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La nonviolenza e' in cammino. 946
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 946
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 31 May 2005 00:39:52 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 946 del 31 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Clementina, del volto 2. Pax Christi: Per la liberazione di Clementina Cantoni 3. La madre 4. Giannino Piana: Alcune riflessioni sul referendum 5. Tamar Pitch: L'embrione e il corpo femminile 6. Vandana Shiva: Un'epidemia di biopirateria 7. Con "Qualevita", la lezione di Paulo Freire 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. CLEMENTINA, DEL VOLTO [Clementina Cantoni, volontaria dell'associazione umanitaria "Care international", impegnata in Afghanistan nella solidarieta' con le donne, e' stata rapita alcuni giorni fa] Un volto di donna infagottata, tra due fucili che quel volto minacciano, tenuti da due armigeri senza volto, in una stanza nuda, dinanzi a una telecamera. E quel volto e' l'ora presente dell'umanita', e' il volto che vide e ci disse Emmanuel Levinas. E' il volto che ci convoca alla responsabilita'. 2. APPELLI. PAX CHRISTI: PER LA LIBERAZIONE DI CLEMENTINA CANTONI [Dagli amici di Pax Christi (per contatti: segreteria at paxchristi.it) riceviamo e diffondiamo] Clementina Cantoni e' una coltivatrice di speranza. Uno dei tantissimi esempi anonimi di dedizione silenziosa alla causa delle vittime e degli sconfitti. Per questo motivo la sezione italiana di Pax Christi - movimento cattolico internazionale per la pace, non tralascia in queste ore alcuna azione per contribuire alla liberazione della volontaria italiana anche ricorrendo alla preghiera che si dilata per diventare intercessione e sensibilizzando l'opinione pubblica italiana e afgana. Diventa motivo di profonda riflessione per tutti che ci ricordiamo di presenze come quella di Clementina soltanto in occasioni come queste. E diventa precisa assunzione di responsabilita' far conoscere tutte le persone distribuite fin negli angoli piu' sperduti del pianeta, impegnate quotidianamente in mille progetti di sviluppo e di promozione della pace. Sono volontari che hanno scelto uno stile che non cerca i gesti eclatanti ma che ha il sapore della condivisione della vita, delle amicizie, nel nascondimento della quotidianita'. Tra qualche giorno la festa della Repubblica sara' celebrata ancora una volta con una parata militare, quasi a indicare che l'Italia sia rappresentata dagli uomini delle forze armate. Noi continuiamo a ritenere che un ruolo privilegiato di rappresentanza del nostro Paese spetti proprio alle centinaia di Clementine che mettono in gioco la loro vita per vedere affermato il valore della pace e per sposare la causa delle vittime. Sarebbe bello che almeno quest'anno si rinunciasse a quella parata e si desse luogo a un corteo aperto dall'immagine di Clementina Cantoni e seguito dalla rappresentanza di tutte le organizzazioni non governative, degli organi di informazione, delle associazioni e dei movimenti impegnati a promuovere la pace. E' l'Italia che coltiva speranza e produce segni nuovi di un mondo segnato dalla solidarieta' e non dalle violenze, dal dialogo e non dalla guerra, dall'amicizia tra i popoli e non dalle minacce di morte rappresentate dalle armi. 3. REFERENDUM. LA MADRE [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo il seguente appello] Daremo un si' convinto ai quattro referendum sulla legge riguardo alla fecondazione assistita. Le ragioni che li motivano le abbiamo maturate non da ora, ma nel percorso politico con le donne, iniziato con la riflessione su aborto e sessualita' femminile. Rifiutiamo la logica proibizionista di una legge costruita su divieti ed obblighi, senza rispetto della salute, prima di tutto delle donne. Non pensiamo che l'assenza di divieto sancisca di per se' un diritto al figlio. Mettere un divieto per contrastare la traduzione in diritto di desideri (presunti) illimitati non fa che confermare, rovesciandola, la logica dei diritti. Ci interessa invece tenere aperto lo scarto incolmabile fra i desideri e i diritti. Lo scenario tecnologico inquieta noi, come tanti uomini e tante donne. Ed avvertiamo il bisogno di un discorso che ricomponga la frantumazione dei processi riproduttivi indotta dalle tecnologie, che dia un senso al materiale biologico separato dai corpi viventi. Uova, spermatozoi, zigoti, embrioni popolano ormai l'immaginario collettivo come fossero dotati di autonomia, una volta separati dai corpi. Per questo non serve, anzi fa danno, l'appello a valori astratti e inconciliabili: da un lato l'intangibilita' del progresso tecnologico, dall'altro la sacralita' del concepito e della famiglia biologica. Entrambe le posizioni non mettono in questione il riduzionismo biologico che e' il risultato piu' evidente e problematico dei processi tecnologici. La conferma piu' vistosa di questo sono le dispute ontologiche sull'embrione e l'ostinato silenzio sulla madre. L'idea che l'embrione possa essere "persona", o semplicemente essere, a prescindere da una donna che lo accetti dentro di se' e' un cattivo sogno di uomini che da sempre si dibattono per liberarsi da questa dipendenza originaria. Senza la madre non vi e' "vita", neppure biologica, che possa svilupparsi, ne' alcun diritto da rivendicare a cominciare da quello a nascere. Se e' vero che la tecnica fa scomparire i corpi nell'atto del concepimento, tuttavia non puo' fare a meno dell'opera della madre. La legge, degradando la madre a corpo contenitore di una vita, lungi dal contrastare la temuta riduzione dell'essere umano a materia genetica manipolabile, la favorisce; e dunque non tutela neppure l'embrione. L'embrione congelato e' li' a ricordarci che non vi e' sviluppo vitale ne' essere umano, senza la madre e al di fuori della relazione con lei. Discendono da qui per noi le valutazioni di merito sulle norme piu' gravi, diremmo "perverse", della legge, oggetto dei referendum: dall'impianto obbligatorio degli embrioni prodotti in vitro che, con il divieto di crioconservazione e di