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La domenica della nonviolenza. 14
- Subject: La domenica della nonviolenza. 14
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 27 Mar 2005 11:05:00 +0200
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 14 del 27 marzo 2005 In questo numero: 1. Benito D'Ippolito: Litania dei morti in preghiera 2. Benito D'Ippolito: Ballata per una Regina morta 3. Benito D'Ippolito: Cantata a contrasto del terrorista e dell'uomo di pace 4. Dino Frisullo: Cronaca nera 5. Nadine Gordimer ricorda Susan Sontag 6. Luisa Muraro: Simili a donne (1976) 7. Lea Melandri: Diritti, ma non solo 1. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: LITANIA DEI MORTI IN PREGHIERA [Questa litania l'autore scrisse nell'ottobre 2000, alla notizia del ritrovamento dei cadaveri di sei migranti abbandonati in una discarica. Inviata questa lettera all'amico suo Dino Frisullo, questi rispose con la sua che di seguito si riporta come quarto testo. Benito D'Ippolito e' uno dei principali collaboratori del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo] Leggo sul giornale la notizia assente lungo una strada una discarica abusiva sulla discarica deposti, scaricati morti asfissiati sei giovani migranti: sei clandestini, leggo sul giornale che aggiunge: il tir partendo in fretta e furia con una ruota ha calcato il capo spento di uno dei morti, schiacciandolo facendone scempio. Vedo la scena tutta: la strada, il grande camion il cumulo maleodorante dei rifiuti la fretta di sgravare a terra il carico inerte, lo sguardo da lupo il fiato affannoso le bestemmie masticate in gola di chi scaglia tra i residui i residui corpi. Vedo il camion pesante macigno, il fumo dei gas di scappamento, il crocchiare orribile che non posso, non posso dire. E vedo ancora come sacchi quei corpi rotti che attendono l'alba, il giorno, il passaggio delle automobili, il sole che alto si leva, il tempo che passa e che fermenta, finche' viene qualcuno e si ferma ed e' tardi. Poi vedo che arrivano uomini molti, si fermano auto e furgoni, ed e' tardi. Vengono le telecamere, le macchine fotografiche, un momento ancora, ancora un momento prima di gettare un velo pietoso, il pubblico cannibale vuole vedere il sangue, lo scempio. Poi tutto si avvolge. Tutto torna nero. Tutto resta nero, e nel nero un piu' cupo nero che sembra quasi rosso. E un silenzio tumescente. Leggo il giornale, uno dei poveri cristi ammazzati cosi' dalle leggi di Schengen e dalle mafie transnazionali cui lo stato ha appaltato il mercato del diritto a fuggire dalla morte altra morte trovando, leggo il giornale uno dei cristi poveri stringeva ancora in mano una piccola, una piccola coroncina da preghiera. Mentre affogavano tra le balle di cotone pregavano, pregavano i miseri clandestini. Ascoltala tu la loro pia preghiera. Ascoltala tu, che leggi queste righe. Tu poni mano a far cessar la strage. Ipocrita lettore, mio simile, mio frate. Ascoltala tu la voce dei morti e poni mano tu, poniamo mano insieme, a far cessar la strage. 2. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: BALLATA PER UNA REGINA [Questa "Ballata per una Regina morta ammazzata sulla strada tra Tuscania e Tarquinia nell'estate del duemilauno" l'autore scrisse il 3 agosto 2001, alla notizia del ritrovamento del cadavere, scempiato dagli animali selvatici, di una giovane donna prima resa schiava e poi assassinata] Ci sono cose che non sai come dirle e allora le scrivi a righe interrotte. Dilaniata dai randagi la salma e' stata scoperta giorni addietro di una giovane donna nigeriana resa schiava in Italia e venduta come carne e cavita' sulla strada tra Tuscania e Tarquinia, tra le tombe etrusche, le romaniche chiese, le ubertose campagne che vanno alla maremma. Leggo sui giornali gli impietosi dettagli di cronaca nera, gli empi segni di sempre da quando Caino al campo invito' suo fratello. Leggo sui giornali, i giornali locali (non e' notizia da cronaca italiana una persona annientata e abbandonata ai cani: e' invece fatto che sconvolge l'ordine del mondo, ma di questo sapevano dire Eschilo e Mimnermo, non le aulenti di petrolio pagine quotidiane). E dunque leggo sui giornali locali: dicono che si chiamasse Regina, venisse dalla Nigeria, presa e recata schiava in italia, dicono chi l'abbia uccisa non sapersi. E invece io so chi l'ha uccisa: anche se non l'ho mai vista ne' da viva ne' ormai resa cosa immota e deturpata. Io so chi l'ha uccisa, e lo sappiamo tutti. E non solo l'eventuale fruitore di servigi che in un raptus puo' averle torto il collo a quel piccolo giocattolo che costava quattro soldi e non solo il racket che fornisce carne giovane e fresca di fanciulle ai lupi che usciti di scuola o dall'ufficio sulle loro carcasse di ferro perlustrano i fiumi d'asfalto alla caccia di prede e non solo lo stato italiano che vede tanto orrore per le sue strade e non agisce per salvare le vite concrete di esseri umani, non agisce per far valere quella legge che vieta nel nostro paese la schiavitu' e non solo. Io stesso mi sento le mani sporche di sangue, io stesso che so che a questo orrore resistere occorre e che da anni non so fare altro che spiegare come applicare quell'articolo della legge 40 combinato con quell'altro articolo del codice penale e come e qualmente le istituzioni potrebbero salvare la vita di tante Regine assassinate. E nulla di piu' ho saputo fare. E queste parole che ho aggiunto avrei voluto tacerle. 