[Prec. per data] [Succ. per data] [Prec. per argomento] [Succ. per argomento] [Indice per data] [Indice per argomento]
La nonviolenza e' in cammino. 875
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 875
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 21 Mar 2005 01:39:17 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 875 del 21 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Raniero La Valle: L'obiettivo 2. Alfredo Galasso: La verita' storica e la verita' giudiziaria 3. Mohandas K. Gandhi: Sarvodaya. Un'economia a servizio degli ultimi (1908). Parte seconda e conclusiva 4. Alejandra Pizarnik: Segni 5. La "Carta" del Movimento Nonviolento 6. Per saperne di piu' 1. RIFLESSIONE. RANIERO LA VALLE: L'OBIETTIVO [Ringraziamo Raniero La Valle (per contatti: raniero.lavalle at tiscalinet.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo pubblicato sul quotidiano "Liberazione" il 20 marzo 2005. Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di Vasti - scuola di critica delle antropologie, presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003] Mancato l'obiettivo che era stato fissato per l'8 marzo il Senato votera' la nuova Costituzione mercoledi' prossimo, che una volta si chiamava mercoledi' santo. Cio' facendo il Senato votera' non solo contro l'ordinamento della Repubblica, per dare vita a un nuovo regime, ma votera' anche contro se stesso; infatti nel nuovo sistema il Senato non avra' piu' alcuna funzione politica di controllo del governo del Paese, e perdera' anche il suo ruolo nella formazione delle leggi, tranne di quelle che, attraverso un complicato gioco di competenze, gli verrebbero ancora date in esame in quanto interessanti le regioni. Il Senato pertanto, benche' col nuovo nome pretenzioso di "Senato federale", diverrebbe una "Camera muerta", come ha detto il sen. D'Amico della Margherita, alludendo al nome irriverente con cui e' chiamata la seconda Camera spagnola. Forse e' per questa riluttanza al suicidio che i senatori hanno fatto mancare piu' volte il numero legale, provocando l'ira di Calderoli e facendo scattare l'ennesimo ricatto della Lega, che vuole a tutti i costi la riforma prima delle elezioni regionali, e percio' prima di Pasqua. Se dunque anche questa volta il ricatto funzionera' ("bastano cinque ore e mezzo di lavoro", ha detto Berlusconi), la nuova Costituzione completera' tra poche ore la sua prima lettura parlamentare, quella nella quale le storture piu' vistose della riforma potevano ancora essere corrette. Dopo il voto del Senato, o la nuova Costituzione, con la sua seconda parte interamente rifatta, arrivera' fino in fondo in questa forma, o non ci arrivera' affatto. Ma quando questo avverra' dipende esclusivamente dai calcoli elettorali del presidente del Consiglio (si chiama ancora cosi') che decidera' se accorciare o allungare i tempi della seconda lettura parlamentare, da tre mesi ad un anno, unicamente in base a quelle che ritiene le sue convenienze, come del resto accade per tutto il resto, truppe in Iraq, tasse, ponte sullo Stretto ecc., che andranno avanti o indietro a seconda dei sondaggi e dei supposti vantaggi elettorali per il cavaliere. Cosi' anche la Costituzione della Repubblica e' pronta ad essere scambiata per un piatto di lenticchie; se sara' elettoralmente conveniente, il trofeo sara' consegnato a Bossi prima dell'estate, cosi' che il referendum costituzionale si svolgerebbe prima delle elezioni politiche del 2006; altrimenti i tempi della seconda lettura saranno ritardati, e la Lega continuera' a minacciare sfracelli. Questo gioco sui tempi, che agita le acque della maggioranza di governo, e' molto significativo, perche' vuol dire che l'illusione della destra di un cambio di regime indolore, fatto senza che la gente se ne accorga, senza rischiare l'impopolarita', sta tramontando. La tattica dell'occultamento, del silenzio, della dissimulazione del sovvertimento della Repubblica dietro la maschera della "devolution" e del federalismo, ha funzionato per mesi, per anni, grazie anche alla complicita', o alla trascuratezza, o alla incredulita' dei giornali, della tv, e della stessa sinistra; ma basta che il velo si squarci, che la vera natura della riforma si venga a sapere, perche' l'opinione pubblica si allarmi, chieda di essere informata, si accorga di avere nella Costituzione un bene che sta per perdere e si prepari a combattere nel referendum, come possono attestare tutti quelli che in questi giorni girano l'Italia per difendere la Costituzione, a cominciare dal presidente Scalfaro, gratificato dal piu' totale silenzio-stampa. E mentre la gente si sveglia, l'operazione coperta, clandestina, intrapresa dalla destra si rivela perdente e indifendibile. Una clamorosa conferma di cio' si e' avuta nelle reazioni furenti che si sono scatenate contro Prodi quando infine ha denunciato questo "assalto alle istituzioni" proprio perche' "nessuno possa dire domani che non sapeva, che non vedeva, che non capiva". La virulenza delle contumelie rovesciate su Prodi, l'irrisione, la caricatura, la volonta' di screditarlo e delegittimarlo, senza in nessun modo entrare nel merito della sua critica, da Berlusconi a Fini a Schifani, sono state cosi' esacerbate e adirate da mostrare che non ce l'avevano con quello che Prodi aveva detto, ma col fatto che l'avesse detto, cioe' che avesse rotto l'omerta', la finzione, l'inganno, e avesse detto: il re e' nudo. Dunque e' essenziale che si faccia chiarezza su quello che e' il vero obiettivo della riforma: questo obiettivo e' la Repubblica. Si e' creduto o si e' fatto finta di credere che la Lega avesse rinunziato al suo proposito di scardinare lo Stato, passando dal programma secessionista ai piu' miti consigli del federalismo. Ma il 12 marzo scorso Bossi ha detto al "Corriere della Sera": "La devoluzione e' la leva per scardinare il sistema. Fatto il federalismo politico, sara' difficile tornare