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La nonviolenza e' in cammino. 894
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 894
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sat, 9 Apr 2005 00:12:59 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 894 del 9 aprile 2005 Sommario di questo numero: 1. Anna Bravo: Donne, guerra, memoria (parte terza e conclusiva) 2. Maria Luigia Casieri: L'educazione che ama e che libera (parte prima). Alcuni autori di riferimento 3. Frei Betto: La differenza 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. ANNA BRAVO: DONNE, GUERRA, MEMORIA (PARTE TERZA E CONCLUSIVA) [Ringraziamo di cuore Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a disposizione il primo capitolo del suo fondamentale libro scritto in collaborazione con Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne. 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000. Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995, 2000; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003. Anna Maria Bruzzone e' nata a Mondovi' e vive a Torino, dove insegna; storica, impegnata per la pace e la dignita' umana. Opere di Anna Maria Bruzzone: (con Rachele Farina), La Resistenza taciuta, La Pietra, Milano 1976, poi Bollati Boringhieri, Torino 2003; (con Lidia Beccaria Rolfi), Le donne di Ravensbrueck, Einaudi, Torino 1978; Ci chiamavano matti, Einaudi, Torino 1979; (con Anna Bravo), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945 , Laterza, Roma-Bari 1995, 2000] 5. Prove di dialogo Quasi 5 anni fa, scrivendo questa introduzione alla vigilia del cinquantennale del 25 aprile, abbozzavamo un bilancio sia interno alla storia delle donne sia esterno. Mentre il censimento delle ricerche indicava che il rapporto donne/guerra/resistenza stava entrando a pieno titolo nell'agenda delle storiche, i programmi culturali e celebrativi mostravano un disegno in chiaroscuro. I limiti di militarismo insiti nei criteri per l'assegnazione delle qualifiche partigiane venivano ormai riconosciuti (46), e nel dibattito almeno due punti sembravano acquisiti: che la resistenza e' un oggetto plurale e differenziato su cui era necessario lavorare ancora a livello di ricerca e di concettualizzazione; che lo studio delle lotte inermi poteva essere una tappa importante di questa nuova fase (47). Anche la presenza femminile era in genere ricordata piu' di frequente; sarebbe ormai stato difficile giustificare un vuoto totale proprio in un momento di massima visibilita' dell'evento. Ma si persisteva a usare un concetto come "solidarieta' femminile", che mette l'accento sull'aiuto offerto ad altri e sull'aspetto umanitario, si esitava di fronte a quello di resistenza civile, che sottolinea invece il rapporto fra comportamenti delle donne e forze occupanti e il suo significato politico e di lotta. Nonostante alcune sollecitazioni a "complicare" anche in Italia i contenuti del termine resistenza (48), la tendenza era ancora a trattare l'esperienza di genere come una enclave all'interno di convegni, libri e mostre, per di piu' limitandosi a vicende e immagini del femminile senza affrontare ne' quelle del maschile ne' i concreti rapporti donne/uomini: un'area su cui c'e' stato, e in parte c'e' ancora, un vasto non detto e un piu' vasto non pensato. Nel frattempo l'espressione "resistenza civile" continuava ad apparire vagamente abusiva, concorrenziale alla lotta armata, comunque inessenziale alla comprensione sia delle tante iniziative di donne (e non solo di donne), sia degli scioperi operai - che, se si accetta la categoria di guerra civile, inaugurano nel marzo '43 la resistenza al fascismo. Oggi la nostra impressione e' che il momento delle rigidezze sia superato. Nella ricerca e nel dibattito la resistenza civile e le lotte delle donne compaiono in modo meno episodico, il termine "resistenza passiva" ha perso credito e la gerarchia armati/inermi non e' piu' intoccabile, mentre voci autorevoli hanno invitato a ridefinire le caratteristiche e i confini della minoranza attiva tenendo conto delle lotte non armate (49). E' un processo lento, non lineare, con varie componenti: la crescita quantitativa e qualitativa degli studi delle donne e dei gruppi della nonviolenza, le posizioni di studiosi/e che anche sull'onda del crollo dei regimi comunisti, invitavano da tempo a considerare nuove categorie e nuovi oggetti di ricerca; l'incrinarsi di alcuni tabu' storiografici (50); infine ma non da ultimo il ruolo di quelle partigiane, deportate "razziali" e politiche, militanti antifasciste, che hanno pubblicamente guardato con simpatia alla resistenza civile e spesso hanno offerto notizie preziose in merito. Fra il concetto di resistenza civile e quello di resistenza tout court, fra i criteri e i referenti sociali che sono alla base dell'uno e dell'altro, si e' inaugurato un dialogo. Lo stesso concetto di resistenza civile si e' aperto al confronto con gli studi delle donne. Inizialmente, quel concetto privilegiava le mobilitazioni istituzionali e le iniziative tendenzialmente di massa e politicamente organizzate, riservando a quelle individuali e di piccoli gruppi lo statuto piu' debole di disubbidienza o dissenso; oggi si ammette che quell'accezione lasciava in ombra molti soggetti a pieno titolo attivi, e si tende a ricomprendere anche le azioni individuali e di microgruppi, l'area a maggiore presenza femminile. Ma il legame fra donne e resistenza civile ci sembra piu' un punto di partenza che di arrivo (51). Quella categoria ha aperto una strada, riunendo sotto un titolo forte iniziative senza nome, azioni ritenute sussidiarie e grandi lotte; ha mostrato che quell'area di comportamenti non e' il braccio disarmato del movimento partigiano ne' un sottoprodotto dei partiti, e neppure un limbo inorganizzato e impolitico. Ha spostato alcune storie importanti dalla memoria privata a quella pubblica. E' moltissimo, e non avrebbe senso pretendere di piu', a maggior ragione perche' il concetto ha una storia in larga parte autonoma dal discorso di genere. Il punto e' che, sgombrato il campo dalla gerarchia armati/inermi, diventano ancora piu' evidenti