3. LUTTI. BENITO D'IPPOLITO: CANTATA A CONTRASTO DEL TERRORISTA E DELL'UOMO DI PACE [Questa "Cantata a contrasto del terrorista e dell'uomo di pace, pietrificati entrambi. Solo la nonviolenza puo' sciogliere l'incantesimo e salvare l'umanita'" l'autore scrisse il 14 settembre 2001. Tre giorni dopo quell'undici settembre] Ecco, mi ascolti adesso? Lo senti adesso il mio dolore, lo senti quanto male faceva e io urlavo ed urlavo sotto le torture e tu eri troppo distratto per sentirmi? Ecco, mi ascolti adesso, adesso che e' troppo tardi, che sono morto e morto nella morte trascinando i tuoi cari? Ecco, mi ascolti adesso? Ecco, adesso ti vedo, ti vedo e tu svanisci ed io io non ti vedo piu'. Ma avrei voluto fermarti, avrei voluto fermarti e fermare la mano che a scorpioni e frustate ti ha allevato nell'odio e nel dolore che porta all'abisso dell'orco. Ecco, fossi venuto un poco prima, mi avessi detto parole di pane, parole di luce un poco prima, forse forse in pianto mi si sarebbe sciolto il sale dell'umiliazione che accieca i miei occhi, e forse saremmo oggi vivi e io e i tuoi cari. Eri tu che dovevi salvarli salvandomi. Ecco, ora che e' tardi per salvarti la vita ora che e' tardi per salvare i miei cari anche dai miei le scaglie cadono occhi ora che e' tardi. Uccisi per parlarti in un sussurro Ma quel gran rombo tutti rende sordi Uccisi per colpire gli empi simboli di un empio potere che disumana, che ha disumanato anche me Ma quelli che uccidesti non erano simboli, erano uomini e donne di carne e di osso di pianto e di riso, ed ora sono fumo Cercavo una strada da aprire alla giustizia di furia, a tentoni, battendo la testa nel muro Ma per la giustizia vi e' una sola strada salvare tutte le vite, tutte le vite salvare salvare tutte le vite salvarle tutte le vite umane. Commisi l'orrore ma tu cosa facesti tu, cosa facesti Nulla seppi fare per fermarti del sangue che tu hai sparso anche le mie sono lorde mani. Perdonami, figlio, perdonami. Perdonami, perdonami, padre. 4. LUTTI. DINO FRISULLO: CRONACA NERA [Nell'ottobre 2000 Benito D'Ippolito invio' ad alcuni amici la litania qui riprodotta come primo testo; Dino Frisullo gli rispose con la lettera che pubblichiamo di seguito. Dino Frisullo, impegnato nel movimento antirazzista e per i diritti umani, per la pace e la liberazione dei popoli, per il suo impegno di solidarieta' con il popolo kurdo e' stato detenuto in Turchia. E' deceduto nel giugno 2003. Tra le opere di Dino Frisullo: L'utopia incarcerata, L'altritalia, Roma 1998; e' apparso postumo un suo nuovo libro, Sherildan. Alcune testimonianze in ricordo di Dino Frisullo sono nel n. 577 del 10 giugno 2003 de "La nonviolenza e' in cammino"] Ali veniva, poniamo, da Zako. Portava in tasca un pane di sesamo comprato in fretta nel porto a Patrasso profumo di casa garanzia di vita prima di calarsi nel buio del ventre del camion. Ali aveva gia' visto l'Italia, poniamo. Aveva l'odore dolciastro del porto di Bari l'Italia, e il primo italiano che vide vestiva la divisa di polizia di frontiera e fu anche l'ultimo. Respingeteli, disse, Ali non capi' le parole ma lesse lo sguardo guardo' a terra poi si volse perche' un uomo non piange. Ali veniva da Zako, poniamo, e sapeva gia' usare il kalashnikov ma di raffiche ne aveva abbastanza e di agenti turchi irakeni americani arabi e di kurdi che ammazzano kurdi e di paura masticata amara con la fame e dell'eco delle bombe Qendaqur come Halabje bombardieri turchi come gli aerei irakeni gli stessi occhi sbarrati contro il cielo che uccide. Ali, poniamo, aveva una ragazza rimasta sola, la famiglia in Germania, con lei aveva sognato l'Europa con lei aveva cercato gli agenti turchi e turkmeni e kurdi, maledizione, anche kurdi per contrattare il passaggio della prima frontiera, batteva forte il loro cuore al valico di Halil divise verdeoliva nel buio fasci di banconote stinte di tasca in tasca e poi liberi corre veloce l'autobus da Cizre verso Mardin ogni mezzora un posto di blocco divise verdeoliva banconote via libera colonna di autobus veloce di notte tre notti trenta posti di blocco da Mardin fino a Istanbul, e quella notte ad Aksaray nel piu' lurido degli alberghi fra ubriachi che russano e scarafaggi per la prima volta avevano fatto l'amore e per l'ultima volta. Sul comodino un vaso di fiori secchi stecchiti lei gliene regalo' uno come fosse una rosa di maggio. Fu all'alba che vennero a prenderli taxi scassati il cielo grigio del Bosforo poi a piedi verso un'altra frontiera in fila indiana nel fango in silenzio fino alle ginocchia l'acqua del Meric ha la pistola il mafioso, "piu' in fretta" sussurra, di la' la Grecia l'Europa e' calda la mano di Leyla si chiamava Leyla, poniamo era calda la mano di Leyla prima che scoppiasse sott'acqua la mina prima che i greci cominciassero a sparare prima dell'inferno. Un uomo non piange ma il cuore di Ali galleggiava nell'acqua sporca del Meric mentre si nascondeva nel canneto perche' i greci non scherzano e se ti consegnano ai turchi e' la fine i maledetti verdeoliva che hanno intascato i tuoi soldi ti fanno sputare sangue nelle celle di frontiera. In Grecia l'uomo si fa gatto si fa topo ragno gazzella a piedi di notte fino a Salonicco un passaggio da Salonicco a Patrasso giovani turisti abbronzati, poniamo Ali ha la febbre batte i denti fa pena rannicchiato sul sedile della Rover e' bella la ragazza straniera ma la sua Leyla era piu' bella piu' profondi del mare i suoi occhi. La Rover frena sul mare di la' c'e' l'Europa davvero gli ultimi soldi per il biglietto per Bari Ali il mare non l'aveva mai visto fa paura di notte il mare ma un uomo non ha paura e il cielo dal mare non e' poi diverso dal cielo dei monti di Zako nelle notti chiare. Fa piu' paura la polizia di frontiera "ez kurd im" "ma che vuoi, che lingua parli, rispediteli a Patrasso, ne abbiamo abbastanza di curdi qui a Bari, chiudeteli dentro, che non scendano a terra senno' chiedono asilo..." E' triste il cielo dal mare come il cielo dei monti di Zako nelle notti scure. E' duro esser kurdi sperduti fra il