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La nonviolenza e' in cammino. 972
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 972
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 25 Jun 2005 00:54:35 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 972 del 25 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Enrico Peyretti: Cultura e' debito 2. Lidia Menapace: Ha vinto il patriarcato 3. Mario Martini: Presentazione de "Il pensiero nonviolento" di Antonio Vigilante 4. Martin Luther King: Un discorso del 5 dicembre 1955 5. Con "Qualevita", all'ascolto di Christa Wolf 6. Riletture: AA. VV., Malinche. La donna e la Conquista 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. ENRICO PEYRETTI: CULTURA E' DEBITO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org e alla pagina web http://db.peacelink.org/tools/author.php?l=peyretti Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Lavorare con le conoscenze e con la critica e' una responsabilita' verso gli altri, come guidare un treno. Avere studiato, possedere strumenti di conoscenza e critica, e' un debito da rendere a tutti. L'intelligenza, da sola, e' corrosiva della realta', dice Raimon Panikkar (che e' molto intelligente), e tende a ripiegarsi su se stessa. Deve essere guidata e orientata dall'amore, come dalla luce. Nel saggio Dire la verita' (in Etica, Bompiani, Milano 1983, pp. 307-314), Bonhoeffer dimostra bene, con esempi concreti, che il semplice dire la verita' dei fatti sarebbe cinismo, sarebbe "verita' satanica", se non fosse un giudizio per amore. La verita' piu' vera e' difendere e valorizzare la persona reale: "La parola deve avere una giustificazione e una motivazione nel prossimo". Anche la cultura, come tutte le azioni della vita, ha un compito di amore sostenitore. Il conoscere, sapere e vedere (theorein, teoria) non e' fuori dalla vita e percio' dalla legge della vita, che e' l'amore, senza il quale la vita muore. La parola di chi sa deprime, se riflette solo il negativo e il buio, anche per criticarlo. Criticare il negativo da' soddisfazione all'intelligenza, ma, oltre la giusta misura, ferma il cammino del vedere, la ricerca. Chi indica la luce e il bene, non e' certo ignaro del buio e del male. Forse, anzi, indica il positivo perche' ha conosciuto tutto il negativo. Cosi', chi spera puo' sperare perche' ha assaggiato la disperazione. L'amore vissuto nella cultura, nel pensiero (e dove sarebbe l'amore, se non fosse vissuto dappertutto?), edifica, incoraggia, sostiene. Il pensiero e' attivo sulla realta', non solo passivo. E' un lavoro, un mestiere sociale. Certo, deve anche analizzare, criticare, decostruire e demolire, ma unicamente per costruire meglio. Altrimenti non ha diritto di togliere un tetto a chi vi si ripara alla meglio, se non spera di offrirgliene uno migliore. Primum vivere, deinde philosophari. E vuol dire il vivere degli altri, su cui si misura la qualita' del nostro vivere, secondo che porti danno o beneficio alla vita degli altri. "Amicus Plato sed magis amica veritas", avrebbe detto Aristotele, preferendo la verita' al maestro e all'amico. Vattimo ha proposto anche il contrario: amica la verita', ma piu' amico il vivente, la persona concreta. In questo ha detto bene. Dostoevskij fra la verita' e Gesu' sceglierebbe Gesu'. Ma e' veramente un dilemma? "Quid est veritas?" si chiede Pilato, e suona nella sua domanda la risposta scettica: poiche' non ha criteri di valore, con quella domanda vuota manda un uomo a morire, volendo vilmente "accontentare la folla" (Marco 15, 15) e cedere ai gran sacerdoti che lo ricattano: "Non abbiamo altro re che Cesare" (Giovanni 19, 15). Per lui, il pezzetto di potere che Cesare gli concede vale piu' della vita di un uomo, che per di piu' egli sa innocente, quindi vale anche piu' della propria coscienza. Si capisce bene, allora, come Pilato, non avendo alcun sentore della verita', possa perdere l'uomo e la propria coscienza, e, perdendo l'uno e l'altro, non possa sapere che cos'e' la verita'. Pilato e' piu' prigioniero del suo prigioniero. Gesu' ha soltanto le mani legate, Pilato e' tutto legato. Infatti, Luigi Pintor, anagrammando le parole di quella domanda le capovolge nella risposta che Pilato non seppe vedere: la verita' "est vir qui adest" (in I luoghi del delitto, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 15). Cioe': la verita' e' il mio prossimo, e' l'uomo che mi sta di fronte. Ed e' lui che sveglia la mia coscienza, con la sua sola presenza mi rende responsabile, mi rende umano. Quando Pilato presenta ai condannatori Gesu' flagellato, dicendo: "Ecco l'uomo" (Giovanni 19, 5), in quelle parole condanna se stesso, perche' ha del potere e in esso si identifica (19, 10), percio' non vive da uomo. Mi viene da simpatizzare, contro tutto quello che abbiamo imparato a scuola, e contro tutto cio' che e' "culturalmente corretto", con la concezione educativa dell'arte sostenuta dal Tolstoj maturo, "oltre la letteratura" (come s'intitola il bel libro di Pier Cesare Bori, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole (Fi) 1991; sull'arte vedi pp. 57-59). In questa concezione, nell'arte, piu' importante dell'effusione del se' dell'artista, e' la qualita' del messaggio sul significato della vita che viene trasmesso. Non certo per censurare o regolamentare le espressioni artistiche, ma per valutarne il valore umano, prioritario e inglobante il valore estetico. Come il diritto all'informazione e' del lettore, piu' che del giornalista, cosi' la cultura responsabile e' servire chi ascolta piu' che chi parla. L'amore e' cura responsabile per l'altro, e questa e' gia' una luce intellettuale, e' una via del sapere. Si possono distinguere sapere e amare, ma soltanto per poi riunirli nella vita. Anche se vede l'orizzonte buio, il pensiero responsabile crede nella luce, non solo perche' - per coloro a cui e' dato di aver fede - la luce, o la sua alba certa, e' posta in noi (Giovanni 1, 9), come tormento e fermento, e pure come pace pregustata; ma anche