La nonviolenza e' in cammino. 980



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 980 del 3 luglio 2005

Sommario di questo numero:
1. Beatriz Molina Rueda, Francisco A. Munoz (eds.), Manual de Paz y
Conflictos
2. Francesco Comina: Alex Langer, fragile come la speranza
3. Luisa Muraro: L'essenziale
4. Enrico Peyretti presenta "Dell'Iliade" di Rachel Bespaloff
5. Enzo Collotti: 1935, il fronte degli scrittori
6. Rossana Rossanda: Il congresso del futuro
7. Adriana Cavarero: L'esistente
8. Con "Qualevita", all'ascolto di Frei Betto
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. LIBRI. BEATRIZ MOLINA RUEDA, FRANCISCO A. MUNOZ (EDS.): MANUAL DE PAZ Y
CONFLICTOS
Beatriz Molina Rueda, Francisco A. Munoz (eds.), Manual de Paz y Conflictos,
Instituto de la Paz y los Conflictos, Universidad de Granada, Granada 2004,
pp. 560, s.i.p. Opere di un gruppo di tredici studiose e studiosi, un libro
di grande valore che si aggiunge all'eccellente Enciclopedia de Paz y
Conflictos diretta da Mario Lopez Martinez e che anch'esso vivamente
raccomandiamo a tutti i nostri interlocutori, auspicando anche una
tempestiva traduzione italiana.

2. MEMORIA. FRANCESCO COMINA: ALEX LANGER, FRAGILE COME LA SPERANZA
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci
messo a disposizione questo articolo che apparira' oggi, 3 luglio, sul
quotidiano "L'Adige".
Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e'
impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi
con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere
di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2000; (con Marcelo Barros), Il sapore della liberta', La
meridiana, Molfetta (Ba) 2005; ha contribuito al libro di AA. VV., Le
periferie della memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a
AA. VV., Giubileo purificato, Emi, Bologna.
Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e'
tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite
iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una
sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose
di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata
pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986
(poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie
di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua
scomparsa sono state pubblicate alcune belle raccolte di interventi: La
scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero.
Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996; Scritti sul Sudtirolo,
Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin
1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma
1998; The Importance of Mediators, Bridge Builders, Wall Vaulters and
Frontier Crossers, Fondazione Alexander Langer Stiftung - Una Citta',
Bolzano-Forli' 2005; Fare la pace. Scritti su "Azione nonviolenta"
1984-1995, Cierre - Movimento Nonviolento, Verona, 2005. Opere su Alexander
Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex
Langer, La meridiana, Molfetta 2000; AA. VV., Una vita piu' semplice.
Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo - Altreconomia,
Milano 2005. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e
gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore
di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai
variamente dispersa). Si vedano comunque almeno i fascicoli monografici di
"Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996, e di giugno 2005; l'opuscolo di
presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una
citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421, e-mail:
unacitta at unacitta.it, sito: www.unacitta.it), ed il nuovo fascicolo edito
dalla Fondazione nel maggio 2000; una nuova edizione ancora e' del 2004 (per
richieste: tel. e fax 00390471977691, e-mail: info at alexanderlanger.org,
sito: www.alexanderlanger.org); la Casa per la nonviolenza di Verona ha
pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax
0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org).
Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49
Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail:
info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org]

