La nonviolenza e' in cammino. 954



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 954 dell'8 giugno 2005

Sommario di questo numero:
1. Clementina, della persuasione
2. Riccardo Orioles: Storie di paese
3. Irene Panozzo intervista Miriam Were
4. Patricia Lombroso intervista Moazzan Begg
5. Enrico Peyretti: Storia del concetto di disarmo (parte terza e
conclusiva)
6. Comunita' cristiana di base di Chieri: Referendum: dieci domande e dieci
risposte per capire meglio
7. Con "Qualevita", all'ascolto di Hedi Vaccaro
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DELLA PERSUASIONE
[Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care
international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e'
stata rapita alcuni giorni fa]

Ogni vita umana ha un valore infinito. Ogni persona umana e' un valore
infinito. Ogni gesto di aiuto anche a una sola persona aiuta l'umanita'
intera, ogni azione buona per quanto piccina migliora il mondo di tutti.
Quanto aiuto ha recato Clementina. Quanto necessario e' che torni libera.
Ciascuna e ciascuno come puo' si adoperi.

2. RIFLESSIONE. RICCARDO ORIOLES: STORIE DI PAESE
[Da "La Catena di San Libero", n. 287 del 7 giugno 2005 (per contatti:
riccardoorioles at libero.it) riportiamo ampi stralci dell'articolo di
apertura. Riccardo Orioles e' giornalista eccellente ed esempio pressoche'
unico di rigore morale e intellettuale (e quindi di limpido impegno civile);
militante antimafia tra i piu' lucidi e coraggiosi, ha preso parte con Pippo
Fava all'esperienza de "I Siciliani", poi e' stato tra i fondatori del
settimanale "Avvenimenti", cura attualmente in rete "Tanto per abbaiare - La
Catena di San Libero", un eccellente notiziario che puo' essere richiesto
gratuitamente scrivendo al suo indirizzo di posta elettronica; ha formato al
giornalismo d'inchiesta e d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli
utenti della rete telematica vi e' anche la possibilita' di leggere una
raccolta dei suoi scritti (curata dallo stesso autore) nel libro elettronico
Allonsanfan. Storie di un'altra sinistra. Sempre in rete e' possibile
leggere una sua raccolta di traduzioni di lirici greci, ed altri suoi lavori
di analisi (e lotta) politica e culturale, giornalistici e letterari. Due
ampi profili di Riccardo Orioles sono in due libri di Nando Dalla Chiesa,
Storie (Einaudi, Torino 1990), e Storie eretiche di cittadini perbene
(Einaudi, Torino 1999)]

Sud. C'era una volta, in un paesino della Sicilia in un'estate cosi', un
gruppo di ragazzi che aveva semplicemente voglia di andarsene a mare a farsi
un bagno. In quel paesino, pero', la cosa era un po' complicata perche'
tutta la costa - bellissima, con gli scogli - era completamente occupata da
ville, stabilimenti, spiagge recintate e chi piu' ne ha piu' ne metta.
Certo, camminando un po' si arrivava a trovare qualche scoglio ancora
libero: ma perche' devi farti due chilometri col sole per farti un bagno,
quando stai in un paese cosi' di mare che la gente viene di lontano per
vederlo? "E poi e' anche contro la legge" disse uno dei ragazzi. "Che cosa?"
fece un altro. "Non possono fare cosi'. Questo e' terreno dello stato. Non
ci si puo' costruire". "Vabbe', la legge...". "Perche' - fece il terzo -
siccome siamo in Sicilia, la legge non deve valere?".
La legge, effettivamente, da quelle parti non valeva granche'. Pochi anni
prima, in un paese vicino, avevano fatto saltare per aria un ragazzo e poi
gli avevano anche detto "estremista". Comunque i nostri eroi scavalcarono un
recinto ("Non hanno il diritto di mettercelo!") e si fecero il bagno. Un
paio di giorni dopo erano qualcuno in piu'. Una settimana dopo erano una
ventina. Allora occuparono uno dei recinti, ci fu qualche storia con i
guardiani (quelli diciamo cosi' legali, e quelli della particolare legalita'
locale) pero' loro tennero duro.
Siccome erano dei ragazzi educati, stavano attenti a non lasciare nulla per
terra (lattine, carte di sigaretta, roba cosi') quando andavano via e anzi
dopo un po', visto che ci tornavano sempre, decisero di fare una bella
pulizia generale ogni giorno col rastrello. Cosi' quel pezzetto di spiaggia
("spiaggia occupata": l'unica illegale, o legale, secondo i punti di vista,
del paese) divento' uno splendore: neanche a Taormina o a Mondello c'era mai
stata una spiaggia cosi'.
Bene, l'estate dopo i ragazzi - non e' che in Sicilia allora ci fosse piu'
lavoro di ora - ebbero un'idea geniale: fecero una cooperativa (gestione e
pulizia della spiaggia, o qualcosa del genere) e chiesero la concessione al
comune. Tanto si misero a camurria che alla fine gliela dovettero dare.
Insieme per fare una spiaggia, difenderla e tenerla pulita, significa
insieme anche per molte altre cose. Alla fine si accorsero - meglio tardi
che mai - che in fondo stavano facendo pure politica. E che politica! Meglio
che occupare le scuole, perche' qua si costruiva pure qualcosa. Meglio che
fare i volantini generici contro i padroni, perche' qui ai padroni - che
la', vi assicuro, erano gente molto irritabile - gli si toglieva
concretamente un po' di quel che s'erano fregato e lo si ridava alla gente,
e addirittura guadagnandoci pure da vivere grazie al lavoro utile che nel
frattempo si faceva. Alla fine, cosi', fondarono un gruppo politico (ma in
realta' l'avevano fondato gia' il primo giorno che avevano scavalcato quel
recinto) e lo chiamarono Gruppo Capaci 88; Capaci sarebbe il nome del paese
e ottantotto l'annata.
Adesso che vi ho detto il nome del paese capirete subito che per "fare
politica" da quelle parti i partiti in realta' erano solamente due: Quelli
Che Comandano (detto anche Cosa Nostra, detto anche Mafia oppure anche,
secondo i tempi, con questo o quel nome di partito) e Quelli Che Non
Vogliono Essere Comandati (con tante etichette, ma sostanzialmente sempre
quelli). Il gioco si fece sempre piu' duro e a un certo punto, fra le altre
cose, gli antimafiosi fecero pure una Rete (che alla fine si perse per
vanita' dei generali: ma questa e' un'altra storia) e a Capaci,
naturalmente, i primi a farla furono i ragazzi nostri.
Impararono, colpo su colpo, un casino di cose; qualche anno dopo, nel '94 -
ma dovete pensare a tutti i calendari fra l'88 e il '94, da quelle parti e
altrove - arrivarono a fare pure una lista per sindaco e... e vinsero, alla
faccia di tutti, per quattro voti!
Capaci cosi' divento' uno dei comuni siciliani amministrati dall'antimafia
(noi li chiamavamo comuni liberati) e, finche' duro', fece un sacco di cose
per il paese. La gente quel periodo se lo ricorda ancora: anche perche',
quando si riperse il comune, resto' un'opposizione combattivissima guidata,
guarda caso, sempre dai nostri ragazzi di spiaggia ormai un po' ingrigiti.
"Allora io e i miei compagni di avventura del gruppo 23 maggio eravamo dei
bambini, io avevo solo nove anni ma vedevo in quei ragazzi dei modelli, sono
stati i nostri primi miti!".
Ehi, un momento! Chi cavolo sei tu, ora, e da dove salta fuori st'altro
gruppo?
*
Ogni anno, quando muore Falcone, i mafiosi festeggiano (non solo loro) ma i
siciliani onesti scendono giu' a ricordarlo con striscioni e bandiere. Cosi'
anche quest'anno, cosi' anche a Capaci.
Quelli che dieci anni fa erano dei bambini, quest'anno si sono organizzati,
sono andati casa per casa a farsi dare da ogni famiglia un lenzuolo, ci
hanno scritto le parole di Falcone e li hanno appesi ai cavalcavia. Hanno
preso dei manifesti scritti a mano e li hanno attaccato dappertutto: padre
Puglisi, Martin Luther King (quello del sogno), Peppino Impastato. E i
volantini: "Un popolo che paga il pizzo e' un popolo senza dignita'" (sono
quelli che fanno infuriare di piu' i mafiosi). Infine hanno fatto una
manifestazione, senza personaggi importanti (che non servono a niente) ma
con tutti i ragazzini del paese, organizzata dal neonato "gruppo 23 maggio"
(ed ecco che cos'era), dalla rete Lilliput (i locali no-global) e da tutti
gli altri antimafiosi.
Figuratevi il sindaco! ... "Manifesti abusivi! Stanno imbrattando il
paese!". Manda le guardie e li fa togliere tutti. "Via, via! Che cosa
penseranno di noi gli amiiici di tutto il resto della Sicilia? Leva quel
Falcone!". Alla fine, sui muri sono rimasti solo i manifesti abusivi
autorizzati, quelli cioe' che non parlano di mafia ma solo di supermercati e
di politici perbene.
*
Vabbe', non e' finita li'. Domenica naturalmente i ragazzi hanno fatto
un'altra manifestazione (con Lumia dell'antimafia, la moglie di Libero
Grassi e i ragazzi dell'Addio Pizzo di Palermo), hanno rimesso in giro foto
e manifesti, hanno raccolto le firme per la geniale campagna "Contro il
pizzo cambia i consumi" (cioe', se sai che un commerciante paga il pizzo,
non comprare da lui). Insomma, continua. Non avete idea da quanto tempo
continua - una generazione dopo l'altra, le piu' belle generazioni di questo
mondo - e potete avere invece un'idea precisa di quando finira': finira' il
giorno dopo che sara' finita la mafia, fra un anno o fra dieci o quando
sara', fino a quel giorno preciso e non un istante prima.
Bookmark: http://www.23maggio.cjb.net
Info: 23maggio at libero.it
*
Ah: e perche' vi conto tutte 'ste storie di paese? Per non dovermi mettere a
scrivere pure io di Berlusconi e di Rutelli. Volevate il pezzo politico?
Bene, il pezzo politico e' questo. La politica si fa a Capaci, amici miei, e
la stanno facendo i ragazzini. A Roma, coi grandi politici, stiamo a perdere
tempo.

