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La nonviolenza e' in cammino. 916
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 916
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 1 May 2005 00:14:34 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 916 del primo maggio 2005 Sommario di questo numero: 1. Nadia Cervoni: Appello per la liberazione di Muyeser Gunes 2. Shadi Sadr: Presidente Khatami, perche' mi e' stato tolto il passaporto? 3. Lucio Magri ricorda Andre Gunder Frank 4. Giancarla Codrignani: Giovanni Paolo II e le donne 5. Ileana Montini: Quando il multiculturalismo diventa complicita' 6. Andrea Cozzo: La capacita' di identificare la violenza 7. Enrico Peyretti: Costermano 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. APPELLI. NADIA CERVONI: APPELLO PER LA LIBERAZIONE DI MUYESER GUNES [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento. Nadia Cervoni (per contatti: e-mail: giraffan at tiscalinet.it) e' impegnata nelle Donne in nero ed in numerose iniziative di pace, solidarieta', nonviolenza. Muyeser Gunes e' una delle figure piu' autorevoli del popolo curdo, e una delle voci piu' vive della lotta nonviolenta per la pace e la giustizia in Turchia] Soseniamo l'appello per la liberazione di Muyeser Gunes dell'associazione delle "Madri della pace" e degli altri componenti la carovana della pace rinchiusi nelle prigioni turche in attesa di processo. Muyeser Gunes, 53 anni, del quartiere curdo Gazi di Istanbul, madre di due figli uccisi in guerra, fa parte dell'"Associazione delle Madri della Pace in Turchia" come portavoce della sede di Istanbul. Figura autorevole in Turchia, piu' volte protagonista insieme a tante altre donne di significative azioni nonviolente alla ricerca del dialogo e di percorsi di pacificazione interna. Riconosciuta a livello internazionale, soprattutto in Europa, in Italia, Francia, Germania, come ambasciatrice di pace per la questione kurda. Arrivata in Italia la prima volta grazie a Dino Frisullo a cui voleva molto bene, cosi' come tutto il popolo curdo, Muyeser ha partecipato, intervenendo in modo sempre incisivo e straordinariamente coinvolgente, al Genova social forum delle donne nel giugno 2001, alla marcia Perugia-Assisi, a Roma alla manifestazione nazionale contro la guerra in Iraq nel marzo 2003. Sempre presente nelle manifestazioni in Turchia, l'8 marzo del 2004 fu protagonista di un'azione di grande impatto simbolico, recandosi insieme ad altre donne presso la sede del governo di Ankara per offrire in dono il simbolico velo bianco. La loro voleva essere una preziosa offerta di pace, purtroppo respinta, cosi' come tante altre importanti azioni compiute in questi anni dal popolo kurdo che vive in Turchia. Cosi' come accaduto il 3 aprile del 2005, quando Muyeser Gunes, portavoce della carovana di pace partita da Istanbul si e' recata nella regione del Kurdistan per fare con il proprio corpo interposizione nonviolenta insieme ad altre 70 persone e chiedere la fine delle azioni militari governative che ancora di fatto occupano le citta' nel Kurdistan turco imponendo una dura e repressiva legge militare. La manifestazione pacifica e' stata caricata dall'imponente schieramento delle forze dell'ordine, e 27 persone tra cui anche Muyeser Gunes sono state rinchiuse nelle prigioni del distretto di Mardin in attesa di processo. Da fonti dirette pare che nel frattempo il numero sia salito a 58 manifestanti trasferiti nelle prigioni turche. Tutto cio' mentre il primo ministro turco Erdogan a Roma per i funerali del Papa, mostrava tutto il suo risentimento per la presenza in piazza S. Pietro della comunita' curda romana presente con la propria bandiera, cosi' come tanti altri popoli. * Come Donne in Nero abbiamo conosciuto Muyeser Gunes gia' dalla sua prima visita nel 2001 a Roma, e da allora costante, preziosa e fondamentale e' la relazione costruita con lei e con l'associazione Madri della Pace per il lavoro di sostegno alla societa' curda-turca democratica. Per questo lanciamo un appello, inviato dalle Donne in Nero al governo turco e all'ambasciata turca in Italia, che chiediamo di sostenere e di diffondere. Muyeser Gunes ha percorso tutta la Turchia costretta ad abbandonare case e villaggi per sfuggire alla repressione e alla poverta'. Ha perso due dei suoi sei figli, uccisi da una guerra a bassa intensita', una guerra sporca mai riconosciuta cosi' come continua ad essere negata l'identita' del popolo kurdo e le sue espressioni politiche bollate invece come organizzazioni terroristiche. Ma Muyeser ha dimostrato a molte e molti di noi che e' possibile trasformare il dolore in forza che non uccide. Lei sta dedicando la sua forza alla vita, alla pace. I kurdi hanno bisogno di lei ma anche noi tutti e tutte abbiamo bisogno che Muyeser continui a lavorare per noi, con noi. * modello di appello indirizzabile all'ambasciata turca in Italia, via Palestro 28, 00185 Roma, fax: 064941526 a) Testo italiano: Chiediamo l'immediata liberazione di Muyeser Gunes, dell'associazione Madri della Pace, autorevole voce internazionale del movimento della pace e protagonista di pace in Turchia. L'arresto di Muyeser Gunes e di altre 26 persone, avvenuto a Derik mentre partecipavano ad una protesta pacifica per far cessare le operazioni militari in corso, rappresenta una grave violazione dei diritti umani e un duro colpo per il cammino della Turchia verso l'Europa. b) Testo turco Sizden acil olarak baris analarinadan olan muyeser gunesin serbes birakilmasini istiyoruz, kendisi uluslararasi baris hareketinin onemli baris sesi olmakla birlikte, turkiyedede baris gisimcisidir. Askeri bir operasyonun durmasi icin bolgeye giden Muyeser Gunes ve diger 26 kisinin tutuklanmasi, buyuk bir insan haklarinin ihlalidir ve urkiye'nin Avrupa Birligine dogru giden yuruyusune buyuk bir darbedir. 