perche' la luce, il senso delle cose, e' il motivo della ricerca, e' l'energia che attira e attiva il pensiero, e se davvero pensassimo solo il buio avremmo cessato di pensare, e anche di vivere. Intellettuali "impegnati" significa dati in pegno, presi in pegno: Levinas dice bene il nostro essere "ostaggio" dell'altro, affinche' vi sia vita etica, cioe' la maggiore filo-sofia o sapienza dell'amore (piu' che amore della sapienza). Gli intellettuali impegnati lavorano verso il positivo, attraversando il negativo. Devono dare il coraggio intelligente per sperare e per agire. Devono vedere talmente a fondo dentro le cose, dietro la loro frequente bruttezza, da scoprirne e difenderne il reale positivo, che l'intelligenza biblica indica piu' reale della corruzione intervenuta, sovrapposta. Cio' vale anche se leggiamo il "tutto era molto buono" (Genesi 1, 31) come meta finale, compito nostro, piu' che realta' iniziale. La meta, la vocazione di ogni cosa e' la sua vera realta', da difendere e promuovere, da vedere con l'intelligenza maggiore anche quando ancora e' invisibile. Il pensiero desiderante e immaginante, il pensiero maieutico, l'utopia, la poesia, l'invenzione (forme non apprezzate da un tipo di scienziato e di politico "realisti", fermi alla realta' fattuale, crescendo solo nel possederla), non sono meno intelligenti del pensiero che accuratamente constata. Anzi, direi che lo sono di piu'. Per esempio, la ricerca e costruzione della pace e' giusta, intelligente, responsabile, anche se fosse impossibile. Se la vedo impossibile, lo dico, ma subito lo nego, per procedere verso la creazione tenace della possibilita'. Il pensiero non sta fermo. Se dico il reale senza oltrepassarlo, non dico la verita'. La verita' u-topica e' la verita' del reale: penso alla "realta' liberata" di Capitini, ma anche il pensiero biblico dice forte che la verita' delle cose e' davanti e oltre la loro realta'; e lo sa ogni intelligenza dinamica, che ama veder crescere il reale verso il buono e il vero, e vuole aiutarlo. La responsabilita', o e' sempre incoraggiante, nonostante e oltre il negativo apertamente osservato, oppure non e' positiva, non e' responsabile. Il pensiero e' una medicina, non uno specchio, non un registratore; e' una cura attiva della vita. Cura attiva non vuol dire ottimismo beota. Avvertire della catastrofe occultata, anche se tutti ti danno del catastrofista, e' responsabilita' fedele. Poi, lavori subito contro la catastrofe. Fatta la diagnosi piu' realistica, il lavoro del pensiero e' appena cominciato. Deve subito fare una prognosi, e cercare, costruire, osare una terapia imparando da tutta l'esperienza, teso con la forza dell'amore a risanare la vita. Questo modello medico, proposto e praticato da Johan Galtung nel pensiero della pace (La pace con mezzi pacifici, Esperia, Milano 2000) vale per ogni professione e responsabilita' intellettuale, perche' sia degna del suo ruolo nella societa' umana, e renda al prossimo il dovuto per giustizia. 2. RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: HA VINTO IL PATRIARCATO [Dal quotidiano "Liberazione" del 19 giugno 2005. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. Il futurismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; L'ermetismo. Ideologia e linguaggio, Celuc, Milano 1968; (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004] La campagna e' stata importante e anche appassionante, ma molto interna, in quanto gli astensionisti per solito non si sono presentati, si sono astenuti anche dalla campagna referendaria, persino nei dibattiti non era possibile avere un confronto. Hanno invece usato in modo compatto ed escludente le chiese (da varie parti mi e' stato riferito che se ci si presentava all'uscita delle funzioni religiose con volantini per il voto, anche solo per invitare al voto, i e le fedeli venivano fatti uscire da una porta secondaria). La scadenza e' stata vinta alla grande dal patriarcato, questo mi pare il denominatore comune sotto il quale si possono mettere Ruini e Ferrara, Ratzinger e Pera, senno' cosa? Una buona dose di patriarcato non e' mancata nemmeno nel centrosinistra, non solo per Rutelli e altri, ma soprattutto perche' non e' stato favorito mai in nessuna circostanza il protagonismo delle donne, sicche' il dibattito e' stato astratto e astruso, non coinvolgente e tutto giocato sul terreno politico-partitico, che non e' quello dell'istituto referendario. Credo che quando avremo i dati della partecipazione distinta per genere, si vedra' che sono andate a votare soprattutto le donne, il che significa una presa minore del clericalismo su di noi e una maggiore capacita' di lettura di testi anche difficili. E una decisionalita' piu' grande. Mentre pero' leggo il "manifesto di Creta" scritto da Prodi, devo rilevare per l'ennesima volta che il soggetto donna, la parola politica "femminismo" non entra nemmeno di straforo nelle sue abitudini linguistiche. * Avevo firmato subito, al tempo delle elezioni europee durante una manifestazione a Bologna, il referendum abrogativo totale proposto dai radicali, osservando (e allora trovando assenso da parte del rappresentante del partito radicale) che non mi piaceva una impostazione esclusivamente partitica, che non teneva conto del movimento delle donne e cosi' acriticamente scientista, dato che invece voglio mantenere un atteggiamento critico verso la scienza: dopo che l'Oms ha dichiarato la sterilita' e l'infertilita' (nella dimensione che hanno nei paesi "sviluppati") malattie, dovrebbe dirci qualcosa sulle cause di tali malattie e non solo propinarci terapie piu' o meno sofisticate. Avevo dunque perplessita' sulla forma del referendum, ma poiche' non sono venute altre proposte, ci sono stata, per la ragione fondamentale che una legge come quella approvata dal parlamento, tramite una maggioranza blindata che ha rifiutato tutte le proposte di emendamento (molte proposte di legge emendative giacciono infatti alla Camera e al Senato) riducendo la liberta' di molte donne, uomini e