cielo ed il mare erano in dieci, poniamo che quella notte a Patrasso contrattarono in fretta seicento dollari a testa disse il camionista seimila dollari quei dieci corpi valgono quanto un carico intero e il suo amico Huseyn pago' anche per lui prima di coricarsi abbracciati stretto il pane di sesamo in tasca stretto in mano un fiore secco in dieci stretti fra le balle di cotone che ti prende alla gola che ti toglie il respiro... E' cronaca "Morti soffocati a Foggia sei clandestini in un tir" e' politica "Piu' di mille clandestini respinti nel porto di Bari" e' diplomazia "Accordo con la Grecia sui rimpatri" e' ipocrisia "Roma chiede collaborazione ad Ankara" e' propaganda "Inasprite le pene contro i trafficanti" e' nausea e' rabbia e' dolore sotto le stelle di Zako mille Ali sognano l'Europa in Europa sogneranno il ritorno nella fredda nebbia di Colonia Huseyn bussa a una porta ha da consegnare una cattiva notizia un fiore secco e un pane di sesamo... 5. MAESTRE. NADINE GORDIMER RICORDA SUSAN SONTAG [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "La Repubblica" del 15 gennaio 2005. Nadine Gordimer, e' una delle piu' grandi scrittrici contemporanee, sudafricana, impegnata contro l'apartheid, Premio Nobel per la letteratura. Opere di Nadine Gordimer: oltre i suoi numerosi volumi di racconti e romanzi (tra cui: Un mondo di stranieri, Occasione d'amore, Il mondo tardoborghese, Un ospite d'onore, La figlia di Burger, Luglio, Qualcosa la' fuori, Storia di mio figlio, tutti presso Feltrinelli; Il bacio del soldato, presso La Tartaruga) segnaliamo Vivere nell'interregno, Feltrinelli, Milano 1990; Scrivere ed essere, Feltrinelli, Milano 1996. Opere su Nadine Gordimer: AA. VV., Nadine Gordimer: a bibliography of primary and secondary sources, 1937-1992, Hans Zell, London 1994. Susan Sontag e' stata una prestigiosa intellettuale femminista e pacifista americana, nata a New York nel 1933, deceduta sul finire del 2004; acutissima interprete e critica dei costumi e dei linguaggi, fortemente impegnata per i diritti civili e la dignita' umana; tra i molti suoi libri segnaliamo alcuni suoi stupendi saggi, come quelli raccolti in Contro l'interpretazione e Stili di volonta' radicale, presso Mondadori; e Malattia come metafora, presso Einaudi; tra i suoi lavori piu' recenti segnaliamo particolarmente il notevole Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003] Riandare allo scaffale dei libri di Susan Sontag e' come se, pur conoscendo quei libri tanto bene, ci fosse voluta la sua morte perche' io mi rendessi conto della straordinaria varieta' di cio' che ha realizzato. Sette volumi di saggi, sei romanzi, due sceneggiature per il cinema, diversi lavori teatrali; tutti di straordinaria profondita', di intelligenza con grande senso dell'indagine e fortemente immaginativi. Della sua narrativa disse: "Raccontare una storia e' dire: questa e' la storia importante. E' ridurre l'ampiezza e la simultaneita' di tutto a qualcosa di lineare, a un sentiero". Per le sue opere saggistiche e per la sua filosofia personale sarebbe piu' giusto usare le sue stesse parole piuttosto che tentare uno zoppicante riassunto. Susan Sontag sosteneva che "essere un essere umano morale era sentirsi obbligati ad avere un certo tipo di attenzione". La sua era la generosa attenzione di una mente brillante che interpretava, nei tanti modi in cui era maestra, i nostri tempi, il nostro mondo. Era analisi minuziosa, era empatia senza confronto. Susan Sontag e' appartenuta a quel pugno di intellettuali universali che rappresentano e creano il pensiero contemporaneo al piu' alto livello della sua essenza. Susan Sontag conta. Attraverso i suoi scritti, continuera' a contare nella nostra era di conflitto e di sconcertante ambiguita' dei valori, rispetto ai quali lei non si tirava mai indietro, ma al contrario, si assumeva delle responsabilita' per il suo talento come artista e per le sue qualita' come essere umano. * Susan Sontag non era mai soddisfatta di cio' che aveva realizzato se le mutate circostanze, rispetto alle quali si muoveva vigorosamente nella vita come in una impresa senza soluzione di continuita', la portavano a dover rivedere, con una prospettiva piu' lontana, le implicazioni del lavoro realizzato. Il suo libro del 1973, Sulla fotografia, e' un classico della rivendicazione della fotografia come arte e, nella storia, come lo scambio piu' influente tra realta' e immagine. Non era soddisfatta di lasciarlo cosi' com'era. La sua esperienza in Vietnam e quella piu' recente a Sarajevo, dove aveva scritto un'opera teatrale per mantenere viva l'audace incrollabilita' dello spirito sotto i bombardamenti, l'avevano riportata indietro a rivedere gli estremi del significato del rivolgere la macchina fotografica all' esperienza umana. Nel 2003, il suo lavoro piu' recente, Davanti al dolore degli altri, l'aveva spinta a rivisitare audacemente e polemicamente il ruolo della fotografia e dei suoi spettatori ultimi. Un'accusa? A se stessa e a tutti noi? "Le immagini non-stop (televisione, video ininterrotti, film) sono il nostro ambiente, ma quando si tratta di ricordare, la fotografia colpisce piu' profondamente... Le immagini di sofferenze patite sono cosi' diffuse oggigiorno che e' facile scordare quanto recentemente queste immagini sono diventate cio' che si aspetta dai fotografi". Questo breve libro, scritto come un respiro profondo, si domanda se nel nostro considerarci degli esseri umani morali, c'e' spazio per "certi tipi di attenzione morale" a come recepiamo le immagini di orrori. * Susan Sontag non ha mai girato il suo forte e bel volto a nessun aspetto della vita umana. Il suo sguardo non risparmiava neppure la sua stessa persona. Nel 1978, dopo il cancro, Susan Sontag scrisse