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Nonviolenza. Femminile plurale. 6
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 6
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 7 Apr 2005 14:27:12 +0200
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 6 del 7 aprile 2005 In questo numero: Giovanna Providenti: Donne nonviolente in tempi di guerra STUDI. GIOVANNA PROVIDENTI: DONNE NONVIOLENTE IN TEMPI DI GUERRA [Ringraziamo di cuore Giovanna Providenti (per contatti: providen at uniroma3.it) per averci messo a disposizione come anticipazione questo suo saggio (titolo originale completo: "Donne nonviolente in tempi di guerra: il movimento femminista pacifista durante la prima guerra mondiale") che verra' pubblicato nel prossimo volume dei "Quaderni Satyagraha", n. 7, giugno 2005. Giovanna Providenti e' ricercatrice presso l'Universita' Roma Tre, si occupa di studi sulla pace e di genere, in particolare nella prospettiva pedagogica. "Quaderni Satyagraha" e' un'eccellente rivista scientifica, la migliore in Italia sulla nonviolenza. Per abbonarsi ai "Quaderni Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale 30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"] "Abbiamo da credere nel potere spirituale. Abbiamo da imparare ad usare tutta la nostra energia morale, per mettere un nuovo genere di forza dentro al mondo e credere che essa sia una oggettiva realta' vitale - la sola oggettiva realta', in questo momento di dolore e morte e distruzione, che potra' salvare il mondo" (Jane Addams) (1) "Dear Sister My inner being tells me That spiritual unity can only be attained By resisting with our whole self The modern false life. Your servant, M. K. Gandhi" (2) 1. Nutrire la vita umana per costruire la pace Tra i molti articoli scritti da Gandhi nella rivista "Young India", da lui diretta nel periodo tra il 1919 e il 1931, e' poco noto il suo frequente apprezzamento del lavoro compiuto in Europa ed America dal movimento pacifista, e in particolare dalle donne della Women's International League for Peace and Freedom (Wilpf: in italiano Lega Femminile Internazionale per la Pace e la Liberta'), a proposito delle quali il 21 marzo 1929 scriveva: "Le donne dell'ovest stanno giocando una parte molto importante, se non la principale, nel movimento" (3). Effettivamente quando Gandhi scriveva queste parole la Wilpf aveva gia' alle sue spalle quindici anni di storia e di importanti campagne nonviolente, ed una sede stabile a Ginevra, scelta per potere seguire da vicino i lavori della Lega delle Nazioni, perche' "il quartier generale potesse essere nello stesso luogo in cui la Lega delle Nazioni aveva il suo quartier generale" (4). Fin dai suoi esordi la Lega poteva vantare una attivita' politica intensa e costante, grazie anche all'impegno della sua segretaria Emily Green Balch (5), che dieci anni prima, nel 1919, a ben 52 anni di eta' e 21 di servizio, aveva perso il suo posto di professore al Wellesley College di Boston, a causa del suo impegno pacifista durante la prima guerra mondiale. Nonostante questo, invece di perdersi d'animo, aveva scelto di dedicarsi interamente alla causa del movimento pacifista femminista, divenendone una delle principali leader. Cio' che piu' sembrava muovere lei e le altre donne del movimento era la persuasione di avere qualcosa di diverso e di indispensabile da dire, che riguardava loro in quanto donne, ed anche l'intera societa'. Loro obiettivo era decostruire gli stereotipi culturali sessisti, classisti, razzisti e nazionalisti, e ricostruire un mondo consapevole di se stesso e in grado di stabilire tra i suoi cittadini rapporti interculturali e internazionali di tipo cooperativo: "una rinascita dell'internazionalismo, da fondare non piu' su trattati arbitrali, da essere usati nei momenti di disordini e conflitti, bensi' su dispositivi governativi designati a proteggere e incrementare fruttuosi processi di cooperazione rivolti al grande esperimento di vivere insieme in un mondo divenuto consapevole di se stesso" (6). La prima manifestazione pubblica del movimento pacifista femminista, composto per lo piu' da donne impegnate per il riconoscimento dei propri diritti di cittadinanza all'interno del movimento suffragista, avvenne nell'agosto 1914, subito dopo la notizia dell'inizio della guerra in Europa, quando ben 1.500 donne marciarono lungo le strade di New York City. Il loro slogan era "pace non per armistizio ma per accordo", e la loro richiesta: l'immediata convocazione da parte degli Stati Uniti d'America di una conferenza degli stati neutrali per proporre ai paesi belligeranti una soluzione sopra le parti. Pochi mesi dopo, nel gennaio del 1915, veniva costituito a Washington il Women Peace Party (7): "l'intero Preamble and Platform stilato durante questo primo incontro rivelava la qualita' peculiare di un nuovo orientamento organizzativo nella storia delle donne. Esso fu il primo sforzo organizzato per la pace del mondo da parte di donne che non avevano ancora il diritto di voto, ma ciononostante sentivano il bisogno urgente di fare ascoltare le loro voci" (8). Nel documento veniva proclamata chiaramente la precipua responsabilita' delle donne ad opporsi alla guerra e la loro "peculiare passione morale" a contrastare la crudelta' e la perdita di vite umane che ogni guerra comportava. Veniva inoltre rivendicato il diritto di cittadinanza per le donne e "una parte nel decidere sulla guerra e sulla pace" (9). Nel documento del Wpp, venivano poste le istanze pacifiste del momento: conferenza delle nazioni neutrali per fermare la guerra; creazione di leggi internazionali per prevenire la guerra; costituzione di una forza di polizia internazionale e di tribunali internazionali; l'istituzione di una Lega delle Nazioni con procedure giudiziali e legislative vincolanti e una forza internazionale di polizia; un progressivo disarmo di ogni stato, sulla base di un preciso programma di pace; la nazionalizzazione e riconversione delle industrie belliche per un progressivo e definitivo disarmo; azioni internazionali e nazionali per rimuovere le cause economiche della guerra; l'estensione a tutte le nazioni dei principi democratici dell'autogoverno, compreso il suffragio femminile. Ma accanto a questi appelli emergono i tre pilastri portati avanti dalle donne del movimento femminista pacifista ed il motivo per cui esso si distinse dal pacifismo contemporaneo: l'idea dell'inviolabilita' e della necessaria costante valorizzazione della vita umana, la peculiare responsabilita' della donna nel contrastare la guerra, la cittadinanza femminile come strumento di opposizione alla guerra. * La spinta femminista che le motivava a pronunciarsi in maniera netta contro ogni guerra non era dovuta ad istanze di tipo rivendicativo, ma da cio' che loro percepivano come una impellente