indietro. Quando la gente potra' decidere i programmi, reclamera' i soldi per realizzarli". Il fisco come tessuto connettivo dello Stato moderno; distrutto il fisco, e' distrutto lo Stato. E nella manifestazione leghista di Verona contro il giudice Papalia, una lapide in marmo celebrava insieme la morte metaforica del procuratore-capo Guido Papalia, "con la morte della Repubblica italiana". Berlusconi invece non vuole dividere la Repubblica, ma unificarla sotto il proprio potere sovrano. Tale e' la riforma che, proprio come ha detto Prodi, esautora il Presidente della Repubblica, umilia le Camere, limita il ruolo delle istituzioni di garanzia, espropria le opposizioni (perfino del voto in Parlamento), instaura la dittatura del primo ministro, e insomma trasforma la Repubblica parlamentare e rappresentativa nel feudo inalienabile di un monarca, benche' ancora formalmente elettivo. Sicche' non sara' nemmeno proponibile il paragone tra la nuova Costituzione e quella del '47 oggi vigente; il vero confronto dovra' farsi per analogia col precedente della legge 24 dicembre 1925 in cui venne istituito "il governo del re" esercitato dal "capo del governo, primo ministro, segretario di Stato", che sanciva la subordinazione del Parlamento al potere esecutivo, sicche' il capo del governo, primo ministro e segretario di Stato (e Mussolini aggiunse di suo: duce del fascismo), poteva far di nuovo votare e approvare senza discussione una proposta di legge rigettata da una Camera; fu quello l'inizio del regime. Quando Brecht si chiedeva nel suo dramma come era potuta avvenire "la resistibile ascesa di Arturo Ui", ecco, era avvenuta cosi'. E a chi non vuol sentir parlare di regime, basti dire che secondo la nuova Costituzione i poteri del primo ministro non incontrerebbero limiti istituzionali; e cio' e' tanto vero che un difensore della riforma, il senatore di Forza Italia Vizzini, intervenendo al Senato ha esortato a non preoccuparsi per la "deriva bonapartista", perche' in ogni caso a frenare "il potere governante" interverrebbero "altri fattori di natura extraistituzionale, quale ad esempio la cultura politica dominante nel Paese". Questo e' dunque l'avversario nei cui confronti vuole affermarsi il nuovo potere, questo e' l'antagonista contro cui la riforma e' fatta: "la cultura politica dominante", cioe' la cultura democratica del Paese. E in effetti e' proprio questa che deve salvare la Repubblica. Anche ricordando che c'e' uno specifico divieto costituzionale che rende radicalmente illegittima la riforma in corso d'opera: e' l'art. 139 della Costituzione, l'ultimo, il quale stabilisce che "la forma repubblicana non puo' essere oggetto di revisione costituzionale". Cio' non riguardava i Savoia, a cui pensava un'altra norma, transitoria e finale, della Costituzione. Riguardava la forma repubblicana, cioe' parlamentare e rappresentativa dello Stato, che e' appunto quella che la riforma demolitrice, il cui obiettivo e' la Repubblica, verrebbe a travolgere. 2. RIFLESSIONE. ALFREDO GALASSO: LA VERITA' STORICA E LA VERITA' GIUDIZIARIA [Ringraziamo Alfredo Galasso (per contatti: galassoeassociati at studiolegalegalasso.it) per averci messo a disposizione questo suo saggio, presentato come relazione al seminario di studi su "Diritto di critica e liberta' di ricerca" svoltosi a Palermo nel dicembre 2003. Alfredo Galasso, nato a Palermo nel 1940, avvocato, docente universitario, parlamentare, dal 1981 al 1986 membro del Consiglio Superiore della Magistratura, rappresenta e difende i familiari delle vittime in diversi processi, come il maxiprocesso contro la mafia, il processo per la strage di Ustica, quello per l'incendio del Moby Prince; e' tra le figure di riferimento della lotta contro la mafia, per la legalita' e la democrazia. Opere di Alfredo Galasso: La mafia non esiste, Pironti, Napoli 1988; Trenta anni di mafia, L'altritalia, Roma 1992; La mafia politica, Baldini & Castoldi, Milano 1993] Proprio perche' collegato ad un'autorita' difficilmente riconoscibile, il giurista medioevale ha insegnato da tempo a noi giuristi positivi un'espressione che posso riprodurre: "narra mihi factum, dabo tibi ius". Il nostro compito e' quello di accertare un fatto, un comportamento, e di stabilire qual'e' e se c'e' una regola da applicare, senza alcuna pretesa di verita' assoluta. Dunque "verita' giudiziaria e verita' storica" sono in qualche modo una sorta di provocazione per dire qualche cosa che nasce da un'esperienza in larga misura autobiografica, che vorrei portare come testimonianza. Nasce anche da una indignazione, che voglio qui premettere, come sentimento che mi ha mosso in questa direzione. L'indignazione consiste nel fatto che non una verita' giudiziaria, ma il dispositivo assolutorio di una sentenza ha consentito di propagandare, complici tenutari di mass media, una sorta di revisione di una parte di storia di questo paese; di cancellare le malefatte di un sistema politico che ha dominato a lungo in Italia e particolarmente nella nostra terra; di imputare al presidente della Commissione Antimafia, della quale io facevo parte all'epoca, la responsabilita' di avere addirittura promosso indebitamente un'azione giudiziaria, piuttosto che ricordare, come si sarebbe dovuto in quella circostanza, quali erano i fatti accertati nella Commissione parlamentare Antimafia, quali erano le responsabilita' politiche che ne erano derivate, e quale era la ragione per la quale la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica non hanno mai messo all'ordine del giorno una relazione approvata all'unanimita' dalla Commissione parlamentare Antimafia. L'indignazione verso questa mistificazione della vicenda, fatta attraverso un uso strumentale, ripeto, non di una sentenza, non di una istruttoria, ma di un dispositivo assolutorio, mi ha portato a ritenere che cio' che si e' detto nella presentazione di questo seminario, e cioe' che