La nonviolenza e' in cammino. 912



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 912 del 27 aprile 2005

Sommario di questo numero:
1. Anna Bravo: La Resistenza nonviolenta
2. Monica Lanfranco: Piovono pietre
3. Benito D'Ippolito: En alabanza de un carpintero llamado Ricardo Orioles
4. Stefania Giorgi: Dal genio al gender
5. Vittoria Franco: Per consentire la vita e la nascita
6. Riedizioni: Victor Codina: Cos'e' la teologia della liberazione
7. La "Carta" del Movimento Nonviolento
8. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ANNA BRAVO: LA RESISTENZA NONVIOLENTA
[Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per
averci messo a disposizione questo suo intervento apparso sul quotidiano "La
Repubblica" del 26 aprile 2005. Anna Bravo, storica e docente universitaria,
vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di
storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e
resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi
temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazionali. Ha fatto
parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di
vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte;
fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici
dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione
Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo:
(con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini
nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una
misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia,
Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie
di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia),
Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta
Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza,
Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta
Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza,
Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003]

Al tempo della seconda guerra mondiale, in Europa  e negli Stati Uniti
circolava l'espressione "sdraiarsi come un danese"
La Danimarca non si era opposta con le armi all'occupazione nazista, il
governo socialdemocratico, pur protestando contro la violazione della
neutralita', era rimasto in carica, aveva consentito alla messa fuori legge
dei comunisti, si lasciava usare come "vetrina democratica" del III Reich,
collaborava mantenendo relazioni economiche con la Germania. Dunque la
Danimarca si era "sdraiata", allo stesso modo di una donna che si sottometta
all'assalto maschile - i discorsi politici ricorrono spesso a metafore
sessuali.
Strana collaborazione, pero', lontanissima dallo zelo della Francia di
Vichy.
Visto che la Germania ha sottoscritto un memorandum in cui si impegna a non
ingerirsi negli affari interni danesi, il governo sceglie di prenderlo alla
lettera, muovendosi sul filo del rasoio con la tattica del "come se": come
se la Germania intendesse davvero rispettare i patti, come se la minuscola
Danimarca potesse negoziare da pari a pari. A volte ci riesce.
Nell'ottobre 1942, Hitler deve rinunciare a far introdurre nel paese leggi
antiebraiche, perche' il governo minaccia di dimettersi, dichiarando che
qualsiasi attacco agli ebrei danesi equivale a un attacco alla Costituzione,
in cui e' garantita l'uguaglianza di tutti i cittadini. Intanto, non solo a
a Copenaghen, molti e molte smettono repentinamente di parlare e di capire
la lingua tedesca, e il rifiuto dell'antiebraismo e' cosi' diffuso e palese
che fra i gerarchi nazisti nascono divergenze su come gestire la situazione.
Nell'agosto '43, di fronte alla pretesa tedesca di schiacciare con la legge
marziale una ondata di scioperi, il governo si autoscioglie, dando una
enorme legittimazione alla pressoche' neonata resistenza.
Poco dopo, a cavallo fra settembre e ottobre, la storia piu' ammirevole.
Quando gli occupanti cominciano ad arrestare in prima persona gli ebrei e
progettano la loro deportazione in massa, ecco che la popolazione - si puo'
davvero dire "la popolazione" - si organizza. Il rabbino della sinagoga di
Copenaghen comunica ai fedeli la minaccia; la resistenza, i partiti, le
Chiese, la diffondono con i loro canali. I cittadini attivano tutto il loro
tessuto associativo, nascondono i ricercati, raccolgono denaro per affittare
un numero di barche suffficiente a caricare in poche riprese migliaia di
persone, li accompagnano nottetempo ai luoghi di imbarco, mentre lungo
strade e sentieri di campagna vigilano i membri della resistenza; infine li
traghettano nella sicura  Svezia. Hanno collaborato almeno quaranta
associazioni di vario tipo, organi amministrativi, la polizia, la guardia
costiera - per questo alcuni poliziotti finiranno in Lager. Grazie al popolo
"sdraiato", piu' del 90% dei 7.695 ebrei danesi passa dalla parte dei
salvati. Esempio unico, che alcuni autori hanno cercato invano di
relativizzare, e che, ha scritto Hannah Arendt, dovrebbe essere proposto
agli studenti di scienze politiche, perche' capiscano a quali risultati puo'
arrivare una lotta nonviolenta, sorretta da un buon livello della coesione
sociale e del riconoscimento popolare nelle istituzioni.
*
Prima ancora che nasca una resistenza armata, pratiche conflittuali inermi
si sviluppano in tutta Europa: si va dalla non cooperazione agli scioperi,
dalle proteste pubbliche per la penuria di viveri, alla protezione dei piu'
vulnerabili, alla resistenza alle razzie di lavoratori da gettare nelle
fabbriche del III Reich.
In Polonia, si crea una rete di scuole clandestine contro il disegno nazista
di ridurre quel popolo alla condizione servile.
Soprattutto nei paesi del nord, insegnanti, magistrati, medici, sportivi,
spesso appoggiati dalle Chiese, rifiutano di iscriversi ad associazioni di
mestiere nazificate; in Norvegia non ci sara' piu' alcuna gara fino alla
conclusione della guerra - il che contribuisce a aprire gli occhi a molti
giovani.
Ovunque durissimo, il braccio di ferro porta ad arresti e deportazioni, ma
le istituzioni collaborazioniste sono completamente svuotate, la parvenza di
normalizzazione cui aspirano gli occupanti resta un miraggio.
Pochissime, almeno fino agli anni novanta,  le ricerche che mettono  a tema
il carattere disarmato di queste lotte, e dovute quasi esclusivamente a
studiosi dell'area nonviolenta, fra cui lo storico francese Jacques Semelin.
Elaborando alla fine degli anni Ottanta il concetto di resistenza civile,
Semelin da' a queste pratiche eterogenee un solido statuto teorico, e ne
chiarisce la specificita': assenza delle armi e metodi in genere
nonviolenti, i cittadini come protagonisti principali, autonomia degli
obiettivi, diretti a contrastare lo sfruttamento e il  dominio nazista sulla
societa'. Altra cosa, e piu' complessa, del ruolo di appoggio e supporto
alla resistenza armata, che pure conta ed e' prezioso.
*
Ancora oggi, nell'opinione comune e nella ritualita' ufficiale, e' solo
quest'ultimo aspetto a essere ricordato. Cosi' anche in Italia.
Sull'onda dell'attenzione di Carlo Azeglio Ciampi per il rapporto fra
identita' nazionale e resistenza, le celebrazioni del 25 aprile si sono
aperte da tempo all'esperienza dei civili, presentati come attori solidali e
sofferenti, pero' calati e confusi in una massa indistinta, gregaria alla
lotta in armi. Diversamente che nel dibattito storiografico, quasi mai si
parla della resistenza disarmata come di una realta' autonoma.
Eppure anche da noi e' esistita, ed ha avuto il suo momento unico, iniziato
e cresciuto nei giorni dopo l'8 settembre, quando alla notizia
dell'armistizio con gli alleati l'esercito si dissolve, e decine di migliaia
di militari si sbandano sul territorio nazionale, braccati da tedeschi e
fascisti. Sulle strade - scrive Meneghello ne I piccoli maestri - si
vedevano "file praticamente continue di gente, tutti abbastanza giovani, dai
venti ai trentacinque, molti in divisa fuori ordinanza, molti in borghese,
con capi spaiati, bluse da donna, sandali, scarpe da calcio... Pareva che
tutta la gioventu' italiana di sesso maschile si fosse messa in strada, una
specie di grande pellegrinaggio di giovanotti, quasi in maschera, come
quelli che vanno alla visita di leva".
Dietro quei capi sottratti ad armadi gia' sguarniti, indossati in case
cautamente ospitali o in luoghi appartati, si nasconde una iniziativa di
massa del tutto indipendente da direttive politiche, e carica di rischi -
presa in ostaggio, deportazione, fucilazione. E' la piu' grande azione di
salvataggio della nostra storia, e una testimonianza che fra popolazione e
nazisti/fascisti si e' aperto un contenzioso su aspetti cruciali
dell'esistenza collettiva e della legittimita' pubblica, come i criteri di
innocenza e colpevolezza. E' politica, che altro?
Solo che a agire sono per lo piu' donne, e donne odiosamente definite
"umili", donne ritenute incompatibili con la sfera pubblica, che operano
individualmente o ricorrendo a reti di relazione parentali, di comunita', di
vicinato - strutture basilari della coesione sociale, pero' invisibili alle
categorie dell'analisi politica.
In quegli anni si incontrano storie belle e importanti, che andrebbero
raccontate in ogni occasione, pervicamente. Che aiuterebbero a ripensare il
tema della responsabilita' personale nella guerra e nella resistenza.
E' vero che la lotta armata chiede corpi giovani e sani, che non tutti
possono sparare, vivere in clandestinita', reggere grandi fatiche; ma il
quadro cambia se si pensa a una resistenza diversa, praticabile in molti
piu' luoghi e forme, accessibile a molti piu' soggetti, dalla madre di
famiglia al prete al nonviolento, a chi ha un'eta' anziana o e' fisicamente
debole. "Fai come me" e' un invito che il resistente civile puo' estendere
ben al di la' di quanto possa fare il partigiano in armi, e che mina alle
radici una infinita' di autoassoluzioni.
*
Quelle storie aiuterebbero anche a smontare lo stereotipo della nonviolenza
come utopia per anime belle. Niente affatto. Nel '43, poteva apparire del
tutto irrealistico tentare un salvataggio degli ebrei con mezzi nonviolenti,
in un paese sotto legge marziale direttamente controllato dai nazisti.
Guardando all'oggi, nessuno aveva previsto le rivoluzioni incruente all'est,
e c'e' chi diffida dei militanti di Otpor, l'organizzazione serba per la
resistenza civile contro Milosevic, che girano l'Europa per insegnare le
tecniche non armate, ma che devono pur avere altri fini! - la nonviolenza da
sola non varrebbe la pena. Non era utopica neppure la lunga resistenza
civile della popolazione kosovara; e' stata ottusa la comunita'
internazionale a non sostenere decisamente Rugova, una scelta che nel tempo
ha minato la fiducia nella strategia nonviolenta dando spazio all'Uck.
*
La seconda guerra mondiale ha ancora molto da dire, a cominciare da quel che
si intende per contributo di un paese o di un gruppo alla lotta antinazista
(e a qualsiasi lotta). Oggi lo si valuta ancora in termini di morti in
combattimento; sarebbe giusto, tanto piu' in tempi di guerre contro i
civili, misurarlo anche sulla quantita' di energie, di beni, soprattutto di
vite strappate al nemico; sul sangue risparmiato non meno che sul sangue
versato.

