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La nonviolenza e' in cammino. 988
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 988
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 11 Jul 2005 00:24:49 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 988 dell'11 luglio 2005 Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: Questo mostro del nostro tempo 2. Annamaria Rivera: Campi di concentramento e neolingua 3. Augusto Cavadi: Antimafia quotidiana 4. Etty Hillesum: A ogni nuovo crimine 5. Michel Foucault: Il grande asilo del mondo e la filosofia come giornalismo radicale 6. Hannah Arendt: Cio' che resta 7. Riletture: Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin 8. Riletture: Tiziano Terzani, In Asia 9. Riletture: Tiziano Terzani, La porta proibita 10. Riletture: Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra 11. Riletture: Tiziano Terzani, Pelle di leopardo 12. Riletture: Tiziano Terzani, Un indovino mi disse 13. Il "Cos in rete" di luglio 14. Con ""Qualevita", all'ascolto di Rosa Luxemburg 15. La "Carta" del Movimento Nonviolento 16. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. GIULIO VITTORANGELI: QUESTO MOSTRO DEL NOSTRO TEMPO [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Le esplosioni terroristiche di Londra ci tolgono anche le parole. Non ne possiamo piu'. Insieme alle vite umane di innocenti, sono falciate anche le nostre speranze e le nostre lotte per la giustizia globale. Diventa sempre piu' difficile elaborare il lutto e sanare le ferite. La reazione di Madrid all'attentato del 11 marzo 2004 e' lontana. Allora, come e' stato giustamente sottolineato, il sentiemnto di orrore non servi' a compattare il consenso alla guerra, ma viceversa a farlo saltare, aprendo in Spagna una nuova stagione politica. Oggi rischiamo di arrenderci e ritirarci di fronte alla violenza nichilista scatenata contro persone normali che andavano al lavoro, gente semplice che chissa' quante volte e' scesa a manifestare contro le politiche di guerra e di sfruttamento delle potenze imperiali. Banale, nella sua assurdita': i terroristi non uccidono i potenti, ma usano l'arma del terrore per scaraventare la nostra quotidianita' in una spirale di orrore. Cosi' come si convive con questo orrore e spesso si muore in un qualsiasi villaggio dell'Iraq, dell'Afghanistan o della Palestina. In questo non c'e' nessuna differenza. E' il disprezzo della vita umana teorizzato e praticato, l'elemento che accomuna guerra e terrorismo, rendendo le due parole non solo non contrapponibili, ma sinonimo l'una dell'altra. Da una parte (propagandisti dell'occidente ferito) e dall'altra (vendicatori del sud martoriato) la guerra serve solo a riprodurre se stessa e a dimostrare un'efficienza bellica che si annulla reciprocamente: e' produzione di morte per mezzo di morte. Bombardare persone innocenti e' ugualmente barbarico a Baghdad, Jenin e Kabul, cosi' come lo e' a New York, Madrid o Londra. "I morti di Londra non vendicano quelli di Falluja o di Kandara, come la guerra che continuera' a fagocitare vite d'innocenti in Iraq e in Afghanistan non vendichera' i morti di Londra e non ha vendicato quelli di Madrid e delle Twin Towers" (Vauro, su "Il manifesto" dell'8 luglio 2005). Non ci sono morti da una parte e morti dall'altra parte, c'e' solo un elenco incompleto e terribile di vittime che ogni giorno aumentano. Non c'e' nessuna spirale guerra-terrorismo da spezzare, c'e' da opporre un no irriducibile alla violenza. Perche' come dice una sura del Corano: "Chi uccide un innocente, uccide l'intera umanita'. Chi salva un innocente, salva l'intera umanita'". Invece, da noi (dimenticando che il terrorismo non ha ne' fede, ne' razza: e' un crimine e basta), si punta all'accostamento bombe=islam=musulmami=immigrazione, si invoca la legge del taglione e si rivendica la demenza di fare la guerra al terrorismo colpendo uno stato, come se si trattasse di un esercito regolare al di la' di una frontiera; rimuovendo che la soluzione puo' essere solo politica, non militare. Aver esportato, dopo l'11 settembre 2001 di New York, con la liquidazione del diritto internazionale, la guerra "in nome di democrazia e liberta'" (diventate parole vuote) a Baghdad e a Kabul, non e' servito a risolvere il problema del terrorismo, ma solo ad esasperarlo. Non solo non lo si e' colpito, ma colpendo degli innocenti si sono moltiplicati gli adepti. Certo dobbiamo continuare a preservare l'esistenza e la vita quotidiana, con cuori aperti e feriti per le tragedie di ogni persona, di ogni famiglia, di ogni societa' colpita dalla barbarie della guerra, qualsiasi sia la sua forma; dalle persone, in carne e ossa, uccise e mutilate in luoghi dove la guerra giustifica