necessita': correggere i difetti delle societa' democratiche e contribuire attivamente alla costruzione di una pace duratura, sostituendo alla cultura della guerra una cultura del valore e del nutrimento (materiale e simbolico) della vita umana. Si tratta di una precisa proposta politica di dare priorita', piu' che agli ampliamenti territoriali e alla colonizzazione, alla cura degli esseri umani e allo sviluppo delle loro risorse creative e non distruttive. Guardare alla nascita e allo sviluppo sano di cose e persone e coltivare la parte "buona" presente in ogni essere umano, "anche il piu' scellerato", come ripetutamente scriveva la teorica forse piu' importante del movimento, Jane Addams (10): "the natural outgoing of human love and sympathy which, happily, we all possess in some degree" (11). L'insistenza sui temi della nascita, della crescita, della componente umana della vita caratterizzo' questo movimento, che si prese la prerogativa e l'autorita' morale di intervenire contro la guerra, a partire dall'essere donne: "non tanto perche' superiori o migliori degli uomini", come molte delle intervenute all'assemblea costitutiva del Wpp ci tenevano a precisare, "ma ci sono cose su cui le donne sono piu' sensibili degli uomini, ed una di queste e' the treasuring of human life" (12). La gelosa custodia (treasuring) e il nutrimento della vita umana assumeva il significato di una proposta culturale, costruttrice di pace, a partire dai comportamenti e dalle menti degli individui in carne ed ossa: "non ci aspettiamo di cambiare la natura umana, noi gente di pace, ma ci aspettiamo di cambiare il comportamento umano... Potrebbe esserci ancora molta strada da fare per raggiungere una pace permanente, e potrebbe esserci un lungo viaggio davanti a noi nell'educare la comunita' e l'opinione pubblica... La cosa peggiore della guerra non e' il gas velenoso che spazza via intere vite e distrugge le citta', ma il veleno che si spande nella mente dell'uomo... In ogni sfortunata evenienza noi dobbiamo prepararci non soltanto predisponendo le istituzioni, la Lega delle Nazioni e il Tribunale Internazionale, ma anche con una opinione pubblica adeguatamente formata, che potra' combattere lo spargimento del veleno" (13). Per combattere lo spargimento di veleno bisognava innanzitutto prodigarsi per cercare di "sostituire le virtu' morali della guerra con il nutrimento della vita umana". La guerra oltre ad essere una distorsione della bonta' della natura umana, andava anche considerata nella sua funzione, difficilmente "rinunciabile", di rispondere a delle precise esigenze umane di tipo emozionale, per il suo procurare vissuti forti di eroismo, conflittualita', e dedizione ad una causa. Jane Addams, il cui pensiero insieme a quello di Emily Green Balch viene considerato il fondamento filosofico del movimento pacifista femminista e della Wilpf (14), riteneva necessario e possibile trovare una alternativa alla guerra attraverso una ricerca scientifica estesa a vari ambiti: psicologico, sociale, storico, politico, filosofico. Lei stessa aveva vissuto in prima persona tale alternativa nel suo lavoro di attivista e riformista sociale, e di cura delle persone. Nella introduzione a un testo del 1907 scriveva a proposito della sua idea di sostituire la guerra con un eroismo altrettanto valido e virtuoso, ma rivolto allo sviluppo della vita piu' che alla sua distruzione: "In questo nostro momento storico il nuovo eroismo si manifesta nella universale determinazione ad abolire poverta' e malattie, una propensione cosi' ampiamente diffusa da potere essere considerata internazionale... Il nuovo umanitarismo mostra essere abbastanza aggressivo da potere sostituire stimoli emozionali e codici di condotta. Noi possiamo prevedere che ogni nazione, seguendo un processo abbastanza naturale, raggiungera' il momento in cui lo spirito della guerra sara' sostituito da una virile predisposizione alla buona volonta' (virile good-will will)" (15). Coetanea ed amica del filosofo William James, Addams, come lui, riteneva la guerra "psicologicamente attrattiva", e ben rispondente al desiderio umano basilare di abnegazione, dedizione e avventura, ma la sua professione in mezzo ai poveri ed agli ammalati ed il suo essere donna, la rendevano consapevole della esistenza di un modo alternativo alla guerra per corrispondere a questo desiderio. Non a caso, James faceva riferimento ad un corrispettivo (equivalent) della guerra, da lui trovato in attivita' fisiche di tipo sportivo o nel servizio civile: Addams invece, utilizzando la metafora del "nutrimento della vita umana", ampliando il discorso alle donne, trovava nel lavoro produttivo e nelle attivita' della cura e del sostegno alle persone (sia fisico che morale che formativo) un sostituto (substitute) valido alla guerra (16). L'alternativa posta da Addams e dalle sue colleghe del Wilpf non guardava solo al ristretto momento della guerra o del servizio militare, ma alle svariate condizioni presenti in una societa': a suo parere sarebbe stato possibile sostituire alla rabbia e alle conflittualita' reciproche un vivere solidale sotto la luce di una ragione comune, costituita dall'ordine democratico. A suo parere ogni governo democratico avrebbe dovuto gradualmente rinunciare al suo apparato militare e realizzare il "dispiegamento di tutta una serie di processi costruttivi e vitali che si rivolgono alla realizzazione di uno sviluppo comune", per fare spazio alla "marea portatrice di sentimenti morali che sta emergendo sempre di piu' e che lentamente inghiottira' tutta la superbia della conquista e rendera' la guerra impossibile" (17). Va sottolineato che l'alternativa del "nutrimento" non si pone sullo stesso piano di valori della guerra: la centralita' della persona, ogni persona, faceva perdere ogni giustificazione plausibile al dispendio di vite umane che ogni guerra comporta. Inoltre, sono le persone che si nutrono, gradualmente attraverso piccole e continue azioni di cura e cooperazione, a partire dall'attivita' quotidiana, come le stesse donne del Wilpf avevano sempre fatto e continuavano a fare: "cio' che la nostra organizzazione stava tentando di fare era sostituire alla coercizione il consenso, alla fede nella guerra una volonta' e predisposizione rivolta alla pace. Come tutti gli sforzi di tipo educativo, dal pregare in chiesa all'insegnare nelle scuole, al momento potrebbero apparire inefficaci e vaghi, ma L'unico modo per cambiare le attivita' della vita e' quello di cambiare le idee su cui certi comportamenti vengono reiterati" (18). A parere delle teoriche del movimento, per giungere al capovolgimento nonviolento della societa' sarebbe stato necessario partire dai contesti relazionali, in cui rapporti di tipo paritario avrebbero dovuto sostituire ogni tipo di rapporto di dominio. Addams