2. DIRITTI. SHADI SADR: PRESIDENTE KHATAMI, PERCHE' MI E' STATO TOLTO IL PASSAPORTO? [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo intervento di Shadi Sadr. Shadi Sadr e' una giornalista iraniana, avvocata ed attivista per i diritti umani delle donne, premiata per il suo "coraggio nel giornalismo" da "Women e-news" nel 2004. Il mese scorso le e' stato ritirato il passaporto. Shadi Sadr sta tentando di sapere dal presidente iraniano Mohammad Khatami perche' le viene impedito di viaggiare] Negli ultimi tempi, il mio lavoro per migliorare la rappresentanza delle donne nell'ambito legale in Iran e' andato abbastanza bene. Lo scorso ottobre, assieme al mio staff, abbiamo aperto il "Centro delle donne per la consulenza legale" a Teheran. Sebbene questa sia un'organizzazione non governativa (in sigla: ong) e lo staff sia composto da cinque persone, ho fornito consulenza legale gratuita e patrocinio in tribunale a varie donne coinvolte in dispute familiari o casi criminali. E' la prima organizzazione di questo genere, qui. Come ogni genitore orgoglioso, ero ansiosa di parlare del Centro con altri e di scambiare suggerimenti ed intuizioni. Percio', il mese scorso, quando sono stata invitata a partecipare al summit internazionale su "Democrazia, terrorismo e sicurezza" a Madrid, in Spagna, organizzato dall'indipendente "Club di Madrid", ho fatto salti di gioia per la possibilita' che mi si offriva di rappresentare il Centro. Ma quando sono andata alla Divisione Passaporti per organizzare il viaggio, ho avuto uno shock dal quale non mi sono ancora ripresa. Mi e' stato detto che mi si impedisce di lasciare il paese. Senza che mi venisse fornita alcuna spiegazione, un ufficiale mi ha ordinato di dargli il passaporto. L'ufficiale ha detto che c'era un'ordinanza contro di me. Poi mi ha dato una ricevuta, che attestava il fatto che il mio passaporto era stato confiscato. Da allora ho vissuto in un limbo, poi lunedi' ho deciso di intraprendere il passo di scrivere una lettera aperta al presidente Khatami. Ho chiesto al presidente di spiegare quale autorita' ha emesso l'ordinanza. Ho anche chiesto quali fossero le basi legali della stessa. * Il Centro e' la realizzazione di un sogno che risale a dieci anni orsono, quando ero ancora alla facolta' di legge. Fu li' che cominciai a preoccuparmi dell'ineguaglianza di genere nel sistema legale iraniano, dove una donna sposata non puo' viaggiare all'estero senza il permesso di suo marito. Il Centro mette a disposizione personale qualificato ed esperto: avvocate, psicologhe, mediche, consulenti familiari, che sono in grado di offrire una gamma di servizi di sostegno alle utenti, donne in difficolta'. Risorse aggiuntive ci vengono dall'aiuto dei volontari di altre ong. Lo scorso gennaio, sono stata in grado di vincere in appello la causa di una cliente condannata a morte, A'zam Gharah-shiran, che doveva essere giustiziata pochi giorni dopo per omicidio del marito. Sottoposta ad un severo interrogatorio, Gharah-shiran si era dichiarata colpevole, ma non era in grado di dire dove fosse il corpo del marito, che non era ancora stato ritrovato. Ho argomentato di fronte all'ayatollah Shahroudi, che presiedeva la Corte, che non aveva senso l'aver ucciso il marito e non sapere nulla del corpo, e al caso e' stata garantita la revisione da un altro tribunale. Ma i successi che abbiamo avuto nei tribunali a beneficio delle donne, da quando all'improvviso ed inspiegabilmente mi si impedisce di viaggiare, sono stati oscurati dalla profonda paura dell'abuso di potere. * Da quando ho lasciato quell'ufficio a mani vuote, ho spesso guardato la ricevuta datami dall'ufficiale che mi aveva confiscato il passaporto, per assicurare a me stessa che questo era veramente accaduto, che non stavo sognando. No, non e' un sogno. Basta che io ricordi cio' che e' accaduto ai blogger iraniani, per sapere che qui accadono cose peggiori. Lo scorso anno, hanno ricevuto condanne a detenzioni esageratamente lunghe, dopo che i tribunali avevano stabilito che il loro scrivere su Internet aveva compromesso la sicurezza nazionale della Repubblica Islamica. Questa e' una parte del disastro che negli ultimi tre anni ha investito la stampa indipendente in Iran. Recentemente, tuttavia, ci sono state buone notizie sui blogger (dodici uomini e due donne, che hanno passato mesi in celle oscurate ed hanno sofferto di abusi psicologici); la scorsa settimana, dieci di loro sono stati rilasciati per non aver commesso i fatti. Fra loro le due donne, una delle quali, Mahboubeh Abassgholizadeh era difesa da me. La mia situazione, naturalmente, non e' grave come quella dei blogger. Io non sono in prigione. Ma per il mio lavoro l'accesso internazionale e' assolutamente necessario. I