sostiene: "Se gli embrioni non sono persone, e lo diventano solo
gradualmente, al principio che proibisce l'omicidio puo' plausibilmente
essere data una portata minore...".
10. Da una lettera di Hans Kelsen a Renato Treves (3 agosto 1933), ora in H.
Kelsen, R. Treves, Formalismo giuridico e realta' sociale, a cura di Stanley
L. Paulson, Esi, Napoli 1992, p. 216.
11. Il testo del dibattito di Davos e' in appendice a: M. Heidegger, Kant e
il problema della metafisica, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 234.
12. Boezio, De duabus naturis et persona Christi, III; Riccardo di San
Vittore, De Trinitate, l. IV; Tommaso d'Aquino, S. Th., I, q. 29, a. 3. Su
queste definizioni si veda il fine studio di V. Melchiorre "Pour une
hermeneutique de la personne", Notes et documents, n. 14, avril-juin 1986,
pp. 84-98.
13. Con la differenza tra evento e processo, per cui il primo e' un
accadimento puntuale e istantaneo, mentre il secondo si dis-tende nel tempo
e nello spazio, si possono attribuire i vari aspetti della vita della
persona all'uno o all'altro versante. Il concepimento, il divenir persona,
la morte sono eventi di per se' puntuali e istantanei nonostante le
difficolta' in cui si puo' incorrere nel loro accertamento empirico, mentre
la crescita, lo sviluppo, il declino, l'acquisizione o la perdita di questa
o quella qualita' sono processi. Volendo far ricorso ad un linguaggio oggi
alquanto desueto ma tutto sommato ritagliato sulla cosa, nel caso
dell'evento si determinano trasformazioni sostanziali, nell'altro
accidentali.
14. H. T. Engelhardt, Manuale di bioetica, p. 126 s. Le difficolta' in
ordine all'individualita', che possono nascere nella gemellanza monovulare,
sono considerate risolubili da diversi genetisti. Cfr. ad es. A. Serra,
"Quando comincia un essere umano", in AA. VV., Il dono della vita, Vita e
Pensiero, Milano 1987, pp. 99 ss. Sulle corrispondenze che e' possibile
rinvenire tra nozione genetica di individuo e concetto di persona, scrive il
genetista L. De Carli: "Il concetto di persona, pur trascendendo la
dimensione biologica e quindi non essendo esprimibile in termini
morfofisiologici e genetici, trova supporto nella nozione genetica,
sperimentalmente verificabile, della specificita' individuale", contributo
alla "Seconda Giornata di Studio sulla Bioetica in Italia", Fondazione
Lanza,  Padova, 9 maggio 1992, p. 3.

3. RILETTURE. JULIET MITCHELL: LA CONDIZIONE DELLA DONNA
Juliet Mitchell, La condizione della donna, Einaudi, Torino 1972, 1978, pp.
208. Resta ancora una limpida sintesi, e un'acuta presentazione del Women's
Liberation Movement.

4. RILETTURE. ROSALBA SPAGNOLETTI (A CURA DI): I MOVIMENTI FEMMINISTI IN
ITALIA
Rosalba Spagnoletti (a cura di), I movimenti femministi in Italia, Savelli,
Roma 1971, 1978, pp. 176. Una raccolta di documenti del femminismo italiano
tra 1966 e 1971. Una lettura necessaria.

5. RILETTURE. BIANCAMARIA FRABOTTA (A CURA DI): FEMMINISMO E LOTTA DI CLASSE
IN ITALIA (1970-1973)
Biancamaria Frabotta (a cura di), Femminismo e lotta di classe in Italia
(1970-1973), Savelli, Roma 1973, 1975, pp. 256. Una raccolta di "documenti,
interventi, volantini, slogan, canzoni nati dalle lotte e dalle riflessioni
di quel fondamentale periodo".

6. RILETTURE. "DONNA PARLAMENTO SOCIETA'": PERSONA, LIBERTA', SESSUALITA':
CULTURE A CONFRONTO
"Donna Parlamento Societa'", Persona, liberta', sessualita': culture a
confronto, Roma s.d. (ma verosimilmente 1985), pp. 128. A cura di Rossana
Branciforti e Giovanna Filippini un quaderno monografico della rivista del
"Gruppo interparlamentare donne elette nelle liste del Pci" che reca gli
atti di un rilevante convegno svoltosi a Roma il 15 febbraio 1985.

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 990 del 13 luglio 2005

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