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La nonviolenza e' in cammino. 878
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 878
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 24 Mar 2005 00:23:58 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 878 del 24 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Ancora sulle parole e le cose 2. Testo per ragionare insieme sulla possibile depenalizzazione dell'aborto (1989) 3. Benedetto Croce: Una nota sulla distinzione tra ordinamento giuridico e vita morale 4. Riletture: S. Teresa di Gesu', Opere 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: ANCORA SULLE PAROLE E LE COSE Cosi' potenti sono le parole, che ai miei amici sempre dico: prudenza. Poiche' esse sono lo strumento privilegiato attraverso cui noi umani influiamo sul mondo, poiche' esse piu' che la spada uccidono, ed e' al comando espresso in parole che il carnefice solleva la mannaia. * Una storia vera Venti, venticinque anni fa insegnavo a studenti di una classe di ragioneria, ed ebbi a dire loro dell'orrore del rapporto tra nord e sud del mondo, che la fame e' figlia della nostra rapina, che le guerre sono il frutto di strutturali ingiustizie, che di ognuno e' il dovere di opporsi alla guerra, alla fame, alla morte; che a cominciare da noi stessi occorre opporsi all'ingiustizia, alle uccisioni: a cominciare da noi stessi, dal nostro stesso modo di vita. Erano gli anni del Rapporto Brandt, del rapporto del Mit per il Club di Roma, e del lavoro grande dell'indimenticabile Lelio Basso. I non piu' giovani ricorderanno. Avevo cola' un allievo brillantissimo, di una sensibilita' cosi' vibratile che percepiva ogni stormir di foglie, di una gentilezza cosi' acuta che sempre parlava in un sussurro, avido solo di sapere e di donare. Io non immaginavo che il mio dire cosi' in profondita' lui lo ascoltasse. In breve, si persuase che cotanto orrore richiedesse una rottura, un netto sottrarsi all'obiettiva complicita' di noi comunque ricchi, comunque felici pochi. E senza chiacchiere, senza frastuoni, si mise a digiunare, nel silenzio. Frattanto io li' non insegnavo piu', neppure seppi che su quel cammino si era silente collocato. Finche' non vennero un giorno, tempo dopo, a cercarmi suo padre e suo fratello, a dirmi che a nulla eran valse le loro preghiere, nel digiuno inflessibile quel giovane amico andava verso la morte, alle loro obiezioni obiettando che tanto male vi era nel mondo, tanti esseri umani infelici rapiva la morte. Mi chiesero di andarlo a trovare, di parlarci ancora. Fu un mesto andare, un accorato incontro. Solo dopo un lungo colloquiare accolse l'idea che quel suo soffrire ancor altro soffrire aggiungeva al dolore del mondo, e non salvava; solo dopo un lungo consentire, senza giudizi, senza cenno alcuno, si persuase che vivere doveva, per contribuire alla lotta che e' di tutti, per un'umanita' di libere e di liberi, degna di essere felice, degna della felicita' sola possibile: tra tutte e tutti condivisa, sobria. Scelse dunque di rompere il digiuno, ed ancor oggi vive ed e' persona buona, degna, gentile. E' la prima volta che racconto questa vicenda. L'ho fatto qui per avvisare tutti che le nostre parole sempre hanno effetti, a volte enormi, a volte tragici. E quindi quando pronunciamo detti prudenza occorre, e ancora prudenza. * Invece E invece ci sono persone che usano le parole come fossero pugnali. Per ferire, per uccidere: per negare altrui dignita', verita', umanita', vita. So bene che molti lo fanno senza rendersene affatto conto. Mi e' capitato ad esempio di leggere recentemente persone buonissime scrivere che un atto d'ipocrisia sia piu' grave che una uccisione: ne ho provato dolore e vergogna grandi, questi buoni amici certo non si rendevano conto dell'enormita' loro uscita dalla chiostra dei denti. Perche' l'astratto uccide e fa uccidere; e' disumanante la cecita' di fronte al volto dell'altra e dell'altro, l'irresponsabilita' che fa pronunciare asserzioni senza pensare a quali effetti esse hanno sulla vita altrui, senza accorgersi che una sola menzogna, un solo insulto, bastano gia' non solo a offendere per sempre l'anima di chi ne e' bersaglio, ma anche a corrompere l'anima di chi ignaro quel dire ascolta, e ad annientare la virtu' di chi quelle parole pronuncia; bastano a contaminare terra e cielo. Lo sapeva quel buon galileo che disse che se hai detto "raca", "stupido", a tuo fratello, ebbene, corri a chiedergli scusa prima di ogni altra cosa. * Borges, naturalmente. E Schopenhauer Ha scritto una volta Borges, nella sua Arte dell'ingiuriare, che quando in una disputa si passa all'offesa personale, il contraddittore a buon diritto puo' rilevare che quello non e' un argomento ma una digressione, e quindi attende ancora una replica vera. Poiche' sovente si passa all'offesa per eludere una discussione seria, un argomentare stringente, una questione che ci angoscia. Per qualche motivo a disagio nel sostenere un tema, nel confutare una tesi, nel rispondere a un invito o un'urgenza, si passa alle mani. Mi perdonino gli amici del bar dello sport. Talvolta pero' capita anche che gli insulti condiscano ragionamenti che senza essi insulti sarebbero ben degni di interesse. Perche' allora se ne fa uso a scapito del proprio decoro? Un'ipotesi azzardo: che essi coprano un'incertezza, equivalgano a un gesto che cerca surrogare un vuoto, un varco che pur si percepisce ma sul quale non si vuole figgere lo sguardo, fissare l'attenzione. E l'insulto allora e' il modo per parlar d'altro. Come l'argumentum ad personam descritto nell'Arte di aver ragione, quell'operina che Arthur Schopenhaur lascio' inedita. * "Se pur sia consueto, trovatelo strano. Inspiegabile pur se normale" Nel dibattito promosso dalla pubblicazione dello straordinario saggio di Anna Bravo, "Noi e la violenza. Trent'anni per pensarci", apparso sulla rivista della Societa' italiana delle storiche "Genesis" e riprodotto anche su questo foglio, si sono verificate alcune interessantissime bizzarrie, che come tutte le bizzarrie rivelano molto delle correnti abitudini, ovvero dell'ideologia dominante. La pubblicazione del saggio di Anna Bravo ha agito da cartina di tornasole, mettendo in luce molti aspetti della distretta presente che non si vedevano per il semplice fatto che, per una tacita convenzione tra i poteri dominanti e gruppi sociali che pur usufruiscono di qualche beneficio concesso dal sistema di potere vigente, si preferiva non vederli, ed attraverso i media si convinceva alla cecita' anche chi ne' del regime della corruzione ne' del ceto degli intellettuali