ogni diagnosi preimpianto, configura il dovere di maternita', anche a costo della salute della donna e dei nascituri; all'equiparazione dei diritti del concepito a quelli della donna con l'inevitabile conseguenza di estendere la tutela del concepito al feto e dunque di rimettere in questione l'aborto; alla messa al bando della fecondazione con seme o ovuli di donatore, riducendo il padre e la madre al mero fatto genetico; all'irrealistica proibizione della ricerca scientifica, rinunciando a dettare regole in grado di garantire la liberta' scientifica ma anche la trasparenza sulle finalita', sui rischi e sulle opportunita'. Non e' la legge, ne' tantomeno questa legge, che puo' dare risposte alle inquietudini, fondate o immaginarie, suscitate dalle tecnologie della riproduzione. Quel che c'e' prima della nascita chiede un limite del diritto, chiede di riconoscere, con umilta', che la legge puo' fare danni se prescinde dalla relazione madre/figlio. Non vi e' infatti modo di fare ordine nella procreazione, medicalmente assistita e non, se non si mette al centro delle regole la donna, quale soggetto libero e responsabile. * Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa, Raffaella Lamberti, Marisa Nicchi, Monica Toraldo di Francia, Tamar Pitch, Elena del Grosso, Angela Putino, Bia Sarasini, Cecilia D'Elia, Nicoletta Gandus, Daniela Nepoti, Bianca La Monica, Chiara Saraceno, Lea Melandri, Paola Melchiori, Celeste Ingrao, Maria Geneth, Pina Nuzzo, Maria Virgilio, Lidia Campagnano, Maddalena Gasparini, Serena Sapegno, Michela Pereira, Beatrice Busi, Simona Caracciolo, Elena Pulcini, Letizia Paolozzi, Eleonora Cirant, Anna Maria Crispino, Laura Gallucci, Laura Lanzillo. 4. RIFLESSIONE. GIANNINO PIANA: ALCUNE RIFLESSIONI SUL REFERENDUM [Ringraziamo Giovanni Colombo (per contatti: giovanni.colombo at fastwebnet.it) per averci inviato il seguente articolo di Giannino Piana apparso sulla prestigiosa rivista della Pro Civitate Christiana "Rocca", n. 7, aprile 2005. Giannino Piana, uno dei piu' illustri teologi e moralisti italiani, e' docente di Etica cristiana presso l'Universita' di Urbino. E' stato presidente dell'Associazione teologica italiana per lo studio della morale, e' membro del Comitato scientifico del Centro internazionale studi famiglia della congregazione religiosa "Societa' di San Paolo", e' editorialista delle riviste mensili di attualita' e cultura religiosa "Jesus" e "Vita pastorale", e collabora a varie altre testate. Si e' occupato di teologia morale e antropologia filosofica coniugando proposizione teorica e prospettiva pastorale; nelle sue ricerche ha privilegiato i temi della corporeita' e della salute, studiando anche le nuove etiche naturalistiche e il loro impatto sui temi della relazionalita' e della costituzione della soggettivita'. Tra i suoi libri: Attraverso la memoria. Le radici di un'etica civile, Cittadella, Assisi 1998; Sapienza e vita quotidiana. Un itinerario etico-spirituale, Edizioni Interlinea, Novara 1999; L'agire morale. Tra ricerca di senso e definizione normativa, Cittadella, Assisi 2001; I tempi e i luoghi della politica, Verbania 2002; Bioetica, Garzanti, Milano; Nel segno della giustizia. Questioni di etica politica, Edizioni Dehoniane, Bologna 2005] Alcune premesse metodologiche E' bene precisare, fin dall'inizio, che l'ambito entro il quale si muovono le riflessioni, che verranno qui sviluppate, e' quello della legislazione civile, alla quale non si puo' certo chiedere di fornire un codice di comportamento etico valido a livello di scelte personali.Alla legge va assegnato, piu' modestamente, il compito di arginare quei fenomeni negativi che risultano disturbanti per la vita della collettivita' e lesivi dei diritti delle singole persone, o che attentano, in senso piu' allargato (e oggi sempre piu' consistente), all'identita' della specie umana. E' come dire - e' questo un dato di grande importanza - che la legge e' chiamata a svolgere una funzione essenzialmente negativa - quella di evitare azioni che provocano danni consistenti (e palesemente riconosciuti) agli individui e alla societa' -; mentre non spetta ad essa determinare i precetti che devono guidare la condotta umana dal punto di vista morale. Negare alla legge una funzione strettamente etica, cioe' di formazione della coscienza o di sostegno a una morale particolare, non significa misconoscere tuttavia il ruolo dell'etica nella definizione dei dispositivi legislativi di una societa'. La negativita' di alcuni comportamenti (che vengono per questo giuridicamente perseguiti) non puo' essere frutto di una semplice operazione procedurale; implica il ricorso a un quadro di valori in base al quale fare la valutazione. Ma l'etica alla quale ci si deve riferire nel giudizio - e' questa l'ottica da privilegiare in un contesto pluralista e democratico come l'attuale - non puo' che essere un'etica "laica", espressione di un minimo comune denominatore valoriale raggiunto attraverso il confronto tra le diverse visioni di ordine morale presenti nella societa'. Non e' dunque richiesta la rinuncia alla propria etica; e' chiesto piuttosto che essa venga messa a disposizione di tutti nella logica di uno scambio in cui ci si dispone ad accogliere, senza pregiudizi, aspetti di verita' presenti in altre visioni e ad accettare il punto di convergenza raggiunto tra le diverse posizioni esistenti nella societa'. Il rimando all'etica, oltre che inevitabile - anche chi dice di prescinderne e' guidato nelle sue scelte da un'implicita lettura della realta' che dice riferimento a un sistema valoriale - rappresenta, d'altronde, l'unica via percorribile per evitare la caduta nella deriva del "pensiero radicale", che riconduce tutto al diritto soggettivo e utilizza come criterio esclusivo di lettura il "principio del piacere", mettendo percio' totalmente tra parentesi (o addirittura negando espressamente) qualsiasi valenza di etica sociale alle questioni affrontate. La bocciatura del referendum, che chiedeva la totale abrogazione della legge 40, da parte della Corte costituzionale, e' un chiaro segnale del rifiuto di questa tendenza