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La domenica della nonviolenza. 13
- Subject: La domenica della nonviolenza. 13
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 20 Mar 2005 16:31:16 +0100
============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 13 del 20 marzo 2005 In questo numero: 1. Francesco Pistolato intervista Werner Wintersteiner sull'educazione alla pace 2. Rocco Altieri: Presentazione di "Satyagraha in Sudafrica" di Mohandas K. Gandhi 3. Eleonora Chiti: Mary Wollstonecraft 1. FORMAZIONE. FRANCESCO PISTOLATO INTERVISTA WERNER WINTERSTEINER SULL'EDUCAZIONE ALLA PACE [Ringraziamo di cuore Francesco Pistolato (per contatti: fpistolato at yahoo.it) per averci messo a disposizione questo colloquio. Francesco Pistolato, studioso, docente, lavora all'Universita' di Udine; e' tra i promotori di un programma di cultura di pace all'interno delle universita' e delle scuole della macroregione Alpe Adria, comprendente il Friuli-Venezia Giulia, la Carinzia e la Slovenia; e' altresi' impegnato nell'Associazione Biblioteca Austriaca di Udine, che ha tra l'altro realizzato una mostra fotografica itinerante sulla Resistenza, gia' esposta in vari luoghi, tra cui la Risiera di S. Sabba di Trieste, e che e a fine 2005 andra' nella Gedenkstaette des Deutschen Widerstands di Berlino, ed e' visitabile in rete nel sito: www.abaudine.org/virtunascosta/virtu.htm. Werner Wintersteiner e' nato nel 1951 a Vienna e insegna Didattica del tedesco all'Universita' di Klagenfurt. Da venti anni si occupa di Educazione alla Pace. Promotore di molteplici iniziative in questo campo, membro di comitati internazionali, fondatore dell'Eured (1) e promotore del Centro per le ricerche sulla pace e l'educazione alla pace, di cui si parla in questa intervista, ha curato l'edizione di varie riviste e pubblicato circa 150 contributi sull'educazione alla pace. Qui ci limitiamo a citare le sue monografie: Paedagogik des Anderen. Bausteine fuer eine Friedenspaedagogik in der Postmoderne. Muenster: Agenda 1999; "Haetten wir das Wort, wir braeuchten die Waffen nicht". Erziehung fuer eine "Kultur des Friedens". Innsbruck-Wien-Muenchen: Studien Verlag 2001; Poetik der Verschiedenheit. Literatur, Bildung, Globalisierung. Klagenfurt: Drava 2005 (in corso di stampa); Transkulturelle literarische Bildung. Die "Poetik der Verschiedenheit" in der literaturdidaktischen Praxis. Innsbruck: Studien Verlag 2005 (in corso di stampa)] - Francesco Pistolato: Da venti anni ti occupi di educazione alla pace. Come si e' evoluta questa disciplina in questo arco di tempo, soprattutto nel mondo di lingua tedesca? - Werner Wintersteiner: L'educazione alla pace come attivita' pedagogica non si e' mai sviluppata in modo autonomo, ma sempre in correlazione con momenti difficili e con l'attivarsi dei movimenti per la pace. All'inizio del Novecento il movimento pacifista, e nel suo ambito in particolare Bertha von Suttner, ha tra le varie cose anche gettato le basi per l'educazione alla pace, la quale si e' poi sviluppata successivamente dopo la prima guerra mondiale, ad esempio con Maria Montessori. Venti anni fa e' successa la stessa cosa: l'impulso e' arrivato dal movimento per la pace degli anni Ottanta. L'educazione alla pace nel secondo dopoguerra puo' essere suddivisa, soprattutto per quanto riguarda l'Austria e la Germania, dapprima in una fase che inizialmente veniva chiamata "educazione internazionale", laddove questo tipo di educazione era compito dei governi. Negli ultimi trent'anni quello che e' cambiato e' stato il modello di riferimento; in altri termini si e' cominciato a pensare che la pace fosse una cosa troppo importante perche' la si potesse lasciare nelle mani dei politici. Una parte del movimento per la pace era composta da educatori di vario genere, o era gia' educazione