2. RIFLESSIONE. MONICA LANFRANCO: PIOVONO PIETRE
[Ringraziamo Monica Lanfranco (per contatti: mochena at tn.village.it) per
averci messo a disposizione questo suo articolo apparso sul quotidiano
"Liberazione" del 26 aprile 2005. Monica Lanfranco, giornalista
professionista, nata a Genova il 19 marzo 1959, vive a Genova; collabora con
le testate delle donne "DWpress" e "Il paese delle donne"; ha fondato il
trimestrale "Marea"; dirige il semestrale di formazione e cultura "IT -
Interpretazioni tendenziose"; dal 1988 al 1994 ha curato l'Agendaottomarzo,
libro/agenda che veniva accluso in edicola con il quotidiano "l'Unita'";
collabora con il quotidiano "Liberazione", i mensili "Il Gambero Rosso" e
"Cucina e Salute"; e'' socia fondatrice della societa' di formazione Chance.
Nel 1988 ha scritto per l'editore PromoA Donne di sport; nel 1994 ha scritto
per l'editore Solfanelli Parole per giovani donne - 18 femministe parlano
alle ragazze d'oggi, ristampato in due edizioni. Per Solfanelli cura una
collana di autrici di fantasy e fantascienza. Ha curato dal 1990 al 1996
l'ufficio stampa per il network europeo di donne "Women in decision making".
Nel 1995 ha curato il libro Valvarenna: nonne madri figlie: un matriarcato
imperfetto nelle foto di fine secolo (Microarts). Nel 1996 ha scritto con
Silvia Neonato, Lotte da orbi: 1970 una rivolta (Erga): si tratta del primo
testo di storia sociale e politica scritto anche in braille e disponibile in
floppy disk utilizzabile anche dai non vedenti e rintracciabile anche in
Internet. Nel 1996 ha scritto Storie di nascita: il segreto della
partoriente (La Clessidra). E' stato pubblicato recentemente il suo libro,
scritto insieme a Maria G. Di Rienzo, Donne disarmanti, Intra Moenia, Napoli
2003. Cura e conduce corsi di formazione per gruppi di donne strutturati
(politici, sindacali, scolastici) sulla storia del movimento delle donne e
sulla comunicazione]