e una sollecitazione a disciplinare, sul piano legislativo, la procreazione medicalmente assistita. * Lo statuto dell'embrione e le possibilita' della ricerca La legge n. 40 ha costituito un primo tentativo di procedere in tale direzione. I risultati raggiunti (soprattutto per il prevalere di interessi di carattere politico o ideologico) appaiono tuttavia insoddisfacenti, sia a causa di inaccettabili compromessi sia per la presenza, in qualche caso, di un evidente contrasto con leggi preesistenti: si pensi soltanto al divieto della diagnosi preimpianto degli embrioni, e percio' all'impossibilita' di arrestare, in partenza, il concepimento di un figlio malato, e all'esistenza, nel nostro ordinamento giuridico - grazie alla legge 194 (la legge sull'aborto) -, della possibilita' di interrompere la gravidanza anche a distanza di molto tempo dal concepimento. Senza entrare dettagliatamente nell'analisi delle richieste contenute nei quattro referendum abrogativi non si puo' non denunciare il dogmatismo di alcune prese di posizione della legge 40 su questioni nei confronti delle quali e' tuttora aperto il dibattito tanto sul piano scientifico che filosofico e, piu' in generale, culturale. Cosi' - per limitarci ad un solo esempio - il riconoscimento all'embrione dello statuto di persona, e dunque dei suoi inalienabili diritti - e' il punto che viene messo in discussione dal terzo quesito referendario - riflette una visione dell'inizio della vita personale che non corrisponde al dato scientificamente piu' accreditato. Le scienze biologiche ci dicono infatti che l'insorgenza della vita umana passa attraverso un processo per fasi successive e che l'individualizzazione (che e' condizione basilare perche' possa avere inizio la vita personale) non avviene all'atto della fecondazione, ma a distanza di alcuni giorni da essa, al momento cioe' dell'annidamento. Questo dato, avvalorato anche da motivazioni di ordine antropologico - basti ricordare qui la costitutiva dimensione relazionale della persona, e percio' l'esigenza che si verifichi un minimo di condizioni perche' tale relazionalita' possa esplicarsi (l'annidamento da' inizio ad un processo di reciprocita' vitale tra madre e feto che rende simbolicamente trasparente tale possibilita') - non esclude ovviamente che anche le fasi precedenti dello sviluppo della vita umana (a partire dalla fecondazione) debbano essere collocate sotto la tutela dell'etica; ma consente, al tempo stesso, di differenziare opportunamente i vari livelli dello sviluppo e di formulare pertanto criteri di valutazione morale piu' articolati. L'adesione a questa ipotesi interpretativa apre la strada ad un giudizio piu' possibilista a proposito dell'utilizzo degli embrioni soprannumerari, laddove e' in gioco una chiara finalita' terapeutica (e' questo l'oggetto del primo referendum). La proibizione categorica espressa dalla legge 40 a tale riguardo e' infatti legata alla convinzione (difficilmente sostenibile) che fin dal primo stadio biologico della vita umana sia presente la persona (il "concepito"); affermazione che viene invece negata dai sostenitori del referendum per le ragioni sopra esposte. * Modalita' di accesso alle tecniche Meno complesso e' il giudizio sulle modalita' di accesso alle tecniche (cui e' dedicato il secondo, e in parte anche il terzo quesito referendario), dove, al di la' delle contraddizione gia' rilevata - il contrasto con la legge 194 -, molti sono gli aspetti della legge 40 che meritano di essere sottoposti a revisione, sia perche' non rispettosi di dati scientifici acquisiti (e, piu' in generale, della legittima autonomia della ricerca scientifica), sia perche' penalizzanti la donna e la sua salute: basti qui accennare alla prescrizione di impiantare contemporaneamente tutti gli ovuli fecondati (che non possono essere peraltro superiori a tre); prescrizione che, oltre a presentare evidenti controindicazioni per l'efficacia dell'intervento, impedisce alla donna di fruire successivamente, nel caso sia fallito il tentativo messo in atto e si intenda ripeterlo, di embrioni gia' disponibili, costringendola a sottoporsi a una nuova stimolazione ovarica con pesanti conseguenze di ordine fisico e psicologico. * Fecondazione eterologa Piu' problematica e' invece la questione della "fecondazione eterologa", rifiutata dalla legge 40 e fatta oggetto del quarto quesito referendario. Diverse e di varia natura sono in questo caso le perplessita': dal mancato riconoscimento del diritto del bambino che nasce a conoscere l'identita' del proprio padre biologico, al pericolo per l'equilibrio della coppia (a causa della disparita' di genitorialita' biologica), fino alle difficolta' relative alla formazione della personalita' del figlio per l'incombere del fantasma del donatore. A queste motivazioni se ne aggiungono poi altre (ancor piu' determinanti) che hanno direttamente a che fare con i risvolti sociali della questione (e che meritavano forse maggiore attenzione anche nell'ambito del dibattito parlamentare che ha portato alla elaborazione della legge). Si vuole alludere ai costi, non solo economici ma anche (e soprattutto) di energie psicologiche e umane in genere, richiesti da un intervento che, oltre a riguardare un numero ristretto di coppie, e' legato a motivazioni discutibili. Non e' infatti superfluo domandarsi, in nome del principio di "giustizia" (e di equita'), uno dei capisaldi della bioetica, se, stante il limite delle risorse disponibili in campo sanitario e la difficolta' a soddisfare bisogni fondamentali di larghi strati della popolazione, non si debbano rispettare alcune priorita', e pertanto se la fecondazione eterologa non costituisca, in questa situazione, una sorta di "lusso" per pochi, che va a scapito della possibilita' di fare fronte a bisogni (e diritti) ben piu' importanti di molti. D'altra parte, se e' vero che esiste per la coppia (e, in particolare, per la donna) un legittimo desiderio al figlio "proprio" (piu' difficile e' affermare che si tratti di un diritto, e soprattutto di un diritto "assoluto") non si puo' ignorare che, nel caso della "fecondazione