in se', come indicava il titolo di un libro allora famoso: Lernen in der Friedensbewegung (Imparare all'interno del movimento per la pace), di Lutz van Dick, tedesco, che poi sarebbe divenuto direttore del Museo Anna Frank di Amsterdam. In ogni caso gli studi di pace, e all'interno di questi l'educazione alla pace, sono nati dal movimento, o quantomeno, si sono sviluppati col sostegno del movimento; per alcuni, studi e movimento sono quasi la stessa cosa. Io non la vedo pero' in questo modo, ritengo debba esserci un'autonomia delle ricerche sulla pace dal movimento per la pace, e anche un ruolo autonomo dell'educazione alla pace, la quale rischia sempre di trovarsi in mezzo, tra movimento e ricerca, e di non venir presa troppo sul serio, avendo essa da una parte a che fare "solo" con bambini e ragazzi, e dall'altra di essere considerata "troppo politica", e non sufficientemente scientifica. L'educazione alla pace non puo' uscire da questa morsa limitandosi a respingere queste critiche; essa deve trovare un proprio ruolo, e di questo si e' discusso e si continua a discutere. * - Francesco Pistolato: Tutto questo e' nato negli anni Ottanta? - Werner Wintersteiner: No, anche prima, con la creazione delle scuole partner dell'Unesco, e dopo, con il movimento post '68 che ha visto lo sviluppo di una ricerca "critica" (politica) per la pace, e anche di una "educazione critica" per la pace (vedi: Kritische Friedenserziehung, famoso testo del pedagogo berlinese Christoph Wulf). E' vero tuttavia che molte cose sono nate negli anni Ottanta. Quel periodo fu davvero particolare: il ministero austriaco costitui' addirittura un gruppo di lavoro sulla pace, composto di insegnanti esonerati dalle lezioni, con l'incarico di preparare dei materiali ad hoc. Una parte di questi insegnanti si e' poi specializzata nell'educazione alla pace; d'altro canto pero' il numero dei docenti impegnati su questo fronte si e' ridotto, e altrettanto l'interesse generale della societa'. A quella fase risale la costituzione del Peace Center Burg Schlaining (2) ed e' interessante il fatto che il centro sia stato denominato "Istituto per le ricerche sulla pace e l'educazione alla pace", e poi il termine "Educazione alla pace" sia sparito, come anche dalla denominazione di altre istituzioni. Al di la' di questo, pero', sono successe molte cose positive: sono state istituite e sviluppate l'educazione interculturale, l'educazione ambientale, e piu' recentemente la cosiddetta "educazione globale". Tutti questi per me sono ambiti dell'educazione alla pace, o quanto meno ambiti trasversali ad essa. * - Francesco Pistolato: Tu hai fondato diverse istituzioni. Puoi parlarci brevemente delle ultime due, l'Eured e il Centro per le ricerche sulla pace e l'educazione alla pace (Zentrum Friedensforschung und Friedenspaedagogik) dell'Universita' di Klagenfurt? - Werner Wintersteiner: L'Eured e' sorto per la necessita' di incentivare l'educazione alla pace non solo a livello dell'Austria, ma anche europeo, considerato che l'Europa si autodefinisce "potenza di pace", ma fa piuttosto poco per promuovere la cultura di pace e l'educazione alla pace, a parte le notevoli iniziative del Consiglio d'Europa, che pero' diventano sempre meno, e sono sempre meno finanziate. Ma il Consiglio d'Europa e' cosa diversa dall'Unione Europea, che in questo ambito fa davvero troppo poco. Siamo partiti quindi con un progetto di ricerca su quello che nel campo dell'educazione alla pace c'era gia' in Europa. Abbiamo cosi' potuto pubblicare Peace Education in Europe (3), e al contempo ideato un corso a livello europeo, suddiviso in cinque seminari a distanza di sei mesi l'uno dall'altro, ritenendo che solo mettendo insieme le diverse esperienze sociali, politiche e culturali europee potesse sorgere un nuovo contesto. L'Unione