coppie e persone singole, limita anche la mia, non essendo la liberta' divisibile e non potendo io fare critiche a pratiche che magari non condivido, se chi mi ascolta non e' a sua volta libero/a, ma patisce i divieti di una legge. Inoltre perche' vedo nel futuro piuttosto leggi che riconoscono e ordinano facolta' piuttosto che leggi che elencano divieti. E la legge italiana sulla procreazione assistita (che e' la sessantacinquesima al mondo in ordine di tempo) e' quella che contiene il maggior numero di divieti in assoluto. * Ma voglio dire qualcosa dei dibattiti che ho tenuto, invitata da comitati per il si' e per il voto. La presenza e' stata buona ovunque, ma non straordinaria: molti anni di politica passivizzante (da parte di quasi tutti gli schieramenti) producono passivita', e tendono a far credere che "partecipazione" sia fare da spettatori alla sfilata telegiornaliera dei mezzibusti, tutti uomini ovviamente: fatto cadere Berlusconi (eventualmente), non cade il berlusconismo, questa osservazione e' echeggiata ripetutamente durante la campagna. Sono stata colpita ovunque dalla serieta', precisione, passione dei ragionamenti delle giuriste, ginecologhe, ricercatrici. Le giuriste - da Milano a Messina, passando per Roma e Bologna e molti altri luoghi - hanno portato argomenti precisi, sottili e mai meramente tecnici, esprimendo una idea e pratica del diritto, che e' il contrario della legiferazione punitiva e vietante che ci ritroviamo. E invece facendo i conti con i contesti culturali e con le opinioni e i desideri delle persone e acquisendo la necessita' di stabilire alcuni indirizzi comuni sui quali pattuire socialmente. Una vera e diffusa lezione su cosa e' la laicita' dello stato. E su come si forma la legge, in materie che non hanno precedenti, in uno stato laico. Il tema piu' ricorrente, anche nelle domande del pubblico, e' stato quello della partecipazione al desiderio di maternita' e paternita', con un timbro molto umano e comprensivo. Un certo atteggiamento di diffidenza talora, verso una scienza presentata dallo schieramento astensionista addirittura come "mengeliana", non e' mancato, e infine l'errore di aver lasciato passare il termine "eterologa" per la riproduzione da donazione ha molto inquinato la comprensione di questo ultimo tema. Richieste di "poter conoscere il padre naturale" come se uno spermatozoo potesse essere considerato "padre" si sono sentite e una persistente paura maschile della non certezza del padre: il tema che ha indotto tutte le popolazioni residenziali e fondate sulla proprieta' privata a controllare la sessualita' femminile in modo ossessivo. Ricordo che non molti decenni fa per poter adottare qualcuno ci voleva il consenso anche dei nonni se viventi, perche' dovevano poter decidere se lasciare la proprieta' a un erede che non era "del sangue". Dicevo che non e' stato preso in considerazione da nessuna parte il dibattito che si e' aperto nel femminismo, ne' le iniziative delle donne, del Forum come dell'Udi, della Libreria come di Giudit, i testi di Lea Melandri o di Letizia Paolozzi. Poche le donne nei dibattiti televisivi e non molte sui giornali che fanno opinione, il dibattito sequestrato dal parlamento durante il lungo iter della legge e anche dopo, e' stato tutto proprieta' dei patriarchi. Eppure annovero tra i guadagni straordinari di questo sfortunato evento il libro di Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, gli articoli di Ida Dominijanni e un bel libro di una giovane ricercatice, Eleonora Cirant, "Non si gioca con la vita, una posizione laica sulla procreazione assistita". Non lasceremo cadere i segnali, gli incroci, gli incontri che sono avvenuti tra noi. * Mi sono resa conto che laicita' per i piu' significa confronto tollerante tra le religioni, e questa e' gia' una stortura grave che sta passando nel discorso. Insensibilmente, come gli armigeri svizzeri al seguito del papa a Bari, accettabili se il papa fosse un sovrano che viaggia nel suo regno, cosi' il definirsi per appartenenza religiosa come "cattolici" o "laici" passa e non solo esclude qualsiasi altra religione, ma fa credere che per essere laici non bisogna essere religiosi. La laicita' dello stato non e' la semplice tolleranza religiosa (che beninteso nessuno vuole restringere), ma e' un primum dello stato, fondato sul consenso e sulle volonta' espresse positivamente, non astensionisticamente, sanzionate e correggibili, rese pubbliche da cittadine e cittadini. Se ci si attacca ad altro (una confessione religiosa, una ideologia politica) si ha stato confessionale (eventualmente con "culti ammessi") o stato etico (eventualmente con la riserva che una moglie "ariana" puo' salvare il marito ebreo): due bruttissime e ben note bestie. Che fare? Una analisi precisa del voto espresso, per vedere se e quanto le donne abbiano ascoltato il monito ecclesiastico dell'astensione, che in molti luoghi, ad esempio nei piccoli paesi oppure nei quartieri strutturati o nelle famiglie patriarcali viola la segretezza del voto e impedisce una sua libera espressione. E si dovra' ricominciare ad essere precise nel linguaggio e non lasciar tanto facilmente passare quel trucco linguistico per il quale, per cancellare le donne, basta passare dalla locuzione: "gli uomini e le donne nelle pratiche che li relazionano" a "l'uomo e la famiglia": come con un colpo di bacchetta magica le donne sono cancellate ed eventualmente recuperate in qualita' di "servizio sociale onnicomprensivo gratuito", cioe' casalinghe, dopo le restrizione degli accessi ai servizi sociali. Riprendere con rigore posizioni femministe nel dibattito politico e metterle in conto: un programma politico che si nomini e formi in una officina o ufficio o fabbrica o campo o magari anche "cucina", ma non veda presenti le donne del movimento nella nostra varieta' e molteplicita' femminista, con prese di posizione e richieste di giudizio, non creda di poter avere il consenso elettorale delle cittadine. Sembra ad oggi che la sordita' del centrosinistra