Malattia come metafora. L'argomento non era la malattia fisica in quanto tale, ma il marchio e le metafore socio-religiose che rappresentano questa condizione come punizione, per comportamenti censurabili di qualche tipo, oppure, come nel caso della tubercolosi nel XIX secolo (e' sempre presente nel lavoro di Susan Sontag il procedere con l'arricchimento di una prospettiva storica), come simbolo di non terrenita', isolando, per esempio, sacralmente, una giovane ragazza che si consumava. Nel 1989, con la consapevolezza che l'Aids, in quanto epidemia associata al sesso in maniera diretta, era diventata una nuova metafora, ebbe cura di elaborare un approfondito pensiero di ammonimento da aggiungere al suo libro precedente. All'inizio de L'Aids e la sua metafora, Susan Sontag dice: "La metafora, ha scritto Aristotele, consiste nel dare alla cosa un nome che appartiene a un' altra cosa... ovviamente, il pensiero e' tutto interpretazione. Ma cio' non implica che a volte non sia corretto essere contro l'interpretazione". Impiegare la metafora "piaga" per l' Aids e' marchiare coloro che ne soffrono con l'immagine degli intoccabili, come le vittime medievali della peste bubbonica. Mi ha fatto capire che io stessa sono colpevole di cio'... Non e' forse la qualita' speciale di una mente meravigliosamente originale, quella che scuote il nostro pensiero? Simboleggiare la malattia come un anatema e', in un certo senso, primitivo, se e' la realta' stessa a sostenere lo spirito delle persone affinche' resistano alla malattia fisica durante le cure, e la scienza medica affinche' trovi la cura. Questa e' la sua tesi. Sarebbe andata incontro alla sua stessa morte per malattia, lottando con coraggio. * Io ho avuto l'immensa buona fortuna di essere amica di Susan Sontag. Nella sua euforizzante presenza ci si sentiva piu' vivi, con un nuovo gusto della vita. Oltre alla sua formidabile capacita' intellettuale, alla sua familiarita' con molte culture, con le arti e la politica, era una persona affettuosa e calorosa, che dava brillanti e mordaci risposte alla stupidita', ma che restava sensibile ai sentimenti degli altri. Ora certamente controbatterebbe: e i miei romanzi? Spesso ha ritenuto che le sue stesse concezioni su come la vita dovesse essere vissuta l'avessero allontanata dalla sua vocazione immaginativa: la narrativa. Scrisse: "Molte cose nel mondo non sono state nominate... anche se sono state nominate, non sono mai state descritte". L'ultima volta che le ho parlato, al telefono, lei era a letto in ospedale, mi ha detto due cose di grande importanza per lei. Se, determinata a resistere com'era, si fosse ripresa ancora una volta dal cancro, che aveva sconfitto gia' due volte, sarebbe ritornata in Sudafrica, alla gente e ai paesaggi ai quali si era immediatamente legata nel 2004. Che quel tempo trascorso da noi sarebbe stato l'ultima delle sue imprese di comprensione e interpretazione del mondo nella sua maniera tanto significativa, e' qualcosa di cui ci dobbiamo sentirci grati. La seconda cosa importante era che doveva sopravvivere per continuare un nuovo lavoro che aveva cominciato. Sono. certa che era il romanzo che voleva scrivere - il romanzo che ancora doveva darci. Spero che il suo adorato figlio, David Rieff, lui stesso un ottimo scrittore, trovi quello che lei aveva gia' scritto e cosi' avremo, pubblicata, la prova di quale meraviglia della forza creativa Susan Sontag sia stata, fino alla fine. Non ci sara' un'altra Susan Sontag. Ma i suoi eccezionali scritti esistono, cosi' come la sua personalita'. 6. RIFLESSIONE. LUISA MURARO: SIMILI A DONNE (1976) [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo articolo di Luisa Muraro apparso in "Quaderni Piacentini", n. 60-61, dell'ottobre 1976. Luisa Muraro insegna all'Universita' di Verona, fa parte della comunita' filosofica femminile di "Diotima"; dal sito delle sue "Lezioni sul femminismo" riportiamo la seguente scheda biobibliografica: "Luisa Muraro, sesta di undici figli, sei sorelle e cinque fratelli, e' nata nel 1940 a Montecchio Maggiore (Vicenza), in una regione allora povera. Si e' laureata in filosofia all'Universita' Cattolica di Milano e la', su invito di Gustavo Bontadini, ha iniziato una carriera accademica presto interrotta dal Sessantotto. Passata ad insegnare nella scuola dell'obbligo, dal 1976 lavora nel dipartimento di filosofia dell'Universita' di Verona. Ha partecipato al progetto conosciuto come Erba Voglio, di Elvio Fachinelli. Poco dopo coinvolta nel movimento femminista dal gruppo "Demau" di Lia Cigarini e Daniela Pellegrini e' rimasta fedele al femminismo delle origini, che poi sara' chiamato femminismo della differenza, al quale si ispira buona parte della sua produzione successiva: La Signora del gioco (Feltrinelli, Milano 1976), Maglia o uncinetto (1981, ristampato nel 1998 dalla Manifestolibri), Guglielma e Maifreda (La Tartaruga, Milano 1985), L'ordine simbolico della madre (Editori Riuniti, Roma 1991), Lingua materna scienza divina (D'Auria, Napoli 1995), La folla nel cuore (Pratiche, Milano 2000). Con altre, ha dato vita alla Libreria delle Donne di Milano (1975), che pubblica la rivista trimestrale "Via Dogana" e il foglio "Sottosopra", ed alla comunita' filosofica Diotima (1984), di cui sono finora usciti sei volumi collettanei (da Il pensiero della differenza sessuale, La Tartaruga, Milano 1987, a Il profumo della maestra, Liguori, Napoli 1999). E' diventata madre nel 1966 e nonna nel 1997". Del libro che e' occasione per queste meditazioni e' disponibile ora, dopo la prima presso La Pietra, Milano 1976, una nuova edizione: Anna Maria Bruzzone, Rachele Farina, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, Bollati Boringhieri, Torino 2003] Il fatto che la