aveva gia' dato centralita' alle relazioni in un saggio del 1902 dal titolo Democracy and Social Ethics, ma e' in un articolo di trenta anni dopo dal titolo "Tolstoi e Gandhi" che la sua idea appare molto chiara: "nelle industrie, il temibile caposquadra di reparto e' stato sostituito da formato personale direttivo; nell'istruzione, il maestro dominatore ha lasciato il campo a un nuovo tipo di educatori tendenti ad evocare l'abilita' dei suoi studenti, cosi' come nel campo medico il dottore, come mai prima d'ora, ritiene fondamentale cooperare con il proprio paziente; il giudice dei tribunali dei minori non assolve ne' condanna, ma utilizza ogni mezzo possibile, inclusa la forza morale del criminale stesso, per rettificare una data situazione. Ovunque nel mondo gli uomini sono desiderosi di trovare una tecnica che possa essere adeguata nell'affrontare le straordinarie (extraordinary) complessita' del mondo moderno" (19). * Da quanto detto finora appare evidente che la concezione del "nutrimento della vita umana" intendesse fare emergere dei metodi pacifici per affrontare le questioni umane piu' complesse, a tutti i livelli, dal privato al pubblico. L'interesse e originalita' di questa idea risiede nella connessione tra miglioramento (il nutrimento!) materiale e morale di tutti gli esseri umani e la realizzazione di una pace duratura, e nell'accostare argomenti appartenenti alla storia politica del femminismo a metodi e contenuti presenti in pensatori come Tolstoi e Gandhi. Inoltre, il termine "nurturing", e non "mothering", manteneva la provenienza culturale femminile della proposta, ma evitava di relegarla nel mondo esclusivo delle donne e del privato. In effetti uno sguardo piu' approfondito alle protagoniste ed alla storia dei primi anni del movimento pacifista femminista rileva non semplicemente una concezione teorica, ma una vera e propria pratica femminista e nonviolenta. * 2. Una ideologia pratica e autorevole La concezione pacifista femminista del nutrimento della vita umana si rivolgeva, non solo alle istituzioni politiche, ma soprattutto agli individui che costituiscono le societa' e le rendono democratiche attraverso i loro pensieri, azioni ed emozioni. Ma chi e' che nutre chi? Si tratta di un nutrimento reciproco, in cui a farla da protagonista e' la partecipazione, in una visione della politica come luogo di presenza civile e sociale, in cui non conti solo l'appartenenza alla cittadinanza, ma il contributo positivo di ogni cittadino/a, possibile solo se le sue capacita' personali e sociali siano state sufficientemente nutrite. Questa idea appare per niente astratta e molto concreta alla luce delle storie di vita e delle attivita' professionali svolte dalle sue sostenitrici. Senza le donne del movimento pacifista femminista sarebbe stato improbabile che negli anni della prima guerra mondiale e successivi le idee e le azioni nonviolente da loro avanzate, anche attraverso il sostegno agli obiettori di coscienza, potessero riuscire a sopravvivere e in taluni casi ad imporsi, tanto da essere ritenute una minaccia dallo stesso statunitense Frederick Keppel, Assistant Secretary della guerra nell'aprile del 1918, che attivo' una campagna infamante, trasformatasi poi in persecuzione da parte dell'opinione pubblica, contro le pacifiste americane (20). Nonostante questo, e nonostante oggi sia ancora poco conosciuto, il movimento pacifista femminista riusci' ad imporsi, negli anni della prima guerra mondiale, all'opinione pubblica statunitense, ed in seguito anche a quella internazionale, infondendo un nuovo spirito in un momento storico in cui le organizzazioni pacifiste male-dominated stavano divenendo sempre piu' inattive. Come scrive una delle prime studiose di questo movimento, Barbara J. Steinson: "Le donne realizzarono la maggioranza delle iniziative, mantennero la leadership e l'entusiasmo, e, sebbene non riconosciute, seppero tenere fronte alle molte difficolta', il loro lavoro organizzativo 'dietro le scene' rese possibile l'esistenza del movimento pacifista dopo il 1914" (21). Le donne erano gia' presenti dietro le scene dei molti movimenti pacifisti sorti a cavallo dei due secoli, ma con lo scoppio della prima guerra mondiale esse scelsero di venire alla luce assumendo su se stesse la responsabilita' dei destini dell'umanita'. Quasi nessuna di queste donne era stata madre nella vita eppure tutte loro affermavano di esserlo simbolicamente, assumendosi il potere e la responsabilita' di una maternita' sociale e l'autorevolezza di prendere la parola. Non solo la morte dei soldati in guerra le riguarda personalmente, ma, in quanto madri simboliche, le pacifiste affermavano di conoscere l'esistenza di altri metodi per affrontare, e forse risolvere, i conflitti. A loro parere, una pace stabile non poteva scaturire da rivoluzioni violente o guerre, ma doveva essere supportata e nutrita, in tempi di non guerra, da concrete azioni politiche rivolte a demilitarizzare la societa': a partire da una "positive cooperation, social and economic" (22). Nel rivolgersi a tutto cio' che di costruttivo e positivo ci fosse nella societa', le attiviste del Wilpf non trascurarono il mondo del lavoro: "La classe lavoratrice aveva un importante ruolo da giocare per lo sviluppo di un mondo pacifico; i lavoratori conoscevano bene l'importanza di produrre piuttosto che distruggere, e inoltre essi erano abituati a mescolarsi con altri lavoratori di differenti nazionalita'. Addams mantenne questa posizione fino agli anni Trenta, incitando i leader di altre associazioni pacifiste a cooperare con gli operai" (23). La parola autorevole assunta dalle femministe pacifiste sollecitava la presenza di contenuti e strumenti che, a loro parere, le donne conoscevano meglio e gli uomini avrebbero dovuto imparare a conoscere e usare, ed il fatto di essere solo donne non era motivato da istanze separatiste, ma dal semplice fatto che solo cosi' sarebbe stato possibile tenere i vertici del movimento, dato che in qualsiasi organizzazione di tipo misto gli uomini avrebbero assunto i ruoli dirigenziali. Queste donne conoscevano bene la differenza tra le associazioni miste e quelle femminili, provenendo da lunghi trascorsi politici all'interno del pacifismo e riformismo sociale, ed anche del suffragismo. Tra le piu' note suffragiste dell'epoca, l'inglese Emmeline Pethick-Lawrence fu una delle protagoniste del femminismo pacifista, ed e' sua l'emblematica frase vessillo di tutto il movimento secondo cui le donne combattevano per la pace in quanto "The Mother Half of Humanity", la meta' madre dell'umanita' (24). Lontana dal volere relegare alla funzione materna i compiti delle donne nella societa', Pethick-Lawrence voleva piuttosto sottolineare la responsabilita' e il potere delle donne nei confronti dell'intera umanita'. Nella autobiografia