in proposito sia totale e irrimediabile. * D'ora in avanti, visto che abbondiamo di strumenti di comunicazione veloce, non si puo' tollerare che il dibattito politico sia sequestrato e avvenga tutto fuori dalle assemblee politiche elette, sicche', si tratti di procreazione o di trattato per la Costituzione europea o di spese militari o di riforma scolastica o di deformazione della nostra Costituzione, non e' possibile sapere che cosa avviene nelle segrete stanze, fino a che il prodotto confezionato non ci viene buttato in testa da approvare: o mangi questa minestra o salti da questa finestra. Eppure l'iniziativa di Elettra Deiana e Silvana Pisa in merito ai codici militari di guerra ha sortito effetti significativi: serve interessare la societa' civile organizzata, serve soprattutto quando si e' minoranza nelle istituzioni e forse maggioranza nel paese, come puo' capitare col sistema maggioritario. In particolare sulla sciagurata legge 40, bisogna riaprire il dibattito e l'iniziativa prima che faccia altri danni avviando un attacco alla 194, e tenti di ridurre di nuovo le donne a soggetti oppressi e non autonomi, se non dispongono di cospicue risorse culturali ed economiche per poter ricorrere alle leggi degli altri paesi europei, violando pero' - dolorosamente - l'eguaglianza tra le cittadine. Questa legge configura infatti il primo esplicito attacco ai principi (l'eguaglianza senza distinzione di genere, razza, religione o condizione sociale) della prima parte della Costituzione, solennemente dichiarata intangibile e che non sarebbe stata "riformata": vedete che fiducia si puo' avere nelle solenni dichiarazioni di rispettto verso leggi ordinarie, se la stessa Costituzione viene manomessa allegramente. Se si trova (come non si trovo' subito dopo la promulgazione della legge) il caso da sottoporre alla Corte, oppure i cinque consigli regionali (al momento della promulgazione della legge non c'erano abbastanza consigli regionali di centrosinistra) da interpellare per sottoporre la legge alla Corte costituzionale, si deve avviare il procedimento, oppure e insieme riprendere la discussione per le modifiche e gli emendamenti che la maggioranza pertinacemente rifiuto'. E bisogna farlo subito, perche' dobbiamo un gesto forte verso le persone o coppie sterili o portatrici sane di malattie genetiche o impossibilitate a ripetere interventi invasivi e pericolosi: non e' importante chi o perche' si e' schierato, adesso e' importante che non abbandoniamo per meschini calcoli di bottega le persone che da questa legge ricevono sofferenza o abbandono. In particolare disprezzo, che ci colpisce tutte, verso le donne considerate incapaci di intendere e di volere se non condotte per mano tra divieti a non finire. L'ingiustizia e' invero sancita. Durante un dibattito a Firenze, area universitaria di Novoli, una bravissima ginecologa ha detto con amarezza che questa legge le fara' cambiare mestiere: "gia' sono diventata una agenzia di viaggi: tra le mie pazienti a seconda delle possibilita' economiche o culturali si va in Inghilterra o in Francia o in Spagna, e l'Albania gia' attrezza sedi per accogliere dal sud d'Italia". Dico incidentalmente che sono rimasta esterrefatta dalla nessuna agibilita' politica dell'universita': per fare una festa e un dibattito nei cortili ci voleva "il permesso" della Digos. Incredibile: il tempo veniva perso in trattative che non possono avere nessun fondamento di diritto, sono pura espressione di potere ministeriale, politico-repressivo: hanno inventato anche la repressione preventiva adesso. Il massimo! * L'esito infausto del referendum e' un brutto segno, probabilmente sottovalutato nei suoi significati profondi; esso non riguarda "solo" la liberta' delle cittadine italiane (che gia' sarebbe motivo sufficiente per considerarlo) ma addirittura la forma dello stato e la sua definizione, in mancanza di una mediazione come quella che in altri tempi era esercitata dalla Dc e da legami poco noti ma esistenti tra Pci e Vaticano. Non era ne' bello ne' giusto e infatti ci ha consegnato del tutto impreparati alla barbarie del capitalismo globale nei rapporti economici e del patriarcato "moderno" nelle relazioni culturali e di valore. Peggio non capiti, perche' a pochi passi da qui c'e' la fine della democrazia costituzionale. Tenersi sveglie e impegnate e' necessario, dico che e' anche appassionante perche' si scoprono tante volonta' ancora intatte, tanta decisione precisa e praticata, tanta forza morale: purtroppo come schiacciata o esclusa o dimenticata dai circuiti politici e informativi. Non vorrei proprio che adesso buttassimo tutto addosso al referendum come forma sbagliata. Non possiamo, proprio noi deprezzare uno strumento che ci dobbiamo invece addestrare a difendere e rilanciare, perche' dopo la controriforma costituzionale che sta avanzando avremo da affrontare il referendum "confermativo" sconfermando alla grande il testo autoritario e assolutista che ci viene propinato. 3. LIBRI. MARIO MARTINI: PRESENTAZIONE DE "IL PENSIERO NONVIOLENTO" DI ANTONIO VIGILANTE [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) per averci messo a disposizione l'introduzione del suo recente libro: Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004, pp. 238, 15 euro, con una presentazione di Mario Martini. Mario Martini, filosofo e amico della nonviolenza, e' uno dei maggiori studiosi delle opere e del pensiero di Aldo Capitini; docente associato di filosofia morale all'Universita' di Perugia, tra gli argomenti di riflessione che lo hanno impegnato negli ultimi anni: l'etica contemporanea e la violenza, i fondamentalismi e la violenza religiosa. Tra le opere di Mario Martini: Recenti interpretazioni del razionalismo nietzschiano, Oderisi, Gubbio 1977; Forme dell'impegno sociale. Sartre, Adorno, Cioran, Porziuncola, Assisi 1991; (a cura di), Aldo Capitini libero religioso rivoluzionario nonviolento. Atti del Convegno, Comune di Perugia - Fondazione Aldo Capitini, Perugia 1999; ha curato due rilevanti raccolte di scritti capitiniani: Aldo Capitini, Scritti filosofici e religiosi, Perugia 1994, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia 1998; Aldo Capitini, le ragioni della nonviolenza. Antologia degli scritti, Ets, Pisa 2004. Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Per richieste alla casa editrice: Edizioni del Rosone, tel. 0881687659, e-mail: edizionidelrosone at tiscali.it] Ad un attento osservatore dei fatti e della situazione contemporanea non sfugge che una delle componenti del disagio in cui si vive e' il dilagare della violenza, dalla sua forma piu' eclatante che e' la guerra, al vissuto quotidiano nelle periferie degradate e nei centri storici abbandonati a se stessi. Dagli schermi dei televisori e dei computer, abbiamo lo spettacolo quotidiano della fame (e sempre piu' della sete) e della malattia nel sud del mondo, anche quando esso entra nei nostri confini con la presenza degli immigrati. Non basta pero' osservare lo spettacolo, che' appunto a questo la societa' ad imperativo consumistico tenta di ridurre (e riduce!) i fenomeni richiamati; basti pensare alle analisi memorabili di Baudrillard sulle guerre virtuali. Si moltiplicano tuttavia i libri sulle guerre reali e le loro cause da parte di storici e politologi, e le analisi della violenza di psicologi ed analisti del costume. Anche dalle diverse branche del pensiero sociologico si accumulano titoli sulle varie e nuove forme di crudelta' indotte nella societa' contemporanea nei suoi rapporti interni quanto in quelli con l'altro dalla propria cultura (vedi i volumi di Sofsky, Il paradiso della crudelta', il Saggio sulla violenza, oppure I fratricidi di Egdard Morin). Nell'ambito filosofico la riflessione sul fenomeno stenta a prendere il via, forse per l'inveterato vezzo dei filosofi di considerare la realta' nel modo espresso nell'antico detto del "nihil novi sub sole ". Certo, l'aggressivita' e la violenza fanno parte dello statuto antropologico, ma intanto bisognerebbe distinguere i meccanismi psicologici e gli automatismi sociali di reazioni che si ripetono in ogni situazione costrittiva, dalle cause materiali, strutturali e culturali della violenza, individuate cosi' bene dall'autore del volume che abbiamo tra le mani. Per i meccanismi cui ho accennato viene in mente l'emblematico titolo di Mitscherlich, Il feticcio urbano. La citta'inabitabile, istigatrice di discordia, oppure le analisi sempre valide di Fromm sull'anatomia della distruttivita' umana. Per le cause della violenza invece il problema e' di come mutare le basi materiali e spirituali per far crescere condizioni di maggiore umanita'; affinche', come dice Ivan Illich, "il desiderio possa fiorire e i bisogni declinare". Da qui parte l'atteggiamento nonviolento come opzione valoriale; parte la riflessione della nonviolenza, a cominciare dalla questione della responsabilita' dello stesso pensiero (religioso, politico, filosofico) nella nascita e nell'assecondamento della violenza. Pregnante in proposito la citazione di Aldo Capitini: "Oggi la nonviolenza e' alla svolta della storia, che o continua a ripetere se stessa o si rinnova. Chi commette la violenza, ripete passivamente millenni: dire coraggiosamente no e' far posto ad altro". * Il libro di Antonio Vigilante, accanto ad altri lavori a piu' voci su questo relativamente nuovo orientamento di pensiero (si veda: Convertirsi alla nonviolenza?, a cura di Matteo Soccio, Il Segno dei Gabrielli Editori, Verona 2003), e' la prima introduzione monografica che appare in Italia sull'argomento (altrove, gli scritti di Galtung, di Sharp, di Semelin, di J. M. Muller e tanti altri). Vi si trovano esposti: il pensiero degli autori contemporanei piu' rappresentativi; un'ampia discussione delle ragioni della nonviolenza da un punto di vista contenutistico e concettuale; infine, le possibilita' della scelta nonviolenta sia richiamando le esperienze storiche sia prospettandone nuove e significative vie di sbocco nel presente. I capitoli del libro affrontano il rapporto tra le forme di violenza e la "forza della verita'" (Satyagraha); il problema antropologico della formazione del nuovo uomo nonviolento e dell'ethos che lo sottende; il rapporto tra religione e politica discusso attraverso il binomio trascendenza/trascendimento. Tutto il volume e' percorso dal tema capitiniano dell'educazione ad una "politica dell'umanita'", ovvero ad una nuova socialita'. Problema quanto mai attuale, visti gli spazi sempre piu' ristretti di essa, il bisogno "di socializzare, di combattere l'isolamento, di incontrare gli altri non solo nelle forme leggere del divertimento e dell'evasione", e tuttavia nemmeno dal lato opposto nelle forme dell'identita' forte del fondamentalismo, del fanatismo ideologico o della sartriana "fraternita'-terrore". La proposta nonviolenta, presentata attraverso le esperienze di un Tolstoj, di un Gandhi, di un Lanza del Vasto, di un Thich Nhat Hanh, di autori cristiani e credenti da Martin Luther King a don Milani, oppure post-cristiani come Dolci e Capitini, mostra il carattere "eccentrico" della nonviolenza. E l'autore ci spiega subito che cosa intende dire con questo: "Nonviolenza e' guardare il mondo con lo sguardo dell'escluso, assumendo la sua sofferenza come propria. E' rifiutare strenuamente qualsiasi giustificazione che possa essere addotta per la realta' della sofferenza umana", e quindi: "Se violenza e' cio' che riduce gli esseri a cose, nonviolenza sara' l'attivita' efficace che favorisce il maggiore sviluppo possibile di tutto cio' che vive". Il carattere peculiare della nonviolenza e' nello stesso tempo la sua posta in gioco, e cioe' il rapporto stretto tra pensiero e azione, tra concetto e prassi (dietro il quale c'e' quello tra fede, o, capitinianamente, persuasione, e ragione) che i nonviolenti mettono a base della loro scelta di vita e della loro visione della realta', al punto che spesso la prassi, l'opzione valoriale fa aggio sulla premessa concettuale o sulla giustificazione teorica. L'autore accetta