La nonviolenza e' in cammino. 988



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 988 dell'11 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Giulio Vittorangeli: Questo mostro del nostro tempo
2. Annamaria Rivera: Campi di concentramento e neolingua
3. Augusto Cavadi: Antimafia quotidiana
4. Etty Hillesum: A ogni nuovo crimine
5. Michel Foucault: Il grande asilo del mondo e la filosofia come
giornalismo radicale
6. Hannah Arendt: Cio' che resta
7. Riletture: Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin
8. Riletture: Tiziano Terzani, In Asia
9. Riletture: Tiziano Terzani, La porta proibita
10. Riletture: Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra
11. Riletture: Tiziano Terzani, Pelle di leopardo
12. Riletture: Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
13. Il "Cos in rete" di luglio
14. Con ""Qualevita", all'ascolto di Rosa Luxemburg
15. La "Carta" del Movimento Nonviolento
16. Per saperne di piu'

1. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: QUESTO MOSTRO DEL NOSTRO TEMPO
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

Le esplosioni terroristiche di Londra ci tolgono anche le parole. Non ne
possiamo piu'. Insieme alle vite umane di innocenti, sono falciate anche le
nostre speranze e le nostre lotte per la giustizia globale. Diventa sempre
piu' difficile elaborare il lutto e sanare le ferite.
La reazione di Madrid all'attentato del 11 marzo 2004 e' lontana. Allora,
come e' stato giustamente sottolineato, il sentiemnto di orrore non servi' a
compattare il consenso alla guerra, ma viceversa a farlo saltare, aprendo in
Spagna una nuova stagione politica.
Oggi rischiamo di arrenderci e ritirarci di fronte alla violenza nichilista
scatenata contro persone normali che andavano al lavoro, gente semplice che
chissa' quante volte e' scesa a manifestare contro le politiche di guerra e
di sfruttamento delle potenze imperiali.
Banale, nella sua assurdita': i terroristi non uccidono i potenti, ma usano
l'arma del terrore per scaraventare la nostra quotidianita' in una spirale
di orrore. Cosi' come si convive con questo orrore e spesso si muore in un
qualsiasi villaggio dell'Iraq, dell'Afghanistan o della Palestina. In questo
non c'e' nessuna differenza.
E' il disprezzo della vita umana teorizzato e praticato, l'elemento che
accomuna guerra e terrorismo, rendendo le due parole non solo non
contrapponibili, ma sinonimo l'una dell'altra. Da una parte (propagandisti
dell'occidente ferito) e dall'altra (vendicatori del sud martoriato) la
guerra serve solo a riprodurre se stessa e a dimostrare un'efficienza
bellica che si annulla reciprocamente: e' produzione di morte per mezzo di
morte.
Bombardare persone innocenti e' ugualmente barbarico a Baghdad, Jenin e
Kabul, cosi' come lo e' a New York, Madrid o Londra. "I morti di Londra non
vendicano quelli di Falluja o di Kandara, come la guerra che continuera' a
fagocitare vite d'innocenti in Iraq e in Afghanistan non vendichera' i morti
di Londra e non ha vendicato quelli di Madrid e delle Twin Towers" (Vauro,
su "Il manifesto" dell'8 luglio 2005). Non ci sono morti da una parte e
morti dall'altra parte, c'e' solo un elenco incompleto e terribile di
vittime che ogni giorno aumentano. Non c'e' nessuna spirale
guerra-terrorismo da spezzare, c'e' da opporre un no irriducibile alla
violenza. Perche' come dice una sura del Corano: "Chi uccide un innocente,
uccide l'intera umanita'. Chi salva un innocente, salva l'intera umanita'".
Invece, da noi (dimenticando che il terrorismo non ha ne' fede, ne' razza:
e' un crimine e basta), si punta all'accostamento
bombe=islam=musulmami=immigrazione, si invoca la legge del taglione e si
rivendica la demenza di fare la guerra al terrorismo colpendo uno stato,
come se si trattasse di un esercito regolare al di la' di una frontiera;
rimuovendo che la soluzione puo' essere solo politica, non militare.
Aver esportato, dopo l'11 settembre 2001 di New York, con la liquidazione
del diritto internazionale, la guerra "in nome di democrazia e liberta'"
(diventate parole vuote) a Baghdad e a Kabul, non e' servito a risolvere il
problema del terrorismo, ma solo ad esasperarlo. Non solo non lo si e'
colpito, ma colpendo degli innocenti si sono moltiplicati gli adepti.
Certo dobbiamo continuare a preservare l'esistenza e la vita quotidiana, con
cuori aperti e feriti per le tragedie di ogni persona, di ogni famiglia, di
ogni societa' colpita dalla barbarie della guerra, qualsiasi sia la sua
forma; dalle persone, in carne e ossa, uccise e mutilate in luoghi dove la
guerra giustifica e comprende il massacro indiscriminato dei civili, fino
alle popolazioni africane volutamente impoverite dai nostri governi, dalle
nostre istituzioni, dalle nostre economie. Perche' non esiste solo la guerra
come aggressione armata, ma anche la sistematica oppressione economica,
sociale e culturale dell'altro.
Dobbiamo continuare, nel nostro presente, ad equiparare guerra e terrorismo
in una stessa condanna, se teniamo ferma la nostra scelta etica nonviolenta,
contro qualsiasi impiego di mezzi ingiusti. Cosi' come dobbiamo valorizzare
quei principi che fanno parte anche ora della nostra realta' quotidiana e
che possono essere valido fondamento di un'etica ispirata a un'ideale di
liberazione. Sono i principi della dignita' e della liberta' dell'essere
umano, della lotta contro la barbarie della guerra, della violenza,
dell'oppressione, della condanna alla morte per fame; i principi di una
solidarieta' internazionale e di un'eguaglianza che l'attuale modello di
sviluppo e gli attuali rapporti di forza tendono inevitabilmente a negare.
L'umanita' ha tutto da perdere con la guerra, e tutto da guadagnare dalla
pace, dalla cooperazione internazionale e dalla stabilita' globale.