l'accertamento della verita' nelle assemblee politiche, per un verso, e nei tribunali, per un altro, risponde a tecniche o finalita' che sono diverse da quelle della ricerca, finisce con l'essere un'affermazione assolutamente condivisibile ma molto lontana dall'esperienza politica e anche giornalistica di questi mesi e di queste settimane. * Ma qual e' la ragione per la quale cio' si e' determinato? Vorrei, innanzitutto, citare la pagina introduttiva di una sentenza del Tribunale di Palermo, firmata dal Consigliere Istruttore dott. Antonino Caponnetto nell'ordinanza sentenza nel procedimento penale contro Abbate Giovanni piu' 706, che e' stata depositata l'8 novembre del 1985. In questa premessa c'e' scritto: "All'istruttoria che qui si conclude hanno preso parte, per delega, i giudici istruttori Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello Finuoli, i quali hanno preparato il materiale per la redazione del documento finale. Ad essi va dato atto della dedizione, dello scrupolo, della professionalita' fuori del comune con cui hanno operato in condizioni difficili e in una istruttoria eccezionalmente complessa e laboriosa. Riteniamo inoltre doveroso ricordare che l'istruttoria venne iniziata oltre tre anni fa dal Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che in essa profuse tutto il suo impegno civile a prezzo della sua stessa vita". Dunque la questione, secondo me, ha come punto di partenza il fatto che una istruttoria, cioe' una serie di accertamenti giudiziari estremamente complessi e laboriosi, arriva all'accertamento di alcuni fatti, che vengono presentati al giudice perche' il giudice applichi la regola che ritiene necessario applicare, e che riguardano appunto fenomeni estremamente complessi e laboriosi da accertare. Non era mai accaduto che un'istruttoria cosi' complessa riguardasse l'attivita', per decenni, di una organizzazione criminale radicata nel nostro paese, come era Cosa Nostra. Non era accaduto, e quando cio' era accaduto in un'altra sede di accertamento dei fatti, che era la prima Commissione parlamentare antimafia, i risultati o meglio le responsabilita' di ordine politico, come accadde molti anni dopo con la Commissione presieduta da Violante, non hanno mai trovato spazio di verifica nella sede propria che era la sede politico-parlamentare. Dunque l'accertamento di questi fatti metteva in crisi, per la prima volta, un sistema di impunita' diffusa, e quando parlo di impunita' mi riferisco non all'impunita' sul versante giudiziario ma l'impunita' sul versante politico, sul versante professionale e anche sul versante morale. L'azione di chi, facendo appunto con scrupolo professionale il proprio mestiere, accertava fatti, mettendo a disposizione pubblicamente, come avviene nel processo, le risultanze di questi fatti, senza avere la pretesa che da cio' dovesse nascere l'accertamento di una verita' assoluta e tantomeno una sorta di condanna precostituita, era quindi vista come la rottura di un meccanismo d'impunita' che fino a quel momento aveva largamente dominato. In altri termini, l'accertamento della "verita' giudiziaria" metteva in crisi il grave difetto esistente nell'intero circuito democratico delle responsabilita', perche' chiamava in causa, rispetto a quei fatti in quel modo accertati, la responsabilita' politica, la responsabilita' professionale e la responsabilita' morale. E' dunque la materia trattata in alcune istruttorie che ha dato alla magistratura e all'accertamento giudiziario la qualita' di fonte, anche dal punto di vista storico. Ma, ovviamente, era una fonte strettamente regolata dalla funzione da svolgere. E' evidente che quando un teste racconta un fatto che conosce, il magistrato, inquirente o giudicante che sia, deve arrestarsi di fronte a questo; ma se un teste racconta, invece, una sua motivatissima opinione, una deduzione che nasce dalla sua esperienza, cio' viene affidato alla valutazione dello storico, del politico, ma non certamente del giudice. Tuttavia, se il circuito della responsabilita' tende ad esaurirsi, a prosciugarsi nell'ambito della responsabilita' penale, che e' giustamente caratterizzato da un livello elevato di garanzie, e' del tutto ovvio che si cerchera' di far tacere la voce degli unici soggetti che, in qualche modo, svolgono dentro queste regole la funzione di ricerca della verita' e di fonte di dati, di documenti, di fatti. Ecco perche' bisognava far si' che questi personaggi venissero via via smitizzati, quando si poteva, o apertamente contrastati, e non solo sul versante giudiziario, ma anche su quello politico e giornalistico, sul versante dell'opinione pubblica, affinche' queste responsabilita' non emergessero. * Mi limitero' a fare due esempi, ricordando una pagina nota ed una pagina inedita, quasi aneddotica, tratte dall'esperienza fatta in questi anni. La pagina nota e' quella della sentenza ordinanza, gia' citata, firmata da Antonino Caponnetto, dove viene riportato un documento, il diario del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, con una premessa nella quale si spiega che, in realta', Carlo Alberto Dalla Chiesa era stato catapultato in terra di Sicilia nelle condizioni meno idonee per apparire l'espressione di una effettiva e corale volonta' statale di porre fine al fenomeno mafioso. Si potra' dire che questa e' una valutazione di ordine sociale, di ordine politico, di ordine culturale, ma e' ampiamente documentata, e comunque la condivisione di questo giudizio e' affidata, in un documento pubblico come la sentenza ordinanza, non ad una autorita' ma alla capacita' di comprensione e di valutazione di chi legge. Nel diario di Dalla Chiesa del 6 aprile si legge: "nella giornata di venerdi' e fino ad ora tarda si sono succedute telefonate di rallegramenti e auguri, insomma tantissimi, poi ieri anche l'Onorevole Andreotti mi ha chiesto di andare, e naturalmente date le sue presenze elettorali in