Permettete un ricordo personale di Alexander Langer. Nel dicembre del 1994
mi arrivo' in dono un abbonamento alla rivista di Forli' "Una Citta'" con
una lettera di Alex in cui presentava questo nuovo progetto editoriale e
indicava i presupposti per un impegno politico "a partire dal territorio e
dai cittadini impegnati e non dai salotti televisivi o dalle stanze dei
partiti". Era il regalo che Langer faceva per natale a circa 800 amici. Un
mese prima lo avevo invitato a parlare a Merano, nell'ambito di una giornata
interetnica organizzata da Pax Christi con il titolo tutto langeriano: "I
muri non si costruiscono da soli". Alex elenco' i dieci punti per
l'elaborazione di un ordinamento della convivenza pluriculturale.
Lo sentii al telefono poche settimane prima del suo ultimo e tragico addio,
che mi ricorda sempre quello di frei Tito, il domenicano brasiliano morto
suicida su un albero a Lione dopo essere fuggito alle torture e alle sevizie
della dittatura nel carcere di San Paolo. Volli ringraziarlo per il dono di
natale e rinnovargli l'invito a proseguire il decalogo sulla convivenza in
una nuova edizione della giornata interetnica che avevo in mente di
organizzare in autunno a Bolzano. Lui come sempre disse di si', sorridendo
come lo vidi sorridere ad Assisi quando arrivo' al convegno giovanile della
Cittadella con un enorme zaino per lanciare il motto della societa'
eco-compatibile: "Lentius, profundius, suavius", piu' lenti, piu' profondi,
piu' dolci.
Ma il 3 luglio del 1995 Alex fuggi' dalle ombre della storia appendendosi
all'albero di albicocche a Pian dei Giullari (Firenze): "I pesi mi sono
divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio piu' - lascio' scritto nei
bigliettini d'addio - 'Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati'. Anche
nell'accettare questo invito mi manca la forza. Cosi' me ne vado piu'
disperato che mai. Non siate tristi, continuate in cio' che era giusto".
Credo che Langer sia stato l'ultimo politico italiano ad aver cercato con
tutte le forze di fondere insieme etica e politica, profezia e storia,
liberta' e responsabilita', alterita' e identita'. Fino alla fine. Fino a
cadere per troppo amore.
*
Edi Rabini e' stato l'amico di sempre di Alex Langer, il suo braccio
operativo, potremmo dire con un linguaggio forse poco appropriato. Inutile
chiedere a Rabini quali sono stati i motivi del suicidio perche' quei motivi
resteranno sempre inconoscibili, come sono sempre misteriosi i momenti
dell'inizio e della fine di ogni vita umana. Nessuna ricerca di
causa-effetto ne' con l'eccidio di Srebrenica in ex Jugoslavia, ne' con
l'esclusione della candidatura a sindaco di Bolzano di Alex e della lista
che lo sosteneva alle elezioni comunali del '95 perche' obiettore al
censimento etnico. "Alex aveva vissuto tante tragedie umane, tante
difficolta' personali - spiega Rabini - era passato attraverso il dramma
dell'Albania, le uccisioni indiscriminate in Brasile, per cui non possiamo
parlare di causa-effetto rispetto al dramma di Srebrenica. Eppure la
coincidenza dell'eccidio e della sua tragica morte ce la teniamo bene
stretta. L'elaborazione del lutto per le morti violente, sia che si tratti
di omicidio o suicidio, non finisce mai. Cosi' e' accaduto in Ruanda, cosi'
e' accaduto in Sudafrica con quello straordinario tribunale per la
riconciliazione e la verita' per gli anni dell'apartheid". "Alex - continua
Rabini - parlava spesso in forma di metafora, per cui se ci fosse stata
davvero una relazione fra l'eccidio di Srebrenica e la sua fine lo avrebbe
scritto nei biglietti che ci ha lasciato".
"E' incredibile - prosegue ancora Rabini - come dopo la sua morte siano
venute a galla innumerevoli presenze di uomini, donne, giovani, con i quali
Alex aveva instaurato collegamenti personali. Si e' resa concreta
quell'etica del rapporto diretto che ha rappresentato sempre una costante
nella vita di Langer, fin dal suo primo attivismo al ginnasio". Rabini
ricorda il colloquio che Langer ha avuto con don Lorenzo Milani durante gli
anni degli studi universitari a Firenze. In particolar modo una parabola,
che don Lorenzo racconto' al giovane altoatesino che era salito a Barbiana
per esprimere al priore il suo sogno di cambiare il mondo: "Io so come
andra' al giudizio universale" racconto' don Milani: "Il Signore Iddio
chiamera', insieme a me, davanti a se' il rettore del collegio dei gesuiti a
Milano. Dira' al rettore 'vedi, tu sei stato sempre con i ricchi. Hai fatto
le loro stesse letture, hai condiviso la loro compagnia, sei stato loro
commensale, hai educato i loro figli - non puoi non essere diventato come
loro. Hai sbagliato tutto, credendo magari di far bene. Hai chiuso gli occhi
davanti a coloro che rappresentavano me, e ti sei immedesimato nei loro
oppressori. Guarda invece don Lorenzo che e' qui accanto a te: lui ha scelto
unilateralmente. Lui ha capito che non si possono amare concretamente piu'
di 3-400 persone, ed ha scelto i poveri, i suoi campagnoli. Si e' messo
dallal loro parte e ha condiviso il loro mondo'". La lezione di don Milani
accompagnera' Langer per tutta la vita (sua anche la traduzione in tedesco
di Lettera a una professoressa).
Negli anni del suo impegno frenetico all'Europarlamento, Langer terra' vivo
lo spirito del rapporto diretto con i gruppi attivi nei vari contesti
internazionali. Anche gli incontri che ebbe con i testimoni del tempo, come
con il famoso sindacalista brasiliano difensore dell'Amazzonia, Chico
Mendes, fatto uccidere da un potente allevatore di Manaus, o con l'allora
fondatore del partito dei lavoratori rurali, Ignacio Lula da Silva, oggi
presidente del Brasile, o con l'intellettuale "eretico" Ivan Illich, o con
il sindaco "santo" di Firenze Giorgio La Pira, o con il vescovo della pace
presidente di Pax Christi don Tonino Bello, erano per Langer non un semplice