2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: CAMPI DI CONCENTRAMENTO E NEOLINGUA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 luglio 2005. Annamaria Rivera, docente
di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete
antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani,
L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine
dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003]

Se si volesse tracciare una storia dei "Centri di permanenza temporanea" (in
sigla: Cpt), sarebbe opportuno ripercorrerla fin dagli esordi, per
comprendere come e perche' sia nato questo mostro giuridico, inedito nella
storia della repubblica italiana fino al 1998, quando venne istituito dalla
legge detta Turco-Napolitano.
In questa sede ci limitiamo a ricostruire un frammento della sua storia
semantica, per gli anni che vanno dal 1998 al 2000. Decostruire le parole
per svelarne gli inganni e' un utile esercizio critico. La manipolazione e
il controllo sul linguaggio sono infatti perno centrale dei dispositivi che,
dopo aver creato categorie di indesiderabili, rendono socialmente
accettabile la loro segregazione in spazi speciali, sottratti al diritto
ordinario: fra questi, i Cpt, sigla italiana di quelle strutture
quasi-concentrazionarie, per dirla con Etienne Balibar che, previste dagli
accordi di Schengen, sono divenute un sistema che con nomi diversi ricopre
l'intero territorio europeo. I Centri di permanenza temporanea e assistenza
sono figli di un imbarazzo linguistico che lascia trapelare cattiva
coscienza, o almeno disagio politico. Perche' mai, infatti, invece di
definirli per cio' che sono, cioe' centri di detenzione o campi di
reclusione, si e' ricorso a un goffo stratagemma semantico?
Perche' chi li ha concepiti sa bene che in uno stato di diritto e' possibile
comminare una pena detentiva solo a chi sia stato definitivamente condannato
per un certo reato penale; e sa bene che, comunque, ogni forma di
limitazione della liberta' personale deve essere conseguente a un atto
giudiziario. E invece, per una speciale categoria di individui, e in base al
loro semplice status di "irregolari", "clandestini", richiedenti asilo, si
deroga dallo stato di diritto e dalla Costituzione privandoli della liberta'
personale per un fine diverso dalla repressione di reati: l'irregolarita' o
la "clandestinita'" sono semplici infrazioni amministrative.
La storia dei Cpt e' dunque anche storia di un rapporto di potere
linguistico: un atto di arroganza semantica, una prova di forza che violenta
il comune senso del diritto e della lingua mascherandosi dietro la subdola
strategia dell'eufemismo, "una figura retorica che consiste nel sostituire
parole sgradevoli o crude con altre di significato attenuato", come dicono i
dizionari.
*
Ai tempi del Terzo Reich
Bisogna guardarsi dagli eufemismi. L'eufemismo menzognero era alla base
della neolingua in uso nel Terzo Reich: l'antisemitismo era detto "dottrina
razziale", le camere a gas "installazioni speciali", il genocidio "soluzione
finale". Da un eufemismo, i "campi di custodia protettiva", si svilupparono
i campi di concentramento e quelli di sterminio. Gli internati vi erano
accolti da uno slogan che suonava come un eufemismo derisorio: "Il lavoro
rende liberi". Nel caso dei Cpt, l'eufemismo e' rafforzato dall'ossimoro,
un'altra figura retorica che consiste nell'accoppiare logicamente due parole
dal significato opposto o contraddittorio: permanenza temporanea.
"Permanenza" e' la qualita' di cio' che permane, ma significa anche
soggiorno in un certo luogo: "buona permanenza" si augura a chi e' giunto in
un localita' di vacanza. Ma anche chi ha concepito la legge detta
Turco-Napolitano fu colto dal sospetto che i Cpt non potessero essere luoghi
di vacanza: non proprio carceri, certo, ma neppure alberghi, come ebbe a
dire piu' tardi un ministro di centrosinistra. L'eufemismo ossimorico che li
designa, a onor del vero, non e' elegantissimo. Se a un ospite auguraste
"buona permanenza temporanea", se ne avrebbe a male pensando che volete
liberarvene quanto prima. Ma dai Cpt non si esce tanto presto (si era
costretti a permanere fino a un mese, oggi fino a due mesi, grazie alle
migliorie della Bossi-Fini) e neppure quando si vuole: se chi e' stato
condotto la' si accorge che quella permanenza non fa per lui/lei o che non
ha bisogno di assistenza, non e' che puo' dire "me ne vado". A convincerlo a
restare ci sono poliziotti, sbarre, cancelli, gabbie, manganellate. E se
qualcuno si ostina a prendere alla lettera l'eufemismo e riesce ad
andarsene, non lo trattano come un ospite scortese che rifiuta l'ospitalita'
ma come un mafioso evaso da un carcere di massima sicurezza. Una volta
riacciuffato, il trattamento non e' quello che si riserva agli ospiti, per
quanto villani: un certo direttore di uno di questi nonluoghi deve aver
esagerato in sgarberia se i giudici gli hanno fatto provare il carcere,
quello propriamente detto.
Dai Cpt non si va e viene a piacimento. Puo' accadere che le porte siano
chiuse dall'esterno anche quando uno e' agonizzante e i suoi compagni di
permanenza disperatamente gridano aiuto. Cosi', forse imbottito di
psicofarmaci, la notte di Natale del 1999 mori' nel centro di Ponte Galeria
Mohammed Ben Said. La mandibola fratturata, forse a causa del trattamento
ricevuto in carcere, per giorni e giorni aveva reclamato cure mediche mai