altri fattori di esclusione. Anche nella resistenza civile ha corso lo stereotipo secondo cui le donne sarebbero incompatibili con la sfera politica, e sono all'opera meccanismi che possono tenerle ai margini. Non e' soltanto antifemminismo. Vincolata agli imperativi della clandestinita', organizzata a maglie larghe, spesso poco omogenea, la resistenza civile nelle sue forme piu' strutturate si regge su una struttura autoritaria che non prevede ne' criteri di avvicendamento della dirigenza, ne' regolari meccanismi di controllo e di confronto. Come fa notare Semelin, non potrebbe essere altrimenti. Ma a essere penalizzate sono in primo luogo le donne, presenti soprattutto nelle realta' di base, per lo piu' ancora prive di uno stile politico autorevole, comunque raramente cooptate nelle leadership. E' un paradosso della resistenza civile antinazista usare pratiche associate al femminile, e uno stile politico e modelli organizzativi tipicamente maschili (52). Persino nelle azioni piu' informali e di base agiscono strutture in cui le donne possono scomparire. Innanzitutto la famiglia, che nell'Europa occupata e' un bersaglio delle politiche di sfruttamento e terrore, e nello stesso tempo un luogo primario di radicamento e concertazione. Non per caso si e' parlato di politicizzazione dei ruoli familiari e di pubblicizzazione della sfera privata (53). Spinte e legittimate ad agire in nome e per tramite della famiglia, le donne restano spesso impigliate nella sua immagine di unita' organica, che tende ad assumere il ruolo di protagonista in loro vece, o a assegnarlo al marito, padre, fratello. Come mostrano anche alcune storie raccontate in questo libro, la figura di moglie e madre puo' sovrastrare quella della resistente, la sua iniziativa tornare ad essere classificata come contributo. E' dunque utile proseguire nella "contrattazione" con la categoria di resistenza civile - il che equivale a mettersi in cerca dei modi in cui si esprime l'azione delle donne, a distinguerla dallo sfondo che potrebbe annettersela e a farla pesare nella concettualizzazione. In questa prospettiva ci limitiamo a sottolineare il legame privilegiato con la mutevole zona di separazione/sovrapposizione tra sfera pubblica e sfera privata che la guerra movimenta fino a scardinarla (54). Le donne - una minoranza di donne - non solo operano per lo piu' in aree a confini incerti come la tutela della comunita', l'assistenza ai piu' vulnerabili, la protezione dei perseguitati, ma quei confini manipolano sistematicamente in ogni loro attivita'. Scrivono e ciclostilano in case che sono nello stesso tempo abitazioni e centri di resistenza. Frequentano mercati e botteghe facendo insieme spesa e propaganda politica. Trasformano gli incontri amichevoli in riunioni, uno sconosciuto in figlio, marito, amante, un libro in contenitore per una rivoltella, il proprio corpo in nascondiglio di documenti; coinvolgono parenti e vicine, tessono relazioni personali negli spazi pubblici, usano gli spazi privati per stabilire contatti politicamente utili. Se il gioco riesce, e' perche' l'associazione tra femminilita' e privato regge ancora sul piano simbolico, anzi viene rafforzata dalla guerra. E perche' di questo stereotipo le donne fanno un uso sapiente, spostando nell'universo delle armi le armi della sfera privata e personale: seduzione, appello agli affetti, fragilita' esibita, impudenza calcolata, a volte la tattica del piccolo dono offerto al nemico in segno di pace, spesso l'esibizione dei simboli del materno. E', dislocata in un ambito del tutto nuovo, la tradizionale pratica di chi si trova in condizioni di dipendenza e per questo deve attrezzarsi a interpretare l'altro. La capacita' di recitare piu' ruoli e di mischiare i confini varrebbe infatti a poco, se non si sposasse all'ingrediente principe delle tattiche di divisione psicologica del nemico, l'attitudine a guardarlo come alterita' composita e decifrabile anziche' come massa indifferenziata; e se non si fondasse sulla consapevolezza che un punto debole degli occupanti sta nel bisogno di sospendere momentaneamente il clima di muro contro muro per godere di un simulacro di rapporti "normali": fame di privato, si potrebbe chiamare. C'e' questo raffinato gioco delle apparenze e delle probabilita' alla base degli episodi infinite volte narrati di donne che superano (o si illudono di superare) i posti di blocco con le loro sporte piene di volantini o munizioni - piene di politica e di guerra - esibendo i simboli della routine domestica o della femminilita' inoffensiva. La "contrattazione" potrebbe partire proprio da qui, dalla ricerca di concetti e intrecci narrativi capaci di far risaltare, insieme alle nuove idee e competenze, le tradizioni di saperi femminili attivate nel faccia a faccia con la guerra. Resta il fatto che per i suoi strumenti e i suoi contenuti la resistenza civile si addice alle donne, e viceversa: tanto che si va facendo strada fra gli storici italiani la tendenza a ritenerla un comportamento e un oggetto storico quasi esclusivo delle donne. Noi stesse corriamo il rischio di creare una nuova enclave e di incidere troppo poco nella discussione in atto. Sarebbe un peccato. Gia' oggi, grazie all'attenzione di alcune studiose si sono scoperti o riscoperti fenomeni e soggetti: per esempio quegli impiegati/e comunali romani che, ancora prima di essere coordinati dal Comitato di liberazione, organizzano un ingegnoso sistema per procurare ai ricercati una "regolare" falsa identita', scegliendo come domicilio edifici bombardati e come luogo di provenienza irraggiungibili Comuni a sud del fronte; o gli sterratori del Verano, che disseppelliscono le bare dei fucilati cui i nazisti vietano di apporre segni di riconoscimento, le aprono, prendono nota delle ferite, dei tratti fisici, dei vestiti, per consentirne l'identificazione in futuro (55). Ma casi come questi sono ancora felici eccezioni. La polarita' armati/inermi risulta davvero incrinata soltanto quando l'inerme coincide con le donne; se si tratta di comparare uomini a uomini, quella gerarchia regge, almeno a giudicare dal quasi vuoto di ricerca e di discussione. Degli