eterologa", questo desiderio non e', se non parzialmente, realizzato: in senso biologico il figlio non e' infatti "proprio" della coppia, ma (nel caso migliore) solo di una parte di essa. Il che obbliga inevitabilmente a confrontarsi con un altro diritto, senz'altro piu' fondamentale, quello del bambino gia' nato (ed abbandonato) ad avere una propria famiglia; diritto che deve spingere lo Stato a promuovere, sia a livello legislativo che di intervento sociale, le condizioni perche' istituti, come l'adozione e ll preaffidamento siano sempre piu' potenziati e diventino un'opzione piu' facilmente praticabile, specialmente da parte di chi vive il dramma della sterilita' biologica. Il referendum rappresenta una grande occasione di coinvolgimento popolare nei confronti di decisioni riguardanti gli ordinamenti della vita collettiva. Nonostante la complessita' dei quesiti in questo caso sul tappeto e al di sopra delle legittime differenze di posizioni, e' percio' evidente l'importanza della partecipazione, affinche' cio' che attraverso il voto viene deciso sia il piu' possibile espressione della volonta' popolare dei cittadini. 5. RIFLESSIONE. TAMAR PITCH: L'EMBRIONE E IL CORPO FEMMINILE [Dal sito www.costituzionalismo.it riprendiamo il seguente articolo. Tamar Pitch, prestigiosa intellettuale, antropologa e sociologa, insegna sociologia del diritto presso la facolta' di giurisprudenza dell'universita' di Camerino. Fa parte del comitato scientifico del Progetto citta' sicure della Regione Emilia Romagna ed e' giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma. Collabora a numerose riviste italiane e straniere. Tra le sue opere: La devianza, La Nuova Italia, Firenze 1975; Sociologia alternativa e nuova sinistra negli Stati Uniti d'America, La Nuova Italia, Firenze 1977; Responsabilita' limitate, Feltrinelli, Milano 1989; AA. VV., Donne in carcere, Feltrinelli, Milano 1992; Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualita', Il Saggiatore, Milano 1998] Parlando con i miei studenti, maschi e femmine, prima di aborto, poi di procreazione assistita, mi sono accorta che la madre e' scomparsa anche per loro. L'embrione, dicono, e' essere umano, e va protetto e tutelato. Che l'embrione, per svilupparsi e poi, eventualmente, nascere abbia bisogno non solo di un corpo, ma anche del desiderio e della dedizione di una donna e' del tutto ignorato. La donna e' mero contenitore, oppure mente, soggetto, antagonista, dunque da controllare, disciplinare. Certo, puo' ben essere che questa "dimenticanza" sia dovuta alla martellante propaganda degli ultimi tempi, ma io credo invece che ci sia dell'altro, molto altro. In primo luogo, mi pare di poter individuare qui una sorta di deriva della retorica dei diritti. Anche se quando le donne hanno chiesto l'aborto libero gratuito e assistito si sono ben guardate dal tematizzarlo come un "diritto", che la questione della procreazione chiami invece in causa diritti, delle donne, degli uomini, e degli embrioni, e diritti per forza contrapposti, e' diventata opinione assai diffusa. Ricordo a questo proposito la posizione espressa molti anni fa da Giuliano Amato, secondo cui, uomini e donne avendo ormai raggiunto parita' di diritti, anche gli uomini dovevano avere voce in capitolo nella decisione di abortire. Chi poi, in caso di conflitto dentro la coppia, dovesse dirimerlo, non era chiaro. La soggettivazione dell'embrione, la sua assunzione a statuto di "persona", o quanto meno essere umano, procede anch'essa da questa logica, una logica a suo modo sociologicamente conseguente, laddove la prima mossa nella soggettivazione e' l'assunzione dello statuto di vittima. All'epoca della battaglia sull'aborto, vittime erano le donne, per via dei rischi degli aborti clandestini. Poi, lo sono diventati gli uomini e infine gli embrioni: vittime dell'onnipotenza e dell'egoismo femminile, di queste "nuove" donne ormai padrone della vita e della morte, che non si sa perche' e come decidano, e che comunque non devono vedersi riconosciuta la responsabilita' in merito alla procreazione. In secondo luogo, come gia' parecchi anni fa diceva Barbara Duden, il nuovo statuto di essere umano dell'embrione e' in relazione con le innovazioni tecnologiche, soprattutto l'ecografia, che permette di "vederlo" nuotare nell'utero materno, e spinge ad una sua separazione dal corpo della madre, ridotto a mero contenitore. Ma c'e' anche la paura (condivisibile) di un progresso scientifico e tecnologico di cui non solo non sono affatto chiari esiti e obbiettivi, ma che rimette in discussione il significato di vita e morte. Il progredire di scienza e tecnologia in maniera molto piu' veloce di quanto sia possibile comprendere e discutere collettivamente si coniuga del resto con la crescente sfiducia nei loro confronti, una sfiducia che alcuni hanno tematizzato come configurante una "societa' del rischio": gli effetti non voluti e spesso catastrofici dell'umana manipolazione della "natura" sono adesso molto piu' evidenti dei benefici e dei vantaggi. La "societa' del rischio" e' anche stata caratterizzata come "societa' dell'insicurezza", come pervasa da una "cultura della paura". Coniugando i vari scenari, io la chiamerei piuttosto "societa' della prevenzione", una societa', insomma, dove la cultura e' orientata da due opposti obbiettivi: la retorica del "correre rischi" e allo stesso tempo quella del prevenirli. Ambedue le retoriche si dirigono piuttosto all'individuo singolo che non alla collettivita'. Correre rischi e prevenirli spettano alla responsabilita' individuale. Cosi', insicurezza e paura spingono, come dice Bauman, a cercare soluzioni biografiche a rischi e problemi sistemici. Ma restringono al contempo la sfera pubblica, impediscono la libera discussione collettiva, privatizzano temi e problemi un tempo considerati sociali. La paura diffusa viene indirizzata verso capri espiatori: gli stranieri, i "diversi", la pluralita' e la diversita' in quanto tali. L'ideologia neoliberista imperante si coniuga alla riscoperta e all'enfasi sui "valori tradizionali", assunti ad assoluti e universali, e