La nonviolenza e' in cammino. 967



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 967 del 20 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Else Lasker-Schueler: Se ci guardiamo
2. Ali Rashid: Cancellare per sempre la pena di morte
3. Antonio Vigilante: Introduzione a "Il pensiero nonviolento"
4. Lea Melandri: Paesaggio dopo il referendum
5. Bruna Peyrot: Alle radici dell'esperienza di Porto Alegre (parte terza)
6. Con "Qualevita", la lezione di Primo Mazzolari
7. Riletture: Eknath Easwaran: Badshah Khan. Il Gandhi musulmano
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. POESIA E VERITA'. ELSE LASKER-SCHUELER: SE CI GUARDIAMO
[E' il distico che apre An den Gralprinzen di Else Lasker-Schueler, in
Eadem, Ballate ebraiche e altre poesie, La Giuntina, Firenze 1985, 1995, p.
103. Else Lasker-Schueler, poetessa nata a Elberfeld in Vestfalia nel 1869,
insignita nel 1932 del premio Kleist, l'anno successivo fu costretta
all'esilio dall'avvento del nazismo, e' scomparsa a Gerusalemme nel 1945.
Opere di Else Lasker-Schueler: Ballate ebraiche e altre poesie, La Giuntina,
Firenze 1985, 1995]

Ci fioriscono gli occhi,
se ci guardiamo.

2. RIFLESSIONE. ALI RASHID: CANCELLARE PER SEMPRE LA PENA DI MORTE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 17 giugno 2005. Ali Rashid (per contatti:
alirashid at tin.it) e' il primo segretario della delegazione palestinese in
Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli
aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area
mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto
osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per
rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della
grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente
nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori
riviste di cultura e politica]

Da un po' di tempo non sentivo questo senso di vergogna e di imbarazzo,
sentimenti che ho riscontrato in molti palestinesi, a causa dell'esecuzione
della pena capitale di quattro detenuti palestinesi. Non avrei mai
immaginato che il presidente Abu Mazen firmasse quelle condanne, anzi mi
aspettavo che la pena di morte sarebbe stata cancellata, e per sempre, dalle
leggi in vigore ereditate da epoche precedenti in attesa della scrittura di
un codice finalmente palestinese, all'altezza delle aspettative e delle
molteplici sfide future che dovremo affrontare. In me, quella firma ha
causato profonda delusione, smarrimento e un senso di straniamento, speravo
di non essere interpellato al riguardo, ma non e' andata cosi'.
Io sono consapevole dell'enormita' dei problemi che l'Anp deve affrontare e
risolvere, dovuti a sessant'anni di guerra e occupazioni feroci, imposte da
Israele. E sono consapevole insieme a tutti i palestinesi del degrado
sociale, culturale e politico che questa situazione ha causato e la cui
soluzione richiede un rigoroso rispetto delle leggi e delle norme che
regolano una convivenza civile e aiutano un intero popolo a risollevarsi dal
degrado. Tutto questo non puo' prescindere dalla qualita' delle leggi, il
cui obiettivo deve essere rafforzare solidarieta' e risanamento - e non
punizione e vendetta che le istituzioni democratiche non possono e non
devono perseguire.
I palestinesi da sessant'anni sono vittime delle politiche di punizioni,
rappresaglie e vendette, vere responsabili del degrado e che non possono in
alcun caso rappresentare una soluzione. Temo che qualcuno abbia scambiato il
rigore con il pugno di ferro e l'autorevolezza di un governo con la
crudelta', e questo non depone a suo favore e alla lunga trasforma il popolo
palestinese in vittime due volte: una prima volta a opera del suo carnefice,
la seconda di quello che avrebbe dovuto lavorare per il suo affrancamento.
Hamas chiede l'esecuzione di altri imputati, accusati di avere fornito
informazioni che avrebbero aiutato Israele ad assassinare alcuni dei suoi
dirigenti, altrimenti si fara' giustizia da se'. Credo che l'autorevolezza
di un governo stia soprattutto nella sua coerenza. Il presidente Abu Mazen
fu eletto sulla base di un programma che promette democrazia, trasparenza e
civilta' giuridica. Quella firma contraddice queste promesse. Addirittura,
abbiamo stabilito che la nonviolenza e la democrazia, il rispetto, e per
tutti, del diritto internazionale avrebbero rappresentato la nuova via per
la liberazione nazionale e la fine dell'occupazione israeliana. Con questo,
abbiamo persino ripudiato l'uso della violenza contro il nostro carnefice: e
ora introduciamo la violenza e la vendetta nel codice penale che dovrebbe
governare la vita interna della nostra societa'?
Molti palestinesi, convinti sostenitori del presidente Abu Mazen, non si
riconoscono in quella firma, la ritengono sbagliata. Queste esecuzioni non
sono soltanto un errore politico grave da non ripetere ma un segnale
culturalmente angosciante, di fronte al quale il silenzio diventa
complicita'.

3. RIFLESSIONE. ANTONIO VIGILANTE: INTRODUZIONE A "IL PENSIERO NONVIOLENTO"
[Ringraziamo Antonio Vigilante (per contatti: agrypnos at tiscali.it) per
averci messo a disposizione l'introduzione del suo recente libro: Il
pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004,
pp. 238, 15 euro, con una presentazione di Mario Martini.
Antonio Vigilante e' studioso e amico della nonviolenza, di grande acutezza
e profondita'; nato a Foggia nel 1971, dopo la laurea in pedagogia si e'
perfezionato in bioetica; docente di scienze sociali, dirige la collana
"L'Aratro. Testi e studi su pace e nonviolenza" delle Edizioni del Rosone di
Foggia, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni
Satyagraha", collabora a diverse riviste ed e' autore di rilevanti saggi
filosofici sulla nonviolenza. Tra le opere di Antonio Vigilante: La realta'
liberata. Escatologia e nonviolenza in Aldo Capitini, Edizioni del Rosone,
Foggia 1999; Quartine, Edizioni del Rosone, Foggia 2000; Il pensiero
nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004.