membri di ong come me dipendono da questi viaggi per avere la possibilita' di mettere insieme le teste, e arrivare a migliori strategie per combattere problemi come la violenza domestica e le iniquita' legali nei confronti delle donne. Se ci si impedisce di partecipare a questi forum, solo i membri ufficiali del governo rappresenteranno le donne dell'Iran nell'arena internazionale. * Quando il passaporto mi e' stato tolto, ho dapprima sperato di risolvere la questione chiedendo al Ministero dell'Informazione di seguire il mio caso. Come avvocata sapevo di avere il diritto costituzionale ad un processo. Ho chiesto copia di ogni eventuale ordinanza emessa contro di me, in modo da poter preparare la mia difesa. Non ho ricevuto risposta. Posso solo ipotizzare che si tratti di un'oscura regolamentazione sopravvissuta dal passato regime, la quale dice che se il viaggio di un cittadino all'estero compromette la nazione, a costui dev'essere negato il permesso di lasciare il paese. Dopo aver esaurito durante il mese scorso tutti i canali possibili, ho deciso di rendere pubblica la mia storia. Presumendo che io venga trattenuta per ragioni di sicurezza nazionale, ho chiesto al presidente quale minaccia il viaggio di una giornalista, avvocata ed attivista per i diritti delle donne pone agli interessi della nazione. Ironicamente, mentre io sono fisicamente trattenuta dal recarmi all'estero, la mia lettera sta circolando liberamente sui media locali e nella comunita' internazionale. Gia' oltre 12 siti web e blog hanno pubblicato la lettera, che sta generando dibattiti on line. La mia lettera potrebbe essere una delle sfide finali al secondo mandato di Khatami, che avra' fine il prossimo luglio. * Khatami e' conosciuto e rispettato come figura internazionale. La settimana scorsa le riprese televisive indugiavano sul viso sorridente di questo leader dall'aspetto piacevole, mentre scambiava saluti con i maggiori politici mondiali ai funerali di papa Giovanni Paolo II. Khatami e' stato eletto con margine schiacciante per due volte, essendo riuscito con successo ad ottenee il consenso di milioni di giovani votanti, che dal 1997 sono sempre piu' disillusi rispetto alla Repubblica Islamica. Uno dei punti della sua piattaforma era lo stabilire leggi e ordine. Nelle ultime settimane della sua presidenza, io gli chiedo di realizzare quella promessa elettorale. Non so quale effetto, se pure ne avra' uno, la mia lettera aperta al presidente possa produrre nei miei confronti. Ma e' necessario che ciascuno sappia come i procedimenti possano venire sospesi da questo sistema legale. Ogni cittadino ha il diritto di confrontarsi con chi lo accusa e di difendere se stesso, anche se l'accusatore e' il governo. * Per maggiori informazioni: Shadi Sadr - Open Letter to the President: http://weblog.shadisadr.com/archives/2005/Apr/042605,2202,22.php Women in Iran - Women's Rights Activist Open Letter to the President: http://www.womeniniran.net/archives/ESR/002158.html International Summit on Democracy, Terrorism and Security - The Madrid Agenda: http://english.safe-democracy.org/ 3. LUTTI. LUCIO MAGRI RICORDA ANDRE GUNDER FRANK [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 agosto 2005. Lucio Magri e' stato tra i promotori dell'esperienza del "Manifesto", poi segretario del Pdup per il comunismo, promotore con Claudio Napoleoni di una iniziativa per l'unita' delle sinistre in anni in cui avrebbe potuto avere una rilevanza decisiva, negli ultimi anni ha diretto "La rivista del Manifesto"; e' uno degli intellettuali piu' acuti e rigorosi della sinistra italiana. Andre Gunder Frank, deceduto una settimana fa, e' stato uno dei grandi intellettuali della sinistra del XX secolo: "In fuga dalla Germania di Hitler, approdo' negli Usa. Marxista eterodosso insegno' a lungo in Brasile, dove scappo' dal golpe dei militari per arrivare in Cile, dove collaboro' attivamente con Allende" (cosi' sinteticamente il quotidiano "Il manifesto" nel sottotitolo del testo che di seguito riproponiamo). Era nato a Berlino nel 1929, economista, impegnato nella critica dell'imperialismo e del sottosviluppo, e nella solidarieta' con i popoli del sud del mondo. Tra le molte opere di Andre' Gunder Frank: Capitalismo e sottosviluppo in America Latina, Einaudi; Sociologia dello sviluppo e sottosviluppo della sociologia, Lampugnani Nigri; Riflessioni sulla nuova crisi economica mondiale, Pellicanolibri. Dalla rete telematica riprendiamo la seguente piu' ampia bibliografia essenziale in inglese: "General Productivity in Soviet Agriculture and Industry", 1958, JPE; "Goal Ambiguity and Conflicting Standards: An approach to the study of organization", 1958, Human Organization; "The Development of Underdevelopment", 1966, MRP; Capitalism and Underdevelopment in Latin America, 1967; Latin America: Underdevelopment or revolution, 1969; Lumpenbourgeoisie, Lumpendevelopment, 1972; On Capitalist Underdevelopment, 1975; Economic Genocide in Chile: Equilibrium on the point of a bayonet, 1976; "Long Live Transideological Enterprise: the socialist economies in the capitalist international division of labor", 1977, Review; World Accumulation, 1492-1789, 1978; Dependent Accumulation and Underdevelopment, 1978; Mexican Agriculture 1521-1630: Transformation and the