stragrande maggioranza delle donne passi tutta la vita in una completa estraneita' alla politica, lo si sa come fatto ma non basta. Non c'e' una spiegazione. In particolare, non si spiega interamente come effetto d'una intenzionale esclusione da parte della societa' maschile; le forze di sinistra, che ritengono (giustamente) d'essere danneggiate dalla spoliticizzazione delle donne, hanno cercato e cercano di combatterla. In passato, con risultati ritenuti insoddisfacenti. Adesso, si dice, siamo ad una svolta: "grandi masse femminili sono ormai giunte in forme anche autonome a un piu' avanzato grado di consapevolezza politica". Questa frase e' stata scritta da due donne, con trasparente orgoglio che io capisco e condivido anche. Perche' anch'io mi sentivo umiliata da un'interna inclinazione ad estraniarmi dal politico, inclinazione che mi accomunava a tante mie simili ma che e' in cosi aperto contrasto con un modello di donna emancipata. Vorrei pensare che e' cosa passata e che ormai siamo avviate, in modo definitivo ed irreversibile, ad una massiccia presa di coscienza politica. Pero' non ne sono tanto sicura. Il fatto della spoliticizzazione femminile non e' chiaro in quello che significa e se anche fosse cosa passata, niente gli impedisce di tornare, visto che non sappiamo il perche' e il percome. Temo addirittura che a sinistra si stia, per frettoloso entusiasmo e certo contro ogni intenzione, risospingendo le donne verso la loro enigmatica estraneita' (per il fatto che mi riguarda la cosa non mi e' meno enigmatica). A chi volesse riflettere su questo, propongo di partire da un libro (La Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi, a cura di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, ed. La Pietra, Milano 1976, lire 4.500) che e' bello per tanti aspetti e che uno puo' dunque leggersi per tanti motivi. Anche per il piacere che da'. Il libro mostra il contrario di quello che si diceva prima. E' pieno della passione, dell'intelligenza e del coraggio di donne che fanno politica. Le quali, per giunta, raccontando la loro vita, non ci mettono un filo di retorica e non usano quegli schemi ideologici che, per quanto giusti, rendono un po' fastidiosa la letteratura resistenziale. Sono donne che non hanno costruito una carriera politica sui meriti di partigiane e che, in alcuni casi, non hanno nemmeno ricevuto riconoscimenti ufficiali. Ma chiaramente di queste cose a loro non importa molto. Esprimono invece, quasi all'unanimita', un altro rincrescimento ed una delusione piu' sostanziale: con la Liberazione e' finito il periodo piu' bello della loro vita (cfr. pp. 44, 75, 85, 94, 156, 210...). "Poi, dice Maria Rovano, mi e' stato tutto piu' difficile: questi trent'anni sono stati molto piu' duri, piu' nebulosi" (p. 230). Una soltanto cerca di reagire, Lucia Canova, che dice: "Alcune compagne rimpiangono quel periodo. Io no, no. Io sarei... son combattiva ancora adesso" (p. 228), confermandoci cosi' che si e' posto a loro questo problema di stabilire una continuita'. Per quelle che non ci sono riuscite il periodo della Resistenza rimane separato, in una distanza che e' all'inverso di quella temporale: questi trent'anni sono nebulosi, distanti, confusi, mentre di allora raccontano come se l'avessero davanti gli occhi. Tutte sono rimaste combattive, cioe' impegnate politicamente, ma avvertono che la distanza e' enorme. Lo stesso, o qualcosa d'analogo, si potrebbe dire delle molte donne per le quali la Resistenza e' stata l'unica stagione politica della loro vita. Nessuna medaglia, nessuna carriera politica avrebbe colmato questo scarto. Oppure: dello scarto siamo informati perche' queste dodici non hanno avuto incentivi o non si sono ritrovata la disposizione per immaginare che dopo si continuava la stessa lotta, anche se i modi e le circostanze erano mutati. Noi oggi, usando chiarezze guadagnate recentemente, leggiamo nelle loro stesse parole che cosa c'e' alla radice del sentimento d'una eccezionalita' seguita da una perdita irrimediabile: durante la lotta contro il nazifascismo molte donne uscirono dal privato ed agirono senza subire la rigida struttura familiare e l'inferiorita' sociale in cui sono normalmente tenute. Finita l'emergenza, non trovarono ne' in se' ne' fuori di se' gli argomenti e le circostanze che avevano reso possibile la loro decisione di liberta'. Cosi pensano, giustamente, le curatrici del libro. Le quali, a questo punto, si soffermano un po' troppo a lamentare il fatto dei mancati riconoscimenti ed una certa prevaricazione maschile che avrebbero risospinto nell'ombra donne come queste, capaci e disinteressate. Se si decide d'ascoltare partigiane che "hanno subito forme di emarginazione o di esclusione sociale" (questo e' uno dei criteri per la scelta del campione) non vale la pena poi sottolineare che non ci sono state molte medaglie ne' grandi carriere: si sapeva da prima. Che ci sia stato impedimento maschile, e' facile da immaginare, ma si potrebbe dimostrare anche il contrario, con un campione di donne che la carriera l'hanno fatta e le medaglie le hanno prese. Bisognerebbe, per uscirne fuori, dimostrare che nelle organizzazioni di sinistra c'era spazio per poche donne e che tale spazio fu tutto riempito, mentre altre chiedevano di poter entrare. Io non so se e' capitato questo. Comunque queste dodici, parlando di quello che e' loro capitato dopo la Liberazione, non dicono d'essere state impedite nella carriera politica. Dicono piu' fortemente d'essere rimaste deluse, d'essersi tirate indietro, di non aver sopportato il grigiore degli anni Cinquanta o il clima politico della guerra fredda. La rottura che esse segnalano dolorosamente non e' determinata dal fatto che la strada delle medaglie e della carriera