ricevute; per giorni e giorni aveva gridato, non creduto da alcuno, d'essere
sposato con una cittadina italiana e che dunque non puo' essere sottoposta
ad espulsione. Dopo la sua morte, qualcuno lo trovo', quel certificato di
matrimonio.
Ben Said non fu il primo a morire di Cpt. Il primo agosto del 1998 Abedeleh
Saber era morto nel carcere di Agrigento, dove era stato tradotto dopo una
rivolta nel centro di Lampedusa: anch'egli, si disse, vi aveva subito una
massiccia somministrazione di tranquillanti. Puo' accadere che le porte
siano sbarrate dall'esterno anche quando scoppia un incendio e gli "ospiti"
rischiano di bruciare vivi: cosi' morirono tre ragazzi maghrebini nel Cpt
"Serraino Vulpitta", un ex-ospizio di Palermo, la notte fra il 28 e il 29
dicembre di quel tragico 1999. Altri due sarebbero morti qualche giorno dopo
in ospedale; l'ultimo dei sei avrebbe smesso di respirare dopo due mesi e
mezzo di agonia.
*
Ospiti, o trattenuti
Ma ritorniamo all'eufemismo. Dal caos di una specie di archivio salta fuori
un depliant colorato, ben fatto, che reclamizza, per conto del governo
dell'epoca, una merce speciale: la legge 40 del 1998, appunto. Vi si
illustra anche l'articolo che istituisce i Cpt. Come vengono definiti i
reclusi? Ospiti, naturalmente. "Ospiti" - o "trattenuti" - essi sono anche
per un altro documento che ci e' restituito da quel caos cartaceo. Il
periodo e' lo stesso: 13 ottobre 1998; il linguaggio, piu' burocratico, non
rinuncia all'eufemismo, che si tinge di qualche venatura tetra. E' una
circolare del ministero dell'Interno, firmata da un certo sottosegretario e
indirizzata, fra gli altri, ai prefetti di cinque citta'. Vi sono allegate
le linee-guida delle "caratteristiche tecnico-strutturali" dei Cpt,
elaborate da un apposito gruppo di lavoro: "dovrebbero essere previsti ampi
spazi aperti destinati all'attivita' ricreativa degli ospiti nonche' per
consentire... un agevole intervento delle Forze di Polizia...". L'ombra
minacciosa si accentua, allorche' si suggerisce la costruzione di alloggi
"per ospitare eventuali nuclei familiari con minori". 8 morti in 16 mesi, a
legge da poco varata (era stata approvata nel febbraio del 1998) avrebbero
dovuto suggerire che l'eufemismo era davvero fuori luogo. E invece no.
Confortati dal gusto governativo per le figure retoriche, da allora in poi i
mass media - e perfino giornali, politici e chierici di sinistra - si
diedero a definire i Cpt "centri di accoglienza". Un martellamento che fece
il suo bell'effetto sull'opinione pubblica, la quale si persuase che gli
"extracomunitari" piu' sono trattati bene e piu' si ribellano contro i loro
benefattori.
Il 15 gennaio del 2000, dopo quel tragico dicembre di "ospiti" morti
prematuramente, un corteo antirazzista cerco' di accompagnare una
delegazione nel Cpt di Ponte Galeria. Fu disperso dalle forze dell'ordine ma
alcuni manifestanti non rinunciarono a spiegare agli abitanti del borgo le
ragioni della loro protesta. Scoprirono che essi erano persuasi che quello
che sorgeva la', a pochi passi dalle loro case, fosse un centro di
accoglienza e che i manifestanti fossero in sostanza dei razzisti che
contestavano il trattamento generoso riservato agli "extracomunitari". La
forza persuasiva dei mass media aveva loro impedito di scorgere le enormi
gabbie che lo circondano. Viene in mente Dachau, ridente e tranquilla
cittadina vicino Monaco, i cui abitanti per lungo tempo convissero con un
lager senza mai vederlo.
*
La fermezza di centrosinistra
Restiamo nel 2000, tempo di elezioni regionali. In Emilia-Romagna i partiti
del centrosinistra firmano un accordo programmatico in cui, fra l'altro,
dopo aver proclamato l'intento di contrastare virilmente "con mezzi idonei e
con grande fermezza ogni forma di immigrazione clandestina finalizzata alla
criminalita' e strumento di illegalita'", chiedono al governo che la Regione
possa svolgere "un ruolo chiave... nella programmazione dei Centri di
permanenza temporanea per gli immigrati espulsi". Anche chi avrebbe dovuto
essere piu' cauto difese quell'accordo come il migliore possibile; chi
protesto' fu trattato come si tratta chi disturba il manovratore.
I disturbatori dal canto loro continuarono caparbiamente a condurre campagne
e lotte anche dure per la chiusura definitiva dei Cpt, che chiamarono lager:
un termine forse troppo forte, ma solo per chi non conosce il tedesco e la
storia. Oggi, finalmente, un varco importante s'e' aperto nel muro del
silenzio e delle complicita'. Non e' casuale che cio' sia accaduto in
Puglia, terra di frontiera, di sbarchi, di lager dalla conclamata crudelta',
di tragedie come quella della Kater I Rades: 108 albanesi annegati il 28
marzo 1997, in seguito allo speronamento da parte di una nave della Marina
militare durante un pattugliamento in acque internazionali, deciso dal
governo di centrosinistra dell'epoca. Ci voleva uno come Nichi Vendola,
raffinato ricamatore di parole, per denunciare con tanta forza e clamore
l'imbroglio semantico dei Cpt e il loro insostenibile scandalo. Se e' vero,
come pensavano Bourdieu e Sayad, che i cambiamenti semantici sono
cambiamenti nella struttura dei rapporti di forza nella societa', allora
forse e' un buon segno che a dire "lager" invece che "centri di accoglienza"
siano ora anche dei compassati presidenti di regione.

3. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI: ANTIMAFIA QUOTIDIANA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'edizione palermitana
del quotidiano "La Repubblica" del 29 giugno 2005. Augusto Cavadi,
prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano
di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel
movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a
varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata
Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e
mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di
studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La
dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997;
trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco,
Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare
l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe
Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA.
VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998,
ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e
indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del
Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi?
Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il
pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG
Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori
riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]

Se avesse alzato le spalle come fa la maggior parte di noi - le regole vanno
bene in generale: ma ogni caso e' un caso a se' e se si pecca di pignoleria,
vuol dire che uno i guai se li cerca proprio... - oggi sarebbe un attempato
pensionato ottantaduenne. Ma era uno dei pochi siciliani anomali per i quali
le leggi valgono per tutti, delinquenti e prepotenti inclusi: persino per i
mafiosi come Leoluca Bagarella. Percio' ritenne ovvio farle valere: persino
nel carcere "Cavallacci" di Termine Imerese dove era addetto all'ufficio
matricola. Altrettanto ovviamente il sistema giudiziario "parallelo" in
pochi giorni emano' la sentenza e la esegui' con tempestivita' impensabile
per gli apparati statali. E il sottufficiale degli agenti di custodia
Antonino Burrafato, di anni 49, fu assassinato nella piazza di S. Antonio
alle 15,30 del 29 giugno 1982.
Assediati dalle emergenze, che si accavallano come ondate successive in un
incubo onirico, e' facile dimenticare questi volti, queste storie. E'
comprensibile che, a trentatre' anni di distanza, si lasci lentamente
affondare nel mare dell'oblio la memoria di questa ennesima vittima "minore"
della guerra contro il sistema mafioso: comprensibile, non giustificabile.
E' ingiusto nei suoi confronti, ma - forse cio' e' meno evidente - e' anche
autolesionistico. Si perdono molti spunti di riflessione. E di azione
operosa.
Innanzitutto si perde l'occasione per dire a noi stessi, prima ancora che
agli estranei, che gli ultimi centocinquant'anni sono stati punteggiati non
solo da grossi e piccoli mafiosi, ma anche da celebri e meno celebri
antimafiosi. Come la mafia non sopravviverebbe se non fosse alimentata ogni
giorno da relazioni d'interesse, compromessi, clientelismi, vigliaccherie,
carrierismi... cosi' le ragioni dell'antimafia sarebbero state del tutto
spacciate senza la resistenza quotidiana e invisibile di scelte coraggiose,
di accettazione dell'isolamento, di rifiuto del conformismo, di rinunzia ad
arricchimenti illeciti. Solo qualche ora fa un giovane disoccupato - che e'
riuscito da poche settimane ad avere in affidamento un piccolo appezzamento
di terreno alle porte di Palermo dove provare a piantare qualche verdura e
qualche pomodoro - mi confidava che, al secondo o terzo giorno, si e' visto
accostare da un vicino che gli ha spiegato che, in zona, "i picciotti
vogliono mangiare pure loro". Forse per dignita', forse per disperazione, la
risposta e' stata pronta e decisa: "Puo' dire ai picciotti che sto dando
sangue per i miei tre figli e non ne ho per loro. Mi ammazzino pure". Non ho
idea se questa dichiarazione sia del tutto eccezionale o si sommi a decine,
centinaia di casi analoghi che restano sommersi e sconosciuti; ma sono
sicuro, come lo sono i ragazzi di "Addiopizzo", che e' proprio a questo
livello di eroismo "normale", feriale, che si gioca la partita. E' su questo
zoccolo duro che politica, magistratura, forze dell'ordine devono chinarsi e
accendere qualche faro: perche' nessun leader carismatico (di cui, peraltro,
il panorama attuale non sembra particolarmente affollato) ha mai potuto
sostituire la mobilitazione convinta e capillare di una popolazione.
Sfogliando il libro che, due anni fa, il figlio Salvatore, Nicola Sfragano e
Vincenzo Bonadonna hanno dedicato alla vicenda di Burrafato (Un delitto
dimenticato, La Zisa editrice) si puo' ricevere almeno un secondo stimolo: a
focalizzare l'universo, ancora troppo poco trasparente, degli istituti di
pena. Anche senza essere specialisti in materia, s'intuisce la difficolta'
di coniugare l'esigenza sacrosanta di isolare i condannati piu' pericolosi e
influenti (vedi 41 bis) con l'esigenza, non meno impellente, di attivare
percorsi rieducativi (a meno di non rassegnarsi alla concezione barbarica
della galera come gabbia per belve irredimibili). Anche su questi temi si e'
cercato di riflettere, alcune settimane fa, durante un convegno nazionale a
Baida su "Mafia e nonviolenza". E arrivando alla conclusione che una
scommessa cosi' difficile non puo' essere delegata esclusivamente agli
operatori del settore pur di  consentire, al resto della societa', di
scrollarsi ogni responsabilita', di rimuovere dubbi e scartare senza
perderci troppo tempo ipotesi alternative. In particolare ci si potrebbe
chiedere se sia moralmente e strategicamente accettabile scaricare sulle
spalle degli agenti di custodia l'intero peso del rapporto diuturno con la
moltitudine variegata dei rei dei delitti piu' efferati. Con un solo,
identico gesto - volgendo lo sguardo altrove - abbandoniamo in uno stesso
spazio concentrazionario carcerieri e carcerati, custodi e custoditi,
eludendo le domande piu' scottanti: quali garanzie di sicurezza, quale
formazione professionale, quale soccorso psicologico ed etico vengono
approntati, in via ordinaria,  per i lavoratori in divisa che devono gestire
il faccia-a-faccia con i mafiosi, i loro familiari, i loro complici, i loro
amici? O abbiamo gia' deciso di condannarli alla tragica alternativa di
diventare duri come carnefici o inermi come carne da macello?

4. MAESTRE. ETTY HILLESUM: A OGNI NUOVO CRIMINE
[Da Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, p. 245.
Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel
1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo
valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua
meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la
riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985,
1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum:
AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di
"Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia
Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal
Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma
2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni
Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore,
Edizioni Messaggero, Padova 2002]

La vita e' una cosa splendida e grande, piu' tardi dovremo costruire un
mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un
nuovo pezzetto di amore e di bonta' che avremo conquistato in noi stessi.
Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere.