3. SOLIDARIETA'. IRENE PANOZZO INTERVISTA MIRIAM WERE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 4 giugno 2005.
Irene Panozzo fa parte dell'esperienza giornalistica di "Lettera 22".
Miriam Were e' presidente della fondazione medica africana Amref]

Avvolta nel suo colorato vestito kenyano, Miriam Were non smette di
sorridere. E di motivi ne ha. Amref, la fondazione medica africana che Were
presiede, ha ricevuto giovedi' sera a New York il premio Gates Award for
Global Health, assegnato dalla Bill & Melinda Gates Foundation in
collaborazione con il Global Health Council. Un milione di dollari che
andranno a finanziare l'organizzazione, come riconoscimento per il lavoro
svolto dalla sua creazione, nel 1957. "La salute - sostiene Were - e' il
faro che portera' l'Africa fuori dalla poverta' e noi accettiamo questo
premio a nome delle comunita' in cui operiamo".
- Irene Panozzo: Dottoressa Were, l'Africa e' messa in ginocchio da pandemie
a cui i paesi del continente fanno fatica a far fronte. E' solo un problema
di sistema sanitario?
- Miriam Were: No, non solo. I modelli sanitari del continente si sono
sviluppati relativamente bene dalle indipendenze degli anni '60 in poi.
Sicuramente c'e' stata una battuta d'arresto negli anni '90, per effetto del
diffondersi di Aids, malaria e tubercolosi. Ma il problema vero, quello da
cui nascono tutti gli altri, e' la poverta'. E' la coperta che copre tutto
il resto. In presenza di scarsita' di cibo, di acqua non potabile e di
cattive condizioni igieniche il fisico si indebolisce. Le persone tendono
quindi ad ammalarsi in continuazione.
*
- Irene Panozzo: E qual e' allora il modello sanitario da seguire?
- Miriam Were: Bisognerebbe innanzitutto combattere seriamente la poverta'.
E poi trovare un modo di coniugare insieme le conoscenze mediche moderne e
quelle tradizionali, che fanno parte del bagaglio culturale della gente,
soprattutto nel campagne. E' quello che Amref cerca di fare da quasi
cinquant'anni. Non costruiamo ospedali nelle aree in cui operiamo, ma
cerchiamo di dare alla popolazione gli strumenti per riconoscere il problema
e mettersi poi in contatto con il sistema sanitario nazionale. E' da
ripensare anche il ruolo dell'Occidente in ambito sanitario. Spesso gli
interventi, anche se nati con ottimi intenzioni, sono resi vani
dall'ignoranza. Organizzazioni governative e non arrivano nei paesi africani
con un'idea prestabilita in mente e vogliono imporla dall'esterno alle
comunita' in cui lavorano. Questo uccide lo spirito e l'entusiasmo di chi
lavora sul terreno. Bisogna invece creare scambi proficui di conoscenze e
una reale partnership tra l'Occidente e le comunita' africane, in modo da
dare risposte calibrate a diversi casi e alle diverse realta' in cui si
opera. Il sapere e la responsabilita' comunitaria sono importantissimi per
ottenere dei successi.
*
- Irene Panozzo: In che senso?
- Miriam Were: Prenda il caso dell'Aids. Chi trae maggior beneficio dagli
interventi in questo ambito sono le madri e i bambini. In un sistema
comunitario e' possibile informare la madre, anche durante la gravidanza, e
farle fare il test. In caso di positivita' e' il sistema comunitario che la
aiuta a mettersi in contatto con il sistema nazionale. La stessa cosa vale
per la malaria. Nel distretto dove sono nata, in Kenya, la malaria e'
endemica e la popolazione si e' sempre curata con le erbe. Ora tutti usano
le zanzariere trattate con gli insetticidi, un intervento semplice che puo'
essere assimilato e adottato a livello locale.
*
- Irene Panozzo: I media riescono a ritagliarsi un ruolo importante
nell'educazione sanitaria?
- Miriam Were: Si', perche' portano le informazioni a un gran numero di
persone. Ormai in Kenya il 90% delle persone sa come il virus Hiv viene
trasmesso, anche grazie ai programmi delle radio comunitarie. Il problema e'
che molti non ci credono oppure, se ci credono, non passano all'azione.
Quello che e' importante, pero', e' lavorare con i gruppi religiosi, in modo
da far coincidere le informazioni e le conoscenze con i comportamenti. Fino
a poco tempo fa, i gruppi religiosi non volevano parlare di come l'Aids si
trasmette perche' lo consideravano peccaminoso. Ma ormai la malattia e'
entrata nelle case, muoiono i figli e l'interesse a trattare la questione in
modo serio cresce.
*
- Irene Panozzo: Sono le malattie la sfida maggiore che l'Africa deve
affrontare?
- Miriam Were: No, la sfida maggiore e' ridare speranza al continente, farlo
uscire dalla poverta' creando un sistema mondiale piu' equo. E' un problema
che riguarda tutti perche' la mia vita non ha senso se sono solo un'isola di
benessere in un oceano di poverta'.