Devono esser di misura media, ne' troppo piccole, semplici sassolini
fastidiosi, ne' troppo grandi. Le pietre da usare per uccidere chi si
condanna alla lapidazione non devono ammazzare subito, secondo
l'interpretazione piu' rigorosa della shari'a islamica. Il corpo del
condannato uomo deve essere immesso nella fossa che impedisce i movimenti
fino alla vita, mentre quello femminile e' interrato fino al petto. Per le
donne, di conseguenza, si mira specialmente al volto, alla testa, unica
superficie disponibile. La morte sopravviene, in ordine di tempo, molto piu'
tardi rispetto ad altre metodologie: impiccagione, sedia elettrica, taglio
della testa, fucilazione, veleno sono piu' rapide.
La lapidazione e' una pena capitale ancestrale, la piu' feroce, per la sua
lentezza e per il legame diretto, quasi fisico, che crea tra il carnefice e
la sua vittima. La pietra e' un elemento naturale e facilmente disponibile,
chi la tira dosa con la sua forza il lancio, considera con gli occhi la mira
verso il bersaglio. Niente a che vedere con la freddezza e la mediazione del
ferro dell'ascia e del fucile, o del pulsante che si preme per dare corso
alla scarica elettrica, o al flusso di veleno letale. Non sapremo mai quanto
tempo ci e' voluto perche' Amina smettesse di respirare, ma e' cosi' che e'
morta, in Afghanistan, due giorni fa, a ventinove anni, in un villaggio del
nordovest di questo sventurato paese, perche' "adultera". Questo il suo
reato.
Il marito, fuori dal paese da cinque anni, era tornato, e aveva scoperto la
relazione della giovane moglie con un altro uomo, al quale e' stata inflitta
la pena di cento frustate. Lui, almeno, e' vivo. Sebbene alcune fonti
parlino di una inchiesta che sarebbe partita dalla polizia locale sulle
cause del delitto, sulla sua  dinamica, sui mandanti religiosi della
comunita' locale e sui responsabili materiali, un solo fatto e' certo:
questa lapidazione non e' l'unica, ne' l'ultima, dalla fine del regime
talebano. Nonostante la messa al bando delle pene corporali da parte del
regime Karzai, una delle poche vittorie per le donne ottenute sulla carta
grazie alle pressioni dei movimenti presenti in Afghanistam, come Rawa e
Hawca, e a quelle delle organizzazioni umanitarie internazionali, le voci
secondo le quali il paese, specialmente nelle zone lontane dalla capitale,
e' ancora saldamente in mano ai fondamentalisti trovano cosi' una
agghiacciante conferma.
Si rischia la condanna alla lapidazione, nel mondo, in paesi poveri come il
Pakistan, il Bangladesh, lo Yemen come nei ricchi Emirati Arabi, e poi in
Iran, Sudan, Somalia, Nigeria, quest'ultima balzata alle cronache per i casi
di Safya Husseini e di Amina Lawal, salvate grazie alla enorme mobilitazione
internazionale messa in moto da Amnesty International.
Di quest'altra Amina, che di cognome faceva Aslam, non si sapeva nulla, come
per la ragazzina di tredici anni, arrestata con altre amiche tutte sotto i
sedici anni, impiccata qualche mese fa da un tribunale islamico in Iran,
perche' aveva osato prendere parola e difendersi dall'accusa di essere
uscita da sola.
Buio sulla sorte delle altre. Fin qui la cronaca, e se si ha lo stomaco
forte per apprendere altre notizie si puo' visitare la galleria dell'orrore
sulla pratica legale dell'assassinio per lapidazione, lunga e zeppa di
recenti vittime, al sito www.squilibrio.it/index.php?idcontainer=54.
*
Proviamo a lenire l'angoscia con alcune riflessioni, per cercare di capire
da dove attinge il consenso a questa pratica. Le tracce della morte per
lapidazione sono presenti sia nella Bibbia sia nel Corano, i due testi ai
quali le tre grandi religioni del libro fanno riferimento, testi con i quali
da secoli tutta l'umanita', nel suo attraversare il tempo e lo spazio, si
confronta, interpreta, rifiuta.
Comunque sia, si tratta di parola umana maschile, che detta legge sui corpi
e sulle menti delle donne, e definisce le gerarchie, tra generi e
generazioni. Una parola di uomo che diventa Legge, e mette in guardia le
donne dal trasgredire l'ordine di sottomissione, di fedelta', di proprieta'
al padre, al marito, al fratello, al figlio maschio.
Molti i motivi indagati alla base di questo meccanismo: bisogno di
controllare cio' che non e' controllabile, ovvero una sessualita' non
evidente, una potenzialita' creativa che puo' far paura e che e' una risorsa
di potere, economica, simbolica straordinaria: quella della vita, che si
puo' contenere solo con l'esclusivita' e il possesso. Ignoranza,
superstizione, poverta', che generano in una spirale senza fine disprezzo e
violenza per chi e' piu' debole fisicamente, piu' esposta al ricatto, piu'
dipendente, come lo sono le donne quando non hanno i diritti fondamentali di
autodeterminazione, quando vivono in luoghi nei quali non possedere il pene
e' sinonimo di destino, e non di scelta.
Il fondamentalismo di ogni matrice pesca qui la sua forza e cresce cosi' i
suoi eserciti di uomini feroci e donne dimidiate nella loro umanita', che
possono solo generare a loro volta, con i figli maschi, i peggiori nemici
per loro e per altre donne.
E' Shirin Ebadi, a dire, in uno dei suoi discorsi dopo il conferimento del
Nobel, dell'emergenza che grava sul mondo: "Come ci si puo' aspettare che
una donna, i cui diritti sono stati costantemente violati e disattesi, che
vive la sua vita nell'incertezza e nell'eccesso di lavoro, che non ha avuto
spazio sufficiente per sviluppare il suo potenziale umano, che di continuo
e' stata ferita e tenuta in disparte, sia capace di trasmettere valori di
cui non ha fatto esperienza, quali l'autostima o il rispetto dei diritti
altrui o il  rigetto della violenza, mentre cresce il suo bambino? E'
difficile trovare un paese in cui le donne non siano esposte a
discriminazioni o a sfruttamento sessuale, e ricevano eguali opportunita'
per sviluppare pienamente i loro talenti".
Gia', nessun paese ne e' immune.
Due giorni fa Amina perdeva la sua vita in una lontana e desolata regione
dell'Afghanistan; due giorni fa una ragazzina di sedici anni, nel foggiano,
in Italia, finiva la sua vita appena sbocciata con una pietrata alla testa
per mano del suo spasimante di appena ventisei anni. Anche lui,
probabilmente, credeva che la sua giovane fidanzata dovesse essere solo sua.
Si parlera' di raptus, certo, e sara' vero. Ma quel sasso a me sembra lo
stesso, dovunque venga lanciato contro una donna, quando la si punisce per
aver peccato contro la legge del padre. Continuo a pensare che la violenza
contro le donne, nell'escalation che porta fino alla lapidazione e che vede
molte tappe nella sua via crucis sia un'emergenza inascoltata perche'
pensiamo non ci riguardi, e invece ci tocca eccome, anche se facciamo finta
di non rendercene conto, e la alimentiamo con la nostra indifferenza.

