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La nonviolenza e' in cammino. 889
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 889
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 4 Apr 2005 00:15:21 +0200
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 889 del 4 aprile 2005 Sommario di questo numero: 1. Sergio Paronetto: Un grande dono 2. Giuliana Sgrena: I miei trenta giorni di prigionia (parte seconda e conclusiva) 3. Anna Bravo ricorda Nuto Revelli 4. Angela Giuffrida: Date alla madre quello che e' della madre 5. Roberto Ciccarelli: Un volume di "Aut aut" su Michel Foucault e il potere psichiatrico 6. Il "Cos in rete" di aprile 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. MEMORIA E APERTURA. SERGIO PARONETTO: UN GRANDE DONO [Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto at yahoo.com) per questo intervento. Sergio Paronetto insegna presso l'Istituto Tecnico "Luigi Einaudi" di Verona dove coordina alcune attivita' di educazione alla pace e ai diritti umani. Tra il 1971 e il 1973 e' in Ecuador a svolgere il servizio civile alternativo del militare con un gruppo di volontari di Cooperazione internazionale (Coopi). L'obiezione di coscienza al servizio militare gli viene suggerita dalla testimonianza di Primo Mazzolari, di Lorenzo Milani e di Martin Luther King. In Ecuador opera prima nella selva amazzonica presso gli indigeni shuar e poi sulla Cordigliera assieme al vescovo degli idios (quechua) Leonidas Proano con cui collabora in programmi di alfabetizzazione secondo il metodo del pedagogista Paulo Freire. Negli anni '80 e' consigliere comunale a Verona, agisce nel Comitato veronese per la pace e il disarmo e in gruppi promotori delle assemblee in Arena suscitate dall'Appello dei Beati i costruttori di pace. In esse incontra o reincontra Alessandro Zanotelli, Tonino Bello, Ernesto Balducci, David Maria Turoldo, Desmond Tutu, Rigoberta Menchu', Perez Esquivel, Beyers Naude' e tanti testimoni di pace. Negli anni '90 aderisce a Pax Christi (che aveva gia' conosciuto negli anni Sessanta) del cui Consiglio nazionale fa parte. E' membro del Gruppo per il pluralismo e il dialogo e, ultimamente, del Sinodo diocesano di Verona. Opere di Sergio Paronetto, La nonviolenza dei volti. Forza di liberazione, Editrice Monti, Saronno (Va) 2004] "E' ben noto - lo sanno in particolare coloro che vengono dalle terre insanguinate dai conflitti - che la violenza genera sempre violenza. La guerra spalanca le porte all'abisso del male. Con la guerra tutto diventa possibile, anche quello che non ha logica alcuna. Per questo la guerra e' da considerarsi sempre una sconfitta: una sconfitta della ragione e dell'umanita'. Venga presto, allora, un sussulto spirituale e culturale che porti gli uomini a bandire la guerra. Si', mai piu' la guerra! Ne ero convinto in quell'ottobre 1986 ad Assisi quando chiesi agli appartenenti a ogni religione di riunirsi gli uni accanto agli altri per invocare da Dio la pace. Ne sono ancora piu' convinto oggi: mentre si riducono le forze del corpo, sento ancora piu' viva la forza della preghiera" (Dal messaggio rivolto da Giovanni Paolo II ai partecipanti all'incontro su "Uomini e religioni" tenutosi a Milano dal 6 all'8 settembre 2004) Care amiche e cari amici, seguendo il percorso culturale-ecclesiale di Giovanni Paolo II degli ultimi anni, mi sono convinto che il papa ha offerto un (quasi) solitario e inascoltato magistero di pace. Che ha proposto il valore profetico della nonviolenza come unico realismo politico. In molte sue espressioni lungimiranti, avverto tre istanze: - l'esigenza di riassumere il significato della propria vita affidando ai giovani un testamento di alta spiritualita': "mai piu' la guerra"; - una visione radicale, alternativa e globale del panorama internazionale basata sull'analisi lucida dei "segni dei tempi" e del fenomeno "guerra" oggi; - il nucleo profondo di una nuova teologia (laica-cristiana) della pace che porta a maturazione l'eredita' culturale ed ecclesiale della "Pacem in terris" di Giovanni XXIII e della "Populorum progressio" di Paolo VI. Un grande dono per l'umanita' e per i credenti. Secondo me, pochi se ne sono accorti. Lo dimostrano i grandi elogi dei "potenti" che sento, Dio mi perdoni, ipocriti e interessati. Shalom. 2. TESTIMONIANZE. GIULIANA SGRENA: I MIEI TRENTA GIORNI DI PRIGIONIA (PARTE SECONDA E CONCLUSIVA) [Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 aprile 2005. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma 1995, 1999; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma 1997; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma 2002; Il fronte Iraq, Manifestolibri, Roma 2004); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005; e' stata liberata il 4 marzo. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista". La parte precedente di questo articolo abbiamo pubblicato nel n. 887 di questo foglio] "Facciamo un video per chiedere a Berlusconi il ritiro delle truppe italiane dall'Iraq e poi ti lasciamo andare a casa". I miei sequestratori me l'avevano detto da subito, appena rapita all'uscita dall'universita' di An-Nahrein. Invece ho dovuto aspettare piu' di una settimana prima che si presentassero i "responsabili" del video promesso. Avevo paura, ma ero quasi contenta che succedesse qualcosa e soprattutto di incontrare qualcuno del gruppo dei sequestratori a un livello piu' alto: finalmente avrei potuto cercare di far valere le mie ragioni. E in effetti una discussione c'e' stata. Si e' presentato uno col volto coperto da una kefiah a scacchi rossi e bianchi. Aveva in mano un biglietto e ha cominciato a leggere: "Noi abbiamo il diritto di liberare il nostro paese. Come il Vietnam, l'Algeria...", a questo punto l'ho interrotto. "Certo che ne avete il diritto, ma lo venite a dire a me che mi sono sempre battuta contro la guerra e contro l'occupazione?". Allora, quello a volto coperto ha risposto: "sappiamo benissimo chi sei pero' ci devi aiutare, devi fare un appello per il ritiro delle truppe a Berlusconi". La mia rabbia aumentava: "Se il ricatto e' la