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La nonviolenza e' in cammino. 967
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 967
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 20 Jun 2005 00:28:58 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 967 del 20 giugno 2005 Sommario di questo numero: 1. Else Lasker-Schueler: Se ci guardiamo 2. Ali Rashid: Cancellare per sempre la pena di morte 3. Antonio Vigilante: Introduzione a "Il pensiero nonviolento" 4. Lea Melandri: Paesaggio dopo il referendum 5. Bruna Peyrot: Alle radici dell'esperienza di Porto Alegre (parte terza) 6. Con "Qualevita", la lezione di Primo Mazzolari 7. Riletture: Eknath Easwaran: Badshah Khan. Il Gandhi musulmano 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. POESIA E VERITA'. ELSE LASKER-SCHUELER: SE CI GUARDIAMO [E' il distico che apre An den Gralprinzen di Else Lasker-Schueler, in Eadem, Ballate ebraiche e altre poesie, La Giuntina, Firenze 1985, 1995, p. 103. Else Lasker-Schueler, poetessa nata a Elberfeld in Vestfalia nel 1869, insignita nel 1932 del premio Kleist, l'anno successivo fu costretta all'esilio dall'avvento del nazismo, e' scomparsa a Gerusalemme nel 1945. Opere di Else Lasker-Schueler: Ballate ebraiche e altre poesie, La Giuntina, Firenze 1985, 1995] Ci fioriscono gli occhi, se ci guardiamo. 2. RIFLESSIONE. ALI RASHID: CANCELLARE PER SEMPRE LA PENA DI MORTE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2005. Ali Rashid (per contatti: alirashid at tin.it) e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Da un po' di tempo non sentivo questo senso di vergogna e di imbarazzo, sentimenti che ho riscontrato in molti palestinesi, a causa dell'esecuzione della pena capitale di quattro detenuti palestinesi. Non avrei mai immaginato che il presidente Abu Mazen firmasse quelle condanne, anzi mi aspettavo che la pena di morte sarebbe stata cancellata, e per sempre, dalle leggi in vigore ereditate da epoche precedenti in attesa della scrittura di un codice finalmente palestinese, all'altezza delle aspettative e delle molteplici sfide future che dovremo affrontare. In me, quella firma ha causato profonda delusione, smarrimento e un senso di straniamento, speravo di non essere interpellato al riguardo, ma non e' andata cosi'. Io sono consapevole dell'enormita' dei problemi che l'Anp deve affrontare e risolvere, dovuti a sessant'anni di guerra e occupazioni feroci, imposte da Israele. E sono consapevole insieme a tutti i palestinesi del degrado sociale, culturale e politico che questa situazione ha causato e la cui soluzione richiede un rigoroso rispetto delle leggi e delle norme che regolano una convivenza civile e aiutano un intero popolo a risollevarsi dal degrado. Tutto questo non puo' prescindere dalla qualita' delle leggi, il cui obiettivo deve essere rafforzare solidarieta' e risanamento - e non punizione e vendetta che le istituzioni democratiche non possono e non devono perseguire. I palestinesi da sessant'anni sono vittime delle politiche di punizioni, rappresaglie e vendette, vere responsabili del degrado e che non possono in alcun caso rappresentare una soluzione. Temo che qualcuno abbia scambiato il rigore con il pugno di ferro e l'autorevolezza di un governo con la crudelta', e questo non depone a suo favore e alla lunga trasforma il popolo palestinese in vittime due volte: una prima volta a opera del suo carnefice, la seconda di quello che avrebbe dovuto lavorare per il suo affrancamento. Hamas chiede l'esecuzione di altri imputati, accusati di avere fornito informazioni che avrebbero aiutato Israele ad assassinare alcuni dei suoi dirigenti, altrimenti si fara' giustizia da se'. Credo che l'autorevolezza di un governo stia soprattutto nella sua coerenza. Il presidente Abu Mazen fu eletto sulla base di un programma che promette democrazia, trasparenza e civilta' giuridica. Quella firma contraddice queste promesse. Addirittura, abbiamo stabilito che la nonviolenza e la democrazia, il rispetto, e per tutti, del diritto internazionale avrebbero rappresentato la nuova via per la liberazione nazionale e la fine dell'occupazione israeliana. Con questo, abbiamo persino ripudiato l'uso della violenza contro il nostro carnefice: e ora introduciamo la violenza e la vendetta nel codice penale che dovrebbe governare la vita interna della nostra societa'? Molti palestinesi, convinti sostenitori del presidente Abu Mazen, non si riconoscono in quella firma, la ritengono sbagliata. Queste esecuzioni non sono soltanto un errore politico grave da non ripetere ma un segnale culturalmente angosciante, di fronte al quale il silenzio diventa complicita'. 3. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: INTRODUZIONE A "IL PENSIERO NONVIOLENTO" [Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) per averci messo a disposizione l'introduzione del suo recente libro: Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004, pp. 238, 15 euro, con una presentazione di Mario Martini. Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e' perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana "L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta' liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone, Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004. Per richieste alla casa editrice: Edizioni del Rosone, tel. 0881687659, e-mail: edizionidelrosone at tiscali.it] Nel semestre estivo del 1935 Martin Heidegger tiene all'Universita' di Friburgo un corso sulla domanda metafisica fondamentale: perche', in generale, vi e' l'essente e non il nulla? Il corso, da cui nascera' la Introduzione alla metafisica, e' un confronto critico con le categorie e con il linguaggio della metafisica occidentale. Alla luce della domanda sull'essere, Heidegger osserva il mondo del suo tempo - il tempo piu' buio del Novecento. America e Russia gli appaiono simili nel testimoniare il dominio e la frenesia della tecnica e la riduzione dell'uomo a massa. L'Europa, "in preda a un inguaribile accecamento" (1), e' schiacciata tra l'una e l'altra. Ad essere schiacciato, piu' di tutti, e' il suo popolo, il popolo tedesco; il quale, pero', e' pure il "popolo metafisico per eccellenza", l'unico popolo che puo' invertire la rotta ed "esporre se stesso e insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centro del suo avvenire, nell'originario dominio della potenza dell'essere", salvando l'Europa dall'annientamento grazie al dispiegarsi di "nuove forze storiche spirituali" (2). Il popolo tedesco potra' instaurare nuove origini tornando ad interrogarsi originariamente sull'essere. * Mentre Heidegger elabora, nel centro dell'Europa, la svolta del suo pensiero, dall'altra parte del mondo, in India, Gandhi porta avanti la sua lotta nonviolenta contro il dominio degli inglesi. A meta' degli anni Trenta, in particolare, la sua attivita' si concentra nel riscatto degli intoccabili e nella valorizzazione dei villaggi. Anche Gandhi, come Heidegger, avverte il suo, il nostro tempo come un'eta' di decadenza; anche lui assegna al suo popolo un compito storico; anche lui diffida della tecnica e denuncia i pericoli della massificazione. Se Heidegger e', a giudizio di George Steiner, "un uomo della campagna" (3), Gandhi e' uomo del villaggio, fautore di una esistenza essenziale, povera ma autosufficiente, moralmente rigorosa, lontana dalla corruzione e dalla degenerazione delle citta'. Come Heidegger, Gandhi pensa che dall'esperienza diretta della verita' possa nascere una nuova, grandiosa forza storica. * Ma Heidegger e Gandhi rappresentano realta' storiche opposte. Mentre Heidegger offre il suo sostegno - variamente interpretato dai critici - al nazionalsocialismo, vale a dire al piu' grande errore ed orrore politico, morale, culturale del Novecento, Gandhi porta avanti l'impresa, incredibile alla luce della tradizione politica occidentale, di liberare un popolo da un nemico potente senza far ricorso alla violenza. Le nuove forze storiche spirituali, auspicate da Heidegger, non sono venute dall'Europa, che invece ha prodotto massacri, persecuzioni, offese alla dignita' dell'uomo. Dall'oriente ci e' giunta invece, grazie a Gandhi, la nuova prospettiva della nonviolenza. * Chi consideri l'esperienza del Novecento, difficilmente potra' negare che l'unica vera nuova forza storica e spirituale del secolo e' la nonviolenza. Altre grandi forze storiche hanno dominato il secolo, declinando poi irreversibilmente. Altre forze spirituali si sono affermate, cercando di contrastare il nichilismo. Ma e' difficile individuare una realta' diversa dalla nonviolenza che abbia le caratteristiche di essere una forza (cioe' una realta' efficace), di essere spirituale (cioe' di nascere da un contatto con la verita') e di essere storica (ossia di operare nel mondo). E' possibile scorgere nell'opera di Gandhi e dei suoi continuatori la risposta all'esigenza posta da quello che appare, almeno per l'influenza delle sue idee, come il piu' grande pensatore del Novecento. Questo libro intende esplorare quella risposta. Non si tratta, e' bene precisare subito, di una risposta meramente teoretica: e' una risposta che fonde teoria, ethos e prassi. Cio' la porta lontano da certe raffinatezze intellettuali, ma vicino ai problemi concreti, al travaglio individuale e sociale di un'epoca che impone grandi scelte, coraggiose decisioni di ognuno, nuova consapevolezza e nuovo impegno. Il politico nonviolento e' impegnato attraverso l'azione nella ricerca della verita': esperimento con la verita', dice Gandhi. Questo lo differenzia da ogni altro uomo politico. Il fascista, il comunista, il liberale hanno alle spalle la loro compiuta Weltanschauung, che puo' essere totalizzante o venata di buon senso, violenta o tollerante, ma ad ogni modo e' caratterizzata dall'essere una unita' di senso, premessa per la prassi politica. V'e' una teoria, insomma, che ispira e guida l'azione. Nel caso della nonviolenza le cose stanno diversamente. E' l'azione, la prassi che tenta una verita', illustra una prospettiva, indica una direzione. L'azione e' guidata da una ipotesi, e a sua volta ne fa germogliare altre: quelle ipotesi sull'uomo e sul mondo che costituiscono una verita' in polemica con le insufficienze della realta'. "La nonviolenza non e' un dogma, ma un processo", ha scritto Thich Nhat Hanh (4), Parlare di pensiero nonviolento non vuol dire mettere in luce una corrente del pensiero contemporaneo, cercando di dimostrarne la compattezza e la coerenza. Un pensiero nonviolento, cosi' inteso, non esiste. Esistono invece dei punti di contatto tra pensatori diversi per formazione culturale, per zona geografica, per le condizioni storiche nelle quali si sono trovati ad agire ed a riflettere. Accanto ad essi, vi sono anche differenze spesso notevoli, problemi aperti, punti da approfondire. Il pensiero nonviolento e' una rete aperta di contributi, non un sistema filosofico. * Distinguo nel