attori della resistenza civile ci si occupa di rado e si sa poco, e quel poco a volte emerge per caso, come avviene nel '98 con la storia dell'agente di custodia del carcere milanese di san Vittore Andrea Schivo, deportato e ucciso a Flossenburg per aver "agevolato i detenuti politici ebrei coi loro bambini... soccorrendoli con delle uova, marmellata, frutta, di tutto quanto poteva essere possibile e utile" (56). Forse e' il momento di chiedere le "pari opportunita'" per gli uomini. Certo e' il momento di riattraversare pazientemente guerra e resistenza, misurando la seconda in modo diverso sia sul piano della partecipazione numerica (che senso ha ormai limitarsi a fare il conto dei combattenti in armi?) sia su quello dei significati. Perche' sono molti, all'interno stesso della lotta armata, i comportamenti che sfuggono alla contrapposizione fra chi prende e chi rifiuta le armi. Pensiamo al tema poco studiato delle tregue stipulate fra resistenti e nazisti/fascisti: sotto il termine tregua convivono situazioni di crisi militare e manovre contro formazioni partigiane concorrenti, ma anche il proposito di contenere la distruttivita', di dare un po' di respiro alla popolazione e all'economia locale. Un discorso simile puo' valere per l'elasticita' dell'esercito partigiano: se la resistenza civile e' per eccellenza una realta' a confini mobili, anche dalla resistenza armata si entra e si esce. Dove le formazioni sono stanziali, ci sono partigiani che al momento della vendemmia e della mietitura tornano a casa, per poi rietrare in banda a lavoro finito: rispetto agli eserciti regolari e' un modello opposto, ed e' proprio quel che contribuisce a assimilare il partigiano al combattente popolare. Pensiamo ai tentativi di contrapporre alla bellicosita' come valore il criterio del caso per caso, di resistere alla logica di una guerra "dove non si fanno prigionieri", di pesare minuziosamente il rapporto danni/benefici di una data azione; al dibattito aspro e accorato tra le forze partigiane sui limiti da autoimporsi; ai molti sforzi di mettere fine al piu' presto allo spirito della guerra civile, come fa una giovane partigiana torinese che nei giorni della liberazione viene incaricata di scortare un prigioniero e che gli consente di dileguarsi: "abbiamo vinto, lascio perdere" (57). Forse, sottolineando la vicinanza di pratiche di questo tipo alle strategie di contenimento della distruttivita' (58), si potrebbero chiamare comportamenti di pace in tempo di guerra e a dispetto della guerra. Pensiamo all'importanza di ampliare la discussione sulle spinte complesse che muovono i piccoli e grandi salvatori, dalle ragioni politiche a quella sorta di rivolta morale che si coglie per esempio nelle memorie di Giorgio Perlasca, il commerciante fascista che nella Budapest del '44 si fa passare per console di Spagna e riesce a salvare circa 3.000 ebrei ungheresi fornendo loro documenti e salvacondotti (59). Forse da questo ventaglio di esperienze uscirebbe un racconto di guerra e resistenza piu' vicino alla sensibilita' del presente. E guardando al presente, ricerca e divulgazione potrebbero avere un significato aggiuntivo. La guerra del Kosovo e' nata anche dalla sconfitta della resistenza civile della popolazione kosovara albanese, una sconfitta in cui ha pesato innanzitutto l'ostinazione serba, ma cui non e' stata estranea l'indifferenza della comunita' internazionale di fronte a anni di pratiche nonviolente e poi di fronte alla loro crisi. Rendere onore alle lotte di ieri e' anche un omaggio a quelle di oggi, fatto nella speranza - precaria, ce ne rendiamo conto - di guadagnare qualche consenso in piu' all'idea che la scelta non armata e' spesso la piu' meritevole di riconoscimento e di appoggio. * 6. Un lavoro di memoria Gran parte delle esperienze presenti in questo libro sono state raccontate dalle protagoniste fra il '90 e il '93. Sono gli anni in cui l'illusione di pace generale nata con il crollo del muro di Berlino cede di fronte al moltiplicarsi dei focolai di scontro, all'incrudelirsi delle guerre in atto e allo scoppio di nuove, nel caso della ex Jugoslavia proprio ai confini italiani. Spettacolarizzata nei suoi aspetti sia tecnologici sia arcaici, la guerra entra ogni giorno nelle case, riattivando paure, sensibilita', idiosincrasie - il passo pesante dei tedeschi in stivali di cuoio, la sirena dei bombardamenti -, segnando le forme del ricordo, in particolare in tema di valutazioni e bilanci. Succede cosi' che la tensione fra presente e passato, tipica ricchezza delle fonti di memoria, si caratterizzi per la forza con cui il primo polo agisce sul secondo. La guerra che si e' vissuta puo' appiattirsi su quelle del presente in una sola sequenza di sofferenze inutili, o all'apposto stagliarsi come catastrofe unica e irripetibile. Si desidera raccontare, si teme di raccontare, ci si interroga sulla sua utilita'. Gli appelli alla pace e le dichiarazioni di pacifismo si fanno quasi obbligati, in un intreccio di ritualita' e determinazione: chi ha conosciuto la guerra teme troppo un suo ripetersi per farsi spaventare dalla ripetitivita' del linguaggio. Dimenticare che si tratta di storie di guerra raccontate in tempi di guerre ci priverebbe di un contesto importante per comprenderle. Sono, anche, storie narrate su sollecitazione di altre donne personalmente interessate alla ricerca/costruzione di un'ascendenza femminile, e all'interno di un progetto che punta in modo dichiarato a dar valore all'esperienza delle donne. L'interazione fra chi racconta e chi interroga, grazie alla quale la fonte orale si costruisce come prodotto a due, e' intessuta qui non solo dalle somiglianze e differenze fra donna e donna, ma dal diverso modo in cui quel progetto e' percepito e valutato. Molte narratrici parlavano per la prima volta pubblicamente di se'; pochissime si sono stupite del nostro invito a raccontare. Che la propria esperienza debba entrare a pieno titolo in una storia rinnovata, attenta al quotidiano, alle "piccole cose", al privato, sembra una convinzione diffusa; molto meno diffusa e' la consapevolezza che vari comportamenti attengono invece