mia vita in cambio del ritiro delle truppe potete uccidermi subito, perche' non otterrete nulla. Berlusconi e' un alleato di Bush, non vuole il ritiro e poi non accettera' mai questi condizionamenti. Al contrario, l'opinione pubblica in Italia e' molto sensibile alla situazione irachena e la contrarieta' alla presenza italiana in Iraq e' molto diffusa, quindi dovete contare sul popolo italiano piu' che su Berlusconi. Altrimenti, uccidetemi subito: e' piu' facile uccidere una povera donna indifesa che andare a combattere i soldati Usa per strada", ho azzardato. Mi hanno detto che non mi avrebbero uccisa, ma senza convincermi: "Aiutaci solo a fare questo appello". Abbiamo discusso molto prima di girare questo video sulla necessita' di rivolgersi al governo, al popolo italiano e alla famiglia. Insistevano molto sulla famiglia. Quando mi avevano presa mi avevano chiesto quanti anni avevo - 56 - se ero sposata - avevo risposto di si' anche se non sono sposata legalmente (ma il distinguo poteva risultare difficile da spiegare) e quanti anni aveva mio marito - 53. "Come, hai un marito piu' giovane? E quanti figli hai?", "Nessuno". "Nessuno!". Troppe incongruenze (per loro), forse volevano mettermi alla prova chiedendomi di rivolgermi a mio marito. Avevano una piccola videocamera che non sapevano usare bene. Il tutto mi sembrava molto improvvisato. Eravamo nella stanza dove mi hanno tenuto per tutti i trenta giorni. Mi hanno fatto indossare i miei vestiti, quelli che avevo al momento del sequestro. Avevo una maglia nera, non so perche' nel video trasmesso dalle televisioni risultava verde. Mi hanno raccontato che in Italia sul colore dei miei abiti si e' molto discusso, ci si voleva leggere chissa' quale segnale. Ma era la mia vecchia felpa nera. Forse il cambiamento di colore e' stato causato dal neon usato quando e' saltata la luce. * Il primo video Nessuno di loro sapeva l'italiano quindi mi hanno fatto scegliere tra francese o inglese. Ho scelto il francese. Nel momento in cui dovevo rivolgermi al mio compagno ho invocato Pier: mi hanno interrotto subito. "Devi dire mio marito!". "Ma si chiama Pier", ho cercato di ribattere. "Non importa". Ma dopo il per me insolito "mio marito", ho aggiunto Pier. A quel punto, quando ho iniziato a rivolgermi a lui, senza rendermene conto sono passata all'italiano. E in quello stesso momento mi ha assalito una grande emozione. L'emozione di parlare direttamente a lui. Ovviamente io contavo molto su Pier, noi due abbiamo passato una vita insieme, una storia d'amore ma anche di politica, sapevo che avrebbe fatto di tutto per salvarmi. Ma temevo di responsabilizzarlo troppo. "Salvami tu", gli dicevo. E se poi finiva male? Capivo che gli stavo buttando addosso un peso enorme. Eppure non potevo fare altro in quel momento. Poi quando ho chiesto a uno dei miei guardiani se avesse visto il video trasmesso da al Jazeera mi ha risposto di no: "Il satellite non funziona e poi il video deve essere riuscito cosi' male che penso non sia stato utilizzato", mi ha detto. "Meno male", mi sono consolata. Pensavo proprio di aver sovraccaricato Pier di responsabilita'. Non sapevo quale livello di drammaticita' potesse avere il video, io non sapevo nemmeno che faccia avessi. Sono stata venti giorni senza potermi guardare allo specchio. Durante la registrazione, i sequestratori volevamo che io caricassi ancora di piu' i toni, che mi mostrassi terrorizzata, piu' di quanto lo fossi. A parte le forzature che mi imponevano, nel testo e nell'atteggiamento, le cose che ho detto nel video sono le cose che ho sempre sostenuto. Penso che chi lo ha visto e mi conosce abbia capito che ero molto presente, ero in qualche modo razionale. Non ero completamente nelle loro mani, manipolata fino in fondo. In genere non sono mai molto razionale e calcolatrice, invece in quel frangente mi sono scoperta meno emotiva del solito. L'emozione stava tutta in quelle lacrime. * La maglietta di Totti Qualche giorno dopo, uno dei miei due guardiani, quello che era solitamente piu' "duro", e' venuto a dirmi che era rimasto stupefatto di aver visto il mio nome sulla maglietta di Totti. Mentre l'altro passava pomeriggi interi ad ascoltare i versetti del Corano, questo preferiva le partite di calcio alla televisione e fin dai primi giorni del sequestro mi parlava dei giocatori italiani, mi faceva domande sulle squadre di calcio. Lui era un tifoso della Roma, Francesco Totti era il suo idolo e vedere Totti con il mio nome sulla maglia per lui era il massimo. Allora io scherzando gli ho detto: "Sai, io sono della Juve". E lui ha cominciato a sbeffeggiare Del Piero. Eppure questa storia e' servita a far capire ai miei sequestratori quanto fosse ampia la solidarieta' nei miei confronti in Italia. Quando stavo la' io non avevo capito fino a che punto fosse stata alta la mobilitazione per la mia liberazione. Della manifestazione di Roma organizzata dal "Manifesto" avevo avuto solo una mezza idea. Ancora oggi, ogni giorno scopro chi e come si e' dato da fare per salvarmi la vita. E alla fine, prima di liberarmi, anche i miei rapitori mi hanno detto: "Abbiamo capito che tu sei molto apprezzata nel tuo paese. Scusaci per quello che ti abbiamo fatto". * Una doccia I rapporti con i miei guardiani subivano alti e bassi, a volte erano piu' disponibili, in altre occasioni erano tesi e arroganti. A volte si impuntavano sulle cose piu' stupide, come quante volte andare in bagno. Se mi rivolgevo a uno di loro mentre ero nel corridoio mi sgridavano: "Una donna non deve parlare nel corridoio", dicevano. A volte invece, quando vedevano che stavo male, si davano da fare per trovare la medicina giusta. Se non mangiavo provavano a portarmi qualcos'altro. Devo confessare che a volte giocavo sul fatto che ero un povera donna, una donna debole. Era l'unico tasto sul quale potevo battere con loro. Affermazioni contro le quali ho lottato tutta la vita... ma non potevo fare altro. C'e' stato un momento in cui ho avuto bisogno dell'assistenza di una donna. L'ho detto loro ed effettivamente hanno fatto venire una donna che mi ha portato