Sicilia, che mi sembra siano indubitabili, in quell'epoca specialmente, si e' manifestato per via indiretta interessato al problema. Sono stato molto chiaro e gli ho dato pero' la certezza che non avro' riguardi per quella parte di elettorato alla quale attingono i suoi grandi elettori. Sono convinto che la mancata conoscenza del fenomeno, anche se mi ha voluto ricordare il suo lontano intervento per chiarire la posizione di Messeri a Partinico, lo ha condotto e lo conduce a errori di valutazione di uomini e di circostanze. Il solo fatto di raccontarmi che intorno al fatto Sindona un certo Inzerillo, morto in America, e' giunto in Italia in una bara con un biglietto da dieci dollari in bocca, depone nel senso...". Questa vicenda ci dice che lo stesso generale Dalla Chiesa, probabilmente, non credeva a quel tipo di integrata relazione del senatore Giulio Andreotti con gli ambienti della mafia siciliana, successivamente delineato non nella sentenza, ma nella istruttoria non contraddetta del processo di Palermo e del processo di Perugia. Tuttavia, il fatto che il senatore Andreotti abbia negato di aver mai detto queste cose al generale Dalla Chiesa - che le ha scritte in un diario, tra l'altro dedicato alla moglie morta, che rappresenta quindi il massimo dell'intimita' e che non e' stato certamente scritto nella previsione che potesse essere presentato in un Tribunale - e' negli atti giudiziari. Cosi' come la serie infinita di menzogne che, nel corso delle istruttorie di Palermo e di Perugia, il senatore Andreotti ha inanellato l'una dopo l'altra, tra cui forse quella piu' eclatante riguarda la mancata conoscenza dei cugini Salvo, che non poteva non conoscere. E' assolutamente incredibile che Ignazio Salvo, uno degli uomini economicamente e politicamente piu' potenti della Sicilia, lo ricevesse nel suo albergo, tenendosi venticinque passi indietro perche' non voleva essere presentato al senatore Andreotti, salvo ad avere poi scritto nell'agenda il suo numero di telefono col nome Giulio. Tutto cio' non e' stato smentito neanche dalle recente sentenza delle sezioni unite della Cassazione, che riaccredita il percorso di ricostruzione dell'accertamento dei fatti e anche le conseguenze, in termini di insufficienza di prova per la condanna per il mandato omicidiario nei confronti di Pecorelli, rispetto alla sentenza di appello e alla sentenza di primo grado del processo di Perugia. Qui non parlo della sentenza di secondo grado di Palermo, perche' finche' una sentenza non diventa definitiva non e' bene parlarne [Nel frattempo la sentenza e' divenuta definitiva col pronunciamento della Coprte di Cassazione che ha confermato als entenza d'appello; per un breve commento ed ulteriori indicazioni cfr. l'editoriale nel n. 870 di questo foglio - ndr-], ma la sentenza della Cassazione ha messo il sigillo su una ricostruzione dei fatti che e' stata operata in primo grado dalla Corte di Assise di Perugia. Il brano citato non ha rilievo dal punto di vista delle regole del processo, probatoriamente e' irrilevante, e' un elemento di contorno utilizzato insieme ad altri per ricostruire lo scenario nel quale si trovava ad operare il generale Dalla Chiesa, ma perche' mai non dovrebbe essere una fonte di accertamento di fatti e di responsabilita' politica? Io credo che dovrebbe esserlo, e noi dovremmo essere grati ai magistrati che sono andati a scovarlo quando nessuno lo avrebbe mai fatto. * L'altra vicenda che vorrei ricordare e' tratta dal processo di Perugia per l'omicidio Pecorelli. In questo caso cito il rapporto che due sottufficiali della Direzione Investigativa Antimafia hanno svolto nei confronti del pregiudicato Enrico De Pedis, esponente di spicco della banda della Magliana, autore di decine di omicidi, poi ucciso il 2 febbraio 1990. I due sottufficiali riferiscono nel corso dell'istruttoria che "personale dipendente si e' recato presso l'ufficio anagrafe defunti del Comune di Roma, al fine di verificare quanto riferito da una fonte confidenziale, secondo cui la salma del pregiudicato De Pedis Enrico, detto Renato o Renatino, era stata tumulata all'interno di una basilica del centro di Roma. Effettivamente gli accertamenti esperiti presso il citato ufficio hanno consentito di accertare che il cadavere del De Pedis, dopo essere stato tumulato per circa due mesi presso il cimitero del Verano, e' stato spostato presso la basilica di Sant'Apollinare, sita in Roma nell'omonima piazza al civico 43. Il dottor Jose' Marcus, direttore di promozione e sviluppo dell'Ateneo romano, ha riferito di non essere a conoscenza di recenti sepolture all'interno della cripta della citata basilica, ma si e' dichiarato disponibile ad accompagnarvi personale dipendente. Effettivamente nella cripta di quella basilica e' stata costatata la presenza di un sarcofago in marmo bianco con incisa la scritta 'Enrico De Pedis', la foto dello stesso e sulla sinistra del sarcofago, incastonata in oro e zaffiri, la scritta 'Renato', pseudonimo utilizzato dal De Pedis. Nella cripta in oggetto le altre sepolture risalgono al secolo scorso. Durante il servizio sono state scattate alcune fotografie del sarcofago, che si trasmettono in allegato. Tanto si comunica a codesta autorita' giudiziaria per opportuna notizia". E si allega a questo la lettera che il rettore della basilica di Sant'Apollinare di Roma scrive al Vicario della Santa Sede, che e' il Cardinale Poletti, in cui gli dice: "si attesta che il signore Enrico De Pedis, nato in Roma Trastevere, e' stato un grande benefattore che frequentava la basilica. Ha aiutato tante iniziative di bene che sono state patrocinate in questi tempi, sia di carattere religioso che sociale. Ha dato particolari contributi per aiutare i giovani, interessandosi in particolare per la loro formazione cristiana e umana. In fede. Monsignor Pietro Vergari, rettore della Basilica di Sant'Apollinare in Classe." Risponde il Cardinale