bisogno di conoscenza ma un'esigenza di far crescere l'amicizia e la
collaborazione perche' la cultura dei diritti e della pace dilagasse sulla
terra. Ecco perche' i suoi atti politici non si esaurivano con la
formulazione di una semplice interrogazione parlamentare, ma diventavano
progetti concreti di partecipazione personale al riscatto dei poveri, come
e' accaduto per un gruppo di indios Xavantes, oppure i pigmei del Congo
difesi dal missionario bolzanino Antonio Mazzucato, oppure per i giovani
albanesi o gli universitari di Sarajevo.
*
"Alex era forte e fragile allo stesso tempo - racconta Lidia Menapace,
figura storica del pacifismo italiano - era colto, aveva un attivismo
formidabile, una profondita' di analisi unica, eppure fragile anche per via
della commistione di elementi che caratterizzavano la sua identita'
poliedrica". Menapace conosceva bene Alex: "Mi ha invitato molte volte a
Firenze a parlare con gli studenti. Scriveva per la rivista di Giorgio La
Pira, "Politica", con lo pseudonimo di Alessandro Longo. Poi ci incontravamo
nelle ore piu' incredibili della notte in qualche treno o in qualche
stazione italiana di ritorno da un convegno, da un incontro. Sbaglio' -
prosegue la Menapace - quando penso' che a Sarajevo bastasse sparare su
certe colline per fermare la guerra, e fui contro la sua decisione di
chiedere l'intervento della Nato per porre termine al conflitto. Quella
richiesta creo' un certo sconcerto nel movimento per la pace, pero' oggi il
movimento gli perdona quel passaggio e noto con gioia che Langer e'
considerato una icona della cultura della pace".
Lidia Menapace propende a pensare che ci sia un nesso fra il suicidio di
Alex e l'esclusione della sua candidatura a sindaco di Bolzano: "Lo ricordo
in quei mesi, era molto scosso, molto deluso di sentirsi rifiutato dalla
citta'. Credo che la genesi del suicidio possa rintracciarsi in questo
momento di delusione molto forte, che egli sentiva come una sconfitta
personale e culturale".
*
Lo storico altoatesino Leopold Steurer ha discusso tanto con Langer,
soprattutto negli anni in cui era consigliere provinciale. "Alex non
riusciva mai a dire no. Era come convocato da un senso immenso della
responsabilita' a dire si' a chiunque lo chiamasse. Aveva dentro di se' uno
spirito francescano radicale. Alex ha dimostrato nel concreto che si puo'
morire anche per troppa bonta'. Alla fine l'equilibrio psicofisico non regge
piu', la mente si adombra, non riesci piu' a stare in piedi. In questo senso
prendo per buono l'appello di Adriano Sofri a non voler emulare Alexander
Langer, perche' una azione di altruismo senza ancore, rischia di diventare
fatale".
*
Lo sa l'ex assessore all'urbanistica del Comune di Bolzano, Silvano
Bassetti, che insieme ad Alex ha condiviso gli anni di Lotta Continua.
Entrambi rientravano a Bolzano dopo aver militato nel '68 studentesco,
Bassetti a Milano, nel gruppo storico della Cattolica (con Capanna e gli
altri), Langer a Firenze nel ribollire del dissenso cattolico. "Io mi
occupavo del settore scuola di Lc, lui era attivo nel progetto
sull'immigrazione. Langer trascorse parte della sua militanza in Germania,
dove mise in piedi una sezione tedesca. Credo che fu in quel momento che
egli tesse' i rapporti con il cuore dirigente della sinistra europea, che
poi approdera' nei Verdi, da Daniel Cohn Bendit a Joschka Fischer. Langer
porto' in Lc le sue tematiche interetniche, che nei programmi nazionali
erano praticamente assenti. E dalla Germania porto' in Italia il tema
ambientale dandogli profilo politico". Con lo scioglimento di Lotta
Continua, il rapporto fra Bassetti e Langer si fa discontinuo. "Ci fu anche
un contrasto molto forte quando, nel '92, accettai di candidarmi per la
lista Senza Confini, che aveva come candidato forte in Trentino
l'intellettuale della nonviolenza Giuliano Pontara. Langer avverti' quel mio
rientro in campo come un tradimento nei confronti del progetto verde che lui
portava avanti con grande forza e intensita'".
"Langer - continua Bassetti - personalizzava molto l'amore e il conflitto.
Quello che ci distingueva era l'idea della politica. Lui sentiva come una
ossessione profetica della politica, io che mi abbevero alle sorgenti della
profezia, sentivo invece il bisogno di dare tempo alla politica di fare i
suoi corsi, di mettere in moto le sue procedure. Eppure oggi Langer manca
moltissimo, la sua statura, la sua cultura, la sua comprensione delle cose,
hanno lasciato un gran vuoto nella politica, nelle istituzioni e nella
societa' civile".
*
Il giornalista e saggista Paolo Valente, all'epoca dela morte di Langer
direttore del settimanale diocesano "Il Segno", traccia cosi' l'importanza
del politico verde: "Alex Langer e' stato uno dei rari politici altoatesini
in grado di comunicare e di mettersi nei panni delle persone di entrambi i
gruppi linguistici e di vedere oltre i ristretti confini provinciali e
nazionali. E' stata una persona che ha dato dignita' alla politica intesa
come servizio incondizionato al bene comune e non come autoaffermazione
personale o mera lotta per il potere fine a se stesso. Questa dedizione
totale lo ha portato ad incontrare l'aspetto tragico della politica intesa
in questo senso. Tragico perche' in esso la tensione al bene si scontra con
una realta' di segno opposto. Credo che cio' che lo ha fatto cedere e' stata
l'amara sensazione di non vedere una reale via d'uscita ai mali che
affliggono il mondo. Di vedere ovunque prevalere gli interessi di bottega
sul bene comune. Sono constatazioni che fanno sentire inadeguati e soli". E
conclude Valente: "Il suo non e' stato un idealismo senza senso della
realta': in molti casi e' stata vera e propria profezia capace di far
emergere le molte contraddizioni di una situazione, come quella altoatesina,
in cui in molti campi predomina il tabu'".