3. RESISTENZA. BENITO D'IPPOLITO: EN ALABANZA DE UN CARPINTERO LLAMADO
RICARDO ORIOLES
[Ci scrive il nostro amico Benito D'Ippolito: "Il titolo e' una
reminiscenza - e un omaggio - a una poesia (En alabanza de un carpintero
llamado Alfonso) di Nicasio Alvarez de Cienfuegos, l'autore di quella 'Rosa
del desierto' che verosimilmente e' una delle fonti della Ginestra
leopardiana. Erra, ahime', nello stabilire la genealogia del tema la nota di
commento in Cienfuegos, Poesias, Castalia, Madrid 1969, 1980, p. 148;
Cienfuegos mori' nel 1809, Leopardi compose la Ginestra - titolo completo,
come ognun sa: 'La Ginestra / o il fiore del deserto' - nell'ultima fase
della sua vita, probabilmente nel 1836 (si spense nel 1837, era nato nel
1798); sull'argomento cfr. anche Franco Meregalli, Presenza della
letteratura spagnola in Italia, Sansoni, Firenze 1974, p. 55, e Walter
Binni, La protesta di Leopardi, Sansoni, Firenze 1973, 1977, nota a p. 235.
E visto che il filologo per diletto e' all'opera: a p. 165, proprio nel
testo di En alabanza..., nell'ed. cit. (curata da Jose' Luis Cano, edizione
che al di la' delle mende che qui segnaliamo resta semplicemente ammirevole)
e' saltato un verso: cfr. la nota di Polt in John H. R. Polt (a cura di),
Poesia del siglo XVIII, Castalia, Madrid 1987, p. 341. Chi scrive ignora se
vi sia una traduzione italiana di Cienfuegos. En alabanza..., scrive Cano,
'es seguramente el poema mas revolucionario de Cienfuegos': forse non e'
fuori luogo ricordarlo qui".
Benito D'Ippolito e' uno dei piu' assidui e insieme per cosi' dire piu'
schivi e riottosi collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di
Viterbo.
Riccardo Orioles (per contatti: riccardoorioles at libero.it) e' giornalista
eccellente ed esempio pressoche' unico di rigore morale e intellettuale (e
quindi di limpido impegno civile); militante antimafia tra i piu' lucidi e
coraggiosi, ha preso parte con Pippo Fava all'esperienza de "I Siciliani",
poi e' stato tra i fondatori del settimanale "Avvenimenti", cura attualmente
in rete "Tanto per abbaiare - La Catena di San Libero", un eccellente
notiziario che puo' essere richiesto gratuitamente scrivendo al suo
indirizzo di posta elettronica; ha formato al giornalismo d'inchiesta e
d'impegno civile moltissimi giovani. Per gli utenti della rete telematica vi
e' anche la possibilita' di leggere una raccolta dei suoi scritti (curata
dallo stesso autore) nel libro elettronico Allonsanfan. Storie di un'altra
sinistra. Sempre in rete e' possibile leggere una sua raccolta di traduzioni
di lirici greci, ed altri suoi lavori di analisi (e lotta) politica e
culturale, giornalistici e letterari. Due ampi profili di Riccardo Orioles
sono in due libri di Nando Dalla Chiesa, Storie (Einaudi, Torino 1990), e
Storie eretiche di cittadini perbene (Einaudi, Torino 1999).
E' tale il rigore intellettuale e morale, il nitido impegno civile di
Riccardo Orioles, che da anni la sua attivita' giornalistica si esercita al
di fuori della certezza di una retribuzione, senza la copertura di una
scrivania in una redazione, donando del tutto gratuitamente gli articoli
della sua newsletter "Tanto per abbaiare - La catena di San Libero" a quei
mezzi d'informazione che vogliano farne uso, alle persone che leggerli
desiderano. Cosicche' non sara' fuori luogo invitare qui chi legge queste
righe a sostenere questa straordinaria esperienza giornalistica: la "Catena
di San Libero" e' una e-zine gratuita, indipendente e senza fini di lucro,
non ha collegamenti di alcun genere con partiti, lobby, gruppi di pressione
o altro; esce dal 1999. Viene inviata gratuitamente a chi ne fa richiesta;
per riceverla, o farla ricevere da amici, o per collaborare ad essa, o anche
solo per criticarla, basta scrivere a: riccardoorioles at libero.it Chi
desiderasse contribuire alle spese puo': a) fare bonifico su: Riccardo
Orioles, conto BancoPosta 16348914 (abi 07601, cab 16500); b) effettuare
ricarica telefonica (Tim) sull'utenza 333.7295392.
Non occorre aggiungere che l'Alonso Quijano evocato nel sonetto, quando si
fece cavaliere errante assunse il nome - glorioso nome, e imperituro - di
don Quijote de la Mancha]