Poletti: "si dichiara che da parte del Vicariato nulla osta, per quanto e' di sua competenza alla tumulazione della salma di Enrico De Pedis, deceduto il 2-2-1990, in una delle camere mortuarie site nei sotterranei della basilica di Sant'Apollinare in Classe. Cardinale Poletti, Vicario generale." Anche in questo caso il problema non e' quello della rilevanza penale di questi fatti. Ma e' lecito domandarsi: che considerazione c'era nel 1990 per un personaggio di tal fatta, noto per essere un assassino e ucciso in un conflitto a fuoco tra membri della banda della Magliana, per potere ottenere un risultato di questo genere? E' una vicenda grave in quanto rappresentativa di un certo tipo di relazioni ambientali. * Dunque, in questi anni, una parte della magistratura, forse una parte minoritaria della magistratura, ha messo a disposizione dell'opinione pubblica e, quindi, degli uomini politici, degli storici, degli intellettuali, la conoscenza di una serie di fatti accertati, tanto piu' garantiti in quanto accertati secondo regole rigorose. Perche' mai tutto cio' non ha attivato tutte quelle conseguenze che avrebbe potuto produrre nel circuito delle responsabilita', che in un ordinamento democratico non si puo' certamente esaurire nella responsabilita' penale? E' la reazione del ceto politico ad averlo impedito. Una reazione talvolta trasversale, di volta in volta accentuata a seconda delle circostanze, che non dipendeva, cioe', dalle diverse maggioranze di governo, ma dai rischi e dai pericoli che si determinavano quando l'accertamento della verita' giudiziaria incideva sull'accertamento di una verita' storica, quando i fatti accertati avrebbero potuto attivare quel circuito di responsabilita' politica e morale che si e' voluto mantenere assolutamente lontano, estraneo rispetto all'opinione pubblica. Per queste ragioni tutti questi atti, documenti, fatti accertati devono essere messi a disposizione della gente, affinche' possa individuare le responsabilita' politiche, sociali e morali, indipendentemente dall'esito dei processi penali. Questo e' cio' che ci compete fare, questo e' cio' che dobbiamo fare con la massima diffusione possibile, perche' credo che sia il modo migliore per accompagnare e sollecitare, anche in memoria di alcuni che sono stati qui ricordati, il lavoro dei magistrati capaci e onesti, che non sono moltissimi e proprio per questa ragione vanno scrupolosamente custoditi. 3. DOCUMENTI. MOHANDAS K. GANDHI: SARVODAYA. UN'ECONOMIA A SERVIZIO DEGLI ULTIMI (1908). PARTE SECONDA E CONCLUSIVA [Da "Quaderni satyagraha" n. 6 del dicembre 2004, volume monografico sul tema La gioia della poverta' conviviale, riprendiamo questo testo del 1908 in cui Gandhi riassume l'opera di Ruskin, Unto This Last, che molto influi' su di lui. Nel saggio di presentazione del volume, il direttore dei Quaderni, Rocco Altieri, scrive: "In questo quaderno, la poverta' viene indagata non soltanto in quanto dimensione etica e religiosa fondamentale, ma anche in quanto categoria sociologica utile a una critica dei miti della modernita', facendo ricorso a quei 'pensatori radicali' che piu' di altri hanno posto, al centro del loro interesse, 'gli ultimi' tra gli uomini. John Ruskin e' stato il primo pensatore sociale, nell'Inghilterra vittoriana dell'Ottocento, ad accusare l'economia politica di essere una scienza ingannevole, a dismal science, in quanto si e' estraniata da ogni considerazione etica. Il suo libro Unto this Last ispiro' profondamente Gandhi e il suo programma per l'indipendenza indiana: il movimento Sarvodaya, che significa 'agire per il bene di tutti, nessuno escluso'. Gandhi, quando era ancora in Sudafrica, entusiasmatosi alla lettura di Ruskin, ne appronto' un compendio in gujarati che pubblico' a puntate, durante il 1908, sul settimanale 'Indian Opinion'. Sulla versione inglese e' stata condotta la traduzione di questo scritto fondamentale, che ora viene offerto, per la prima volta in italiano, alla riflessione dei lettori dei 'Quaderni Satyagraha'". La traduzione dall'inglese e' di Shanti Hagen. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem. Per abbonarsi ai "Quaderni Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale 30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"] Esaminiamo, allora, quali sono le leggi della giustizia che riguardano la retribuzione del lavoro. Come affermato precedentemente, un giusto salario per un lavoratore sarebbe quello che gli assicuri lo stesso lavoro, quando ne ha bisogno, poiche' lo ha fatto per noi oggi. Se gli diamo una paga minore egli sara' sottopagato, se gli diamo di piu', sovra-pagato. Supponete un uomo voglia impiegare un operaio. Due persone offrono i loro servizi. Se viene preso quello che accetta una paga piu' bassa, egli sara' sottopagato. Se c'e' un gran numero di datori di lavoro e un solo operaio, questo otterra' le proprie condizioni e molto probabilmente sara' pagato in eccesso. Il giusto salario si trova fra queste due posizioni. Se qualcuno mi prestasse del denaro, che dovrei ripagare dopo un certo tempo, gli dovrei pagare degli interessi. Similmente, se qualcuno mi offrisse il suo lavoro oggi, devo dare indietro un'identica quantita' di lavoro e qualcosa in piu' come interesse. Se qualcuno mi da' un'ora di lavoro oggi, devo promettergli di dare in cambio un'ora e cinque minuti o piu'. Questo e' vero per tutti i lavoratori. Se, ora, dei due uomini che mi offrono i loro servizi, impiegassi colui che accetta la paga piu' bassa, il risultato sarebbe che questi sarebbe affamato a meta' e l'altro sarebbe disoccupato. Anche al contrario, se io pagassi salari interi all'operaio che assumo, l'altro uomo sarebbe disoccupato. Ma il primo non farebbe la fame, e avrei fatto un uso giusto dei miei soldi. Ci si trova a morire di fame veramente quando i salari dovuti non vengono pagati. Se pagassi i salari dovuti, il surplus di ricchezza non si