Europea pero' non prevede, tra i suoi programmi, la possibilita' di finanziare un corso cosi' strutturato. Ci siamo allora guardati intorno, e alla fine l'Unesco ci ha dato la sua benedizione, per il tramite della sua Commissione austriaca. Finanziamenti pero' non ce ne sono stati dati (solo in alcuni paesi, come in Austria, l'Unesco paga i corsisti) a parte qualche borsa di studio per i partecipanti dell'Europa dell'est, e prevalentemente solo per il primo dei cinque seminari previsti. Per gli altri iscritti il corso e' a loro spese. Naturalmente questo ha fatto si' che molti venissero automaticamente esclusi, ma non c'era altra via per fare in modo che il corso partisse. L'Universita' di Klagenfurt ha poi deciso di riconoscere questo corso come proprio, anche se ha luogo in cinque sedi europee diverse da Klagenfurt. Questo ha contribuito a far si' che nascesse all'interno dell'universita' un centro di coordinamento degli studi di pace, che con il tempo speriamo possa diventare una delle specifiche dell'ateneo. Siamo solo all'inizio, ma quanto meno c'e' una persona all'interno dell'universita' che adesso ufficialmente si occupa di questo. Il progetto prevede sostanzialmente tre cose: 1) che si organizzino programmi di ricerca sulla pace all'interno dell'ateneo; 2) che ci si metta in rete con altre universita' per progetti comuni di ricerca e corsi sulla pace; 3) che si curi la formazione degli insegnanti in materia di educazione alla pace. Le prime reazioni sono molto positive. L'anno scorso all'interno della formazione degli insegnanti abbiamo tenuto un progetto di studi interdisciplinari sulla pace, che ha funzionato molto bene, e sul quale pubblicheremo un libro, che parlera' anche del ruolo dell'universita' sia nella formazione degli insegnanti, che nell'educazione alla pace. * - Francesco Pistolato: Che differenza vedi negli studi di pace tra il mondo di lingua tedesca e l'Italia? - Werner Wintersteiner: Non sono in grado di dire molto. Sono in contatto con educatori e movimenti di pace da circa venti anni, ma meno in contatto con ricercatori della pace. Ho notato che all'inizio i sindacati si sono impegnati molto per l'educazione alla pace, molto piu' che in Austria. Per esempio, la Cgil friulana ha dedicato anni fa un numero speciale della propria rivista all'educazione alla pace. La seconda cosa che mi ha colpito, ma puo' essere un fatto molto soggettivo, e' l'attenzione sull'individuo come soggetto autonomo. Mi riferisco qui all'approccio del Centro psicopedagogico di Piacenza (4). In ambito di lingua tedesca, per esempio, l'educazione alla pace e' parte dell'educazione politica. In Italia mi sembra che la pace sia concepita piuttosto come una questione di trasformazione dell'individuo. Credo che il giusto sia nel mezzo. Certo con un ragazzo che non ha interesse per la politica l'approccio migliore e' individuale, ma l'aspetto politico e' comunque importante, perche' il problema non e' solo a livello personale, ma riguarda anche cio' che Galtung chiama "violenza strutturale", cioe' violenza del sistema politico, o anche cio' che che Krippendorf ravvisa nella politica estera, cioe' uno stato di anarchia, la legge della giungla. Il mio concetto di educazione alla pace tende a fondere l'aspetto psico-sociale dell'educazione, con quello dell'educazione politica. * - Francesco Pistolato: Cosa si puo' fare, affinche' questi due mondi dell'educazione alla pace, l'italiano e quello di lingua tedesca, possano avvicinarsi reciprocamente e conoscersi meglio? - Werner Wintersteiner: Un problema e' naturalmente la lingua. Sia l'Italia che la Germania sono sufficientemente grandi per sentirsi autorizzati a pubblicare nella propria lingua, mentre ad esempio in Scandinavia pubblicano tutti direttamente in inglese, e cosi' i loro testi - non solo quelli