tutto quello di cui avevo bisogno. Negli stessi giorni ho spiegato che avevo molti dolori articolari e mi hanno fatto avere delle medicine. Per quattro, cinque giorni sono rimasta sempre a letto. Mi alzavo solo per andare in bagno, faceva freddo e quindi mi mettevo sempre la sciarpa in testa. Loro mi portavano da mangiare e andavano via. Alla fine della settimana mi sentivo lercia, dovevo assolutamente fare una doccia. Non era una cosa semplice. Con l'acqua fredda non l'avrei mai fatta, quindi bisognava aspettare che ci fosse l'energia elettrica almeno per due ore in modo da poter riscaldare l'acqua e che questo avvenisse a un'ora decente, non in piena notte. Avere i capelli bagnati, la cervicale, insomma i malanni che capitano a una certa eta', non era il caso. Loro non capivano molto ma a volte cercavano di aiutarmi. Alla fine sono riuscita a fare la doccia. Poi sarebbe diventato un mio obiettivo realizzabile ogni quattro o cinque giorni. * Aria di trattativa Quando mi hanno fatto consegnare l'orologio e mi hanno detto che doveva andare a Roma perche' mio marito doveva riconoscerlo ho capito che la trattativa stava cominciando. Loro mi dicevano: "Tornerai a Roma". E io dicevo si', ma quando? Rispondevano sempre: "Domani, inshallah!". Poi una mattina mi hanno regalato una catena d'oro: "Tieni, il nostro capo ti regala questa". Io ho pensato che era un buon segnale, mica mi regaleranno una collana se vogliono uccidermi, mi consolavo. Il pomeriggio dello stesso giorno mi hanno detto: per noi la tua vicenda e' conclusa, realizziamo il video della liberazione e te ne vai a Roma. Naturalmente mi hanno detto cosa dovevo dire: dovevo ringraziare per essere stata trattata bene e l'esibizione della collana sarebbe stato il segno. "Sorridi", mi dicevano. Ma io ero nervosa, accanto a me vi erano due mujahidin armati, uno di loro prima del mio "ringraziamento" aveva letto un proclama, io non avevo capito nulla, nemmeno le parole arabe che conosco, avevo paura che quella fosse una rivendicazione, oppure che fossero le condizioni per la mia liberazione. Allora ho guardato negli occhi il mujahidin che aveva letto il proclama: "Ma e' vero che mi libererete?". E lui mi ha risposto, sempre fissandomi negli occhi: "Muslims no lies", i musulmani non mentono. Inshallah! Ma invece i giorni passavano, e non succedeva nulla, fino a venerdi' 4 marzo. * Venerdi' 4 marzo Come al solito avevo chiesto se era il giorno buono per la mia partenza. E loro mi avevano detto che c'erano ancora dei problemi da risolvere. Improvvisamente, dopo alcune ore, sono arrivati i miei due carcerieri vestiti in maniera insolita, con i pantaloni e la camicia all'occidentale: "Complimenti, parti per Roma", mi hanno detto stringendomi la mano. Mi hanno restituito cio' che avevo nella borsa, documenti e soldi, tranne il telefono satellitare, il cellulare, la macchina fotografica digitale e un blocchetto di appunti. Il momento era estremamente delicato, me ne rendevo conto: "Se hai paura, prima di uscire devi tranquillizzarti - mi hanno detto -. Se usciamo e ci intercetta una pattuglia americana o irachena e tu fai qualche segnale noi siamo pronti a rispondere al fuoco e saltiamo tutti in aria. Non si salva nessuno". Avevo capito e avevo una paura folle. Avrei voluto indossare un vestito come quelli delle donne wahabite, come quelli che ricordavo indosso alle due Simone nel video della loro liberazione, mi sarei sentita piu' tranquilla. Invece non hanno voluto, mi hanno fatto mettere i miei occhiali da sole, li hanno imbottiti di cotone e poi mi hanno fatto calare sugli occhi la mia sciarpa nera e siamo usciti. * L'ultima ora Da quel momento io non ho visto piu' niente, mi hanno messa in macchina e siamo partiti. Non so quanto tempo ci abbiamo messo per arrivare nel posto dove ci siamo fermati, ma non molto. Forse una ventina di minuti, anche se avevo la percezione del tempo molto dilatata per la paura. Oltre ai due sequestratori c'era, mi pare di aver capito, anche un autista. Quel giorno a Baghdad pioveva, proprio come il giorno del sequestro. La macchina a un certo punto si e' fermata su una pozzanghera, ho sentito lo splash e ho pensato: proprio adesso dovevamo impantanarci... Invece eravamo arrivati. Da quel momento e' iniziato un conto alla rovescia interminabile. Mi hanno detto: "Adesso ti verranno a prendere" e mi hanno lasciata sola. Sentivo intorno a me altre macchine, voci in lontananza, qualche sirena della polizia, e soprattutto un elicottero americano che volteggiava sopra di me, si allontanava e poi tornava. Ero veramente terrorizzata perche' mi rendevo conto che bastava un nonnulla per far saltare tutto. A un tratto uno dei sequestratori e' tornato e mi ha detto: "Ancora dieci minuti". "Dieci minuti - ho pensato - come posso resistere". Non sapevo che fare e ho deciso di contare fino a 600, ma lentissimamente in modo che i dieci minuti finissero prima della conta e forse nel frattempo qualcuno sarebbe arrivato. Invece no. "Continuo fino a 700", mi sono detta. E' stato allora che mi sono resa conto che una macchina mi stava illuminando con i fari. Istintivamente mi sono rincantucciata. Poi avrei saputo che era la macchina dei miei liberatori. Stavo li' in questo angolo buio senza muovermi, vestita tutta di nero. E pensavo: se adesso si apre la porta cosa faccio? Poi la porta si e' aperta davvero e ho sentito quella voce: "Giuliana, Giuliana sono Nicola, non avere paura, sono amico di Gabriele e di Pier, sono venuto a prenderti, sei libera, libera". Pensavo fosse finita, invece era finito solo il sequestro. (Fine - la prima parte abbiamo pubblicato nel n. 887) 3. MEMORIA. ANNA BRAVO RICORDA NUTO REVELLI [Ringraziamo Anna Bravo (per contatti: anna.bravo at iol.it) per averci messo a disposizione questo suo ricordo di Nuto Revelli apparso sul bel periodico "Diario" nel 2004, subito dopo la scomparsa dell'eroico comandante partigiano e straordinario testimone del "mondo dei vinti". Anna Bravo, storica e docente universitaria, vive e lavora a Torino, dove ha insegnato Storia sociale. Si occupa di storia delle donne, di deportazione e genocidio, resistenza armata e resistenza civile, cultura dei gruppi non omogenei, storia orale; su questi temi ha anche partecipato a convegni nazionali e internazioneli. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha diretto la raccolta delle storie di vita promossa dall'Aned (Associazione nazionale ex-deportati) del Piemonte; fa parte della Societa' italiana delle storiche, e dei comitati scientifici dell'Istituto storico della Resistenza in Piemonte, della Fondazione Alexander Langer e di altre istituzioni culturali. Opere di Anna Bravo: (con Daniele Jalla), La vita offesa, Angeli, Milano 1986; Donne e uomini nelle guerre mondiali, Laterza, Roma-Bari 1991; (con Daniele Jalla), Una misura onesta. Gli scritti di memoria della deportazione dall'Italia, Angeli, Milano 1994; (con Anna Maria Bruzzone), In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Laterza, Roma-Bari 1995; (con Lucetta Scaraffia), Donne del novecento, Liberal Libri, 1999; (con Anna Foa e Lucetta Scaraffia), I fili della memoria. Uomini e donne nella storia, Laterza, Roma-Bari 2000; (con Margherita Pelaja, Alessandra Pescarolo, Lucetta Scaraffia), Storia sociale delle donne nell'Italia contemporanea, Laterza, Roma-Bari 2001; Il fotoromanzo, Il Mulino, Bologna 2003. Nuto Revelli e' nato a Cuneo nel 1919 ed e' scomparso nel 2004; ufficiale degli alpini nella tragedia della campagna di Russia, eroe della Resistenza, testimone della cultura contadina e delle sofferenze delle classi popolari in guerra e in pace. Le sue opere non sono letteratura, ma grande testimonianza storica, lucido impegno civile, e limpida guida morale. Opere di Nuto Revelli: La guerra dei poveri, La strada del davai, Mai tardi, L'ultimo fronte, Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre, tutti pubblicati presso Einaudi. Opere su Nuto Revelli: AA. VV., Memorie di vita e di Resistenza. Ricordi di Nuto Revelli 1919-2004, Nuova Iniziativa Editoriale - L'Unita', Roma 2004] Nuto Revelli, nato a Cuneo nel 1919, tenente degli alpini nella campagna di Russia, comandante partigiano di Giustizia e Liberta', studioso del mondo popolare, della guerra e della resistenza, marito di Anna Delfino, padre di Marco, amato da una molltitudine di lettori di tutti i tipi. I suoi libri: Mai tardi. Dario di un alpino in Russia, La guerra dei poveri, La strada del davai, L'ultimo fronte. Lettere di soldati caduti o dispersi nella seconda guerra mondiale (materiali che aveva salvato fortunosamente dal macero), Il mondo dei vinti, L'anello forte, Il disperso di Marburg, Il prete giusto, Le due guerre. Lungo gli anni settanta e ottanta, Nuto Revelli andava per paesi, borgate, cascine, baite del cuneese, e con il suo pesante registratore professionale intervistava centinaia di uomini e donne. Lavorava con ponderazione, reiterando molti colloqui, rivedendo piu' volte le trascrizioni, ma credo anche con l'ansia del tempo che correva e la pena per i testimoni che scomparivano. Dopo aver retto all'emigrazione di massa, al primo decollo industriale, alla crisi della grande guerra, il mondo contadino era davvero alla fine, e Nuto voleva preservarne la memoria. Non per riportarlo in vita cosi' com'era stato, perche' ne conosceva le asprezze, ma per cercargli un posto nella storia, come aveva fatto con gli alpini di Russia e con i suoi stessi partigiani, ragazzi di banda presto tornati nell'anonimato. A Nuto era cara la gente dimenticata, appartata, magari cupa, l'opposto dello sfavillio anni ottanta; e l'aggettivo "vincente" doveva sembrargli un'oscenita'. Veri boom editoriali e pietre miliari delle ricerche sulla memoria, Il mondo dei vinti e L'Anello forte portano in primo piano le voci della pianura, della collina, della montagna, delle Langhe: quasi un secolo di storia se si guarda all'eta' dei testimoni, piu' di un secolo se si tiene conto che i discorsi incorporano tradizioni familiari e di comunita' che risalgono ai tempi di madri, padri, nonni. In quegli anni all'universita' ci appassionavamo intorno allo statuto scientifico delle fonti orali, e Nuto ci guardava con simpatia un po' distratta. Preferiva vedersi come un semplice raccoglitore-archivista, mentre era molto di piu', un grande catalizzatore, regista e garante della memoria. E uno scrittore magistrale, che considerava il linguaggio un dono da maneggiare con cura, mai una parola sprecata ne' una mancata. Era anche uno straordinario narratore in prima persona. D'estate a Verduno, sotto una quercia gigantesca al centro di un prato, scenario da favola, raccontava storie di comizi del primo dopoguerra, di piccole amministrazioni comunali, di passioni politiche - e di Giunchiglia Fior del male e delle famose sorelle Nete, che cantavano Un bacio a mezzanotte in un programma di Arbore. Profilo perfetto, un velo di abbronzatura, vestiti a fiori, a volte un lavoro a maglia fra le mani, l'amatissima Anna c'era sempre. Andando via, ci si trovava a pensare che una sinistra buona esisteva, e che il matrimonio poteva essere una cosa bellissima. 4. RIFLESSIONE. ANGELA GIUFFRIDA: DATE ALLA MADRE QUELLO CHE E' DELLA MADRE [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo testo, estratto dal suo saggio di seguito citato. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] Ormai e' certo che il patriarcato per affermarsi nel mondo ha tentato di annientare l'ordine materno attraverso l'imposizione di un sistema di simboli maschili che hanno sostituito in parte la simbologia femminile, portatrice di civilta'. Quali che siano le vie che gli uomini hanno seguito per imporsi - la vittoria cruenta dei popoli nomadi sulle popolazioni sedentarie dedite all'agricoltura, di cui ci da' notizia l'archeologa Marija Gimbutas, o il passaggio graduale dalla discendenza matrilineare a quella patrilineare come e' avvenuto nelle isole Trobriand, di cui ci informa l'etnologo Bronislaw Malinowski - l'universalita' del loro dominio denota la mancata accettazione della naturale centralita' della donna e la volonta' di sostituirsi a lei. L'irruzione del patriarcato ha prodotto la supremazia dei "valori" maschili incentrati sulla forza, sul potere di dominare e distruggere, sull'individualismo e la conflittualita' esasperata che legittimano l'oppressione sociale e l'istituzionalizzazione della bellicosita'; i valori femminili incentrati sul potere di generare e sostenere la vita, sulla solidarieta' e la cooperazione sono stati sviliti e messi in ombra e restano tuttora invisibili. Poiche' le societa' dei padri traggono alimento dal rovesciamento originario dei valori materni, causa di inenarrabili sofferenze e lutti, per liberare la specie dall'abbraccio mortale della distruttivita', bisogna ricostituire l'universo di simboli femminili, abbandonando il modello maschile che interpreta i rapporti come perenne conflitto tra poli opposti, dominatori e dominati, superiori e inferiori. * A prima vista l'impresa appare piuttosto ardua perche' la simbologia maschile, a causa della sua universalita', sembra possedere profonde e salde radici, ma uno sguardo piu' attento ne coglie con facilita' l'intima inconsistenza; infatti solo il controllo delle menti prolungato nel tempo ne ha permesso la diffusione e la penetrazione ad ogni livello, non certo la solidita' dei suoi fondamenti. L'ordine simbolico patrifocale riposa sul desiderio di rimpiazzare le madri, usurpando il loro ruolo di guida delle comunita' umane; non c'e' nulla al di la' del desiderio puro e semplice che lo sostenga, nulla che giustifichi il potere dei padri, ora che i suoi cardini - preminenza del fallo e superiore razionalita' della mente maschile - si sono letteralmente dissolti sotto i colpi incrociati delle ricerche scientifiche piu' avanzate e della cognizione dell'irrazionalita' dei sistemi androcentrici, resa sempre piu' certa ed evidente dai mezzi di comunicazione di massa. Bisogna ammettere che ci vuole talento per edificare sul puro nulla, e gli uomini sono stati capaci di costruire sul niente non solo case, ma grattacieli, non solo piccoli stati, ma grandi imperi. Se impiegassero in imprese socialmente utili tutte le energie mentali che sfruttano per tessere frodi, insidie e tradimenti e per seminare lutti, la specie umana avrebbe fatto un bel balzo in avanti; il fatto e' che, invece, si ingegnano a rendere inoperanti, se non addirittura dannose, anche le loro realizzazioni piu' positive. Basti pensare che l'uso corretto della tecnologia potrebbe migliorare la qualita' della vita di tutti gli abitanti del pianeta, eliminando la fame, prevenendo e curando malattie, premunendoci dai disastri naturali. Scrive Germaine Greer: "Non dobbiamo essere noi a servire la tecnologia, la tecnologia esiste per servire noi. Basta formulare questo concetto che subito scorgiamo l'abisso che si spalanca tra gli scopi della societa' tecnocratica e i bisogni umani. Oggi la tecnologia potrebbe evitare che milioni di persone muoiano per malattie da malnutrizione; saremmo in grado di distribuire il cibo in maniera razionale dai luoghi dove abbonda a quelli dove scarseggia: non lo facciamo. Potremmo fornire acqua potabile a ogni essere umano sulla terra: non lo facciamo. Potremmo utilizzare i nostri eserciti e i loro equipaggiamenti del valore di miliardi di sterline per proteggere la gente dalle conseguenze di disastri naturali: non lo facciamo". Come si vede l'estremo squilibrio con cui le risorse e le conoscenze vengono gestite alimenta contraddizioni e scompensi, impedendo, attraverso la consueta polarizzazione e gerarchizzazione, una ricaduta ugualitaria delle conquiste fatte; senza contare la dissennatezza con cui spesso tali conquiste sono ottenute: mancato rispetto dell'ambiente, incapacita' di collegare organicamente un dato agli altri dati del contesto e di prevedere le conseguenze di una determinata "scoperta". Ci vuole un'altra mente per gestire la complessita' del reale, una mente che sia prima di tutto in grado di "tollerarla". * Ora sappiamo che tale mente esiste ed e' quella delle donne, ma perche' la razionalita' femminile possa assolvere il compito che le e' proprio deve poter uscire allo scoperto e operare a tutto campo. Per riannodare i fili spezzati delle antiche culture materne e ricominciare a tessere la tela della civilta', le devono essere riconosciute apertamente le sue qualita' e i suoi meriti; poiche' l'occupazione del fuoco delle comunita' da parte dei padri si e' rivelata nient'altro che un miserevole inganno, occorre che la centralita' della madre riacquisti solare visibilita' a tutti i livelli. L'ordine simbolico della madre potra' affermarsi in tutta la sua pienezza e fecondita' allorquando le donne rioccuperanno il posto che compete loro per natura e cultura, in quanto, pur essendo la loro centralita' un fatto naturale, le speciali qualita' che hanno saputo sviluppare le hanno rese uniche nel mondo animale. E' necessario dare il giusto rilievo a cio' che esse hanno rappresentato e rappresentano per l'umanita', e' necessario che godano del dovuto rispetto per cio' che hanno fatto e fanno, se davvero si vuole che la specie riprenda il cammino evolutivo bruscamente interrotto. Perche' cio' sia possibile non si possono sottacere o semplicemente minimizzare le differenze che le rendono le sole idonee ad invertire la pericolosa tendenza verso l'autodistruzione; chiunque abbia sul serio a cuore la sopravvivenza della nostra specie e di tutte le forme di vita esistenti sulla terra non puo' non riconoscere il prius femminile, anche perche' non rappresenta un pericolo per nessuno visto che e' di natura diversa rispetto a quello maschile, realizzato artificiosamente. Non potendo occupare il centro, di naturale pertinenza delle madri, gli uomini hanno trasformato le comunita' umane in piramidi di cui occupano i vertici, mutando il potere di guidare, di sostenere, di prendersi cura degli altri in potere di dominare, controllare, utilizzare gli altri come mezzi per raggiungere i propri, spesso poco nobili scopi. Sappiamo oramai che, essendo la sua weltanschauung di tipo "orizzontale", la donna non e' portata a riprodurre le gerarchie tipiche di una visione del mondo "verticale", non prevede l'esistenza del superiore e dell'inferiore, non