mode of production, 1979; Crisis in the World Economy, 1980; Crisis in the Third World, 1981; Reflections on the Economic Crisis, 1981; Dynamics of Global Crisis, con S. Amin, G. Arrighi e I. Wallerstein, 1982; The European Challenge, 1983; Critique and Anti-Critique, 1984; "Ten Theses on Social Movements", con M. Fuentes, 1989, World Development; "Theoretical Introduction to Five Thousand Years of World System History", 1990, Review; "Civil Democracy, Social Movements in World History", con M. Fuentes, 1990, in Amin et al., Transforming the Revolution; "Revolution in Eastern Europe: Lessons for democratic socialist movements (and socialists)", 1990, in Tabb (a cura di), Future of Socialism; "The Underdevelopment of Development", con M. F. Frank, in Savoie (a cura di), Equity and Efficiency in Economic Development. Globalization, 1400-1800; Third World War Reorient: Global economy in the Asian age, 1998] Ho rivisto Andre Gunder Frank solo qualche settimana fa, di passaggio a Roma, e dopo ormai molti anni. Nel riabbracciarlo ebbi come una stretta al cuore: nel suo corpo, nei suoi movimenti, erano evidenti i segni di un male grave. Come stai, si usa dire? Dovrei essere gia' morto - mi rispose come sempre da uomo di poche essenziali parole - sarei gia' morto se le cure di questa donna (la sua compagna che gli stava a fianco) non mi avessero finora tenuto in vita. Dove vivi e dove lavori? Un modesto insegnamento, un po' precario, nell'angolo del Lussemburgo; una volta l'anno, per qualche settimana all'universita' della Calabria. Ma poi cenando insieme e discutendo fino a tardi senza stanchezza rividi i suoi occhi di sempre, dove l'ironia e la malizia non testimoniavano il disincanto e la delusione, ma sorvegliavano una immutata passione di capire e rivedere l'attuale corso delle cose del mondo, trovandovi le ragioni fondate di una critica radicale come sempre ma senza indulgere a facili illusioni sul modo di cambiarlo. Era cosi'. E infatti nella lunga discussione fu subito chiaro che non gli interessava tanto ricostruire e riflettere su molte battaglie, intuizioni feconde e speranze deluse, di un passato comune e lontano in contesti e ruoli pur tanto diversi - come forse a me sarebbe piaciuto e non inutile fare - ma piuttosto comunicarmi cio' che stava ora pensando e facendo, con tempi cosi' stretti di vita e tra le difficolta' dell'isolamento. Non cercava alcuna autocritica assolutoria ne' la quietante consolazione di una vita ben vissuta e di una stima gia' meritata come intellettuale e come militante che aveva pagato tanti prezzi. Cercava testardamente invece, dopo e malgrado lo sconquasso dell'ultimo decennio, di sviluppare e riannodare il filo di un discorso gia' avviato piu' di trent'anni fa per ribadirne il valore alla luce di cio' che accade e di cio' che si puo' prevedere. E su questo ha continuato a lavorare anche negli ultimi giorni della sua vita con scritti non ancora pubblicati che vorrei contribuire a pubblicare. Sintetizzava tutto in uno slogan provocatorio: "la teoria della dipendenza e' morta, viva la teoria della dipendenza". (Cioe' della nuova dominazione imperiale). Nelle poche righe di questo breve, affettuoso ma improvvisato saluto non e' qui e ora il caso di riassumere in poche frasi il filo lontano di quel discorso ne' i suoi piu' recenti sviluppi. Mi pare possibile solo esprimergli un ringraziamento e in poche parole motivarlo. Il primo punto del ringraziamento dovrebbe essere collettivo - cioe' di tutta una generazione di comunisti non dogmatici - ed essere rivolto a un altro collettivo - un gruppo di grandi intellettuali degli anni '60, eterni profughi immersi e dispersi nelle esperienze di lotta di liberazione del terzo mondo. Andre infatti era tra i piu' rimarchevoli, insieme con Samir Amin, tra coloro che non solo si limitarono - cosa pure essenziale - a dimostrarci la tragedia del terzo mondo e legittimarne cosi' le lotte aspre di liberazione; ma fu tra i pochi che incrociando la storiografia della long duree, rilessero e rifondarono la vulgata marxista introducendovi la categoria della polarizzazione del mondo tra centro, semiperiferia, periferia come elemento permanente se pure in forme continuamente nuove. Essi infatti non solo ci aiutarono a superare l'eurocentrismo ma anche a demistificare la realta' del neocolonialismo e della borghesia compradora, e poi tutte le illusioni del cosiddetto "rattrapace". In sostanza il contenuto ultimo di classe di quella battaglia di liberazione. Il secondo ringraziamento, e questo va in particolare soprattutto ad alcuni (oltre a lui ad Amin, a Wallerstein, ad Arrighi, a Sweezy, a Brenner) che per primi videro e interpretarono, parallelamente ma con piu' assiduita' e perseveranza di noi, la crisi degli anni '70 come l'avvio di una crisi degli assetti mondiali e di lunga durata che avrebbe investito la metropoli capitalistica e l'avrebbe coinvolta anche nei suoi meccanismi produttivi, oltreche' sociali e politici. Un terzo ringraziamento ancora piu' specifico rivolto ad Andre: e' per aver visto per primo (1972) il crollo dell'Unione sovietica e di avere tuttavia insistito sul carattere immediatamente distruttivo cioe' entro un periodo relativamente prossimo della ristrutturazione capitalistica, l'impotenza delle soluzioni moderate nell'affrontarne tale crisi, senza peraltro indulgere a illusioni troppo facili sul "nuovo mondo" che e' gia' in cammino. Una visione cioe' fredda e impietosa dello stato effettivo delle cose, fredda ma non disperata, che egli ci lascia aperta come interrogativo di riflessione e vincolo di verita'. 