in quanto tecnici addetti all'oppressione fa parte. Poiche' io sono di quelli che credono che su almeno tre punti cruciali il saggio di Anna Bravo di cui qui si parla costituisca un contributo grande alla consapevolezza di tutte e tutti, un contributo grande alla lotta che e' da condurre, un contributo grande alla causa della verita', che e' la causa dell'umanita' contro quella disumanita' al potere che e' il potere maschilista, fascista, guerriero, che distrugge vite umane, relazioni umane, istituzioni umane, e natura (non solo "risorse" naturali, come vuole una concezione capitalistica della natura come scrigno o magazzino; no, la natura e' vita, mondo, storia; quindi diciamo natura nella sua pienezza ed apertura: biosfera, mondo vivente, universo, cosmo, mondo degno di esistere, di vivere, di persistere e riprodursi, mondo di cui l'umanita' e' parte, una parte, mondo con cui istituire una relazione di cura). Ed i tre punti cruciali del saggio di Anna Bravo a me sembra che siano di tale rilevanza che spero di aver la possibilita' di scriverne adeguatamente in un prossimo intervento, qui limitandomi ad accennarvi soltanto per titoli: I. il rapporto verificatore e veritativo tra memoria, elaborazione del lutto e solidarieta' con le vittime (e qui avverto una forte consonanza con la lezione di Primo Levi e il lavoro di Tzvetan Todorov); II. l'affrontamento dell'aborto dal punto di vista del sentire delle donne e ad un tempo della nonviolenza (poiche' sentire delle donne - come esperienza storica ed esistenziale - e scelta della nonviolenza - anch'essa come esperienza storica ed esistenziale - sono due concetti in ampia misura fortemente convergenti ed in buona sostanza equivalenti), valorizzando tutta la straordinaria elaborazione teorica ed esistenziale non solo dei movimenti organizzati ma del pensiero e delle prassi delle donne in senso piu' lato, piu' pieno, piu' profondo, in una prospettiva ancora una volta di cura, di solidarieta', di liberazione, fondata sul "principio responsabilita'" e mettendo a frutto tutta la ricchezza preziosa e feconda della riflessione femminista, da Adrienne Rich a Diotima, da Simone de Beauvoir a Vandana Shiva, da Virginia Woolf a Etty Hillesum, a Edith Stein, a Rigoberta Menchu'; III. la critica della violenza come strumento di lotta politica: critica decisiva per l'oggi, talche' la ricostruzione veritiera - possiamo dirlo? la ricerca (quest) e la confessione (confessio) nel senso pieno e forte di gesto di responsabilita' e di atto comunitario -, e l'interpretazione adeguata, degli errori teorici e degli orrori concreti dei movimenti di ieri e' conditio sine qua non, passaggio necessario per la lotta che dobbiamo condurre oggi anche contro le ambiguita', gli equivoci, le complicita' che deturpano, indeboliscono e infine largamente vanificano l'impegno dei movimenti per la pace e i diritti. In una parola: il saggio di Anna Bravo mi e' parso essere - nella sua consapevole parzialita' e provvisorieta' - uno dei piu' rilevanti contributi teorici e storiografici a quell'impegno che su questo foglio, utilizzando una suggestione del mio indimenticabile maestro Franco Fortini, chiamiamo nonviolenza in cammino. Beninteso: di un saggio trattandosi, e cosi' palesemente ed esplicitamente esplorativo, di apertura, e' ovvio che su alcune sue asserzioni, proposte, quesiti, ben a ragione si possa e si debba discutere, esprimere punti di vista diversi, esercitare l'arte della critica, dibattere anche aspramente, aggiungere diverse prospettive, ipotesi diverse formulando. Ma anche questa e' stata una troppo estesa digressione. Torniamo alle bizzarrie del dibattito sul saggio di Anna Bravo. Provo ad allineare quelle che a me sono parse le piu' flagranti. * "Cio' che non siamo, cio' che non sappiamo" La prima bizzarria: nella polemica condotta sui giornali contro Anna Bravo (si badi: non contro le tesi del saggio scritto da Anna Bravo - tesi ovviamente discutibili ed i saggi si scrivono apposta per proporre dei temi alla discussione - ma contro la persona di Anna Bravo) molti interventi prescindevano del tutto dalla lettura del saggio che in teoria era l'oggetto della discussione. Con il talora fin comico risultato di attribuire talvolta ad Anna Bravo qualifiche e posizioni che sono l'esatto opposto della realta'. Io credo che cio' sia sintomatico di come il sistema dei mass-media sovente corrompa e travolga ogni possibilita' di riflessione seria, di come esso sia (e qui mi piace riprendere alcune idee e formulazioni che con grande potenza ermeneutica proponeva Danilo Dolci) agente preposto a trasmettere il virus del dominio anziche' creare spazi ove si possa comunicare umanita'. La frettolosita', l'ipersemplificazione, il sensazionalismo a tutti i costi, il ridurre tutto al mondo della chiacchiera, la mezza verita' che diviene compiuta menzogna, l'arbitraria polarizzazione e fin estremizzazione, l'invito alla rissa, il disprezzo per l'ascolto, il cannibalismo, e insomma tutto cio' che Brecht chiamava "gastronomico" riferito all'industria culturale, ovvero alla macchina dell'ideologia, vengono magnificati dal sistema dei media, con gli esiti di scotomizzazione, corrompimento, menzognizzazione e disvalutazione di tutto che tutti vediamo: non mi dilungo in esempi, tutti sappiamo trovarne a iosa da soli, mi limito qui a rinviare all'articolo a firma di Severino Vardacampi apparso sul n. 869 di questo foglio. Certo ci sarebbe da chiedersi perche' persone anche di grande valore (e che nei loro interventi hanno scritto anche cose vere, acute ed importanti) si siano prestate ad intervenire su uno scritto che non avevano letto. Cosi' insondabile e' il mistero dell'animo umano, che ogni volta torno a rileggere quell'incipit della tetralogia di Giuseppe e i suoi fratelli di Thomas Mann per lenire un poco lo sgomento. * Il poker ebraico, o l'enciclopedia britannica La seconda bizzarria: un noto stratagemma retorico consiste nel chiedere a chi ricorda un evento o fa una proposta, perche' non ne abbia ricordato anche un altro, un'altra non ne abbia formulata. C'e' un articolo di Pasolini ("Come sono le persone serie?", nelle Lettere luterane) al riguardo paradigmatico. Quante volte mi e' capitato che durante un'iniziativa di solidarieta' con il popolo nicaraguense mi venisse obiettato che era grave non mi occupassi di quello afghano, a una raccolta di firme per la democrazia in Sudafrica mi si opponesse che avrebbero volentieri firmato ma per la Polonia, e cosi' via. Cosi' molti interventi hanno obiettato al saggio di Anna Bravo di non essere la summa della storia dei movimenti in Italia dal '68 a oggi. Stravagante obiezione, poiche' quel saggio enunciava con chiarezza il suo oggetto ed i suoi limiti, e va da se' che ne' voleva ne' poteva essere l'Enciclopedia britannica. Eppure l'obiezione e' stata ripetuta ad libitum, come se non fosse evidente la sua irragionevolezza. La cosa e' particolarmente, peculiarmente paradossale perche' il saggio di Anna Bravo proponeva proprio un ampliamento della riflessione, sollecitava altre ricerche, invitava ad altri contributi sia testimoniali che storiografici, esortava ad aggiungere altre voci, altre esperienze, altre percezioni, altre interpretazioni. Ed invece talora si e' arrivati al parossismo di far carico all'autrice del saggio di aver vissuto una sola vita, e di poter personalmente testimoniare solo di quella; si e' arrivati all'assurdo di fare il catalogo delle cose che nel saggio non c'erano (et pour cause), come se non fosse ovvio che tale catalogo e' di necessita' infinito, ben piu' di quello di Leporello. Si e' arrivati al tratto inconsapevolmente oulipien (o a' la Ionesco, infine, suvvia) di pretendere che un saggio che propone un campo di ricerche quel campo di ricerche esaurisse a priori. Tutto cio' sarebbe solo buffo, e finanche soavemente candido, se non fosse anche offensivo: poiche' tale incredibile "imputazione" e' stata effettualmente reiteratamente rivolta alla storica in tutta serieta', anzi seriosita', e in toni e forme talora del tutto irricevibili, come se Anna Bravo avesse voluto occultare qualcosa proprio quando invece proponeva un'opera di verita', di disvelamento, di disoccultamento, di emersione del rimosso. E per un altro verso mi ricorda sia quella strategia del "piu' uno", sia quei paradigmi relazionali (classicamente indagati dalla scuola di Palo Alto), in cui ad ogni passo si scaraventa l'interlocutore in una nuova aporia e nell'inferno del "doppio vincolo", strategia e paradigmi che sono l'oggetto profondo (la "lettera rubata" per cosi' dire) di quel racconto di Ephraim Kishon, "Il poker ebraico", che qui non racconto perche' e' troppo divertente e merita di essere letto per intero (e' nella raccolta dal titolo Si volti, signora Lot, edita da Mondadori). * Un discorsetto tra vecchi bolscevichi La terza bizzarria, e poi mi fermo. Vi fu un tempo nella sinistra, anche italiana, in cui "revisionista" era l'insulto degli insulti che i marxisti piu' ortodossi (quindi meno marxiani) scagliavano come un giavellotto, anzi come una folgore, come un anatema, a trafiggere altri marxisti, non necessariamente piu' eretici, ma semplicemente meno solerti nel dogma (tra i quali a loro volta talora non mancavano quelli che passavano dalla critica del dogma alla critica della critica dei dogmi, ad altro dogma aderendo, con cio' altresi' passando infine armi e bagagli nel campo degli oppressori se vivevano nell'occidente; e fortunati loro, poiche' se invece vivevano nei paradisi del socialismo reale bastava la critica del dogma per passare nel gulag, senza ne' armi ne' bagagli. Il gorgo del gulag: dovremmo cercare di non dimenticarlo; poiche' la parola "comunista" - e la scelta ed il campo morale che essa designa - ha significato una cosa nei paesi capitalistici o feudali, ed il suo orribile contrario nella quasi totalita' dei paesi sedicenti socialisti ed effettualmente totalitari; cosicche' quando si dice "comunista" andrebbe chiarito se si parla della parte degli assassinati per aver voluto salvare delle vite, o della parte degli assassini che le vite estinguevano - senza dimenticare neppure che talora, ma solo talora, i primi erano, per impervie vie, altresi' complici dei secondi). Ricordo quei tempi del secolo scorso, perche' c'ero, perche' di un piccolo e nobile partito marxista, il Pdup-Manifesto - schierato dalla parte delle vittime del gulag - sono stato segretario di federazione a Viterbo per un decennio; e anch'io lessi Bernstein e Kautsky e Lenin, e tutte le penose diatribe cominciate invero gia' fin dalla prima e proseguite nelle ulteriori internazionali. E quante volte quel "revisionista" l'ho sentito sibilare nelle fumose stanze in cui si celebravano le liturgie che attoscavano quanto di meglio era in noi (non nel Pdup e non a Viterbo, rivendico a merito la nostra diversita'). Ma questo e' un remoto passato (che tuttavia, anch'esso, non passa). * Dove parlo col cuore Poi venne un'altra accezione di quel termine "revisionista", con specifico eminente riferimento al campo non piu' politologico ma storiografico (o pseudostoriografico). Perlomeno in Europa (altrove e' diverso, e ad esempio in Israele la nuova storiografia democratica ed antisciovinista si e' autodefinita revisionista senza che questo implicasse alcuna parentela con il "revisionismo" europeo, anzi: e qui penso ad esempio a quell'opera cospicua che e' Vittime, di Benny Morris - edita in italiano da Rizzoli -, che fu cosi' apprezzata anche, ad esempio, da uno studioso come l'indimenticabile Edward Said). Ma in Europa "revisionista" e' il termine con cui ci si riferisce ormai da qualche decennio a quell'insieme di pubblicazioni e a quell'operazione ideologica che ha come esito la relativizzazione della Shoah e, in fome piu' o meno incerte, ambigue o decisamente esplicite, l'infame riabilitazione del fascismo e del nazismo. Intendiamoci: anche qui occorre distinguere; io ho letto con profitto le opere maggiori di De Felice (ho letto anche la sua pubblicistica minore, e questa con profonda amarezza); di Nolte ho letto opere ammirevoli, e scritti che mi feriscono; e quindi non dico che tutte le opere di tutti gli autori che sotto la generica etichetta di "revisionismo" vengono rubricate siano la stessa cosa: ma certo tutte vengono utilizzate ai fini di un'operazione che e' insieme ideologica e politica e il cui scopo e' cancellare la distinzione tra il bene e il male, tra uccidere e salvare le vite, tra gli autori dei campi di sterminio e coloro che allo sterminio si opposero: e questo e' un orrore contro cui occorre lottare, per le ragioni che da Vladimir Jankelevitch ad Hannah Arendt, da Primo Levi a Vittorio Emanuele Giuntella, a Pierre Vidal-Naquet, i nostri maggiori maestri ci hanno chiarito una volta per sempre. E chi si arrendesse alla menzogna si farebbe complice dell'orrore. So distinguere tra le persone e le opere, e so distinguere tra autori che valgono anche se non se ne condividono le tesi, e gli infami propagandisti dell'ordine ariano, i complici postumi della Shoah che nuove Shoah preparano: c'e' un bel libro di Valentina Pisanty che molto e' giovevole a tal fine. Poi, certo, preferirei che De Felice