5. RIFLESSIONE. MICHEL FOUCAULT: IL GRANDE ASILO DEL MONDO E LA FILOSOFIA
COME GIORNALISMO RADICALE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 luglio 2005 riprendiamo il seguente
testo; di seguito la presentazione redazionale: "Il testo che segue, inedito
in italiano, e' il risultato di un'intervista raccolta da R. G. Leite e
pubblicato sulla 'Revista Manchete' il 16 giugno 1973. Oggi lo si puo'
trovare in traduzione francese nel vol. II dei Dits et Ecrits (Gallimard,
Paris 1994, pp. 433-444). Della forma dialogica che aveva in origine
mantiene l'andatura discontinua, a salti, la secchezza delle formulazioni e
qualche ripetizione. Alcune delle affermazioni di Foucault risentono
evidentemente dei dibattiti che erano in corso all'epoca in cui furono
pronunciate. Ma gia' sensibile e' l'indicazione di una direzione di ricerca
che volgera', proprio in quegli anni, con sempre maggiore decisione verso il
problema delle tecniche di governo, delle sue concrete condizioni di
esercizio: la 'governamentalita'', per usare il termine adottato da
Foucault. Il riferimento al ruolo di medici, psichiatri e psicologi, nella
parte centrale del testo, puo' essere letto cosi' come una metafora, o
meglio ancora un modello che serve a descrivere i mutamenti delle funzioni
di governo alle quali si fa cenno nella prima e nell'ultima parte di questo
scritto".
Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico
delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione.
Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli;
Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le
cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso,
Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La
volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di
se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi,
colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in
volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come
Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e
Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici;
Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali,
trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte
disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza;
Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus,
Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier
Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi
politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza;
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo
Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli; cfr. anche il recente
volume di "Aut aut", n. 232, settembre-ottobre 2004, monografico su Michel
Foucault e il potere psichiatrico]

Il XIX secolo segna l'inizio di una tappa importante: la monarchia sparisce
dal mondo. Ora, la monarchia era un sistema politico nel quale il potere era
esercitato da qualcuno che lo acquisiva per eredita'. Con la fine
dell'assolutismo, il potere comincia a essere esercitato tramite
l'intervento di un certo sapere governamentale che abbraccia la conoscenza
dei processi economici, sociali, demografici. Cosi', il potere inizia a
legarsi con la conoscenza. Le scienze politiche, economiche e umane passano
allora per un vero e proprio momento di rinascita, perche' i dirigenti
capiscono che non si puo' governare senza un sapere. La qualita' del sapere
qualifica il governo. Nel XIX secolo e durante la prima meta' del XX secolo,
il sapere politico doveva essere obbligatoriamente associato allo sviluppo
economico, per provocarne il decollo.
Nel corso degli anni si e' visto pero' che lo sviluppo economico produce