Restar fedele al vero ed all'umano
seguire ancora l'ardua e strana via
che insegno' e conobbe il buon Quijano
scelse Riccardo Orioles. Se follia

fu o saggezza, se incanto o malia
nulla rileva, ma se anche un sol grano
di quel suo seminare cortesia
fruttifica, non sara' stato vano

un cosi' lungo andare per deserti
un cosi' strenuo raddrizzare torti
un cosi' saldo aver pieta' dei morti

e dei viventi, e suscitare forti
nuovi compagni alla lotta, gli inerti
scuotendo ed avviando agli alti merti.

4. RIFLESSIONE. STEFANIA GIORGI: DAL GENIO AL GENDER
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 aprile 2005.
Stefania Giorgi e' giornalista e saggista, da anni animatrice delle pagine
culturali del quotidiano "Il manifesto", ha scritto molti articoli, densi e
illuminanti, su temi civili e morali, e in particolare di bioetica, di
difesa intransigente della dignita' umana, quindi dal punto di vista del
pensiero delle donne.
Joseph Ratzinger, per molti anni in Vaticano prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, e' ora pontefice cattolico col nome di Benedetto
XVI]

"Esperta in umanita', la Chiesa e' sempre interessata a cio' che riguarda
l'uomo e la donna. In questi ultimi tempi si e' riflettuto molto sulla
dignita' della donna, sui suoi diritti e doveri nei diversi settori della
comunita' civile ed ecclesiale. Avendo contribuito all'approfondimento di
questa fondamentale tematica, in particolare con l'insegnamento di Giovanni
Paolo II, la Chiesa e' oggi interpellata da alcune correnti di pensiero, le
cui tesi spesso non coincidono con le finalita' genuine della promozione
della donna". Cosi' l'incipit della "Lettera ai vescovi della Chiesa
cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel
mondo" che portava la firma del cardinal Joseph Ratzinger, allora - 31
luglio 2004 - prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e
oggi papa Benedetto XVI.
Un documento che riassumeva, per cosi' dire, il segno del dialogo
ininterrotto del pontificato wojtyliano con il "genio profetico" delle
donne. E che non manco' di provocare letture e giudizi molto diversi tra
loro e in qualche caso contrastanti, anche sul "Manifesto". Sulla capacita'
dell'unica grande istituzione monosessuata rimasta nel mondo di farsi
interrogare dal mutamento femminile che abita e segna il mondo ma anche
sulle sue reticenze, omissioni e chiusure dottrinali nell'indicare pericoli,
stabilire recinti, vie d'uscita. A partire dalla pretesa di orientare le
relazioni tra i sessi sulla base del versetto della Genesi "Maschio e
femmina li creo'". Differenza sessuale, dunque, stabilita sulla base
dell'ordine voluto dal Creatore, e incardinata sull'antropologia biblica.
Prima Dio, poi gli uomini e infine le donne. Con una serie di no e di si'
aggiornati per la dottrina cattolica: no al divorzio; no al sacerdozio
femminile (ma promuovendo un ruolo crescente della donna nella Chiesa); si'
alla partecipazione della donna alla vita pubblica (un "segno dei tempi")
purche' non leda la sua "vocazione" alla maternita'; si' alla famiglia, e
solo a quella fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
*
Capace di lasciarsi interrogare dal portato umano e sociale della
rivoluzione femminista, collocandolo al giusto livello dell'antropologia
politica e non della contabilita' dei diritti e dei poteri, al punto di
essere in grado di delineare le diverse tendenze al suo interno, la
"Lettera" individua due fronti di pericolo: da una parte quel femminismo che
tende ad "assimilare in tutto" la donna all'uomo, rivendicativo e paritario,
potremmo tradurre senza tema di smentita. Quel femminismo che "sottolinea
fortemente la condizione e la subordinazione della donna, allo scopo di
suscitare un atteggiamento di contestazione". Che la fa reagire agli abusi
di potere "con una stretegia di ricerca del potere". Con il risultato di una
"rivalita' tra i sessi" e una "confusione deleteria" in primo luogo per la
famiglia. Ma il secondo, forse piu' importante, fronte da combattere e'
quello indicato come "gender theory" (o meglio il "gender trouble" di Judith
Butler, evocata ma non esplicitamente citata nel testo). Ovvero con la
teoria che contesta l'identita' compatta (biologica) del genere femminile
per aprire alla soggettivita' femminile tutto il campo possibile delle
scelte sessuali, sociali, politiche, discorsive, di pensiero. "Ideologia di
gender" che si va affermando nella cultura nordamericana e secondo la
quale - come la interpreta Ratzinger -, ciascuno/a ha il diritto di
scegliere il proprio genere. Minacciando la famiglia "per sua indole
bi-parentale", propugnando "l'equiparazione dell'omosessualita'
all'eterosessualita'", in un "modello nuovo di sessualita' polimorfa".
*
Un documento che nomina la differenza femminile come vocazione relazionale
della donna (la "capacita' dell'altro") ma stigmatizza la liberta'
femminile, la possibilita' di "esistere per se stesse". Differenza
relazionale, dunque, costitutiva dello statuto umano e sessualita' come
dimensione "non solo fisica ma psicologica e spirituale". Una lettura nuova
che pero' sembra aprirsi a esiti antichi e scontati. Perche' tace e omette
su piu' fronti. In primio luogo non riconosce molte fonti di questa sua
ispirazione: il femminismo cattolico, la teologia femminista, il pensiero
della differenza sessuale. Ma tace soprattutto sulla differenza maschile non
chiamandola alla prova di quella "reciprocita'" tanto invocata. Lasciandola
fuori e indenne alla capacita' relazione delle donne. Ratzinger invita
uomini e donne a "esistere per l'altro", nomina l'uomo e la donna nel titolo
per poi occuparsi esclusivamente della "questione femminile". Lo scambio, il
conflitto fertile, annegano cosi' in un orizzonte nuziale e complementare
del rapporto tra i sessi, a vantaggio degli uomini ovviamente. Con il "genio
delle donne" inchiodato all'accoppiata amore/oblativita'/dolore incarnato da
Maria, "benedetta fra le donne"...