lei stessa, ribadendo il concetto di nutrimento della vita umana, poneva la sua adesione al pacifismo femminista in stretta continuita' con l'impegno sociale e politico precedente ed in particolare con la lotta suffragista: "l'idea della solidarieta' tra donne si era profondamente radicata dentro molte di noi: cosi' profondamente da non potere essere scossa neppure dal fatto che gli uomini di molte nazioni erano in guerra. I principi che avevano ispirato la nostra grande lotta per l'emancipazione delle donne tornavano alla nostra memoria. Non avevamo parlato e scritto della solidarieta' tra donne la cui principale vocazione in tutte le nazioni era una sola e la stessa, la custodia e il nutrimento della razza umana? Potevano le donne del mondo rimanere in silenzio mentre gli uomini nel fiore della giovinezza venivano offerti in sacrificio da tante nazioni? Sacrificio per che cosa?" (25). * Le protagoniste di questo movimento non erano delle giovani entusiaste nuove al mondo della politica. Al contrario, quasi tutte loro provenivano da importanti impegni professionali e politici precedenti, e il loro approccio pacifista era fortemente influenzato dal modo in cui avevano intrapreso fino a quel momento la loro professione. Ad esempio, intorno al 1914, le quattro donne ai vertici internazionali della Wilpf, Jane Addams, Alice Hamilton, Aletta Jacobs ed Emily Balch, avevano gia' raggiunto la mezza eta' ed avevano alle spalle un lungo e importante impegno professionale nel campo del mondo sociale, sanitario, accademico e politico. Le loro scelte erano state fuori dai canoni e dagli stereotipi che la pressante suddivisione tra mondo del privato e del pubblico imponeva allora al loro sesso, ma cio' che davvero le accomuna e' la costante attenzione a trasformare la teoria in azione, a fare cio' che Addams, auspicando per se stessa, attribuiva a Tolstoi: "to lift his life to the level of his conscience, to traslate his theories in action" (26). Da questo punto di vista puo' interessare anche solo un rapido cenno alle loro biografie. Alice Hamilton, prima donna laureata ad Harvard in medicina e primo medico del lavoro statunitense fu impegnata per anni nella ricerca sui rischi del benzene per i lavoratori delle industrie in cui si faceva largo uso di questa sostanza, e per tutta la sua lunga vita non esito' mai a rimboccarsi le maniche per salvare vite umane, attraverso il suo lavoro di dottore, e a denunciare l'origine di molte malattie "professionali" (27). Nello stesso ambito medico, Aletta Jacobs, leader del movimento internazionale suffragista, fu il primo medico donna olandese: attivamente impegnata per tutta la vita per difendere la precaria salute delle donne di allora divise tra le troppe gravidanze, lavori talvolta molto pesanti, e le malattie veneree. In questo ambito si impegno' sia come medico che come ricercatrice, occupandosi e diffondendo tra le sue pazienti pratiche contraccettive non rischiose, in tempi in cui questo era ancora un tabu'. In un suo testo del 1899, dal titolo Women's Issues, aveva trattato il tema del "regolamento legale della prostituzione", della "indipendenza politica ed economica delle donne" e della "pianificazione familiare", tematiche che l'avevano vista coinvolta anche politicamente (28). Anche la piu' nota tra le protagoniste del movimento, Jane Addams, proviene da un'attiva carriera nell'ambito del sociale, avendo fondato il Social Settlement Hull-House a Chicago, una delle prime istituzioni sociali del genere in America. Nei testi di Addams l'esperimento di Hull-House e' posto come un primo passo verso la costruzione di una societa' democratica, pacifica e interculturale. Questa istituzione, a parere di Jean Bethke Elshtain corrispondeva al "sogno democratico" della pensatrice americana: "Forse siamo talmente abituati a pensare i poveri come clienti piuttosto che come cittadini, come recipienti di provvedimenti sociali piuttosto che come attivi artefici del loro proprio destino, che abbiamo perso un vocabolario civico sufficientemente ricco per descrivere in maniera appropriata e piena la realta' di Hull-House" (29). Da questo tipo di donne e dalla loro esperienza di vita, oltre che di pensiero, nasce una concezione di nonviolenza che merita la nostra attenzione per il suo proporsi come non astratta e molto concreta. Una affermazione riscontrabile ripetutamente nei documenti della Wilpf nei primi decenni di vita riguarda la fiducia in "nuovi metodi liberi dalla violenza" che possano "porre fine agli abusi" e "raggiungere finalita' positive" (30). Questi "nuovi metodi" devono la loro origine alla conoscenza delle teorie tolstoiane e delle contemporanee campagne politiche di Gandhi, a cui le donne del Wilpf guardavano con grande speranza. Ma nella loro prospettiva vi e' anche qualcos'altro che mi sembra molto importante fare emergere nel contesto degli studi sulla pace. Questo qualcos'altro ha a che fare non tanto col loro essere donne biologicamente, quanto con la cultura politica e sociale da cui provengono, una cultura di pace, che presupponga il rispetto delle diversita' e la equivalenza (e non uguaglianza) dei percorsi vocazionali e umani in genere di ogni persona: "l'interconnessione ed il rispetto per la diversita' furono le idee centrali che informarono le visioni transnazionali sia di Addams che di Balch, cosi' come il loro approccio alla pace ed al riformismo. La loro concezione di un mondo pacifico si fonda sulla componente fondante della interdipendenza umana e sulla loro persuasione che ogni individuo ha valore" (31). La cultura di pace posseduta e manifestata da queste femministe ebbe la forza di non fermarsi di fronte allo scoppio della guerra e della cultura diffusa, che ne vedeva l'inevitabilita' e persino l'opportunita', da parte di un altro ramo del femminismo, al fine dell'ottenimento del diritto di voto e della cittadinanza femminile. Le donne che ruotarono intorno al movimento femminista pacifista, in gran parte confluite poi nella Wilpf, erano persuase che l'ottenimento dei diritti civili e sociali fosse privo di significato in un mondo dominato da una cultura che vede nella guerra uno strumento di risoluzione dei conflitti. Loro nutrivano la fiducia in possibilita' alternative che proposero in prima persona, e si impegnarono ad agire nella pratica politica le loro persuasioni teoriche: a tentare di fare il maggiore uso possibile del loro potere di donne. Nel prossimo paragrafo la loro esperienza in questa direzione. * 3. Il Congresso internazionale per la pace dell'Aja Visto l'ampliarsi del movimento ed il proseguire infausto della prima guerra mondiale le pacifiste americane ed europee (tra cui Emmeline Pethick-Lawrence e Rosika Schwimmer (32), che avevano partecipato alla marcia di New York) organizzarono un evento internazionale di grande