4. TORTURA. PATRICIA LOMBROSO INTERVISTA MOAZZAN BEGG
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 giugno 2005.
Patricia Lombroso e' corrispondente da New York del quotidiano; ha
recentemente pubblicato in volume una raccolta di sue interviste a Noam
Chomsky dal 1975 al 2003: Noam Chomsky, Dal Vietnam all'Iraq. Colloqui con
Patricia Lombroso, Manifestolibri, Roma 2003.
Moazzan Begg, cittadino britannico, e' stato rilasciato dopo tre anni nei
centri di detenzione Usa di Kandahar, Bagram e Guantanamo]

Ogni giorno, a Guantanamo, un detenuto viene sessualmente violentato,
torturato ed interrogato anche per 20 ore consecutive. La tortura, sia
fisica, sia psicologica, e' sistematica e di routine. Gli scherni contro la
religione, il disprezzo e gli insulti contro i detenuti arabi e musulmani e'
una costante sia a Guantanamo, sia a Bagram, in Afghanistan, Non mi piace
affatto parlare del mio passato. Cerco soltanto di dimenticare. Ma penso a
coloro che sono ancora in quei lager. Queste le prime parole di Moazzan
Begg - da noi raggiunto telefonicamente a Birminghan - rilasciato da
Guantanamo dopo oltre tre anni di "barbarie animalesca" nei centri di
detenzione di Kandahar, Bargram, Guantanamo. Tre anni fa proprietario di una
libreria a Birmingham, oggi un rottame umano.
- Patricia Lombroso: Puo' raccontarci l'inizio della sua discesa verso gli
inferi della detenzione nelle carceri americane?
- Moazzan Begg: Il 21 gennaio del 2002, a Islamabad, in piena notte,
militari della polizia segreta pakistana ed agenti americani hanno fatto
irruzione nella casa dove abitavo. Mi hanno puntato una pistola al capo,
sono stato incappucciato, ammanettato, incatenato mani e piedi, caricato su
un veicolo e portato via... Sul camion che mi portava via, gli americani mi
hanno strappato di dosso gli indumenti.
*
- Patricia Lombroso: Gli agenti americani le hanno spiegato le ragioni del
sequestro?
- Moazzan Begg: Uno degli agenti segreti in borghese mi ha mostrato un paio
di manette dicendo che ero un terrorista e che la vedova di una vittima
dell'attacco dell'11 settembre aveva dato loro l'incarico di dare la caccia
a coloro che avevano effettuato l'attacco terroristico. Quando chiesi di
vedere un rappresentante del consolato britannico, mi risposero "Lei e'
stato sequestrato ed imprigionato illegalmente. Nessuno sa dove lei sia.
Quindi non puo' chiedere alcunche' ne' effettuare alcun ricorso per ottenere
giustizia".
*
- Patricia Lombroso: Dove venne portato dagli agenti americani?
- Moazzan Begg: Incatenato mani e piedi, con un pesante cappuccio che mi
impediva di vedere e respirare venni tradotto a Kandahar dove rimasi per
circa due mesi.
*
- Patricia Lombroso: E poi?
- Moazzan Begg: Nell'inferno di Bagram, dall'aprile del 2002 sino al
febbraio del 2003 e infine in quello di Guantanamo sino al gennaio del
2005..
*
- Patricia Lombroso: Ci descrive le condizioni del lager di Kandahar?
- Moazzan Begg: Qui, gli americani ci strappavano tutti gli indumenti da
dosso utilizzando un coltello. Durante gli interrogatori che duravano anche
20 ore consecutive, di giorno e di notte. Le forme di tortura erano
molteplici e sistematiche. Ci picchiavano ed eravamo presi a pugni in ogni
parte del corpo fra grida ed insulti. Una volta denudati ci davano calci, ci
facevano stare in posizione fetale con le mani legate alle gambe. Per giorni
senza cibo e trattati come animali. Oltre alla privazione del sonno, anche
per 36-72 ore, durante gli interrogatori i comandanti del carcere, uomini e
donne, ricorrevano ad ogni tipo di violenza sessuale. Siamo stati
sodomizzati con dei pezzi di legno. Ci soffocavano stringendo il cappuccio
che avevamo in testa. Gli americani si divertivano a fotografarci. Ci
riprendevano, nudi, incappucciati. Uno ammassato all'altro. A volte, durante
gli interrogatori ci legavano mani e piedi con una corda e ci appendevano
per le mani legate ad una barra al soffitto. Rimanevamo appesi in aria per
giorni sino al collasso.
*
- Patricia Lombroso: Durante gli interrogatori venivate insultati perche'
islamici, il corano profanato?
- Moazzan Begg: L'insulto e la dissacrazione religiosa erano routine sia a
Kandahar, Bagram (Afghanistan), sia a Guantanamo. Quando arrivava un nuovo
detenuto, durante la fase del "processing", venivamo denudati, rasati. Una
volta tagliata la barba, ad alta voce, urlavano: "Questo e' l'insulto
peggiore che possiamo fare a questi animali". Nelle toilette dappertutto
c'erano scritte sui muri: "Fuck Islam". A Guantanamo, un soldato ha fatto a
pezzi le pagine del Corano e poi le ha gettate in un secchio che serviva da
toilette.
*
- Patricia Lombroso: Lei ha mai chiesto, conoscendo bene l'inglese, perche'
venivate torturati?
- Moazzan Begg: Rispondevano che eravamo terroristi. Non avevamo alcun
diritto. Nella prima fase del "processing" si viene isolati in gabbie con il
divieto di comunicare l'uno con l'altro, in un'area, chiamata "the bond". Un
hangar di metallo che era suddiviso in due parti. In ciascuna c'erano sei
celle circondate da triplice filo spinato. In questa gabbia sono stato due
mesi in totale isolamento. E' una tecnica di tortura psicologica: avevo la
sensazione di essere totalmente perduto.