e comprende il massacro indiscriminato dei civili, fino alle popolazioni africane volutamente impoverite dai nostri governi, dalle nostre istituzioni, dalle nostre economie. Perche' non esiste solo la guerra come aggressione armata, ma anche la sistematica oppressione economica, sociale e culturale dell'altro. Dobbiamo continuare, nel nostro presente, ad equiparare guerra e terrorismo in una stessa condanna, se teniamo ferma la nostra scelta etica nonviolenta, contro qualsiasi impiego di mezzi ingiusti. Cosi' come dobbiamo valorizzare quei principi che fanno parte anche ora della nostra realta' quotidiana e che possono essere valido fondamento di un'etica ispirata a un'ideale di liberazione. Sono i principi della dignita' e della liberta' dell'essere umano, della lotta contro la barbarie della guerra, della violenza, dell'oppressione, della condanna alla morte per fame; i principi di una solidarieta' internazionale e di un'eguaglianza che l'attuale modello di sviluppo e gli attuali rapporti di forza tendono inevitabilmente a negare. L'umanita' ha tutto da perdere con la guerra, e tutto da guadagnare dalla pace, dalla cooperazione internazionale e dalla stabilita' globale. 2. RIFLESSIONE. ANNAMARIA RIVERA: CAMPI DI CONCENTRAMENTO E NEOLINGUA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 luglio 2005. Annamaria Rivera, docente di etnologia all'Universita' di Bari, e' impegnata nella "Rete antirazzista". Opere di Annamaria Rivera: con Gallissot e Kilani, L'imbroglio etnico, Dedalo, Bari 2001; (a cura di) L'inquietudine dell'Islam, Dedalo, Bari 2002; Estranei e nemici, DeriveApprodi, Roma 2003] Se si volesse tracciare una storia dei "Centri di permanenza temporanea" (in sigla: Cpt), sarebbe opportuno ripercorrerla fin dagli esordi, per comprendere come e perche' sia nato questo mostro giuridico, inedito nella storia della repubblica italiana fino al 1998, quando venne istituito dalla legge detta Turco-Napolitano. In questa sede ci limitiamo a ricostruire un frammento della sua storia semantica, per gli anni che vanno dal 1998 al 2000. Decostruire le parole per svelarne gli inganni e' un utile esercizio critico. La manipolazione e il controllo sul linguaggio sono infatti perno centrale dei dispositivi che, dopo aver creato categorie di indesiderabili, rendono socialmente accettabile la loro segregazione in spazi speciali, sottratti al diritto ordinario: fra questi, i Cpt, sigla italiana di quelle strutture quasi-concentrazionarie, per dirla con Etienne Balibar che, previste dagli accordi di Schengen, sono divenute un sistema che con nomi diversi ricopre l'intero territorio europeo. I Centri di permanenza temporanea e assistenza sono figli di un imbarazzo linguistico che lascia trapelare cattiva coscienza, o almeno disagio politico. Perche' mai, infatti, invece di definirli per cio' che sono, cioe' centri di detenzione o campi di reclusione, si e' ricorso a un goffo stratagemma semantico? Perche' chi li ha concepiti sa bene che in uno stato di diritto e' possibile comminare una pena detentiva solo a chi sia stato definitivamente condannato per un certo reato penale; e sa bene che, comunque, ogni forma di limitazione della liberta' personale deve essere conseguente a un atto giudiziario. E invece, per una speciale categoria di individui, e in base al loro semplice status di "irregolari", "clandestini", richiedenti asilo, si deroga dallo stato di diritto e dalla Costituzione privandoli della liberta' personale per un fine diverso dalla repressione di reati: l'irregolarita' o la "clandestinita'" sono semplici infrazioni amministrative. La storia dei Cpt e' dunque anche storia di un rapporto di potere linguistico: un atto di arroganza semantica, una prova di forza che violenta il comune senso del diritto e della lingua mascherandosi dietro la subdola strategia dell'eufemismo, "una figura retorica che consiste nel sostituire parole sgradevoli o crude con altre di significato attenuato", come dicono i dizionari. * Ai tempi del Terzo Reich Bisogna guardarsi dagli eufemismi. L'eufemismo menzognero era alla base della neolingua in uso nel Terzo Reich: l'antisemitismo era detto "dottrina razziale", le camere a gas "installazioni speciali", il genocidio "soluzione finale". Da un eufemismo, i "campi di custodia protettiva", si svilupparono i campi di concentramento e quelli di sterminio. Gli internati vi erano accolti da uno slogan che suonava come un eufemismo derisorio: "Il lavoro rende liberi". Nel caso dei Cpt, l'eufemismo e' rafforzato dall'ossimoro, un'altra figura retorica che consiste nell'accoppiare logicamente due parole dal significato opposto o contraddittorio: permanenza temporanea. "Permanenza" e' la qualita' di cio' che permane, ma