era loro preclusa (come notano anche le curatrici che ammirano il loro disinteresse). Semmai e' viceversa: non si fecero avanti perche' colpite da una discontinuita' che parve loro irrimediabile. Quello che avevano vissuto durante la Resistenza non si lasciava trasferire intatto nel presente. Avevano conosciuto una grande liberta' di movimento, avevano organizzato deciso comandato o ubbidito secondo la necessita', avevano ascoltato, erano state ascoltate, i figli c'erano e non c'erano, con gli uomini avevano stabilito rapporti di parita', progettavano insieme una societa' nuova, e giocavano anche (una in montagna con i compagni fa il gioco d'essere violentata); se le prendevano i fascisti non era uno scherzo, pero' non c'era vergogna, e se certi le consideravano puttane, non ci badavano. E sgusciavano tra fascisti e tedeschi, fintamente incinte o innamorate o prostitute o sposate, giocando cosi nell'azione clandestina tutte le parti invece dell'unica che la societa' gli avrebbe imposto obbligatoriamente. Sempre, nell'azione clandestina, le donne si trovano una grande abilita' mimetica (finora ha sempre funzionato, forse perche' gli uomini sono troppo fissati a identificare le donne con i loro ruoli obbligatori). "Poi e' crollato tutto. Terribile, terribile, terribile. Per me la Liberazione e' stato uno choc" (sono parole di Tersilla Fenoglio Oppedisano, p. 159). Poi bisognava ricominciare: diminuire, ritagliare, differire, mediare... e anche dimenticare. Qui io vedo, nel suo senso piu' positivo, la parentela di queste dodici (che non hanno dimenticato) con la massa delle donne spoliticizzate. Le accomuna un problema d'intraducibilita'. Che certo conoscono anche alcuni uomini, quelli che, simili a donne, non sopportano la militanza e preferiscono la partecipazione episodica (1). L'intraducibilita' e' di due tipi, una, per cosi' dire, assoluta ed una storica. Del primo tipo sono le esperienze (politiche, ma non soltanto) che non possono essere prolungate perche' hanno una loro stagione. Sono i periodi rivoluzionari. I periodi rivoluzionari, si dice, prefigurano ed anticipano cose che poi lentamente bisognera' ecc., ma in realta' tante ne mostrano che poi si perderanno completamente. E di questa perdita alcuni non si lasciano consolare. O forse cio' che li affligge e' di ritrovarsi vuoti, senza la straordinaria passione che insieme teneva e muoveva tutto. Restano percio' molto attaccati al ricordo. Quelli che ci passano sopra e continuano la lotta, dispongono forse d'un potente sistema di spostamenti e trascrizioni per cui queste cadute e rotture non minacciano la loro integrita' emotiva. Ma non tutti ci riescono. In particolare a molte donne fare politica appare di scarso interesse perche' e' un ritaglio molto parziale (nei contenuti e nei modi) e non garantisce un'integrita' emotiva cui sono molto attaccate forse perche' la sentono fragile (non e' una questione psicologica, devo soltanto avvertire non potendo qui andare al fondo dove stanno fatti strutturali come la riproduzione e la sessualita'). Se a una donna non si presenta mai l'occasione d'uscire dai confini stretti della sua esistenza trasferendosi altrove con il sapere e le emozioni che aveva la' dentro, ci restera' dentro anche tutta la vita, anche se la sentira' soffocante. Un uomo magari si agita, una donna e' capace di stare li ad aspettare, indifferente alle banali lusinghe. Tra quelle che riescono a passare oltre e quelle che non ci riescono, si apre allora una discriminante, che spartisce le emancipate e politicamente impegnate da tutte le altre. Discriminante che comincio a pensare non sia in realta' cosi' rigida, perche' queste dodici non stanno ne' di qua ne' di la': sono sempre state impegnate politicamente ma in modi e con problemi che sono delle altre, le spoliticizzate. L'intraducibilita' storica caratterizza quelle conquiste che, fatte o sfiorate rapidamente, mancano d'alcune condizioni per durare; bisogna allora ricominciare daccapo ma non e' facile per chi c'era arrivato d'un colpo solo. Nelle loro testimonianze, ad esempio, le dodici esprimono il fastidio o l'indignazione che provarono quando, finito tutto, gli uomini ripresero a trattarle con superiorita'. Maria Martini Rustichelli una sera se ne usci' furente dalla sezione dove, ad una sua proposta, qualcuno aveva ribattuto: "Ma cosa vogliono dire le donne!" (p. 210). Il problema era per loro aggravato da una parziale inconsapevolezza: pur attribuendo grande valore al rapporto paritario con gli uomini, non vogliono fare di questo un obiettivo politico e soprattutto che si pensi che per questo hanno fatto la Resistenza. Rosanna Rolando (nome di battaglia: Alba Rossa) introduce la sua biografia con un'affermazione lapidaria: "Ho sempre lottato per i diritti di tutti, non solo per la donna, perche' io ho lottato nel Partito comunista". (p. 18). Di nuovo bisogna stare attenti a non forzare questa posizione dentro l'ottica delle chiarezze recenti. Potremmo dire, senza sbagliare molto, che queste donne s'erano formate quando la sinistra aveva sospeso ogni dibattito sulla questione femminile, rimandandola a dopo la presa del potere; esse mancano percio' d'una consapevolezza politica. Ma poiche' per altri aspetti le stesse si scostano dalle posizioni ortodosse, possiamo anche pensare che l'affermazione di Alba Rossa non sia soltanto effetto ideologico. Sono propensa a pensarlo alla luce d'una considerazione storica: le donne hanno dimostrato anche altre volte di voler conquistare la parita' con gli uomini come effetto laterale d'una lotta condotta per raggiungere altri obiettivi. L'esempio maggiore ci e' dato dalla mobilitazione femminile per l'emancipazione dei neri negli Usa. Ed e' abbastanza logico. Alba Rossa e' una