alla sfera della politica, e che tocca al concetto di resistenza ridefinirsi per abbracciarli. Effetto combinato di conquiste e limiti del femminismo, dei messaggi dei media, di diversi gradi di credibilita' del nostro progetto, della tenuta degli stereotipi anche in chi li subisce? Questo e altro sicuramente; ma in certi larvati scetticismi, in certi impliciti ridimensionamenti, si avverte in primo luogo il peso del senso comune, storiografico e non, creato dalle interpretazioni dominanti su guerra e resistenza. Come si vedra', la memoria ne porta molte tracce. Sebbene alle protagoniste la ricerca sembrasse doverosa non meno che a noi, lo scarto fra aspettative diverse e' rimasto tendenzialmente netto (60). Una sola narratrice usa per descrivere la propria vicenda la bella espressione "piccola resistenza", dove il primo termine allude a una modalita' minore, ma la seconda ne rivendica l'appartenenza alla sfera del politicamente significativo. Ne nasce un racconto di grande presa emotiva e teorica, che tende a fare dell'intervistatrice una "testimone mentale" capace di trasmettere a un pubblico piu' vasto i significati cari alla protagonista. E' il desiderio di molte. Anche per questo ci sembra discutibile l'ipotesi di un rifiuto femminile alla narrazione legato a riserbo, diffidenze, sottovalutazione della propria esperienza, rimozioni - che pure possono avere un peso. Crediamo, piu' semplicemente, che molte donne non abbiano parlato perche' ben poche e pochi si sono preoccupati di sollecitare la loro memoria (61). Nel dopoguerra e per tre decenni ancora, le rare pubblicazioni sono orientate da criteri di rilevanza politico-culturale ancora piu' selettivi di quelli applicati ai testi maschili. Che l'esperienza resti muta sul piano pubblico e' dunque il frutto di una scelta da parte di singoli e di istituzioni, che adottano il silenzio e ne trasferiscono la responsabilita' da se stessi alle protagoniste e dalla storia alla memoria. Un esempio ancora piu' evidente riguarda la deportazione, dove basta una scorsa alle bibliografie per smentire il luogo comune secondo il quale i sopravvissuti non avrebbero scritto o raccontato (62). L'insistenza sull'importanza interpretativa del contesto non implica pero' una concezione della memoria come materiale infinitamente flessibile alle suggestioni dell'interlocutore e dell'oggi. Se il racconto non e' mai pura duplicazione del passato, non e' neppure l'eco del presente. Piuttosto nasce da una contrattazione ininterrotta fra norme e immagini di tempi diversi, si costruisce attraverso una pluralita' di repertori narrativi in cui quello d'epoca fa da caposaldo, denso com'e' di tradizioni familiari e di gruppo, di simboli popolari e religiosi, di modelli culturali, messaggi politici, discorsi di propaganda. E a qualsiasi repertorio fa a sua volta da caposaldo la concretezza dell'esperienza. Tra le risorse conoscitive offerte dalla memoria biografica, la piu' preziosa e' forse la sua capacita' di ricordare che la realta' deborda dai linguaggi disponibili per raccontarla (63), che le idee non nascono per germinazione da altre idee, ma nella loro tensione con il vissuto corporeo, affettivo, mentale. Convinzioni e valutazioni delle narratrici sono molto piu' resistenti di quanto spesso ritiene chi le interroga. Non per questo diventa automaticamente agevole narrare. Il racconto del reduce e' un genere letterario, quello femminile manca ancora di un modello, anche se una guerra come la seconda, per gran parte di retrovia e di occupazione, tende a minare lo stereotipo che assegna al discorso maschile il sangue, a quello femminile il lutto. Di questa polarita' si trova traccia in vari racconti, in particolare quando la memoria femminile sembra incorporare ampi squarci dell'esperienza maschile - e' cosi' per la deportazione, la prigionia militare, la campagna di Russia, dove si ha l'impressione che gli uomini parlino per interposta persona, e le donne facciano da voce narrante. Sottrarsi alla celebrazione del lutto non e' impresa facile, come non lo e' soffrire prima per se stesse che per gli altri. Non nasce pero' solo da qui, ci sembra, la riluttanza cosi' diffusa a presentarsi come pedine schiacciate dall'oppressione, una strategia tanto piu' interessante se si pensa all'enorme successo editoriale e televisivo della Storia di Elsa Morante, con quel prototipo di vittima assoluta che e' il personaggio di Ida Ramundo. Certo gioca in questo rifiuto una tradizione di vita e di racconto, locale e non solo, imperniata sulla donna anello forte della famiglia e della comunita'. Ma nelle narrazioni c'e' materia per un'altra ipotesi, tanto piu' se le si confronta con quelle raccolte in alcune citta' della Germania. Qui l'insistenza sulla condizione di vittima e' un dato generale, interpretato credibilmente come strumento per autoassolversi dalle responsabilita' del nazismo (64): sull'onda di un simbolismo popolare e religioso che separa nettamente vittime e colpevoli, chi e' vittima di un evento non potrebbe esserne considerato responsabile. Risponde allo stesso scopo l'assimilazione della guerra a una catastrofe naturale o a un meccanismo che si autoscatena. Che in gran parte delle nostre interviste siano assenti strategie di questo tipo, suggerisce che in Italia si continua a non fare i conti con la parte avuta dal paese nei crimini della guerra: quanto piu' ci si ritiene innocenti tanto meno si ha bisogno di atteggiarsi a vittime. Non e' solo l'effetto di rigenerazione prodotto dalla resistenza; pesa anche lo stereotipo del fascismo come altro da se', espresso qui nella prontezza con cui ci si dissocia a posteriori senza rimettere in discussione ne' se stessi ne' il proprio rapporto con l'autorita'. Si potrebbero fare, e faremo, altri esempi della ricchezza di questi racconti per lo studio delle soggettivita', del modo in cui da un irrigidimento, un aggiustamento, una deriva della memoria si puo' risalire a una cultura o a un'ideologia - e naturalmente ai sogni, ai desideri, alle frustrazioni personali e collettive. Quante volte la storia che la memoria tramanda e' la vita che poteva essere e non e' stata, la vita