5. RIFLESSIONE. VITTORIA FRANCO: PER CONSENTIRE LA VITA E LA NASCITA
[Dal sito www.comitatoreferendum.it riprendiamo il seguente intervento di
Vittoria Franco. Vittoria Franco e' senatrice della Repubblica; laureata in
filosofia, insegna storia delle dottrine politiche ed e' ricercatrice alla
Scuola normale superiore di Pisa. Ha pubblicato volumi e saggi di teoria
morale e politica; collabora a riviste specializzate e ha fatto molti viaggi
di studio in Francia, Stati Uniti, Germania, Ungheria e in altre parti del
mondo; come studiosa le sue ricerche attuali riguardano questioni di etica e
di teoria politica; sta lavorando a un'indagine storica e teorica sul
concetto di responsabilita' e a una monografia sul pensiero di Hannah
Arendt. Presidente dell'Istituto Gramsci toscano, che ha contribuito a
ricostruire e a rilanciare promuovendo incontri, ricerca, convegni con
personalita' prestigiose su vari problemi della societa' che cambia:
bioetica, storia, letteratura, filosofia, riflessione femminile, temi di
attualita', corsi di formazione politica; si e' dedicata a fare
dell'Istituto anche un luogo importante di memoria storica con la raccolta
di archivi del Pci e di figure di rilievo della politica e della cultura; e'
anche presidente dell'Associazione nazionale Gramsci, che raccoglie gli
Istituti presenti su tutto il territorio nazionale. Tra le pubblicazioni di
Vittoria Franco: Intellettuali e irrazionalismo, Ets, Pisa 1984;
"Razionalita' e razionalizzazione: categorie di una modernita' imperfetta",
in Disincanto e ragione. Filosofia, valori e metodo in Max Weber, Dedalo,
Bari 1987; Introduzione a G. Lukacs, La responsabilita' del filosofo, Lucca,
1989; L'ateismo religioso fra disincanto e reicanto. Max Stirner e alcune
interpretazioni di Dostoevskij fra ottocento e novecento, in "Dimensioni",
56-57, 1992; Etica femminile e potere, in Il femminile tra potenza e potere,
Roma, 1995; Etiche possibili. Il paradosso della morale dopo la morte di
Dio, Donzelli, Roma 1996; Martin Heidegger: dall'oblio dell'essere all'oblio
dell'etica, in Le parole della filosofia, Massa, 1997; Individuo e liberta'
in Isaiah Berlin e Hannah Arendt, in "La societa' degli individui", 2, 1998;
Boetica e procreazione assistita, Donzelli, Roma]