donna orgogliosa: dopo la Liberazione ha rifiutato il diploma Alexander ("non voglio cose da stranieri") e finisce il racconto della sua vita dicendo: "Siamo stati dimenticati, ma non importa. Non mi sono mai lamentata" (p. 31). Come si fa a volere esplicitamente e a dire di volere quello che si continua a considerare naturale che sia? Come fa a dire che vuole raggiungere la parita' una che pensa d'essere uguale ed ha appena dimostrato d'essere migliore di tanti altri? La domanda finale allora e' questa: se si supera l'orizzonte ristretto d'una lotta per la parita' con gli uomini, diventa possibile alle donne superare la strana "struttura laterale" con cui in passato hanno cercato di portare avanti i loro interessi? Non e' sicuro, perche' la struttura laterale, oltre ad esprimere che le donne si sentono uguali nonostante tutto, e' servita anche ad aggirare, tra gli altri, un grosso ostacolo: la non traducibilita' dei loro interessi fondamentali in obiettivi politici. C'e' una difficolta' per le donne ad immettersi nel regime politico ordinario, dove per forza bisogna sapere quello che si vuole e dove bisogna accettare di volere oggi quello che si puo' realizzare subito, e per il resto aspettare. Non che ci manchi la pazienza ma quelle disposizioni tattiche e strategiche della politica sembrano a tante di noi dei ritagli che lasciano sempre fuori quello che c'interessa. Ed e' realmente cosi', lo suggeriscono anche i racconti delle dodici partigiane. In questi racconti vediamo che intorno al filo principale, la lotta antifascista, s'aggregano tanti fatti e situazioni che riguardano la vita familiare, il lavoro, i rapporti sociali, il sesso; niente della vita ordinaria d'una donna e' tagliato fuori neanche nell'esperienza di quelle ch'erano entrate nella clandestinita'; tutto viene chiamato dentro per una trasformazione radicale che non era stata programmata. E' di questo tipo la pratica politica che piace alle donne. Naturalmente non si puo' restare a quest'affermazione psicologica, ma volendo raggiungere il piu' solido terreno dell'oggettivita' ce la troviamo davanti ed e' bene averla sempre davanti. * Note 1. Elvio Fachinelli, ad esempio, dopo un viaggio in Portogallo scrive Uma tentativa de amor (Cooperativa scrittori, Roma 1976) invece di fare una relazione politica. 7. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: DIRITTI, MA NON SOLO [Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo questo articolo apparso sul quotidiano "Liberazione" del 9 marzo 2005. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996. Dal sito www.universitadelledonne.it riprendiamo la seguente scheda: "Lea Melandri ha insegnato in vari ordini di scuole e nei corsi per adulti. Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Universita' delle Donne di Milano, di cui e' stata promotrice insieme ad altre fin dal 1987. E' stata redattrice, insieme allo psicanalista Elvio Fachinelli, della rivista L'erba voglio (1971-1978), di cui ha curato l'antologia: L'erba voglio. Il desiderio dissidente, Baldini & Castoldi 1998. Ha preso parte attiva al movimento delle donne negli anni '70 e di questa ricerca sulla problematica dei sessi, che continua fino ad oggi, sono testimonianza le pubblicazioni: L'infamia originaria, edizioni L'erba voglio 1977 (Manifestolibri 1997); Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli 1988 ( ristampato da Bollati Boringhieri, 2002); Lo strabismo della memoria, La Tartaruga edizioni 1991; La mappa del cuore, Rubbettino 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996; Una visceralita' indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, Fondazione Badaracco, Franco Angeli editore 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, Bollati Boringhieri 2001. Ha tenuto rubriche di posta su diversi giornali: 'Ragazza In', 'Noi donne', 'Extra Manifesto', 'L'Unita''. Collaboratrice della rivista 'Carnet' e di altre testate, ha diretto, dal 1987 al 1997, la rivista 'Lapis. Percorsi della riflessione femminile', di cui ha curato, insieme ad altre, l'antologia Lapis. Sezione aurea di una rivista, Manifestolibri 1998. Nel sito dell'Universita' delle donne scrive per le rubriche 'Pensiamoci' e 'Femminismi'"] Lunedi 28 febbraio 2005 si e' aperta a New York la conferenza Onu, che viene a dieci anni da quella di Pechino, 1995, come verifica dell'impegno preso allora da 189 Stati del mondo per combattere tutte le forme di discriminazione verso le donne. Contrariamente alle valutazioni positive date da Kofi Annan, le ong femminili presenti all'incontro hanno affermato che "questo e' un momento eccezionalmente sfavorevole ai diritti delle donne", in tema di salute, lavoro, istruzione, repressione della violenza sessuale, rappresentanza politica, pianificazione familiare. Oltre al diffondersi della guerra e della poverta', a minacciare oggi i diritti acquisiti sono i fondamentalismi religiosi, cristiano e islamico. Ne sono un esempio: la messa in discussione dell'aborto, negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei, compresa l'Italia, e, in Algeria, l'approvazione di un nuovo codice di famiglia che introduce la figura del tutore matrimoniale. Nonostante il divario innegabile tra le forme e i dati numerici dell'emarginazione femminile in Occidente e nel resto del mondo, ci sono tuttavia elementi di somiglianza che vale la pena evidenziare e che ci inducono a credere che non si tratti solo di diritti violati o non riconosciuti. La violenza sulle donne, sotto qualsiasi cielo o cultura avvenga, riguarda prioritariamente i loro corpi e l'attrattiva che rappresentano per l'uomo: in quanto corpi che generano, corpi sessualmente seduttivi, ma anche corpi disposti alla fatica del lavoro domestico, della cura di bambini, malati, anziani. E' intorno a questa risorsa preziosa per l'uomo, per il suo piacere e per la sua discendenza, che si sono costruiti storicamente quei legami, di possesso, asservimento, subordinazione di un sesso all'altro, che nessun diritto ha mai cancellato del tutto. Le separazioni, i divorzi, a cui le donne possono liberamente accedere nei nostri paesi, sono anche una delle cause prime che le vede vittime di mariti, amanti, che si vedono sfuggire in questo modo un bene proprio. Nessun codice di famiglia, per quanto rivisto sulla base dell'uguaglianza tra i sessi, riesce a impedire che una donna ritagli con fatica dai suoi obblighi di madre e moglie un tempo per se' sgombro da sensi di colpa, paure, vergogna. Cosi' come e' difficile che la garanzia di un lavoro esterno possa incrinare la centralita' che hanno preso, nei pensieri di una donna, le occupazioni e gli affetti che l'attendono all'interno di una casa. Osservazioni analoghe si possono fare per l'istruzione: anche la' dove e' garantita, non puo' che andare a incunearsi in quella biforcazione obbligata di scelte che sono i saperi e le professioni tradizionalmente "femminili" e "maschili", sentendosi fuori luogo sia nelle une che nelle altre. * Non c'e' nessun diritto che possa mettere l'intelligenza femminile in condizione di esprimersi in modo creativo, almeno finche' non saranno messe in discussione la presunta "naturalita'" della dedizione a un uomo, a un figlio, o l'obbligo di piacere per avere amore e riconoscimento. Le energie fisiche e mentali che le donne impiegano per adattarsi al destino che altri ha deciso per loro - di madre, amante, serva o musa ispiratrice - non possono che contribuire a mantenerle in una condizione subordinata, anche la' dove le leggi garantiscono uguaglianza e pari opportunita'. Per quanto riguarda poi la questione della rappresentanza politica, che ricompare a ogni scadenza elettorale, e' evidente la difficolta' a uscire dalla sterile contrapposizione tra l'essere escluse e l'autoesclusione, tra la persistenza di poteri tradizionalmente maschili e gli effetti di estraniazione che essi hanno sedimentato nel modo di sentire e di pensare di chi comincia solo ora ad affacciarsi alla vita pubblica. La battaglia per diritti e pari opportunita' non va abbandonata, ma e' chiaro che, se la loro applicazione anche da parte degli Stati che formalmente l'hanno approvata va cosi' a rilento, o addirittura regredisce, cio' dipende anche dalla solitudine in cui sono lasciati i gruppi e le associazioni di donne che si battono per cambiare a tutti i livelli, privato e pubblico, il rapporto tra i sessi. Purtroppo, a occuparsi dei corpi delle donne, della sessualita', dei legami familiari, sono quasi esclusivamente le forze conservatrici, laiche e religiose, mentre persiste nella sinistra, partitica e di movimento, l'incapacita' di rileggere la crisi evidente della politica sulla base di cio' che essa ha allontanato da se': l'individuo, l'appartenenza a un sesso o all'altro, la vita psichica, le relazioni parentali. In altre parole: l'esperienza umana nella sua complessita'. * Particolarmente duro, ma innegabilmente veritiero, e' stato il giudizio emesso dalla Conferenza a proposito della discriminazione delle donne in Italia. Lo svantaggio femminile nella politica e nel lavoro viene riportato alla persistenza dei ruoli tradizionali nella famiglia e nella societa', alla mancanza di "una equa ripartizione delle responsabilita' domestiche", ma soprattutto al fatto che "la donna e' ancora percepita come oggetto sessuale e principale responsabile della crescita dei figli". Quanti di questi pregiudizi e stereotipi sono regolabili sulla base di diritti e norme giuridiche? Su quali radici inesplorate di adattamenti, vantaggi secondari, segrete condivisioni da parte delle donne, puo' contare la loro permanenza nel tempo? E che dire poi quando l'"oggetto sessuale" esibisce pubblicamente anche doti di tenera madre, come e' il caso di attrici e modelle disposte a posare nude in stato di gravidanza e col bambino appena nato? Il rapporto della Commissione Onu, che si va ad aggiungere a dati statistici non meno allarmanti, non sembra aver suscitato nel nostro paese alcuna reazione degna di nota. Di fronte all'immagine femminile della televisione e della pubblicita' si e' tentati di riabilitare la pornografia e la prostituzione che, quanto meno, non si nascondono dietro la maschera "nobilitante" del successo e dei lauti guadagni. Non e' certo questa la liberta' che il movimento femminista aveva intravisto ai suoi inizi, ne' si immaginava trent'anni fa che riscoprire il proprio corpo avrebbe voluto dire, nella post-modernita', venderlo a caro prezzo all'industria dello spettacolo e al mercato pubblicitario. Eppure, a differenza di quello che e' capitato in altre nazioni, per esempio la Francia e la Spagna, nessuna voce e nessuna associazione femminile si sono sentite finora in Italia deplorare il razzismo che sottosta' all'uso della donna come "moneta vivente", forse perche' siamo tutte e tutti consapevoli che su quel palcoscenico nessuna donna arriva in catene, ma per una deliberata, spesso esibita volonta' di far mettere a profitto il proprio potere seduttivo. La discriminazione sul piano del lavoro e della rappresentanza politica, ha, come dice la Commissione Onu, il suo retroterra nei ruoli tradizionali, ma questi a loro volta rimandano all'investimento piu' o meno consapevole che su di essi le donne hanno fatto e continuano a fare, spinte dal miraggio di far valere le proprie attrattive, di volgere millenni di schiavitu' in una qualche forma di dominio. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 14 del 27 marzo 2005
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