che ancora si spera per se' e per gli altri. Non vorremmo pero' che sottolineare questo aspetto mettesse in ombra il contenuto di verita' che il racconto rivendica anche quando si sposta all'altro polo del continuum che separa e unisce elementi "soggettivi" ed elementi "oggettivi"; a condizione di farla interagire con altre fonti, come e' d'uso per qualsiasi documento, la memoria ha pieno diritto di parola sul piano della conoscenza fattuale. Dai nostri racconti esce uno spaccato credibile delle esperienze di guerra in uno spazio che non coincide piu' con la Torino industriale e operaia, ma con un territorio a confini mobili, in cui citta' e campagna si sovrappongono modificandosi a vicenda. Non solo: fra le nostre narratrici, alcune, torinesi di origine, vivono la guerra lontano da casa; altre vengono da citta' diverse o dalla campagna piemontese; altre ancora sono emigrate, per lo piu' dal Veneto, ma qualcuna anche dal Sud. Se il quadro resta ben caratterizzato dal punto di vista locale, offre pero' possibilita' di comparazione gia' al proprio interno (65). In nessun modo abbiamo puntato a un campione rappresentativo, del resto manifestamente inattingibile, ma alla raccolta del maggior numero possibile di esperienze, soprattutto di quelle dimenticate o tenute ai margini. La rappresentativita' che speriamo di aver colto riguarda i molti modi in cui donne e uomini sono stati - o non sono stati - soggetti della propria vita e dei propri pensieri; le molte forme in cui nella stessa persona si e' agita la tensione fra norme e comportamenti, passivita' e liberta', vecchio e nuovo, sia o no quest'ultimo definibile come moderno. La memoria ha aperto molti spiragli sulla guerra che intorno a questi nodi si combatte all'esterno come all'interno delle persone. * Note 46. C. Dellavalle, Partigianato piemontese e societa' civile, "Il Ponte", 1, 1995, cit. 47. Cosi' per esempio al seminario Resistance, Widerstand, Resistenza, Goethe Institut, Torino 6-8 aprile 1995. 48. Cfr. la relazione di L. Paggi al convegno "In Memory: Revisiting Nazi Atrocities in Post-Cold War Europe", Arezzo, giugno 1994, che sottolinea la difficolta' "della narrativa fondata sui valori dell'antifascismo e della resistenza a ricomprendere la memoria delle popolazioni coinvolte". 49. Pavone, Per una riflessione critica su rivolta e violenza, cit. 50. Tra i primi esempi vedi G. Crainz, Il conflitto e la memoria, e Id, Il dolore e la collera: quella lontana Italia del 1945, ambedue sulle uccisioni di fascisti nell'immediato dopoguerra, in "Meridiana" nn. 13, 1992 e 22-23, 1995. Vedi anche P. Pezzino, Anatomia di un massacro, Il Mulino , Bologna 1997, e G. Contini, La memoria divisa, Rizzoli, Milano 1997, entrambi sulla memoria conflittuale verso la resistenza di comunita' vittime di rappreseglie naziste. 51. Per una diversa considerazione del rapporto donne/resistenza civile, cfr. M. de Keizer, La "Resistenza civile", in "Italia contemporanea", 200, 1995. 52. A. Bravo, La resistenza civile, in L. Paggi (a cura di), Storia e memoria di un massacro ordinario, Manifestolibri, Roma 1966. 53. P.Schwartz, Redefining Resistance:Women's Activism in Wartime France, in Higonnet et al. (eds), Behind the Lines cit; A. Rossi-Doria, Le donne sulla scena politica, in Storia dell'Italia repubblicana, Einaudi, Torino 1994: M. Nash, Women's Experience, Civil Resistance and Everyday Life in War and Revolution: Spain 1936-1939, relazione presentata al convegno "Donne, guerra, resistenza nell'Europa occupata" (Milano 14-15 gennaio 1995). 54. Cfr. anche le relazioni di M. G. Camilletti, L. Capobianco, M. Fraser, L. Mariani, al convegno citato sopra. 55. S. Lunadei (a cura di), Donne a Roma 1943-1944, Cooperativa Libera Stampa, Roma 1996. 56. S. Laudi, Un giusto, in "Ha Keillah", 3, 1998. 57. La protagonista e' Marisa Sacco, che narra l'episodio in "Guerra alla guerra", video a cura di Anna Gasco, Torino 1995. 58. Tzvetan Todorov, Une tragedie francaise, Seuil, Parigi 1994. 59. E. Deaglio, La banalita' del bene, Feltrinelli, Milano 1991. 60. Sulla necessita' di lavorare con la memoria anziche' sulla memoria, vedi L. Lanzardo, Torino, guerra, donne. Un esempio di ricerca qualitativa: le fonti orali, in "Qualestoria", 1990, n. 1. 61. Vedi l'analisi di R. Prezzo, La seconda guerra mondiale sul filo della memoria. Memoria e soggettivita' rammemorante, in "L'impegno", 1993, n. 1. 62. Cfr. A. Bravo, D. Jalla (a cura di), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia. 1944-1993, Franco Angeli, Milano 1994. 63. Sul rapporto critica femminista / decostruzionismo, vedi E. Alessandrone Perona, Sincronie e diacronie nelle scritture femminili sulla seconda guerra mondiale, in "Passato e presente", 1993, n. 30, pp. 118 sg. 64. A. M. Troeger, German Women's Memories of World War II, in Higonnet et al., Behind the Lines cit. 65. Delle 125 donne intervistate, sono nate in Piemonte 95 (di cui 60 a Torino e nella cintura): 87 di loro sono di famiglia piemontese. Fra le altre, sono nate al Sud 11, nel centro Italia 4, 15 nel Nord Italia. Nel 1940, avevano meno di 19 anni 51 di loro; 43 erano fra 19 e 29 anni; 25 erano fra 29 e 39 anni; 6 fra 39 e 50. Delle loro famiglie (considerando la condizione del capofamiglia) 39 erano di classe operaia, 20 contadine, 24 di piccola borghesia impiegatizia, 22 di borghesia delle professioni, 5 artigiane, 10 commercianti. 5 erano famiglie di ufficiali e sottufficiali. Le donne di religione cattolica sono 115, di cui alcune non praticanti; 8 di religione ebraica; due valdesi. La loro scolarita' va dalla licenza elementare (50), alla licenza di scuole tecnico-professionali e di avviamento (38), alla licenza liceale o al diploma (14), alla laurea (23). Solo 13 sono definibili come casalinghe; 20 erano ancora studentesse o scolare; 23 erano operaie, 21 impiegate, 2 contadine, 6 commesse, 7 insegnanti, 5 sarte, 2 modiste, 6 occupate in professioni artistiche, 2 commercianti, 2 ostetriche, 1 medico, 1 infermiera, 1 avvocata, 3 domestiche, 1 traduttrice. Le rimanenti svolgevano attivita' varie. Le donne ricoverate in ospedale psichiatrico erano 4, 1 e' suora, 1 e' stata crocerossina per tutta la durata della guerra. All'epoca 52 erano sposate, 38 con figli; 73 erano nubili, 2 con figli; 69 hanno vissuto lo sfollamento, 35 hanno avuto prigionieri, feriti, deportati, dispersi, morti fra i parenti stretti, 2 sono state gravemente ferite nei bombardamenti. Le partigiane riconosciute sono 4; 27 hanno fatto attivita' politica, molto spesso senza legami con partiti e organizzazioni. 