Per richieste alla casa editrice: Edizioni del Rosone, tel. 0881687659,
e-mail: edizionidelrosone at tiscali.it]

Nel semestre estivo del 1935 Martin Heidegger tiene all'Universita' di
Friburgo un corso sulla domanda metafisica fondamentale: perche', in
generale, vi e' l'essente e non il nulla? Il corso, da cui nascera' la
Introduzione alla metafisica, e' un confronto critico con le categorie e con
il linguaggio della metafisica occidentale. Alla luce della domanda
sull'essere, Heidegger osserva il mondo del suo tempo - il tempo piu' buio
del Novecento. America e Russia gli appaiono simili nel testimoniare il
dominio e la frenesia della tecnica e la riduzione dell'uomo a massa.
L'Europa, "in preda a un inguaribile accecamento" (1), e' schiacciata tra
l'una e l'altra. Ad essere schiacciato, piu' di tutti, e' il suo popolo, il
popolo tedesco; il quale, pero', e' pure il "popolo metafisico per
eccellenza", l'unico popolo che puo' invertire la rotta ed "esporre se
stesso e insieme la storia stessa dell'Occidente, colta a partire dal centro
del suo avvenire, nell'originario dominio della potenza dell'essere",
salvando l'Europa dall'annientamento grazie al dispiegarsi di "nuove forze
storiche spirituali" (2). Il popolo tedesco potra' instaurare nuove origini
tornando ad interrogarsi originariamente sull'essere.
*
Mentre Heidegger elabora, nel centro dell'Europa, la svolta del suo
pensiero, dall'altra parte del mondo, in India, Gandhi porta avanti la sua
lotta nonviolenta contro il dominio degli inglesi. A meta' degli anni
Trenta, in particolare, la sua attivita' si concentra nel riscatto degli
intoccabili e nella valorizzazione dei villaggi.
Anche Gandhi, come Heidegger, avverte il suo, il nostro tempo come un'eta'
di decadenza; anche lui assegna al suo popolo un compito storico; anche lui
diffida della tecnica e denuncia i pericoli della massificazione. Se
Heidegger e', a giudizio di George Steiner, "un uomo della campagna" (3),
Gandhi e' uomo del villaggio, fautore di una esistenza essenziale, povera ma
autosufficiente, moralmente rigorosa, lontana dalla corruzione e dalla
degenerazione delle citta'. Come Heidegger, Gandhi pensa che dall'esperienza
diretta della verita' possa nascere una nuova, grandiosa forza storica.
*
Ma Heidegger e Gandhi rappresentano realta' storiche opposte. Mentre
Heidegger offre il suo sostegno - variamente interpretato dai critici - al
nazionalsocialismo, vale a dire al piu' grande errore ed orrore politico,
morale, culturale del Novecento, Gandhi porta avanti l'impresa, incredibile
alla luce della tradizione politica occidentale, di liberare un popolo da un
nemico potente senza far ricorso alla violenza. Le nuove forze storiche
spirituali, auspicate da Heidegger, non sono venute dall'Europa, che invece
ha prodotto massacri, persecuzioni, offese alla dignita' dell'uomo.
Dall'oriente ci e' giunta invece, grazie a Gandhi, la nuova prospettiva
della nonviolenza.
*
Chi consideri l'esperienza del Novecento, difficilmente potra' negare che
l'unica vera nuova forza storica e spirituale del secolo e' la nonviolenza.
Altre grandi forze storiche hanno dominato il secolo, declinando poi
irreversibilmente. Altre forze spirituali si sono affermate, cercando di
contrastare il nichilismo. Ma e' difficile individuare una realta' diversa
dalla nonviolenza che abbia le caratteristiche di essere una forza (cioe'
una realta' efficace), di essere spirituale (cioe' di nascere da un contatto
con la verita') e di essere storica (ossia di operare nel mondo).
E' possibile scorgere nell'opera di Gandhi e dei suoi continuatori la
risposta all'esigenza posta da quello che appare, almeno per l'influenza
delle sue idee, come il piu' grande pensatore del Novecento.
Questo libro intende esplorare quella risposta. Non si tratta, e' bene
precisare subito, di una risposta meramente teoretica: e' una risposta che
fonde teoria, ethos e prassi. Cio' la porta lontano da certe raffinatezze
intellettuali, ma vicino ai problemi concreti, al travaglio individuale e
sociale di un'epoca che impone grandi scelte, coraggiose decisioni di
ognuno, nuova consapevolezza e nuovo impegno.
Il politico nonviolento e' impegnato attraverso l'azione nella ricerca della
verita': esperimento con la verita', dice Gandhi. Questo lo differenzia da
ogni altro uomo politico. Il fascista, il comunista, il liberale hanno alle
spalle la loro compiuta Weltanschauung, che puo' essere totalizzante o
venata di buon senso, violenta o tollerante, ma ad ogni modo e'
caratterizzata dall'essere una unita' di senso, premessa per la prassi
politica. V'e' una teoria, insomma, che ispira e guida l'azione. Nel caso
della nonviolenza le cose stanno diversamente. E' l'azione, la prassi che
tenta una verita', illustra una prospettiva, indica una direzione. L'azione
e' guidata da una ipotesi, e a sua volta ne fa germogliare altre: quelle
ipotesi sull'uomo e sul mondo che costituiscono una verita' in polemica con
le insufficienze della realta'.
"La nonviolenza non e' un dogma, ma un processo", ha scritto Thich Nhat Hanh
(4), Parlare di pensiero nonviolento non vuol dire mettere in luce una
corrente del pensiero contemporaneo, cercando di dimostrarne la compattezza
e la coerenza. Un pensiero nonviolento, cosi' inteso, non esiste. Esistono
invece dei punti di contatto tra pensatori diversi per formazione culturale,
per zona geografica, per le condizioni storiche nelle quali si sono trovati
ad agire ed a riflettere. Accanto ad essi, vi sono anche differenze spesso
notevoli, problemi aperti, punti da approfondire. Il pensiero nonviolento e'
una rete aperta di contributi, non un  sistema filosofico.
*
Distinguo nel pensiero nonviolento tre tradizioni principali.