4. RIFLESSIONE. GIANCARLA CODRIGNANI: GIOVANNI PAOLO II E LE DONNE [Dal sito di "Noi donne" (www.noidonne.org) riprendiamo il seguente intervento. Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it), presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Non si poteva, ai funerali di Giovanni Paolo II, guardare la folla che gli si stringeva attorno senza vedere che era una folla di donne e di uomini, mentre il sagrato occupato dal clero e dai potenti era esclusivamente riservato ad uomini (fatta eccezione per i governanti, accompagnati dalle mogli o - come si dice - dalle "loro signore", oltre a Condoleeza Rice e poche altre). Nessuno si e' sognato di toccare la questione, ma se si fosse chiesto a qualche intervistata come giudicasse il contenuto profetico del magistero di Papa Wojtyla, nessuna avrebbe lamentato l'esclusione. Forse avrebbe ricordato con gratitudine la sottolineatura del genio femminile che rende forte la dignita' delle donne. Il problema si fa, dunque, complesso, per almeno due ordini di ragioni: uno, comune a tutto il mondo cattolico, perche' manca la consuetudine con le fonti della Scrittura e nessuno saprebbe argomentare la propria fede (detto in altre parole, restiamo pagani); e uno, specifico delle donne, che subiscono il pregiudizio che le esclude e le fa diverse senza valorizzarne la diversita', ma inducendole, al contrario, all'accettazione della subordinazione gerarchica. Per le donne e' sempre stato difficile, anche nelle epoche favorevoli ai cambiamenti, contendere non tanto con chi e' piu' forte, quanto con chi e' oggetto d'amore. In Svezia, dove le donne hanno maggior parita' nelle istituzioni e ci sono perfino delle vescove (luterane), si sta aprendo una campagna contro i maltrattamenti in famiglia. Perche' la donna, anche emancipata, "subisce" se non perche' chi da' le botte e' una persona che e' (stata) cara, il padre dei figli? E quando non riesce a fare carriera si tratta di "debolezza" di un sesso incapace di eccellenza scientifica (come sostiene il rettore di Harvard), o di cura per altri interessi di vita? Sarebbe bello se gli uomini desiderosi di un altro, migliore sistema capissero e cercassero l'alleanza con le donne. Sarebbe bello se anche le chiese capissero e, anzi, precedessero le autorita' mondane cercando quell'alleanza. Ma gli "angeli del focolare" hanno sempre fatto comodo a tutti e cosi' il "genio femminile" secondo papa Wojtyla deve essere speso fondamentalmente in famiglia. Ma cosi' la Chiesa perde lo spirito e la profezia. * Gesu' aveva rovesciato le gerarchie e contestato la discriminazione delle donne: gli apostoli furono gelosi di Maddalena e delle altre e ne celarono la presenza e perfino i nomi. La Chiesa velera' loro il capo, imporra' il silenzio, l'obbedienza al marito, vieteranno il sacerdozio femminile, inventeranno il celibato, si opporranno all'uguaglianza di ogni genere, consolidando ovunque il sistema gerarchico, patriarcale e sessista. Giovanni Paolo II ha confermato la tradizione, pur credendo di onorare il genere femminile a partire da un culto esemplare della Madonna, vergine e madre, piu' icona che semplice ragazza palestinese. Le teologhe hanno accolto il femminismo e contestato il contestabile detto dai loro "padri"; la stessa presidente delle superiore americane nel corso della prima visita papale negli Usa, lesse, senza chiedere rivendicazioni immediate, il cahier de doleances delle religiose, a partire dall'impossibilita' del sacerdozio, provocando nel papa una reazione di rigetto visibilmente emotiva. Non sono mancate le contraddizioni in un pontefice che ha avuto il coraggio di opporsi alla guerra e ha mantenuto i cappellani militari con il vescovo castrense che porta i gradi di generale; che ha sentito l'urgenza del futuro e ha limitato la liberta' religiosa e la ricerca scientifica; che ha aperto alle altre confessioni e ha affermato l'unica verita' assoluta del cattolicesimo; che ha voluto essere testimone di Cristo nel mondo ed e' rimasto vittima dei media. Ma anche le contraddizioni stanno nella storia e possono essere stimolanti; dove non c'e' possibilita' di equivoco, invece, e' proprio nella chiusura sul femminile e sulla concezione dell'etica personale. Se si riconosce alle donne una marcia in piu' per la pace, non ha senso relegare alla famiglia il beneficio del genio: forse si deve suggerire ai governi che assegnino alle donne i ministeri degli esteri e della difesa. Se Gesu' risana la donna che soffriva di perdite e che era due volte impura per essere donna e per sanguinare; se e' alla samaritana, donna di etnia inferiore e di vita privata irregolare, che affida il messaggio piu' alto; se ci sono solo donne sotto la croce perche' i maschi erano scappati e Pietro aveva rinnegato; se e' a Maddalena che il Cristo si rivela dopo la Resurrezione, non ha senso negare il sacerdozio. Se il corpo e' gloria di Dio - e papa Wojtyla riconosce la grandezza materiale della creazione - non si sa perche' la paura