accumulerebbe nelle mie mani. Non dovrei buttar via soldi in cose di lusso ed accrescere la poverta'. L'operaio che pago equamente imparera' a pagare equamente gli altri. Cosi' il fiume della giustizia non si prosciughera'; anzi, aumentera' di velocita' nello scorrere. E la nazione che ha tale senso di giustizia crescera' felicemente e prosperera' nella giusta direzione. Secondo questa linea di ragionamento, gli economisti si sbagliano. Essi sostengono che maggiore competizione voglia dire crescente prosperita' per la nazione. Di fatto questo non e' vero. La competizione e' voluta perche' riduce l'ammontare dei salari. In questo modo il ricco diventa piu' ricco e il povero piu' povero. Verosimilmente tale competizione rovinera' la nazione nel lungo periodo. La corretta legge della domanda e dell'offerta dovrebbe assicurare all'operaio il pagamento di un salario equo rispetto al suo merito. Anche questo significhera' competizione, ma il risultato sara' che le persone saranno felici e capaci, poiche', invece di essere costretti ad offrire servigi a prezzi minori rispetto agli altri, essi dovranno acquisire nuove abilita' per assicurarsi un impiego. E' per questa ragione che gli uomini sono attratti dai servizi governativi. Li' i salari vengono fissati a seconda della graduatoria dei posti. La competizione riguarda soltanto l'abilita'. Un candidato non offre di accettare un salario minore, ma dichiara di essere piu' capace degli altri. Lo stesso vale per l'esercito e la marina, ed ecco perche' vi e' molta meno corruzione in questi impieghi. Ma solo negli scambi e nel commercio c'e' cattiva competizione, il cui risultato e' che sono aumentate le pratiche corrotte, quali la frode, i raggiri, i furti. Inoltre, vengono prodotti beni di bassa qualita'. Il produttore vuole la parte piu' grande del prezzo per se stesso, che l'operaio getti polvere negli occhi degli altri e il consumatore sfrutti la situazione a proprio vantaggio. Questo avvelena tutti i rapporti umani, c'e' fame tutto intorno, gli scioperi si moltiplicano, i produttori diventano dei farabutti e i consumatori non hanno riguardo per le considerazioni etiche. Una ingiustizia conduce a molte altre, e alla fine il datore di lavoro, il lavoratore e il cliente sono tutti insoddisfatti e si imbattono nella rovina. Un popolo in cui prevalgono queste pratiche corrotte alla fine giunge all'angoscia. La sua grande ricchezza agisce come un veleno. Questo e' il motivo per cui uomini saggi hanno sostenuto che dove Mammona e' dio, nessuno celebra il vero Dio. La ricchezza non puo' conciliarsi con Dio. Dio vive solo nelle case dei poveri. Questo e' cio' che gli inglesi professano, ma nella pratica mettono la ricchezza sopra ogni altra cosa, stimano la prosperita' della nazione dal numero dei suoi ricchi, e i loro economisti formulano precetti per tutti per arricchirsi velocemente. La vera economia e' l'economia della giustizia. Sara' felice solo la gente che imparera' ad operare con giustizia e ad essere giusti in qualunque condizione di vita. Tutto il resto e' vano. Insegnare alla gente ad arricchirsi ad ogni costo e' dare loro una cattiva lezione. * Che cosa e' giusto? Abbiamo visto nei tre capitoli precedenti che i principi economici generalmente accettati non sono validi. Se si agisce secondo questi principi, essi renderanno gli individui e le nazioni infelici. Il povero diventera' piu' povero e il ricco piu' ricco; nessuno dei due sara' piu' felice per questo. Gli economisti non prendono in considerazione la condotta degli uomini, ma stimano la prosperita' dall'ammontare della ricchezza accumulata e cosi' concludono che la felicita' delle nazioni dipende soltanto dalla loro ricchezza. Cosi' appoggiano la crescente accumulazione di ricchezza attraverso il sempre maggiore lavoro nelle fabbriche. In Inghilterra e altrove le fabbriche si sono moltiplicate a causa della diffusione di queste idee. Molti uomini lasciano le loro fattorie e si concentrano nelle citta'. Abbandonano l'aria pura e fresca delle campagne e si sentono felici respirando l'aria sporca delle fabbriche. Come risultato, la nazione si indebolisce, ed aumentano l'avarizia e l'immoralita', e se qualcuno suggerisce misure per sradicare il vizio, i cosiddetti saggi sostengono che il vizio non puo' essere eliminato, che l'ignorante non puo' essere istruito tutto in una volta e che e' meglio lasciare stare. Nell'avanzare questa argomentazione, dimenticano che sono i ricchi ad essere responsabili per l'immoralita' dei poveri. I poveri lavoratori faticano come schiavi per loro, giorno e notte, affinche' essi possano essere riforniti dei loro oggetti di lusso. Non hanno un momento per se', per l'auto-miglioramento. Pensando ai ricchi, anche loro vogliono diventare ricchi. Quando non vi riescono, si arrabbiano e diventano pieni di risentimento. Allora, nella loro rabbia, dimenticano se stessi e, avendo fallito nell'accumulare ricchezza con mezzi onesti, passano dalla disperazione all'inganno. Sia la ricchezza che il lavoro sono allora sprecati, poiche' vengono utilizzati per promuovere la frode. Il lavoro, nel vero senso della parola, e' quello che produce articoli utili. Gli articoli utili sono quelli che supportano la vita umana. Supportare la vita umana vuol dire provvedere a cibo, abiti, ecc., in modo da dare la possibilita' agli uomini di vivere una vita morale e agire correttamente durante la loro vita. Per questo scopo, le imprese industriali di larga scala appariranno essere inutili. Cercare di acquisire ricchezza stabilendo grandi fabbriche portera' molto probabilmente al peccato. Molte persone ammassano ricchezze, ma solo poche ne fanno buon uso. Se il fare soldi conduce una nazione verso la sua distruzione, quel denaro e' inutile. Al contrario, i capitalisti di oggi sono responsabili di diffuse e ingiuste guerre. La maggior parte delle guerre del nostro tempo sorgono dall'avidita' di denaro. Sentiamo