26 donne si sono autocandidate all'intervista rispondendo a un "Invito a raccontare" diffuso in un convegno; 26 sono state raggiunte attraverso istituzioni e circoli; 73 attraverso reti di rapporti personali e canali politici. Alcune hanno scelto di comparire attraverso uno pseudonimo. Da altre ricerche da noi condotte abbiamo tratto i racconti delle deportate sia "razziali" sia politiche e di altre partigiane. A tutte le donne che ci hanno narrato la loro esperienza, sia quelle che compaiono in questo libro sia quelle che non abbiamo potuto citare, siamo profondamente grate. (Parte terza - fine) 2. MATERIALI. MARIA LUIGIA CASIERI: L'EDUCAZIONE CHE AMA E CHE LIBERA (PARTE PRIMA). ALCUNI AUTORI DI RIFERIMENTO [I materiali bibliografici seguenti sono stati gia' proposti in piu' fascicoli del notiziario "Educarsi alla pace" nel novembre-dicembre 2004. Tutti sono estratti dalle sezioni bibliografiche contenute in Maria Luigia Casieri, Il contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di apprendimento della lingua scritta, 5 voll., Viterbo 2004. Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it), nata a Portici (Na) nel 1961, insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali animatrici del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Ha organizzato a Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Opere di Maria Luigia Casieri: Il contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di apprendimento della lingua scritta, Viterbo 2004. Emilia Ferreiro, argentina, docente in Messico, psicolinguista e psicopedagogista illustre, e' una delle piu' grandi studiose viventi del processi di alfabetizzazione; e' di fondamentale importanza il suo contributo sul tema dell'apprendimento della lettura e della scrittura da parte dei bambini. Tra le molte opere di Emilia Ferreiro si veda in primo luogo l'ormai classico volume scritto in collaborazione con Ana Teberosky, La costruzione della lingua scritta nel bambino, Giunti, Firenze 1985. Un suo profilo e' nel n. 790 del 26 dicembre 2004 di questo notiziario] 1. Jerome S. Bruner a. Alcune opere di Jerome S. Bruner Bruner, Jerome S., Autobiografia. Alla ricerca della mente, Armando, Roma 1984. Bruner, Jerome S., Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture, Armando, Roma 1985. Bruner, Jerome S., Il conoscere. Saggi per la mano sinistra (1964), Armando, Roma 1968, 1994. Bruner, Jerome S., Il linguaggio del bambino. Come il bambino impara ad usare il linguaggio (1983), Armando, Roma 1987. Bruner, Jerome S., Il pensiero. Strategie e categorie, Armando, Roma 1973. Bruner, Jerome S., Il significato dell'educazione, Armando, Roma 1982. Bruner, Jerome S., La mente a piu' dimensioni (1986), Laterza, Roma-Bari 1988, 1993. Bruner, Jerome S., Psicologia della conoscenza, vol. I, Percezione e pensiero, vol. II, Momenti evolutivi, Armando, Roma 1976. Bruner, Jerome S., Prime fasi dello sviluppo cognitivo, Armando, Roma 1985. Bruner, Jerome S., Verso una teoria dell'istruzione (1966), Armando, Roma 1967, 1988. Bruner, Jerome S., A. Jolly, K. Sylva (a cura di), Il gioco. Ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell'uomo, tomo I, La prospettiva evoluzionistica, tomo II, Il gioco in relazione agli oggetti e agli strumenti, tomo III, Gioco e realta' sociale, tomo IV, Il gioco in un mondo di simboli, Armando, Roma 1981. b. Alcune opere su Jerome S. Bruner Sersale, C. M., Jerome S. Bruner. Creativita' e struttura nella sua metodologia educativa, Armando, Roma 1978. Ornaghi, V., Groppo, M., "Viaggio attraverso la bibliografia di Jerome Bruner: Dagli anni della formazione alla psicologia culturale", in Archivo di Psicologia, Neurologia e Psichiatria, 59 (2), 1998, pp. 199-244. Shore, B., "Keeping the conversation going: An interview with Jerome Bruner", In Ethos, n. 25, 1997, pp. 7-62. * 2. Noam Chomsky a. Alcune opere di Noam Chomsky Chomsky, Noam, Saggi linguistici. Vol. I: L'analisi formale del linguaggio, Boringhieri, Torino 1969. Chomsky, Noam, Saggi linguistici. Vol. II: La grammatica generativa trasformazionale, Boringhieri, Torino 1970, 1979. Chomsky, Noam, Saggi linguistici. Vol. III: Filosofia del linguaggio, Boringhieri, Torino 1969, 1977. Chomsky, Noam, Problemi di teoria linguistica, Boringhieri, Torino 1975. Chomsky, Noam, La grammatica trasformazionale. Saggi espositivi, Boringhieri, Torino 1975. Chomsky, Noam, Saggi di fonologia, Boringhieri, Torino 1977. Chomsky, Noam, Le strutture della sintassi, Laterza, Bari 1970. Chomsky, Noam, Intervista su linguaggio e ideologia, Laterza, Bari 1977. Chomsky, Noam, Conoscenza e liberta', Einaudi, Torino 1973, 1974. Chomsky, Noam, Riflessioni sul linguaggio, Einaudi, Torino 1981. Chomsky, Noam, Forma e interpretazione, Il Saggiatore, Milano 1989. Chomsky, Noam, Regole e rappresentazioni, Il Saggiatore, Milano 1981, 1990. Chomsky, Noam, Linguaggio e problemi della conoscenza, Il Mulino, Bologna 1991. Chomsky, Noam, I nuovi mandarini, Einaudi, Torino 1969, Net, Milano 2003. Chomsky, Noam, La guerra americana in Asia, Einaudi, Torino 1972. Chomsky, Noam, Riflessioni sul Medio Oriente, Einaudi, Torino 1976. Chomsky, Noam, La quinta liberta', Eleuthera, Milano 1987. Chomsky, Noam, Alla corte di re Artu', Eleuthera, Milano 1994. Chomsky, Noam, Illusioni necessarie, Eleuthera, Milano 1991. Chomsky, Noam, Anno 501: la Conquista continua, Gamberetti, Roma 1993, 1996. Chomsky, Noam, I cortili dello zio Sam, Gamberetti, Roma 1995. Chomsky, Noam, Il club dei ricchi, Gamberetti, Roma 1996. Chomsky, Noam, Linguaggio e liberta', Marco Tropea, Milano 1998. Chomsky, Noam, La fabbrica del consenso, Marco Tropea, Milano 1998. Chomsky, Noam, Sulla nostra pelle, Marco Tropea, Milano 1999. Chomsky, Noam, Atti di aggressione e di