anche degli effetti negativi sulla vita degli individui. Di conseguenza, la
saggezza del potere risiede ora nella correzione costante degli effetti
prodotti da questo sviluppo. Oggi il mondo sta evolvendo verso un modello
ospedaliero, mentre il governo acquista una funzione terapeutica. La
funzione dei dirigenti e' quella di adattare gli individui al processo di
sviluppo sulla base di una vera e propria ortopedia sociale.
Guardate quel che succede, per esempio, in Francia, in quelli che vengono
chiamati H. L. M (abitazioni a fitto moderato, ndt). Le persone che vi
abitano sono costrette a mantenere un livello di vita che non corrisponde
alle loro possibilita' finanziarie. Oggi, in Francia, per far quadrare i
conti di queste persone bisogna ricorrere all'assistenza sociale. La terapia
medica e' una forma di repressione.
Lo psichiatra, oggi, e' una persona che determina categoricamente la
"normalita'" e la "follia". L'importanza dell'antipsichiatria consiste
appunto nel mettere in dubbio la sicurezza del medico, il suo potere di
decidere lo stato mentale di un individuo.
Un'altra questione importante e' sapere da chi verra' esercitato il potere
di normalizzazione. Dallo psicologo? Dal medico? Dallo psicoanalista? Dallo
psichiatra? Chi avra' il diritto di prescrivere la "cura" di un malato
mentale? Di solito, si definisce persona anormale chi ha rotto con
l'ambiente nel quale vive. In genere, i medici sottraggono questo individuo
al suo ambiente e lo isolano in ospedali, case di cura, cliniche. Ma come
riadattarli al loro ambiente? Questo e' il limite degli psichiatri. Il
trattamento dovrebbe essere condotto nell'ambiente stesso dove la persona
vive, non sui divani o negli studi medici che sono lontani dal luogo dove
abita. In questo caso, possiamo confrontarci con una seconda ipotesi, dato
che stiamo trattando dei rapporti fra l'individuo e l'ambiente sociale: non
sara' forse il gruppo sociale a essere ammalato? In Francia, la sociopatia
comincia a essere studiata in modo approfondito.
Anche lo psicologo esercita un certo tipo di potere, poiche' ha un peso
decisionale sul cammino che una persona dovra' prendere. In pratica decide
il futuro di una persona quando determina quel che un bambino deve o non
deve imparare, o quando afferma che la vocazione di un ragazzino e' di
essere, per esempio, ingegnere o avvocato. Anche la terapia di gruppo e' un
pericolo, perche' consegna un insieme di individui nella mani di un potere
autoritario esercitato dallo psicologo.
Il mondo e' un grande asilo nel quale i governanti sono gli psicologi e il
popolo i pazienti. Ogni giorno che passa diventa piu' grande il ruolo svolto
da criminologi, psichiatri e da tutti coloro che studiano il comportamento
mentale dell'uomo. Da cio' dipende il fatto che il potere politico stia sul
punto di acquisire una nuova funzione, che e' appunto quella terapeutica.
Io mi considero un giornalista, nella misura in cui cio' che mi interessa e'
l'attualita', cio' che ci succede intorno, quello che accade nel mondo. Fino
a Nietzsche, la filosofia aveva come ragion d'essere l'eternita'. Il primo
filosofo-giornalista e' stato Nietzsche. E' stato lui a introdurre l'oggi
nel campo della filosofia. Prima, la filosofia conosceva il tempo e
l'eternita'. Ma Nietzsche aveva l'ossessione dell'attualita'. Io credo che
siamo noi a fare il futuro. Il futuro e' il modo che abbiamo di reagire a
quel che succede, e' la maniera nella quale trasformiamo in verita' un
movimento, un dubbio. Se vogliamo essere padroni del nostro futuro, dobbiamo
porre fondamentalmente la questione dell'oggi. Ed e' per questo che, per me,
la filosofia e' una specie di giornalismo radicale.