e' interessata ad elevarsi sugli altri, autoproclamandosi unita' di misura di tutto cio' che e' e anche di quel che non e'. Poiche' la sua mente e' in grado di reggere la complessita' e la mutevolezza, non e' costretta ad ingabbiare il reale entro schemi la cui fissita' produce i ben noti fenomeni di emarginazione, riconoscendo il diritto di cittadinanza alla diversita' in ogni sua forma. * Credere che l'attribuzione del potere alle donne significhi una semplice sostituzione al vertice, lasciando sussistere il dominio in forma rovesciata, significa rimanere allíinterno dei paradigmi interpretativi maschili. Le madri hanno dimostrato in epoca preistorica di saper gestire il potere in modo equilibrato, instaurando quella naturale democrazia del lavoro che i padri non sono mai riusciti a realizzare, nonostante abbiano abbondantemente sprecato sangue e inchiostro; ma senza spingerci tanto lontano nel tempo anche oggi le donne sembrano in genere poco attratte dal potere, nonostante gli anatemi da piu' parti lanciati contro l'arrivismo delle cosiddette "donne in carriera", di cui, invero, abbiamo notizia piu' attraverso i films e i dibattiti televisivi che per esperienza diretta. L'esiguita' di rappresentanti del gentil sesso nelle stanze del potere non dipende unicamente dall'arroccamento difensivo degli uomini, ma anche e soprattutto dalla ripugnanza delle donne per il potere fine a se stesso e per i giochi meschini cui da' origine. Poiche' il potere e' inteso dalle donne come servizio, gli uomini hanno tutto da guadagnare dalla gestione femminile delle comunita': come le societa' androcratiche riverberano, moltiplicandolo, lo scompenso della mente maschile, cosi' l'equilibrio della mente femminile produrra' i suoi benefici effetti, sostenendo anche lo sforzo degli uomini di allentare i legami con quegli aspetti naturali che frenano l'acquisizione di comportamenti piu' evoluti. * La maggioranza delle donne che conosco ha reagito alle scoperte sul dimorfismo cerebrale, tentando di minimizzarne la portata. Nessuna ha mostrato segni di "trionfante disprezzo" per il maschio, ne' di un pur comprensibile spirito di revanche, per cui e' altamente improbabile che si produca un rifiuto speculare dell'uomo da parte della donna. Io stessa esplicito con estrema chiarezza, rimarcandola, la difformita' tra le due menti, unicamente perche' convinta che la nostra specie potra' riprendere la sua evoluzione solo se la "differenza" femminile verra' riconosciuta senza alcuna riserva e non sara' immolata sull'altare di una fantomatica uguaglianza, non prevista dalla natura. Gli uomini sembrano invece persuasi che la situazione prendera' per loro una brutta piega. Su "La Repubblica" del 28 maggio 1999 un articolo dal significativo titolo "Uomo, fatti piu' in la', il potere sara' donna" esprimeva tale preoccupazione: "Il giorno in cui la donna gestira' in tutto e per tutto la sua maternita' con la fecondazione artificiale per l'uomo sara' la disfatta totale. Relegato a fare il facchino, il giardiniere, l'uomo delle pulizie o lo strumento sessuale, il povero maschio finira' per vivere in una riserva dorata". E' proprio vero che se il bue potesse immaginare dio lo immaginerebbe di sicuro con le corna! Come al solito alle donne vengono attribuiti sentimenti e pensieri estranei alla loro mente e gli "esperti" intervistati lo hanno sottolineato, ammettendo che "in ogni caso, una societa' con le donne al potere consentirebbe un mondo senza guerre. Quale madre infatti manderebbe il proprio figlio al fronte?". Ora, se la differenza femminile riuscira' nell'impresa - che appare al momento sovrumana - di bandire la guerra dal mondo, non sara' in grado di bandire anche il razzismo e la discriminazione, qualunque sia la loro forma? Se nessuna madre manderebbe il proprio figlio al fronte, per quale motivo dovrebbe umiliarlo, discriminarlo, ridurlo a cosa? * A me pare che sia arrivato il tempo di guardare in faccia la realta' senza infingimenti, perche' la mente maschile ha ideato un sistema distruttivo che si autoalimenta, potenziando i suoi meccanismi e perfezionando i suoi strumenti ad un tale livello da mettere in serio pericolo la vita stessa sul pianeta, non solo la sopravvivenza della nostra specie. La gravita' della situazione impone il massimo rigore. La realta' va vista e letta per quello che e': aderenza al concreto, chiarezza e logicita' di giudizio non devono essere offuscati da illusioni o inquinamenti di sorta. Non si puo', ad esempio, continuare a fingere che i maschi amministrino in modo equilibrato le comunita' e che la follia esploda di tanto in tanto qua e la' per motivi contingenti, ne' si puo' continuare ad ignorare il fatto eclatante che ovunque i figli escludano le madri, le sfruttino vergognosamente e le perseguitino ferocemente. Da piu' di quattromila anni, infatti, vige una guerra senza quartiere di cui, tranne qualche sporadica denuncia, nessuno vuole parlare, anche se ha lasciato sul campo piu' morti e feriti delle guerre guerreggiate, e anche se e' in assoluto la piu' ignobile visto che e' diretta contro chi da' agli uomini gratuitamente la vita. I testi di storia non riportano, se non in modo insignificante, accanto alle altre guerre, la guerra contro le donne, siano esse madri, mogli, sorelle o figlie, che l'inimicizia maschile conduce da millenni ora in modo scoperto, ora in modo subdolo, nella vana illusione di superare la dipendenza attraverso il controllo, la coercizione e la violenza. Ma poiche' in questo insensato conflitto la sconfitta e' ineluttabile come la morte, la frustrazione e il risentimento costituiscono una miccia sempre accesa, destinata ad alimentare all'infinito il conflitto stesso. Visto il bilancio assolutamente fallimentare di una guerra nella quale i maggiori sconfitti sono proprio i vincitori, a cui la vendetta piu' spietata non consentira' mai di appropriarsi della centralita' e della potenza delle madri, e' arrivato il momento che gli uomini facciano i conti con la propria invidia. E' del tutto comprensibile il fascino potentissimo che la capacita' creatrice