sulla pace - circolano a livello internazionale. Credo che il mondo italiano e quello di lingua tedesca siano destinati a conoscersi attraverso una terza lingua, naturalmente l'inglese, anche se l'idea in se' non mi appassiona particolarmente. Nell'ambito dell'Alpe Adria e del Sud-Tirolo, dove i due popoli storicamente si sono sempre incontrati, e' di solito possibile comunicare con le nostre lingue, l'italiano e il tedesco. Confido nella nostra iniziativa a livello universitario (5). In passato ho poi invitato piu' volte in Austria esperti italiani, per esempio Roberto Mazzini, con il suo Teatro dell'Oppresso. Il teatro funziona anche con una conoscenza della lingua scarsa, con i gesti, con il linguaggio del corpo. Anche questa e' una possibilita', invitarsi reciprocamente e cooperare nell'ambito scientifico. Infine mi farebbe piacere se anche gli italiani facessero la conoscenza del nuovo "Journal for Peace Education" (6), dove potrebbero anche fornire loro contributi e recensire loro libri. * Note 1. www.aspr.ac.at/eured.htm 2. www.aspr.ac.at/ 3. Dati e indice in: www.aspr.ac.at/eured/PeaceEdinEurope.pdf 4. www.cppp.it/ 5. Alcune informazioni in: www.abaudine.org/ - Cultura ed estetica della pace. Segnaliamo anche il convegno "Per un'idea di pace" che avra' luogo a Udine dal 13 al 16 aprile 2005. 6. www.tandf.co.uk/journals/offer/pec_info.asp 2. LIBRI. ROCCO ALTIERI: PRESENTAZIONE DI "SATYAGRAHA IN SUDAFRICA" DI MOHANDAS K. GANDHI [Ringraziamo di cuore Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per averci messo a disposizione come anticipazione la sua presentazione alla prima edizione italiana, di imminente publicazione, del primo libro di Gandhi, Satyagraha in Sudafrica, edito dal Centro Gandhi di Pisa in collaborazione con la benemerita Lef, la Libreria Editrice Fiorentina di milaniana memoria. Il libro puo' essere fin d'ora prenotato presso il Centro Gandhi di Pisa versando 16 euro sul conto corrente postale ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Mohandas K. Gandhi e' stato della nonviolenza il piu' grande e profondo pensatore e operatore, cercatore e scopritore; e il fondatore della nonviolenza come proposta d'intervento politico e sociale e principio d'organizzazione sociale e politica, come progetto di liberazione e di convivenza. Nato a Portbandar in India nel 1869, studi legali a Londra, avvocato, nel 1893 in Sud Africa, qui divenne il leader della lotta contro la discriminazione degli immigrati indiani ed elaboro' le tecniche della nonviolenza. Nel 1915 torno' in India e divenne uno dei leader del Partito del Congresso che si batteva per la liberazione dal colonialismo britannico. Guido' grandi lotte politiche e sociali affinando sempre piu' la teoria-prassi nonviolenta e sviluppando precise proposte di organizzazione economica e sociale in direzione solidale ed egualitaria. Fu assassinato il 30 gennaio del 1948. Sono tanti i meriti ed e' tale la grandezza di quest'uomo che una volta di piu' occorre ricordare che non va mitizzato, e che quindi non vanno occultati limiti, contraddizioni, ed alcuni aspetti discutibili - che pure vi sono - della sua figura, della sua riflessione, della sua opera. Opere di Gandhi: essendo Gandhi un organizzatore, un giornalista, un politico, un avvocato, un uomo d'azione, oltre che una natura profondamente religiosa, i suoi scritti devono sempre essere contestualizzati per non fraintenderli; Gandhi considerava la sua riflessione in continuo sviluppo, e alla sua autobiografia diede significativamente il titolo Storia dei miei esperimenti con la verita'. In italiano l'antologia migliore e' Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi; si vedano anche: La forza della verita', vol. I, Sonda; Villaggio e autonomia, Lef; l'autobiografia tradotta col titolo La mia vita per la