significa anche soggiorno in un certo luogo: "buona permanenza" si augura a chi e' giunto in un localita' di vacanza. Ma anche chi ha concepito la legge detta Turco-Napolitano fu colto dal sospetto che i Cpt non potessero essere luoghi di vacanza: non proprio carceri, certo, ma neppure alberghi, come ebbe a dire piu' tardi un ministro di centrosinistra. L'eufemismo ossimorico che li designa, a onor del vero, non e' elegantissimo. Se a un ospite auguraste "buona permanenza temporanea", se ne avrebbe a male pensando che volete liberarvene quanto prima. Ma dai Cpt non si esce tanto presto (si era costretti a permanere fino a un mese, oggi fino a due mesi, grazie alle migliorie della Bossi-Fini) e neppure quando si vuole: se chi e' stato condotto la' si accorge che quella permanenza non fa per lui/lei o che non ha bisogno di assistenza, non e' che puo' dire "me ne vado". A convincerlo a restare ci sono poliziotti, sbarre, cancelli, gabbie, manganellate. E se qualcuno si ostina a prendere alla lettera l'eufemismo e riesce ad andarsene, non lo trattano come un ospite scortese che rifiuta l'ospitalita' ma come un mafioso evaso da un carcere di massima sicurezza. Una volta riacciuffato, il trattamento non e' quello che si riserva agli ospiti, per quanto villani: un certo direttore di uno di questi nonluoghi deve aver esagerato in sgarberia se i giudici gli hanno fatto provare il carcere, quello propriamente detto. Dai Cpt non si va e viene a piacimento. Puo' accadere che le porte siano chiuse dall'esterno anche quando uno e' agonizzante e i suoi compagni di permanenza disperatamente gridano aiuto. Cosi', forse imbottito di psicofarmaci, la notte di Natale del 1999 mori' nel centro di Ponte Galeria Mohammed Ben Said. La mandibola fratturata, forse a causa del trattamento ricevuto in carcere, per giorni e giorni aveva reclamato cure mediche mai ricevute; per giorni e giorni aveva gridato, non creduto da alcuno, d'essere sposato con una cittadina italiana e che dunque non puo' essere sottoposta ad espulsione. Dopo la sua morte, qualcuno lo trovo', quel certificato di matrimonio. Ben Said non fu il primo a morire di Cpt. Il primo agosto del 1998 Abedeleh Saber era morto nel carcere di Agrigento, dove era stato tradotto dopo una rivolta nel centro di Lampedusa: anch'egli, si disse, vi aveva subito una massiccia somministrazione di tranquillanti. Puo' accadere che le porte siano sbarrate dall'esterno anche quando scoppia un incendio e gli "ospiti" rischiano di bruciare vivi: cosi' morirono tre ragazzi maghrebini nel Cpt "Serraino Vulpitta", un ex-ospizio di Palermo, la notte fra il 28 e il 29 dicembre di quel tragico 1999. Altri due sarebbero morti qualche giorno dopo in ospedale; l'ultimo dei sei avrebbe smesso di respirare dopo due mesi e mezzo di agonia. * Ospiti, o trattenuti Ma ritorniamo all'eufemismo. Dal caos di una specie di archivio salta fuori un depliant colorato, ben fatto, che reclamizza, per conto del governo dell'epoca, una merce speciale: la legge 40 del 1998, appunto. Vi si illustra anche l'articolo che istituisce i Cpt. Come vengono definiti i reclusi? Ospiti, naturalmente. "Ospiti" - o "trattenuti" - essi sono anche per un altro documento che ci e' restituito da quel caos cartaceo. Il periodo e' lo stesso: 13 ottobre 1998; il linguaggio, piu' burocratico, non rinuncia all'eufemismo, che si tinge di qualche venatura tetra. E' una circolare del ministero dell'Interno, firmata da un certo sottosegretario e indirizzata, fra gli altri, ai prefetti di cinque citta'. Vi sono allegate le linee-guida delle "caratteristiche tecnico-strutturali" dei Cpt, elaborate da un apposito gruppo di lavoro: "dovrebbero essere previsti ampi spazi aperti destinati all'attivita' ricreativa degli ospiti nonche' per consentire... un agevole intervento delle Forze di Polizia...". L'ombra minacciosa si accentua, allorche' si suggerisce la costruzione di alloggi "per ospitare eventuali nuclei familiari con minori". 8 morti in 16 mesi, a legge da poco varata (era stata approvata nel febbraio del 1998) avrebbero dovuto suggerire che l'eufemismo era davvero fuori luogo. E invece no. Confortati dal gusto governativo per le figure retoriche, da allora in poi i mass media - e perfino giornali, politici e chierici di sinistra - si diedero a definire i Cpt "centri di accoglienza". Un martellamento che fece il suo bell'effetto sull'opinione pubblica, la quale si persuase che gli "extracomunitari" piu' sono trattati bene e piu' si ribellano contro i loro benefattori. Il 15 gennaio del 2000, dopo quel tragico dicembre di "ospiti" morti prematuramente, un corteo antirazzista cerco' di accompagnare una delegazione nel Cpt di Ponte Galeria. Fu disperso dalle forze dell'ordine ma