La prima e' quella che si puo' definire orientale, comprendente in primo
luogo Gandhi, e poi esponenti del buddhismo come il filosofo vietnamita
Thich Nhat Hanh ed il Dalai Lama Tenzin Gyatso, personalita' che hanno dato
un contributo notevolissimo alla creazione di una cultura mondiale della
pace. Le radici di questa tradizione della nonviolenza affondano nel terreno
fecondo dell'India religiosa, mistica e filosofica: negli insegnamenti del
Buddha, con il suo messaggio di amore universale (metta) e, per quanto
riguarda Gandhi, nella Bhagavad-Gita.
La seconda tradizione e' la linea prettamente laica della nonviolenza, nella
quale rientrano pensatori originali, la cui riflessione, pur avendo a volte
una intonazione religiosa, si caratterizza per il fatto di non derivare da
una fede o rivelazione. E' il caso del filosofo italiano Aldo Capitini, che
ha elaborato un pensiero nonviolento al tempo stesso laico e religioso, con
un discorso che, come vedremo, rimanda a Martin Buber ed Emmanuel Levinas.
Ma in questa linea rientra anche l'altro grande maestro della nonviolenza
italiana, Danilo Dolci, rigorosamente laico.
Infine, vi e' una nonviolenza cristiana, rappresentata da personalita'
appartenenti a confessioni differenti, e in qualche caso su posizioni
eterodosse: da Tolstoj, in polemica con il cristianesimo istituzionalizzato,
a Lanza del Vasto, a cattolici come don Lorenzo Milani, don Primo Mazzolari,
don Tonino Bello.
Con questa distinzione non voglio negare che esistano possibilita' di
nonviolenza anche nelle tradizioni religiose diverse da quelle orientali e
da quella cristiana. Tracce della nonviolenza possono essere ricercate in
tutte le tradizioni culturali, ed e' ben possibile che in futuro gli
sviluppi piu' importanti vengano, ad esempio, dall'Islam. Ma fino ad ora la
nonviolenza si e' concretizzata soprattutto in figure rappresentative che
appartengono alle tre linee indicate.
*
Ho concentrato l'attenzione soprattutto su cinque maestri, nei quali a mio
avviso l'idea di nonviolenza trova una piu' attenta traduzione in termini
filosofici. Gandhi, naturalmente; il suo discepolo Lanza del Vasto, Aldo
Capitini e Danilo Dolci, ed il monaco zen Thich Nhat Hanh.
La concezione nonviolenta di questi maestri si sviluppa in contesti molto
differenti.
Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto e' nato a San Vito dei Normanni nel 1901.
Dopo studi a Parigi ed a Pisa, e varie esperienze culturali e di viaggio, e'
diventato nel '37 discepolo di Gandhi, che gli ha dato il nome di Shantidas
(servitore di pace). Tornato in Europa, ha fondato in Francia la comunita'
dell'Arca, ispirata ai principi della civilta' rurale e della nonviolenza.
E' morto in Spagna nel 1981.
Aldo Capitini e' nato a Perugia nel 1899. Laureatosi a Pisa, e' stato
segretario della Normale. Antifascista, teorico ed attivista del movimento
liberalsocialista, dopo la fine del regime ha cercato di realizzare l'idea
di un potere di tutti, attraverso i Centri di Orientamento Sociale. Docente
nell'universita' di Cagliari e, dal '65, in quella di Perugia, ha
organizzato nel '61 la prima marcia della pace da Perugia ad Assisi. Ha
lavorato anche alla realizzazione in Italia di una riforma religiosa, ed e'
stato il fondatore del Movimento Nonviolento. E' morto a Perugia nel 1968.
Nato a Sesana (Trieste) nel 1924, Danilo Dolci nel '50 abbandona gli studi
di architettura per andare a vivere a Nomadelfia, la comunita' che don Zeno
Saltini ha creato nell'ex campo di concentramento di Fossoli. Insoddisfatto,
decide di trasferirsi a Trappeto, poverissimo borgo siciliano. Qui attua un
digiuno per attirare l'attenzione pubblica in seguito alla morte per fame di
un bambino: comincia cosi' la sua opera di denuncia, sensibilizzazione,
organizzazione. Nel '56 e' arrestato per aver ideato uno sciopero alla
rovescia, che aveva portato centinaia di disoccupati a lavorare per
riassettare una strada abbandonata; nel '65 e' processato per diffamazione
per aver denunciato le collusioni con la mafia di un ministro e di altri
politici locali. La sua azione in Sicilia intende valorizzare la creativita'
popolare per uno sviluppo locale indipendente dal potere politico, al quale
corrisponde una maturazione e presa di coscienza politica della societa'
civile. Nascono cosi' il Centro Studi e Iniziative per la Piena Occupazione,
la diga sul fiume Jato, il Centro educativo di Mirto. Candidato per nove
volte al Nobel per la pace, ha ottenuto notevoli riconoscimenti
internazionali per la sua valorizzazione delle possibilita' di progresso di
un territorio con gli strumenti e le tecniche offerti dalla nonviolenza. E'
scomparso nel 1997.
Thich Nhat Hanh e' nato in Vietnam, nel 1926. Monaco zen, si e' attivato
durante la guerra nel suo paese in soccorso della popolazione civile, e per
favorire una soluzione nonviolenta del conflitto, al di la' della logica dei
blocchi, attraverso la Scuola di Servizio Sociale per i Giovani (Syss). E'
stato nel '73 a capo della delegazione vietnamita nelle trattative di
Parigi. Costretto all'esilio dal governo comunista, si e' dedicato
all'approfondimento del buddhismo alla luce delle problematiche politiche e
sociali attuali, fondando l'Ordine dell'Interessere (Tiep Hien) e, nel sud
della Francia, Plum Village, una comunita' monastica aperta anche ai laici.
E' stato candidato da Martin Luther King jr al premio Nobel per la pace.
Nel quarto capitolo mi sono soffermato su Tolstoj - il cui pensiero
filosofico e' ancora troppo poco conosciuto, anche a causa della mancanza di
traduzioni ed edizioni - e su altre grandi figure della nonviolenza: da
Martin Luther King a  Milani, da  Mazzolari a Bello ed altri. Tutte figure
che meriterebbero una trattazione ben piu' dettagliata, che tuttavia non e'
possibile nei limiti del presente studio.