della madre esercita sul figlio cosi' come il suo desiderio di imitarla, diventando a sua volta maestro. Di questo desiderio si nutrono la religione, che presenta un Dio maschio con la capacita' tutta materna di generare figli a sua immagine e somiglianza; la scienza, dove e' possibile emulare la madre attraverso un "parto maschio", alla maniera di Bacone; la filosofia in cui la maieutica socratica rappresenta uno degli esempi piu' illuminanti; ma anche la letteratura e l'arte. Questo desiderio, che sta alla base delle molteplici realizzazioni degli uomini, sostiene pero' anche la loro distruttivita' perche' la legittima aspirazione ad imitare il modello materno si e' trasformata nella volonta' di sostituirla tout court. Scrive la Muraro: "Non c'e' dubbio che la storia della filosofia, come la cultura di cui e' parte, mostri i segni di una rivalita' con l'opera e l'autorita' della madre. Il racconto simbolico di Platone che ha modellato la forma mentis di antichi, medioevali e moderni, e' la metafora di una seconda nascita e, fuori di metafora... e' una concezione politica del giusto e del vero che vuole soppiantare un altro ordine simbolico, che Platone chiama il regno della generazione e presenta come intrinsecamente ingiusto e ingannevole. Questa operazione sara' ripetuta innumerevoli volte. E' un'operazione molto semplice... consiste nel trasferire alla produzione culturale (come la scienza, il diritto, la religione, ecc.) gli attributi della potenza e dell'opera della madre, spogliando e riducendo lei a natura opaca e informe, sopra la quale il soggetto... deve innalzarsi per dominarla". Tale impossibile operazione ha accentuato la tipica tendenza a fuggire dalla realta', alimentando la follia maschile e il maschile desiderio di onnipotenza. Un ritorno urgente alla concretezza e' imposto dalla gran mole di sofferenze e lutti che le pericolose illusioni degli uomini hanno causato e dai danni gravi che continuano a causare ai propri simili e all'ambiente. * La centralita' della donna in ambito naturale non ammette sostituti, e poiche' la sua posizione in natura le ha permesso di sviluppare quelle prerogative che sono divenute la sostanza stessa della civilta', nessuna sostituzione e' possibile a qualsiasi livello. Attribuendosi le qualita' femminili, il maschio ha commesso un furto, atto in se' deprecabile, reso ancora piu' abietto dal fatto che, essendo perpetrato ai danni della madre, si traduce di fatto nel tradimento di gran lunga piu' odioso. Le societa' patricentriche traggono, dunque, principio e alimento da un crimine originario che, riprodotto e moltiplicato all'infinito come un marchio d'infamia, nullifica ogni possibilita' di evoluzione. Ma la menzogna e l'inganno sono stati alla fine scoperti ed hanno lasciato nudo il re, come nella favola di Andersen. Privo degli attributi strappati alla madre, dei quali si era pomposamente ornato, il maschio umano si rivela per quello che e', un individuo fragile e carente che, per aver rafforzato gli aspetti egoistici della sua natura, sta spingendo la propria specie in rovinosa caduta verso la barbarie. Non solo, la rivolta contro la madre lo ha portato ad inscenare un colossale bluff, il cui esito e' quella "riduzione a niente della vita" che, spinta alle sue estreme conseguenze, conduce direttamente all'estinzione. * A questo punto occorre sciogliere il nodo del rapporto con la donna che ha prodotto la malattia mortale dell'uomo, sotto forma di inadeguato sviluppo razionale. L'inutilita' e la pericolosita' dei tentativi di rimpiazzo dovrebbero convincerlo che non gli e' possibile sostituire la madre e che, se vuole evolversi, deve seguire i suoi insegnamenti, riconoscendo a lei la funzione di guida e accettando per se' la naturale condizione di figlio. E' cosi' difficile, visto che e' la verita' piu' vera che ci sia? Gli uomini sono e resteranno i figli delle donne finche' gravera' su spalle femminili la perpetuazione della specie, e una ulteriore, mancata accettazione di questa elementare e imprescindibile verita' continuera' a produrre danni gravi perche', e' inutile dirlo, fintantoche' gli uomini non saranno capaci di riconoscere e rispettare le madri, alle quali devono tutto, proprio tutto quello che hanno, non saranno in grado di nutrire rispetto per niente e per nessuno, e non solo non saranno adatti a gestire alcuna comunita' civile, ma neanche potranno legittimamente farne parte. D'altra parte protrarre ancora nel tempo il misconoscimento della realta' significa accentuare il tipico disancoramento del maschio dal mondo della concretezza, permettendogli di smarrirsi nell'evanescente dimensione dell'inconsistenza. Solo il coraggioso riconoscimento della realta' potra' favorire il recupero delle proprie radici corporee e terrene, consentendogli di sfuggire a un destino di morte altrimenti inevitabile. 5. RIVISTE. ROBERTO CICCARELLI: UN VOLUME DI "AUT AUT" SU MICHEL FOUCAULT E IL POTERE PSICHIATRICO [Dal quotidiano "Il manifesto" del primo aprile 2005. Roberto Ciccarelli (Bari, 1973) svolge attivita' di ricerca presso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli; e' autore di vari saggi. Tra le sue pubblicazioni: con Marino Centrone, Pensare la differenza, Levante, Bari 1999; (a cura di), Inoperosita' della politica, DeriveApprodi, Roma 1999. Michel Foucault, filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico delle istituzioni e delle ideologie della violenza e della repressione. Opere di Michel Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli; Raymond Roussel, Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le cose, Rizzoli; L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso, Einaudi; Io, Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La volonta' di sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di se', Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici; Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali, trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza; Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus, Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza; Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli. "Aut