alcuni manifestanti non rinunciarono a spiegare agli abitanti del borgo le ragioni della loro protesta. Scoprirono che essi erano persuasi che quello che sorgeva la', a pochi passi dalle loro case, fosse un centro di accoglienza e che i manifestanti fossero in sostanza dei razzisti che contestavano il trattamento generoso riservato agli "extracomunitari". La forza persuasiva dei mass media aveva loro impedito di scorgere le enormi gabbie che lo circondano. Viene in mente Dachau, ridente e tranquilla cittadina vicino Monaco, i cui abitanti per lungo tempo convissero con un lager senza mai vederlo. * La fermezza di centrosinistra Restiamo nel 2000, tempo di elezioni regionali. In Emilia-Romagna i partiti del centrosinistra firmano un accordo programmatico in cui, fra l'altro, dopo aver proclamato l'intento di contrastare virilmente "con mezzi idonei e con grande fermezza ogni forma di immigrazione clandestina finalizzata alla criminalita' e strumento di illegalita'", chiedono al governo che la Regione possa svolgere "un ruolo chiave... nella programmazione dei Centri di permanenza temporanea per gli immigrati espulsi". Anche chi avrebbe dovuto essere piu' cauto difese quell'accordo come il migliore possibile; chi protesto' fu trattato come si tratta chi disturba il manovratore. I disturbatori dal canto loro continuarono caparbiamente a condurre campagne e lotte anche dure per la chiusura definitiva dei Cpt, che chiamarono lager: un termine forse troppo forte, ma solo per chi non conosce il tedesco e la storia. Oggi, finalmente, un varco importante s'e' aperto nel muro del silenzio e delle complicita'. Non e' casuale che cio' sia accaduto in Puglia, terra di frontiera, di sbarchi, di lager dalla conclamata crudelta', di tragedie come quella della Kater I Rades: 108 albanesi annegati il 28 marzo 1997, in seguito allo speronamento da parte di una nave della Marina militare durante un pattugliamento in acque internazionali, deciso dal governo di centrosinistra dell'epoca. Ci voleva uno come Nichi Vendola, raffinato ricamatore di parole, per denunciare con tanta forza e clamore l'imbroglio semantico dei Cpt e il loro insostenibile scandalo. Se e' vero, come pensavano Bourdieu e Sayad, che i cambiamenti semantici sono cambiamenti nella struttura dei rapporti di forza nella societa', allora forse e' un buon segno che a dire "lager" invece che "centri di accoglienza" siano ora anche dei compassati presidenti di regione. 3. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI: ANTIMAFIA QUOTIDIANA [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" del 29 giugno 2005. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004; Strappare una generazione alla mafia, DG Editore, Trapani 2005. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] Se avesse alzato le spalle come fa la maggior parte di noi - le regole vanno bene in generale: ma ogni caso e' un caso a se' e se si pecca di pignoleria, vuol dire che uno i guai se li cerca proprio... - oggi sarebbe un attempato pensionato ottantaduenne. Ma era uno dei pochi siciliani anomali per i quali le leggi valgono per tutti, delinquenti e prepotenti inclusi: persino per i mafiosi come Leoluca Bagarella. Percio' ritenne ovvio farle valere: persino nel carcere "Cavallacci" di Termine Imerese dove era addetto all'ufficio matricola. Altrettanto ovviamente il sistema giudiziario "parallelo" in pochi giorni emano' la sentenza e la esegui' con tempestivita' impensabile per gli apparati statali. E il sottufficiale degli agenti di custodia Antonino Burrafato, di anni 49, fu assassinato nella piazza di S. Antonio alle 15,30 del 29 giugno 1982. Assediati dalle emergenze, che si accavallano come ondate successive in un incubo onirico, e' facile dimenticare questi volti, queste storie. E' comprensibile che, a trentatre' anni di distanza, si lasci lentamente affondare nel mare dell'oblio la memoria di questa ennesima vittima "minore" della guerra contro il sistema mafioso: comprensibile, non giustificabile. E' ingiusto nei suoi confronti, ma - forse cio' e' meno evidente - e' anche autolesionistico. Si perdono molti spunti di riflessione. E di azione operosa. Innanzitutto si perde l'occasione per dire a noi stessi, prima ancora che agli estranei, che gli ultimi centocinquant'anni sono stati punteggiati non solo da grossi e piccoli mafiosi, ma anche da celebri e meno celebri antimafiosi. Come la mafia non sopravviverebbe se non fosse alimentata ogni giorno da relazioni d'interesse, compromessi, clientelismi, vigliaccherie, carrierismi... cosi' le ragioni dell'antimafia sarebbero state del tutto spacciate senza la resistenza quotidiana e invisibile di scelte coraggiose, di accettazione dell'isolamento, di rifiuto del