*
- Patricia Lombroso: Quando viene trasferito a Bagram?
- Moazzan Begg: Il 14 aprile 2002. Sono stato la' fino al 17 febbraio 2003.
Le regole erano rigidissime. Non avevamo il permesso di avvicinarci agli
altri ne' di parlare. Durante la notte veniva urlato il numero del detenuto
che veniva trascinato dalla gabbia alla stanza di interrogatorio. La tortura
era sistematica.
*
- Patricia Lombroso: In una lettera a suo padre lei sosteneva di essere
stato testimone della morte di due detenuti causata dalle torture a
Bagram...
- Moazzan Begg: Si', sono stato testimone della loro uccisione. Il primo era
nella mia cella, l'altro l'ho visto trascinato dai soldati americani verso
l'infermeria. Il primo fra giugno e luglio del 2002, il secondo nel dicembre
di quello stesso anno.
*
- Patricia Lombroso: Cosa vide dalla cella?
- Moazzan Begg: Il detenuto veniva picchiato, soprattutto alle gambe. Era di
fronte alla mia cella. Nella zona chiamata "Air lock". Era li' con mani e
piedi legati ed appeso sopra la porta della sua cella. E' rimasto cosi' per
tre giorni consecutivi. Urlava e gridava di aiutarlo. I soldati invece di
slegarlo continuarono a picchiarlo all'altezza delle costole. Quando poi
l'hanno trascinato ormai morto alla "isolation unit", era ormai morto. La
conferma di cio' l'ho ottenuta un anno e mezzo dopo a Guantanamo.
*
- Patricia Lombroso: Come?
- Moazzan Begg: Ricordavo il numero del detenuto 419. Aveva una lunga barba,
era afghano, parlava pashtun. Due giorni dopo il mio arrivo a Guantanamo
(febbraio 2003), gli stessi agenti di Bagram si presentarono di notte a
Guantanamo. Chiesero al secondino di uscire e mi mostrarono le foto dei due
detenuti morti per tortura e le foto dei soldati responsabili. Ma credo
siano ancora al loro posto di lavoro impuniti.
*
- Patricia Lombroso: Ci racconti le condizioni di detenzione a Guantanamo.
- Moazzan Begg: Ogni singolo giorno venivo torturato, fisicamente
violentato. Durante gli interrogatori venivano usati gli stessi metodi
impiegati a Bagram. Interrogato da agenti dell'Fbi, della Cia, del servizio
segreto del Pentagono. Mi legavano mani e piedi e sistematicamente venivo
picchiato e preso a calci in ogni parte del corpo. Poi mi minacciarono di
spedirmi in Egitto per essere torturato con gli elettrodi ai genitali.
*
- Patricia Lombroso: Ci descrive le sue condizioni in cella di isolamento?
- Moazzan Begg: La cella di isolamento e' una piccolissima cella all'interno
della quale e' costruita una gabbia ancora piu' piccola delle dimensioni di
un metro e cinquantadue centimetri per un metro e ottanta. Un secondino e'
davanti alla cella per 24 ore su 24. L'illuminazione artificiale: con una
lampadina. Non sapevo mai se fosse notte o giorno. Non potevo comunicare con
nessuno. La' sono rimasto rinchiuso piu' di due anni. Mi venivano concessi
inizialmente 15 minuti d'aria. Uno spazio chiuso, senza luce, circondato da
una gabbia. E' una condizione peggiore di un animale. In seguito il tempo di
ricreazione venne esteso a 30 minuti due volte a settimana con la
possibilita' di una doccia. Passavo molto del tempo a pregare, memorizzavo
il Corano. Scrivevo poesie. Poi ho avuto dei seri problemi psicologici.
*
- Patricia Lombroso: A Guantanamo c'era il generale Jeffrey Miller?
- Moazzan Begg: Gli stessi agenti Cia di Bagram volevano farmi firmare una
falsa confessione e il generale Jeffrey Miller era presente. Mi presentarono
un testo da firmare in base al quale nel 1993 e nel 1998 avevo fornito soldi
serviti per l'addestramento degli autori dell'attacco dell'11 settembre. Se
mi fossi rifiutato di firmare non sarei mai piu' uscito da quella cella di
isolamento. E nessuno avrebbe mai saputo della mia morte. Erano agenti Cia,
dell'Fbi e della Criminal Investigation Task Force istituita a Guantanamo.
Firmai un falso. Tutti sapevano che i detenuti venivano obbligati a
sottoscrivere dichiarazione false.

5. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: STORIA DEL CONCETTO DI DISARMO (PARTE TERZA
E CONCLUSIVA)
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti. e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione la relazione tenuta il 10 febbraio 2005 al seminario
"Historia magistra" diretto dal professor Angelo D'Orsi presso il
Dipartimento di studi politici dell'Universita' di Torino. Enrico Peyretti
e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri
piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le
sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989;
Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace,
Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999;
Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e'
disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica
Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e
nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al
libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro
di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recente
edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi
interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu'
ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731
del 15 novembre 2003 di questo notiziario]