3. MAESTRE. LUISA MURARO: L'ESSENZIALE
[Da Luisa Muraro, "La nostra comune capacita' d'infinito", in Diotima,
Mettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettivita' alla luce della differenza
sessuale, La Tartaruga, Milano 1990, p. 62. Luisa Muraro insegna
all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di
"Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la
seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei
sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza),
in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita'
Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una
carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare
nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia
dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba
Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista
dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al
femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della
differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva:
La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981,
ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La
Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti,
Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla
nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria
delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via
Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima
(1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero
della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della
maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel
1997"]

L'essenziale e' l'escluso.

4. LIBRI. ENRICO PEYRETTI PRESENTA "DELL'ILIADE" DI RACHEL BESPALOFF
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questa
recensione del libro di Rachel Bespaloff, Dell'Iliade, Prefazione di Jean
Wahl, Citta' Aperta Edizioni, Troina (Enna), 2004 (ed. or.: New York, 1943).
Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno
dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di
nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere",
Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998;
La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe
Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine
(Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale
ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in
appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus,
Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e
una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario;
vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org
e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una
piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n.
731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario.
Rachel Bespaloff, musicista e filosofa, nata nel 1895 da una famiglia
ebraica in Ucraina, figlia del pensatore e militante sionista Daniel
Pasmanik; nel 1897 la famiglia si trasferi' a Ginevra, in Svizzera; visse
poi in Francia - a Parigi nel 1922 si sposo' con Shraga Nissim Bespaloff -
e, dal 1942, esule negli Stati Uniti, a New York, dove lavoro' alle
trasmissioni radiofoniche in francese a sostegno della lotta contro il
nazifascismo, e fu poi docente universitaria; si tolse la vita nel 1949.
Brillante allieva del musicista Ernest Bloch, nel 1925 l'incontro con Lev
Sestov la oriento' a privilegiare la filosofia rispetto alla musica. Fu in
fecondo contatto intellettuale anche con Daniel Halevy, Gabriel Marcel, Jean
Wahl (con cui ebbe un rilevante carteggio). Nel 1935 pubblica Cheminements
et carrefours; nel 1943 Dell'Iliade; e nel corso del tempo numerosi
rilevanti saggi prevalentemente di argomento filosofico e letterario. Opere
di Rachel Bespaloff: Cheminements et carrefours, 1935; Dell'Iliade, 1943;
Lettres a' Jean Wahl 1937-1947.]