pregnanza simbolica: rimpiazzare lo svolgimento della terza Conferenza ufficiale per il disarmo, che si sarebbe dovuta svolgere nella citta' dell'Aja entro il 1915 e che non era stata indetta a causa della guerra. Scopo di questi incontri, che nel 1899 avevano visto la partecipazione di ben 26 stati era "trovare dei meccanismi arbitrali per la soluzione pacifica delle controversie internazionali ed elaborare un diritto bellico rispettoso dei diritti umani... La decisione piu' importante concerneva la Convenzione per il regolamento pacifico delle controversie internazionali, che prevedeva l'istituzione di una Corte permanente di arbitrato. La seconda conferenza, proposta da Theodore Roosvelt e convocata da Nicola II, si tenne nel 1907 e vi parteciparono 44 stati" (33). La Conferenza sostitutiva del 1915, nota come The International Peace Congress, fu convocata nella stessa citta' dell'Aja, non dallo zar di Russia come le due precedenti ma dalla "suffragetta" olandese Aletta Jacobs: vi parteciparono rappresentanti di oltre 150 organizzazioni appartenenti ad almeno dodici paesi, tra cui i belligeranti Germania, Gran Bretagna, Francia e Austria. Erano tutte donne, e nonostante la loro posizione di non-cittadine si sentivano autorizzate ad intervenire nella confusa e sanguinosa situazione a cui la guerra aveva condotto: "what is needed above all else is some human interpretation of this overevolved and much-talked-of situation in which so much of the world finds itself in dire confusion and bloodshed" (34). Le risoluzioni assunte dopo tre giorni di faticoso lavoro furono: la costituzione di un International Committee of Women for Permanent Peace, da cui sarebbe nata la gia' nominata Lega Internazionale Femminile per la Pace e la Liberta'; la risoluzione di tenere un meeting "in the same place and at the same time as the Conference of the Powers" (35) che avrebbe deciso le sorti conclusive dei paesi in guerra, e l'immediata organizzazione di una delegazione di donne presso i ministri dei diversi stati europei, sia neutrali che in guerra. Scopo di questa delegazione era proporre agli uomini di governo la costituzione di una commissione di esperti internazionali, convocata dagli stati neutrali, avente lo scopo di fare cessare il conflitto non per armistizio ma per mutuo accordo, sulla base di quanto scritto in un documento, stilato dalla pacifista Julia Grace Wales (36) agli inizi della guerra e reso pubblico la prima volta alla National Women's Conference tenuta a Chicago nel febbraio 1915 e riproposto al Congresso dell'Aja. In questo documento dal titolo International Plan for Continuous Mediation without Armistice, viene proposta in maniera chiara e lineare una possibile azione concreta per fermare immediatamente la guerra senza vincitori ne' vinti, ma per accordo pacifico tra le parti e nello spirito di un internazionalismo costruttivo: "I membri della commissione dovrebbero avere una funzione scientifica ma non diplomatica; they should be without power to commit their governments. La commissione dovrebbe esplorare le questioni concernenti il presente conflitto, ed alla luce di questo studio iniziare a fare proposte ai paesi belligeranti nello spirito dell'internazionalismo costruttivo. Se il primo sforzo fallisse, essi dovranno ancora consultarsi e deliberare, rivedere le loro iniziali proposte ed offrirne delle nuove, tornando indietro ancora ed ancora, se necessario, nella immutabile persuasione che infine potra' essere trovata una qualche proposta che offrira' una base concreta (practical basis) per giungere a tangibili negoziati di pace" (37). Nel libro Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, scritto dalle gia' nominate Addams, Balch ed Hamilton vengono raccolti i documenti e viene raccontata l'esperienza dei tre giorni dei lavori congressuali nell'aprile 1915, la partecipazione e la solidarieta' tra donne anche appartenenti a stati in guerra tra loro, ed il lavoro delle delegazioni inviate a parlare con i ministri di tutti gli stati europei. Jane Addams, Aletta Jacobs, e l'italiana Rosa Genoni si recarono a parlare dai ministri degli esteri di Austria-Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia e Svizzera. Emily Greene Balch, Chrystal Macmillan e Rosika Schwimmer si recarono nei paesi Scandinavi e in Russia. Le risposte ottenute dai leader dei diversi paesi in guerra furono di sostanziale disponibilita' rispetto alla realizzazione della commissione di esperti per la cessazione del conflitto, a condizione che questa fosse convocata dai paesi neutrali, ritenendo che una richiesta di mediazione da parte loro sarebbe stata vista come un segno di debolezza dal paese avversario. Tra le nazioni neutrali, Norvegia, Svezia, Danimarca e Olanda si dichiararono disponibili a convocare una Conferenza dei Paesi Neutrali e a promuovere la commissione internazionale se essa fosse stata convocata dagli Stati Uniti, che pero' avevano assunto un atteggiamento meno neutrale in seguito all'affondamento, nel marzo 1915, da parte di un sottomarino tedesco del transatlantico inglese che era costata la perdita della vita di 1.200 persone, compresi 128 cittadini americani. Inoltre, a parere dello studioso Sanderson Beck, gli Stati Uniti d'America non vollero assumere un impegno concreto per la convocazione di una assemblea di paesi neutrali e la realizzazione di un accordo concreto di pace, a causa dei loro contingenti problemi con i paesi dell'America Latina, che non avrebbero potuto essere ignorati tra gli Stati neutrali, ma non sarebbero potuti essere considerati alla pari degli Usa, che a quel periodo stavano svolgendo nei loro confronti mire colonizzatrici. "Another neutral country would offer to call the conference if the United States would attend, but this made no difference. Even 10,000 telegrams to President Wilson from woman's organizations were of no avail" (38). Nella parte di Women at Hague scritta da Alice Hamilton viene raccontato il viaggio delle due delegazioni e l'incontro con deputati e intellettuali pacifisti delle varie capitali europee, che in occasione di ogni incontro tra delegazione e rappresentanti di governo organizzavano una manifestazione pubblica per sensibilizzare e far conoscere l'iniziativa alla gente comune (39). In questo capitolo viene raccontata "la parte non ufficiale, le persone incontrate informalmente e le impressioni acquisite mentre attraversavamo i vari paesi" (40), laddove negli altri capitoli emergono maggiormente le motivazioni teoriche alla base delle scelte e delle azioni di questa commissione di donne, il racconto degli incontri ufficiali con i ministri. La lettura di questo testo, molto interessante e recentemente ristampato, fa trapelare uno spaccato degli anni della prima guerra mondiale inusuale rispetto ad altra letteratura storica del