In circa un anno di applicazione la legge 40/2004 sulla procreazione
medicalmente assistita ha gia' prodotto effetti negativi tangibili. Essa ha
creato disordine e disorientamento; sono aumentati i viaggi all'estero, in
Spagna, in Svizzera, a Malta, in Slovenia e in numerosi altri paesi; sono
raddoppiati i costi degli interventi, sta crescendo un business
internazionale su una legge eccessivamente proibitiva del nostro Paese a
favore delle coppie piu' facoltose, come era facile prevedere. Viene
introdotto un criterio economico di selezione e si crea diseguaglianza e
ingiustizia. Il limite imposto dalla legge dei tre embrioni da trasferire in
ogni caso, anche se malati e non di buona qualita', ha ridotto le
percentuali di successo, e' diminuito il numero delle nascite e,
paradossalmente - considerata l'ispirazione fondamentale della legge - sta
aumentando il numero di embrioni congelati abbandonati. Gli ostacoli da
superare sono cosi' tanti che si diffonde disamore verso le tecniche di
fecondazione assistita. La richiesta di referendum per abrogare non l'intera
legge, ma le sue parti piu' crudeli e' dunque pienamente giustificata. Quali
sono le parti che si chiede di abrogare?
*
Un primo quesito chiede di cancellare l'articolo 1 che attribuisce "eguali
diritti a tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito". Questo e' il
passaggio che fornisce l'impianto a tutta le legge, stabilendo una sorta di
sacralita' a una entita' preembrionale, che diventa intangibile e
inviolabile. Si stabilisce un piano di parita' fra quell'entita' e chi deve
accoglierla perche' possa svilupparsi e arrivare alla nascita. Ma risulta
subito evidente che quel piano di eguaglianza non puo' tenersi; esso si
trasforma immediatamente in una gerarchia che vede al primo posto l'embrione
e all'ultimo la madre. I diritti dell'embrione diventano cosi' forti da
fagocitare tutti gli altri. Le conseguenze maggiori ricadono sulla salute
della donna.
*
Infatti, nel nome della sacralita' del concepito, viene vietato di fecondare
piu' di tre ovociti e di congelare gli embrioni (oltre che di utilizzarli
per la ricerca scientifica). Insieme con questo divieto va l'obbligo di
trasferirli tutti nell'utero, anche se risultassero non di buona qualita'
(dunque destinati a non impiantarsi) o malati, salvo poi abortire. Le
conseguenze del combinato disposto di obblighi e divieti e' che la donna
deve sottoporsi a stimolazioni ormonali, prelievo di ovociti ecc. a ogni
nuovo ciclo.
La possibilita' di crioconservare gli embrioni costituisce uno dei progressi
piu' importanti nell'ambito della fecondazione assistita: essa ha consentito
di elevare le possibilita' di successo delle tecniche, di osservare meglio
gli embrioni e di trasferire solo quelli di buona qualita', uno o due,
secondo gli standard internazionali. Gli altri si congelano e si
riutilizzano per ulteriori tentativi, nel caso il primo non dia luogo a
gravidanze, o per avere un secondo figlio. L'obbligo di trasferire tutti e
tre gli ovociti fecondati senza possibilita' per il medico di ponderare la
scelta, ad esempio a seconda dell'eta' della donna, ha come conseguenza che
in una donna piu' avanti negli anni nessuno si impianti ed e' necessario
ricominciare tutto dall'inizio, mentre per una donna piu' giovane possono
svilupparsi tutti e tre gli embrioni dando luogo a gravidanze plurigemellari
con i rischi conseguenti per la salute della madre e dei nascituri
(handicap, morte per nascita prematura, ecc.). Il congelamento degli
embrioni non e' vietato da nessuna legislazione al mondo proprio perche'
presenta molti vantaggi per la salute dei soggetti interessati. Anche la
Germania, che ha una legge molto restrittiva, lo consente sia pure per una
fase precedente, quella dello zigote.
*
Un terzo quesito riguarda la liberta' di ricerca e la possibilita' di usare
gli embrioni che non dispongono piu' di un progetto parentale per far
progredire le conoscenze e migliorare le possibilita' di cura per malattie
oggi inguaribili: l'alzheimer, il parkinson, la fibrosi cistica, ma anche il
diabete, il cancro o patologie che oggi richiedono il trapianto di organi.
Le cellule staminali sono cellule non specializzate, in grado di
moltiplicarsi e di differenziarsi in modo da dare luogo a qualsiasi parte
del corpo umano. Differenziandosi possono formare organi e tessuti, come la
pelle, il muscolo cardiaco, cellule pancreatiche, ecc. Via via che esse si
differenziano, riducono tale capacita' e diventano multipotenti; possono dar
luogo, cioe', solo ad alcuni tipi di cellule o tessuti. La ricerca sulle
cellule staminali costituisce oggi la nuova frontiera della biomedicina.
Altri paesi, Spagna, Francia, Inghilterra, Svezia, ma anche la Germania che
anche su questo ha una delle leggi piu' restrittive, sono gia' in un'altra
fase storica: la fecondazione assistita e' data ormai per acquisita e si
fanno leggi per regolamentare le nuove ricerche sulle cellule staminali,
comprese quelle di origine embrionale.
*
Con il quarto quesito si intende riammettere la fecondazione eterologa,
cioe' con gamete (ovocita o sperma) esterno alla coppia. La legge la esclude
anche in casi gravi di sterilita'. Le perplessita' avanzate da molti si
possono anche capire. Ma si deve sapere che essa riguarda una percentuale
minima di coppie con problemi altrimenti irresolubili. Sono coppie che
arrivano alla decisione convinte del loro progetto parentale, elaborato
insieme, magari in un periodo non breve della loro vita comune; sono coppie
che costituiscono famiglie solide sul piano affettivo. Le statistiche dicono
che le famiglie con figli nati con donazione di gamete sono piu' durature e
solo l'1% va incontro al divorzio. Questo significa che, quando si compie
una scelta cosi' impegnativa come quella di far nascere un figlio da gamete
di donatore, si e' consapevoli di una condivisione del desiderio, di un
progetto che entrambi i genitori contribuiscono a elaborare. E questo da' al
rapporto coniugale una solidita' tale da durare nel tempo. La decisione
coincide con una comune assunzione di responsabilita' che fa bene alla
tenuta della coppia e alla solidita' della famiglia.
Una delle obiezioni alla fecondazione eterologa si basa sul "diritto a
conoscere il proprio patrimonio genetico". In questo caso occorre pero'
distinguere fra una questione di principio e casi specifici nei quali si
renda necessario acquisire conoscenze in merito al patrimonio genetico. In
caso di necessita' di terapie particolari gia' ora e' possibile acquisire i
dati anagrafici del donatore tramite l'intervento di un giudice che
autorizza a disporre di quei dati. L'obbligo dell'anonimato in casi di
necessita' viene meno. I centri sono tenuti a conservare, oltre a un
campione di materiale genetico, anche una cartella contenente l'anamnesi del
donatore o della donatrice. Inoltre, la scienza offre oggi nuove
possibilita' di indagine sul patrimonio genetico personale, in cui sono
contenute tutte le informazioni. Dunque, la portata dell'obiezione si
ridimensiona.
La questione di principio - che afferma che sempre vi sia un diritto a
conoscere le proprie radici biologiche - e' piu' complessa. Come si crea
quel diritto? E puo' essere considerato davvero un diritto primario al punto
da impedire la nascita? Puo' quel diritto divenire universale ed essere
considerato alla stregua di un diritto fondamentale, fino a oscurare o
cancellare altri diritti, come il diritto alla genitorialita', a costruire
una famiglia o addirittura il diritto a venire al mondo se si e' desiderati?
La risposta e' no, tanto che vi sono due immediati controesempi: i bambini
abbandonati e adottati, che non potranno mai conoscere il loro albero