Appendice A. Denuncia del Nuovo Modello di Difesa (Convegno "Nuovo modello
di difesa italiano", Torino, primo giugno 2000)
La difesa di un paese civile ed umano deve rispondere ad alcuni requisiti
inderogabili. Che cosa difendere? E come?
Che cosa difendere? Non ci sono piu' patrie separate, la sorte umana e'
ormai unica, la difesa dalle aggressioni deve essere globale, comune. E poi,
non ogni difesa e' lecita: lo e' solo la difesa dei diritti umani, comuni a
tutti, non quella del dominio di una parte, degli interessi stabiliti sul
privilegio e l'esclusione. La difesa di una situazione di ingiustizia non e'
difesa, ma offesa continuata.
Come difendere un popolo, la sua terra, le sue istituzioni? Non e' sempre
lecita la difesa militare, che uccide esseri umani ed espone il cittadino ad
ammazzare e ad essere ammazzato. Solo altre vite, non un interesse, non un
potere, valgono una vita umana. Il monopolio della difesa dato alle forze
armate indebolisce la societa', resa dipendente dall'esercito, istituzione
separata che si fonda sul segreto e sulla gerarchia autoritaria, che puo'
mancare lo scopo a carissimo prezzo (in ogni guerra c'e' un esercito
sconfitto), che ha un potere mortale usabile a fini eversivi (la storia di
troppi paesi lo dimostra in sovrabbondanza). Un esercito non puo' assicurare
la pace, perche' la vittoria militare (sempre aleatoria) non da' mai la
pace, ma e' solo l'anello di una faida, ed e' gravida di altra guerra, senza
dire dei rischi odierni delle armi totali.
Per questi motivi, non solo il pensiero pacifico, ma la Costituzione (art.
52) affidano la "difesa della Patria" anzitutto ad ogni cittadino, come
capacita' propria del popolo. La Corte Costituzionale (sentenza n. 164/1985)
afferma che il dovere di difesa puo' adempiersi in modo armato o non armato,
perche' esso "trascende e supera" la difesa militare. E' un riconoscimento
delle possibilita' della  Difesa Popolare Nonviolenta, che non e' solo un
bell'ideale, ma una reale capacita' dei popoli, quando ne sono consapevoli,
attuata in molti casi storici con efficacia, nonostante l'impreparazione,
persino di fronte al nazismo, anche se finora troppo poco indagata dagli
storici, condizionati dall'atavica visione militarista dei conflitti. Posso
fornire ampia bibliografia storica a chi me la richiede. Sono oggi Difesa
Popolare Nonviolenta, per esempio, sia il servizio civile degli obiettori
che rifiutano l'addestramento alle armi, sia ogni forma di volontariato
nella tutela sociale dei deboli o nella solidarieta' tra i popoli.
Ora pero', senza che ne' il parlamento ne abbia mai discusso e deliberato,
ne' il popolo sovrano  ne abbia preso adeguata coscienza, si sta attuando in
Italia una riforma dell'esercito che tradisce il concetto costituzionalmente
legittimo della difesa. I governi che si sono succeduti dal 1991, compreso
quello dell'Ulivo e quelli di centro-sinistra, tentano di elevare
progressivamente a legge il cosiddetto "Nuovo modello di difesa". Si tratta
di un progetto del Ministero della difesa, distribuito ai parlamentari
nell'ottobre 1991, contenuto in un libro bianco di 251 pagine, dal titolo
Modello di difesa. Lineamenti di sviluppo delle FF. AA. negli anni '90.
L'impostazione concettuale non e' sostanzialmente modificata ma ribadita
dall'Aggiornamento pubblicato nel 1993 dallo Stato Maggiore della Difesa.
Tutta la "filosofia" di quel progetto e' apertamente dichiarata nelle prime
70 pagine. Vi si dice che, caduto il muro Est-Ovest, il nuovo confronto e'
nell'area mediterranea "tra una realta' culturale ancorata alla matrice
islamica ed i modelli di sviluppo del mondo occidentale" (p. 15-16). La' e'
il nuovo nemico, il nuovo conflitto economico-religioso!
Il pericolo attuale, secondo il Nuovo Modello di Difesa, sta nelle tendenze
"al sovvertimento delle attuali situazioni di predominio regionale, anche
per il controllo delle riserve energetiche esistenti nell'area" (p. 21).
Quindi si vuol difendere un predominio! Tutto un paragrafo (pp. 27-33)
equipara i concetti di "interessi nazionali" e di "sicurezza", che sono ben
differenti: il primo indica un'attivita' speculativa ed espansiva, il
secondo una realta' vitale minima. Solo questo e' un diritto, solo esso
potrebbe, nella concezione tradizionale e costituzionale, compatibile con
l'eguale diritto degli altri popoli, giustificare una difesa militare.
Invece, il Nuovo Modello di Difesa afferma senza pudore che finalita' della
difesa e', dopo la salvaguardia dell'indipendenza e dei confini, la "tutela
degli interessi nazionali, nell'accezione piu' vasta di tale termine,
ovunque sia necessario" (p. 30). Non per nulla la Guerra del Golfo
(confessata cosi' come guerra di interessi e non di principi) e' presa come
l'"esempio emblematico" del nuovo concetto di difesa (p. 44).
Potrei portare molte altre citazioni a ribadire l'idea che regge tutto il
progetto: non la difesa di diritti umani, ma di uno stato di fatto, che
abbiamo "interesse" a mantenere. Si parla di sicurezza internazionale, in
realta' si difende con la ferocia delle armi la violenza strutturale del
Nord sul Sud. L'esercito italiano diventa un corpo di spedizione
neo-coloniale.
Perche' dobbiamo rifiutare quel punto cardine del Nuovo Modello di Difesa
che e' l'esercito professionale (pur con problemi che restano da discutere)?
Non solo per i maggiori costi innegabili, ma soprattutto perche', in questa
ipotesi, la guerra non e' piu' un'eventuale tragica necessita' (che puo'
presentarsi se non si predispongono mezzi nonviolenti di soluzione dei
conflitti), ma una funzione normale; non e' piu' ripudiata, come fa la
nostra grande Costituzione, ma legittimata. Quello delle armi diventa un
lavoro, una professione riconosciuta, come quella del boia: l'arte e la
tecnica dell'uccidere per incarico, da mercenari. E' ancora in grado il
nostro popolo di vedere e rifiutare questa vergogna?
Chi ha concepito quel progetto ha una mentalita' estranea e opposta ai
valori umani che stanno a fondamento della nostra Costituzione, alto frutto
delle sofferenze e della riconquistata dignita' dopo il fascismo e la
guerra, nel ripudio della politica violenta.
(Questa scheda e' la riduzione di un paragrafo del libro La politica e'
pace, Cittadella, Assisi 1998, pp. 153-158).
Post scriptum.
Analisi ben piu' ampie e dettagliate del Nuovo Modello di Difesa, sono state
compiute anche da me negli anni successivi al 1991, e pubblicate su vari
fogli impegnati. Indico soltanto: Quale nemico? Quale difesa?, in "il
foglio" n. 215, dicembre 1994, e un testo precedente, piu' ampio, in "Tempi
di fraternita'", n. 5, 1993. Per il carattere internazionale di queste
politiche di difesa, si veda Germania. Intervento verso l'ignoto, in "Guerre
e pace", n. 18, aprile 1995 (tradotto da "Der Spiegel", 13 febbraio 1995).
Per una critica da parte militare, M. Dattolo, Lo stato democratico alla
prova del nuovo modello di difesa, in "Testimonianze", n. 375, maggio 1995,
pp. 81-87.
Tra i libri, sono da segnalare: U. Allegretti, M. Dinucci, D. Gallo, La
strategia dell'impero. Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di
Difesa. Presentazione di R. La Valle, Edizioni Cultura della Pace, Fiesole
(Fi) 1992; AA. VV., Nuovo ordine militare internazionale. Strategie, costi,
alternative. Edizioni Gruppo Abele, Torino 1993.
*
Appendice B. Bozza sintetica di proposte politiche avanzate dalla cultura
della nonviolenza (26 dicembre 2004)
Abbozziamo qui, senza alcuna pretesa di esaustivita', alcune proposte
politiche che si richiamano al "programma costruttivo" che Gandhi voleva che