periodo. Attraversando i paesi in cui si stava svolgendo il conflitto europeo piu' sanguinoso che la storia avesse fino allora conosciuto, e in un momento storico particolarmente difficile per le donne, sembra sorprendente il modo in cui questo gruppo di femministe sia riuscito a fare cultura di pace. Assumendosi il ruolo e l'autorita' di rappresentanti politiche, hanno avuto il coraggio di organizzare manifestazioni pubbliche nei vari paesi in guerra e di andare a interloquire con uomini di stato che non si sono rifiutati di aprire loro le porte: "quando le nostre insolite rappresentanti bussavano alle porte dei Cancellieri d'Europa, non ve ne fu nessuna che non si fosse aperta" (41). * 4. Non osare credere di essere senza potere "Never again must women dare to believe that they are without responsibility because they are without power. Public opinion is power; strong and reasonable feeling is power; determination, which is a twin sister of faith or vision is power" (Emily Balch) (42) Le riflessioni e le azioni politiche portate avanti dal 1914 al 1930 circa dalle femministe pacifiste (organizzatesi nella Wilpf), rivolte alla cessazione immediata del conflitto in atto durante la prima guerra mondiale, ed alla costruzione di un mondo pacifico, ci conducono ad almeno due conclusioni: la natura nonviolenta della loro politica ed il fatto che il potere non sia in mano di chi lo detiene, ma di chi si assume la responsabilita' di esprimere e mettere in atto una parola autorevole sulle vicende del mondo. Da questa importante esperienza di "pacifiste in tempi di guerra" nasceva la Wilpf, che ancora oggi esiste e la cui sede internazionale si trova a Ginevra. Esso ha sedi in diversi stati del sud e del nord del mondo (in Italia e' a Roma presso la Casa delle Donne di via della Lungara), il suo statuto e' aperto e rispettoso delle differenti priorita' e necessita' locali. Il termine "nonviolenza" e "nonviolent resistance" e' presente fin dal momento della fondazione della Lega, nel 1919. A parere di Schott il termine nonviolenza, che all'inizio venne usato piu' o meno con lo stesso significato di non-resistenza, venne a significare, fin dagli anni tra le due guerre mondiali, qualcosa in piu' della semplice opposizione alla violenza, contribuendo anche a meglio definire la posizione politica del Wilpf: "esse inclusero un fermo impegno a sradicare le cause sottostanti della violenza - le ineguaglianze politiche, economiche e sociali di tutti i tipi. Le leader della Lega non spendono molto tempo nel definire piu' precisamente la loro posizione filosofica, ma il loro impegno verso l'uguaglianza e la giustizia, cosi' come il loro aborrire ogni tipo di violenza le qualifica come fautrici della nonviolenza" (43). In particolare, nella piattaforma stilata nel 1924 dall'International Executive Committee del Wilpf si legge: "La Lega e' formata da persone persuase che non siamo obbligate a scegliere tra violenza e accettazione passiva di condizioni ingiuste per noi stesse e per gli altri; al contrario crediamo che coraggio, determinazione, potere morale, benevola indignazione, volonta' assertiva, possano raggiungere la loro finalita' senza violenza. Noi crediamo che l'esperienza stessa denunci visibilmente il fatto che la violenza sia un'arma auto-distruttiva, nonostante gli uomini siano ancora cosi' propensi ad utilizzarla in educazione, nel reprimere il crimine, nell'effettuare o prevenire cambiamenti sociali, e soprattutto nel condurre politiche nazionali. Noi crediamo che nuovi metodi liberi dalla violenza, devono essere ricercati per porre fine agli abusi e per affrontare gli errori, cosi' come per raggiungere finalita' positive" (44). Se Gene Sharp avesse conosciuto la vicenda storica del pacifismo femminista, durante e dopo la prima guerra mondiale - la creazione di una istituzione alternativa interamente nelle mani di donne non-cittadine, l'istituzione del Congresso dell'Aia, la proposta di una Commissione neutrale per la risoluzione del conflitto per mediazione e non per armistizio, e la missione attraverso gli stati dell'Europa per interloquire con i governanti - avrebbe probabilmente inserito il nome di queste femministe nei suoi tre volumi sulla Politica dell'azione nonviolenta, sovrabbondanti di esempi storici (45). Avrebbe forse considerato la natura nonviolenta della costituzione della International Committee of Women for Permanent Peace e del Wilpf, in quanto "istituzioni sociali alternative", e l'azione delle donne come uno dei "nuovi modi di comportamento che possono contribuire positivamente a produrre nuovi modelli sociali" (46). Nonostante siano state poco riconosciute dalla storiografia queste donne hanno avuto una certa rilevanza, essendo state temute al punto che molte di loro furono perseguitate, ed in seguito anche riconosciute: Jane Addams fu insignita del premio Nobel per la pace nel 1931, Emily Green Balch nel 1946. Ma cio' che piu' ha importanza oggi per noi e' la loro assunzione di potere e responsabilita', la determinazione delle loro azioni, e la radicalita' del loro pensiero portato avanti con la semplicita' di un linguaggio che non esita ad utilizzare termini come "nutrimento della vita" e ad identificarsi nella "meta' madre dell'umanita'". In un interessante articolo pubblicato nel 1996 in "Feminist Studies" viene accortamente analizzato il modo in cui la ideologia "varied and complex" del movimento delle donne per la pace sia stata banalizzata, ridicolizzata e discreditata proprio utilizzando i pregiudizi e gli stereotipi "heavily dependent on gender coding". I codici "di genere" venivano utilizzati sia contro gli obiettori di coscienza, visti come codardi e effeminati (47), che contro le donne accusate, anche attraverso un'ampia produzione di opere di letteratura e di cinematografia, di essere delle madri cattive ed egoiste, dai sentimenti infantili, e strumento, volontario o involontario del nemico tedesco. A parere della studiosa Susan Geiger la persecuzione contro il pacifismo femminista, ed anche l'attuale oscuramento di questa importante esperienza storica, non e' altro che la dimostrazione della forza e del potere morale dell'azione e pratica politica portata avanti da queste nostre antenate: "le donne pacifiste furono oggetto di preoccupazione in parte per via del successo da loro ottenuto, nel periodo di neutralita' americana, nell'avere connesso maternita' e pacifismo, ed in parte per via dell'autorita' morale e 'materna' di attiviste pacifiste come Jane Addams" (48). A partire dal senso di responsabilita', nei confronti della propria e dell'altrui vita, facendo pieno uso della propria autorevolezza, le donne, che ho qui solo in parte presentato, hanno osato credere di avere molto, moltissimo potere per eliminare la guerra dalla storia. Ed hanno provato ad agire questo potere. Nonostante la storia sembrerebbe continuare ad andare in una direzione molto diversa da quella da loro auspicata, credo possa valere la pena provare ad assumere a partire da noi, in quanto donne, ed in quanto uomini, la responsabilita' dei destini dell'umanita', opponendoci con parole chiare ad ogni guerra e proponendo concrete alternative di pace, a partire dalla costruzione di relazioni autenticamente eque e reciproche, nei nostri stessi piccoli ambiti individuali e sociali. * Note Le traduzioni dall'inglese sono mie. In alcune brevi frasi ho preferito lasciare l'originale in quanto piu' efficace. 