Al liceo non ne avevo capito nulla, anche se ho ancora in mente, dopo piu'
di cinquant'anni, il verso in greco di Achille che palleggia e scaglia su
Ettore "la lancia dalla punta di bronzo". Omero mi pareva un bravo cantore
di guerra, come un odierno giornalista embedded nell'esercito greco. Poi,
dopo tanti anni, lessi Simone Weil, L'Iliade, poema della forza (1941, edito
in italiano nella traduzione di Cristina Campo in La Grecia e le intuizioni
precristiane, Rusconi, Milano 1974): qui si capisce che Omero canta non la
violenza della guerra, ma la pieta' e la compassione. Poi ho saputo del
libro di Baricco, Omero, Iliade, ma ne ho letto solo le pagine finali dove
dice che la guerra e' bella, affascina, e che, per proporre la pace, bisogna
mostrane la bellezza. Ora c'e' il grosso libro di Hillmann sulla terribile
bellezza della guerra, ma l'ho appena adocchiato.
Questa sconosciuta (solo a me?) filosofa ucraino-francese, Rachel Bespaloff
(1895-1949), allieva di Lev Sestov, in dialogo con Gabriel Marcel e Jean
Wahl, l'ho incontrata ora. Allora come oggi si rilegge l'Iliade quando
incombe la guerra. Omero, secondo Rachel, non canta il trionfo della forza,
ma l'energia umana nella sventura. Il poeta raccoglie per il futuro e rende
eterno cio' che, vinto dalla fatalita', continua a sfidarla. Sente una
"tenerezza profonda" per le cose periture, di cui la guerra rivela
tragicamente il valore, come la sofferenza e la morte fanno preziosa la
vita.
I personaggi del poema, nella loro finitezza, emergono sul destino, sono
piu' grandi degli dei. Il limite della forza, impersonata da Achille, si
rivela nel trionfo: le sfugge la vittima, le sfugge lo spirito, non avra'
mai ragione di cio' che uccide.
Nel divenire c'e' una colpevolezza diffusa, analoga al peccato originale: il
divenire non e' innocente come pretende Nietzsche, piu' pagano di Omero.
Elena e' la bellezza d'eccezione, ma e' tristezza e maledizione. La bellezza
sfugge, come la forza, come il destino. Per questa bellezza (altro che per
l'economia, come vede riduttivamente Marx) si fanno le guerre, per questo
inganno che travolge piccole buone bellezze. La vera colpa e' degli dei, e'
l'indifferenza dei beati di se', non turbati dalla turbata esistenza dei
mortali. La divinita' e' colpevole se resta indifferente all'umanita'. Si
puo' vedere qui il calco negativo dell'immagine ebraico-cristiana di Dio:
compromesso con l'umanita', percio' il solo Santo; diverso perche' prossimo,
totalmente altro e totalmente intimo, e' l'infinita apertura e ricchezza
dell'uomo, lo disseta e lo asseta di se' infinitamente, lo fa sentire il
piu' povero e il piu' divino degli esseri, non lo toglie dalla tragedia, non
lo abbandona nella tragedia. Omero, condannando gli dei ridicoli e vani,
pone il vuoto umano pieno di dignita', in cui germina questa attesa.
La guerra di Troia, feroce, che distrugge tenere vite e sentimenti, che
afferma temporaneamente la falsa forza della violenza, acquista un senso non
per lo sguardo sereno di Zeus, ma per gli immortali versi del poeta, sola
bellezza eterna, che salvano i dolori e le passioni degli umani travolti
nella tragedia.
Rachel Bespaloff confronta Omero e Tolstoj, ma legge solo il Tolstoj di
Guerra e pace, di Anna Kerenina, non il secondo maturo Tolstoj, che sulla
guerra passa dalla contemplazione olimpica al giudizio politico attivo.
Entrambi i due grandi, comunque, con la "forza della castita'", che e' la
manifestazione piu' autentica della sensualita', fanno emergere l'umano
limpido dal torbido della guerra, perche' fanno poesia, piu' forte
dell'indignazione morale.
L'Iliade culmina nell'incontro di Priamo con Achille, che gli ha ucciso i
figli, per chiedergli, "prosternato ma non prostrato" (Peguy), il corpo di
Ettore. La dignita' piega la forza. L'uccisore ridiventa umano, e tace: e'
il silenzio di un istante che il racconto poetico rende permanente,
immortale. Nel pasto funebre preso in comune, la bellezza del forte e quella
del vecchio brillano sulla sofferenza, che fa uguali tutti gli umani, e sono
indice di possibile salvezza.
Priamo e' il maggiore eroe del poema. E' lui che incarna la saggezza di
Omero: non guarda le cose dal punto di vista dei vincitori, ma del vinto
nobile. Per un istante di valore eterno, il prestigio della debolezza
trionfa sul prestigio della forza. L'estasi abolisce l'orrore.
Infine, Rachel Bespaloff  accosta l'Iliade e la Bibbia, libri entrambi
ispirati, mossi dalla religione del vero, dalla vocazione a cio' che e'
giusto, nei quali troviamo sempre la nostra patria, il contatto con la
verita. Contrasti e identita' profonde legano i due grandi libri. In
entrambi, fede e poesia tolgono potere alla magia. Il mito non e' piu'
magico. Iliade e Bibbia trasformano l'Eros magico della natura divinizzata
in una energia nuova, che libera la coscienza individuale. Nella dura prova
della guerra, o del giudizio di Dio, matura la delicatezza dei sentimenti.
A parere di Rachel Bespaloff, la filosofia greca che verra' dopo sara' una
volonta' di dominio sulla realta', volonta' che invece Bibbia e Iliade
condannano. Per i profeti, unica via e' la rettitudine del cuore. Omero
condanna l'orgoglio e la volonta' di potenza mostrando quanto effimere e
precarie sono invulnerabilita' e forza. Certo, i due grandi codici divergono
nella concezione della forza, su risurrezione e immortalita' (ma cio' vale
per l'ultima parte della Bibbia), sulla giustizia.
Piu' del filosofo sarebbe Solone l'erede di Omero: fare leggi giuste e'
compito e fierezza dell'uomo di fronte agli dei, al caos, al fato.
Legislatori ebrei e greci si incontrano nel culto della rettitudine. Per
Atene come per Gerusalemme non c'e' incompatibilita' tra giustizia e vita:
il bene della vita non urta la giustizia, e la giustizia favorisce la vita.
Frutto comune della giustizia trascendente e immanente e' la vita buona, la
gioia. Il cristianesimo ha fatto sintesi tra religione messianica e
ellenismo, ma le radici comuni sono piu' indietro: lirici ebrei, tragici,
Omero: "Vi sara' sempre un certo modo di dire il vero, di proclamare il
giusto, di cercare Dio, di onorare l'uomo, che ci e' stato insegnato
all'inizio e non cessa di esserci insegnato di nuovo, dalla Bibbia e da
Omero" (p. 90). Perche' non guardare a fondo, cosi', nelle discussioni di
oggi, a volte anguste, su illuminismo e cristianesimo?