gente dire che e' impossibile insegnare ad altri il modo di migliorarsi, e il corso migliore sarebbe vivere cosi' come si puo' e accumulare ricchezza. Quelli che sostengono questi modi di vedere mostrano poca considerazione per i principi etici. Poiche' la persona che da' valore ai principi etici e non cede all'avarizia ha una mente disciplinata; egli non si allontana dalla retta via ed influenza altri semplicemente con il suo esempio. Se gli individui che costituiscono una nazione non osservano i principi morali, come puo' la nazione diventare morale? Se ci comportiamo come vogliamo e poi puntiamo il dito su un vicino che sbaglia, come possono essere buone le conseguenze delle nostre azioni? Vediamo cosi' che il denaro non e' altro che un mezzo che puo' favorire la felicita' o la miseria. Nelle mani di un uomo giusto, puo' essere usato per coltivare la terra e far crescere i raccolti. I coltivatori troverebbero soddisfazione nel lavoro semplice e la nazione sarebbe felice. Nelle mani di uomini malvagi, esso e' usato per la produzione, ad esempio, di armi e porteranno la gente alla totale rovina. Di conseguenza soffrono sia coloro che producono le armi sia coloro che ne sono vittime. Vediamo, quindi, che non c'e' altra ricchezza se non la vita. La nazione ricca e' quella onesta. Questo non e' il tempo per la mollezza. Ognuno deve lavorare secondo la propria abilita'. Come abbiamo visto precedentemente negli esempi, se un uomo e' inattivo, un altro deve lavorare il doppio. Questo e' alle radici dell'inedia prevalente in Inghilterra. Ci sono uomini che fanno poco lavoro utile essi stessi a causa della ricchezza che hanno accumulato nelle loro mani, e cosi' costringono altri a lavorare per loro. Questo tipo di lavoro, essendo improduttivo, non e' vantaggioso per i lavoratori. Di conseguenza, il reddito nazionale risente di una diminuzione. Sebbene tutti gli uomini sembrino avere un impiego, troviamo, ad un esame piu' dettagliato, che un gran numero e' disoccupato per forza. In piu', sorge l'invidia, il malcontento mette radici e, alla fine, il ricco e il povero, il datore di lavoro e il lavoratore violano i confini della decenza nelle loro relazioni reciproche. Come il gatto e il topo sono sempre in disaccordo l'un con l'altro, cosi' il ricco e il povero, il datore di lavoro e il lavoratore diventano ostili l'uno all'altro, e l'uomo, cessando di essere uomo, e' ridotto al livello delle bestie. * Conclusione Il nostro compendio dell'importante libro di Ruskin e' ora concluso. Sebbene qualcuno puo' essersi annoiato, suggeriamo a coloro che hanno letto gli articoli una volta, di leggerli di nuovo. Sarebbe troppo aspettarsi che tutti i lettori di "Indian Opinion" meditino su di essi e agiscano di conseguenza. Ma anche se solo alcuni lettori facessero uno studio attento del sommario e afferrassero l'idea centrale, dovremmo ritenere il nostro lavoro ampiamente ricompensato. Anche se cio' non accadesse, la ricompensa del lavoro, come Ruskin dice nell'ultimo capitolo, consiste nell'aver fatto il proprio dovere e questo deve soddisfarci. Quello che Ruskin ha scritto per i suoi connazionali, gli inglesi, e' mille volte piu' applicabile agli indiani. Nuove idee si stanno diffondendo in India. L'avvento di un nuovo spirito fra i giovani che hanno ricevuto un'educazione occidentale e' sicuramente da accogliere. Ma il risultato sara' benefico solo se quello spirito sara' canalizzato propriamente; se non lo sara', e' destinato ad essere dannoso. Da un lato sentiamo la richiesta per l'auto-governo (swarajya); dall'altro, per la veloce accumulazione di ricchezza, avviando fabbriche come quelle in Gran Bretagna. La nostra gente capisce appena cosa sia lo swarajya. Il Natal gode dello swarajya, ma se dovessimo imitare il Natal, lo swarajya non sarebbe meglio dell'inferno. I bianchi del Natal tiranneggiano i Kaffir, cacciano gli indiani, e nella loro cecita' danno libero sfogo al loro egoismo. Se, per caso, i Kaffir e gli indiani dovessero lasciare il Natal, essi distruggerebbero loro stessi in una guerra civile. Dovremmo noi, quindi, agognare il tipo di swarajya che si ottiene nel Transvaal? Il generale Smuts e' una delle loro figure leader. Egli non mantiene alcuna promessa, orale o scritta. Dice una cosa e ne fa un'altra. Gli inglesi ne sono disgustati. Fingendo di rendere efficace l'economia, ha deprivato i soldati inglesi dei loro mezzi di sussistenza e li ha rimpiazzati con gli olandesi. Non crediamo che nel lungo periodo questo rendera' felici gli olandesi. Coloro che servono solo i loro interessi saranno pronti a derubare la propria gente dopo aver finito di derubare gli altri. Se osserviamo gli avvenimenti di tutto il mondo, dovremo essere capaci di vedere che cio' che la gente chiama swarajya non e' abbastanza per assicurare la prosperita' e la felicita' della nazione. Possiamo percepire questo attraverso un semplice esempio. Tutti noi possiamo visualizzare cio' che accadrebbe se una banda di ladri godesse dello swarajya. Nel lungo periodo sarebbero felici solo se non fossero sottoposti al controllo di uomini che non fossero loro stessi ladri. L'America, la Francia e l'Inghilterra sono grandi Stati. Ma non c'e' ragione di pensare che siano veramente felici. Il vero swarajya consiste nel dominio di se'. Il solo capace di questo e' colui che conduce una vita onesta, che non inganna nessuno, che non nasconde la verita' e compie il suo dovere nei confronti dei suoi genitori, di sua moglie, dei suoi figli, dei suoi domestici e dei vicini. Tale uomo godra' dello swarajya ovunque gli capitera' di vivere. Una nazione che ha molti uomini cosi', gode sempre dello swarajya. Normalmente e' sbagliato che una nazione domini su di un'altra. Gli inglesi che governano in India sono un male, ma non dobbiamo credere che ne deriverebbe grande vantaggio per gli indiani se gli inglesi dovessero lasciare l'India. La ragione per cui ci