alla denuncia di un relativismo "etico", nuovo mostro contro cui si scagliano da destra e da sinistra, che in realta' e' soltanto, appunto, la pluralita' e la diversita' di visioni del mondo cui dovrebbe essere concessa piena cittadinanza in uno stato di diritto. Cio' che da' luogo al fondamentalismo che scatena guerre "giuste", "del bene contro il male", all'esterno come all'interno, e pretende di imporre per legge la sua propria visione, incurante non solo della lesione allo stato laico e liberale, ma anche dell'inefficacia e della produzione di effetti perversi di tale normazione. * E' precisamente questo il caso della legge 40, sulla procreazione medicalmente assistita. Una legge che vieta per la procreazione assistita cio' che e' perfettamente lecito, e non vietabile, per la procreazione cosiddetta "naturale" (la maternita' singola, la cosiddetta fecondazione eterologa); che lede in maniera pesante il diritto alla salute delle donne (creazione di soli tre embrioni, tutti e tre da impiantare in utero), nonche', vietando le diagnosi pre-impianto, condannando le donne portatrici di un embrione gravemente malformato al trauma fisico e psichico dell'aborto. Una legge che, per imporre una particolare etica, produce gli effetti perversi del turismo procreativo e del mercato nero dello sperma, tra l'altro introducendo una discriminazione pesante tra chi si puo' permettere di andare all'estero e chi non puo'. La tutela del "concepito" e' la giustificazione addotta per queste norme. E tuttavia, e' assai evidente come esse siano esplicitamente orientate a rimettere in ordine cio' che i mutamenti sociali e culturali degli anni passati, in particolare il decennio degli anni settanta, aveva "disordinato": in particolare, le nuove liberta' femminili in materia di procreazione, la diffusione di modelli relazionali e familiari plurimi. E' un ordine simbolico e culturale, giacche', come si diceva, questa legge e', dal punto di vista empirico, inapplicabile. Vi e', qui, il tentativo di imporre certezze per legge, di decidere con la mannaia di una legge proibizionista in materia di vita e morte. Ma e' un modo di produrre certezze che, invece, veicola paura: una paura della diversita', della pluralita', cosi' delle persone come delle concezioni del mondo, inscritta nella stessa rigidita' della normazione, che richiama quella nozione di sicurezza intesa nel senso della sterilizzazione del territorio e dei "muri ad ogni angolo di strada" evocata dai pericoli dei migranti, dei criminali, di chi non e' come "noi". Questa legge, mi pare, fa parte dello stesso immaginario, ma diversamente dalle norme che alla sicurezza fanno riferimento, e' un argine ridicolo dal punto di vista pratico, e pero' devastante da quello simbolico, rispetto al mutamento, alla pluralita', alla diversita'. Ridicolo non significa che non abbia effetti pratici perversi, come gia' dicevo. E' precisamente perche' manifestamente inefficace, ineffettiva, che questa legge produce tali effetti, gia' documentati: un costosissimo, in termini di denaro ma anche se non soprattutto dal punto di vista psicologico, turismo procreativo, un mercato nero dei gameti, in specie dello sperma, facilmente reperibile e facilmente utilizzabile, ma rischioso per la salute, una diminuizione del tasso di nascite per interventi, la moltiplicazione di stimolazioni ovariche sulla singola donna, ecc. Ma sul piano simbolico l'impatto e' ancora peggiore. In primo luogo induce nel dibattito attorno alle tecnologie, alla stessa ricerca scientifica, una polarizzazione insensata che impedisce una discussione aperta e una riflessione meditata. Non c'e' dubbio che tecnologie e ricerca aprano nuove questioni in ordine al significato della vita e della morte, e diano luogo ad una moltiplicazione di scelte potenzialmente tragiche. I problemi del limite, della responsabilita' individuale e collettiva, del rapporto tra scienza e societa', e cosi' via, sono problemi la cui soluzione non e' affidabile al diritto, specialmente quando di esso ci si serve come una clava. C'e' un vuoto impressionante di discussione pubblica, di politica intesa come confronto tra posizioni ed opinioni diverse entro uno spazio comune: la legge, questa legge, come altre relative alle cosiddette differenze, e, come dicevo, alla "sicurezza", pretendono di decidere, ma sono decisioni impaurite e che producono paura, decisioni fasulle, perche' la materia sfugge e non si lascia imbrigliare. La polarizzazione, inoltre, si affida e produce schemi di amico/nemico, e laddove pretende di produrre sicurezza moltiplica insicurezza, diffidenza, divisione, scontro. Piu' da vicino: in generale, vi e' una stigmatizzazione di chi richiede l'intervento di procreazione assistita, particolarmente evidente dove si dispone perche' alla coppia, prima di procedere, sia prospettata la possibilita' di adozione e di affido. La coppia, dunque, e' sospettata di egoismo "biologistico", di volere a tutti i costi un figlio geneticamente proprio. Ma la diffidenza nei confronti di chi ricorre a queste tecniche e' veicolata da tutto l'impianto normativo, e diventa vera e propria "criminalizzazione" quando, in nome della tutela dell'embrione, si fa divieto di rinuncia all'impianto, nonche', per la donna, di rimanere anonima dopo il parto. Criminalizzazione, giacche' si prospetta qui qualcosa che e' assai presente nel dibattito sulla questione dell'aborto, ossia un "naturale" antagonismo tra donna ed embrione, donna e feto. Cio' procede anche, naturalmente, dalla soggettivazione dell'embrione, detto "il concepito", dei cui diritti si dispone la tutela. E questa tutela si dispiega in una serie di norme che pregiudicano altri diritti, questi si' costituzionalmente previsti, come quello alla salute. La previsione di appello all'obiezione di coscienza del personale medico e' un'altra spia di come la procreazione assistita, e dunque chi vi ricorre, siano stigmatizzati. Non ho citato la stigmatizzazione/criminalizzazione della donna singola, perche' il divieto di accesso alle singole non e' prerogativa di questa legge: esso e' disposto in pressoche' tutti i progetti di legge che l'hanno preceduta, a conferma del fatto che la maternita' singola, specialmente quando non puo' essere costruita come dramma, problema, triste fatalita', e' considerata sia a destra che a sinistra una scelta irresponsabile, egoista, produttrice di mali nei confronti dei figli e della societa' intera. I divieti di accesso alle singole si coniugano del resto con altri provvedimenti e progetti, come quello relativo all'affidamento condiviso dei figli minori nel caso di separazioni, che dicono che non si puo' nascere senza padre. Vengono a questo proposito in mente due casi di alcuni anni fa, tutti e due coinvolgenti tecnologie mediche. Nel primo caso, si trattava di una donna che con il marito aveva tramite procreazione assistita concepito alcuni embrioni, poi congelati. Il marito muore (per mano di mafia), la donna chiede l'impianto post mortem. Deplorazioni e scandalo su tutti i media, vescovi che lanciano anatemi (da cui: allora era lecito, anzi era giusto, buttare gli embrioni nel cestino?): il povero bambino sarebbe nato orfano. Nel secondo caso, una donna incinta entra in coma profondo e irreversibile al quinto mese di gravidanza: il suo corpo viene tenuto in "vita" per permettere al feto di svilupparsi fino al momento di farlo nascere, per quanto rischioso fosse per la stessa "normalita'" di questo feto. Grandi festeggiamenti sui media: dunque, in questo caso, il bambino non sarebbe stato orfano? Per non parlare dei casi di donne incinte (con gia' altri bambini), le quali diagnosticate di gravi malattie hanno preferito non curarsi, e dunque lasciare orfani sia il nascituro sia gli altri gia' nati: queste donne sono state santificate. Non si discute qui della loro scelta, quanto del modo in cui hanno reagito i grandi media, la chiesa, ecc., e metter in luce che, a quanto pare, non si e' orfani se si nasce senza madre, ma soltanto se si nasce senza padre. * Si giunge a questa legge attraverso un cammino lungo e tortuoso, durato varie legislature, e in cui si sono succeduti vari progetti di legge, nessuno dei quali rispondente ai requisiti di modestia, flessibilita', mitezza richiesti dalla materia. Sulla questione della procreazione assistita si sono scatenati fantasmi che hanno a che fare con i mutamenti sia sociali e culturali che normativi accaduti negli anni settanta e ottanta. Negli anni settanta, una particolare congiuntura sociale e politica ha permesso l'introduzione di norme liberali, in linea con i principi costituzionali, come la riforma del diritto di famiglia, il divorzio, la legalizzazione dell'aborto (ma anche lo statuto dei lavoratori e la riforma sanitaria...), a seguito della grande stagione dei movimenti antiautoritari nonche' dell'emergere del movimento femminista. Come tutte le leggi, anche queste sono state frutto di compromessi e negoziazioni, e ne portano il segno. Si puo' certo dire che esse non solo non rispecchiano le domande piu' radicali, in specie delle donne, ma che adesso mostrano segni evidenti di inadeguatezza. Tuttavia, per il modo in cui sono state utilizzate, in particolare la legge sulla legalizzazione dell'aborto, esse hanno seguito, se non agevolato, i mutamenti sociali e culturali, tra i quali il rafforzamento della soggettivita' femminile. Gli anni novanta sono gli anni dell'incertezza e della paura. Le cause sono molte e tutte ben note e piu' volte descritte: a questa incertezza e paura, che hanno origini lontane e difficilmente gestibili localmente, si danno risposte che individuano capri espiatori. Gli stranieri, i migranti, i criminali, e le donne. Le donne hanno in realta' un doppio ruolo. Per un verso, sono accusate di onnipotenza, egoismo, e a loro, alle loro nuove liberta', sono imputati il disordine familiare e sociale: oppresse e sfruttate nell'immaginario degli anni settanta, esse diventano negli anni ottanta e novanta virago pericolose, nemiche degli uomini e dei bambini. Per un altro verso, come sempre nei periodi di crisi, alle donne ci si rivolge perche' riprendano i loro compiti di custodi dei valori tradizionali, di produttrici di fiducia particolaristica, laddove viene meno la fiducia generale. Gli eventi e i mutamenti degli anni settanta tornano nell'immaginario come incubi, come cio' che sta alla radice dell'insicurezza presente, o almeno come cio' che puo' essere rivisto e rimesso a posto, laddove altre origini dell'incertezza presente non sembrano potersi gestire. * Sulla procreazione, assieme ai fantasmi dell'onnipotenza femminile, si scatenano cosi' le paure relative a sviluppi tecnologici e scientifici che parlano di un "progresso" i cui sbocchi non appaiono piu' univocamente positivi, anzi. Un progresso che destabilizza continuamente, di cui sono sempre piu' visibili e presenti le conseguenze perverse, non solo globalmente, ma localmente, in termini di deterioramento dell'ambiente urbano, di precarizzazione del lavoro e della vita, di incertezza del futuro. L'ambivalenza sempre presente quando si evoca la "natura" qui mostra il suo versante difensivo e retrivo. E non per caso si tratta di procreazione, e dunque di corpo femminile. Il corpo femminile sta per la natura che non deve essere alterata, la natura che per essere benevola abbisogna di cultura, ossia di norma, e dunque di norma maschile. La natura, che incombe minacciosa attraverso gli scempi imputabili al progresso, deve essere restaurata attraverso il controllo del corpo femminile, e di cio' che quel corpo puo' fare. La vita, appunto: riprendiamoci il controllo sulla vita, sembra dire questa legge, una vita il cui significato e' diventato cosi' incerto e contestato, che non si sa piu' quando comincia e quando finisce, e che e' sempre di piu' il terreno di scontro e intervento della biopolitica. E' facile far notare come il conflitto sullo statuto degli embrioni, la loro difesa ad oltranza, cosi' come il conflitto sul morire, e la difesa ad oltranza dell'accanimento terapeutico si coniughino con guerre, stermini per fame e malattie, stragi di "clandestini" in mare, finanche, negli Usa, la pena di morte. Non so se c'e' davvero incoerenza, giacche' in gioco appare appunto il controllo della vita, piuttosto che la difesa della vita, qualsiasi cosa si voglia dire con questa parola. Infatti, nel caso della procreazione le tecnologie devono essere piegate al "rispetto della natura", dove con questo termine si mischiano insieme biologismo e concezioni tradizionali della famiglia, mentre nel caso del morire le tecnologie devono servire a mettere in scacco la "natura", che lasciata al suo corso porterebbe appunto alla morte. * Il controllo della "vita", come quello della "natura", passa attraverso il controllo delle donne. La posta in gioco e' visibilmente questa. Visibilmente, perche' e' dichiarata, in questa legge e nelle discussioni che l'hanno circondata, ma anche nei conflitti e nelle guerre in giro per il mondo, dove le donne, i loro corpi, i loro diritti, sono richiamati per giustificare guerre e conflitti e, viceversa, come cio' che esprime i valori da difendere contro l'occidente. Vita, natura, tradizione sono associati alle donne, e il collasso dei tre termini l'uno sull'altro rafforza questa associazione. Cio' avviene nell'occidente sviluppato come altrove. Da noi, questa associazione si rivela nei conflitti attorno alla questione della procreazione, dunque anche dell'aborto, e, come dicevo, si sposa al dominio dell'ideologia neoliberista. Si tratta, dunque, di una questione di ordine. Un ordine che non riguarda solo la famiglia, ma, come dicevo, attraverso la famiglia i rapporti sociali, attraverso le donne la "natura" e la "vita". Un ordine che si avvale, inoltre, di un altro potente costrutto culturale, assai diffuso oggigiorno, quello della vittima. Benche' non in modo esplicito, anche qui, come in molti altri casi, e' all'opera una modalita' di pensare il sociale in termini paralleli a quelli dell'amico-nemico, ossia nei termini di offensore-vittima. Uno schema che si avvale del richiamo ai diritti, qui intesi in un senso antagonistico e disgiuntivo: i diritti della donna contro quelli dell'embrione, dove e' l'embrione, in quanto "piu' debole", ad essere postulato come vittima potenziale. Anzi, e' precisamente attraverso la sua costruzione come vittima che l'embrione puo' accedere allo statuto di titolare dei diritti. L'attuale deplorazione della supposta noncuranza con cui le donne si sono battute, negli anni settanta, per la legalizzazione dell'aborto, noncuranza che non avrebbe tenuto in alcun conto la violenza nei confronti dell'embrione, la sofferenza di un essere "piu' debole", si inscrive, di certo senza intenzione, precisamente in questa diffusa cultura della vittimizzazione, dove sembra che per accedere alla voce bisogna designarsi vittime, e si scatena dunque la gara a chi e' la vittima piu' vittima. Chi meglio dell'embrione, del tutto impotente di fronte alla madre/contenitore? Violenza, sofferenza, fragilita', debolezza, viceversa, si impongono alla riflessione oggi con una intensita' che richiede pietas, ascolto, accoglienza, nonche' politica, nel senso pieno del termine: il contrario di questa legge, che pretende di decidere in maniera rigida su qualcosa che abbisogna piuttosto di elasticita', mitezza, modestia. Il diritto viene qui utilizzato per imporre un'etica di parte, dunque contraddicendo la stessa radice del diritto moderno, la separazione tra diritto e morale, e la sua ragion d'essere, modalita' di composizione delle dispute e di regolazione dei rapporti interindividuali nel rispetto dei diritti e nel riconoscimento delle diversita' delle visioni del mondo. * Il giusto, non il bene, dicono i liberali, e' l'obbiettivo del governare. Si puo' discutere se sia davvero possibile separare il giusto dal bene, se davvero politica, diritto e diritti moderni non veicolino invece anche una particolare visione del bene. Tuttavia, la particolare concezione del bene coerente con democrazia e stato di diritto e' precisamente quella che si identifica con la liberta' riconosciuta e assicurata al dispiegarsi e interagire di modelli culturali, valori, scelte diversi e plurali. La tutela dei "piu' deboli" e' certamente parte integrante di questa concezione del bene: ma su che cosa si possa e debba oggi, invece, intendere per vita umana si discute. Cio' su cui, viceversa, non si dovrebbe discutere piu' e' il diritto alla salute, la libera scelta dei rapporti di amore e familiari, il primato, e dunque la responsabilita', femminili in ordine alla procreazione. 6. RIFLESSIONE. VANDANA SHIVA: UN'EPIDEMIA DI BIOPIRATERIA [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso oltre un anno fa sul quotidiano "Il manifesto" il 26 marzo 2004 col titolo "Anche le briciole hanno il copyright". Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] L'India e' travolta da un'epidemia di biopirateria: le corporation globali stanno brevettando le biodiversita' indigene e i saperi tradizionali. Prima c'e' stata la pianta del neem, poi il riso basmati. Ora il nostro frumento, il nostro "atta" (farina di frumento integrale), il nostro "chapatis" (pane schiacciato, non lievitato) sono stati brevettati. La Conagra, il gigante agroalimentare statunitense, ha ottenuto il brevetto n. 6.098.905 per l'"atta"" nell'agosto 2000. Nel 1996, la Unilever e la Monsanto hanno ottenuto un brevetto (EP 518577) perche' sostenevano di avere "inventato" l'uso della farina per fare dei tipi tradizionali di pane indiano come il chapatis. Il 21 maggio 2003, l'ufficio europeo brevetti di Monaco ha rilasciato un brevetto con il numero EP 445 929 e il semplice titolo "piante". Proprietaria del brevetto e' la Monsanto, meglio conosciuta come il maggiore commerciante mondiale di piante geneticamente modificate. Il brevetto copre il frumento che presenta una speciale qualita' di cottura con scarsa elasticita'. Il frumento con queste caratteristiche e' stato creato originariamente in India; ora la Monsanto ne detiene il monopolio per la coltivazione e i processi di lavorazione. La biopirateria e' inammissibile sia giuridicamente che eticamente. Permettendo che delle innovazioni indigene siano trattate come "invenzioni" del proprietario del brevetto, questi brevetti rappresentano un vero e proprio furto dei risultati scientifici, intellettuali e creativi conseguiti dall'India, e devono essere combattuti. Le conseguenze economiche sono gravi. A breve termine, un brevetto pirata ci deruba dei mercati d'oltremare per i nostri prodotti unici. A lungo termine, se questi trend non saranno contrastati e i sistemi di regolamentazione dei diritti sulla proprieta' intellettuale non saranno cambiati in modo da impedire la biopirateria, ci troveremo a pagare le royalties per cio' che ci appartiene e ci e' necessario per la sopravvivenza quotidiana. Se i casi di tali infondate pretese fossero solo uno o due, essi potrebbero essere attribuiti a semplice errore. Ma le cose non stanno cosi'. Il problema e' radicato e sistematico e richiede un cambiamento radicale e sistematico, non interventi episodici. Lungi dall'essere un'aberrazione rispetto ad esso, la promozione della pirateria e' intrinseca al sistema Usa dei brevetti. I regimi che regolano i diritti sulla proprieta' intellettuale nel contesto della liberalizzazione del commercio diventano strumenti di pirateria a tre livelli: 1. La pirateria delle risorse in cui le risorse biologiche e naturali delle comunita' e della campagna sono prese liberamente, senza riconoscimento o permesso, e sono usate per costruire economie globali. Ad esempio, il trasferimento di varieta' basmati di riso dall'India per costruire l'economia del riso delle corporations americane come RiceTec per l'esportazione. 2. La pirateria intellettuale e culturale in cui l'eredita' culturale e intellettuale delle comunita' e della campagna viene presa liberamente, senza riconoscimento o permesso, ed e' usata per pretendere i diritti sulla proprieta' intellettuale come brevetti e marchi registrati, anche se l'innovazione e la creativita' originarie non sono avvenute per mezzo di un investimento delle corporation. Ad esempio, l'uso del nome registrato "basmati" per il loro riso aromatico, o l'uso del nome registrato "Bikaneri bhujia" da parte della Pepsi. 3. La pirateria economica, in cui ci si impossessa dei mercati interni e internazionali attraverso il ricorso a nomi registrati e a diritti sulla proprieta' intellettuale, con la conseguente distruzione delle economie locali e nazionali dove e' avvenuta l'innovazione originale e la cancellazione dei mezzi di sostentamento e della sopravvivenza economica di milioni di persone: ad esempio, i commercianti di riso americani che hanno sottratto i mercati europei ai piccoli produttori indiani di bio-pesticidi a base di neem, e la Grace che ha sottratto loro il mercato americano. * Un brevetto viene rilasciato come diritto esclusivo per le invenzioni che soddisfano i criteri di novita', non-ovvieta', e utilita'. Il sapere tradizionale e le innovazioni collettive e cumulative che esso incarna, evidentemente, non si qualificano come "novita'". Modifiche insignificanti e scontate che possono essere apportate da persone esperte nel campo dell'innovazione violano il requisito di non-ovvieta' e dunque non dovrebbero essere brevettabili. Il brevetto pirata registrato dalla RiceTec sul basmati e il brevetto pirata registrato dalla Monsanto sul frumento sono entrambi stati ottenuti ricorrendo a modifiche insignificanti e scontate di varieta' di piante uniche indiane con caratteristiche uniche, per poi pretendere i diritti totali sulle caratteristiche, sulle proprieta', sui tratti delle piante e dei prodotti da esse derivati. Le pretese decisive in merito al brevetto riguardano il frumento "soft-milling" in cui i geni rilevanti sono assenti o inattivi. Il brevetto significa di fatto il monopolio sulle caratteristiche genetiche delle piante Nap Hal e su tutte le piante di frumento che sono incrociate con questa varieta' indiana. Inoltre, esso copre la farina ottenuta da questo frumento, la "pasta prodotta con la farina" e "biscotti o simili, prodotti con la farina". Nel suo brevetto, la Monsanto ha sbagliato il nome della varieta' di frumento, chiamandolo "Na phal" che in Hindi significa "nessun frutto". Invece di identificare correttamente il frumento con il nome sbagliato e di contrastare la biopirateria, il parlamento e i tribunali indiani hanno sostenuto e difeso la biopirateria della Monsanto. Cosi' l'India sta perdendo la sovranita' sulle sue sementi, sulla biodiversita' e sulle innovazioni collettive che in esse si sono concretizzate. Inoltre sta perdendo l'accesso ai mercati europei per i prodotti derivati dal frumento con qualita' uniche offerte dai nostri frumenti tradizionali, che sono molto richiesti. Se non lo impediremo, il brevetto pirata sul frumento trasformera' la preghiera "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" in una supplica alla Monsanto. 7. RIVISTE. CON "QUALEVITA", LA LEZIONE DI PAULO FREIRE Abbonarsi a "Qualevita" e' un modo per sostenere la nonviolenza. Ricordando la lezione di Paulo Freire. * "L'amore, che e' fondamento del dialogo, e' anch'esso dialogo" (Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1971, 1980, pp. 107-108). * "Qualevita" e' il bel bimestrale di riflessione e informazione nonviolenta che insieme ad "Azione nonviolenta", "Mosaico di pace", "Quaderni satyagraha" e poche altre riviste e' una delle voci piu' qualificate della nonviolenza nel nostro paese. Ma e' anche una casa editrice che pubblica libri appassionanti e utilissimi, e che ogni anno mette a disposizione con l'agenza-diario "Giorni nonviolenti" uno degli strumenti di lavoro migliori di cui disponiamo. Abbonarsi a "Qualevita", regalare a una persona amica un abbonamento a "Qualevita", e' un'azione buona e feconda. Per informazioni e contatti: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita Per abbonamenti alla rivista bimestrale "Qualevita": abbonamento annuo: euro 13, da versare sul ccp 10750677, intestato a "Qualevita", via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), specificando nella causale "abbonamento a 'Qualevita'". 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 946 del 31 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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