conformismo, di rinunzia ad arricchimenti illeciti. Solo qualche ora fa un giovane disoccupato - che e' riuscito da poche settimane ad avere in affidamento un piccolo appezzamento di terreno alle porte di Palermo dove provare a piantare qualche verdura e qualche pomodoro - mi confidava che, al secondo o terzo giorno, si e' visto accostare da un vicino che gli ha spiegato che, in zona, "i picciotti vogliono mangiare pure loro". Forse per dignita', forse per disperazione, la risposta e' stata pronta e decisa: "Puo' dire ai picciotti che sto dando sangue per i miei tre figli e non ne ho per loro. Mi ammazzino pure". Non ho idea se questa dichiarazione sia del tutto eccezionale o si sommi a decine, centinaia di casi analoghi che restano sommersi e sconosciuti; ma sono sicuro, come lo sono i ragazzi di "Addiopizzo", che e' proprio a questo livello di eroismo "normale", feriale, che si gioca la partita. E' su questo zoccolo duro che politica, magistratura, forze dell'ordine devono chinarsi e accendere qualche faro: perche' nessun leader carismatico (di cui, peraltro, il panorama attuale non sembra particolarmente affollato) ha mai potuto sostituire la mobilitazione convinta e capillare di una popolazione. Sfogliando il libro che, due anni fa, il figlio Salvatore, Nicola Sfragano e Vincenzo Bonadonna hanno dedicato alla vicenda di Burrafato (Un delitto dimenticato, La Zisa editrice) si puo' ricevere almeno un secondo stimolo: a focalizzare l'universo, ancora troppo poco trasparente, degli istituti di pena. Anche senza essere specialisti in materia, s'intuisce la difficolta' di coniugare l'esigenza sacrosanta di isolare i condannati piu' pericolosi e influenti (vedi 41 bis) con l'esigenza, non meno impellente, di attivare percorsi rieducativi (a meno di non rassegnarsi alla concezione barbarica della galera come gabbia per belve irredimibili). Anche su questi temi si e' cercato di riflettere, alcune settimane fa, durante un convegno nazionale a Baida su "Mafia e nonviolenza". E arrivando alla conclusione che una scommessa cosi' difficile non puo' essere delegata esclusivamente agli operatori del settore pur di consentire, al resto della societa', di scrollarsi ogni responsabilita', di rimuovere dubbi e scartare senza perderci troppo tempo ipotesi alternative. In particolare ci si potrebbe chiedere se sia moralmente e strategicamente accettabile scaricare sulle spalle degli agenti di custodia l'intero peso del rapporto diuturno con la moltitudine variegata dei rei dei delitti piu' efferati. Con un solo, identico gesto - volgendo lo sguardo altrove - abbandoniamo in uno stesso spazio concentrazionario carcerieri e carcerati, custodi e custoditi, eludendo le domande piu' scottanti: quali garanzie di sicurezza, quale formazione professionale, quale soccorso psicologico ed etico vengono approntati, in via ordinaria, per i lavoratori in divisa che devono gestire il faccia-a-faccia con i mafiosi, i loro familiari, i loro complici, i loro amici? O abbiamo gia' deciso di condannarli alla tragica alternativa di diventare duri come carnefici o inermi come carne da macello? 4. MAESTRE. ETTY HILLESUM: A OGNI NUOVO CRIMINE [Da Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996, p. 245. Etty Hillesum e' nata a Middelburg nel 1914 e deceduta ad Auschwitz nel 1943, il suo diario e le sue lettere costituiscono documenti di altissimo valore e in questi ultimi anni sempre di piu' la sua figura e la sua meditazione diventano oggetto di studio e punto di riferimento per la riflessione. Opere di Etty Hillesum: Diario 1941-1943, Adelphi, Milano 1985, 1996; Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano 1990, 2001. Opere su Etty Hillesum: AA. VV., La resistenza esistenziale di Etty Hillesum, fascicolo di "Alfazeta", n. 60, novembre-dicembre 1996, Parma. Piu' recentemente: Nadia Neri, Un'estrema compassione, Bruno Mondadori Editore, Milano 1999; Pascal Dreyer, Etty Hillesum. Una testimone del Novecento, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Sylvie Germain, Etty Hillesum. Una coscienza ispirata, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Wanda Tommasi, Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002] La vita e' una cosa splendida e grande, piu' tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bonta' che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. 