accompagnasse sempre il rifiuto della violenza.
Politica estera - Secondo l'analisi di Luigi Bonanate (La politica
internazionale tra terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari 2004) nell'ultimo
decennio la politica estera e' sempre piu' diventata "politica interna del
mondo" ed e' difficile distinguere tra interno ed esterno. Comunque, in
politica estera nel senso tradizionale, possiamo ravvisare due principali
priorita'.
1) La riforma delle Nazioni Unite in senso popolare, assembleare,
democratico, come proposto da vario tempo in sedi e da autori autorevoli,
perche' possano adempiere il loro compito di istituzione giuridico-politica
planetaria per la soluzione pacifica dei conflitti e l'effettiva messa al
bando della guerra.
2) La progettazione della transizione graduale dall'attuale modello di
difesa, strutturalmente aggressivo e offensivo per il tipo di armamenti,
funzionale alla guerra, produttore di guerra e di insicurezza, alla Difesa
Popolare Nonviolenta (in sigla: Dpn). La fase intermedia di questa
transizione (transarmo) vedra' convivere forme di difesa ancora militare ma
strettamente difensiva per il tipo di armamenti non minacciosi, con la
nascente Dpn e con la costituzione dei Corpi Civili di Pace (in sigla: Ccp;
proposta da Alex Langer nel Parlamento Europeo), di cui gia' oggi esistono
molteplici esempi spontanei, dal basso, coordinati dalla Rete dei Corpi
Civili di Pace (www.reteccp.org ).
Politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese militari,
riconversione dell'industria bellica e degli eserciti. E' la tanto auspicata
politica minima del 5%: ogni anno, per un'intera legislatura, e poi per
quelle a venire, spostare il 5% del bilancio militare sulla alternativa
"difesa non armata e nonviolenta" (Legge 230/1998, art. 8-e). Se non si
programma in termini finanziari e organizzativi la pace come metodo nella
gestione dei conflitti, si resta nell'aria fritta della retorica della pace.
Oggi stiamo andando esattamente nel vecchio senso disastroso, tanto in
Italia quanto nell'Unione Europea, la quale dovrebbe scegliere la strada del
transarmo e della neutralita' attiva, disarmata, solidale  e nonviolenta.
Politica interna - Individuiamo almeno tre principali priorita'.
1) Progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta
intensita' energetica e di potenza, con un impatto ambientale insostenibile,
a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche
rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita
e consumi ispirato alla semplicita' volontaria e alla maggior gioia di
vivere che ne deriverebbe. Anche in questo caso, uscire dalla retorica
significa programmare la riduzione annuale del 5% dei consumi di
combustibili fossili e l'incremento, nella stessa percentuale, delle fonti
alternative. Il recente lavoro di Hermann Scheer (Il solare e l'economia
globale, Edizioni Ambiente, Milano 2004) e' l'esempio piu' concreto di tale
possibilita'.
2) La promozione e diffusione della cultura della nonviolenza attiva in ogni
campo: da quello mediatico a quello educativo, da quello accademico (con la
rottura dei paradigmi dominanti) a quello dell'immaginario collettivo
(artistico, musicale, progettuale, urbanistico). Questa e' un'azione
capillare dei movimenti nonviolenti, che continua in un leggero crescendo,
ma occorre farne una priorita' nei confronti di quella stragrande quantita'
di cittadine e cittadini che attendono un messaggio chiaro per uscire
dall'apatia e dalla rassegnata disperazione passiva davanti alla imponente
violenza bellica, economica, culturale.
3) La qualita' delle relazioni tra persone, generi, generazioni. Il vecchio
slogan femminista "il personale e' politico" e' quanto mai attuale: senza
"l'altra meta' del cielo" non avviene nessuna evoluzione nonviolenta. Di
fronte al "potere senza volto" del maschilismo, delle tradizioni violente
ereditate dal passato, della mafia e del capitalismo, lottare e' piu'
difficile che davanti al potere che ha un volto ed e' concentrato in gruppi
piu' facilmente identificabili. Eppure, e' proprio la violenza culturale, la
piu' profonda e grave, che va affrontata e scalzata per liberare
progressivamente la vita sociale dai suoi effetti: le violenze strutturali,
causa di sofferenze profonde, e quelle direttamente omicide.
*
Scheda - Dati sulle armi (Da "La nonviolenza e' in cammino", n. 837 , 11
febbraio 2005 [Dalla segreteria della Rete Lilliput (per contatti:
mservettini at lillinet.org) riceviamo e diffondiamo])
Alcuni dati
Ogni giorno, milioni di donne, di uomini e di bambini vivono nel terrore
della violenza armata; ogni minuto, uno di loro resta ucciso. Ogni anno in
Africa, Asia, Medio Oriente e America latina si spendono in media 22
miliardi di dollari per l'acquisto di armi, somma che avrebbe permesso a
questi paesi di ridurre la mortalita' infantile e materna (cifra stimata: 12
miliardi di dollari l'anno) ed eliminare l'analfabetismo (cifra stimata: 10
miliardi di dollari l'anno). Il totale delle spese  militari mondiali in un
anno e' di 956 miliardi di dollari, mentre la spesa complessiva (in 11 anni)
per raggiungere gli obiettivi del millennio per lo sviluppo sarebbe di 760
miliardi: si raggiungerebbero spendendo solo il 10% in meno in spese
militari all'anno
L'Asia
In tutta la regione oltre il 50% delle armi viene venduto dai cinque membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza Onu, mentre solo 8 miliardi di dollari
sono inviati in queste zone come aiuti ufficiali allo sviluppo. L'Asia e' al
secondo posto, dopo il Medio Oriente, come maggiore acquirente di armi
convenzionali, secondo fonti del Dipartimento di Stato americano nel biennio
1990-2000 la regione ha comprato armi per un valore di 130 miliardi di
dollari. Inoltre:
- Corrisponde al 100% il livello di militarizzazione dal 1994 al 2001;
- Il 52% della popolazione non ha accesso alla sanita';
- Il 23% dei ragazzi e il 39% delle ragazze e' analfabeta;
- e' del 50% la percentuale di bambini con meno di 5 anni sottopeso;
- sono 284 i milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno.
L'Africa
Sono 7 milioni le armi leggere circolanti in Africa occidentale e oltre 30
milioni le armi leggere circolanti in tutta l'Africa, almeno una ogni 20
abitanti. L'80% di queste armi e' in mano a civili; e' del 47% l'aumento
delle spese militari dell'Africa Sub-Sahariana dal 1995 al 2001.
Gli aiuti allo sviluppo
Il totale degli aiuti allo sviluppo erogati nel 2002 dai paesi del comitato
assistenza sviluppo Ocse e' di 58 miliardi di dollari, contro i 192 miliardi
di dollari di vendite totali di armi delle cento maggiori compagnie
mondiali.
La spesa pro capite per aiuti allo sviluppo in Europa (nel 2002) e' di 61
dollari per ogni cittadino contro 358 dollari a testa in spese militari.
La spesa complessiva per il Progetto di Sviluppo del Millennio e' di 760
miliardi di dollari contro 1.200 miliardi di dollari del progettato Sistema
Difensivo di Missili Balistici Usa.
una giornata nelle botteghe del mondo per dire insieme no alle armi, si' ad
uno sviluppo umano e sostenibile basato sulla giustizia.
Per contatti:
- Francesco Vignarca, Segreteria Rete Disarmo, tel. 3283399267, e-mail:
segreteria at disarmo.org
- Paolo Chiavaroli, presidente Agices, tel. 3356914928, e-mail:
presidenza at agices.org
- Marco Bindi, Assobotteghe, tel. 3204398967, e-mail: wymarco42 at supereva.it
Il materiale di approfondimento e' disponibile nel sito www.disarmo.org
L'elenco botteghe aderenti in Italia e' disponibile nello stesso sito.
(Parte terza - fine)