pensiero nonviolento tre tradizioni principali. La prima e' quella che si puo' definire orientale, comprendente in primo luogo Gandhi, e poi esponenti del buddhismo come il filosofo vietnamita Thich Nhat Hanh ed il Dalai Lama Tenzin Gyatso, personalita' che hanno dato un contributo notevolissimo alla creazione di una cultura mondiale della pace. Le radici di questa tradizione della nonviolenza affondano nel terreno fecondo dell'India religiosa, mistica e filosofica: negli insegnamenti del Buddha, con il suo messaggio di amore universale (metta) e, per quanto riguarda Gandhi, nella Bhagavad-Gita. La seconda tradizione e' la linea prettamente laica della nonviolenza, nella quale rientrano pensatori originali, la cui riflessione, pur avendo a volte una intonazione religiosa, si caratterizza per il fatto di non derivare da una fede o rivelazione. E' il caso del filosofo italiano Aldo Capitini, che ha elaborato un pensiero nonviolento al tempo stesso laico e religioso, con un discorso che, come vedremo, rimanda a Martin Buber ed Emmanuel Levinas. Ma in questa linea rientra anche l'altro grande maestro della nonviolenza italiana, Danilo Dolci, rigorosamente laico. Infine, vi e' una nonviolenza cristiana, rappresentata da personalita' appartenenti a confessioni differenti, e in qualche caso su posizioni eterodosse: da Tolstoj, in polemica con il cristianesimo istituzionalizzato, a Lanza del Vasto, a cattolici come don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari, don Tonino Bello. Con questa distinzione non voglio negare che esistano possibilita' di nonviolenza anche nelle tradizioni religiose diverse da quelle orientali e da quella cristiana. Tracce della nonviolenza possono essere ricercate in tutte le tradizioni culturali, ed e' ben possibile che in futuro gli sviluppi piu' importanti vengano, ad esempio, dall'Islam. Ma fino ad ora la nonviolenza si e' concretizzata soprattutto in figure rappresentative che appartengono alle tre linee indicate. * Ho concentrato l'attenzione soprattutto su cinque maestri, nei quali a mio avviso l'idea di nonviolenza trova una piu' attenta traduzione in termini filosofici. Gandhi, naturalmente; il suo discepolo Lanza del Vasto, Aldo Capitini e Danilo Dolci, ed il monaco zen Thich Nhat Hanh. La concezione nonviolenta di questi maestri si sviluppa in contesti molto differenti. Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' nato a San Vito dei Normanni nel 1901. Dopo studi a Parigi ed a Pisa, e varie esperienze culturali e di viaggio, e' diventato nel '37 discepolo di Gandhi, che gli ha dato il nome di Shantidas (servitore di pace). Tornato in Europa, ha fondato in Francia la comunita' dell'Arca, ispirata ai principi della civilta' rurale e della nonviolenza. E' morto in Spagna nel 1981. Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899. Laureatosi a Pisa, e' stato segretario della Normale. Antifascista, teorico ed attivista del movimento liberalsocialista, dopo la fine del regime ha cercato di realizzare l'idea di un potere di tutti, attraverso i Centri di Orientamento Sociale. Docente nell'universita' di Cagliari e, dal '65, in quella di Perugia, ha organizzato nel '61 la prima marcia della pace da Perugia ad Assisi. Ha lavorato anche alla realizzazione in Italia di una riforma religiosa, ed e' stato il fondatore del Movimento Nonviolento. E' morto a Perugia nel 1968. Nato a Sesana (Trieste) nel 1924, Danilo Dolci nel '50 abbandona gli studi di architettura per andare a vivere a Nomadelfia, la comunita' che don Zeno Saltini ha creato nell'ex campo di concentramento di Fossoli. Insoddisfatto, decide di trasferirsi a Trappeto, poverissimo borgo siciliano. Qui attua un digiuno per attirare l'attenzione pubblica in seguito alla morte per fame di un bambino: comincia cosi' la sua opera di denuncia, sensibilizzazione, organizzazione. Nel '56 e' arrestato per aver ideato uno sciopero alla rovescia, che aveva portato centinaia di disoccupati a lavorare per riassettare una strada abbandonata; nel '65 e' processato per diffamazione per aver denunciato le collusioni con la mafia di un ministro e di altri politici locali. La sua azione in Sicilia intende valorizzare la creativita' popolare per uno sviluppo locale indipendente dal potere politico, al quale corrisponde una maturazione e presa di coscienza politica della societa' civile. Nascono cosi' il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione, la diga sul fiume Jato, il Centro educativo di Mirto. Candidato per nove volte al Nobel per la pace, ha ottenuto notevoli riconoscimenti internazionali per la sua valorizzazione delle possibilita' di progresso di un territorio con gli strumenti e le tecniche offerti dalla nonviolenza. E' scomparso nel 1997. Thich Nhat Hanh e' nato in Vietnam, nel 1926. Monaco zen, si e' attivato durante la guerra nel suo paese in soccorso della popolazione civile, e per favorire una soluzione nonviolenta del conflitto, al di la' della logica dei blocchi, attraverso la Scuola di Servizio Sociale per i Giovani (Syss). E' stato nel '73 a capo della delegazione vietnamita nelle trattative di Parigi. Costretto all'esilio dal governo comunista, si e' dedicato all'approfondimento del buddhismo alla luce delle problematiche politiche e sociali attuali, fondando l'Ordine dell'Interessere (Tiep Hien) e, nel sud della Francia, Plum Village, una comunita' monastica aperta anche ai laici. E' stato candidato da Martin Luther King jr al premio Nobel per