liberta', Newton Compton; La resistenza nonviolenta, Newton Compton; Civilta' occidentale e rinascita dell'India, Movimento Nonviolento; La cura della natura, Lef. Altri volumi sono stati pubblicati da Comunita': la nota e discutibile raccolta di frammenti Antiche come le montagne; da Sellerio: Tempio di verita'; da Newton Compton: e tra essi segnaliamo particolarmente Il mio credo, il mio pensiero, e La voce della verita'. Altri volumi ancora sono stati pubblicati dagli stessi e da altri editori. I materiali della drammatica polemica tra Gandhi, Martin Buber e Judah L. Magnes sono stati pubblicati sotto il titolo complessivo Devono gli ebrei farsi massacrare?, in "Micromega" n. 2 del 1991 (e per un acuto commento si veda il saggio in proposito nel libro di Giuliano Pontara, Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1996). Opere su Gandhi: tra le biografie cfr. B. R. Nanda, Gandhi il mahatma, Mondadori; il recente accurato lavoro di Judith M. Brown, Gandhi, Il Mulino; il recentissimo libro di Yogesh Chadha, Gandhi, Mondadori. Tra gli studi cfr. Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele; Icilio Vecchiotti, Che cosa ha veramente detto Gandhi, Ubaldini; ed i volumi di Gianni Sofri: Gandhi e Tolstoj, Il Mulino (in collaborazione con Pier Cesare Bori); Gandhi in Italia, Il Mulino; Gandhi e l'India, Giunti. Cfr. inoltre: Dennis Dalton, Gandhi, il Mahatma. Il potere della nonviolenza, Ecig. Una importante testimonianza e' quella di Vinoba, Gandhi, la via del maestro, Paoline. Per la bibliografia cfr. anche Gabriele Rossi (a cura di), Mahatma Gandhi; materiali esistenti nelle biblioteche di Bologna, Comune di Bologna. Altri libri particolarmente utili disponibili in italiano sono quelli di Lanza del Vasto, William L. Shirer, Ignatius Jesudasan, George Woodcock, Giorgio Borsa, Enrica Collotti Pischel, Louis Fischer. Un'agile introduzione e' quella di Ernesto Balducci, Gandhi, Edizioni cultura della pace. Una interessante sintesi e' quella di Giulio Girardi, Riscoprire Gandhi, Anterem] "La vostra lotta nel Transvaal, che pur sembra essere cosi' lontana dal centro della nostra civilta', in realta' e' un fatto fondamentale di straordinaria importanza in quanto ci fornisce l'esperimento piu' significativo [di nonviolenza] che il mondo da tempo aspettava e nel quale possono ora impegnarsi non solo i cristiani, ma tutti i popoli della terra". (dalla lettera di Tolstoj a Gandhi del 7 settembre 1910) (1) Satyagraha in Sudafrica, qui tradotto per la prima volta in italiano col titolo di Una guerra senza violenza, si puo' considerare in assoluto lo scritto piu' importante di Gandhi per comprendere i principi e le strategie della lotta nonviolenta (2). Gandhi lo scrisse in gujarati, a partire dal 26 novembre 1923, quando era rinchiuso nella prigione centrale di Yeravda (3). Al momento del suo rilascio, il 5 febbraio 1924 (4), aveva completato trenta capitoli e redasse, quindi, fuori dal carcere i restanti venti capitoli. Dapprima apparve come racconto a puntate sul settimanale "Navajivan" (5), dal 13 aprile 1924 fino al 22 novembre 1925, con il titolo Dakshina Africana Satyagrahano Itihas. I vari capitoli furono, poi, raccolti in libro, che fu pubblicato in due parti successive, nel 1924 e nel 1925, con una dedica del Mahatma al suo affezionato e fedele nipote Maganlal K. Gandhi (6). In seguito, a cura di Valji G. Desai, fu realizzata la traduzione in inglese che, letta ed approvata dallo stesso Gandhi, fu pubblicata dall'editore S. Ganesan, a Madras, nel 1928. Poiche' i fatti narrati erano stati evocati da Gandhi a distanza di molti anni dal loro accadimento, facendo ricorso esclusivamente ai propri ricordi, il traduttore studio' diligentemente gli archivi di "Indian Opinion" e, ovunque riscontrasse delle difformita', non esito' ad apportare le opportune