6. RIFLESSIONE. COMUNITA' CRISTIANA DI BASE DI CHIERI: REFERENDUM: DIECI
DOMANDE E DIECI RISPOSTE PER CAPIRE MEGLIO
[Dalla Comunita' cristiana di base di Chieri (per contatti:
cdbchieri at cdbchieri.it, sito: www.cdbchieri.it) riceviamo e diffondiamo il
seguente testo inserito in un ampio dossier documentario]

1. Che cos'e' la fecondazione medicalmente assistita e quando vi si ricorre?
E' l'aiuto che la scienza offre a coppie che non possono avere figli. Puo'
inoltre aiutare coppie fertili ma portatrici di malattie ereditarie o
infettive a far nascere bambini sani.
*
2. Quale legge viene sottoposta a referendum e percha'?
Il referendum riguarda solo alcuni punti della legge n. 40 voluta dal
governo di centrodestra nel 2004. In particolare si chiede la modifica della
legge su quattro temi specifici: la salute della donna, l'equiparazione dei
diritti del concepito e quelli della donna, la liberta' di ricerca
scientifica e la cosiddetta fecondazione eterologa (cioe' la fecondazione
realizzata grazie a un donatore o donatrice esterno alla coppia). Si e'
giunti ai referendum perche' il centrodestra si e' opposto in Parlamento a
qualsiasi modifica della legge, respingendo gli oltre 350 emendamenti
migliorativi che erano stati presentati anche a nome di importanti esponenti
della comunita' scientifica.
*
3. Se vincono i si' esiste il pericolo di un vuoto legislativo con il
ritorno al cosiddetto "far west", vale a dire una situazione senza regole e
senza controlli?
No, questo pericolo non c'e'. Per due ragioni fondamentali. In primo luogo
perche' i referendum non chiedono l'abrogazione di tutta la legge ma solo,
come abbiamo visto, di alcuni articoli che sono dannosi per milioni di donne
e uomini. In secondo luogo perche' gia' prima dell'entrata in vigore della
legge 40 esisteva in Italia il codice deontologico dei medici che regolava
in modo preciso le pratiche della fecondazione assistita. I referendum non
vogliono il "far west". Vogliono una nuova buona legge.
*
4. Cosa implica il referendum n. 1, sulla salute della donna?
Ogni coppia che ricorre alla fecondazione assistita lo fa dopo una lunga
riflessione e, facendolo, compie un atto d'amore. La donna che vuole mettere
al mondo un figlio e' chiamata ad affrontare un percorso impegnativo, sul
piano fisico e psicologico. Il primo referendum ha l'obiettivo di aiutarla a
vivere serenamente e nella sicurezza ogni passaggio del suo desiderio di
maternita'. Come? In cinque modi: 1) Consentendo l'accesso alla fecondazione
assistita anche alle coppie fertili che rischiano di trasmettere al figlio
malattie genetiche ereditarie o infettive. 2) Non imponendo per legge il
trasferimento dell'ovulo fecondato nel corpo della donna in assenza di un
suo rinnovato consenso. 3) Permettendo alle coppie portatrici di malattie
genetiche l'esame dell'embrione (la cosiddetta analisi preimpianto) prima
del suo trasferimento nell'utero della donna. Questo per evitare
l'assurdita' e la violenza (anche psicologica) dell'impianto di un embrione
malato e il conseguente ricorso a un aborto terapeutico. 4) Consentendo il
congelamento degli embrioni prodotti con le tecniche della fecondazione
assistita. L'attuale divieto obbliga la donna a sottoporsi, in caso di
insuccesso, a piu' cicli di trattamento con possibili danni per la sua
salute. La conservazione degli embrioni eviterebbe questa situazione e
garantirebbe alla donna il migliore trattamento possibile senza obbligarla a
ricominciare sempre daccapo. 5) Revocando l'obbligo di fecondare un numero
massimo di tre ovuli, tutti da trasferire contemporaneamente. Quest'ultimo
punto e' di enorme rilievo: ogni donna ha una storia, un'eta' e condizioni
psico-fisiche diverse. Non si puo' impedire al suo medico e a lei stessa di
valutare come e' meglio procedere nell'utilizzo delle tecniche di
fecondazione. Imporre per legge il numero di embrioni da trasferire e' una
scelta assurda e rischiosa perche' una ragazza di vent'anni o una donna di
quaranta avranno, per ovvie ragioni, esigenze terapeutiche diverse. Puo' la
legge sostituirsi al medico? Noi pensiamo che non possa avvenire e di questo
si occupa il primo referendum.
*
5. E il n. 2, sull'equiparazione dei diritti del "concepito" e quelli della
donna?
Questo e' un punto decisivo. La norma attuale assicura "al concepito", a
partire dall'ovulo fecondato, ancor prima che si formi l'embrione, gli
stessi diritti e la stessa tutela giuridica della madre o di un'altra
qualsiasi persona nata. E' la prima volta che questo avviene nelle nostre
leggi. Cio' perche' si e' voluto imporre un solo punto di vista, una sola
etica di parte. Si e' violato cosi' il principio di una laicita' dello
Stato, ricca di pluralismo etico e culturale. Le conseguenze di questa
decisione sono soprattutto concrete e investono la vita di milioni di
persone. Facciamo un esempio: se la legge stabilisce che "il concepito" ha
gli stessi diritti di una persona nata, il medico non potra' fare nulla nel
caso di un embrione con una grave patologia trasmessa geneticamente. Infine
affermare, che "il concepito" ha eguali diritti della madre puo' divenire la
premessa per mettere in discussione radicalmente la legge 194
sull'interruzione volontaria della gravidanza, legge che ha prodotto l'esito
positivo della riduzione degli aborti in Italia.
*
6. E il n. 3 sulla liberta' di ricerca scientifica?
Ogni anno che passa la nostra speranza di vita si allunga anche perche'
medici e scienziati, instancabilmente, cercano e trovano nuove terapie per
malattie gravissime che un tempo non si potevano curare. Una legge non puo'
impedire che questa ricerca proceda anche al fine di guarire chi vive con la
sola speranza di una terapia nuova per il suo male. Votando si' sara' di
nuovo possibile per i ricercatori usare cellule staminali prelevate da
embrioni congelati non utilizzati (vale a dire cellule che, debitamente