e Nolte ed altri storici di vaglia non si fossero trovati a poter essere strumentalizzati, e non avessero avuto ammiccamenti e cedimenti e talora fin connivenze indegni di loro; ma so anche che tra queste figure e i miseri figuri che incuranti di ogni dignita' si spingono talora fino all'obbrobrio del cosiddetto "negazionismo" una distinzione c'e', e non la dimentico. Va dato merito a non molti storici (e qualche filosofo e saggista) di essersi battuti contro questo "revisionismo": e la loro lotta contro questo revisionismo dagli esiti e dalla funzione filonazisti e' stata importante, e' importante: gli storici e le storiche che con coraggio e tenacia hanno tenuta viva la memoria, hanno cercato, studiato, tramandato la verita' della Shoah e della resistenza contro la Shoah, io li e le considero dei maestri e delle guide. Poiche' la lotta contro la menzogna sul passato (una menzogna che e' complice degli assassini, che reduplica l'oltraggio alle vittime, che nuovamente pretende annientare persone innocenti la cui vita fu spezzata dall'orco) e' elemento decisivo per difendere l'umanita' presente e futura. Anna Bravo e' una delle figure piu' nitide di questa necessaria lotta. Sono parole impegnative, le uso con piena coscienza. Poiche' attribuisco alla lotta per la memoria della Shoah e della Resistenza, alla lotta contro il fascismo che risorge (poiche' "il ventre da cui nacque e' ancora fecondo" ricordava il buon Bertoldo che cambio' piu' paesi che scarpe), alla lotta per la verita' storica e per il rispetto delle vittime, una decisiva rilevanza; e perche' so, di quel sapere di cui sapeva il Pasolini del "romanzo delle stragi", quanto duro deve essere stato e deve essere tuttora e ogni giorno di piu', fare storiografia per la verita', per l'umanita', fare la storiografia che fa Anna Bravo. Sono cose che so perche' sono una persona che cerca di ragionare, perche' sono un militante politico che giunto al paragone ha saputo testimoniare, perche' non ho dimenticato quel che mi scrisse una volta Tomaso Serra, quel che mi disse per telefono Primo Levi, quel bacio che ci scambiammo con Vittorio Emanuele Giuntella: e so che ora che loro sono morti da anni e' dovere anche mio tramandarne la memoria; perche' non dimentico quell'anno che passai a coordinare per l'Italia la campagna di solidarieta' con Nelson Mandela; o "la notte che passai con tanta pieta" a Mercogliano, in Irpinia, tra i bambini restati orfani a ridosso del terremoto dell'81 dopo la minaccia rivolta a me, e con me ai miei compagni e alle mie compagne - le compagne, voglio ricordarlo, dell'Udi -, di far intervenire "gli amici degli amici". Io non dimentico, io non sto nel partito degli assassini, io sto nel partito dei fucilati, dalla parte di Gandhi e di Chico Mendes, di Martin Luther King e di Marianella Garcia, di Pippo Fava e di Pino Puglisi, di Etty Hillesum e di Rachel Corrie, di Oscar Romero e di Milena Jesenska', di Ninni Cassara' e di Nicola Calipari. E so che Anna Bravo e' da questa parte della barricata. Perche' Anna Bravo e' la storica che ha saputo raccogliere in libri indimenticabili la voce dei e delle superstiti della Shoah; che ha saputo restituire la voce e la grandezza della Resistenza civile fino alle sue ricerche pressoche' dimenticata se non soffocata; che ha saputo fare e promuovere la storia delle donne dentro e contro la guerra, in libri e saggi che davvero gia' col loro solo esistere aprono una nuova percezione storica e quindi anche contribuiscono a schiudere una nuova storia. Ed ora che ho detto tutto questo, per dire il resto bastera' un sorriso. * E dunque Il fatto che con una improntitudine persino grottesca in alcuni interventi si sia preteso di stigmatizzare Anna Bravo con l'epiteto sciagurato di "revisionista" lascia semplicemente sbigottiti. Poiche', come credo sia chiaro a chiunque, nel campo della ricerca storiografica attuale non vi e' dubbio che proprio Anna Bravo col suo lavoro, le sue ricerche, i suoi libri, il suo magistero, sia uno dei punti di riferimento fondamentali e per cosi' dire alto un bastione nell'impegno per contrastare quel "revisionismo" oggi in Italia al potere nelle istituzioni politiche, nei mass-media, nell'ideologia diffusa che incessantemente manipolazione e ignoranza alimentano. Cosicche' rivolgere ad Anna Bravo quell'insulto e' semplicemente un assurdo. Se non fosse che chi legge i giornali potrebbe non saperlo, e quindi prenderlo per buono. Non solo, ma quella scempiaggine reca con se' oltre alla nequizia sua propria anche un secondo motivo di offesa e di mistificazione, se possiamo aggiungere un dato ulteriore, di cui verosimilmente non erano al corrente le persone che con leggerezza estrema hanno proferito quella parola disonesta talora con riferimento neppure al saggio (non letto o letto assai frettolosamente) ma direttamente all'autrice; e l'implicazione e' questa. Coloro tra noi che per circostanze diverse non possono e non vogliono dimenticare la Shoah, e non vogliono e non possono dimenticare la Resistenza contro gli autori della Shoah, non molti anni fa accolsero come una liberazione morale e intellettuale l'avvio di ricerche storiche che diedero finalmente riconoscimento e rilevanza alla Resistenza condotta in forme non armate e nonviolente (su cui in questo foglio abbiamo piu' volte pubblicato l'eccellente ricerca bibliografica redatta da Enrico Peyretti, una delle piu' autorevoli figure della cultura della pace e della riflessione morale e civile). Di quelle ricerche Anna Bravo, come e' noto, e' stata una delle protagoniste e delle promotrici: ma quando pubblico' i primi suoi fondamentali lavori sulla Resistenza civile, fondamentali nel far emergere come la Resistenza non sia stata solo, ne' eminentemente, un fatto militare, ed anzi vi sia stata una Resistenza civile, e anche di massa, animata soprattutto da donne, in forme non solo non violente ma sovente consapevolmente nonviolente (nel senso preciso e forte del termine, che congiunge e traduce i due termini e concetti gandhiani di ahimsa e satyagraha), non mancarono i soliti pubblicisti poco acuti (ma forse dovrei meglio dire: di cultura totalitaria, militarista e patriarcale, e di atteggiamento ad un tempo inconsciamente pusillanime e protervo) che a proposito di questi lavori storiografici sulla Resistenza civile, particolarmente delle donne, si permisero di insultare l'autrice attribuendole una sprezzante qualifica, quell'aggettivo "revisionista" che tutti per l'appunto sappiamo bene essere in campo storiografico un'offesa che tiene finanche del criminale e del macabro e addirittura insinua una complicita' col neofascismo; e solo dopo che alcune delle piu' autorevoli e riconosciute personalita' della storiografia della Resistenza presero pubblicamente posizione a sostegno del valore dell'opera di Anna Bravo, quegli ignobili insulti cessarono, ed oggi l'intero arco della storiografia democratica, e della pubblicistica che in forme divulgative non inonestamente la riecheggia, e' grato all'autrice per quelle ricerche, quelle testimonianze, quei libri; e delle rozze insolenze di cui fu vittima allora nessuno si ricorda piu'. Ma certo quell'offesa non puo' non continuare a dolere, a dolere ad Anna Bravo che ne fu vittima, a dolere a quante e quanti se ne sentirono parimenti infangati, a dolere - voglio credere - anche a coloro che la pronunciarono. Si poteva, si doveva risparmiare ad Anna Bravo questa reduplicazione della diffamazione, che per essere irriflessa, stolta e fin ridicola, non e' meno crudele, non fa meno male. E detto questo vorrei sperare che su questo punto, almeno su questo foglio, non occorra tornarci piu' sopra; e se anche su questo foglio, quand'anche in forme che invero ritengo innocenti, e sicuramente con buone intenzioni, o a meri fini di citazione e di documentazione, di quell'offesa si e' data notizia o non meditata riproposizione, una volta per tutte io che questo foglio firmo come direttore responsabile ne chiedo scusa ad Anna Bravo, alla quale so di poter attestare la stima, l'affetto, l'amicizia non solo mia ma di tutta la redazione e di tutte le collaboratrici e tutti i collaboratori. * Questo foglio e tre tesi Questo foglio, chi lo legge lo sa, propone della nonviolenza una nozione complessa e pluridimensionale, contestuale ed aperta, e di essa mette in rilievo anche l'essere un campo di ricerche in cui si confrontano approcci, posizioni e proposte diverse e fin divergenti, dialogiche, dialettiche e fin conflittuali, ed in questa conflittualita' reciprocamente fecondamente maieutiche. E nel dibattito in corso dal saggio di Anna Bravo promosso questo foglio ha accolto e vorra' accogliere ancora una pluralita' di opinioni fin confliggenti; ma tre tesi, per parte sua, ha particolarmente sostenuto, che ancora una volta vogliamo enunciare: 1. I movimenti impegnati per la pace e per i diritti umani di tutti gli esseri umani non possono piu' restare nell'ambiguita' riguardo all'uso politico della violenza; occorre fare una scelta di verita' e di lotta per la verita'; occorre fare una scelta di lotta contro tutte le strutture e le epifanie della violenza che opprime, che devasta, che uccide. Occorre fare la scelta del satyagraha, dell'attaccamento alla verita', della verita' come forza che degnifica e libera. Occore fare la scelta della nonviolenza. Se non si fa la scelta della nonviolenza non si e' piu', ammesso che lo si sia potuto essere nel passato, movimenti per la pace e per i diritti, movimenti di solidarieta' e di liberazione. 2. Della nonviolenza, la nonviolenza concreta, la nonviolenza agita, la nonviolenza come relazione e come lotta, come ricerca e come comunicazione, come metodo e come sistema, nella pluralita' delle sue dimensioni epistemologiche, assiologiche, ermeneutiche, deliberative, operative, della nonviolenza in cammino insomma, il femminismo (i femminismi, le esperienze teoriche e pratiche delle donne e dei movimenti delle donne) e' la "corrente calda", l'esperienza storica e culturale di riferimento primario, la maggiore e migliore emersione fin qui nell'umana vicenda, il vettore del percorso da compiere, la voce e lo sguardo che piu' aggetta, apre, libera, connette, preserva e crea. 3. Lottare efficacemente contro il sistema di potere patriarcale, sfruttatore, oppressivo e guerriero, e' possibile solo se continuiamo a riflettere non solo sulle sue malefatte e sulle alternative possibili, ma anche sulle nostre complicita' e sulle nostre contraddizioni, sui limiti e le incertezze, senza eludere quei nodi e quei grovigli che ci implicano e fin impigliano, senza aver paura di porre a verifica la nostra storia e le nostre ragioni. Ergo la proposta di riflessione avanzata dal saggio di Anna Bravo non solo non e' cosa da temere, ma e' anzi un aiuto reale e potente alla conferma in cio' che e' giusto, alla ricerca in cio' che e' incerto, alla presa di coscienza di cio' su cui non sufficiente chiarezza ancora vi e', all'impegno contro ogni concrezione di male e di morte, al prendere atto lucidamente e non rassegnatamente della realta', e all'aumento di coscienza e di impegno dinanzi ad essa, all'inevitabilmente parziale e dialettico intervenire per ridurre la sofferenza nel mondo e del mondo, per rendere piu' umana l'umanita': la nonviolenza non e' un astratto concionare, ma un agire nelle contraddizioni del reale. Sapendo che solo ponendo le domande si possono cercare le risposte, e che - fortunatamente - non abbiamo una risposta per tutto. Sapendo che affinche' si dia a tutte e tutti la possibilita' di parlare occorre in primo luogo tutte e tutti disporsi all'ascolto dell'altra e dell'altro, anche dell'assolutamente altro, dell'irriducibile alterita', ed ogni alterita' all'identita' e' irriducibile. Ma e' solo nel riconoscimento del volto altrui che si possono riconoscere le affinita', che si possono costruire le relazioni, che si invera la sostanziale e sempre precaria e parziale e cangiante eguaglianza tra le umane persone, che si da' umanita'. * Envoi Dixi et salvavi animam meam? Non scherziamo. Detto tutto cio' la discussione e' appena aperta, e se posso permettermi vorrei a nome della redazione tutta ringraziare le tante persone che hanno gia' scritto interventi su questo argomento per il nostro foglio, o che ci hanno messo a disposizione loro testi gia' apparsi altrove, o i cui interventi abbiamo recuperato da siti e giornali diversi: tutte le ringraziamo ugualmente, tutte hanno dato un contributo prezioso, per tutte sentiamo amicizia ed ammirazione sincere. La discussione e' appena aperta, e spero anch'io che essa si estenda, si approfondisca, fruttifichi vieppiu'. Altri interventi desidereremmo ricevere e pubblicare. Naturalmente spero anche che per il futuro si prescinda dai fraintendimenti, e massime dagli insulti. Ed altrettanto naturalmente occorre che questa riflessione continui ad essere franca e leale, anche aspra nel merito, rigorosa e plurivoca. Ma ancora una cosa mi resta da aggiungere, ed e' quella che mi sta piu' a cuore, il motore e il telos per cui a scrivere questa interminabile articolessa mi sono infine risoluto: ed e' il mio personale ringraziamento ad Anna Bravo, che e' anche il ringraziamento della redazione di questa intrapresa informativa che ogni giorno raggiunge ed ahime' talora intasa le caselle di posta elettronica di circa ventimila interlocutrici ed interlocutori sparsi per l'Italia e per il mondo, per proporre loro di approfondire le ragioni della nostra comune amicizia, il nostro comune - ed infinitamente variegato, originale per ogni persona - accostamento alla nonviolenza. Il ringraziamento che rivolgo e rivolgiamo ad Anna non solo per aver scritto quel saggio, non solo per le altre opere sue (magnifico il testo sulla resistenza civile che ci ha donato e che abbiamo pubblicato nel numero di ieri di questo foglio), non solo per la sua attivita' di storica e di docente, di intellettuale femminista e di amica della nonviolenza. Non solo: anche per la pazienza infinita; anche per l'amicizia di cui ci ha onorato; anche per la fiducia di cui ci ha fatto dono. Dal profondo del cuore, grazie. 2. DOCUMENTI. TESTO PER RAGIONARE INSIEME SULLA POSSIBILE DEPENALIZZAZIONE DELL'ABORTO (1989) [Dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it) riprendiamo questo assai noto documento femminista del novembre 1989] "Fino a quando la legge cerchera' di controllare l'aborto in forme mai applicate alle altre pratiche di medicina chirurgica ci sara' pericolo. Il motivo per cui la parola 'rifiuto' compariva in tanti documenti degli anni Sessanta e Settanta e' semplice: lo scopo era estromettere il governo dal processo decisionale sulla riproduzione respingendo ogni legge sull'aborto o sulla contraccezione". Sono parole di Gloria Steinem, femminista americana. In che cosa consiste il pericolo di cui lei parla? In pericolo sono sia la liberta' femminile sia la riproduzione equilibrata. Fino a quando la legge cerchera' di sostituire la donna nella regolazione della sua fecondita', ci sara' pericolo per la liberta' di lei singola, come e' evidente, ma anche per la liberta' delle donne in genere e per la loro capacita' di regolare il processo della riproduzione. In questi mesi di discussione sull'aborto e, ultimamente, sulla pillola abortiva, la cosa per noi piu' significativa e' stata la posizione autocritica di gran parte del movimento femminista nordamericano. (Dal 1973 - dice Ann Sintow a Giovanna Pajetta su "Il manifesto" - anno in cui la Corte Suprema sanci' che abortire era un diritto, abbiamo passato il tempo a difendere cio' che i giudici ci avevano dato). Come negli Usa, anche in Italia la legge che regola l'interruzione di gravidanza e' stata sottoposta a vari attacchi con lo scopo di tornare al vecchio regime. E come negli Usa, molte hanno difeso la legge in questione, forse senza rendersi conto di difendere un potere esterno che pretende di regolamentare il rapporto della donna con il suo corpo fecondo. Certo, la legge 194 e il cosiddetto diritto di abortire vengono attaccati per motivi che nulla hanno a che fare con gli interessi delle donne. Ma questa non e' una ragione sufficiente per difendere la 194 e, piu' in generale, la necessita' di legiferare in materia di fecondita' femminile. Noi sosteniamo anzi che l'esistenza di una legge dello Stato in questa materia - legge piu' o meno repressiva, non e' questo il punto - non sia compatibile con la liberta' femminile. E che, invece di difendere la legge o cercare di migliorarla, sia meglio pensare alla cosa piu' giusta e semplice in questa materia: depenalizzare l'aborto, cancellare dal codice penale la parola "aborto". Questo nostro testo e' stato scritto per aprire la discussione sulla possibile depenalizzazione dell'aborto e sul farne una proposta politica del movimento delle donne. Siamo interessate al giudizio di quelle con cui siamo in rapporto, ma anche di quelle che, a partire dalla loro competenza ed esperienza (medica, giuridica, parlamentare), vorranno valutare con noi i pro e i contro della nostra proposta. * Per cominciare sottolineiamo due dati di fatto. Primo, il fatto che anche con la legge 194 l'aborto resta un reato. E' un reato se non viene eseguito nelle strutture pubbliche. Cio' significa attese lunghissime per lo scarso numero di medici non obiettori negli ospedali. Significa inoltre un interrogatorio inutile ma umiliante che rimanda alla donna l'immagine che il legislatore ha di lei: individua di una specie irresponsabile, alla quale si deve far ridire quello che lei ha gia' deciso, per controllarne la consapevolezza. Nessuna meraviglia se il numero degli aborti clandestini cresce. Passiamo cosi' al secondo dato di fatto: la legge 194 e' applicata poco e male. Il disagio piu' grave riguarda il Mezzogiorno, dove scarseggiano ospedali e consultori e dove il numero degli obiettori e' tale da rendere impossibile l'attuazione del servizio previsto dalla legge. A noi sembra che la non applicazione della 194 costituisca una invalidazione della legge stessa. Come si puo' difendere una legge che non viene applicata in meta' del paese? Oppure si considera il Mezzogiorno una zona franca? D'altra parte, come possiamo noi donne difendere una legge che crea essa stessa e incrementa il regime dell'aborto clandestino con i suoi rischi e costi? Alcune concludono, da quei due dati di fatto, che bisogna migliorare la 194, cosi' da renderla piu' facilmente applicabile e meglio applicata. Questa posizione ha pero' contro di se', in maniera insormontabile, l'obiezione della liberta' femminile, del pericolo che rappresenta per la liberta' delle donne qualsiasi legge in materia di fecondita' del corpo femminile. Non vale, d'altra parte, appellarsi al problema delle donne economicamente svantaggiate o del Mezzogiorno. L'aborto depenalizzato dovra' infatti restare un servizio medico offerto dalla societa' alle donne che ne hanno bisogno. E dove i servizi medici sono carenti per tutti, come nel Mezzogiorno, possiamo supporre che la depenalizzazione favorira' l'invenzione di soluzioni alternative, come l'apertura di ambulatori autogestiti piu' sicuri e meno costosi degli attuali sistemi clandestini. Se cio' sia realistico, si dovra' naturalmente discutere, soprattutto da parte delle donne meridionali. In ogni caso, difendendo o anche migliorando la 194, comunque si fa dipendere dallo Stato la pratica dell'aborto attribuendogli il potere di legittimarlo. E questo vuole dire, fra l'altro, negare valore giuridico (di diritto consuetudinario) e politico alla realta' di una secolare autonomia femminile che caratterizza la storia demografica dei paesi occidentali. Le donne, infatti, nei paesi europei, con le loro scelte individuali di abortire o non abortire non hanno mai prodotto squilibri demografici. Da questo fatto