correzioni. Comunque, con grande soddisfazione di Gandhi (7), in nessuno degli aspetti piu' rilevanti ed essenziali della storia si rivelarono errori o vuoti di memoria. Una seconda edizione, riveduta e corretta, della traduzione inglese fu pubblicata dalla Navajivan Publishing House, ad Ahmedabad, nel Dicembre 1950. Il traduttore riconobbe qui di aver ricevuto per la revisione utili suggerimenti da parte di Verrier Elwin, C. F. Andrews, Kaka Kalelkar e Abhechand G. Desai. La casa editrice curo', infine, una terza ristampa nell'agosto 1961. Su questo definitivo testo in inglese e' stata condotta la presente traduzione italiana, realizzata con perizia e profonda empatia da Maria Serena Marchesi, ricercatrice di anglistica presso l'Universita' di Pisa, nonche' attiva redattrice dei "Quaderni Satyagraha". Una guerra senza violenza, il titolo scelto per l'edizione italiana, e' un evidente ossimoro che riecheggia il titolo inglese di uno dei primi studi scientifici sul metodo nonviolento: War without Violence di Krishnalal Shridharani (8), l'opera che per prima, diversamente dalla vulgata corrente, non enfatizzo' tanto le qualita' spirituali del Mahatma, un uomo certamente venerato in tutto il mondo per la sua santita', ma presento' un Gandhi inedito, condottiero e stratega di una vera e propria "guerra", che era stata portata avanti, pero', mobilitando un esercito senza armi, con un metodo di lotta che puo' far vincere liberta' e giustizia senza commettere violenza, ne' perpetrare l'omicidio. * All'appassionante epopea che viene qui narrata, a questa inconsueta "guerra senza violenza", Gandhi attribui' il nome di satyagraha, un termine scelto per significare la volonta' di non essere pavidi e passivi di fronte all'ingiustizia, facendo appello, nella lotta, all'arma piu' efficace ed invincibile che gli uomini abbiano mai sperimentata: la forza della verita', altrimenti detta forza dell'anima, forza dell'amore o, ancora, forza della nonviolenza. L'11 settembre 1906, l'assemblea che si tenne all'Empire Theatre di Johannesburg segno' la nascita della nonviolenza moderna. Si avvicina la celebrazione di un centenario che puo' fare da contraltare costruttivo alle tragedie di altri piu' recenti 11 settembre (9) e ispirare programmi di riconciliazione, piuttosto che di guerre infinite. Quella campagna di disobbedienza civile lanciata nel lontano 1906, come leggiamo nel libro, inizialmente non fu ideata e proposta da Gandhi, anche se poi l'accolse e la fece propria. Indipendentemente da chi se ne fece portavoce nell'affollata assemblea, essa nasceva direttamente dagli avvenimenti del tempo, al seguito di tutto un fermento di lotte nonviolente che l'avevano preceduta, come il rifiuto da parte delle tribu' degli Zulu di pagare le tasse o la protesta dei nuovi immigrati indiani per le difficolta' insorte nel rilascio delle licenze commerciali. In quel contesto fu attivato l'hartal, una antichissima pratica indiana di protesta nei confronti di provvedimenti governativi, consistente in una interruzione totale delle attivita' (10). * Tradizionalmente si pensa a Tolstoj e Thoreau come i massimi ispiratori della prassi nonviolenta di Gandhi. Gene Sharp (11) ha opportunamente notato che lo sviluppo del satyagraha fu stimolato in realta' dagli accadimenti che scossero il mondo in quegli anni. La storia fu maestra di politica per Gandhi, ancor piu' delle idee dei pensatori sociali, delle cui letture pur si nutri' costantemente negli anni della sua formazione intellettuale. Lotte popolari nonviolente, infatti, si svilupparono nel biennio 1905-1906 in Cina, in Bengala e in Russia. Gandhi seppe e scrisse di queste lotte, traendone immediata e profonda ispirazione. In Cina, per primo, fu promosso il boicottaggio delle merci americane per contrastare la legislazione anti-cinese