onestamente questa sfida, fondamentale del pensiero nonviolento, e non solo fa vedere la coerenza delle scelte delle personalita' individuate, ma, esaminandone le posizioni, piu' di una volta ne mostra i limiti e le sfasature. Egli mostra altresi' come spesso la difficile posizione nonviolenta sia costretta fra termini di confronto antitetici: slancio caritativo ed economia; antimoderno e sfida della globalizzazione; personale-individuale e collettivo, pubblico, politico; verita' e ricerca; identita' e liberazione o apertura; eros e ascetismo; maschile e femminile. * Direi pero' che il motivo principale per cui il libro ci interroga e ci inquieta e' la dimensione politica dell'atteggiamento nonviolento, che e' poi l'eredita' e l'indicazione piu' preziosa di Capitini e di Gandhi, che si riassume nel nesso forte tra etica, religione e politica, nesso che unisce il privato, l'interiore e l'universale. La lezione gandhiano-capitiniana e' servita per mettere in luce il pericolo delle costanti forme di degenerazione tanto dell'etica e della politica, quanto della spiritualita' e della religione. Per questo Gandhi parla di equidistanza delle varie fedi dalla verita', e Capitini propone la "religione aperta", quanto a dire che la relazione tra religione e politica passa attraverso il valore della laicita'. Per cio' che riguarda invece l'altro rapporto, quello tra etica e politica, nell'ottica della nonviolenza e' necessario rivitalizzare la seconda nella direzione della prima, come auspicato da autori quali Emmanuel Levinas o Juergen Habermas con il suo concetto di rivalutazione del "punto di vista morale". In conclusione, non quindi una moralizzazione della politica ma un ristabilimento del senso autentico, della dignita' e del compito umano della stessa, se non si vuole ancora percorrere la via della sciagurata affermazione secondo la quale "la guerra e' la continuazione della politica con altri mezzi", bensi' invertire la rotta con il no della nonviolenza". 4. MAESTRI. MARTIN LUTHER KING: UN DISCORSO DEL 5 DICEMBRE 1955 [Ringraziamo Fulvio Cesare Manara (per contatti: philosophe0 at tin.it) per averci messo a disposizione l'antologia di scritti e discorsi di Martin Luther King da lui curata, Memoria di un volto: Martin Luther King, Dipartimento per l'educazione alla nonviolenza delle Acli di Bergamo, Bergamo 2002, che reca traduzioni di discorsi e scritti del grande maestro della nonviolenza. Il testo seguente e' quello del discorso tenuto da Martin Luther King all'assemblea della Montgomery Improvement Association, Holt Street Baptist Church, Montgomery, Alabama, 5 dicembre 1955. La traduzione italiana e' di Fulvio Cesare Manara, il testo originale e' in The Papers of Martin Luther King, jr, vol. III, Birth of a New Age, December 1955 - December 1956, Clayborne Carson (Ed.), Berkeley, University of California Press, 1997, pp. 71-74. L'opuscolo da cui riprendiamo il testo reca anche la seguente opportuna nota introduttiva: "Il primo incontro di massa della Montgomery Improvement Association (in sigla: Mia) attrasse molte migliaia di persone nella grande Chiesa Battista di Holt Street, in un quartiere popolato da neri della classe operaia. Sia la chiesa che l'auditorium nel seminterrato erano colmi molto prima che l'incontro avesse inizio, e c'era pubblico all'esterno che poteva ascoltare con altoparlanti. Oltre a cronisti, fotografi e a due troupe televisive, fra i partecipanti erano presenti anche leader neri di altre citta' dell'Alabama, come Birmingham, Mobile e Tuscaloosa. L'incontro inizio' con due inni, una preghiera del reverendo W. F. Alford e una lettura dalla Scrittura (il Salmo 34) del reverendo U. J. Fields. King poi tenne il discorso che aveva preparato in fretta prima dell'incontro stesso. Piu' avanti fece riferimento al problema che ebbe di fronte quando considerava cosa avrebbe detto: "Come avrei potuto tenere un discorso che fosse abbastanza militante da mantenere la gente disposta ad una azione positiva e nello stesso tempo abbastanza moderato da mantenere questo fervore entro limiti controllabili e cristiani? Sapevo che molte persone di colore erano vittime di un'amarezza che facilmente avrebbe potuto crescere fino a proporzioni da diluvio. Cosa avrei potuto dire per assicurarmi che restassero coraggiosi e preparati all'azione positiva e nel contempo privi di odio e risentimento? Avrebbero potuto combinarsi il militante e il moderato in un singolo discorso?" (1). Nel suo discorso, King descrisse i maltrattamenti dei passeggeri neri degli autobus e la disobbedienza civile di Rosa Parks, e poi giustifico' la protesta nonviolenta facendo appello alla fede cristiana degli afroamericani nell'amore e nella giustizia, e alla tradizione democratica americana della protesta legale. Una pausa silenziosa segui' le parole di King, e poi eruppe in un fragoroso applauso. Il reverendo Edgar N. French della Hillard Chapel Ame Zion Church presento' Rosa Parks e Fred Daniel, uno studente del College di Stato dell'Alabama arrestato quella mattina con l'accusa di condotta turbolenta (poi ritirata), in quanto si sosteneva che avesse impedito ad una donna di salire su di un autobus. Il reverendo Abernathy lesse poi la risoluzione stesa da lui stesso, da King ed altri della commissione per la risoluzione. L'assemblea voto' a favore in schiacciante maggioranza, decidendo di "astenersi dal prendere gli autobus... fino a che un qualche accordo fosse raggiunto" con la compagnia degli autobus. King fece poi una richiesta di sostegno economico, e lascio' infine l'assemblea per partecipare con un altro discorso ad un banchetto della Ymca". Martin Luther King, nato ad Atlanta in Georgia nel 1929, laureatosi all'Universita' di Boston nel 1954 con una tesi sul teologo Paul Tillich, lo stesso anno si stabilisce, come pastore battista, a Montgomery nell'Alabama. Dal 1955 (il primo dicembre accade la vicenda di Rosa Parks) guida la lotta nonviolenta contro la discriminazione razziale, intervenendo in varie parti degli Usa. Premio