5. RIFLESSIONE. MICHEL FOUCAULT: IL GRANDE ASILO DEL MONDO E LA FILOSOFIA COME GIORNALISMO RADICALE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 luglio 2005 riprendiamo il seguente testo; di seguito la presentazione redazionale: "Il testo che segue, inedito in italiano, e' il risultato di un'intervista raccolta da R. G. Leite e pubblicato sulla 'Revista Manchete' il 16 giugno 1973. Oggi lo si puo' trovare in traduzione francese nel vol. II dei Dits et Ecrits (Gallimard, Paris 1994, pp. 433-444). Della forma dialogica che aveva in origine mantiene l'andatura discontinua, a salti, la secchezza delle formulazioni e qualche ripetizione. Alcune delle affermazioni di Foucault risentono evidentemente dei dibattiti che erano in corso all'epoca in cui furono pronunciate. Ma gia' sensibile e' l'indicazione di una direzione di ricerca che volgera', proprio in quegli anni, con sempre maggiore decisione verso il problema delle tecniche di governo, delle sue concrete condizioni di esercizio: la 'governamentalita'', per usare il termine adottato da Foucault. Il riferimento al ruolo di medici, psichiatri e psicologi, nella parte centrale del testo, puo' essere letto cosi' come una metafora, o meglio ancora un modello che serve a descrivere i mutamenti delle funzioni di governo alle quali si fa cenno nella prima e nell'ultima parte di questo scritto". Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione. Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli; Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso, Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici; Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali, trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza; Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus, Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza; Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli; cfr. anche il recente volume di "Aut aut", n. 232, settembre-ottobre 2004, monografico su Michel Foucault e il potere psichiatrico] Il XIX secolo segna l'inizio di una tappa importante: la monarchia sparisce dal mondo. Ora, la monarchia era un sistema politico nel quale il potere era esercitato da qualcuno che lo acquisiva per eredita'. Con la fine dell'assolutismo, il potere comincia a essere esercitato tramite l'intervento di un certo sapere governamentale che abbraccia la conoscenza dei processi economici, sociali, demografici. Cosi', il potere inizia a legarsi con la conoscenza. Le scienze politiche, economiche e umane passano allora per un vero e proprio momento di rinascita, perche' i dirigenti capiscono che non si puo' governare senza un sapere. La qualita' del sapere qualifica il governo. Nel XIX secolo e durante la prima meta' del XX secolo, il sapere politico doveva essere obbligatoriamente associato allo sviluppo economico, per provocarne il decollo. Nel corso degli anni si e' visto pero' che lo sviluppo economico produce anche degli effetti negativi sulla vita degli individui. Di conseguenza, la saggezza del potere risiede ora nella correzione costante degli effetti prodotti da questo sviluppo. Oggi il mondo sta evolvendo verso un modello ospedaliero, mentre il governo acquista una funzione terapeutica. La funzione dei dirigenti e' quella di adattare gli individui al processo di sviluppo sulla base di una vera e propria ortopedia sociale. Guardate quel che succede, per esempio, in Francia, in quelli che vengono chiamati H. L. M (abitazioni a fitto moderato, ndt). Le persone che vi abitano sono costrette a mantenere un livello di vita che non corrisponde alle loro possibilita' finanziarie. Oggi, in Francia, per far quadrare i conti di queste persone bisogna ricorrere all'assistenza sociale. La terapia medica e' una forma di repressione. Lo psichiatra, oggi, e' una persona che determina categoricamente la "normalita'" e la "follia". L'importanza dell'antipsichiatria consiste appunto nel mettere in dubbio la sicurezza del medico, il suo potere di decidere lo stato mentale di un individuo. Un'altra questione importante e' sapere da chi verra' esercitato il potere di normalizzazione. Dallo psicologo? Dal medico? Dallo psicoanalista? Dallo psichiatra? Chi avra' il diritto di prescrivere la "cura" di un malato mentale? Di solito, si definisce persona anormale chi ha rotto con l'ambiente nel quale vive. In genere, i medici sottraggono questo individuo al suo ambiente e lo isolano in ospedali, case di cura, cliniche. Ma come riadattarli al loro ambiente? Questo e' il limite degli psichiatri. Il trattamento dovrebbe essere condotto nell'ambiente stesso dove la persona vive, non sui divani o negli studi medici che sono lontani dal luogo dove abita. In questo caso, possiamo confrontarci con una seconda ipotesi, dato che stiamo trattando dei rapporti fra l'individuo e l'ambiente sociale: non sara' forse il gruppo sociale a essere ammalato? In Francia, la sociopatia comincia a essere studiata in modo approfondito. Anche lo psicologo esercita un certo tipo di potere, poiche' ha un peso decisionale sul cammino che una persona dovra' prendere. In pratica decide il futuro di una