la pace. Nel quarto capitolo mi sono soffermato su Tolstoj - il cui pensiero filosofico e' ancora troppo poco conosciuto, anche a causa della mancanza di traduzioni ed edizioni - e su altre grandi figure della nonviolenza: da Martin Luther King a Milani, da Mazzolari a Bello ed altri. Tutte figure che meriterebbero una trattazione ben piu' dettagliata, che tuttavia non e' possibile nei limiti del presente studio. * Con questo volume intendo offrire una "introduzione" al pensiero nonviolento: una presentazione dei temi e problemi fondamentali, attraverso l'opera degli autori piu' rappresentativi. Ma questo volume e' anche "una" introduzione. Vale a dire che si tratta di un percorso tra i tanti possibili, inevitabilmente condizionato dalla formazione culturale e dalla sensibilita' dell'autore. La speranza e' che questo percorso non risulti, comunque, arbitrario, e che offra al lettore indicazioni in qualche modo utili per inquadrare filosoficamente la nonviolenza, e per approfondirne le ragioni. * Note 1. Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, tr. it. a cura di Gianni Vattimo, Mursia, Milano 1990, p. 48. 2. Ivi, p. 49. 3. George Steiner, Martin Heidegger, tr. it., Sansoni, Firenze 1980, p. 42. 4. Thich Nhat Hanh, L'amore e l'azione. Sul cambiamento sociale nonviolento, tr. it., Ubaldini, Roma 1995, p. 39. 4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: PAESAGGIO DOPO IL REFERENDUM [Dal sito de "Il Paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo articolo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 16 giugno 2005 col titolo "Referendum, perche' la cultura laica e' stata sconfitta". Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Per quanto il dibattito sulla legge 40/2004 si sia venuto via via allargando negli ultimi mesi a problematiche complesse, riguardanti la scienza, la morale, la filosofia, il rapporto tra i sessi, la crisi della famiglia, le nuove genitorialita', a prevalere, in vicinanza del referendum appena concluso, e' stata ancora una volta la contrapposizione tra laicita' e religione, tra clericalismo e anticlericalismo. Di conseguenza, quella che poteva essere materia di ripensamento di un'idea ormai del tutto irrealistica di politica - separata dalle vite, dai corpi, dai legami sociali su cui tuttavia e' chiamata sempre piu' spesso a legiferare -, e' tornata a configurarsi come il luogo dell'"opinabilita'", della "coscienza personale", e quindi, in qualche modo, di quel "relativismo" che le gerarchie ecclesiastiche vanno stigmatizzando come segno di decadimento morale e civile. Sul peso che ha avuto la Chiesa nel far si' che la legge sulla procreazione assistita trasformasse in reato quelle forme di unioni sessuali e di genitorialita' da sempre considerate "innaturali" e peccaminose, nel tradurre in termini di diritto la subordinazione della madre al figlio, ora identificato con l'embrione-persona, e' stato scritto molto. Lo stesso vale per un'ingerenza politica mai cosi' aggressiva e diretta come l'invito all'astensione dal voto. Nulla invece viene detto su quell'invasivita' ben piu' estesa, profonda e duratura, che passa attraverso la formazione di bambini e adolescenti negli oratori, che restano tutt'ora, soprattutto nei paesi, i primi e unici luoghi di socialita' e ritrovo. L'automatismo con cui generalmente si identificano morale e valori con morale e valori cattolici, viene sicuramente da questa lunga inconsapevole abitudine a collocare sotto l'egida della religione vicende della vita umana come l'amore, la sofferenza, la morte, che la politica ha creduto di poter confinare nella sfera del privato e della storia dei singoli. L'indifferenza con cui la cultura laica, fiduciosa nella forza della razionalita', del progresso, delle passioni civili, ha guardato all'infanzia e alla memoria che essa consegna all'adulto, e' una delle ragioni che sempre la spingono a considerare emozioni, sentimenti, paure, pregiudizi, come un fattore molesto, un ostacolo, un arcaismo, una riserva preziosa solo per torbidi manipolatori delle coscienze. Il referendum sulla legge 40 ha avuto quanto meno il merito di portare a conoscenza di un vasto pubblico problematiche che stanno nel cuore dei cambiamenti piu' significativi della nostra civilta', mutazioni biologiche e culturali che fanno apparire, come gia' aveva scritto Guenther Anders, l'uomo "antiquato". La fecondazione in vitro, cioe' la separazione della sessualita' dal concepimento, l'isolamento di quel primo anello del processo generativo che e' l'embrione, la riduzione delle figure di madri e padri alle loro cellule germinali, ovuli e spermatozoi, il passaggio del controllo sul corpo femminile dal possesso intimo, tenero e violento, che e' stato storicamente dell'amore, delle relazioni famigliari, nelle mani della scienza e della legge, come poteva non sollevare interrogativi, dubbi, fantasie, immagini persecutive e attese salvifiche? Chi poteva pensare che non avrebbe riattivato e acceso di nuovo vigore l'immaginario della nascita, la preistoria inquietante dell'originaria indistinzione dal corpo materno, la contesa che intorno a quel segreto della vita ha contrapposto uomini e donne, l'ossessione con cui la scienza, la religione e la politica, accomunate dallo stesso impianto patriarcale, hanno perseguito una presa in consegna totale della generazione dell'umano, svincolandolo dall'imprevedibile potere che ha la donna di decidere sulla vita e sulla morte del figlio? Il