1. Dalla relazione tenuta da Jane Addams al II Congresso Internazionale del Wilpf a Zurigo nel 1919 (12-17 maggio), in Farrel John, Beloved Lady: A History of Jane Addams' Ideas on Reform and Peace, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1967, p. 184. 2. Da una lettera scritta da Gandhi a Jane Addams in occasione del Nobel per la Pace nel 1931, Swarthmore College Peace Collection. Microfilm, in Tom Gilsenan www.mkgandhi-sarvodaya.org/addamsgandhi.htm 3. Young India, March 21, 1929, XI, 92-93, in ivi. "Women of the west are playing a most important, if not the leading, part in the movement". 4. Harriet Hyman Alonso, Peace as a Women Issue. A history of the U. S. Movement for World Peace and Women's Right, Syracuse University Press, 1993, p. 83. 5. Emily Greene Balch (1867-1961), Docente di economia politica all'Universita' di Wellesey dal 1898 al 1919, scrittrice politica, autrice di Our Slavic Fellow Citizens, 1910 e Occupied Haiti, 1927. Accusata di antiamericanismo durante gli anni Venti risiede fino al 1939 con sempre maggiore frequenza a Ginevra dove coordina i lavori del Wilpf, di cui sara' prima segretaria e poi presidente onoraria. Nel 1946 viene insignita del Nobel per la pace. Per notizie sulla sua vita vedi: Randall Mercedes M., Improper Bostonian: Emily Greene Balch, Nobel Peace Laureate 1946, New York, Twayne, 1964. 6. Jane Addams, Emily Green Balch, Alice Hamilton, Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, (Macmillan, 1915) rist. HB, New York, 2003, p. 115. 7. Il Women Peace Party fu costituito nell'assemblea tenutasi presso il New Willard Hotel di Washington dal 9 all'11 gennaio 1915. I principali movimenti suffragisti mandarono rappresentanti, inoltre nella lista delle organizzazioni partecipanti figurano gruppi connotati dalla loro appartenenza religiosa (National Council of Jewish Women, National Conference of Catholic Charities), dal lavoro (Women's Trade Union League, International Congress of Farm Women, National League of Teachers, League of American Pen Women), dall'impegno sociale o antirazzista (National Federation of Settlements, Women Christian Temperance Union, National Association of Colored Women). Vi erano anche le Daughters of the American Revolution e la Society of Spanish-American War Nurses. 8. Harriet Hyman Alonso, Peace as Women's Issue, op. cit., p. 64. 9. "Woman's Peace Party Preamble and Platform Adopted at Washington, January 10, 1915", in Alonso, op. cit., pp. 63-66. 10. Jane Addams (1860-1935), fondatrice a Chicago nel 1889 del Social Settlement Hull-House, una comunita' filantropica e culturale, nota per la dimensione interculturale delle sue attivita' sociali e momenti formativi e frequentata' da noti pensatori come John Dewey e William James e dai piu' importanti riformisti sociali di quell'epoca. Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, Addams, pur continuando il suo lavoro a Hull-House si dedica alla causa pacifista, motivo per cui sara' perseguitata in Usa, durante gli anni Venti in quanto antiamericana e "red". Nel 1931 viene insignita del Nobel per la pace. Autrice di molti libri tra cui ricordo l'autobiografia Forty Years at Hull House; Newer Ideals of Peace del 1907; The Long Road of Woman's Memory del 1917; Peace and Bread in Time of War del 1922. 11. Jane Addams, Democracy and Social Ethics, Macmillan, New York, 1902, p. 28. 12. Minute of Organizational Conference, Wpp Records, box I, folder 2, reel 12.17, pag. 17 in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts. The Women's International League for Peace and Freedoom Before World War II, Standford University Press, 1997, p. 43. 13. Linn, James Weber, Jane Addams: A Biography, Appleton-Century-Crofts, New York 1935, pag.416. Linn attribuisce queste parole a Addams ma non indica nessun riferimento preciso in nota. 14. Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, op. cit., dedica il primo capitolo del suo libro a Balch ed Addams intitolandolo: "Philosophical Foundations. The early Ideas of Jane Addams and Emily Greene Balch", pp. 16-37. 15. Addams Jane, Newer Ideals of Peace, Macmillan, New York, 1907, p. 26. 16. Come ha dimostrato la studiosa Linda Schott in Jane Addams and William James on alternatives to War, in "Journal of the History of Ideas", aprile 1993, pp. 241-254. Il testo di James, The Moral Equivalent of War (1910) si trova tradotto in italiano in AA.VV., Alcuni contributi per l'educazione alla pace, a cura di G. Genovesi, Ed. Universitaria, Casanova, Parma, pp. 7-20. 17. Da Democracy or Militarism di Jane Addams, Chicago Liberty Meeting, 30 Aprile, 1899 (il testo l'ho tratto dal sito web: www.boondocksnet.com/ailtexts/Addams.html In Jim Zwick, ed., Anti-Imperialism in the United States, 1898-1935. www.boondocksnet.com/ail98-35.html, Jan. 15, 2001). 18. Addams Jane, Peace and Bread in time of war, New York, 1922. 19. Addams Jane, Tolstoy and Gandhi (1932), in The Jane Addams reader, a cura di Jean Bethke Elshtain, New York, 2001, pp. 436-441. 20. Susan Zeiger, She didn't raise her boy to be a slaker: motherhood, conscription, and the culture of the first world war, in "Feminist Studies", 22, 1996 (pp.7-40), p. 21. 21. Barbara J. Steinson, "The Mother Half of Humanity": American Women in the Peace and Preparedness Movements in World War I, in Women, War and Revolution, a cura di Carol R. Berkin e Clara M. Lovett, Holmes & Meier, New York, 1980, p. 261. 22. Emily Balch, Commentary on the Dumbarton Oaks Proposal for an International Organization, Wilpf International Circular Letter no. 4, November 1944, Egb Papers, reel 23, Scpc, in Anne Marie Pois, Jane Addams, Emily Greene Balch, and the Ecofeminism/Pacifist Feminism of the 1980s, in "Peace & Change", Feminist Inventions in the Art of Peacemaking: A Century Overview, 20, 1995, p. 463. 23. Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, op. cit., p. 150. 24. Emmeline Pethick-Lawrence (1867-1954), liberale e poi socialista, sposa nel 1901 Frederick Lawrence con il quale ha condiviso tutte le sue battaglie politiche. Prima di sposarlo lo convince a cambiare idea sulla guerra boera di cui era un sostenitore e al momento delle nozze prendono ognuno anche il cognome dell'altro: nel 1938 dedicando a lui "nei molti mutamenti della vita mio immutato compagno e migliore amico" la sua autobiografia, My part in a changing World. La frase "the mother half of humanity", usata nel Preamble del Wpp, e' presente nel suo saggio Motherhood and War, 1914. 25. Emmeline Pethick-Lawrence, My Part in a Changing World, London, Victor Gollancz Ltd., 1938, p. 307. Traggo informazioni e citazioni da Anna Rossi Doria, La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg & Sellier, Torino 1990. 26. Jane Addams, Twenty Years at Hull House, New York, 1910, p. 262. 27. Alice Hamilton (1869-1970) e' stata tra i primi medici donna degli Stati Uniti, e prima medico del lavoro americana, e' stata residente del Social Settlement Hull-House di Chicago, dal 1897 al 1919. In seguito, divenuta professore di Harvard, si e' trasferita a Boston, dove ha condotto numerosissime campagne per la pace e contro la fame nel mondo. Morta all'eta' di 101 anni, impegnata contro la guerra nel Vietnam. Le sue ricerche sulle sostanze pericolose per i lavoratori usate nelle industrie e le procedure da lei raccomandate "are in every preventive medicine text today", in Keith Spencer Felton, Warriors's Words: A Consideration of Language and Leadership, Praeger, Westport (CT), 1995, p.18. Vedi anche: Alice Hamilton, Nelle fabbriche dei veleni: la prima donna medico di frontiera che ha dato un impulso alla prevenzione nei luoghi di lavoro all'inizio del Novecento negli Stati Uniti, Edit. coop, (Roma?, 2003?); Exploring the dangerous trades: The autobiography of Alice Hamilton, Little Brown & Co., Boston, 1943; Barbara Sicherman, Alice Hamilton: A Life in Letters, Comonwealth Fund Book, Harvard University Press, Cambridge and London, 1984. 28. Aletta Jacobs, Memoirs: my life as an International Leader in Health, Suffrage and Peace, Feminist Press 1996. L'edizione originale e' in olandese, tradotto da Annie Wright, con saggi di Harriet Pass Freidenreich e Harriet Feinberg. Su di lei non ho trovato altro. 29 Jean Bethke Elshtain, Jane Addams and the Dream of American Democracy, Basic Books, New York 2002, p. 22. 30. Citato in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 101. 31. Anne Marie Pois, Jane Addams, Emily Greene Balch, and the Ecofeminism/Pacifist Feminism, op. cit., p. 443. 32. Rosika Schwimmer (1877-1948), ungherese, abbandono' il suo paese in seguito al colpo di stato comunista di Bela Kun. Non gli venne mai concessa la cittadinanza americana per via del suo pacifismo e perche' etichettata sia come spia sovietica che come agente tedesco. Attiva nel movimento pacifista femminista fin dalle sue origini, tra le molte attivita' si ricorda la sua campagna per dare la cittadinanza mondiale agli esuli. 33. Umberto Morelli, Pacifismo, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Appendice 2000, vol. I, Roma 2000, da cui traggo l'informazione che "la nuova conferenza che doveva essere indetta entro otto anni (cioe' nel 1915), non venne indetta a causa dello scoppio della prima guerra mondiale", ma non viene fatto cenno all'iniziativa delle donne che hanno tenuto una conferenza sostitutiva nel 1915, ne' fa cenno all'opera di Bertha von Suttner durante la Conferenza del 1899 ed al suo tentativo di formare gia' da allora una rete internazionale pacifista. 34. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit., p. 70. 35. Ivi, p.112. 36. Julia Grace Wales (1885-19?), canadese di nascita, trasferitasi negli stati Uniti all'eta' di 18 anni nel 1915 risulta professore della Universita' di Madison. Su di lei ho trovato molto poco, nonostante risulti autrice di numerosi articoli in giornali americani dell'epoca e nota per avere scritto l'International Plan for Continuous Mediation without Armistice, tradotto in cinque lingue ed allora plaudito da tutto il movimento pacifista. 37. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit., p. 137. 38. Sanderson Beck, The Way to Peace: The Great Peacemakers, Philosophers of Peace and Efforts Toward World Peace, Paperback, 1986, nel capitolo Women and Peace. 39. La delegazione di donne ha incontrato numerosi rappresentanti dei vari governi europei. Tra gli altri: il papa, il cardinal Gasparri, allora segretario di stato, il primo ministro di Austria e Francia, i ministri degli esteri di Gran Bretagna, Germania, Austria, Belgio e Russia. Nei paesi scandinavi furono accolte da re e primi ministri di Norvegia, Svezia e Danimarca. In Women at the Hague vengono raccontati alcuni degli incontri, dando interessanti informazioni sulle posizioni e anche atteggiamenti personali dei protagonisti della prima guerra mondiale. 40. Women at The Hague. The International Peace Congress of 1915, op. cit., p. 51. 41. Women at The Hague, op. cit., p. 98. 42. Women at the Hague, op. cit., p. 98. 43. Linda Schott., Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 10. 44. Citato in Linda Schott, Reconstructing Women's Thoughts, cit., p. 101. 45. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Le tecniche, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986. Sharp tra i suoi molti riferimenti storici usa pochissimo (a p. 52 cita una manifestazione pro suffragio femminile di "senatori e deputati con le rispettive mogli"!) l'esperienza pur molto ampia di azioni politiche nonviolente del movimento suffragista dei decenni a cavallo tra il XIX e XX secolo. Vedi Anna Rossi Doria, La liberta' delle donne. Voci della tradizione politica suffragista, Rosenberg & Sellier, Torino 1990; Giovanna Zincone, Da sudditi a cittadini. Le vie dello stato e le vie della societa' civile, Bologna, Il Mulino 1992; G. Bonacchi, A. Groppi (a cura di), Il dilemma della cittadinanza, Laterza, Roma-Bari 1993; Marina Calloni, Ri-fondare la citta(dinanza). Antigone oltre se stessa, in Antigone nella citta': emozioni e politica, Atti Seminario Scuola di politica Hannah Arendt, Pitagora, Bologna 1998; Raffaella Baritono, Il pensiero politico delle donne, in G. Pasquino (a cura di), Il pensiero politico. Idee teorie dottrine, III vol. Ottocento e Novecento, tomo II, Utet, Torino 1999, con ampia bibliografia; Marisa Forcina, Una cittadinanza di altro genere. Un'idea politica e la sua storia, FrancoAngeli, Milano 2003. 46. Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta. Le tecniche, op. cit., pp. 252 e 258. 47. Un altro interessante esempio storico da portare alla luce e' la parte avuta dagli obiettori di coscienza durante la prima guerra mondiale ed il sostegno ad essi dato dalle donne. Vedi Frances H. Early, A world without war: how U. S. Feminists and Pacifists resisted world war I, Syracuse University Press, 1997. 48. Susan Zeiger, She didn't raise her boy to be a slaker, op. cit., pp. 10, 18, 20. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 6 del 7 aprile 2005
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