*
Con questo volume intendo offrire una "introduzione" al pensiero
nonviolento: una presentazione dei temi e problemi fondamentali, attraverso
l'opera degli autori piu' rappresentativi. Ma questo volume e' anche "una"
introduzione. Vale a dire che si tratta di un percorso tra i tanti
possibili, inevitabilmente condizionato dalla formazione culturale e dalla
sensibilita' dell'autore. La speranza e' che questo percorso non risulti,
comunque, arbitrario, e che offra al lettore indicazioni in qualche modo
utili per inquadrare filosoficamente la nonviolenza, e per approfondirne le
ragioni.
*
Note
1. Martin Heidegger, Introduzione alla metafisica, tr. it. a cura di Gianni
Vattimo, Mursia, Milano 1990, p. 48.
2. Ivi, p. 49.
3. George Steiner, Martin Heidegger, tr. it., Sansoni, Firenze 1980, p. 42.
4. Thich Nhat Hanh, L'amore e l'azione. Sul cambiamento sociale nonviolento,
tr. it., Ubaldini, Roma 1995, p. 39.

4. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: PAESAGGIO DOPO IL REFERENDUM
[Dal sito de "Il Paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo
articolo gia' apparso sul quotidiano "Liberazione" del 16 giugno 2005 col
titolo "Referendum, perche' la cultura laica e' stata sconfitta". Lea
Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice
della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis",
e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle
donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia
originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr.
anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della
memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria
Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito
www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha
insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene
corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di
Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata
redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba
voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il
desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al
movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica
dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni:
L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997);
Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati
Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991;
La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996;
Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle
donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000;
Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati
Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza
In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della
rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la
rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato,
insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista,
Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le
rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"]

Per quanto il dibattito sulla legge 40/2004 si sia venuto via via allargando
negli ultimi mesi a problematiche complesse, riguardanti la scienza, la
morale, la filosofia, il rapporto tra i sessi, la crisi della famiglia, le
nuove genitorialita', a prevalere, in vicinanza del referendum appena
concluso, e' stata ancora una volta la contrapposizione tra laicita' e
religione, tra clericalismo e anticlericalismo.
Di conseguenza, quella che poteva essere materia di ripensamento di un'idea
ormai del tutto irrealistica di politica - separata dalle vite, dai corpi,
dai legami sociali su cui tuttavia e' chiamata sempre piu' spesso a
legiferare -, e' tornata a configurarsi come il luogo dell'"opinabilita'",
della "coscienza personale", e quindi, in qualche modo, di quel
"relativismo" che le gerarchie ecclesiastiche vanno stigmatizzando come
segno di decadimento morale e civile.
Sul peso che ha avuto la Chiesa nel far si' che la legge sulla procreazione
assistita trasformasse in reato quelle forme di unioni sessuali e di
genitorialita' da sempre considerate "innaturali" e peccaminose, nel
tradurre in termini di diritto la subordinazione della madre al figlio, ora
identificato con l'embrione-persona, e' stato scritto molto.
Lo stesso vale per un'ingerenza politica mai cosi' aggressiva e diretta come
l'invito all'astensione dal voto.
Nulla invece viene detto su quell'invasivita' ben piu' estesa, profonda e
duratura, che passa attraverso la formazione di bambini e adolescenti negli
oratori, che restano tutt'ora, soprattutto nei paesi, i primi e unici luoghi
di socialita' e ritrovo.
L'automatismo con cui generalmente si identificano morale e valori con
morale e valori cattolici, viene sicuramente da questa lunga inconsapevole
abitudine a collocare sotto l'egida della religione vicende della vita umana
come l'amore, la sofferenza, la morte, che la politica ha creduto di poter
confinare nella sfera del privato e della storia dei singoli.
L'indifferenza con cui la cultura laica, fiduciosa nella forza della
razionalita', del progresso, delle passioni civili, ha guardato all'infanzia
e alla memoria che essa consegna all'adulto, e' una delle ragioni che sempre
la spingono a considerare emozioni, sentimenti, paure, pregiudizi, come un
fattore molesto, un ostacolo, un arcaismo, una riserva preziosa solo per
torbidi manipolatori delle coscienze.
Il referendum sulla legge 40 ha avuto quanto meno il merito di portare a
conoscenza di un vasto pubblico problematiche che stanno nel cuore dei
cambiamenti piu' significativi della nostra civilta', mutazioni biologiche e
culturali che fanno apparire, come gia' aveva scritto Guenther Anders,
l'uomo "antiquato".
La fecondazione in vitro, cioe' la separazione della sessualita' dal
concepimento, l'isolamento di quel primo anello del processo generativo che
e' l'embrione, la riduzione delle figure di madri e padri alle loro cellule
germinali, ovuli e spermatozoi, il passaggio del controllo sul corpo
femminile dal possesso intimo, tenero e violento, che e' stato storicamente
dell'amore, delle relazioni famigliari, nelle mani della scienza e della
legge, come poteva non sollevare interrogativi, dubbi, fantasie, immagini
persecutive e attese salvifiche?
Chi poteva pensare che non avrebbe riattivato e acceso di nuovo vigore
l'immaginario della nascita, la preistoria inquietante dell'originaria
indistinzione dal corpo materno, la contesa che intorno a quel segreto della
vita ha contrapposto uomini e donne, l'ossessione con cui la scienza, la
religione e la politica, accomunate dallo stesso impianto patriarcale, hanno
perseguito una presa in consegna totale della generazione dell'umano,
svincolandolo dall'imprevedibile potere che ha la donna di decidere sulla
vita e sulla morte del figlio?
Il riduzionismo biologico e' diventato, non a caso, l'asse portante delle
posizioni della Chiesa e della sperimentazione genetica, con la differenza
che, se la scomposizione del corpo, la messa a nudo della materia biologica
di cui e' fatto, puo' essere sempre nobilitata dalla chiesa in quanto
volonta' e "natura" divina, alla scienza resta invece il difficile compito
di smentire ogni volta la sua complicita' col mercato e con l'uso che
potrebbe farne il potere politico.