emanata dal governo degli Stati Uniti. In India, il 7 agosto 1905 i leader del Bengala (12), riuniti in una pubblica assemblea a Calcutta, proclamarono un boicottaggio generale delle merci inglesi sull'esempio del vittorioso boicottaggio dei prodotti americani da parte dei cinesi, in risposta al progetto di Lord Curtzon (13) per la spartizione del Bengala e la creazione di una provincia musulmana orientale (14). Infine, lo scoppio della rivoluzione russa del 1905 apparve a Gandhi come il preludio di una possibile rivoluzione nonviolenta mondiale. A differenza di quanto era accaduto nel passato, quando i russi avevano tentato di scrollarsi di dosso il potere dispotico attraverso il terrorismo e l'assassinio dello zar, senza che cio' avesse loro assicurato maggiore liberta' e giustizia, ora invece i lavoratori russi avevano attivato manifestazioni di protesta di massa e si erano dichiarati in sciopero, finche' non fossero stati riconosciuti i loro diritti. Se qualcuno ha detto che il potere risiede sulla punta delle baionette, Gandhi affermo', come dimostrava la rivoluzione russa, che "lo zar non puo' con la punta delle baionette costringere gli scioperanti a tornare al lavoro. [...] Anche il piu' potente non puo' governare senza la cooperazione dei governati. Se il popolo russo avra' successo, la rivoluzione in Russia sara' considerata come la piu' grande vittoria, il piu' importante avvenimento del secolo" (15). Nell'elaborazione del satyagraha e', comunque, evidente l'influenza della tradizione sociale e politica della cultura anglosassone. La disobbedienza civile, il non pagare le tasse in nome dello slogan: "niente tassazione, senza rappresentanza", il boicottaggio delle merci come forma di non collaborazione, erano tutte pratiche ispirate all'azione delle colonie americane nei confronti della madrepatria durante la lotta per l'indipendenza (1765-1775) (16). Boicottaggio e', inoltre, il nome dato alla lotta dei contadini irlandesi che nel 1880, in reazione all'atteggiamento vessatorio del capitano Charles Cunningham Boycott, per sei anni sostennero una campagna di scioperi, di rifiuto di pagare le tasse e le affittanze, nel quadro di una lotta per l'indipendenza dell'Irlanda. Il nazionalismo di Gandhi si caratterizzo' per una sua forte valenza sociale, in cio' ispirato da quello di Mazzini, di cui volle ricordare nel 1905 il centenario della nascita (17). Non si trattava di sostituire i dominatori stranieri con dominatori indigeni, ma di promuovere l'autogoverno del popolo e la riforma sociale. Il satyagraha, percio', si proponeva come una forza radicale e rivoluzionaria, che non aveva nulla a che vedere con il blando riformismo, perche' si proponeva di favorire la rivoluzione sociale e la democrazia dal basso. * A ben vedere il satyagraha ripristinava la possibilita' della lotta e della rivoluzione sociale, che Engels (18) aveva ritenuto defunte in seguito agli esiti tragici della sconfitta della Comune di Parigi. Appariva evidente come, di fronte alle armi di repressione delle lotte di massa che perseguono il massacro delle popolazioni civili, l'unica possibilita' di condurre una campagna di lotta all'ingiustizia e' il ricorso alla nonviolenza. I conflitti sociali non sono sempre risolvibili con la sola opera di mediazione e di arbitrato, o con appelli alla buona volonta' e inviti alla pace sociale. Essi comportano sempre un confronto di rapporti di forza e necessitano del ricorso all'"azione diretta" (che puo' essere violenta o nonviolenta), determinando spesso fatti illegali, che diventano inevitabili per coloro che lottano per raggiungere la giustizia sociale. Percio' Gandhi, piu' di ogni altra cosa, condanno' l'immobilismo e l'impotenza del pacifismo dei buoni propositi e dichiaro' senza esitazione di preferire la violenza all'inazione. Ha