aut", come e' noto, e' una della maggiori riviste filosofiche italiane, un dono grande dell'indimenticabile Enzo Paci] Multipla e discontinua, cosi' appare a un primo sguardo l'opera di Michel Foucault. La traiettoria della sua ricerca riserva una miriade di luoghi e di centri d'interesse che lo portarono nel corso degli anni Settanta a un imponente ma sotterraneo lavoro sul tema dell'analitica del potere e della "governamentalita'". Per orientarsi in questo labirinto in cui Foucault amava condurre la sua ricerca con liberta' silenziosa giunge il numero 324 di "Aut Aut", Michel Foucault e il potere psichiatrico, (Il Saggiatore, pp.174, euro 19) con una introduzione di Pier Aldo Rovatti. Foucault inizio' a studiare la divisione tra la ragione e il suo doppio inquietante nella Storia della follia (1961), di cui in questo numero di "Aut Aut" viene tradotta una parte espunta dalla traduzione italiana. In quell'indagine, Foucault ragionava sulle trasformazioni del discorso e delle pratiche del controllo sociale: il folle, considerato vicino al divino nel Medioevo, tra il XVIII e XIX secolo veniva trasformato in un soggetto pericoloso, malato, piu' vicino alla bestia che all'umano, soggetto da disciplinare negli asili psichiatrici. La nascita dei dispositivi di potere iniziava ad accompagnare quelli teorici che assegnavano la gestione della follia alla psichiatria. Quando nel 1973 Foucault intraprese il corso sul "potere psichiatrico" al College de France (pubblicato in Italia da Feltrinelli), La storia della follia forni' retrospettivamente una giustificazione culturale e politica anche ai movimenti dell'antipsichiatria che erano cresciuti nel decennio precedente in Inghilterra e, grazie all'opera di Franco Basaglia, in Italia con le esperienze negli ospedali di Gorizia, Trieste e Parma. Foucault riconosceva cosi', scrivono nei loro contributi Mario Colucci e Agostino Pirella, l'esistenza dei "saperi minori" che esercitavano la propria critica al potere psichiatrico sotto forma di una disobbedienza volontaria, o di una "indocilita' ragionata", che contestava il primato della scientificita' della psichiatria. Per Stefano Mistura, pur con qualche differenza, Foucault e Basaglia giunsero a conclusioni sovrapponibili: il ruolo del potere psichiatrico non era semplicemente quello della reclusione o della repressione dei comportamenti considerati devianti, ma la loro regolazione all'interno di un nuovo paradigma del potere, quello della "governamentalita'" che mirava al controllo della vita degli individui. L'analisi del potere psichiatrico, scrive Pierangelo Di Vittorio, fu il terreno sul quale Foucault comincio' a circoscrivere il nuovo dispositivo del potere al quale piu' tardi, nel corso del 1978-'79 (pubblicato nel 2004 in Francia), avrebbe dato il nome di "biopolitica". La psichiatria, anzi, e' il potere-sapere strategicamente decisivo perche' la biopolitica si affermi. Contribuendo al "governo degli uomini", aggiunge Mauro Bertani, il potere psichiatrico svolgeva insieme ai collegi e alle prigioni un ruolo fondamentale nel disciplinare la popolazione. Per Alessandro Fontana il gesto inaugurale della ricerca di Foucault fu la critica del cogito cartesiano e del suo ruolo nel distinguere il vero dal falso, la ragione dalla sragione, che lo spinse ad una ricerca fuori dall'imperialismo della verita' filosofica, scientifica e tecnica. L'interrogazione del potere lo porto' cosi' a una ricerca genealogica e alla scoperta della problematica della parresia e dell'ermeneutica del se'. Il senso piu' ampio dei corsi al College de France sta dunque nella nuova analitica del potere che per Foucault nasceva da un cambiamento di paradigma: da un'arte del governo improntata ai principi delle virtu' individuali e della sovranita', a un'arte del governo la cui razionalita', stabilita dallo stato, si esercitava nel governo degli uomini. Il rapporto tra potere psichiatrico e "governamentalita'" costituisce senz'altro uno dei pilastri del dibattito sulla biopolitica. Con un'interessante variante rispetto alle interpretazioni riconosciute: nella nuova griglia concettuale dell'analitica del potere, infatti, l'indocilita' ragionata e' la spinta iniziale che permette ai soggetti di elaborare un'etica critica per affrontare strategicamente la rete dei poteri in cui si trovano inseriti. 6. STRUMENTI. IL "COS IN RETE" DI APRILE [Dall'Associazione nazionale amici di Aldo Capitini (per contatti: l.mencaroni at libero.it) riceviamo e diffondiamo] Vi segnaliamo l'ultimo aggiornamento di aprile 2005 del "C.O.S. in rete" (sito: www.cosinrete.it). Nello spirito del C.O.S. di Capitini, le nostre e le vostre risposte e osservazioni a quello che scrive la stampa sui temi capitiniani: nonviolenza, difesa della pace, liberalsocialismo, partecipazione al potere di tutti, controllo dal basso, religione aperta, educazione aperta, antifascismo, tra cui: Irene a Palermo; Per evitare le scorciatoie del pensiero; L'uso distorto della nonviolenza; Le scarpe cinesi; Al contadino non far sapere; La fine dei partiti; Liberte', egalite', coppia viva e vincente; Law and order; La lingua che fa uguali; A lezione dai poveri; L'esame rifiutato; Dopo la tortura; Le atrocita' coperte; Vecchie idee sull'America; Dall'oppio al voto; Mazzini, la fonte oscurata; Romero catto-comunista; Plutocrazia e omnicrazia; Da Capitini a Marcon; La patria in pericolo; Chi festeggera' il 25 aprile; ecc. Piu' scritti di e su Capitini utili secondo noi alla riflessione attuale sugli stessi temi. Ricordiamo che sui temi capitiniani sopra citati la partecipazione al "C.O.S. in rete" e' libera e aperta a tutti mandando i contributi a capitini at tiscali.it, come pure la discussione nel sito blog: http://cos.splinder.com Ricordiamo che il sito con scritti di e su Aldo Capitini ha cambiato indirizzo in www.aldocapitini.it 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 889 del 4 aprile 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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