5. MEMORIA. ENZO COLLOTTI: 1935, IL FRONTE DEGLI SCRITTORI
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 giugno 2005. Enzo Collotti, illustre
storico e docente universitario. Opere di Enzo Collotti: segnaliamo
particolarmente La Germania nazista, Einaudi, Torino 1962; Fascismo,
fascismi, Sansoni, Firenze 1989. Tra vari altri suoi importanti lavori cfr.
anche La soluzione finale, Newton Compton, Roma 1995]

L'impegno della cultura antifascista internazionale nella lotta contro il
fascismo, culminato nel giugno del 1935 nel parigino congresso degli
scrittori per la difesa della cultura, e' stato oggetto in tempi
recentissimi di rinnovata attenzione critica. Sul finire dell'anno 2000
l'universita' di Cagliari, per iniziativa di Sandra Teroni e di un gruppo di
ricerca di studiosi di letteratura francese e tedesca da lei diretto, aveva
promosso un convegno del quale si possono leggere i contributi nel volume
curato nel 2002 dalla stessa Teroni: Per la difesa della cultura. Scrittori
a Parigi (Carocci). A quel convegno partecipo' uno studioso tedesco,
Wolfgang Klein, che nel 1982, nell'allora Rdt nella quale era attivo, aveva
tentato per primo una ricostruzione delle giornate del 1935 alla Mutualita'
e degli interventi in esse pronunciati, servendosi di un ampio ventaglio di
fonti disponibili, prevalentemente a stampa, quasi a simulare la
pubblicazione di atti che, seppure ventilata, non ebbe in realta' mai luogo.
Il convegno cagliaritano, a parte la complessa riflessione
storico-politico-culturale che sollecito' nei partecipanti, fu una tappa
decisiva per incoraggiare una piu' accurata esplorazione delle fonti del
congresso del 1935, al di la' della pionieristica ma ancora lacunosa e
imperfetta edizione di Wolfgang Klein. Ora, a cura sempre di Sandra Teroni e
dello stesso Klein, compare in Francia una raccolta - presumibilmente la
piu' completa possibile - dei materiali di quella singolare assise di
intellettuali: Pour la defense de la culture. Les textes du Congres
international des ecrivains. Paris, juin 1935 (Editions Universitaires de
Dijon, pp. 666). Un'opera la cui lettura dovrebbe essere incrociata con
quella del volume precedentemente citato degli atti cagliaritani, che e'
frutto di una operazione critica di attenta rilettura dei materiali e
insieme di una ricostruzione filologica dei testi, a partire dalle prime
tracce della gestazione del convegno alle fasi concrete della sua
realizzazione, e che va ben oltre l'edizione del 1982, grazie alla
possibilita' che i curatori e i loro collaboratori hanno avuto di lavorare
non soltanto in archivi e biblioteche parigini ma anche nei carteggi del
movimento comunista internazionale a Mosca e a Berlino, nell'ex-Rdt.
Un'edizione che potrebbe essere di buon auspicio per una ripresa di studi
sul movimento operaio internazionale tra le due guerre mondiali, un tema che
rischia di scomparire dall'orizzonte degli studi accademici, e
sull'antifascismo internazionale, il cui interesse ci pare altrettanto poco
obsoleto del primo.
*
Chiamata alle armi
A una prima superficiale osservazione si potrebbe liquidare l'oggetto di una
cosi' accurata ricerca come un episodio del tutto marginale della lotta
antifascista o, come e' stato fatto, null'altro che una ennesima montatura
della propaganda cominternista o sovietica. Certo, il tono retorico o
addirittura ingenuo di molti interventi - soprattutto se riletti oggi - puo'
dare intero il senso dell'inadeguatezza non solo concettuale ma anche
politica, e addirittura propagandistica, degli strumenti anche soltanto
comunicativi dei quali si servirono allora i protagonisti dell'incontro
parigino. La distanza che ci separa da allora scolora la drammaticita' della
chiamata alle armi (alle sue armi) del mondo della cultura, un po' troppo
riduttivamente rappresentato dai soli scrittori, in una Parigi ormai
affollata dagli esuli cacciati dalla Germania nazista e dall'Italia
fascista, gia' percorsa da cortei inneggianti al fronte popolare prima
ancora che diventasse patto tra i partiti operai, e scossa dalle prime
folate dei venti di guerra prossimi ad abbattersi sul Mediterraneo: a pochi
mesi dall'aggressione all'Etiopia, a un anno dal divampare della guerra di
Spagna, al riarmo avviato del Terzo Reich. In prospettiva di questo
scenario, flebile appare la voce che partiva dalla sala della Mutualite'. Al
di la' delle leggende propagandistiche degli avversari ("l'oro di Mosca"),
le cronache ci dicono che senza l'impegno personale di un numero consistente
di contributori (Gide diede mille franchi) non sarebbe stato possibile
allestire una tribuna cosi' ambiziosa, che non poteva disporre di altri
organi di amplificazione che non fossero la stampa dei molti gruppi della
sinistra francese, gli organi dell'emigrazione antinazista e, a distanza di
tempo, le sedi pubblicistiche della Terza Internazionale.
Uno degli aspetti piu' importanti per capire la risonanza del congresso fu
che, forse anche al di la' delle intenzioni di almeno una parte dei
promotori, esso non fu affatto monocorde: l'ispirazione cominternista, che
arrivava a Parigi con la mediazione di Ehrenburg, con la partecipazione
determinante degli scrittori antifascisti francesi e degli intellettuali
esuli tedeschi (la triade senza la quale non sarebbe stato fatto il
congresso), non riusci' a dominare il consesso che ebbe quindi una
rappresentativita' assai piu' larga. Gli intellettuali che risposero
all'appello non avevano tutti in tasca la ricetta per combattere il
fascismo; molti preliminarmente cercavano intanto di stabilire o di
riscoprire quale poteva essere il loro ruolo. Se si pensa alla contemporanea
presenza di personalita' cosi' diverse come Benda, Brecht o Ehrenburg,
modelli di un tipo d'impegno l'uno diverso dall'altro, ci si rende conto non
soltanto di cio' che poteva unirli in un fronte unico pragmatico contro il
fascismo ma di cio' che li divideva dal punto di vista
teorico-epistemologico.
Il confronto culturale di per se' era un metodo e anche un metro di
valutazione che li poneva comunque al di sopra del loro antagonista.
Naturalmente non era indifferente la posizione che ciascuno di essi
assumeva, se si concepiva una funzione conservatrice dell'intellettuale o se
invece se ne concepisse una progressista. Lo scontro non era e non poteva
essere meramente teorico. L'assise parigina - in cui, ad eccezione
dell'intellettualita' filonazista e filofascista o dei conservatori
dichiaratamente anticomunisti, erano presenti di fatto le correnti culturali
del secolo - ebbe a riflettere, con la crisi del liberalismo e della
democrazia, intorno alla crisi della cultura del Novecento. Di qui l'urgenza
della discussione sull'eredita' culturale, anche sotto l'impatto delle
suggestioni della rivoluzione d'Ottobre e del fascino che ancora proveniva
da essa, al di la' della canonizzazione del "realismo socialista" che il
congresso degli scrittori di Mosca del 1934, che aveva ispirato anche la
convocazione di quello parigino, voleva imporre come estetica unificante e
discriminante di una letteratura progressista.
*
L'assenza di Benjamin
L'impegno degli scrittori non era quindi neutro ne' poteva esserlo. In
questo senso non era neppure possibile che le prese di posizione
sull'impegno eludessero i problemi anche formali della rappresentazione
artistico-letteraria, ne' che emergessero a tutto tondo problemi politici di
cui forse si era sperato di attenuare l'incandescenza. Al di la' delle
assenze, fra le quali quella di Walter Benjamin, di cui non e' possibile
decifrare senza ombre d'incertezza il significato, le manifestazioni
critiche che si ripeterono nel corso dei lavori stanno a sottolineare quanto
sarebbe difficile valutare il congresso alla stregua di una semplice
operazione tattica manovrata dal Comintern e avviata sin dall'inizio a un
esito scontato e preordinato. Basterebbe citare lo spregiudicato intervento
di Gaetano Salvemini a favore di Victor Serge e contro la polizia politica
in Urss, la polemica filotrotzkista di Breton e dei surrealisti, riferita da
Eluard, le prese di posizione sul concetto di cultura da distanti punti di
vista (da parte di un Musil piuttosto che da altri esuli dal mondo di lingua
tedesca), la presenza nella delegazione sovietica di Pasternak e Babel in
segno di diplomatica concessione agli umori di buona parte
dell'intellettualita' occidentale, per misurare la pluralita' di opinioni
che accompagno' il dibattito e che certo non contribui' a consentire che se
ne desse una visione unanimistica schiacciata sulle posizioni di una
ortodossia sovietica.
A rileggere oggi i materiali di questo congresso, piu' che la testimonianza
di un dibattito culturale, che pure vi fu e che mette anche in evidenza una
certa astrattezza dei suoi termini (come non notare ad esempio la scarsa o
nulla attenzione riservata al problema del razzismo?), emergono i caratteri
di una mobilitazione politica. Cio' che unifica gli scrittori riuniti a
Parigi non e' l'unanimita' intorno a un modo nuovo di fare letteratura o
alle proposte che provenivano dai divulgatori del mito sovietico o il
consenso alla retorica del "fiume rosso della storia" (Aragon): gli accenti
piu' sinceri, piu' crudi e se si vuole anche meno raffinati (perche' meno
estetizzanti) sono quelli che esprimono la consapevolezza della minaccia che
incombe sulla cultura (qui come mai sinonimo di civilta'), la minaccia della
diffusione del fascismo e l'imminenza di una guerra devastatrice. E' in
questa direzione che a mio avviso bisogna continuare a riflettere per
valorizzare fino in fondo queste carte cosi' faticosamente ricomposte da
fonti disperse.

6. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA: IL CONGRESSO DEL FUTURO
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 25 giugno 2005. Rossana Rossanda e' nata
a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente
del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il
Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive
della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi
quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti,
interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui
temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le
altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come
educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna,
persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro
Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con
Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita',
Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma
la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e
morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana
Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in
giornali e riviste]

Gli interventi al Congresso internazionale degli scrittori "per la difesa
della cultura", per la prima volta restituiti interamente da Sandra Teroni e
Wolfgang Klein, offrono uno spaccato di grande interesse
dell'intellettualita' antifascista europea degli anni Trenta. Tutta concorde
nel valutare il pericolo avanzante del fascismo e tutta inquieta dal
trovarsi raccolta per iniziativa dei comunisti che indubbiamente sono del
fascismo coerenti avversari. Ma le loro tesi sulla letteratura, tutta e
subito al servizio del popolo, sullo sfondo di un'Unione Sovietica oggetto
di speranze ma anche di dubbi, li preoccupano. E' questo il punto centrale
della discussione: al fascismo e alla sue cause e' data scarsa attenzione, e
cosi' al quadro mondiale che - come scrive qui sopra Collotti - e'
drammatico. Il dibattito verte tutto sul "che fare" dell'intellettuale
davanti all'offensiva fascista ma anche alla riposta che darebbe il
"marxismo" (inteso come primato dell'economia) e danno i comunisti. Fin
dall'inizio Julien Benda mette i piedi nel piatto. Sicche' alla Mutualite'
gli scrittori si trovano a colluttare piu' che con "il pericolo che ci
minaccia" con se stessi e il loro ruolo nella societa' - quella sovietica
che non li rassicura e quella occidentale sulle cui garanzie di liberta'
nutrono ormai molti dubbi. Quale margine di azione o anche solo di presa di
posizione e' possibile per lo scrittore? Benda e' deciso: altra cosa e' lo
scrivere altra l'agire politico, due livelli che non hanno niente da dirsi.
Ma la discussione, che potrebbe essere chiusa li', non lo segue. E non solo
perche' si vuol interloquire con i comunisti che hanno accanto a se' degli
insospettabili come Malraux e Gide. Gli intervenuti sono fortemente inquieti
sul presente e sul futuro e molto consci dei limiti della democrazia.
L'irreprensibile Gran Bretagna riconosce la liberta' solo per i signori e la
nega ai poveri e ai colonizzati, dice subito dopo Edward Forster (quello di
Camera con vista e di Passaggio in India). Quanto ai promotori, sono molto
propensi a dare spazio alla dilemmatica. Anche i comunisti francesi sono
presi da qualche dubbio che non esplicitano: dai documenti preparatori
risulta non solo che il convegno non e' per niente, come si e' tentato di
dire, l'abile operazione di un agente dell'Internazionale che si chiama
Willy Muenzenberg, ma che non era certo in cima ai pensieri del Comintern,
malgrado che fosse stato proposto da una conferenza degli scrittori
sovietici l'anno prima. Il Comintern da' a loro poca attenzione e zero
finanziamenti. I diecimila franchi che gli costa l'affitto della Mutualite',
il rimborso di qualche viaggio e gli stenografi dovranno raccoglierseli da
soli (Andre' Gide e Thomas Mann se la cavano con mille franchi per uno). E'
probabile che quel che prende tutta l'attenzione del Comintern nell'inverno
del 1935 sia il passaggio dalla linea "muro contro muro", che imperversava
dal 1929, a quella frontista dunque piu' aperta proposta da Dimitrov, e la
vecchia guardia (ma anche i trotzkisti e i surrealisti francesi) sospettano
di opportunismo. Insomma, della svolta che sarebbe consolidata proprio nel
luglio seguente con il settimo Congresso dell'Internazionale il convegno di
Parigi appare assieme un avamposto e una forzatura. Data e piano vengono
decisi in conclusione in una riunione fra intellettuali comunisti e compagni
di strada in un caffe' del Quartiere Latino.
Il Comintern vi avrebbe certo mandato una nutrita delegazione, contrattata
con Ehrenburg, che era l'inviato a Parigi delle "Izvestia", soprattutto
quando si seppe che non ci sarebbe andato Gorki, da sostituire non senza
contrasti con Babel e Pasternak (il quale non prendera' la parola e sembra
essersi prodigiosamente annoiato). Responsabile dei russi era Mikhail
Koltsov, noto giornalista satirico e direttore della maggior casa editrice
moscovita. Ma la quantita' di adesioni fece degli incontri di Parigi un
evento sempre meno controllabile: impossibile silenziare la surrealista
Madeleine Paz sulla detenzione di Victor Serge, impedire a Eluard di leggere
un discorso veemente di Andre' Breton, non ascoltare Gaetano Salvemini che
afferma: "Non sarei onesto se denunciassi la repressione fascista e tacessi
della polizia politica sovietica".
Fin dalla prima sera, Julien Benda attacca la tesi sovietica sulla cultura e
segue Robert Musil con un intervento sommesso ma in difesa dello scrittore
dalla intrusione della politica, del collettivismo e del nazionalismo - lui
che ne L'uomo senza qualita' fa un processo spietato all'Austria
dell'imperial-regio governo. E cosi' Huxley, che non si fa illusioni sulla
democrazia ma la ritiene "una vecchia pantofola che ci sta comoda".
L'intervento piu' problematico e' di Andre' Gide, che non e' stato ancora a
Mosca, ci andra' l'anno dopo, e ne seguira' l'acerbo Retour de l'Urss; nel
giugno 1935 tenta di rispondere alle questioni poste dal "marxismo".
L'intellettuale e' sicuramente condizionato dal suo tempo e dalla classe
dominante: non lo e' forse Racine, uomo di corte e di letteratura per
privilegiati, eppure grandissimo? Chi scrive, scrive nel suo tempo - Sartre
dira' "en situation" (al convegno non c'e', in quegli anni di politica
ignora tutto) - anche se a volte il suo tempo non lo riconosce. Ma piu' vi
e' coinvolto nel profondo, piu' vi va alla radice, piu' quel che scrive
prendera' un senso universale, vi si ritroveranno uomini di epoche diverse.
Cosi', propone Gide, si superano il nazionalismo ma anche la tesi che l'arte
dovrebbe rispecchiare immediatamente e direttamente il reale.
Le risposte comuniste, fatta eccezione per Nizan - che riconosce lo stato di
illiberta' nell'Urss ma lo considera contingente - sono di scarso spessore.
Siamo noi i continuatori di tutta la cultura (Nizan aveva detto "ma con
beneficio d'inventario"), che invece la borghesia calpesta, siamo noi che
l'abbiamo avvicinata al popolo, ne traiamo degli spunti e un numero di
lettori che voi neppure vi sognate. Neanche Ehrenburg fa un intervento
decoroso. Per cui Benda tempestera' una seconda volta: ma perche' vi dite in
continuita' con tutte le culture passate se la vostra e' una rivoluzione
epocale?
Malraux conclude definendo il convegno un successo. E lo e'. Non avra'
seguito perche' i tempi precipitano ma l'identica tematica si riprodurra'
fra comunisti e l'intellettualita' a loro piu' vicina del dopoguerra. Se mai
e' da chiedersi perche' venga reinventata invece di ricordare dove il 1935
era arrivato, la sinistra e' la piu' distratta sul passato. Quanto ai
destini personali, si divideranno. Gide si fara' sempre piu' lontano,
Malraux non andra' nel Maquis ma con De Gaulle, il poeta ceco Nezval
rompera' con Breton proprio per il suo intervento, Koltsov finira' in un
gulag, Klausmann si suicida, Walter Benjamin (di cui resta inspiegata
l'assenza dalla Mutualite', dove il suo amico Brecht avrebbe esclamato:
compagni, ricordatevi dei rapporti di produzione) si togliera' la vita a
Port Bou nell'intollerabile fatica di sfuggire ai tedeschi.