orientate, sono capaci di moltiplicarsi consentendo la cura di una serie di
organi vitali). La ricerca su queste cellule e' considerata decisiva per la
cura di malattie gravissime come il Parkinson, il diabete, la sclerosi, il
morbo di Alzheimer, i tumori. Soltanto in Italia e' un problema che investe
circa dodici milioni di persone alle quali non e' giusto sottrarre una
speranza fondata di cura, guarigione e futuro. Abbiamo rispetto per tutte le
opinioni su un argomento tanto complesso e che attiene alla sfera stessa
della dignita' umana, ma poniamo una domanda. Puo' una legge decidere che un
embrione ha piu' diritti di un bambino di dieci anni costretto sulla sedia a
rotelle e che la scienza potrebbe aiutare a guarire? Votare si' al
referendum e' il modo per dire che una legge - qualsiasi legge - questa
decisione non la puo' assumere. E non per motivi giuridici o formali. Piu'
semplicemente per il rispetto verso le persone, tutte, e per amore della
vita.
*
7. E l'ultimo, il n. 4, sulla fecondazione eterologa?
Bisogna fare una premessa: alla fecondazione eterologa si ricorre solamente
in casi gravi di sterilita'. Detto cio', poniamoci una domanda: si e' madre
e padre solo quando a nostro figlio abbiamo trasmesso il nostro corredo
cromosomico? In altre parole, si e' madre e padre solo se il figlio e' nato
dalla coppia dei genitori? Come sanno tutti, le cose sono piu' complesse. I
bambini adottati hanno un padre e una madre, a pieno titolo. Ed essi non
sono meno genitori di altri solo perche' il loro bambino e' stato adottato.
Bisogna tenere a mente questo concetto elementare per comprendere il senso
del quarto referendum, che, per l'appunto, vuole consentire la fecondazione
assistita anche utilizzando gameti (spermatozoi nel caso degli uomini e
ovociti nelle donne) di donatori esterni alla coppia. Se in una coppia la
donna accetta di usare il seme di un donatore, vietare questo tipo di
fecondazione ha solo due sbocchi: impedire per sempre a quella donna di
partorire o costringerla, sempre che disponga dei mezzi economici necessari,
a recarsi in uno qualsiasi dei paesi dove la fecondazione eterologa e'
consentita. Perche' vietare quello che in tutti i principali paesi europei
e' consentito e che era consentito anche in Italia, nei centri privati
specializzati, fino all'approvazione di questa legge?
*
8. Se vincono i si' puo' aprirsi la strada a una moderna eugenetica, vale a
dire la possibilita' di programmare in laboratorio i figli scegliendo sesso,
colore degli occhi, etc.?
No, nella maniera piu' assoluta. Prima di tutto perche' gli stessi
scienziati respingono con forza questa prospettiva in linea di principio e
in linea di fatto. Il codice deontologico dei medici prevede in modo
esplicito che ogni intervento sul genoma umano sia teso unicamente alla
prevenzione e correzione di condizioni patologiche. In altre parole i soli
interventi possibili sono a scopo di cura. Quindi sono ammessi test genetici
(la cosiddetta diagnosi preimpianto) solo al fine di rilevare eventuali
malformazioni o malattie ereditarie e prevenire cosi' la scelta sofferente
dell'aborto. In termini piu' generali siamo favorevoli a limiti certi e
invalicabili (clonazione umana, mamme-nonne, utero "in affitto"). Limiti che
anche nel caso di vittoria dei si' ai referendum rimarrebbero assicurati
dalla normativa vigente.
*
9. La sfida sui referendum e' anche una sfida tra laici e cattolici?
Neppure questa affermazione e' vera. I referendum investono alcune norme di
una legge dello Stato e i cattolici, e credenti al pari dei laici, hanno su
questo opinioni diverse. Alcuni sono favorevoli alla legge cosi com'e',
altri la vorrebbero cambiare. La realta' e' che nel mondo cattolico esiste
lo stesso pluralismo - cioe' la stessa articolazione di opinioni - presente
nel mondo laico. Questa e' una ricchezza per tutti, per i cattolici e per i
laici, perche' consente alle persone di scegliere sulla base delle proprie
convinzioni e della propria coscienza.
*
10. Quali sono le ragioni fondamentali per andare a votare e votare si'?
La ragione di fondo per andare a votare e votare si' e' nel desiderio di
compiere un atto concreto di solidarieta' verso chi oggi non puo' mettere al
mondo un figlio. Verso chi soffre a causa di una malattia che domani la
scienza potrebbe curare. Questa volta non si vota per un partito e neppure
per un candidato. Si vota per una speranza in piu'. Si vota per una vita
migliore. Si vota per aiutare chi e' malato a guarire. Si vota per dei
valori importanti che toccano l'esistenza quotidiana di ciascuno di noi:
vita, speranza, guarigione.

7. RIVISTE. CON "QUALEVITA", ALL'ASCOLTO DI HEDI VACCARO
Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. All'ascolto
di Hedi Vaccaro.
*
"Dovunque ci sia un essere umano che fa qualche cosa per la giustizia e per
aiutare il prossimo, c'e' un elemento di nonviolenza" (Hedi Vaccaro, in Hedi
Vaccaro, Giulio Giampietro, Giorgio scopre la nonviolenza, Edizioni Paoline,
Roma 1985, p. 86).
*
"Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta
che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni
satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della
nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica
libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con
l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori
di cui disponiamo.
Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a
"Qualevita", e' un'azione buona e feconda.
Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030
Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora
086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro
13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo
2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a
'Qualevita'".

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 954 dell'8 giugno 2005

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