possono discendere un rapporto con la vita e un sapere preziosi per la societa'. L'aborto e' sempre stato punito, anche quando la societa' industrializzata imponeva pochi figli. Sull'ipocrisia di quella punizione il movimento politico delle donne ha detto molto. Ma non si tratta solo di ipocrisia: sull'aborto si e' giocato e si gioca un conflitto di potere tra i sessi. Sono le donne a sapere quando e' cominciata una gravidanza e a decidere se proseguirla, se informare il compagno, se interromperla, per lo piu' consultandosi con altre donne. L'autorizzazione eventuale ad abortire viene data all'interno di una cultura e di una societa' di donne. Legiferare sull'aborto o sulla pillola e' un modo per gli uomini di assicurarsi simbolicamente il controllo sul corpo femminile fecondo. In fondo, sia i sostenitori sia i critici della legge 194 sono accomunati dalla volonta' di avere quel controllo. Non si riconosce cosi' autorita' alle decisioni femminili, ne' si cerca di trovare strumenti piu' appropriati (come sarebbe un controllo della sessualita' maschile), trincerandosi solo nell'irresponsabilita' e nel moralismo. * La questione dell'aborto va affrontata a piu' livelli. Ne abbiamo individuati tre. Il primo e' quello sanitario. Oggi rappresenta il livello in cui si crede di poter affrontare la questione dell'aborto in tutta la sua complessita'. Non e' cosi': il dramma, lo scacco, la liberazione che una donna vive in rapporto a questa esperienza non devono essere zone di interesse dei servizio sanitario nazionale. Si dice da piu' parti: l'aborto non e' un intervento come tutti gli altri. Ogni donna sa che questo e' vero. Ma a livello sanitario l'aborto e' un intervento come gli altri, ed e' giusto che sia visto cosi'. Altrimenti, oltre a provocare molte disfunzioni, come l'obiezione di coscienza, si favorisce una concezione del servizio medico che esorbita dalla sua funzione propria di aiuto sociale offerto ai singoli, alle singole nella gestione del loro corpo. Si tende invece a dare ai medici il potere di decidere che spetta alla donna. Dietro a questa prevaricazione c'e' la volonta' dello Stato di far valere il suo controllo e la sua ideologia sulla riproduzione della specie. Da questo punto di vista, il discorso non e' diverso se per abortire si usa una pillola, anche se certo lo e' dal punto di vista della sofferenza fisica. Su questo punto in particolare ci interessano i giudizi di mediche, ostetriche, ginecologhe, operatrici nel campo della salute. Considerare l'aborto, limitatamente al livello sanitario, un intervento come gli altri, e' il primo effetto della sua depenalizzazione. Si trattera', naturalmente, di un intervento mutualizzato, che potra' essere eseguito anche in strutture private, a pagamento o convenzionate. Il nostro sistema sanitario prevede la scelta tra pubblico e privato, cosi' come prevede una serie di strumenti assistenziali. Quale che sia il giudizio che diamo su tale sistema, noi donne non abbiamo nessun motivo di fare dell'interruzione di gravidanza una cosi' vistosa eccezione come e' attualmente. Depenalizzare l'interruzione di gravidanza significa non considerarla piu' un reato. Non e' una banalizzazione del problema, bensi' una separazione - ecco la ragione dei piu' livelli - tra la sfera della competenza femminile e quella dell'intervento pubblico. Contro questa posizione qualcuno fa appello all'etica. Un'etica, notate, di cui la legge dovrebbe farsi strumento penale. Noi crediamo che se di etica si deve parlare, bisognerebbe intanto cominciare dalla deontologia propria degli operatori e operatrici della salute. * Il secondo livello e' quello giuridico. La 194 e' un compromesso. Cosi' a suo tempo l'ha definita quella parte del movimento delle donne che pure era per la legalizzazione (e non per la depenalizzazione) dell'aborto. Non tanto, come superficialmente si potrebbe pensare, un compromesso tra destra e sinistra o tra Dc e Pci o tra cattolici e laici C'e' stato anche questo, ma, piu' profondamente, quella legge fu un compromesso rispetto al conflitto tra i sessi. Noi preferiamo che il conflitto tra i sessi non venga coperto. Tutte sappiamo che le donne, nel campo della riproduzione, si sono sempre riconosciute una capacita' di decisione responsabile, cosi' come sappiamo che in questo ambito c'e' conflitto tra i due sessi. Pertanto, qualsiasi legge, qualsiasi regolazione parlamentare che si sovrapponga o pretenda di sostituire la competenza femminile equivale a voler chiudere la contraddizione a favore degli uomini perche' misconosce la competenza e l'autorizzazione di origine femminile. Da dove viene la richiesta di regolazione statale? Viene, come e' noto, da cattolici, sebbene dal loro punto di vista, se fosse rigoroso, sarebbe preferibile il regime di depenalizzazione che toglie allo Stato l'identita' di Stato abortista e, piu' radicalmente, di istituzione che si arroga il potere di legiferare sugli inizi della vita. Viene anche da uomini dell'area laica e questo sarebbe incomprensibile se non si considerasse quella realta' di fondo che e' il conflitto tra i sessi. Anche alcune donne dicono: l'aborto va regolato ulteriormente. La loro voce si fa sentire parecchio, mentre quella delle molte che abortiscono e non sentono il bisogno di regolamentazioni statali, quella e' piu' debole. Ma per capire la posizione femminile autonomamente, dobbiamo passare a un altro livello, quello dei significato che ha o non ha l'aborto per la donna, le donne. * Il terzo livello, dunque, e' quello simbolico, in cui una donna sperimenta la sua liberta' e la sua non liberta' sapendo riconoscere fin dove arriva una e dove comincia l'altra. L'aborto e' una necessita', e' legato alla costrizione della sessualita' maschile che non separa piacere e riproduzione. Vent'anni di ascolto dell'esperienza femminile insegnano che una donna, quando decide di abortire, sa di aver subito la regola della sessualita' maschile. Qui nasce lo scacco che e' per una donna il dover abortire, ma anche la coscienza: si tocca con mano il dato della propria non liberta', gli impedimenti che la propria liberta' scontra nel rapporto con quella maschile. La liberta' femminile e' venuta al mondo. Si tratta di un avvenimento di natura simbolica. Vuol dire che la liberta' si e' resa possibile e pensabile dalle donne. E che esse la desiderano. Questo significa che le donne non si rappresentano piu' essenzialmente come schiacciate, represse o discriminate dagli uomini. Gli uomini, infatti, non hanno nulla di essenziale da togliere o da dare alle donne quanto alla loro liberta'. Liberta' significa