dominano e' da ricercare in noi stessi; quella ragione e' la nostra disunione, la nostra immoralita' e la nostra ignoranza. Se queste tre cose scomparissero, non solo gli inglesi lascerebbero l'India, ma godremmo di un vero swrajya. Molta gente esulta all'esplosione di bombe. Questo mostra soltanto ignoranza e mancanza di comprensione. Se tutti gli inglesi venissero uccisi, coloro che li uccidono diventerebbero i signori dell'India, e come risultato l'India continuerebbe ad essere in uno stato di schiavitu'. Le bombe, con cui gli inglesi verrebbero uccisi, cadranno sull'India dopo che gli inglesi saranno partiti. L'uomo che ha ucciso il presidente della Repubblica Francese era lui stesso un francese e l'assassino del presidente dell'America, Cleveland (17), era un americano. Dobbiamo stare attenti, quindi, a non essere frettolosi e sconsiderati nell'imitare la gente dell'Occidente. Proprio come non possiamo realizzare il vero swarajya seguendo il sentiero del male - cioe', uccidendo gli inglesi - allo stesso modo non sara' possibile per noi realizzarlo stabilendo grandi fabbriche in India. L'accumulazione di oro e argento non portera' allo swarajya. Questo e' stato dimostrato in modo convincente da Ruskin. Si ricordi che la civilta' occidentale ha solo cento anni, o per essere piu' precisi, cinquanta. In questo breve periodo la gente occidentale sembra essere stata ridotta in uno stato di anarchia culturale. Preghiamo che l'India non venga mai ridotta allo stesso stato dell'Europa. Le nazioni occidentali sono impazienti di gettarsi l'una sull'altra, e sono fermate solo dall'accumulazione di armamenti tutt'intorno. Quando la situazione si infiammera', saremo testimoni dello sprigionarsi di un autentico inferno in Europa. Tutte le nazioni bianche guardano alle razze nere come loro legittime prede. Questo e' inevitabile quando il denaro e' l'unica cosa che conta. Ovunque trovino un territorio, si avventano su di esso come corvi su una carogna. Ci sono ragioni per suggerire che questo e' il risultato delle loro grandi imprese industriali. Per concludere, la richiesta di swarajya e' la richiesta di ogni indiano, ed e' una richiesta giusta. Ma lo swarajya deve essere realizzato attraverso mezzi giusti. Deve essere vero swarajya. Non puo' essere raggiunto con metodi violenti o con l'installazione di fabbriche. Dobbiamo avere industrie, ma del tipo giusto. L'India una volta era vista come una terra d'oro, perche' gli indiani allora erano gente di autentico valore. La terra e' ancora la stessa, ma la gente e' cambiata ed ecco perche' e' diventata arida. Per trasformarla di nuovo in una terra dorata dobbiamo trasmutare noi stessi in oro conducendo una vita di virta'. La pietra filosofale che puo' determinare questo consiste di due sillabe: satya. Se, quindi, ogni indiano si impegna a seguire la verita', sempre, l'India realizzera' lo swarajya come un fatto naturale. Questa e' la sostanza del libro di Ruskin. * Note 1. Il riferimento e' alla massima di Bentham: "the greatest good of the greatest number". Gandhi vi si oppose su un terreno morale. Anche Ruskin critico' la costruzione di una "scienza" dell'economia su un modello newtoniano da cui sono stati completamente espunti i "sentimenti sociali". Ruskin sostiene che la piu' grande arte o scienza sia quella che sviluppa "il piu' grande numero delle idee migliori". 2. John Ruskin (1819-1900) scozzese e autore di molti libri sull'architettura, la pittura, i problemi sociali e industriali ecc.; docente di Arte a Oxford per un certo tempo, piu' tardi divento' un fermo oppositore della vivisezione e dell'usura, interessato all'educazione dei lavoratori e a promuovere cooperative di artigiani. 3. Qui Gandhi si riferisce a Unto this last, che raccoglie una serie di quattro articoli usciti in precedenza su "Cornhill Magazine". 4. Cfr. la parabola dei vignaioli in Matteo, XX, 14: "I will give unto this last, even as unto thee". 5. Corrisponde al capitolo "Roots of Honour" in A quest'ultimo [Unto This Last]. 6. Il testo in gujarati ha "common interest". 7. Cfr. Matteo, X, 39. 8. Pegni di lavoro vincolato in cambio del rifornimento dei bisogni correnti del debitore. 9. "Repubblica", nel testo originale di Ruskin, A quest'ultimo [Unto This Last]. 10. Attrezzi agricoli, semi, ecc. 11. Il frumento e le attrezzature agricole trattenuti dall'intermediario. 12. Questo corrisponde al capitolo di Ruskin "Qui iudicatis terram". "Voi che siete giudici della terra, [amate la giustizia]". 13. Salomone (993-953 a. C.) era considerato ai tempi di Ruskin l'autore del libro dei Proverbi dell'Antico Testamento. 14. Cfr. Proverbi 21: 6 e 10: 2. 15. In gujarati c'e' "Khuda". 16. Cfr. Proverbi 22: 2 "Il ricco e il povero si sono incontrati: Dio e' il loro creatore" e Proverbi 29: 13 "Il povero e il disonesto si sono incontrati: il Signore illumina gli occhi di entrambi". Ruskin stesso usa la Vulgata. 17. Il presidente Cleveland in realta' mori' di morte naturale. Gandhi puo' averlo confuso con Lincoln. (Parte seconda. Fine) 4. POESIA E VERITA'. ALEJANDRA PIZARNIK: SEGNI [Da AA. VV., L'altro sguardo. Antologia delle poetesse del Novecento, Mondadori, Milano 1996, 1999, p. 348. Alejandra Pizarnik, nata a Buenos Aires nel 1939, visse a lungo anche a Parigi, poetessa, saggista, pittrice, traduttrice, si tolse la vita nel 1972] E ancora oso amare il suono della luce in un'ora morta, il colore del tempo su un muro abbandonato. Ho perso tutto nello sguardo. Cosi' lontano il chiedere. Cosi' vicino sapere che manca. 5. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 6. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 875 del 21 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
- Prev by Date: La domenica della nonviolenza. 13
- Next by Date: La nonviolenza e' in cammino. 876
- Previous by thread: La domenica della nonviolenza. 13
- Next by thread: La nonviolenza e' in cammino. 876
- Indice: