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La nonviolenza e' in cammino. 924
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 924
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 9 May 2005 02:16:54 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 924 del 9 maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. A Irfanka Pasagic il "Premio Alexander Langer 2005" 2. Carlo Schenone: Modelli di difesa e Difesa civile non armata e nonviolenta (parte prima) 3. Letture: Tea Frigerio, Felice Tenero, Facciamo vita la parola 4. Letture: Mario Luzi, La ferita nell'essere 5. Letture: Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia 6. Letture: William Simpson, La guerra in casa 1943-1944 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. PERSONE. A IRFANKA PASAGIC IL "PREMIO ALEXANDER LANGER 2005" [Dagli amici carissimi della Fondazione Alexander Langer (e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org) riceviamo e diffondiamo. Alexander Langer e' nato a Sterzing (Vipiteno, Bolzano) nel 1946, e si e' tolto la vita nella campagna fiorentina nel 1995. Promotore di infinite iniziative per la pace, la convivenza, i diritti, l'ambiente. Per una sommaria descrizione della vita cosi' intensa e delle scelte cosi' generose di Langer rimandiamo ad una sua presentazione autobiografica che e' stata pubblicata col titolo Minima personalia sulla rivista "Belfagor" nel 1986 (poi ripresa in La scelta della convivenza). Opere di Alexander Langer: Vie di pace. Rapporto dall'Europa, Arcobaleno, Bolzano 1992; dopo la sua scomparsa sono state pubblicate due belle raccolte di interventi: La scelta della convivenza, Edizioni e/o, Roma 1995; Il viaggiatore leggero. Scritti 1961-1995, Sellerio, Palermo 1996. Segnaliamo inoltre: Scritti sul Sudtirolo, Alpha&Beta, Bolzano 1996; Die Mehrheit der Minderheiten, Wagenbach, Berlin 1996; Piu' lenti, piu' dolci, piu' profondi, suppl. a "Notizie Verdi", Roma 1998. Opere su Alexander Langer: Roberto Dall'Olio, Entro il limite. La resistenza mite di Alex Langer, La meridiana, Molfetta 2000. Si sta ancora procedendo alla raccolta di tutti gli scritti e gli interventi (Langer non fu scrittore da tavolino, ma generoso suscitatore di iniziative e quindi la grandissima parte dei suoi interventi e' assai variamente dispersa). Si veda comunque almeno il fascicolo monografico di "Azione nonviolenta" di luglio-agosto 1996; l'opuscolo di presentazione de La Fondazione Alexander Langer - Stiftung, suppl. a "Una citta'", Forli' (per richieste: tel. 054321422; fax 054330421), ed il nuovo fascicolo edito dalla Fondazione nel maggio 2000 (per richieste: tel. e fax 00390471977691). La Casa per la nonviolenza di Verona ha pubblicato un cd-rom su Alex Langer (per informazioni: tel. 0458009803; fax 0458009212; e-mail: azionenonviolenta at sis.it). Indirizzi utili: Fondazione Alexander Langer Stiftung, via Portici 49 Lauben, 39100 Bolzano-Bozen, tel. e fax 00390471977691; e-mail: info at alexanderlanger.org, sito: www.alexanderlanger.org] Nel corso di una conferenza stampa svoltasi il 6 maggio 2005 Helmuth Moroder ha reso nota la decisione del comitato scientifico della Fondazione Alexander Langer di assegnare all'unanimita' il premio Alexander Langer 2005 a Irfanka Pasagic. Alla Conferenza hanno preso parte Vesna Terselic, del Verona Forum e del "Centro pace" di Zagabria e Gerhard Brandstaetter e Sandro Angelucci, rispettivamente presidente e vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano, che ha deciso di finanziare questa edizione del premio. * Irfanka Pasagic e' nata a Srebrenica nel 1953. Dopo aver studiato a Sarajevo e Zagabria, ottenendo la specializzazione in psichiatria, e' tornata a lavorare nella sua citta' natale. Nell'aprile del 1992, nel corso di una delle prime ondate di pulizie etniche, culminate nella strage genocidaria di Srebrenica, e' stata deportata, raggiungendo dopo varie traversie, insieme ad altre migliaia di profughi, la citta' bosniaca di Tuzla. La', nell'ambito della rete internazionale "Ponti di donne tra i confini", creata nel 1993 dalle donne di "Spazio pubblico" di Bologna assieme ad altre donne della ex Jugoslavia, ha fondato il centro "Tuzlanska Amica". Grazie a un progetto di adozione a distanza fatto proprio da associazioni che operano soprattutto in Emilia Romagna e Liguria, in questi dieci anni Tuzlanska Amica ha dato una famiglia a oltre 850 bambini, ed e' diventata ben presto uno dei pochi luoghi dove donne, bambini, uomini traumatizzati, possono ricevere aiuto psicologico, ma anche assistenza medica, sociale, legale. L'adozione a distanza non si limita alla raccolta e distribuzione di preziosi aiuti finanziari. Chi adotta riceve infatti un rapporto costante sullo stato di salute dei bambini e sul loro andamento scolastico e familiare, ed e' incoraggiato a visitarli a Tuzla o od ospitarli per periodi di vacanza, cura e ristoro. Grazie a un'organizzazione olandese, Mala Sirena, Irfanka Pasagic ha potuto mettere in atto quella che era stata un'altra intuizione importante: la creazione di un team mobile, per andare a cercare e assistere nelle campagne, tra gli oltre 250.000 profughi che vivono in condizioni molto precarie nel distretto di Tuzla e Srebrenica, i casi piu' difficili e nascosti, attivandosi dapprima con un aiuto di tipo umanitario, per poi verificare l'opportunita' di un intervento anche psicologico per i componenti piu' vulnerabili del nucleo familiare. Irfanka Pasagic partecipa inoltre alla rete "Promoting a Dialogue: Democracy Cannot Be Built with the Hands of Broken Souls", guidato da Yael Danieli, psicologa e "traumatologa" di New York, consulente per le Nazioni Unite, per cui ha effettuato viaggi di studio e lavoro in altri paesi, tra i quali il Ruanda. E' un progetto di dialogo interetnico teso a rompere quella "cospirazione del silenzio" che tanto contribuisce a perpetuare traumi e conflitti tra le generazioni. E' questo anche il senso della sua collaborazione con l'associazione "Women of Srebrenica" e con molte persone, come la belgradese Natasa Kandic e la kosovara Vjosa Dobruna, gia' premi Alexander Langer nel 2000, impegnate nella stessa direzione. Fin dall'inizio della sua esperienza di profuga, Irfanka Pasagic ha dimostrato grande sensibilita' e buon senso, nell'individuare forme adeguate di aiuto ai profughi. Ha dedicato costante attenzione al lavoro delle Ong (ad esempio battendosi affinche' nei progetti per le donne fossero inclusi anche i bambini, o denunciando la perdurante assenza di luoghi d'ascolto anche per gli uomini), scoraggiando qualsiasi discorso fondato su stereotipi e non lesinando critiche anche alla propria parte. E' infatti difficile sentirla parlare di "serbi", "croati", "bosniaci". Secondo Irfanka ciascuno deve rispondere delle proprie responsabilita' individuali. Nella sua lunga esperienza con le donne e i bambini traumatizzati ha ascoltato centinaia di storie terribili, eppure non c'e' mai rancore nelle sue parole, nemmeno quando parla di chi occupo' la sua casa: "Sicuramente profughi anch'essi", spiega. Ogni volta che qualcuno le chiede della situazione in Bosnia, Irfanka risponde: "vieni a vedere". Molto curiosa poi di conoscere le impressioni dei suoi ospiti o dei giovani volontari che offrono la loro collaborazione, instancabilmente disponibile a rispondere alle loro domande ed accogliere il disagio delle persone piu' sensibili. * Con l'assegnazione di questo Premio la Fondazione Alexander Langer vuole contribuire ad una necessaria riflessione sulla strage genocidaria di Srebrenica e nello stesso tempo a ripercorrere i passi che avevano portato Alexander Langer ad adottare dieci anni fa le ragioni della citta' interetnica di Tuzla. Il premio verra' consegnato ad Irfanka Pasagic il prossimo primo luglio a Bolzano, nell'ambito della manifestazione internazionale "Euromedterranea". Ulteriori notizie sul lavoro di Irfanka Pasagic, possono essere richiesti alla Fondazione Alexander Langer. 2. RIFLESSIONE. CARLO SCHENONE: MODELLI DI DIFESA E DIFESA CIVILE NON ARMATA E NONVIOLENTA (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Carlo Schenone (per contatti: e-mail: schenone at arch.unige.it o anche schenone at email.it, sito: www.schenone.8k.com) per averci messo a disposizione questo suo studio, in una stesura ancora non definitiva. Per esigenze grafiche abbiamo omesso le frequenti tabelle riassuntive delle tipologie individuate e delle argomentazioni svolte - sintetizzandone tuttavia i contenuti in forma di discorso continuato quando esse tabelle apportavano elementi analitici ed interpretativi non del tutto gia' descritte nel testo. Carlo Schenone e' da molti anni a Genova una delle figure piu' impegnate nella riflessione sulla nonviolenza e nella pratica di essa nei movimenti e nei conflitti sociali, particolarmente attivo nella formazione; con una lunga, ampia e qualificata esperienza sia di impegno politico e sociale di base, sia di rappresentanza nelle istituzioni, sia di intervento meditato e propositivo nelle sedi organizzative e di coordinamento, di dibattito e decisionali, dei movimenti per i diritti] Le possibili minacce e la struttura difensiva La Difesa civile non armata e nonviolenta (Dcnan) e' stata indicata dal Parlamento italiano come modalita' di attuazione del "sacro dovere di difesa della Patria" sancito dalla Costituzione Italiana (1). Ma per concretizzare la travagliata scelta del Parlamento di assegnare all'Ufficio nazionale per il servizio civile (Unsc) il compito della ricerca relativa alla Difesa civile non armata e nonviolenta e' necessario affrontare una riflessione generale sul modello di difesa che lo Stato intende realizzare, cosa che normalmente si da' per scontata ma che tale non puo' essere, soprattutto dopo che tale modello e' stato notevolmente modificato nel corso degli ultimi anni (2), pur senza un reale dibattito interno al Paese. "Difendere la Patria" significa difendere i confini tracciati sulle montagne da scrupolosi topografi, la salute delle persone oppure anche il loro semplice benessere materiale? La Repubblica Italiana deve difendersi dalle invasioni di eserciti nemici, dallo straripare dei popoli confinanti in cerca di sopravvivenza o dalle minacce derivanti dai processi produttivi e dai trasporti? Puo' difendersi con tutti i mezzi esistenti oppure deve rispettare criteri razionali, morali o etici? Siamo tutti chiamati a difenderci e a difendere chi ci sta attorno oppure solo alcuni devono o possono proteggere tutti gli altri? Si intende intervenire solo per contrastare le minacce o anche per prevenirle ed alleviarne le conseguenze? Il significato del termine "Difesa" dipende da cio' che si sceglie in relazione ai valori che si hanno e al significato della vita che ne deriva. E' importante che il concetto di difesa condiviso sia chiaro per arrivare a concretizzare una difesa che raggiunga il suo scopo. Il modello di difesa italiano attuale, che spesso si da' per ineluttabile, rispetta un concetto di difesa condiviso o e' semplicemente stato stabilito secondo il criterio di coloro che sono stati incaricati di tale scopo e inconsapevolmente assecondato dal Parlamento? Possono essere vari i motivi che spingono a contestare un modello di difesa e quindi richiederne altri che siano piu' confacenti e che rispondano a diverse aspettative. L'attuale modello di difesa, per esempio, in caso di conflitto aperto, non difende la vita dei cittadini che dovrebbe difendere. Come oramai e' piu' che evidente, in caso di conflitto armato, le popolazioni sono quelle piu' a rischio, ben piu' che gli eserciti (3). D'altra parte anche le ricchezze della popolazione non vengono difese perche' le distruzioni annullano la ricchezza di regioni intere. Gli ultimi conflitti hanno reso sempre piu' evidente che non c'e' esercito che riesca a preservare la vita e il benessere delle popolazioni che dovrebbe difendere dalle violenze del conflitto (4). L'unica possibilita' che cio' avvenga e' nel caso in cui l'esercito agisca in territori ben lontani da cio' e coloro che deve difendere. In altre parole solo gli eserciti di invasione possono portare benefici a coloro che dovrebbero beneficiare, ma possono fare cio' proprio quando non sono piu' eserciti di difesa ma di attacco, di rapina. Per di piu', l'attuale sistema di difesa minaccia il benessere collettivo anche quando non ci sono conflitti espliciti, drenando ingenti risorse dai cittadini per disperderle in un mercato spesso gonfiato di servizi e beni destinati, quando va bene, allo smaltimento in discarica senza essere mai stati utilizzati. Diventa difficile pensare che una difesa militare possa essere fattore deterrente se crea piu' danni a chi afferma di difendere che a chi minaccia. Un tale modello di difesa non evita lo scontro ma al contrario rischia di generarlo, creando squilibri continui nella minaccia vicendevole tanto che scontri possono avvenire senza reali motivi ma solo per paura di una ipotetica minaccia altrui, per una supposta superiorita' o perfino per puro caso o fraintendimento. Fondamentalmente il modello di difesa attuale assicura esclusivamente la vittoria del piu' forte che non e' necessariamente quello che, se puo' esistere una tale distinzione, si trova moralmente dalla parte del giusto. E dato che la forza non e' piu' data dal numero delle persone ma dalla disponibilita' di risorse tecnologiche, questo modello di "difesa" assicura semplicemente la vittoria del piu' ricco. Ed essendo ormai evidente a tutti che questo sistema di difesa minaccia le cose che dovrebbe difendere, il nuovo bene che si afferma di difendere e' diventata la liberta'. Ma questo modello di difesa e' quanto di piu' illiberale, prendendo in ostaggio persone e informazioni e negando i diritti primari, sempre in nome del principio sacrosanto della difesa. Se poi si considera che tali strutture militari sono le principali artefici degli attacchi alle istituzioni democratiche, risulta evidente che non sono loro che possono difendere le istituzioni di un paese. Tutto quello che questi modelli di difesa dicono di difendere in realta' lo mettono in pericolo. Allora e' necessario fare una riflessione su quali siano le aspettative per una difesa almeno sui quattro punti fondamentali: Chi, da cosa, come e con chi difendere? Le scelte su questi argomenti necessariamente escluderanno alcuni modelli di difesa evidenziandone altri. Nel seguito, quindi, saranno prese in considerazioni tutte le opzioni di difesa senza distinzioni di merito o di valore, una semplice carrellata di quali sono, nei diversi modelli di difesa presenti nel mondo, i criteri tenuti in considerazione. * I beni minacciati (cosa difendere) Per definire "cosa" difendere c'e' innanzi tutto da tenere in considerazione il concetto di "sacro dovere di difesa della Patria". Nulla vieta di estendere il sacro dovere di difesa ad altro oltre la Patria, ma sicuramente, parlando di difesa in Italia e' necessario fare i conti con il dovere di difesa sancito dalla Costituzione. Il concetto di Patria, infatti, puo' riferirsi a "cose" anche molto diverse tra loro, ad uno spazio, un territorio, a delle persone, a dei beni, delle ricchezze. La prima concretizzazione del concetto di Patria, quella piu' tipica, sono i confini nazionali. In tale concezione, difendere la Patria significherebbe difendere un territorio, uno spazio fisico. Piu' in generale il territorio da difendere potrebbe anche restringersi allo spazio vitale di ogni singola persona, quasi un contesto fisiologico necessario alla sopravvivenza, quello che molti animali intendono come proprio territorio. Considerando pero' il concetto di territorio piu' da un punto di vista sociale che fisiologico, si puo' intendere come la struttura organizzativa delle popolazioni, la loro organizzazione sociale, soprattutto da un punto di vista amministrativo storicamente rappresentato, come abbiamo visto prima, dai confini geografici di una amministrazione. Questo e' sicuramente un criterio semplice in quanto rende semplice la distinzione tra quello che e' con me, l'amico con cui ci si difende, e quello che e' contro di me o e' diverso da me, il nemico da cui difendersi. Ma le strutture organizzative sociali potranno essere identificate sulla base di strutture politiche, piu' che da linee di confine, intese come le istituzioni decisionali, gli organi di governo che amministrano una popolazione, sia esso un parlamento o un consiglio comunale. Difenderli significa dare loro la possibilita' di operare, prendere decisioni ed attuarle, come avviene in alcuni paesi del Centro America in cui consigli locali continuano ad operare in parallelo alle amministrazioni centralizzate imposte dal governo. Da un altro punto di vista, i territori che si intendono difendere possono essere quelli definiti dalle lingue e culture delle popolazioni che abitano in un dato spazio, i loro modi di vivere, le loro usanze o ancora di piu' le loro lingue. In questo caso i confini diventano molto meno definiti, si intersecano e si mescolano, e cio' richiede delle mediazioni proprio perche' una linea sul terreno definisce un dentro e un fuori ma cio' non puo' essere fatto facilmente per le culture o le lingue, come e' evidente in Kurdistan o per i Rom. In alcuni casi i confini potranno essere intesi come distinzioni di regioni culturali o linguistiche, in altri anche questo sara' impossibile. Analogamente si puo' pensare di difendere non tanto uno spazio quanto un insieme di beni. In tal caso bisogna ulteriormente distinguere se si intende difendere il benessere, la pace, intesa come lo "shalom", delle popolazioni, o la ricchezza economica oppure, ancora, i privilegi conquistati, cioe' quello che si e' riusciti ad ottenere col proprio lavoro o perfino prendendolo agli altri. Si puo' scegliere di difendere le ricchezze appartenenti a chi si difende, non necessariamente dentro ad un limitato spazio geografico, magari anche in quantita' e forma che varia nel tempo. Tali ricchezze possono essere le abitazioni e gli oggetti di vita quotidiana delle persone o le bellezze naturali e culturali, ma anche le materie prime, gli impianti industriali, le infrastrutture da preservare dagli attacchi del tempo e degli uomini. Allo stesso tempo, possono anche essere organizzazioni produttive o pacchetti azionari operanti sul mercato globale. E' in base a questo criterio che il modello di difesa italiano prevede la possibilita' di intervenire fuori dai confini della Patria per difendere i suoi interessi economici. Si considera Patria da difendere qualsiasi attivita' che porti ricchezza al paese. Altro punto di riferimento dei modelli di difesa possono essere le persone o piu' in generale le popolazioni. In alcuni casi la difesa si limita a considerare solo i soggetti piu' deboli, che possono essere deboli da un punto di vista fisico o da un punto di vista sociale, come nel caso di alcuni servizi sanitari nazionali o di assistenza sociale. In tale caso non ci si interessa di difendere tutta una popolazione ma solo di non abbandonare coloro che non avrebbero mezzi per difendersi. Tutti gli altri dovranno arrangiarsi con le loro forze. Tale approccio difficilmente configura una difesa della Patria che piu' coerentemente potra' essere associata alla difesa dell'intera popolazione, potendo intendere come popolazioni sia le singole persone che le etnie. Nel primo caso sara' necessario stabilire se sono soggetti da difendere solo coloro nati all'interno di un confine o, altrimenti, considerare appartenenti alla Patria tutti coloro che in tale confine ci vivono. Da questo, per esempio, cambiera' conseguentemente il comportamento nei confronti dei migranti. Chiunque, pero', sara' considerato soggetto da difendere mentre nel secondo caso, come per i territori linguistici, difendere le etnie, quindi aggregazioni umane, puo' portare a minacciare le altre invece di accettare una contaminazione vicendevole che permetta di inglobare tra loro le diverse etnie in maniera rispettosa dei valori e delle ricchezza apportate da ognuna. Queste sono tutte questioni che sicuramente portano a delle distinzioni riguardo al modello di difesa da adottare. * Le fonti di minaccia (da cosa difendere) Affrontando il tema del "sacro dovere di difesa della Patria" il primo tipo di minaccia cui vien fatto di pensare e' quella derivante da un esercito nemico. Ma non solo gli eserciti minacciano cio' che si ritiene la Patria. Oramai e' luogo comune considerare il terrorismo minaccia di tutta la collettivita' ma non da meno sono le organizzazioni criminali. peraltro minacce possono venire dall'interno allo stesso Stato, dalle forze armate che dovrebbero difenderlo ma anche da forze politiche che ne sono parte costituente, come nel caso in cui chi deve combattere la malavita organizzata ne e' partecipe o quando il potere viene preso violentemente da chi deve difendere la popolazione dalla violenza. La Patria puo' quindi difendersi da tutte le minacce che persone, gruppi e organizzazioni potrebbero attuare nei sui confronti. Ultimamente, poi, gli attacchi volontari possono arrivare anche da organizzazioni economiche come holding finanziarie o multinazionali che sono in grado di mettere a repentaglio le economie di interi paesi in maniera rigorosamente legale. Riferendosi inizialmente ai confini dello Stato, il concetto di difesa diffusosi nella nostra cultura nel secolo scorso non ha mai preso in considerazione altre minacce se non quelle volontarie. Solo negli ultimi decenni, dall'alluvione del Polesine e dalla tragedia del Vaiont in Italia si e' andata formando la coscienza che la collettivita' deve anche difendersi in maniera non semplicemente spontaenistica da cio' che la minaccia sia per cause naturali come alluvioni, terremoti, valanghe e tempeste che per colpe involontarie degli uomini come esplosioni, allagamenti, crolli, alluvioni, incendi e frane. Questo processo ha portato al costituirsi del servizio di Protezione Civile. Solo per alcuni tipi specifici di minacce la collettivita', soprattutto a livello locale, aveva in qualche maniera in passato provveduto a dotarsi di strutture collettive di difesa, come quella sanitaria, con ospedali, ambulanze e, solo in tempi successivi un servizio sanitario nazionale, o quella dagli incendi con i pompieri. Per il resto ognuno doveva provvedere da solo o con la solidarieta' che sorgeva spontanea sul momento. In molte situazioni ci possono essere interessi contrari al difendere da un certo agente che minaccia, che ostacolano la strutturazione di tali difese. Se ci si difende da minacce volontarie umane, possono rifiutarsi di collaborare alla difesa da queste minacce coloro che vedono un vantaggio indiretto nell'attuazione delle minacce, magari per connivenza con chi minaccia. Una difesa da minacce umane involontarie, o, al limite, colpose, puo' essere ostacolata dal fatto che c'e' chi ha piu' vantaggio individuale rispetto a quanto e' il rischio, e puo' anche non essere solo una persona ma un ente ad avere piu' vantaggio che rischio dal far sopportare o dalla concretizzazione di queste minacce. Per esempio, in questioni di difesa ambientale, lo svantaggio per il singolo individuo che specula sui possibili rischi e' sicuramente inferiore al vantaggio che ne puo' trarre se la minaccia si concretizza, come e' risultato piu' che evidente dalle vicende del Vaiont o di Bophal. Nel caso di minacce naturali, la difesa puo' essere osteggiata se c'e' piu' vantaggio individuale ad impiegare risorse in altri contesti che nella prevenzione del rischio collettivo, come avviene per le risorse da dedicare alla ricerca sulle malattie che vengono cosi' difficilmente reperite tanto da ricorrere alla solidarieta' di telespettatori mentre invece vengono regolarmente allocate per l'acquisto di sistemi d'arma. Questi sono tutti fattori da tenere in considerazione nell'organizzazione della difesa. * Modalita' di risposta (come difendere) La scelta della modalita' di difesa e' quella che piu' pesantemente implica condizionamenti di tipo etico. La prima scelta, per esempio, riguarda la possibilita' di ammettere l'aggressione a scopo di difesa di un interesse che si ritiene superiore e non equivalente a quello degli avversari. Se, per esempio, si decide di difendere l'interesse e il benessere materiale anche a scapito di quelli degli avversari, diventa ragionevole non limitarsi a respingere gli attacchi altrui ma arrivare ad attaccare gli avversari nelle situazioni in cui si sa di essere piu' forti. Cio', quindi, farebbe rientrare l'aggressione nel suo concetto opposto, quello di difesa. Per scegliere in quali maniere ci si puo' difendere serve distinguere varie forze, vari atteggiamenti, diversi motivi. Ci si puo' "difendere" con l'aggressione quando ci si sente piu' forti e si ritiene che il proprio interesse sia superiore a quello altrui. Nel caso in cui, pero', non si e' convinti di avere una maggiore forza degli avversari, se si ritiene il proprio interesse superiore a quello altrui di solito si evita di ingaggiare il conflitto ma ci si prepara per usare tutte le proprie risorse cercando di distruggere o almeno danneggiare l'avversario, provando o almeno rischiando di arrecargli danni, dolore e distruzione. Queste due ipotesi possono integrarsi in quanto una difesa violenta permette abbastanza facilmente di essere trasformata in sistema di attacco. Cio' non e' immediato perche', per esempio, la costruzione di una portaerei, che e' una tipica arma di attacco, richiede tempo e notevoli risorse, ma un modello di difesa violenta e' un ottimo modello di base per un modello aggressivo. Si trattera' di integrare il primo con gli strumenti e le metodologie utili all'aggressione. Un'altra maniera di difendersi e' con la forza ma senza violenza, senza prevaricazione. Cio' richiede un impegno ad organizzare una difesa concretamente, utilizzando anche delle risorse specifiche, distogliendole da altri usi. Richiede quindi di impiegare risorse umane e materiali nella prevenzione e, se necessario, nella reazione alla minaccia, serve organizzare delle strutture che preparino e mantengano efficace tale difesa e che siano in grado di attivare una difesa efficace al momento della concretizzazione della minaccia. All'interno di questo logica rientrano anche interventi di interposizione in conflitti altrui. Tali interventi, rappresentano una maniera di agire l'ingerenza umanitaria senza che questa possa configurarsi come forma di occupazione. E' una azione di contrasto a minacce, anche se rivolte ad altri. Se si ritiene, invece, sufficiente una preparazione culturale generalizzata, considerando che basta essere educati in un certo contesto per evitare i problemi, ci si puo' limitare ad utilizzare una piu' o meno limitata quantita' di risorse per prevenire culturalmente i conflitti, lasciando alla reazione istintiva dei singoli la risposta nel caso la minaccia prenda corpo. Cio', per esempio, potrebbe valere, per quanto riguarda la protezione civile, concependola come una educazione alla prevenzione, insegnando nelle scuole ad evitare atteggiamenti rischiosi, come, per la difesa dalle minacce umane, tramite una educazione alla pace e alla risoluzione dei conflitti personali, sociali e internazionali. Infine, si puo' anche scegliere di non organizzare preventivamente una difesa, se si ritiene sufficiente la capacita' istintuale di reazione alle avversita', per cui in ogni momento ogni essere umano e' capace autonomamente, senza particolari preparazioni, di reagire ad una situazione di minaccia. Ci si limitera' a basarsi sulla difesa spontanea se si ritengono le capacita' individuali di autodifesa sufficienti a superare i conflitti, lasciando eventualmente al momento del conflitto l'organizzazione di una difesa collettiva. Se invece si considera necessario prevenire i conflitti ma si ritiene che per fare cio' sia sufficiente una preparazione culturale ed una educazione della popolazione l'impiego di risorse sara' limitato, e in caso di conflitto oltre che alla capacita' di difesa istintuale si potrebbe contare sulle conoscenze acquisite a livello culturale. Ritenendo pero' necessario preparare anche delle azioni di difesa, sara' necessario impiegare delle risorse umane e materiali non solo per l'educazione, la formazione e la preparazione della difesa, ma anche in previsione dell'attuazione delle minacce. Sara' necessario predisporre una organizzazione che gestisca e mantenga tali risorse, anche addestrando coloro che verrebbero incaricati della difesa, prevedendo le strutture di allerta e l'attivazione della difesa al momento dell'emergenza. Nel caso di minacce umane volontarie, pero', si puo' ipotizzare di difendersi anche mettendo a rischio l'incolumita' dell'avversario. E' la classica risposta violenta in cui pur di difendere i propri interessi si ritiene un proprio diritto danneggiare se non distruggere l'avversario. Cio' deriva dal ritenere il proprio interesse piu' importante di quello altrui anche se cio' puo' portare ad un inasprimento del conflitto e ci mette a rischio di danni maggiori. Se poi si tiene in conto solo il proprio interesse e soprattutto ci si sente i piu' forti, si puo' essere tentati a "difendere i propri interessi" anche attaccando gli interessi altrui. In tale caso, ovviamente, il termine difesa e' volutamente forzato ma tale scelta e' alla base di buona parte dei modelli di difesa attualmente utilizzati dagli eserciti occidentali. * Responsabilita' di difesa (chi difende) L'ultimo punto riguarda la scelta di chi difende. Il problema e' che chi difende puo' avere vari motivi e varie spinte. La difesa da parte di pochi professionisti e' desiderata da chi vuole professionalita' e preferisce che ci sia una specifica preparazione, molto raffinata, riguardo a questi problemi. Il vantaggio della difesa basata su pochi professionisti e' che si usano poche risorse umane, anche se in effetti servono risorse materiali che sopperiscano al numero limitato di addetti. Dovendo delegare a poche persone un compito cosi' delicato come la difesa di tutta una popolazione serve fornirli di strumenti molto potenti e tecnologicamente avanzati la cui vendita implica notevoli guadagni per chi li produce e commercializza. Anche per questo avere una organizzazione in cui pochi professionisti curano la difesa della collettivita' e' conveniente per chi fornisce tali strumenti sofisticati. Peraltro, essendo necessaria una alta professionalita' nei pochi difensori, costoro sono tra i fautori di tale tipo di scelta traendone un notevole vantaggio economico. Poche persone, pochi enti, sono attualmente interessati alla difesa degli interessi collettivi. In questa maniera questi pochi hanno tutto il potere di dare o levare sicurezza agli altri. Dare e levare sicurezza, e' una questione estremamente delicata nella vita degli uomini, fin dalla loro nascita, ed e' un rapporto di potere molto forte del cui abuso spesso non si tiene sufficientemente conto, fino al giorno in cui l'esercito occupa il parlamento o la polizia attacca i manifestanti inermi. Assegnare tale potere a pochi crea uno squilibrio che crea timore a chi non si fida della fedelta' al bene comune di costoro, sia che intendano abusarne sia che, semplicemente, lo considerino in subordine al proprio, rinunciando a difendere se cio' mette a repentaglio la loro stessa sicurezza. Una parziale evoluzione di tale modello che sta sempre piu' spesso prendendo campo e' quella di una difesa in cui nella fase di emergenza si ricorre a personale specializzato non alle dipendenze dirette dello stato. Da un certo punto di vista questo modello, che potrebbe anche permettere una economia di gestione, anche se spesso non concede neppure questo, rende ancora piu' debole la struttura dal punto di vista della detenzione del potere. Per cercare di risolvere, almeno parzialmente, tali problemi, in alcuni modelli di difesa si e' scelto che le poche persone delegate alla difesa lo fossero a turno tra tutta la popolazione. Cio' consente un minore accentramento del potere e riduce l'interesse degli addetti i quali lo saranno solo a tempo parziale. Questa scelta, peraltro, riduce la possibilita' di acquisire una alta professionalita' tra gli addetti e richiede ugualmente che ci sia almeno una struttura dirigenziale stabile che in definitiva continuerebbe a detenere il potere di dare o levare sicurezza, anche se in misura decisamente minore. Un'altra scelta presente negli attuali modelli di difesa prevede di coinvolgere alcuni stabilmente o a turno e, in emergenza, tutti. I pochi coinvolti stabilmente si limitano a mantenere la struttura di addestramento, che si svolgera' a turno, e di allertamento. E' il modello classico della difesa popolare. Questo modello e' auspicato da chi non vuole delegare completamente la propria sicurezza ad altri ma costantemente essere responsabile della propria sicurezza, pur permettendo di assicurare un buon livello di difesa in caso di emergenza. Questo modello permette di non tenere impiegate troppe risorse, perche' solo alcuni sono costantemente impegnati, pur conservando a tutti il potere della propria difesa, mantenendo l'efficacia, soprattutto attuando una rotazione tra gli addetti. Una ultima possibilita' prevede una mobilitazione costante di tutti. Puo' essere richiesta per avere la corresponsabilizzazione di tutti nella vita sociale da chi si aspetta che tutti si sentano coinvolti in quello che succede nella vita di tutta la popolazione. In questo modello tutti sono chiamati costantemente all'autodifesa, ognuno e' responsabile nel bene e nel male della difesa del bene collettivo e puo' essere scelto se non si ritiene fondamentale una preparazione o, contrariamente, si ritiene utile un utilizzo notevole di risorse per la preparazione di un grande numero di soggetti. * Tempi della difesa (quando difendere) Un aspetto importante da tenere in conto nella classificazione dei modelli di difesa riguarda anche i tempi in cui i diversi modelli cercano di rispondere alle minacce. Prevenzione: e' la fase in cui il conflitto puo' essere gia' presente ma non e' ancora esploso. In questa fase e' possibile operare per ridurre l'intensita' del conflitto ed evitare che arrivi a scatenare le sue conseguenze piu' nefaste. Durante questo periodo e' peraltro molto piu' facile attrezzare le strutture di difesa per l'eventualita' dell'emergenza. Purtroppo in questo periodo la minaccia non e' ancora esplicita e spesso non viene percepita o per lo meno non viene percepita come pericolosa. Cio' fa si' che spesso questa fase venga trascurata, anche contando su una provvidenziale dissoluzione autonoma o non attivazione della minaccia. Emergenza: e' la fase di cui solitamente ci si prende piu' cura proprio per la drammaticita' della situazione. E' la fase in cui le capacita' di autodifesa delle persone piu' facilmente si attiva. E' la fase in cui maggiori sono i danni e il dolore provocati dall'attuazione della minaccia. Recupero: una volta la minaccia (sia esso un conflitto aperto, un incendio o una epidemia) ha generato i suoi danni anche la fase di recupero puo' essere considerata parte dei tempi della difesa, soprattutto quando questa funzione deve cominciare quando l'emergenza e' ancora attiva. Tenere in considerazione nella difesa anche questa fase permette di ridurre notevolmente i danni seguenti alla fase di emergenza, anche se, come, se non piu' che per la prevenzione, e' difficile che sia sufficientemente tenuta in considerazione quando la minaccia non e' ancora esplicita. In sintesi: la difesa nella fase della prevenzione evita (ovvero cerca di evitare) i danni; nella fase dell'emergenza blocca (ovvero cerca di bloccare) i danni; nella fase del recupero riduce e allevia (ovvero cerca di ridurre e alleviare) i danni. * Scopi e principi della difesa collettiva Riguardo a tutti questi aspetti, da cio' che si decide deriva anche una differenza del modello di difesa da adottare. Ovviamente tali scelte diventano indirettamente delle scelte relative alla struttura delle relazioni delle persone che intendono adottarla andando ad influire notevolmente anche sulla forma e sulla pratica dell'istituzione statuale che pratica la difesa. Attualmente, per una stratificazione storica, le scelte differiscono da minaccia a minaccia. Per esempio per le minacce volontarie la scelta e' quella di fare difendere il territorio e il benessere economico da pochi professionisti con la violenza se non con l'aggressione, con una limitata attenzione alla difesa delle popolazioni e delle istituzioni. Per le minacce naturali e quelle involontarie si e' scelto di usare un modello di azione diretta delegato a pochi professionisti con il supporto di tutta la popolazione durante le emergenze, come durante le epidemie in cui la cura viene rimandata alle famiglie o in occasione di alluvioni e terremoti durante i quali vengono mobilitati i volontari per il soccorso, soprattutto a lungo termine. Vediamo quali potrebbero essere le scelte da adottare per giungere ad una Difesa civile non armata e nonviolenta. * Cosa Il modello di Dcnan dovrebbe prevedere di difendere i deboli, aiutare chi non ha la capacita' di difendersi, ma difendere anche le popolazioni, con le loro culture autonome che devono poter coesistere con la salvaguardia della cultura presente su un territorio, con ricchezza di scambio di diversita' nel rispetto di alcuni principi fondamentali comuni. Un problema che riguarda la difesa e' quello di imporre ad altre popolazioni di cessare certe usanze che si ritengono non rispettose dei diritti umani. E' giusto che la popolazione residente su un territorio veda rispettati i propri principi fondamentali, ma anche la propria cultura pur essendo disponibile ad accogliere la ricchezza di culture diverse. Tale modello dovrebbe anche difendere lo spazio vitale nelle sue ricchezze, anche culturali, rendendole disponibili a chiunque voglia farne un uso rispettoso e non esclusivo, secondo organizzazioni decise autonomamente da tutti coloro che risiedono sul territorio per nascita o per scelta. * Da cosa La Dcnan dovrebbe difendere da tutte le minacce umane volontarie, involontarie e naturali in un'ottica integrata. Gia' attualmente lo stato si prende cura di difendere da tutte queste minacce con modelli e strutture diverse. Cio' avviene a partire dal secolo scorso, derivando da una evoluzione del concetto di difesa. Se all'inizio si e' passati a convertire gli eserciti al servizio di signori della guerra in strutture militari che difendessero dagli attacchi degli eserciti di altri stati, in seguito sono state concepite strutture per la difesa da minacce naturali come gli incendi o come le malattie, con i pompieri o le pubbliche assistenze. Solo negli ultimi decenni si e' andati ad integrare le diverse strutture sia per avere una migliore efficacia sia per ridurre l'impiego di risorse. Avere una struttura integrata che comprenda tutte le minacce non esclude la possibilita' di avere strutture parallele che siano in grado di surrogare e/o controllare le altre strutture. Cio' pero' non sarebbe lasciato al momento dell'emergenza ma concepito ed organizzato fin dall'inizio. * Come Il modello di Dcnan non deve essere basato su rapporti di forza ma di giustizia, esso, quindi, puo' prevedere anche dinamiche di forza, ma non di violenza, in cui le azioni derivano da criteri di giustizia. Difendersi convinti che l'interesse particolare puo' realizzarsi solo nell'interesse generale, quindi dove il mio interesse non e' ne' superiore ne' inferiore a quello altrui ma e' comune, impiegando risorse umane materiali nella prevenzione dei problemi oltre che nella loro eventuale soluzione, lavorando per una crescita culturale e facendo anche leva sulle capacita' istintuali. La difesa dovrebbe essere attuata innanzitutto con la prevenzione, cercando di evitare, per esempio, le minacce volontarie grazie ad un preventivo sforzo, culturale ed economico, di collaborazione e condivisione, rimuovendo le cause di minacce umane involontarie, sapendo rinunciare eventualmente ai vantaggi parziali portati alla collettivita' e prevenendo le minacce naturali evitando comportamenti rischiosi, come la costruzione di case sui fianchi dei vulcani. Tale prevenzione richiede la gestione della trasformazione con lo scopo di evitare la degenerazione della corruzione e dell'abuso, lavorando quindi in un contesto politico o sociale affinche' non si giunga ad una degenerazione. E' quindi necessario non limitarsi semplicemente a una preparazione organizzativa ma concretamente rendere partecipe e pronta ogni singola persona, e non semplicemente determinate forze di controllo. Per quanto riguarda la fase dell'emergenza, poi, le azioni di forza dovranno essere basate sul principio del danno minore e della incolumita' di tutte le persone coinvolte nel conflitto. A tal fine saranno da adottare tutte le tecniche di azione diretta nonviolenta, organizzate prima dell'emergenza. Tra queste sicuramente rientrano le strutture che consentano l'azione di governi paralleli e il coinvolgimento di terze parti. Da non trascurare l'aiuto di coloro che hanno subito danno da tutte le minacce, dalla predisposizione di tendopoli per gli sfollati alla eliminazione di terreni infestati da ordigni. * Chi Infine, per quanto riguarda la responsabilita' della difesa, oltre a prevedere una presenza costante, a turni tra tutte le persone, che consenta una risposta immediata, ma soprattutto una mobilitazione e organizzazione di tutti nei momenti di emergenza, si puo' scegliere di coinvolgere tutti ad un livello minimo, affinche' prendano su di se' la responsabilita' della difesa propria e di quella del vicino in tanti sensi, sia fisicamente che socialmente. Servira' percio' prevedere dei periodi di preparazione che consentono una prevenzione ed una azione efficace e competente; prevedere un coinvolgimento generale nelle scelte organizzative politiche, cosa che permette una distribuzione del potere annullando i pericoli legati all'abuso di potere. * Quando Come per le minacce di cui tenere conto, anche in questo caso il modello dovrebbe prevedere tutti i tempi in modo da dare a tutti una sicurezza generale. Sicuramente sara' da tenere maggiormente in conto la fase di prevenzione rispetto al solito e affrontare in maniera del tutto nuova la fase di emergenza, ma anche la fase di recupero dovrebbe essere tenuta in debita considerazione anche come parte della strategia di difesa durante l'emergenza e di deterrenza. In sintesi, la Difesa civile non armata e nonviolenta difende l'incolumita' di tutte le persone, le loro scelte culturali ed esistenziali che non siano in contrasto con diritti universalmente riconosciuti, i territori in cui vivono sia per gli aspetti materiali che relazionali, pur con la disponibilita' a condividerli con chi accetta di condividerli; difende da minacce di qualsiasi tipo, siano o meno causate volontariamente dall'uomo o dalla natura; agisce coinvolgendo per parte del tempo tutti ma impiegando alcuni costantemente in una struttura organizzativa di prevenzione e allerta; opera con una azione di prevenzione e monitoraggio, tramite la deterrenza basata sulla noncollaborazione o l'ostruzione in caso di violenza - ma senza mai minacciare o far uso della violenza-, con una condivisione culturale ed una formazione continua, valorizzando e stimolando la capacita' istintuale di autodifesa; interviene sia preventivamente, sia durante l'emergenza, sia dopo l'emergenza. * Note 1. La Corte costituzionale nel 1985 dichiaro' la piena legittimita' del servizio civile e la sua piena parita', ai fini del dovere costituzionale di difesa della patria, col servizio militare. Cio' ha introdotto nella giurisprudenza italiana il principio di forme di difesa alternative a quella militare. Dato che la legge 230/1998, riformando il Servizio Civile alternativo al servizio militare, assegna la gestione di tale Servizio Civile all'Ufficio nazionale per il servizio civile e all'art.8.1.e assegna a tale ufficio il compito di "predisporre, d'intesa con il Dipartimento per il coordinamento della protezione civile, forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile non armata e nonviolenta", risulta evidente come il sacro dovere di difesa della Patria, che puo' essere svolto tramite il Servizio Civile, trova una sua attuazione concreta nella Difesa civile non armata e nonviolenta che l'ufficio che gestisce tale Servizio Civile e' tenuto a sviluppare. Cio' e' ulteriormente sancito dalla stessa legge n. 64 del 2001 che ha istituito il Servizio civile nazionale finalizzato a "concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attivita non militari" assegnandolo proprio all'Unsc. 2. Documento sul nuovo modello di difesa. 3. Piu' vittime civili che militari. 4. Vittime civili in Iraq contro vittime militari. (Parte prima - Segue) 3. LETTURE. TEA FRIGERIO, FELICE TENERO: FACCIAMO VITA LA PAROLA Tea Frigerio, Felice Tenero, Facciamo vita la parola. Per una visione globale della Bibbia, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2004, pp. 224, euro 10. Un utile strumento di lavoro per un accostamento comunitario alla Bibbia; Tea Frigerio, delle missionarie di Maria (saveriane), dal 1974 in Brasile, e' docente di Sacra Scrittura ed e' attualmente responsabile del programma di formazione per operatori pastorali del Cebi (Centro di studi biblici); Felice Tenero, dal 1982 al 1992 missionario in Brasile, attualmente parroco a Stallavena Alcenago (Vr), e' animatore di gruppi biblici e collaboratore del Centro unitario missionario (Cum). Per richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax: 0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito: www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm 4. LETTURE. MARIO LUZI: LA FERITA NELL'ESSERE Mario Luzi, La ferita nell'essere. Un itinerario antologico, Passigli, Firenze-Antella 2004, nuova edizione in suppl. a "La Repubblica", Roma 2005, pp. euro 6,90. A cura di Valerio Nardone, "un'antologia non canonica, ma libera e attiva" dell'opera poetica di una delle grandi voci della lirica e della riflessione morale italiana del Novecento. 5. LETTURE. ANNA PUGLISI: DONNE, MAFIA E ANTIMAFIA Anna Puglisi, Donne, mafia e antimafia, Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato, Palermo 1998, nuova edizione DG editore, Trapani 2005, pp. 160, euro 14. Alcuni dei piu' rilevanti saggi di Anna Puglisi, prestigiosa studiosa e militante antimafia, fondatrice e infaticabile animatrice dell'esperienza del Centro Impastato di Palermo. Con una nota introduttiva di Augusto Cavadi, ed una utilissima ed aggiornatissima bibliografia ragionata. Un libro la cui lettura vivamente consigliamo. Per contatti con l'autrice, e per ulteriori informazioni: Centro Siciliano di Documentazione "Giuseppe Impastato", via Villa Sperlinga 15, 90144 Palermo, tel. 0916259789, fax: 091348997, e-mail: csdgi at tin.it, sito: www.centroimpastato.it Per richiedere il libro alla casa editrice: DG editore, by Di Girolamo Crispino, corso Vittorio Emanuele 32-34, 91100 Trapani, tel. e fax 923540339, e-mail: info at ilpozzodigiacobbe.com, sito: www.ilpozzodigiacobbe.com 6. LETTURE. WILLIAM SIMPSON: LA GUERRA IN CASA 1943-1944 William Simpson, La guerra in casa 1943-1944, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2004, pp. 272, euro 10. La cospicua testimonianza William Simpson sulla "Resistenza umanitaria dall'Abruzzo al Vaticano", in uno dei sempre appassionanti volumi della utilissima collana di memorialistica "E si divisero il pane che non c'era", curata dagli studenti, gli insegnanti e il preside del Liceo scientifico statale "E. Fermi" di Sulmona; collana che propone libri di intensa e rigorosa testimonianza "sulla seconda guerra mondiale e su quel singolare fenomeno di spontanea solidarieta' delle popolazioni peligne, e italiane in genere, nei confronti di migliaia di prigionieri alleati fuggiti, dopo l'armistizio, dai campi di concentramento e pervicacemente cacciati dalle truppe d'occupazione tedesche". Per richieste: Edizioni Qualevita, via Michelangelo 2, 67030 Torre dei Nolfi (Aq), tel. 3495843946, o anche 0864460006, o ancora 086446448; e-mail: sudest at iol.it o anche qualevita3 at tele2.it; sito: www.peacelink.it/users/qualevita 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 924 del 9 maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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