di quello femminile abbia dato connotati sessuofobici alla dottrina morale. Se l'amore umano e' santificato nel matrimonio e se gli esseri umani godono della liberta' dei figli di Dio, il celibato e' incongruo con le Scritture (perfino Pietro e' sposato e il Vangelo ne nomina la suocera) e viola i diritti umani... * Che fare? Giovanni Paolo II ha ricevuto il consenso affascinato anche di laici e laicisti, meno dalle donne, ma senza che questo silenzio faccia rumore. Tuttavia Giovanni Paolo II ha finito il suo compito e occorre guardare avanti. Al successore - ma non solo - il monito di papa Wojtyla: "non abbiate paura". Sono parole da rivolgere a tutti, anche alla sinistra: davanti a un referendum sulla fecondazione assistita conteranno di piu' le donne (anche credenti) o l'ossequio al Vaticano? 5. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: QUANDO IL MULTICULTURALISMO DIVENTA COMPLICITA' [Dal sito de "IL paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento di Ileana Montini. Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it), prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita' maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] Nel mese di aprile in Afghanistan una donna e' stata lapidata perche' adultera, ovvero per aver disonorato padre e marito, mentre il suo amante ha ricevuto cento frustate. La lapidazione e' stata vietata in tutto il Paese, ma come si sa le abitudini sono dure a scomparire. Il 18 aprile, in prima serata sulla rete televisiva La 7 nella trasmissione "Otto e mezzo", e' apparsa, mite e sorridente ma decisa e precisa, la deputata somala in Olanda Ayaan Hirsi Ali. C'era gia' stato un ampio servizio su "La Repubblica" il 19 marzo con il titolo "Io, musulmana in fuga, sfidero' ancora i terroristi". Ora e' uscito in Italia la traduzione del suo libro Non sottomessa (Feltrinelli, Milano 2005) con un'ampia introduzione di Adriano Sofri. E cosi', di nuovo, ci troviamo di fronte ai problemi delle donne musulmane nel mondo, in particolare di quelle emigrate in occidente. E cosi', di nuovo, non possiamo sottrarci dal fare i conti con la nostra situazione di donne emancipate e con la loro di donne appartenenti, prima di tutto, ai clan, alle tribu', agli uomini della famiglia, anziche' a loro stesse. Hirsi Ali vive sotto scorta da quando hanno ucciso il regista Theo Van Gogh per il film Submission, il cui testo aveva scritto, e la cui protagonista e' un'adultera che viene uccisa dai maschi perche' disonora la famiglia. Su "La Repubblica" del 22 aprile Michele Serra ha pubblicato un articolo con il titolo "Submission e i vili europei". Chi sono i "vili europei"? e perche'? Prima di tutto il Parlamento europeo che ha vietato la proiezione del film nella sala stampa dell'europarlamento per ragioni di sicurezza. Di piu', Serra ci ricorda che, a qualche mese dall'assassinio di Teo Van Gogh, il cortometraggio e' stato oscurato da istituzioni culturali e politiche di tutta l'Europa democratica. E' altrettanto vero che la proposta di proiettarlo era stata chiesta dal gruppo leghista al Parlamento europeo, e anche a Treviso e' stato proiettato sempre per iniziativa dei leghisti. Sia Adriano Sofri, che Michele Serra, analizzano che e' la destra ad affrontare il problema della segregazione delle donne islamiche, mentre la sinistra, ovunque sia, tende a minimizzare. Serra si chiede: "E' blasfemo Submission? Lo e' tanto quanto lo furono, agli occhi dell'integrismo cristiano, Ti saluto, Maria di Godard, o addirittura La dolce vita di Fellini, accusato a suo tempo d'immoralismo e blasfemia perche' osava parlare di suicidio". Scrive Sofri: "D'altra parte, le posizioni piu' conservatrici e avare verso gli stranieri (per non dire di quelle senz'altro xenofobe) sono piu' pronte a denunciare la soggezione delle donne nell'Islam". In Italia, sono stati i quotidiani "Libero", a firma di Fawzia Tarek, e "Il foglio", a firma di Cristina Giudici, a dedicare piu' pagine d'inchiesta sulle violenze familiari e contro le donne tra gli immigrati musulmani. Qui sta il problema: il multiculturalismo, cosi' come e' stato predicato e affermato per lo piu' dalla sinistra, e' in crisi, che lo si ammetta oppure no. Scrive in proposito Serra: "Che sia questo il famoso relativismo culturale, questo posporre i principi alla convenienza, l'orgoglio della liberta' alla paura, la difesa dell'integrita' fisica e intellettuale delle persone a un malinteso (molto malinteso) dialogo con l'Islam?". Il rispetto di tutte le religioni (e le culture) puo' diventare, come nel caso dell'Islam, censura della base costitutiva delle tradizioni e delle leggi che attraversano i comportamenti e penalizzano, soprattutto, le donne. Sofri inizia la sua introduzione al libro Non sottomessa con queste parole: "Che il corpo delle donne sia il campo di battaglia e insieme la posta del famoso scontro di civilta' sembrava fino a qualche tempo fa un'idea balzana, o provocatoria: ora e' quasi un'ovvieta'. Ci siamo accorti che anche gli ultimi, quelli che non avevano da perdere che le loro catene, hanno da perdere almeno le loro donne. Quel che piu' conta e' che se ne sono accorti loro, gli ultimi: da quando le distanze si sono cosi' accorciate da renderli spettatori di un mondo in cui le donne diventano padrone di