6. MAESTRE. HANNAH ARENDT: CIO' CHE RESTA
[Da Hannah Arendt, "Responsabilita' collettiva", in Eadem, Responsabilita' e
giudizio, Einaudi, Torino 2004, p. 132. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da
famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers;
l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in
Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del
Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di
attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei
diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi
lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati,
per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione
italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del
totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958),
Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato
e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino
2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]

Al centro delle considerazioni morali sul comportamento umano sta l'io; al
centro delle considerazioni politiche sul comportamento umano sta il mondo.
Se spogliamo gli imperativi morali della loro originaria connotazione
religiosa, ci resta l'affermazione di Socrate secondo la quale "E' meglio
soffrire piuttosto che fare il male".

7. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: BUONANOTTE SIGNOR LENIN
Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin, Longanesi, Milano 1992, Tea,
Milano 1994, 2005, pp. 432, euro 8. Un grande giornalista testimonia la
caduta dell'Unione Sovietica scegliendo la via a lui piu' congeniale, quella
del viaggio conradiano. Tra tanti insopportabili libri scritti accatastando
statistiche fasulle, eventi  filtrati e fasificati dalle tv, interviste
fatte al telefono, inchieste svolte dal terrazzo dell'albergo, ripetizione
sempre piu' vacua delle solite fole dei sempreuguali potenti di ieri e di
domani, frequentazione degli stessi quattro posti in cui sono sempre
schierati in attesa dell'ora di pranzo tutti quelli che credono di essere
l'ombelico del mondo; ebbene, questo libro e' invece ancora un'avventura e
una ricerca, e merita di essere letto.

8. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: IN ASIA
Tiziano Terzani, In Asia, Longanesi, Milano 1998, Tea, Milano 1999, 2004,
pp. 440, euro 8. Attraverso una selezione di sparse pagine giornalistiche,
diaristiche e finanche epistolari ricucite insieme da parchi commenti e
sobrie, minime notizie di raccordo, quasi un'autobiografia che e' insieme la
scoperta di una vocazione personale, di un continente, dell'inesauribile
enigma del cuore degli uomini e del mondo.

9. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: LA PORTA PROIBITA
Tiziano Terzani, La porta proibita, Longanesi, Milano 1984, 1998, Tea,
Milano 2000, 2004, pp. 280, euro 7,80. L'esperienza cinese di Terzani, in
amore e turbamento, sorpresa e strazio, immersione e lacerazione; fino
all'arresto e all'espulsione, ed e' merito del giornalista-testimone sia di
riuscir sempre a non sovrapporre se stesso a cio' che narra, non fare
squisito monologo (come in tante narrazioni di viaggi della letteratura
europea in cui i viaggiatori vedono infine solo se stessi); sia di non
cedere alla sciatta elencazione dei trovati dell'immenso gabinetto delle
meraviglie che sedusse e irreti' e sovente acceco' tanti onusti
intellettuali e giovani militanti precocemente invecchiati. Un libro onesto,
e per un libro scritto da un giornalista non sapremmo trovare aggettivo piu'
nobile.

10. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: LETTERE CONTRO LA GUERRA
Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Longanesi, Milano 2002, pp. 196,
euro 10. Forse il piu' semplice, certo il piu' lieve e piu' concentrato, e
forse anche il piu' bello dei libri di Terzani. Qui non scrive piu' il
grande giornalista che vuol vedere tutto, ma il saggio che sa ascoltare; non
il viaggiatore cosmopolita ma il pellegrino, l'uomo di pace che sente il
dolore di tutti, ama la vita e che tutti ne godano, e parla parole vere.

11. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: PELLE DI LEOPARDO
Tiziano Terzani, Pelle di leopardo, Longanesi, Milano 2000, Tea, Milano
2002, 2004, pp. 470, euro 8. Con una breve premessa del 2000, il libro
recupera integralmente sotto il titolo del primo, scelto come complessivo,
due precedenti notissimi libri di Terzani: Pelle di leopardo. Diario
vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973, Feltrinelli, Milano
1973, e Giai Phong! La liberazione di Saigon, Feltrinelli, Milano 1976. Chi
non li lesse allora, li legga oggi.

12. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: UN INDOVINO MI DISSE
Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, Longanesi, Milano 1995, Tea, Milano
1998, 2004, pp. 432, euro 8. Un anno, il 1993, muovendosi attraverso l'Asia
per la sua attivita' giornalistica senza fare mai uso di aerei, in ossequio
al monito ricevuto da un indovino cinese molti anni prima. Una contrainte
che diventa occasione conoscitiva, esplorazione ulteriore, per un
viaggiatore il cui viaggiare e' sempre piu' anche meditare, riprendendo
tempo, agendo la lentezza. In un labirinto di cultura e natura, di sorprese
e fedelta', tra molte ombre che compongono infine luminoso un arazzo, che e'
la vita quando prendi respiro e ti chini ad amare il duplice mondo in cui
vivi: le parole e le cose, la storia e la natura, il cammino e il racconto,
gli altri e te stesso, come in uno specchio.

13. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI LUGLIO
[Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti:
l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo]

Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di luglio 2005 del "C.O.S. in rete",
www.cosinrete.it
Nello spirito del C.O.S. di Capitini, le nostre e le vostre risposte e
osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani:
nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere
di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta,
antifascismo; tra cui: Le radici cristiane inascoltate; Spinoza e Capitini;
Le madri degli eroi; Controllo dal basso in Vaticano; Europa e Jugoslavia; I
senza patria; I treni dell'indifferenza; Il futuro della sinistra; Tienanmen
ieri e oggi; La liberta' di peccare; L'Istat, Ruini e Capitini; Pera e
Capitini; Galli contro l'Europa; Le nostre attese; ecc., piu' scritti di e
su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi.
Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S.
in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi alla e-mail:
capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del C.O.S.:
http://cos.splinder.com
Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato
indirizzo in: www.aldocapitini.it

14. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI ROSA LUXEMBURG
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto di Rosa Luxemburg.
*
"Miei cari, amati, dilettissimi amici,
ho ricevuto or ora da Breslavia la terribile busta nera. Mi tremava gia' la
mano ed il cuore quando ho visto la calligrafia e il timbro; ma continuavo a
sperare che il peggio non si fosse ancora avverato.
Non ci posso credere e le lacrime mi impediscono di scrivere. Quello che voi
provate lo so, lo sento, tutti sappiamo misurare il terribile colpo.
M'aspettavo da lui cosi' immensamente tanto per il partito, per l'umanita'.
Mi verrebbe da digrignare i denti. Vorrei aiutarvi e non c'e' aiuto alcuno,
alcuna consolazione. Miei cari, non fatevi sopraffare dal dolore, non fate
scomparire dietro a questa cosa spaventosa il sole che splende sempre nella
vostra casa. Noi ci troviamo tutti nelle mani del cupo destino, mi consola
soltanto l'atroce pensiero che forse presto anch'io verro' mandata
nell'aldila': forse da una pallottola della controrivoluzione che e' in
agguato da ogni parte. Ma finche' vivro' vi rimarro' legata con l'affetto
piu' caldo, piu' fedele, piu' profondo e voglio dividere con voi ogni pena,
ogni dolore.
Tutti i miei saluti.
Vostra Rosa L."
(Rosa Luxemburg, lettera del 18 novembre 1918 a Adolf Geck, il cui figlio
Brandel era caduto sui Vosgi il 25 ottobre, poco prima della conclusione
dell'armistizio. In Eadem, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, p.
258).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenda-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

16. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 988 dell'11 luglio 2005

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