7. MAESTRE. ADRIANA CAVARERO: L'ESISTENTE
[Da Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli,
Milano 1997, p. 51. Adriana Cavarero e' docente di filosofia politica all'
Università di Verona; dal sito "Feminist Theory Website: Zagreb Woman's
Studies Center" ospitato dal Center for Digital Discourse and Culture at
Virginia Tech University (www.cddc.vt.edu/feminism), copyright 1999 Kristin
Switala, riportiamo questa scheda bibliografica delle sue opere pubblicate
in volume: a) libri: Dialettica e politica in Platone, Cedam, Padova 1974;
Platone: il filosofo e il problema politico. La Lettera VII e l'epistolario,
Sei, Torino 1976; La teoria politica di John Locke, Edizioni universitarie,
Padova 1984; L'interpretazione hegeliana di Parmenide, Quaderni di
Verifiche, Trento 1984; Nonostante Platone, Editori Riuniti, Roma1990.
(traduzione tedesca: Platon zum Trotz, Rotbuch, Berlin 1992; traduzione
inglese: In Spite of Plato, Polity, Cambridge 1995, e Routledge, New York
1995); Corpo in figure, Feltrinelli,Milano 1995; Platone. Lettera VII,
Repubblica: libro VI, Sei, Torino 1995; Tu che mi guardi, tu che mi
racconti, Feltrinelli, Milano 1997; Adriana Cavarero e Franco Restaino (a
cura di), Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999. b) saggi in volumi
collettanei: "Politica e ideologia dei partiti in Inghilterra secondo Hume",
in Per una storia del moderno concetto di politica, Cleup, Padova 1977, pp.
93-119; "Giacomo I e il Parlamento: una lotta per la sovranita'", in
Sovranita' e teoria dello Stato all'epoca dell'Assolutismo, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1980, pp. 47-89; "Hume: la politica come
scienza", in Il politico. Da Hobbes a Smith, a cura di Mario
Tronti,Feltrinelli, Milano 1982, vol. II, pp. 705-715; "Il principio
antropologico in Eraclito", in Itinerari e prospettive del personalismo,
Ipl, Milano 1987, pp. 311-323; "La teoria contrattualistica nei Trattati sul
Governo di John Locke", in Il contratto sociale nella filosofia politica
moderna, a cura di Giuseppe Duso, Il Mulino, Bologna 1987, pp. 149-190; "Per
una teoria della differenza sessuale", in Diotima. Il pensiero della
differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, pp. 43-79. (traduzioen
tedesca: "Ansatze zu einer Theorie der Geschlechterdifferenz", in Diotima.
Der Mensch ist Zwei, Wiener Frauenverlag, Wien 1989); "L'elaborazione
filosofica della differenza sessuale", in La ricerca delle donne, Rosenberg
& Sellier, Torino 1987, pp. 173-187. (traduzione inglese: "The Need for a
Sexed Thought", in Italian Feminist Thought, ed. by S. Kemp and P. Bono,
Blackwell, Oxford 1991); "Platone e Hegel interpreti di Parmenide", in La
scuola Eleatica, Macchiaroli, Napoli 1988, pp. 81-99; "Dire la nascita", in
Diotima. Mettere al mondo il mondo, La Tartaruga, Milano 1990, pp. 96-131.
(traduzione spagnola: "Decir el nacimiento", in Diotima. Traer al mundo el
mundo, Icaria y Antrazyt, Barcelona 1996); "Die Perspective der
Geschleterdifferenz", in Differenz und Gleicheit, Ulrike Helmer Verlag,
Frankfurt 1990, pp. 95-111; "Equality and Sexual Difference: the Amnesias of
Political Thought", in Equality and Difference: Gender Dimensions of
Political Thought, Justice and Morality, edited by G. Bock and S. James,
Routledge, London 1991, pp. 187-201; "Il moderno e le sue finzioni", in
Logiche e crisi della modernita, a cura di Carlo Galli, Il Mulino, Bologna
1991, pp. 313-319; "La tirannia dell'essere", in Metamorfosi del tragico fra
classico e moderno, a cura di Umberto Curi, Laterza, Rma-Bari 1991, pp.
107-122; "Introduzione" a: B. Head, Una questione di potere, El, Roma 1994,
pp. VII-XVIII; "Forme della corporeita'", in Filosofia, Donne, Filosofie,
Milella, Lecce 1994, pp. 15-28; "Figures de la corporeitat", Saviesa i
perversitat: les dones a la Grecia Antiga, coordinacio de M. Jufresa,
Edicions Destino, Barcelona 1994, pp. 85-111; "Un soggetto femminile oltre
la metafisica della morte", in Femminile e maschile tra pensiero e discorso,
Labirinti 12, Trento, pp. 15-28; "La passione della differenza", in Storia
delle passioni, a cura di Silvia Vegetti Finzi, Laterza, Roma-Bari 1995, pp.
279-313; "Il corpo e il segno. Un racconto di Karen Blixen", in Scrivere,
vivere, pensare, a cura di Francesca Pasini, La Tartaruga, Milano 1997, pp.
39-50; "Schauplatze der Einzigartigkeit", in Phaenomenologie and
Geschlechterdifferenz, edd. Silvia Stoller und Helmuth Vetter,
WUV-Universitatsverlag, Wien 1997, pp. 207-226; "Il pensiero femminista. Un
approccio teoretico", in Le filosofie femministe, a cura di Franco Restaino
e Adriana Cavarero, Paravia, Torino 1999, pp. 111-164; "Note arendtiane
sulla caverna di Platone", in Hannah Arendt, a cura di Simona Forti, Bruno
Mondadori, Milano 1999, pp. 205-225]

La storia di vita di qualcuno risulta sempre da un'esistenza che, fin
dall'inizio, lo ha esposto al mondo rivelandone l'unicita'. Solo nel caso
improbabile di una vita spesa in perfetta solitudine, nel deserto senza
sguardi, l'autobiografia di un essere umano potrebbe raccontare l'assurda
storia di un'identita' inesposta, senza relazioni e senza mondo. L'esistente
e' l'esponibile e il narrabile: ne' l'esponibilita' ne' la narrabilita', che
insieme costituiscono la sua unicita' peculiarmente umana, possono essergli
tolte.

8. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI FREI BETTO
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto di Frei Betto.
*
"Il pensiero unico e' morto a Porto Alegre. L'egemonia del neoliberismo e'
finita, tramontata l'idea che il mondo cosi' com'e' sia l'unico possibile.
Siamo andati a Porto Alegre per creare un'alternativa per la pace. Questa
alternativa, pero', e' possibile solo attraverso meccanismi che facciano
giustizia" (Frei Betto, Porto Alegre: la mondializzazione dei deboli,
nell'agenda-diario "Giorni nonviolenti 2003", Edizioni Qualevita, Torre dei
Nolfi (Aq) 2002).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenda-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 980 del 3 luglio 2005

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