Nobel per la pace nel 1964, piu' volte oggetto di attentati e repressione, muore assassinato nel 1968. Opere di Martin Luther King: tra i testi piu' noti: La forza di amare, Sei, Torino 1967, 1994 (edizione italiana curata da Ernesto Balducci); Lettera dal carcere di Birmingham - Pellegrinaggio alla nonviolenza, Movimento Nonviolento, Verona 1993; L'"altro" Martin Luther King, Claudiana, Torino 1993 (antologia a cura di Paolo Naso); "I have a dream", Mondadori, Milano 2001; cfr. anche: Marcia verso la liberta', Ando', Palermo 1968; Lettera dal carcere, La Locusta, Vicenza 1968; Il fronte della coscienza, Sei, Torino 1968; Perche' non possiamo aspettare, Ando', Palermo 1970; Dove stiamo andando, verso il caos o la comunita'?, Sei, Torino 1970. Presso la University of California Press, e' in via di pubblicazione l'intera raccolta degli scritti di Martin Luther King, a cura di Clayborne Carson (che lavora alla Stanford University). Sono usciti sinora cinque volumi (di quattordici previsti): 1. Called to Serve (January 1929 - June 1951); 2. Rediscovering Precious Values (July 1951 - November 1955); 3. Birth of a New Age (December 1955 - December 1956); 4. Symbol of the Movement (January 1957 - December 1958); 5. Threshold of a New Decade (January 1959 - December 1960); ulteriori informazioni nel sito: www.stanford.edu/group/King/ Opere su Martin Luther King: Arnulf Zitelmann, Non mi piegherete. Vita di Martin Luther King, Feltrinelli, Milano 1996; Sandra Cavallucci, Martin Luther King, Mondadori, Milano 2004. Esistono altri testi in italiano (ad esempio Hubert Gerbeau, Martin Luther King, Cittadella, Assisi 1973), ma quelli a nostra conoscenza sono perlopiu' di non particolare valore: sarebbe invece assai necessario uno studio critico approfondito della figura, della riflessione e dell'azione di Martin Luther King (anche contestualizzandole e confrontandole con altre contemporanee personalita', riflessioni ed esperienze di resistenza antirazzista in America). Una introduzione sintetica e' in "Azione nonviolenta" dell'aprile 1998 (alle pp. 3-9), con una buona bibliografia essenziale] Amici miei, siamo di certo molto lieti nel vedere ciascuno di voi qui questa sera. Siamo qui stasera per una faccenda grave. In un senso generale, siamo qui perche' prima di tutto e innanzi tutto siamo cittadini americani, e siamo decisi ad esercitare la nostra cittadinanza nel suo significato piu' pieno. Siamo qui anche a causa del nostro amore per la democrazia, perche' abbiamo la radicata convinzione che la democrazia, quando da un fragile foglio di carta si traduce nella concretezza di un atto, e' la migliore forma di governo che esista sulla terra. Ma siamo qui in un senso piu' specifico, a causa della situazione dei bus di Montgomery. Siamo qui perche' siamo determinati a fare in modo di correggere questa situazione. Non si tratta di una situazione nuova. Il problema esiste da moltissimo tempo. Da molti anni a questa parte i neri di Montgomery e in molte altre regioni sono stati afflitti dalla paralisi delle paure che li immobilizzano sugli autobus della nostra comunita'. In cosi' tante occasioni i neri hanno subito intimidazioni e sono stati umiliati e colpiti - oppressi - a causa del puro e semplice fatto di essere neri. Non ho tempo stasera di precisare la storia di questi numerosi casi. Molti di essi sono ora perduti nella fitta nebbia della dimenticanza, ma almeno uno rimane fisso innanzi a noi, vivido. Proprio l'altro giorno, proprio lo scorso martedi' per essere esatti, uno dei cittadini migliori di Montgomery - non uno dei migliori cittadini neri, ma uno dei migliori cittadini di Montgomery - e' stato prelevato da un autobus e portato in prigione ed arrestato, perche' aveva rifiutato di alzarsi per cedere il proprio posto ad una persona bianca. Ora la stampa vorrebbe che noi credessimo che ella ha rifiutato di lasciare un posto nella sezione riservata ai neri, ma io voglio che questa sera voi sappiate che non esiste una sezione riservata ai neri. La legge non e' stata mai resa chiara su questo punto. Ora io credo di parlare con autorita' legale - non che abbia alcuna autorita' legale, ma penso di parlare con un'autorita' legale alle mie spalle - e affermo che la legge, l'ordinanza, l'ordinanza cittadina non e' stata mai resa chiara (2). La signora Rosa Parks e' una brava persona. E, siccome doveva accadere, sono lieto che sia accaduto ad una persona come la signora Parks, perche' nessuno puo' dubitare sulla illimitata estensione della sua integrita'. Nessuno puo' mettere in dubbio l'altezza del suo carattere, nessuno puo' dubitare della profondita' del suo impegno cristiano e della sua devozione agli insegnamenti di Gesu'. E sono lieto, visto che doveva avvenire, che sia avvenuto ad una persona che nessuno puo' definire come un fattore di disturbo nella comunita'. La signora Parks e' una brava persona cristiana, modesta, e tuttavia c'e' integrita' e carattere in lei. E proprio perche' si e' rifiutata di alzarsi, ella e' stata arrestata. E voi sapete, amici miei, viene un tempo in cui la gente si stanca di essere calpestata dal tallone di ferro dell'oppressione. Viene un tempo, amici miei, in cui la gente si stanca di essere immersa nell'abisso dell'umiliazione, dove si fa esperienza dello squallore di una lamentosa disperazione. Viene un tempo in cui la gente si stanca di essere scacciata dallo scintillante sole estivo della vita, e lasciata in piedi in mezzo al freddo pungente di un novembre alpino. Viene un tempo. E siamo qui, siamo qui stasera perche' ora siamo stanchi. E voglio dire che non siamo qui per far ricorso alla violenza. Non lo abbiamo mai fatto. Voglio che sia noto in tutta Montgomery e in tutta la nazione che siamo cristiani. Crediamo nella religione cristiana. Crediamo negli insegnamenti di Gesu'. L'unica arma che abbiamo nelle nostre mani stasera e' l'arma della protesta. E' tutto. E certo, certo, questa e' la gloria dell'America, pur con tutti i suoi difetti. Questa e' la gloria della nostra democrazia. Se