La riesumazione di mostri, che purtroppo non abitano solo l'inconscio e la
letteratura, ma la nostra storia passata e presente, per quanto accompagnata
in alcuni casi clamorosi da visionarieta', odio, pregiudizi razziali,
meritava un'analisi spassionata, la capacita' di riconoscere che a volte
l'immaginario e' piu' forte di ogni riscontro reale, che per tenere a bada
le paure irrazionali occorre, come ha scritto Virginia Woolf a proposito
della malattia, un "intelletto radicato nelle viscere della terra", una
"robusta filosofia".
La rinascita di spiriti religiosi particolarmente aggressivi verso una
societa' che sempre piu' si allontana dai dettami di una morale sessuofobia
e misogina, si era gia' manifestata vistosamente nella liturgia di massa che
ha accompagnato la morte di Giovanni Paolo II e l'elezione del nuovo papa.
Ma in quell'occasione gran parte della cultura laica, sinistra compresa,
forse intimorita o affascinata dall'ampiezza di quel consenso, non e'
sembrata altrettanto ansiosa di rimarcare i suoi confini, di interrogarsi
sulla ripresa del fanatismo e dei fenomeni di massa.
La complessita', la problematizzazione, il racconto e la riflessione
sull'esperienza - la' dove si mescolano fantasie e ragionamenti - sono da
sempre ospiti indesiderati, per non dire nemici, della politica. Ma la
semplificazione, la logica contrappositiva, non sono evidentemente piu' in
grado di rispondere in modo convincente ai dubbi di una modernita' che
assiste giorno dopo giorno al veloce smantellamento dei confini noti, tra
spazio pubblico e privato, reale e virtuale, valori e interessi, corpi e
macchine, natura e artificio, tempo ed eternita'.
E' piu' rassicurante credere di essere stati vinti da una Chiesa invasiva,
sostenuta da alte cariche dello Stato obbedienti e genuflesse, piuttosto che
ripercorrere la propria storia, riconoscerne limiti, mancanze, sordita', e
provare nuove strade attraverso un'ampia, coraggiosa riflessione collettiva,
che ridia parola a quel "popolo della sinistra" tanto invocato ma tenuto a
debita distanza quando tenta di esprimere cio' che effettivamente gli passa
nel cuore e nella testa.
Se c'e' una speranza di rimontare la pesante sconfitta, non e' certo nella
rancorosa invettiva contro le gerarchie ecclesiastiche, e neppure nella
difesa di una laicita' astratta che invoca liberta' e diritti - della
scienza, della maternita' -, che meriterebbero quanto meno di essere
discussi.
Per decantare l'influenza e l'invasivita' della Chiesa occorrerebbe
innanzitutto toglierle la forza dei suoi argomenti, visionaria, paranoica o
reale che sia, non regalarle, come e' accaduto finora, un patrimonio di
esperienze, passioni, pensieri, comportamenti che riguardano la
quotidianita' e le relazioni piu' significative di ogni essere umano.
Ma per fare questo e' necessario prioritariamente spostare lo sguardo su di
se', chiedersi per quale inclinazione, arrogante o masochista, la sinistra
ha disperso, cancellato o dissipato, saperi, pratiche politiche innovative
che l'hanno attraversata, una cultura e una politica della vita, quale e'
stata quella del femminismo, che e' ora piu' attuale che mai, forse l'unico
argine perche' l'invadenza dello Stato e della Chiesa non diventino potere
sugli individui, sui loro corpi e le loro menti.
Ma quali voci di donne - biologhe, mediche, giuriste, filosofe, ecc. - sono
state ascoltate per questo referendum? Quanti libri, documenti, prodotti
nell'arco di trent'anni sui temi della sessualita', della maternita', della
salute, sono stati letti e segnalati per evitare che si riparta ogni volta
dal deserto?
La diffidenza, la superficialita', il pesante silenzio dei media e della
classe politica sulla riflessione prodotta da piu' generazioni di
femministe, non hanno solo contribuito a che restassero clandestini saperi
oggi indispensabili alla comprensione del mondo, ma ha consolidato
stereotipi informativi buoni per tutti gli eventi: elogio a parole della
portata rivoluzionaria del movimento delle donne, attribuzione di
responsabilita' solo all'occorrenza, e per nascondere la propria ignoranza
della cultura femminista, uso scandalistico della parola di singole donne
per fomentare ostilita' la' dove ci sono, come in tutti i movimenti,
differenze e conflitti di opinione.
Se e' vero, come si legge sul quotidiano "La Repubblica" e'l 14 giugno 2005,
che non c'e' stata quell'aggregazione collettiva che ha contraddistinto i
referendum sul divorzio e l'aborto, non e' vero che non ci siano stati
pensiero, scritture, lavoro di gruppi e associazioni da piu' di dieci anni a
questa parte sulla fecondazione assistita e sulla scienza, cosi' come non e'
di oggi la problematizzazione di una materia che non puo' non creare dubbi e
inquietudini. Per saperlo basta ormai qualsiasi motore di ricerca su
internet. Per volerlo sapere ci vuole invece interesse, e, nel caso dei
media, senso di responsabilita' professionale. Ma l'immagine folcloristica
delle "streghe" e' piu' facile e piu' appagante, figura di quell'immaginario
che deve restare fuori dalla storia e dalla politica.

5. ESPERIENZE. BRUNA PEYROT: ALLE RADICI DELL'ESPERIENZA DI PORTO ALEGRE
(PARTE TERZA)
[Ringraziamo Bruna Peyrot (per contatti: brunapeyrot at terra.com.br) per
averci messo a disposizione il capitolo quarto, "La sceta della politica",
del suo libro La democrazia nel Brasile di Lula. Tarso Genro: da esiliato a
ministro, Citta' Aperta Edizioni, Troina (En) 2004.
Bruna Peyrot, torinese, scrittrice, studiosa di storica sociale, conduce da
anni ricerche sulle identita' e le memorie culturali; collaboratrice di
periodici e riviste, vincitrice di premi letterari, autrice di vari libri;
vive attualmente in Brasile. Si interessa da anni al rapporto
politica-spiritualita' che emerge da molti dei suoi libri, prima dedicati
alla identita' e alla storia di valdesi italiani, poi all'area
latinoamericana nella quale si e' occupata e si occupa della genesi dei
processi democratici. Tra le sue opere: La roccia dove Dio chiama. Viaggio
nella memoria valdese fra oralita' e scrittura, Forni, 1990; Vite discrete.
Corpi e immagini di donne valdesi, Rosenberg & Sellier, 1993; Storia di una
curatrice d'anime, Giunti, 1995; Prigioniere della Torre. Dall'assolutismo
alla tolleranza nel Settecento francese, Giunti, 1997; Dalla Scrittura alle
scritture, Rosenberg & Sellier, 1998; Una donna nomade: Miriam Castiglione,
una protestante in Puglia, Edizioni Lavoro, 2000; Mujeres. Donne colombiane
fra politica e spiritualita', Citta' Aperta, 2002; La democrazia nel Brasile
di Lula. Tarso Genro: da esiliato a ministro, Citta' Aperta, 2004.
Per richiedere il libro alla casa editrice: Citta' Aperta Edizioni, via
Conte Ruggero 73, 94018 Troina (En), tel. 0935653530, fax: 0935650234.
Segnaliamo ai lettori che per esigenze grafiche legate alla diffusione per
via informatica del nostro foglio, i termini brasiliani sono stati
semplificati abolendo tutti gli accenti all'interno delle parole e
sostituendo tutti i caratteri con particolarita' grafiche non tipiche della
lingua italiana; questo rende la trascrizione di quei termini non fedele ma
semplicemente orientativa. I conoscitori della soave lingua
portoghese-brasiliana sapranno intuire le soluzioni adeguate, con tutti gli
altri ci scusiamo]

3. Porto Alegre: l'"invenzione" di una citta'
Nella  difficile cornice del decennio degli anni Ottanta, il Brasile aveva
cercato una nuova identita' di paese libero. Tarso, avvocato del lavoro,
aveva precisato il suo ruolo politico. Sono in molti a ricordare il crescere
della sua visibilita' durante la campagna per la Costituente. Un incontro,
organizzato dal Comitato elettorale nell'Auditorium della Sala Legislativa
della Provincia a Porto Alegre, resto' scolpito nella memoria dei piu' di
mille attivisti presenti. Di fronte a studenti, dirigenti sindacali,
rappresentanti delle categorie difese nelle vertenze, gente comune, Tarso
pronuncio' il discorso piu' bello della sua carriera. Una frase in
particolare commosse l'uditorio: il nostro partito si presenta con le carte
in regola per governare sulla scena della storia, la destra ci accusa invece
di essere insurrezionalisti e considera me un sovversivo per il mio passato
nelle "frange rosse". Ebbene io desidero dire ai giovani e al popolo che
si', sono proprio comunista, di quel comunismo che ha sognato
l'emancipazione dell'uomo, di quel socialismo che non ha oppresso l'uomo ma
lo ha aiutato a capire la sua condizione. Tarso aveva iniziato in
quell'occasione la sua battaglia interna ed esterna al Pt, per rivalutare le
matrici democratiche del marxismo e spiegare l'importanza di coniugare
politica e diritto.
Nel 1987 inizio' la campagna elettorale per l'elezione al Congresso. Tarso
entro' nella corsa a deputato federale con il numero 1.350. Nelle numerose
interviste, dovette sempre rispondere a una domanda: cos'e' per te il
socialismo? Giornalisti e avversari volevano svelare la sua appartenenza
comunista, per spaventare il brasiliano che avesse osato votarlo. Al
contrario, Tarso, all'epoca vicepresidente e coordinatore della Commissione
di Studi costituzionali dell'Ordine degli Avvocati di Rio Grande do Sul,
ricevette dichiarazioni di sostegno da diciassette sindacati di categoria:
ospedalieri, bancari, amministrativi, operatori cinematografici e operai,
gli stessi che come avvocato del lavoro aveva rappresentato nelle cause con
le loro aziende.
Ancora di piu' dell'anno precedente, il 1988 accese gli animi del Pt di Rio
Grande do Sul con la scelta previa per la candidatura a sindaco di Porto
Alegre. Per l'occasione, non senza polemica, furono tre i candidati: Olivio
Dutra, Flavio Koutzii e Tarso Genro. Possiamo solo immaginare gli accesi
dibattiti, le discussioni, le telefonate, le manifestazioni, gli incontri,
le analisi e i documenti circolanti fuori e dentro il partito. Uno dei temi
in discussione fu il ruolo del candidato, al quale si richiese "il volto del
Pt" (32). Se un candidato doveva saper governare - e come era possibile se
prima non lo aveva mai sperimentato? -  aveva bisogno di competenze
amministrative. La militanza da sola non era piu' sufficiente. Inizio' cosi'
l'impegno del Pt a valorizzare capacita' professionali utili a tradurre,
oltre le parole d'ordine, in azioni concrete il proprio progetto politico.
Queste preoccupazioni sembrano riecheggiare il dibattito italiano sul
passaggio dalla dittatura alla repubblica, quando molti dei dirigenti della
Resistenza al nazifascismo e in particolare del Partito d'azione, abdicarono
rispetto ai ruoli amministrativi: "si rinuncio' a costruire
un'amministrazione pubblica efficiente, affidabile, trasparente" (33).
Fra Tarso, Olivio e Flavio c'erano divergenze di stile, di sensibilita' e di
analisi politica che non impedirono pero' la collaborazione. Olivio divento'
sindaco di Porto Alegre, Tarso vice e nello stesso tempo deputato federale,
carica dalla quale si dimise.  Fare il deputato al Congresso non era per
niente facile. Diventare un punto di riferimento affinche' ci sia interesse
per il suo impegno, richiede un ritmo troppo accelerato nel saper creare
eventi. Senza contare che, alla prima esperienza non si entra subito
nell'"alto clero", come dicono i brasiliani, dei giochi politici. Tarso,
inoltre, continuava a fare il vicesindaco, oltre che esercitare
l'avvocatura: gli impegni non mancavano. Le sue dimissioni, tuttavia, gli
valsero la critica di "traditore della causa", ma, come sempre, Tarso
spiego' molto bene il perche', rilanciando la discussione sul significato
della leadership. Sostenne la fine del leader unico, come Vargas o Brizola,
e l'emergere della "dirigenza settoriale" (34), espressione di interessi
particolari che la strategia politica di un partito doveva saper coordinare.
Tarso aveva anche scritto, nel marzo 1988, un opuscolo sul significato del
programma per un'amministrazione popolare. L'anno in corso era cruciale per
il futuro del Brasile e quello successivo, con le amministrative per stati e
comuni, ancora di piu'. E' uno dei primi scritti in cui si divulga, oltre ai
militanti del partito, l'idea dei Conselhos populares: "enti democratici di
partecipazione... autonomi, e apartitici, democratici e rappresentativi" che
soppiantarono le dinamiche dello stato corporativo. Tarso, in quello stesso
documento, lamenta la lunga disputa per le candidature dentro il Pt, che ha
relegato in secondo piano il dibattito sui principi democratici. Nel 1988 il
Pt aveva 6.000 tesserati a Porto Alegre, ma soltanto un migliaio militava
attivamente.
Nelle elezioni del 1989, il Pt vinse in alcune delle citta' piu' grandi, fra
le quali Sao Paulo con Luiza Erundina, e poi Santos, Campinas e Vitoria,
oltre a una trentina di centri minori. La Frente Brasil Popular (Pt, Pcb,
Pdt, Psdb) aveva vinto a Porto Alegre con Olivio Dutra sindaco e Tarso vice,
con una delle percentuali piu' alte del paese: un'importante vetrina per
farsi conoscere davvero. Tarso collaboro' attivamente con Olivio, un'altra
significativa figura della vita politica di Rio Grande do Sul che si
definiva, ieri come oggi: "un politico per natura, non per professione"
(35). Sin dal suo ingresso nell'arena politica, Olivio, che aveva difeso
durante gli scioperi dei bancari della fine degli anni Settanta sembro'
essere il suo alter ego, con il quale si incontrava, ma sovente anche
scontrava.
Quando Tarso accede al governo di Porto Alegre, di cui fu sindaco dal 1993
al 1996, finalmente puo' inventare la "sua" citta'. Per lui e' una visione,
prima di essere un progetto politico, un'idea di convivenza che aveva radici
nel socialismo umanista. "Costruire" una citta' per Tarso significo'
condividere paesaggi visitati e sognati, territori della memoria
latinoamericana e citta' europee, visitate nei suoi numerosi viaggi. I suoi
diari narrano incontri con politici e intellettuali, cosi' come con la
realta' dei "minimi", ugualmente importanti per Tarso che scrive quando ha
bisogno di ritrovare il senso della sua traiettoria esistenziale e cercare
dentro le cose una nuova dimensione, oltre le cose viste. Prima di Porto
Alegre ha sognato altre citta'. Mentre le racconta a se stesso, spesso
rincorre l'utopia infranta del socialismo, per riproporla nei valori
dell'uomo piu' profondi: "e' necessario liberare il marxismo dalla
pseudoetica che giustifica il Terrore" (36) scrive piu' volte.
Un viaggio, fra tanti, merito', in modo particolare, la sua penna: fu
l'Europa, nel 1991, fra Italia e Spagna.
A Madrid ricorda tre adolescenti che in Plaza Mayor suonano Schubert. La
piazza, con l'antica fontana al centro e i portici rallegrati da piccoli
lampioni, fiori rossi e tende viola dai balconi, riporta alla memoria il
contrasto fra la Spagna della guerra civile e la durezza dell'occupazione
tedesca. I turisti lasciano cadere monete in una piccola scatola nera.
Scrive Tarso: "Due forme di esclusione dal mondo si incontrano nella musica
di Schubert: i piccoli suonatori e l'uomo, che non ha piu' nessuna speranza,
ma che forse gioca, solenne, dentro la scatola gia' inargentata dalle
monete, cio' che gli resta di un'emozione risvegliata". A Madrid e Toledo,
coglie    le voci della guerra civile, passata appena da una generazione, e
la costanza del popolo spagnolo che "e' capace di resistere a Franco,
ballare il flamenco e  amare un re". Tarso annota anche la violenza, quando
vede entrare nelle scuole di Mancha Real bambini zingari accompagnati dalla
polizia per evitare aggressioni: "nel ventre generoso della penisola iberica
la voce dell'odio e del razzismo si rivolta contro Lorca, Unamuno e Antonio
Machado".
Poi, Roma. Gia' era passato per piazza Navona dieci anni prima, un Primo
Maggio in festa guidato dal Pci (Partito comunista italiano). Aveva comprato
"Rinascita" che raffigurava un bellissimo ritratto di Gramsci, "con il suo
sguardo umile e intelligente, figlio del Rinascimento e della gloria della
Rivoluzione russa. Gramsci, martire del fascismo, dai suoi Quaderni del
Carcere, degli scritti su Machiavelli, nella comprensione profonda del suo
popolo. Gramsci, dei contadini di Cagliari e degli operai di Torino. Mi
pongo una domanda assurda: che cosa direbbe oggi Gramsci se fosse vivo?
Farebbe una lunga dissertazione sull'egemonia della cultura dei 'grandi
intellettuali' sulla cultura italiana? Parlerebbe su Croce e Gentile?
Direbbe che l'Italia soffre ancora per la 'questione meridionale' e che i
santi sono piu' forti degli eroi?".