persona quando determina quel che un bambino deve o non deve imparare, o quando afferma che la vocazione di un ragazzino e' di essere, per esempio, ingegnere o avvocato. Anche la terapia di gruppo e' un pericolo, perche' consegna un insieme di individui nella mani di un potere autoritario esercitato dallo psicologo. Il mondo e' un grande asilo nel quale i governanti sono gli psicologi e il popolo i pazienti. Ogni giorno che passa diventa piu' grande il ruolo svolto da criminologi, psichiatri e da tutti coloro che studiano il comportamento mentale dell'uomo. Da cio' dipende il fatto che il potere politico stia sul punto di acquisire una nuova funzione, che e' appunto quella terapeutica. Io mi considero un giornalista, nella misura in cui cio' che mi interessa e' l'attualita', cio' che ci succede intorno, quello che accade nel mondo. Fino a Nietzsche, la filosofia aveva come ragion d'essere l'eternita'. Il primo filosofo-giornalista e' stato Nietzsche. E' stato lui a introdurre l'oggi nel campo della filosofia. Prima, la filosofia conosceva il tempo e l'eternita'. Ma Nietzsche aveva l'ossessione dell'attualita'. Io credo che siamo noi a fare il futuro. Il futuro e' il modo che abbiamo di reagire a quel che succede, e' la maniera nella quale trasformiamo in verita' un movimento, un dubbio. Se vogliamo essere padroni del nostro futuro, dobbiamo porre fondamentalmente la questione dell'oggi. Ed e' per questo che, per me, la filosofia e' una specie di giornalismo radicale. 6. MAESTRE. HANNAH ARENDT: CIO' CHE RESTA [Da Hannah Arendt, "Responsabilita' collettiva", in Eadem, Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004, p. 132. Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente, scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori' a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali (quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Rahel Varnhagen (1959), Il Saggiatore, Milano; Tra passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963), Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente (1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003; cfr. anche la raccolta Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996; Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000] Al centro delle considerazioni morali sul comportamento umano sta l'io; al centro delle considerazioni politiche sul comportamento umano sta il mondo. Se spogliamo gli imperativi morali della loro originaria connotazione religiosa, ci resta l'affermazione di Socrate secondo la quale "E' meglio soffrire piuttosto che fare il male". 7. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: BUONANOTTE SIGNOR LENIN Tiziano Terzani, Buonanotte signor Lenin, Longanesi, Milano 1992, Tea, Milano 1994, 2005, pp. 432, euro 8. Un grande giornalista testimonia la caduta dell'Unione Sovietica scegliendo la via a lui piu' congeniale, quella del viaggio conradiano. Tra tanti insopportabili libri scritti accatastando statistiche fasulle, eventi filtrati e fasificati dalle tv, interviste fatte al telefono, inchieste svolte dal terrazzo dell'albergo, ripetizione sempre piu' vacua delle solite fole dei sempreuguali potenti di ieri e di domani, frequentazione degli stessi quattro posti in cui sono sempre schierati in attesa dell'ora di pranzo tutti quelli che credono di essere l'ombelico del mondo; ebbene, questo libro e' invece ancora un'avventura e una ricerca, e merita di essere letto. 8. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: IN ASIA Tiziano Terzani, In Asia, Longanesi, Milano 1998, Tea, Milano 1999, 2004, pp. 440, euro 8. Attraverso una selezione di sparse pagine giornalistiche, diaristiche e finanche epistolari ricucite insieme da parchi commenti e sobrie, minime notizie di raccordo, quasi un'autobiografia che e' insieme la scoperta di una vocazione personale, di un continente, dell'inesauribile enigma del cuore degli uomini e del mondo. 9. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: LA PORTA PROIBITA Tiziano Terzani, La porta proibita, Longanesi, Milano 1984, 1998, Tea, Milano 2000, 2004, pp. 280, euro 7,80. L'esperienza cinese di Terzani, in amore e turbamento, sorpresa e strazio, immersione e lacerazione; fino all'arresto e all'espulsione, ed e' merito del giornalista-testimone sia di riuscir sempre a non sovrapporre se stesso a cio' che narra, non fare squisito monologo (come in tante narrazioni di viaggi della letteratura europea in cui i viaggiatori vedono infine solo se stessi); sia di non cedere alla sciatta elencazione dei trovati dell'immenso gabinetto delle meraviglie che sedusse e irreti' e sovente acceco' tanti onusti intellettuali e giovani militanti precocemente invecchiati. Un libro onesto, e per un libro scritto da un giornalista non sapremmo trovare aggettivo piu' nobile. 10. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: LETTERE CONTRO LA GUERRA Tiziano Terzani, Lettere contro la guerra, Longanesi, Milano 2002, pp. 196, euro 10. Forse il piu' semplice, certo il piu' lieve e piu' concentrato, e forse anche il piu' bello dei libri di Terzani. Qui non scrive piu' il grande giornalista che vuol vedere tutto, ma il saggio che sa ascoltare; non il viaggiatore cosmopolita ma il pellegrino, l'uomo di pace che sente il dolore di tutti, ama la vita e che tutti ne godano, e parla parole vere. 11. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: PELLE DI LEOPARDO Tiziano Terzani, Pelle di leopardo, Longanesi, Milano 2000, Tea, Milano 2002, 2004, pp. 470, euro 8. Con una breve premessa del 2000, il libro recupera integralmente sotto il titolo del primo, scelto come complessivo, due precedenti notissimi libri di Terzani: Pelle di leopardo. Diario vietnamita di un corrispondente di guerra 1972-1973, Feltrinelli, Milano 1973, e Giai Phong! La liberazione di Saigon, Feltrinelli, Milano 1976. Chi non li lesse allora, li legga oggi. 12. RILETTURE. TIZIANO TERZANI: UN INDOVINO MI DISSE Tiziano Terzani, Un indovino mi disse, Longanesi, Milano 1995, Tea, Milano 1998, 2004, pp. 432, euro 8. Un anno, il 1993, muovendosi attraverso l'Asia per la sua attivita' giornalistica senza fare mai uso di aerei, in ossequio al monito ricevuto da un indovino cinese molti anni prima. Una contrainte che diventa occasione conoscitiva, esplorazione ulteriore, per un viaggiatore il cui viaggiare e' sempre piu' anche meditare, riprendendo tempo, agendo la lentezza. In un labirinto di cultura e natura, di sorprese e fedelta', tra molte ombre che compongono infine luminoso un arazzo, che e' la vita quando prendi respiro e ti chini ad amare il duplice mondo in cui vivi: le parole e le cose, la storia e la natura, il cammino e il racconto, gli altri e te stesso, come in uno specchio. 13. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI LUGLIO [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di luglio 2005 del "C.O.S. in rete", www.cosinrete.it Nello spirito del C.O.S. di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo; tra cui: Le radici cristiane inascoltate; Spinoza e Capitini; Le madri degli eroi; Controllo dal basso in Vaticano; Europa e Jugoslavia; I senza patria; I treni dell'indifferenza; Il futuro della sinistra; Tienanmen ieri e oggi; La liberta' di peccare; L'Istat, Ruini e Capitini; Pera e Capitini; Galli contro l'Europa; Le nostre attese; ecc., piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al C.O.S. in rete e' libera e aperta a tutti mandando i contributi alla e-mail: capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog del C.O.S.: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in: www.aldocapitini.it 14. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI ROSA LUXEMBURG Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto di Rosa Luxemburg. * "Miei cari, amati, dilettissimi amici, ho ricevuto or ora da Breslavia la terribile busta nera. Mi tremava gia' la mano ed il cuore quando ho visto la calligrafia e il timbro; ma continuavo a sperare che il peggio non si fosse ancora avverato. Non ci posso credere e le lacrime mi impediscono di scrivere. Quello che voi provate lo so, lo sento, tutti sappiamo misurare il terribile colpo. M'aspettavo da lui cosi' immensamente tanto per il partito, per l'umanita'. Mi verrebbe da digrignare i denti. Vorrei aiutarvi e non c'e' aiuto alcuno, alcuna consolazione. Miei cari, non fatevi sopraffare dal dolore, non fate scomparire dietro a questa cosa spaventosa il sole che splende sempre nella vostra casa. Noi ci troviamo tutti nelle mani del cupo destino, mi consola soltanto l'atroce pensiero che forse presto anch'io verro' mandata nell'aldila': forse da una pallottola della controrivoluzione che e' in agguato da ogni parte. Ma finche' vivro' vi rimarro' legata con l'affetto piu' caldo, piu' fedele, piu' profondo e voglio dividere con voi ogni pena, ogni dolore. Tutti i miei saluti. Vostra Rosa L." (Rosa Luxemburg, lettera del 18 novembre 1918 a Adolf Geck, il cui figlio Brandel era caduto sui Vosgi il 25 ottobre, poco prima della conclusione dell'armistizio. In Eadem, Lettere 1893-1919, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 258). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenda-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 15. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 16. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 988 dell'11 luglio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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