fossimo chiusi dentro la cortina di ferro di una nazione comunista non potremmo far questo. Se fossimo caduti nella prigione di un regime totalitario non potremmo far questo. Ma la grande gloria della democrazia americana e' il diritto di protestare per i diritti. Amici miei, non permettiamo a nessuno di farci sentire che le nostre azioni sono paragonate a quelle del Ku Klux Klan o a quelle del "Consiglio dei cittadini bianchi". Non ci saranno croci bruciate, in nessuna fermata degli autobus di Montgomery. Non ci sara' alcuna persona bianca spinta fuori dalla sua casa e portata in una strada appartata per essere linciata per non aver cooperato. Non ci sara' fra noi alcuno che si alzera' per sfidare la Costituzione di questa nazione. Noi ci siamo riuniti qui solo a causa del nostro desiderio di vedere esistere il diritto. Amici miei, voglio che sia noto che stiamo per agire con decisa e coraggiosa determinazione per ottenere giustizia sugli autobus in questa citta'. E noi non abbiamo torto, non siamo nel torto in cio' che facciamo. Se noi siamo nel torto, allora e' nel torto la Corte Suprema di questa nazione. Se noi siamo nel torto, la Costituzione degli Stati Uniti e' nel torto. Se noi siamo nel torto, Iddio onnipotente e' nel torto. Se noi siamo nel torto, allora Gesu' di Nazaret era solo un sognatore utopista, che non e' mai sceso sulla terra. Se noi siamo nel torto, la giustizia e' una menzogna. L'amore non ha alcun significato. E noi, qui a Montgomery, siamo ben decisi a lavorare e a batterci finche' la giustizia non scorrera' come l'acqua, e la rettitudine come una poderosa corrente (3). Voglio dirvi che in tutte le nostre azioni dobbiamo tenerci uniti. L'unita' e' la grande esigenza di quest'ora, e se saremo uniti potremo ottenere molte delle cose che non solo desideriamo, ma meritiamo giustamente. E non vi lasciate spaventare da nessuno. Noi non abbiamo paura di quel che facciamo, perche' lo facciamo nel rispetto della legge. Nella nostra democrazia americana non c'e' mai un momento in cui dobbiamo pensare di essere nel torto se protestiamo. Noi ci riserviamo questo diritto. Quando i lavoratori ovunque in questa nazione si resero conto che sarebbero stati messi sotto i piedi dal potere capitalistico, non c'e' stato nulla di sbagliato se si sono organizzati ed hanno protestato per i loro diritti. Noi, i diseredati di questa terra, noi che siamo stati oppressi tanto a lungo, siamo stanchi di attraversare la lunga notte della cattivita'. Ed ora stiamo per uscirne verso l'aurora della liberta', della giustizia e dell'uguaglianza. Lasciatemi dire, amici, mentre mi accingo a concludere, per darvi giusto qualche idea sul perche' siamo qui riuniti, che noi dobbiamo avere - e voglio sottolinearlo, in ogni nostra azione, in ogni nostra decisione qui stasera e nel corso della settimana -, dobbiamo avere Dio al centro. Facciamo in modo di essere cristiani in tutte le nostre azioni. Ma voglio dirvi stasera che per noi non e' sufficiente parlare di amore, l'amore e' uno dei punti cardine della fede cristiana. C'e' un altro lato, che si chiama giustizia. E la giustizia e' realmente amore in azione. La giustizia e' l'amore che corregge cio' che si rivolta contro l'amore. Lo stesso Dio Onnipotente non e' solo il Dio che sta semplicemente la' e dice con Osea "Ti amo Israele". Egli e' anche il Dio che si leva di fronte alla nazione e afferma: "State calmi e sappiate che io sono Dio, e che se non mi obbedite spezzero' la spina dorsale del vostro potere e vi sbattero' fuori dall'orbita delle vostre relazioni internazionali e interne" (4). Schierarsi al fianco dell'amore e' sempre giustizia, e noi stiamo solo usando gli strumenti della giustizia. Non solo usiamo gli strumenti della persuasione, ma abbiamo capito che dobbiamo far ricorso agli strumenti della forza legittima. Questa faccenda non e' soltanto un processo educativo, e' anche un processo legislativo. Mentre ci troviamo qui stasera, e mentre ci prepariamo per quel che accadra', cerchiamo di uscire di qui con una decisa e coraggiosa determinazione a rimanere tutti uniti. Noi lavoreremo insieme. Quando nel futuro saranno scritti i libri di storia, qualcuno dovra' dire che proprio qui, a Montgomery, "c'era un popolo, un popolo nero, capelli crespi e carnagione scura, un popolo che ha avuto il coraggio morale di alzarsi per far valere i propri diritti. E cosi' facendo hanno instillato un nuovo significato nelle vene della storia e della civilta'". E faremo tutto questo. Dio ci permetta di farlo prima che sia troppo tardi. E mentre procediamo con il nostro programma, pensiamo a tutto questo. * Note 1. King, Stride toward Freedom: The Montgomery Story, New York, Harper & Row, 1958, pp. 59-60. Le citazioni che King fa dal discorso in quest'opera (pp. 61-63) differiscono un poco dalle sue effettive parole. 2. Per abitudine gli autisti degli autobus potevano richiedere ai passeggeri neri di spostarsi indietro, una fila alla volta, quando la precedente sezione bianca era pienamente occupata e altri passeggeri bianchi dovevano prendere posto. 3. Amos, 5, 24. 4. King si riferisce a Osea, 11, 1. Si riferisce probabilmente anche al Salmo 46, 10. 5. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI CHRISTA WOLF Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto di Christa Wolf. * "Il ridurre-a-oggetto: non e' questa la fonte principale della violenza?" (Christa Wolf, Premesse a Cassandra, Edizioni e/o, Roma 1984, p. 125). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 6. RILETTURE. AA. VV.: MALINCHE. LA DONNA E LA CONQUISTA AA. VV., Malinche. La donna e la Conquista, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992, pp. 118, lire 12.000. Una raccolta di acuti saggi su alcuni aspetti della condizione della donna in America Latina, opera di un gruppo di lavoro coordinato da Milagros Palma. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 972 del 25 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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