trarre dallo stato di costrizione gli elementi per superarlo, ma anche, se questo fosse impossibile, per accettarlo lucidamente. Cosi' il senso dell'esistenza femminile non viene da fuori, nasce da dentro. Cosi' si sposta il limite tra non liberta' e liberta'. L'aborto ha sempre rappresentato questo limite. A partire da una costrizione, quella imposta dalla sessualita' maschile, le donne si sono sempre autorizzate reciprocamente questo gesto. Non pero' come gesto di dominio sulla vita, come fantasticano quelli che parlano di omicidio, bensi' come conclusione necessitata dalle circostanze. Alcune, occorre aggiungere, hanno esercitato ed esercitano sull'aborto e, piu' in generale, sulla loro capacita' di regolare la riproduzione, un potere e il senso di liberta'. Questa posizione e' pienamente accettabile. Visto che il corpo che fa figli e' quello femminile, visto che la funzione materna e' femminile, e' legittimo che le donne fondino su cio' un loro maggior potere nella riproduzione della specie. * C'e' contraddizione tra il dire che l'aborto e' una conclusione necessitata da elementi esterni come la costrizione della sessualita' maschile, e il registrare un potere femminile legato alle decisioni sulla vita. Tra noi che scriviamo, alcune mettono l'accento sul primo aspetto, altre sul secondo. Siamo pero' d'accordo nel riconoscere la contraddizione. In fondo, la liberta' nasce dalla contraddizione: la necessita' infatti e' la materia prima della liberta', se da essa si parte per produrre senso, regola e misura di se'. Il bisogno di regole e' legittimo. Indica una volonta' di misura e di societa' femminile Alle donne che invocano o anche solo ammettono che siano altri (partiti, istituzioni, uomini) a dare loro misura e regole, vogliamo portare la nostra esperienza che dice che le donne possono dare alle donne l'una e le altre. Non lo dimostra solo la storia recente del nostro sesso, l'invenzione di forme politiche per noi vantaggiose, la riflessione teorica, l'agire pratico di molte. Non lo dimostra solo la vita delle moltissime che non si sono mai trovate nelle condizioni di dover abortire. Lo dicono anche le diverse modalita' che le donne hanno trovato e trovano per fare fronte alle necessita' via via imposte dalla vita, dall'organizzazione sociale, dal dominio maschile. Crediamo che l'autorizzatone simbolica femminile vada potenziata e lavoriamo a questo. Il potenziamento avviene contemporaneamente all'apertura di vuoti nell'ordine simbolico dato. Qualsiasi intervento legislativo in materia di riproduzione non farebbe invece che accentuare l'eteroregolazione occupando spazi che vanno lasciati alla competenza e all'autorita' femminili. Per questo vogliamo che la parola "reato" legata alla parola "aborto" scompaia dal codice penale. * Questo testo vuole essere uno strumento per il lavoro politico di singole e gruppi. Non domanda pubblicita' per se' ma attenzione al tema della depenalizzazione dell'aborto. Potete migliorarlo o sostituirlo con vostre elaborazioni, in vista di un convegno che potremo tenere fra qualche mese. Quelle che lo condividono cosi' com'e', possono aggiungere la loro firma, riprodurlo e farlo circolare. * Franca Chiaromonte, Grazia Negrini, Luisa Muraro, Rossana Tidei, Raffaella Lamberti, Elena Paciotti, Maria Grazia Campari, Letizia Paolozzi, Alessandra Bocchetti, Daniela Dioguardi, Maddalena Giardina, Lia Cigarini, Ivana Ceresa, Angela Putino, Giovanna Borrello, Adriana Cavarero... 3. HERI DICEBAMUS. BENEDETTO CROCE: UNA NOTA SULLA DISTINZIONE TRA ORDINAMENTO GIURIDICO E VITA MORALE [Da Benedetto Croce, Etica e politica, Laterza, Bari 1931, ma citiamo dall'edizione 1973, p. 188. Benedetto Croce, filosofo, storico, critico (1866-1952), e' stato una delle personalita' piu' illustri della cultura del Novecento. Per lungo tempo parlar male di Croce e' stato quasi uno sport nazionale; eppure, con tutte le sue idiosincrasie e tutti i suoi limiti (che non misconosciamo) resta il filosofo del manifesto degli intellettuali antifascisti, un liberale autentico, una persona generosa, quel suscitatore di cultura e promotore di civilta' in un'Italia provinciale e arretrata ai primi del secolo, poi oppressa dalla dittatura fascista. Opere di Benedetto Croce: qui segnaliamo particolarmente Etica e politica (che contiene anche il Contributo alla critica di me stesso), Storia d'Europa nel secolo decimonono, La storia come pensiero e come azione, tutti presso Laterza; da alcuni anni Adelphi sta ripubblicando Croce, ed ha gia' edito anche un'antologia personale curata da Croce per il pubblico inglese negli anni quaranta e solo ora presentata al pubblico italiano: La mia filosofia, Adelphi, Milano 1993. Opere su Benedetto Croce: un punto di partenza può essere Paolo Bonetti, Introduzione a Croce, Laterza, Roma-Bari 1989; si veda anche Alfredo Parente, Croce per lumi sparsi, La Nuova Italia, Firenze 1975; e ancora Antonino Bruno (a cura di), Benedetto Croce tent'anni dopo, Laterza, Roma-Bari 1983; ma naturalmente anche le molte pagine a Croce dedicate da Gramsci nei Quaderni del carcere (ora nell'edizione critica curata da Valentino Gerratana per Einaudi, Torino 1975, ristampata nel 2001)] Nonostante codeste esaltazioni e codesto dionisiaco delirio statale e governamentale, bisogna tener fermo a considerare lo Stato per quel che esso veramente e': forma elementare e angusta della vita pratica, dalla quale la vita morale esce fuori da ogni banda e trabocca, spargendosi in rivoli copiosi e fecondi; cosi' fecondi da disfare e rifare in perpetuo la vita politica stessa e gli Stati, ossia costringerli a rinnovarsi conforme alle esigenze che essa pone. 4. RILETTURE. S. TERESA DI GESU': OPERE S. Teresa di Gesu', Opere, Postulazione generale dei carmelitani scalzi, Roma 1950, pp. XLII + 1524. Leggere Teresa d'Avila e' una delle grandi esperienze che la vita ti dona: ad ogni passo una meditazione, una sorpresa, uno specchio e un enigma, sconvolgente un invito, un abisso di sogni ed attese e visioni e richiami, un esperimento di se' e del mondo, una voce e una mano sollecita, un pozzo di acqua scintillante che aiuta ad affrontare questo deserto, questa traversata. Tenero e caldo un convocare alla solidarieta', sottile e profonda una parola di donna, una parola sororale, che costruisce relazioni, che mette al mondo il mondo, e mena altrove. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, luciano.benini at tin.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 878 del 24 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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