Tarso sogna che Gramsci possa essere riconosciuto artefice dell'identita'
italiana. Sogna che l'Italia "dimentichi" il fascismo e fiorisca con
Leopardi, Moravia, Giotto e Fellini, scartando Mussolini e papa Alessandro
IV. Si chiede ancora: "Forse e' tutta la storia dell'umanita' che e' da
riscrivere, elaborando l'ombra delle ingiustizie e delle violenze, ma
scrivendo e tramandando le storie di luce e di democrazia". A Roma passeggia
per via del Corso, verso la casa dove hanno vissuto Byron e Keats e pensa a
questa citta' "che ha sofferto le violenze piu' crude della storia - dalle
invasioni barbariche all'occupazione nazista - e oggi si trova lacerata da
un rapido  e formale cosmopolitismo".
Poi, Firenze. Qui ricorda quando alloggiava, dodici anni prima, alla
Pensione Pitti, a cinquanta metri da Ponte Vecchio. Era il primo viaggio
nella penisola e "l'utopia mostrava un volto trasparente, con i  simboli di
un futuro di uguaglianza e liberta', che ancora sembravano possibili a breve
termine". Il brigatismo rosso era "un'espressione barbara" che sembrava
dovesse rapidamente sparire dalla scena politica, e l'est europeo in grado
di essere trasformato dai suoi stessi popoli. Ne' altre barbarie sembravano
diventare dominanti: l'individualismo sfrenato, il nazionalismo, la
xenofobia e il razzismo. Nel 1991 Tarso va ancora in cerca di quella visione
piena di speranza nella quale esiste "il pulsare di un'altra possibilita'
per il mondo".
Infine, Venezia. Tarso, immerso fra i vicoli della citta' marinara, si
interroga sulla morale dell'umanita' "con la sua storia di grandezze e
soffocamenti, crimini e glorie". L'Italia, in ogni caso, per Tarso significa
soprattutto Gramsci, uno dei riferimenti piu' cari. Tarso, infatti, rilegge
periodicamente le "sue" fontes da vida (37): Marx, Engels, Lenin, Lukacs,
Luxemburg, Gramsci, Mann, Conrad, Machado. Letteratura e politica si
ritrovano insieme nei testi di Tarso per spiegare la complessita' umana,
forse perche' "quella conoscenza  totalizzante e in presa diretta
dell'essere umano, oggi, si trova soltanto nel romanzo" (38). Tarso propone
al suo partito di pensarsi in una storia che viene di lontano, quella del
socialismo europeo e latinoamericano, che ha interpretato prima del Pt i
suoi valori ispiratori.
Per Lenin, avvocato, il partito e' il soggetto "politico pratico del
processo rivoluzionario" (39), con la missione di orientare il proletariato
che incarna. E' un'avanguardia che si pone "sopra e di fronte" alla classe
operaia che rappresenta. L'operaio, diventato militante comunista, conduce
una vita diversa dall'operaio comune. Si trasforma in rivoluzionario
professionista che traspone la sua identita' nella collettivita' del
Partito. Per questo deve viaggiare, conoscere i dibattiti filosofici, il
decorso delle lotte politiche in ogni paese e saper rispondere alle
questioni poste dai militanti di "base". Cio' che affascina Tarso e' proprio
questo: la capacita' di riflettere su cio' che capita, una conoscenza che
nasce dall'essere "dentro" le cose, dalla "prassi". Cio' che invece lo ha
sempre preoccupato, oggetto anche di continuo confronto con il fratello
Adelmo, fu la separatezza fra la "classe" e il "partito", teorizzata da
Lenin, perche' generatrice del loro scollamento. Tarso invoca allora in suo
aiuto l'"antidoto spontaneo" dei movimenti di Rosa Luxemburg, per
contrastare qualsiasi burocratizzazione del partito. Con Lukacs, infine,
Tarso affronta il senso della coscienza di classe che per il filosofo
ungherese non e' un atto spontaneo. Infatti, la consapevolezza di
condividere la medesima condizione, dovuta a cause economiche, ha bisogno di
un lungo processo di risveglio, di conseguenza, il partito non puo' che
essere lo strumento che conduce a capirlo. Questi riferimenti teorici
possono, dunque, secondo Tarso aiutare il Pt a pensarsi, anche se la sua
natura e' profondamente diversa dai partiti comunisti.
*
Note
32. Dutra O., O candidato deve ter a cara do Pt, "Folha do trabalhador",
marzo 1988.
33. Galante Garrone A., Il mite giacobino, Roma, Donzelli, 1994, p. 53.
34. Genro T., Os partidos populares e politica de aliancas, documento
interno Pt, 1989.
35. "Folha de Sao Paulo" del 23.12.02. Olivio, attuale ministro delle
Citta', oltre a essere stato sindaco di Porto Alegre dal 1989 al 1992, fu
membro della Costituente e governatore di Rio Grande do Sul dal 1999 al
2002. Fondatore del Pt, fu presidente statale a Rio Grande do Sul, poi
nazionale nel 1987. Laureato in lettere, bancario, fu presidente del
sindacato di categoria che guido' gli scioperi degli anni Settanta, fino
alla fondazione della Cut.
36. Genro T., Terror e Estado: Uma critica preliminar para a Retomada do
humanismo, "Teoria e Politica", febbraio 1990.
37. Genro T., Fontes da vida, Santa Maria, Tche, 1987.
38. Vargas Llosa M., "E' pensabile il mondo moderno senza il romanzo?", in
Franco Moretti (a cura di), Il romanzo, Torino, Einaudi, 2001, vol. I, p. 3.
39. Genro T., Notas sobre o partido moderno do socialismo (Da Lenin a
Gramsci), Porto Alegre, 1988.
(Parte terza - Segue)

6. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI PRIMO MAZZOLARI
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ponendosi
all'ascolto della lezione di Primo Mazzolari.
*
"Testimonia chi muore, non chi uccide" (Primo Mazzolari, Tu non uccidere, La
Locusta, Vicenza 1955, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1991, p.
59).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

7. RILETTURE. EKNATH EASWARAN: BADSHAH KHAN. IL GANDHI MUSULMANO
Eknath Easwaran: Badshah Khan. Il Gandhi musulmano, Edizioni Sonda,
Torino-Milano 1990, pp. 252, lire 22.000. Una rilevante monografia di un
illustre studioso su una delle figure piu' grandi della nonviolenza.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 967 del 20 giugno 2005

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