se'". L'idea multiculturalista, scrive Sofri, "si puo' tradurre bruscamente cosi': i panni sporchi si lavano in famiglia, e i panni sporchi musulmani nelle famiglie musulmane... E c'e' quindi una violenza domestica che viene legittimata dal punto di vista culturale e religioso. Il gesto del colpevole e' accettato all'interno della sua societa'. Di piu', il colpevole, in molti casi, viene spinto alla violenza". Sono paurosamente in aumento i suicidi delle donne musulmane, ad esempio nel Regno Unito le asiatiche sono il triplo delle coetanee inglesi. Poi ci sono le giovani ustionate che dicono di essersi ustionate con le friggitrici. Gia', peccato che non abbiano friggitrici. Un'altra denuncia ci giunge dalla Francia e da una giovane donna marocchina. La sua storia e' stata pubblicata anche in Italiano con il titolo Murata viva (Piemme). Leila (nome fittizio), nata in Francia, e' stata costretta - come tante altre giovani - a sposare un uomo marocchino scelto dai genitori. Ha tentato di sfuggire alla sua condizione di sottomessa con il suicidio e la fuga da casa. Ora vive nascosta, anche se divorziata e in pace con la sua famiglia. Spaventa - e dovrebbe interrogarci - la descrizione della solitudine delle donne musulmane che vogliono ribellarsi: "Non c'e' via possibile senza la famiglia, la tribu', i parenti, o la protezione di un uomo. In Europa, una ragazza francese, svizzera, belga, di diciotto anni, che scappa di casa, ha molte risorse: centri di accoglienza, un poliziotto a cui dire che il padre o il fratello la picchiano, la possibilita' di far scoppiare uno scandalo. Nella comunita' marocchina alle ragazze non passa nemmeno per la testa l'idea di denunciare la famiglia. E' una vergogna che nessun altro puo' capire. Ci logoriamo, ci consideriamo vigliacche, ci dibattiamo maldestramente, e alla fine subiamo, perche' fuori dalla famiglia non c'e' salvezza". Ora a Roma c'e' un nuovo pontefice che ha scritto, da cardinale, una lettera sull'essere donna, o meglio, sulla vocazione sponsale e materna nell'oblativita', come modalita' primaria per una donna di realizzarsi. Un messaggio per gli uomini, piu' che per le donne. Appunto, come scrive Sofri, il corpo delle donne e' merce e simbolo di uno scambio tra uomini per il potere. Ieri come oggi. Ma noi che facciamo? Perche' siamo in silenzio, e magari inclini al multiculturalismo, che ci rende cieche e sorde alle lacrime delle donne islamiche? 6. RIFLESSIONE. ANDREA COZZO: LA CAPACITA' DI IDENTIFICARE LA VIOLENZA [Da "Azione nonviolenta" di marzo 2005 (per contatti: e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org) riprendiamo il seguente intervento. Nel corso del 2005, ogni mese, sulla rivista mensile del Movimento Nonviolento, "Azione nonviolenta", verra' proposta una riflessione su una delle dieci caratteristiche della personalita nonviolenta proposte da un saggio di Giuliano Pontara. Una nota editoriale di presentazione cosi' illustra l'iniziativa: "Ogni mese svilupperemo una riflessione su una delle dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta. Abbiamo chiesto ad amici ed amiche della nonviolenza di aiutarci in questa ricerca. Proponiamo a singoli e gruppi di seguire questo percorso, sviluppando iniziative locali (una lettura comunitaria, un giorno di digiuno, un banchetto in piazza, una cartello esposto, un dibattito pubblico, ecc.) che confluiranno poi in una azione nonviolenta comune e nazionale. Il Congresso del Movimento Nonviolento ha individuato un percorso, che lungo tutto il 2005 utilizzera' i dieci numeri di 'Azione nonviolenta', seguendo come traccia le 'Dieci caratteristiche della personalita' nonviolenta' individuate da Giuliano Pontara, rilette nella loro valenza collettiva e politica (il ripudio della violenza; la capacita' di identificare la violenza; l'empatia; il rifiuto dell'autorita'; la fiducia negli altri; la disposizione al dialogo; la mitezza; il coraggio; l'abnegazione; la pazienza). E' stata infatti sottolineata l'esigenza che l'iniziativa, nel suo svolgersi e nella sua conclusione, testimoni dell'aggiunta che la nonviolenza e' in grado di dare alla politica. Per questo si e' anche sottolineato trattarsi di una iniziativa che proponiamo a tutti i singoli e a tutte le forze per le quali 'il rifiuto della guerra e della sua preparazione e' la condizione preliminare per un nuovo orientamento', e che sono alla ricerca di una valida alternativa. In tal senso le dieci parole possono avere applicazioni concrete nella politica e nel sociale sui temi fondamentali della convivenza civile, individuando azioni che possano essere concretamente sperimentate e che confluiscano in una pubblicazione del Movimento Nonviolento da diffondere nel modo piu' largo". Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004] Non e' cosa ovvia essere in grado di identificare la violenza. Certo c'e' una violenza che appare subito chiara a tutti: e' quella fisica e di attacco. Ma la chiarezza finisce li', mentre, a parte che non sempre e' chiaro chi ha attaccato, chi ha cominciato per primo, si potrebbe andare ben oltre nella messa a fuoco delle forme di violenza. La violenza verbale, quella psicologica sono troppo poco appariscenti, troppo "normali", per essere considerate violenza? Eppure anch'esse producono sofferenza e sono vettori, per dirla con Pat Patfoort, della catena della violenza o della sua escalation (oppure di frustrazione, se la violenza viene non rivolta verso altri ma introiettata). Se non la sappiamo individuare, la violenza poi esplode senza che ne capiamo il perche' e si rischiano spiegazioni banali come "ero (o era) nervoso", o altre che alla fine giustificano senza permetterci di intervenire in nessun punto del processo. Identificare la violenza significa dare questo nome ad azioni che forse siamo stati abituati a chiamare in un modo che ci induce ad accettarle passivamente o a compierle inconsapevolmente o a ritenerle addirittura positive, come spesso capita nel caso della violenza strutturale. Consideriamo la scuola: gia' la struttura frontale delle lezioni, con l'insegnante da un lato e coloro che imparano tutti/e insieme come se fossero un essere unico e indistinto dal lato opposto, suggerisce implicitamente che non vale la pena che coloro che stanno tra i banchi si guardino, parlino e si ascoltino reciprocamente: e' un'ottica trasmissiva e non comunicativa. Del resto, l'insegnante non ha come proprio appannaggio la cattedra, la lavagna e tutto cio' che mostra chi "comanda"? Danilo Dolci, quando costrui' la scuola di Mirto, a Partinico vicino Palermo, si pose questi problemi e cerco' di superarli: banchi ad anfiteatro o, per piccoli gruppi, a circolo ecc. Si preoccupo' di lavorare anche sul vocabolario - altro mezzo di trasmissione della violenza invisibile - e propose di sostituire scuola con centro educativo, classe con gruppo, disciplina con responsabilita' e cosi' di seguito. Non si trattava di puro nominalismo ma di incanalamento del pensiero in direzione cooperativa anziche' autoritaria; infatti con le parole si vedono le cose in un certo modo o in un altro e si fanno le cose in un certo modo piuttosto che in un altro. Ad esempio, possiamo trattare davvero con rispetto i bambini se continuiamo a chiamarli col nome di minori che dice della loro inferiorita'? Si', certo, per questo badiamo a loro; ma per questo anche decidiamo per loro. Per fare ancora qualche esempio relativo al linguaggio: quante volte, con logica autoritaria, diciamo "devo (o deve, o dovrebbe) fare questo o quest'altro"? e non ci viene insegnato che gli "altri" sono terroristi senza distinguere il terrorismo dal basso di questi ultimi dal nostro terrorismo dall'alto che uccide innocenti con la guerra? non si dice che ci sono gli Stati-canaglia senza dare lo stesso nome agli Stati occidentali che vendono loro le armi? I giochi: sono violenti solo quelli che imitano le azioni degli eserciti oppure non dico solo il pugilato, ma anche il calcio e gli scacchi possono esser tali se mentre facciamo goal o scacco al re godiamo dell'avere sconfitto l'altro? Non affermo; domando veramente, perche' non credo che ci sia una risposta univoca valida per tutti i casi: dipende dallo spirito con cui gioco - anche se, certamente, in ogni forma di gioco e' gia' insita una tendenza cooperativa o competitiva. C'e' violenza nell'indifferenza, ma forse anche nel semplice "non fare agli altri cio' che non vorresti fosse fatto a te", visto che potremmo pure "fare agli altri cio' che vorremmo fosse fatto a noi". Aggiungerei la violenza contro le cose inanimate: se l'altro nome della nonviolenza (ahimsa) e' satyagraha, cioe' "tenere alla verita' (satya)", cosa composta da tutto cio' che e' (sat), allora la nonviolenza e' tenere a tutto, ad ogni cosa che e', vivente o non vivente che essa sia. Identificare la violenza non e' cosa facile. Ma non e' neppure impossibile: non si tratta di vivere "in continua paranoia", basta solo un po' di lentezza e di attenzione e la consapevolezza puo' crescere piano piano con uno sforzo sempre minore. Forse puo' essere d'aiuto l'idea che ogni cosa si puo' fare in tre modi: con violenza, senza violenza, con nonviolenza. "Con violenza" e' chiaro: rimanda a qualsiasi forma di aggressione. "Senza violenza": ad esempio, quando si parla senza alzare la voce, senza interrompere e in generale quando non si prevarica. "Con nonviolenza": quando si ha cura dell'altro e si cerca di contribuire alla sua espressione di se' o, nel caso di conflitto, di badare a non fargli male, a lottare l'azione e non la persona. 7. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: COSTERMANO [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per questo intervento. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Oggi sono stato a Costermano, sul Garda: cimitero di 22.000 ammazzati in guerra. Non importa che siano tedeschi, sono uomini, colpevoli e non colpevoli. Irreperibili i miei tre senza nome. Tantissimi senza nome. Uno dei tanti cimiteri di guerra, dappertutto. Ogni morto dice che c'e' stato un omicidio. Tutti insieme gridano come la terra insanguinata da Abele che c'e' stata - e c'e' - una follia diabolica. Mi ha molto commosso. Sto leggendo Drewermann, "La guerra e' la malattia, non la soluzione" (Claudiana). Da psicologo dice che in realta', prima della guerra, lo stesso sistema militare e' la malattia della politica, della convivenza umana. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 916 del primo maggio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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