genealogico e la loro storia genetica, e un passaggio della legge 40 che
prevede essa stessa di essere violata, quando prescrive che l'uomo non puo'
disconoscere un bambino nato da fecondazione eterologa col suo esplicito
consenso. La legge, infatti, prevede di essere disattesa col turismo
procreativo. La conseguenza di cio' porta al paradosso che diventera' ancora
piu' difficile venire a conoscenza dei dati sanitari del donatore in caso di
necessita' terapeutica, dal momento che l'interessato dovra' rivolgersi a un
giudice straniero, ammesso che la legge del paese in cui e' stata compiuta
la pratica lo consenta.
Ma l'opposizione piu' convinta proviene da una concezione tradizionale della
famiglia come comunita' naturale, dove naturale e' inteso in senso biologico
e non sociologico. Sta a indicare il valore della consanguineita', come se
fosse questa l'unico fondamento della responsabilita' genitoriale, contro
ogni evidenza rispetto ai cambiamenti profondi che la famiglia ha subito
negli ultimi decenni.
Dalla famiglia patriarcale si e' passati alla famiglia mononucleare, a
quella allargata o ricomposta con figli provenienti da precedenti matrimoni,
a quella affidataria e adottiva, con bambini che provengono da altri paesi e
da altre etnie. Si e' andata affermando una nuova concezione della famiglia,
piu' libera e con una pluralita' di modelli possibili, basati sugli affetti,
sull'eguaglianza e sul rispetto reciproco dei suoi componenti, piu' che sui
legami di sangue. E' cambiata anche la cultura della genitorialita': a
quella biologica si accompagna in maniera sempre piu' diffusa quella
sociale. L'aumento della sterilita' e dell'infertilita' fa si' che aumentino
i casi di adozione, soprattutto di quella internazionale, ma anche la
fecondazione con gamete da donatore.
La maternita' e la paternita' diventano sempre piu' un intreccio fra
biologia, cultura, socialita', vissuto psicologico. Anche il desiderio di
dare alla luce un figlio con tecniche eterologhe e' un misto di biologia e
socialita'. La genitorialita' biologica coincide sempre meno con quella
giuridica e sociale. Essa ha diverse vie per affermarsi e realizzarsi.
Dovrebbero avere tutte eguale legittimita' giuridica e morale. Questa nuova
mentalita' gioca a favore della scelta della fecondazione eterologa con un
argomento molto semplice: se la coppia condivide un progetto di
genitorialita' solo per meta' biologica come un atto di amore in piu'
rispetto alla "naturalita'", perche' vi e' sotteso un desiderio elaborato
insieme, in nome di quale principio astratto lo si puo' impedire? Basta un
richiamo generico alla naturalita' e all'unita' della famiglia tradizionale,
peraltro gia' superata dalle trasformazioni sociali, quando in realta', con
divieti cosi' pressanti, la famiglia si impedisce di crearla?
*
In conclusione, voglio tornare al tema di apertura: l'embrione come persona
che merita tutela assoluta. Esso e' divenuto paradossalmente l'unico aspetto
"decisivo" di una legge fatta invece per consentire la nascita con le
tecniche di fecondazione assistita. Nessuno contesta che l'embrione, anche a
uno stadio iniziale di sviluppo, meriti una qualche forma di tutela, in
quanto e' l'inizio di una vita possibile. Diciamo pero' anche che non puo'
trattarsi di una tutela assoluta, come se si trattasse di una persona con
eguali diritti, perche' questa e' un'assurdita' giuridica. Nessuna legge al
mondo lo fa.
Noi diciamo che la tutela dell'embrione va graduata a seconda dello stadio
di sviluppo e bilanciata con la tutela degli interessi e dei diritti di
altri soggetti: con i diritti della coppia a costruire una famiglia, diritto
riconosciuto anche dalla Costituzione europea; va bilanciata con il diritto
alla salute e al benessere della donna; anche questo un diritto ormai
acquisito con la legge 194 e che viene rimesso in discussione dalla legge
40, che mortifica la dignita' della donna.
Anche un eminente filosofo cattolico, Giovanni Reale, ha voluto
controbattere ai difensori della legge sostenendo che la donna non e' un
contenitore, fatto per accogliere forzosamente un embrione,
indipendentemente dalla sua volonta'.
Quella tutela va bilanciata ancora con il diritto di persone colpite da
malattie degenerative, da tumore, diabete ecc. ad avere una speranza di cura
dalle nuove ricerche sulle cellule staminali embrionali.
Non riteniamo che sia piu' rispettoso della vita umana lasciar morire gli
embrioni non utilizzati per la riproduzione anziche' usarli per la ricerca e
per dare una speranza di salvezza e di cura a persone affette da malattie
gravi. E' significativa in proposito la risposta che l'ex ministro francese
della sanita', Jean Francois Mattei (di destra), ha dato a chi lo criticava
per aver cambiato la legge sulla bioetica autorizzando la ricerca sulle
cellule staminali embrionali: "Ho tenuto conto della necessita' della
medicina di proseguire lungo la via della conoscenza. Ormai siamo entrati
nel mondo della biomedicina, dove il vivente viene in aiuto del vivente. Si
tratta di un concetto nuovo che e' necessario accettare". Il vivente viene
in aiuto del vivente: la speranza di avere un bambino che porta a creare un
embrione in vitro va a saldarsi con la speranza della cura e della
guarigione di persone gia' nate: anche questa e' vita.
*
Non e' il caso di creare scontri apocalittici fra laici e cattolici, come
qualcuno ha minacciato, ma di una discussione pacata nella ricerca
dell'alleanza fra credenti e non.
Un'alleanza nel nome del pluralismo culturale ed etico, nel nome del
principio della laicita' dello Stato, perche' e' dimostrato che quando si
indebolisce la laicita' dello Stato, si perdono diritti individuali, si
restringe la democrazia. Ma cerchiamo l'alleanza coi cattolici anche su
alcuni valori che possono accomunarci. La laicita' come noi la intendiamo e
la pratichiamo non e' indifferenza ai valori. Uno dei suoi valori
fondamentali e' il rispetto della dignita' dell'altro, che e' la
precondizione di ogni etica. Credo che quando parliamo di procreazione non
possiamo non fare riferimento a un'etica del dono, dell'ospitalita', del
farsi carico dell'altro.
Per questo riteniamo che si debba partire dalla realta' delle coppie che
vivono con sofferenza la condizione di sterilita' e che aspirano a
soddisfare il desiderio di maternita' e di paternita'. Per questo riteniamo
che debba esserci un limite dello Stato e del legislatore a favore della
genitorialita' responsabile, perche' anche le persone con problemi
riproduttivi possano godere di quella rete profonda e intima di relazioni
affettive che contraddistingue l'umano. Per consentire la vita e la nascita
e non per impedirla.

6. RIEDIZIONI. VICTOR CODINA: COS'E' LA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Victor Codina, Cos'e' la teologia della liberazione, La Piccola Editrice,
Celleno (Vt) 1987, 2004, pp. 64, euro 5. Una limpida sintesi del teologo
nato a Barcellona nel 1931 che da molti anni vive tra i piu' poveri nelle
favelas boliviane; un libro che nella sua prima edizione italiana ha gia'
avuto una vasta circolazione, e che in questa nuova edizione (che reca
alcune modifiche), realizzata in occasione della Carovana della pace del
7-19 settembre 2004 promossa dalla Famiglia missionaria comboniana, siamo
certi trovera' ancora molte nuove lettrici, molti nuovi lettori. Per
richieste: La Piccola Editrice, via Roma 5, 01020 Celleno (Vt), tel. e fax:
0761912591, e-mail: convento.cel at tin.it, sito:
www.conventocelleno.it/lapiccola.index.htm

7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

8. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it,
luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 912 del 27 aprile 2005

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