riduzionismo biologico e' diventato, non a caso, l'asse portante delle posizioni della Chiesa e della sperimentazione genetica, con la differenza che, se la scomposizione del corpo, la messa a nudo della materia biologica di cui e' fatto, puo' essere sempre nobilitata dalla chiesa in quanto volonta' e "natura" divina, alla scienza resta invece il difficile compito di smentire ogni volta la sua complicita' col mercato e con l'uso che potrebbe farne il potere politico. La riesumazione di mostri, che purtroppo non abitano solo l'inconscio e la letteratura, ma la nostra storia passata e presente, per quanto accompagnata in alcuni casi clamorosi da visionarieta', odio, pregiudizi razziali, meritava un'analisi spassionata, la capacita' di riconoscere che a volte l'immaginario e' piu' forte di ogni riscontro reale, che per tenere a bada le paure irrazionali occorre, come ha scritto Virginia Woolf a proposito della malattia, un "intelletto radicato nelle viscere della terra", una "robusta filosofia". La rinascita di spiriti religiosi particolarmente aggressivi verso una societa' che sempre piu' si allontana dai dettami di una morale sessuofobia e misogina, si era gia' manifestata vistosamente nella liturgia di massa che ha accompagnato la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione del nuovo papa. Ma in quell'occasione gran parte della cultura laica, sinistra compresa, forse intimorita o affascinata dall'ampiezza di quel consenso, non e' sembrata altrettanto ansiosa di rimarcare i suoi confini, di interrogarsi sulla ripresa del fanatismo e dei fenomeni di massa. La complessita', la problematizzazione, il racconto e la riflessione sull'esperienza - la' dove si mescolano fantasie e ragionamenti - sono da sempre ospiti indesiderati, per non dire nemici, della politica. Ma la semplificazione, la logica contrappositiva, non sono evidentemente piu' in grado di rispondere in modo convincente ai dubbi di una modernita' che assiste giorno dopo giorno al veloce smantellamento dei confini noti, tra spazio pubblico e privato, reale e virtuale, valori e interessi, corpi e macchine, natura e artificio, tempo ed eternita'. E' piu' rassicurante credere di essere stati vinti da una Chiesa invasiva, sostenuta da alte cariche dello Stato obbedienti e genuflesse, piuttosto che ripercorrere la propria storia, riconoscerne limiti, mancanze, sordita', e provare nuove strade attraverso un'ampia, coraggiosa riflessione collettiva, che ridia parola a quel "popolo della sinistra" tanto invocato ma tenuto a debita distanza quando tenta di esprimere cio' che effettivamente gli passa nel cuore e nella testa. Se c'e' una speranza di rimontare la pesante sconfitta, non e' certo nella rancorosa invettiva contro le gerarchie ecclesiastiche, e neppure nella difesa di una laicita' astratta che invoca liberta' e diritti - della scienza, della maternita' -, che meriterebbero quanto meno di essere discussi. Per decantare l'influenza e l'invasivita' della Chiesa occorrerebbe innanzitutto toglierle la forza dei suoi argomenti, visionaria, paranoica o reale che sia, non regalarle, come e' accaduto finora, un patrimonio di esperienze, passioni, pensieri, comportamenti che riguardano la quotidianita' e le relazioni piu' significative di ogni essere umano. Ma per fare questo e' necessario prioritariamente spostare lo sguardo su di se', chiedersi per quale inclinazione, arrogante o masochista, la sinistra ha disperso, cancellato o dissipato, saperi, pratiche politiche innovative che l'hanno attraversata, una cultura e una politica della vita, quale e' stata quella del femminismo, che e' ora piu' attuale che mai, forse l'unico argine perche' l'invadenza dello Stato e della Chiesa non diventino potere sugli individui, sui loro corpi e le loro menti. Ma quali voci di donne - biologhe, mediche, giuriste, filosofe, ecc. - sono state ascoltate per questo referendum? Quanti libri, documenti, prodotti nell'arco di trent'anni sui temi della sessualita', della maternita', della salute, sono stati letti e segnalati per evitare che si riparta ogni volta dal deserto? La diffidenza, la superficialita', il pesante silenzio dei media e della classe politica sulla riflessione prodotta da piu' generazioni di femministe, non hanno solo contribuito a che restassero clandestini saperi oggi indispensabili alla comprensione del mondo, ma ha consolidato stereotipi informativi buoni per tutti gli eventi: elogio a parole della portata rivoluzionaria del movimento delle donne, attribuzione di responsabilita' solo all'occorrenza, e per nascondere la propria ignoranza della cultura femminista, uso scandalistico della parola di singole donne per fomentare ostilita' la' dove ci sono, come in tutti i movimenti, differenze e conflitti di opinione. Se e' vero, come si legge sul quotidiano "La Repubblica" e'l 14 giugno 2005, che non c'e' stata quell'aggregazione collettiva che ha contraddistinto i referendum sul divorzio e l'aborto, non e' vero che non ci siano stati pensiero, scritture, lavoro di gruppi e associazioni da piu' di dieci anni a questa parte sulla fecondazione assistita e sulla scienza, cosi' come non e' di oggi la problematizzazione di una materia che non puo' non creare dubbi e inquietudini. Per saperlo basta ormai qualsiasi motore di ricerca su internet. Per volerlo sapere ci vuole invece interesse, e, nel caso dei media, senso di responsabilita' professionale. Ma l'immagine folcloristica delle "streghe" e' piu' facile e piu' appagante, figura di quell'immaginario che deve restare fuori dalla storia e dalla politica. 5. ESPERIENZE. BRUNA PEYROT: ALLE RADICI DELL'ESPERIENZA DI PORTO ALEGRE (PARTE TERZA) [Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per averci messo a disposizione il capitolo quarto, "La sceta della politica", del suo libro La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta Edizioni, Troina (En) 2004. Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri; vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete. Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione, una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004. Per richiedere il libro alla casa editrice: Citta' Aperta Edizioni, via Conte Ruggero 73, 94018 Troina (En), tel. 0935653530, fax: 0935650234. Segnaliamo ai lettori che per esigenze grafiche legate alla diffusione per via informatica del nostro foglio, i termini brasiliani sono stati semplificati abolendo tutti gli accenti all'interno delle parole e sostituendo tutti i caratteri con particolarita' grafiche non tipiche della lingua italiana; questo rende la trascrizione di quei termini non fedele ma semplicemente orientativa. I conoscitori della soave lingua portoghese-brasiliana sapranno intuire le soluzioni adeguate, con tutti gli altri ci scusiamo] 3. Porto Alegre: l'"invenzione" di una citta' Nella difficile cornice del decennio degli anni Ottanta, il Brasile aveva cercato una nuova identita' di paese libero. Tarso, avvocato del lavoro, aveva precisato il suo ruolo politico. Sono in molti a ricordare il crescere della sua visibilita' durante la campagna per la Costituente. Un incontro, organizzato dal Comitato elettorale nell'Auditorium della Sala Legislativa della Provincia a Porto Alegre, resto' scolpito nella memoria dei piu' di mille attivisti presenti. Di fronte a studenti, dirigenti sindacali, rappresentanti delle categorie difese nelle vertenze, gente comune, Tarso pronuncio' il discorso piu' bello della sua carriera. Una frase in particolare commosse l'uditorio: il nostro partito si presenta con le carte in regola per governare sulla scena della storia, la destra ci accusa invece di essere insurrezionalisti e considera me un sovversivo per il mio passato nelle "frange rosse". Ebbene io desidero dire ai giovani e al popolo che si', sono proprio comunista, di quel comunismo che ha sognato l'emancipazione dell'uomo, di quel socialismo che non ha oppresso l'uomo ma lo ha aiutato a capire la sua condizione. Tarso aveva iniziato in quell'occasione la sua battaglia interna ed esterna al Pt, per rivalutare le matrici democratiche del marxismo e spiegare l'importanza di coniugare politica e diritto. Nel 1987 inizio' la campagna elettorale per l'elezione al Congresso. Tarso entro' nella corsa a deputato federale con il numero 1.350. Nelle numerose interviste, dovette sempre rispondere a una domanda: cos'e' per te il socialismo? Giornalisti e avversari volevano svelare la sua appartenenza comunista, per spaventare il brasiliano che avesse osato votarlo. Al contrario, Tarso, all'epoca vicepresidente e coordinatore della Commissione di Studi costituzionali dell'Ordine degli Avvocati di Rio Grande do Sul, ricevette dichiarazioni di sostegno da diciassette sindacati di categoria: ospedalieri, bancari, amministrativi, operatori cinematografici e operai, gli stessi che come avvocato del lavoro aveva rappresentato nelle cause con le loro aziende. Ancora di piu' dell'anno precedente, il 1988 accese gli animi del Pt di Rio Grande do Sul con la scelta previa per la candidatura a sindaco di Porto Alegre. Per l'occasione, non senza polemica, furono tre i candidati: Olivio Dutra, Flavio Koutzii e Tarso Genro. Possiamo solo immaginare gli accesi dibattiti, le discussioni, le telefonate, le manifestazioni, gli incontri, le analisi e i documenti circolanti fuori e dentro il partito. Uno dei temi in discussione fu il ruolo del candidato, al quale si richiese "il volto del Pt" (32). Se un candidato doveva saper governare - e come era possibile se prima non lo aveva mai sperimentato? - aveva bisogno di competenze amministrative. La militanza da sola non era piu' sufficiente. Inizio' cosi' l'impegno del Pt a valorizzare capacita' professionali utili a tradurre, oltre le parole d'ordine, in azioni concrete il proprio progetto politico. Queste preoccupazioni sembrano riecheggiare il dibattito italiano sul passaggio dalla dittatura alla repubblica, quando molti dei dirigenti della Resistenza al nazifascismo e in particolare del Partito d'azione, abdicarono rispetto ai ruoli amministrativi: "si rinuncio' a costruire un'amministrazione pubblica efficiente, affidabile, trasparente" (33). Fra Tarso, Olivio e Flavio c'erano divergenze di stile, di sensibilita' e di analisi politica che non impedirono pero' la collaborazione. Olivio divento' sindaco di Porto Alegre, Tarso vice e nello stesso tempo deputato federale, carica dalla quale si dimise. Fare il deputato al Congresso non era per niente facile. Diventare un punto di riferimento affinche' ci sia interesse per il suo impegno, richiede un ritmo troppo accelerato nel saper creare eventi. Senza contare che, alla prima esperienza non si entra subito nell'"alto clero", come dicono i brasiliani, dei giochi politici. Tarso, inoltre, continuava a fare il vicesindaco, oltre che esercitare l'avvocatura: gli impegni non mancavano. Le sue dimissioni, tuttavia, gli valsero la critica di "traditore della causa", ma, come sempre, Tarso spiego' molto bene il perche', rilanciando la discussione sul significato della leadership. Sostenne la fine del leader unico, come Vargas o Brizola, e l'emergere della "dirigenza settoriale" (34), espressione di interessi particolari che la strategia politica di un partito doveva saper coordinare. Tarso aveva anche scritto, nel marzo 1988, un opuscolo sul significato del programma per un'amministrazione popolare. L'anno in corso era cruciale per il futuro del Brasile e quello successivo, con le amministrative per stati e comuni, ancora di piu'. E' uno dei primi scritti in cui si divulga, oltre ai militanti del partito, l'idea dei Conselhos populares: "enti democratici di partecipazione... autonomi, e apartitici, democratici e rappresentativi" che soppiantarono le dinamiche dello stato corporativo. Tarso, in quello stesso documento, lamenta la lunga disputa per le candidature dentro il Pt, che ha relegato in secondo piano il dibattito sui principi democratici. Nel 1988 il Pt aveva 6.000 tesserati a Porto Alegre, ma soltanto un migliaio militava attivamente. Nelle elezioni del 1989, il Pt vinse in alcune delle citta' piu' grandi, fra le quali Sao Paulo con Luiza Erundina, e poi Santos, Campinas e Vitoria, oltre a una trentina di centri minori. La Frente Brasil Popular (Pt, Pcb, Pdt, Psdb) aveva vinto a Porto Alegre con Olivio Dutra sindaco e Tarso vice, con una delle percentuali piu' alte del paese: un'importante vetrina per farsi conoscere davvero. Tarso collaboro' attivamente con Olivio, un'altra significativa figura della vita politica di Rio Grande do Sul che si definiva, ieri come oggi: "un politico per natura, non per professione" (35). Sin dal suo ingresso nell'arena politica, Olivio, che aveva difeso durante gli scioperi dei bancari della fine degli anni Settanta sembro' essere il suo alter ego, con il quale si incontrava, ma sovente anche scontrava. Quando Tarso accede al governo di Porto Alegre, di cui fu sindaco dal 1993 al 1996, finalmente puo' inventare la "sua" citta'. Per lui e' una visione, prima di essere un progetto politico, un'idea di convivenza che aveva radici nel socialismo umanista. "Costruire" una citta' per Tarso significo' condividere paesaggi visitati e sognati, territori della memoria latinoamericana e citta' europee, visitate nei suoi numerosi viaggi. I suoi diari narrano incontri con politici e intellettuali, cosi' come con la realta' dei "minimi", ugualmente importanti per Tarso che scrive quando ha bisogno di ritrovare il senso della sua traiettoria esistenziale e cercare dentro le cose una nuova dimensione, oltre le cose viste. Prima di Porto Alegre ha sognato altre citta'. Mentre le racconta a se stesso, spesso rincorre l'utopia infranta del socialismo, per riproporla nei valori dell'uomo piu' profondi: "e' necessario liberare il marxismo dalla pseudoetica che giustifica il Terrore" (36) scrive piu' volte. Un viaggio, fra tanti, merito', in modo particolare, la sua penna: fu l'Europa, nel 1991, fra Italia e Spagna. A Madrid ricorda tre adolescenti che in Plaza Mayor suonano Schubert. La piazza, con l'antica fontana al centro e i portici rallegrati da piccoli lampioni, fiori rossi e tende viola dai balconi, riporta alla memoria il contrasto fra la Spagna della guerra civile e la durezza dell'occupazione tedesca. I turisti lasciano cadere monete in una piccola scatola nera. Scrive Tarso: "Due forme di esclusione dal mondo si incontrano nella musica di Schubert: i piccoli suonatori e l'uomo, che non ha piu' nessuna speranza, ma che forse gioca, solenne, dentro la scatola gia' inargentata dalle monete, cio' che gli resta di un'emozione risvegliata". A Madrid e Toledo, coglie le voci della guerra civile, passata appena da una generazione, e la costanza del popolo spagnolo che "e' capace di resistere a Franco, ballare il flamenco e amare un re". Tarso annota anche la violenza, quando vede entrare nelle scuole di Mancha Real bambini zingari accompagnati dalla polizia per evitare aggressioni: "nel ventre generoso della penisola iberica la voce dell'odio e del razzismo si rivolta contro Lorca, Unamuno e Antonio Machado". Poi, Roma. Gia' era passato per piazza Navona dieci anni prima, un Primo Maggio in festa guidato dal Pci (Partito comunista italiano). Aveva comprato "Rinascita" che raffigurava un bellissimo ritratto di Gramsci, "con il suo sguardo umile e intelligente, figlio del Rinascimento e della gloria della Rivoluzione russa. Gramsci, martire del fascismo, dai suoi Quaderni del Carcere, degli scritti su Machiavelli, nella comprensione profonda del suo popolo. Gramsci, dei contadini di Cagliari e degli operai di Torino. Mi pongo una domanda assurda: che cosa direbbe oggi Gramsci se fosse vivo? Farebbe una lunga dissertazione sull'egemonia della cultura dei 'grandi intellettuali' sulla cultura italiana? Parlerebbe su Croce e Gentile? Direbbe che l'Italia soffre ancora per la 'questione meridionale' e che i santi sono piu' forti degli eroi?". Tarso sogna che Gramsci possa essere riconosciuto artefice dell'identita' italiana. Sogna che l'Italia "dimentichi" il fascismo e fiorisca con Leopardi, Moravia, Giotto e Fellini, scartando Mussolini e papa Alessandro IV. Si chiede ancora: "Forse e' tutta la storia dell'umanita' che e' da riscrivere, elaborando l'ombra delle ingiustizie e delle violenze, ma scrivendo e tramandando le storie di luce e di democrazia". A Roma passeggia per via del Corso, verso la casa dove hanno vissuto Byron e Keats e pensa a questa citta' "che ha sofferto le violenze piu' crude della storia - dalle invasioni barbariche all'occupazione nazista - e oggi si trova lacerata da un rapido e formale cosmopolitismo". Poi, Firenze. Qui ricorda quando alloggiava, dodici anni prima, alla Pensione Pitti, a cinquanta metri da Ponte Vecchio. Era il primo viaggio nella penisola e "l'utopia mostrava un volto trasparente, con i simboli di un futuro di uguaglianza e liberta', che ancora sembravano possibili a breve termine". Il brigatismo rosso era "un'espressione barbara" che sembrava dovesse rapidamente sparire dalla scena politica, e l'est europeo in grado di essere trasformato dai suoi stessi popoli. Ne' altre barbarie sembravano diventare dominanti: l'individualismo sfrenato, il nazionalismo, la xenofobia e il razzismo. Nel 1991 Tarso va ancora in cerca di quella visione piena di speranza nella quale esiste "il pulsare di un'altra possibilita' per il mondo". Infine, Venezia. Tarso, immerso fra i vicoli della citta' marinara, si interroga sulla morale dell'umanita' "con la sua storia di grandezze e soffocamenti, crimini e glorie". L'Italia, in ogni caso, per Tarso significa soprattutto Gramsci, uno dei riferimenti piu' cari. Tarso, infatti, rilegge periodicamente le "sue" fontes da vida (37): Marx, Engels, Lenin, Lukacs, Luxemburg, Gramsci, Mann, Conrad, Machado. Letteratura e politica si ritrovano insieme nei testi di Tarso per spiegare la complessita' umana, forse perche' "quella conoscenza totalizzante e in presa diretta dell'essere umano, oggi, si trova soltanto nel romanzo" (38). Tarso propone al suo partito di pensarsi in una storia che viene di lontano, quella del socialismo europeo e latinoamericano, che ha interpretato prima del Pt i suoi valori ispiratori. Per Lenin, avvocato, il partito e' il soggetto "politico pratico del processo rivoluzionario" (39), con la missione di orientare il proletariato che incarna. E' un'avanguardia che si pone "sopra e di fronte" alla classe operaia che rappresenta. L'operaio, diventato militante comunista, conduce una vita diversa dall'operaio comune. Si trasforma in rivoluzionario professionista che traspone la sua identita' nella collettivita' del Partito. Per questo deve viaggiare, conoscere i dibattiti filosofici, il decorso delle lotte politiche in ogni paese e saper rispondere alle questioni poste dai militanti di "base". Cio' che affascina Tarso e' proprio questo: la capacita' di riflettere su cio' che capita, una conoscenza che nasce dall'essere "dentro" le cose, dalla "prassi". Cio' che invece lo ha sempre preoccupato, oggetto anche di continuo confronto con il fratello Adelmo, fu la separatezza fra la "classe" e il "partito", teorizzata da Lenin, perche' generatrice del loro scollamento. Tarso invoca allora in suo aiuto l'"antidoto spontaneo" dei movimenti di Rosa Luxemburg, per contrastare qualsiasi burocratizzazione del partito. Con Lukacs, infine, Tarso affronta il senso della coscienza di classe che per il filosofo ungherese non e' un atto spontaneo. Infatti, la consapevolezza di condividere la medesima condizione, dovuta a cause economiche, ha bisogno di un lungo processo di risveglio, di conseguenza, il partito non puo' che essere lo strumento che conduce a capirlo. Questi riferimenti teorici possono, dunque, secondo Tarso aiutare il Pt a pensarsi, anche se la sua natura e' profondamente diversa dai partiti comunisti. * Note 32. Dutra O., O candidato deve ter a cara do Pt, "Folha do trabalhador", marzo 1988. 33. Galante Garrone A., Il mite giacobino, Roma, Donzelli, 1994, p. 53. 34. Genro T., Os partidos populares e politica de aliancas, documento interno Pt, 1989. 35. "Folha de Sao Paulo" del 23.12.02. Olivio, attuale ministro delle Citta', oltre a essere stato sindaco di Porto Alegre dal 1989 al 1992, fu membro della Costituente e governatore di Rio Grande do Sul dal 1999 al 2002. Fondatore del Pt, fu presidente statale a Rio Grande do Sul, poi nazionale nel 1987. Laureato in lettere, bancario, fu presidente del sindacato di categoria che guido' gli scioperi degli anni Settanta, fino alla fondazione della Cut. 36. Genro T., Terror e Estado: Uma critica preliminar para a Retomada do humanismo, "Teoria e Politica", febbraio 1990. 37. Genro T., Fontes da vida, Santa Maria, Tche, 1987. 38. Vargas Llosa M., "E' pensabile il mondo moderno senza il romanzo?", in Franco Moretti (a cura di), Il romanzo, Torino, Einaudi, 2001, vol. I, p. 3. 39. Genro T., Notas sobre o partido moderno do socialismo (Da Lenin a Gramsci), Porto Alegre, 1988. (Parte terza - Segue) 6. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI PRIMO MAZZOLARI Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi all'ascolto della lezione di Primo Mazzolari. * "Testimonia chi muore, non chi uccide" (Primo Mazzolari, Tu non uccidere, La Locusta, Vicenza 1955, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p. 59). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 7. RILETTURE. EKNATH EASWARAN: BADSHAH KHAN. IL GANDHI MUSULMANO Eknath Easwaran: Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Edizioni Sonda, Torino-Milano 1990, pp. 252, lire 22.000. Una rilevante monografia di un illustre studioso su una delle figure piu' grandi della nonviolenza. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 967 del 20 giugno 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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