controllo, Marco Tropea, Milano 2000. Chomsky, Noam, 11 settembre, Marco Tropea, Milano 2001. Chomsky, Noam, Dopo l'11 settembre, Marco Tropea, Milano 2003. Chomsky, Noam, Il potere dei media, Vallecchi, Firenze 1994. Chomsky, Noam, Il potere, Editori Riuniti, Roma 1997. Chomsky, Noam, Guerra ed economia criminale, Asterios, Trieste 2002. Chomsky, Noam, Terrore infinito, Dedalo, Bari 2002. b. Alcune opere su Noam Chomsky e la grammatica generativa trasformazionale Lyons, John, Chomsky, Fontana Press, London, 1970, 1991. Piattelli-Palmarini, Massimo (a cura di), Theories du langage. Theories de l'aprentissage. Le debat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, Seuil, Paris 1979, 1982. King, Robert, Linguistica storica e grammatica generativa (1969), Il Mulino, Bologna 1973. Saltarelli, Mario, La grammatica generativa trasformazionale, Sansoni, Firenze 1970. c. Nel web "Noam Chomsky Archive": http://www.zmag.org/chomsky/ * 3. Celestin ed Elise Freinet a. Alcune opere di Celestin ed Elise Freinet Freinet, Celestin, I detti di Matteo, La Nuova Italia, Firenze 1962. Freinet, Celestin, Il metodo naturale. L'apprendimento della lingua, La Nuova Italia, Firenze 1971. Freinet, Celestin, L'educazione del lavoro, Editori Riuniti, Roma 1977. Freinet, Celestin, La scuola del popolo, Editori Riuniti, Roma 1973. Freinet, Celestin, La scuola moderna, Loescher, Torino 1963. Freinet, Celestin, Le mie tecniche, La Nuova Italia, Firenze 1969. Freinet, Celestin, Saggio di psicologia sensibile, Le Monnier, Firenze 1972. Freinet, Elise, Nascita di una pedagogia popolare, Editori Riuniti, Roma 1973, 1975. b. Alcune opere su Celestin ed Elise Freinet Mce, Freinet: dialoghi a distanza, La Nuova Italia, Firenze 1996. Mencarelli, M., Le tecniche Freinet, Bemporad-Marzocco, Firenze 1956. Pettini, Aldo, Celestin Freinet e le sue tecniche, La Nuova Italia, Firenze 1968. c. Nel web Si veda il sito www.freinet.org * 4. Paulo Freire a. Alcune opere di Paulo Freire Freire, Paulo, La pedagogia degli oppressi, Mondadori, Milano 1980. Freire, Paulo, L'educazione come pratica della liberta', Mondadori, Milano 1977. Freire, Paulo, Pedagogia in cammino, Mondadori, Milano 1979. Freire, Paulo, (a cura di Edson Passetti), Conversazioni con Paulo Freire, Eleuthera, Milano 1996. b. Alcune opere su Paulo Freire Gadotti, Moacir, Leggendo Paulo Freire, Sei, Torino 1995. Rossi, Leandro, Paulo Freire profeta di liberazione, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 1998. Del Grande, Stefano (a cura di), Memorabilia: Paulo Freire, fascicolo monografico del "Notiziario Cdp" n. 161, gennaio-febbraio 1999, Centro di documentazione di Pistoia. c. Nel web Si veda il sito www.paulofreire.org * 5. Aleksandr Romanovic Lurija a. Alcune opere di Aleksandr R. Lurija Lurija, Aleksandr R., Autobiografia. Il farsi della mente, Armando, Roma 1987. Lurija, Aleksandr R., Come lavora il cervello. Introduzione alla neuropsicologia (1973), Il Mulino, Bologna 1977. Lurija, Aleksandr R., Corso di psicologia generale (1975), Editori Riuniti, Roma 1985. Lurija, Aleksandr R., Il bambino ritardato mentale (1960), Zanichelli, Bologna 1987. Lurija, Aleksandr R., Le funzioni corticali superiori dell'uomo (1962), Giunti-Barbera, Firenze 1967. Lurija, Aleksandr R., Linguaggio e comportamento (1959), Editori Riuniti, Roma 1971. Lurija, Aleksandr R., Neuropsicologia della memoria. Disturbi nelle lesioni cerebrali localizzate (1974), Armando, Roma 1981. Lurija, Aleksandr R., Neuropsicologia e neurolinguistica, Editori Riuniti, Roma 1974. Lurija, Aleksandr R., Neuropsicologia del linguaggio grafico (1950), Messaggero, Padova 1984. Lurija, Aleksandr R., Problemi fondamentali di neurolinguistica (1975), Armando, Roma 1978. Lurija, Aleksandr R., Storia sociale dei processi cognitivi (1974), Giunti-Barbera, Firenze 1976. Lurija, Aleksandr R., Una memoria prodigiosa (1968), Editori Riuniti, Roma 1972. Lurija, Aleksandr R., Un mondo perduto e ritrovato (1971), Editori Riuniti, Roma 1973. Lurija, Aleksandr R., Uno sguardo sul passato (1976), Guinti-Barbera, Firenze 1983. Lurija, Aleksandr R., Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla (1965), Armando, Roma 1979. Lurija, Aleksandr R., F. Ya. Yudovich, Linguaggio e sviluppo dei processi mentali nel bambino (1956), Giunti-Barbera, Firenze 1975. b. Alcune opere su Aleksandr R. Lurija Chomskaja, E. D., L. S. Cvetkova, B. Zejgarnik (a cura di), A. R. Lurija i sovremennaja psichologija (A. R. Lurija e la psicologia contemporanea), Izdatelístvo Moskovskogo Universiteta, Mosca 1982. Goldberg, E. (a cura di), Contemporary neuropsychology and the legacy of Lurija, Lawrence Erlbaum Assoc., Hillsdale, N. J., 1990. Mecacci, Luciano, Cervello e storia, Editori Riuniti, Roma 1977. * 6. Jean Piaget a. Alcune opere di Jean Piaget Piaget, Jean (a cura di Richard Evans), Cos'e' la psicologia (1973), Newton Compton, Roma 1979, 1989. Piaget, Jean, Il linguaggio e il pensiero del fanciullo (1923), Giunti-Barbera, Firenze, 1976. Piaget, Jean, Giudizio e ragionamento nel bambino (1924), La Nuova Italia, Firenze, 1958. Piaget, Jean, La rappresentazione del mondo nel fanciullo (1926), Bollati Boringhieri, Torino, 1966. Piaget, Jean, La causalita' fisica nel bambino (1927), Roma, Newton Compton, 1977. Piaget, Jean, Il giudizio morale nel fanciullo (1932), Giunti-Barbera, Firenze, 1972. Piaget, Jean, La nascita dell'intelligenza nel fanciullo (1936), Giunti-Barbera, Firenze, 1950. Piaget, Jean, La costruzione del reale nel bambino (1937), La Nuova Italia, Firenze, 1973. Piaget, Jean, Alina Szeminska, La genesi del numero nel bambino (1941), La Nuova Italia, Firenze, 1968. Piaget, Jean, La formazione del simbolo nel bambino (1946), La Nuova Italia, Firenze, 1972. Piaget, Jean, Lo sviluppo della nozione di tempo nel bambino (1946), La Nuova Italia, Firenze, 1979. Piaget, Jean, La psicologia dellíintelligenza (1947), Giunti-Barbera, Firenze, 1978. Piaget, Jean, Logica e psicologia (1953), La Nuova Italia, Firenze, 1969. Piaget, Jean, "Autobiografia" in AA. VV., Jean Piaget e le scienze sociali, La Nuova Italia, Firenze, 1973 [ed. or. 1952, poi aggiornata nel 1966 per l'edizione originale del presente libro]. Piaget, Jean, I meccanismi percettivi (1961), Giunti-Barbera, Firenze, 1975. Piaget, Jean, Lo sviluppo mentale nel bambino e altri studi di psicologia (1964), Einaudi, Torino, 1967. Piaget, Jean, Barbel Inhelder, La psicologia del bambino (1966), Einaudi, Torino, 1970. Piaget, Jean, L'immagine mentale nel bambino (1966), La Nuova Italia, Firenze, 1974. Piaget, Jean, Saggezza e illusioni della filosofia (1967), Einaudi, Torino, 1969. Piaget, Jean, Barbel Inhelder, Memoria e intelligenza (1968), La Nuova Italia, Firenze, 1976. Piaget, Jean, Lo strutturalismo (1968), Il saggiatore, Milano, 19942. Piaget, Jean, Psicologia e pedagogia (1969), Loescher, Torino, 1970. Piaget, Jean, L'epistemologia genetica (1970), Bari, Laterza, 1973. Piaget, Jean, La psicologia (1970), Bari, Laterza, 1996. Piaget, Jean, Rolando Garcia, Esperienza e teoria della causalita' (1971), Laterza, Bari, 1973. Piaget, Jean, L'equilibrazione delle strutture cognitive (1975), Boringhieri, Torino 1981. Un importante e riassuntivo inquadramento sistematico dei risultati ottenuti dalle ricerche di Piaget e' rintracciabile nelle opere pubblicate negli "Etudes d'epistemologie genetique" nelle edizioni Presses Universitarie de France in 24 volumi. b. Alcune opere su Jean Piaget AA. VV., Jean Piaget e le scienze sociali (1966), La Nuova Italia, Firenze 1973. Dolle, Jean-Marie, Per capire Jean Piaget (1974, 1991), Cedam Padova 1981, 1995. Piattelli-Palmarini, Massimo (a cura di), Theories du langage. Theories de l'aprentissage. Le debat entre Jean Piaget et Noam Chomsky, Seuil, Paris 1979, 1982. c. Nel web Si veda il sito della "Jean Piaget Society" www.piaget.org Cfr. anche il sito www.unige.ch/piaget * 7. Lev Semenovic Vygotskij a. Alcune opere di Lev S. Vygotskij Vygotskij, Lev S., Antologia di scritti, Il Mulino, Bologna 1982. Vygotskij, Lev S., Il processo cognitivo (1926), Boringhieri, Torino 1980. Vygotskij, Lev S., Immaginazione e creativita' nell'eta' infantile (1930), Editori Riuniti, Roma 1972, 1986. Vygotskij, Lev S., La tragedia di Amleto (1915), Editori Riuniti, Roma 1973. Vygotskij, Lev S., Lezioni di psicologia (1932), Editori Riuniti, Roma 1986. Vygotskij, Lev S., Lo sviluppo psichico del bambino (1923-1934), Editori Riuniti, Roma 1973, 1984. Vygotskij, Lev S., Pensiero e linguaggio (1934), Laterza, Roma-Bari 1990, 2003. Vygotskij, Lev S., Psicologia dell'arte (1925), Editori Riuniti, Roma 1972. Vygotskij, Lev S., Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori e altri scritti, Giunti-Barbera, Firenze 1974. Vygotskij, Lev S., Aleksandr R. Lurija, La scimmia, l'uomo primitivo, il bambino. Studi sulla storia del comportamento (1930), Giunti, Firenze 1987. b. Alcune opere su Lev S. Vygotskij Mecacci, Luciano (a cura di), Vygotskij, Il Mulino, Bologna 1983. Moll, L. C. (ed.), Vygotsky and education: Instructional implications of sociohistorical psychology, Cambridge University Press, New York 1990. Newman, F., Holzman, L., Lev Vygotsky, revolutionary scientist, Routledge, London, 1993. Ratner, C., Vygotsky's sociohistorical psychology and its contemporary applications, Plenum, New York 1991. Van der Veer, R., Valsiner, J., Understanding Vygotsky: A quest for synthesis, Blackwell, Cambridge 1991. Van der Veer, R., Valsiner, J., The Vygotsky reader, Blackwell, Cambridge, 1994. Wertsch, J. V., Vygotsky and the social formation of mind, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1985 (tr. sp.: Vygotsky y la formacion social de la mente, Barcellona 1988). 3. RIFLESSIONE. FREI BETTO: LA DIFFERENZA [Questo brano abbiamo estratto dall'articolo di Frei Betto, Il papa e' il nostro re, nel quotidiano "Il manifesto" del 7 aprile 2005 (quotidiano che cosi' presenta, frettolosamente, l'autore: "Frei Betto, domenicano, teologo della liberazione brasiliano, e' sociologo e scrittore. Fra i suoi libri: La musica nel cuore di un bambino, Uomo fra gli uomini, Battesimo di sangue, Gli Dei non hanno salvato l'America (pubblicati in Italia dalla Sperling & Kupfer). Fino a pochi mesi fa e' stato consigliere speciale del presidente Lula", dimenticando di Frei Betto non poche esperienze di vita e di lotta, ed opere di grande rilievo: Carlos Alberto Libanio Christo, noto col suo nome da religioso, Frei Betto, e' nato a Belo Horizonte, in Brasile, nel 1944. Impegnato nel movimento studentesco, entro' poi nell'ordine domenicano. Giornalista, teologo, scrittore, impegnato per i diritti umani, arrestato nel 1969 e detenuto in carcere per anni sotto la dittatura. E' una delle voci piu' note della teologia della liberazione e della chiesa popolare in America Latina. Opere di Frei Betto: Dai sotterranei della storia, Mondadori, Milano 1973; Novena di S. Domenico, Queriniana, Brescia 1974; Diario di Puebla, Queriniana, Brescia 1979; Lettere dalla prigione, Dehoniane, Bologna 1980; La preghiera nell'azione, Dehoniane, Bologna 1980; Il lievito nella massa, Emi, Bologna 1982; Battesimo di sangue, Emi, Bologna 1983; Allucinante suono di tuba, La Piccola, Celleno 1993. Cfr. inoltre Una scuola chiamata vita (con Paulo Freire), Emi, Bologna. Ha anche partecipato a molti volumi in collaborazione (tra cui ad esempio Complicita' o resistenza? La Chiesa in America Latina, Cittadella, Assisi 1976; Fede e perestroika, Cittadella, Assisi 1988; Cina, l'armonia dei contrari, Cittadella, Assisi 1989), e pubblicato libri-intervista come il noto volume Fidel Castro: la mia fede, Paoline, Cinisello Balsamo 1986. Anche la traduzione dell'articolo da cui abbiamo estratto il brano seguente piacerebbe riscontrarla sull'originale, per quel verbo "trasparire" che non ci persuade punto] Per il papa la grande sfida e' come trasparire, nel mondo di oggi, non come un monarca religioso bensi' come un discepolo di Gesu', che ha vissuto con i poveri, e' entrato a Gerusalemme montando un asino, e' morto sulla croce come un prigioniero politico. Questa e' la differenza fra il regno di Cesare e quello di Dio. 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 894 del 9 aprile 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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