scritto, infatti, Gandhi: "Mai e' stato ottenuto qualcosa su questa terra senza azione diretta. Io rigettai l'espressione 'resistenza passiva' a causa della sua insufficienza e del suo essere interpretata come un'arma del debole. Fu l'azione diretta in Sudafrica, continuamente manifestata con efficacia, che spinse il generale Smuts alla ragionevolezza" (19). E parlando della Russia e dell'India nel novembre 1905, Gandhi annoto': "Anche il piu' potente tiranno non puo' governare senza la cooperazione dei governati. [...] L'oppressione dell'India e' possibile solo perche' c'e' gente che obbedisce e collabora" (20). Su queste verita', gia' proclamate nel XVI secolo da Etienne de la Boetie (21), si fonda l'analisi nonviolenta delle strutture di dominio, che riconosce come non possa durare a lungo un governo senza consenso. Gandhi, da parte sua, non ha inventato nulla, come lui stesso teneva sempre a ripetere, ma dagli avvenimenti e dall'analisi delle dinamiche del potere e' stato capace di ricavare una conoscenza ineguagliata dei meccanismi di cambiamento sociale e di utilizzare questo sapere per attivare una mobilitazione di massa per una "guerra" rivoluzionaria nonviolenta. In realta', il lettore potra' trovare in Satyagraha in Sudafrica, scritto a circa venti anni dall'inizio dei fatti, l'elaborazione dei principi fondamentali di una strategia per una guerra senza violenza, secondo uno sforzo di riflessione teorica che fa apparire il libro, a tutti gli effetti, come il prosieguo dell'opera di Clausewitz (22), in chiave nonviolenta. * Dietro un racconto avvincente, a tratti romanzato con forti accenti autobiografici, si cela, infatti, un vero e proprio trattato di "grande strategia", dove vengono teorizzati e verificati i principi di ogni azione, i rapporti tra mezzi e fini, tra scelte tattiche e strategie generali, valutando costi e benefici di ogni azione in funzione dell'obiettivo della campagna, ribadendo sempre la necessita' di tener fede agli obiettivi prefissati, sviluppando l'analisi della propria forza e di quella dell'avversario, esaminando la propria capacita' di far leva sulla mobilitazione di massa in funzione della lotta sul campo, in un alternarsi sapiente delle varie fasi della "battaglia": il momento della difesa, della ritirata e dell'attacco (sia pure nonviolento), esplicitando in ogni occasione quali sono le "armi" a disposizione dell'esercito dei satyagrahi e in cosa consista la loro forza vincente. Come ha osservato per primo M. Q. Sibley (23), la prassi gandhiana del satyagraha realizzo' in pieno quelli che sono i principi essenziali della strategia militare disegnata da Clausewitz e cosi' riassumibili: massima informazione, costante mobilita', mantenere sempre l'iniziativa, economia delle forze e importanza di concentrare le forze in un punto decisivo, individuazione di questo punto, superiorita' del fattore morale rispetto alle semplici risorse materiali, appropriata relazione tra attacco e difesa, tenacia e pervadente volonta' di vittoria finale. Come in guerra, la campagna del satyagraha ha bisogno di combattenti addestrati, dotati di grande spirito di dedizione alla comunita' e, quindi, capaci di sacrificio, resistenza, organizzazione e disciplina, qualita' senza le quali non si puo' vincere. Gandhi fu in grado di costruire, per la prima volta in Sudafrica, un vero e proprio esercito nonviolento, trasformando i miserabili immigrati indiani, straccioni senza speranza, contadini e minatori ridotti a una condizione di semi-schiavitu', non escludendo dall'arruolare le donne e i ragazzi, in valorosi "soldati", in autentici satyagrahi che non ebbero paura di finire in prigione, ai lavori forzati o di morire per la dignita' e il riscatto della comunita' indiana. William James aveva proposto un "equivalente morale della guerra" (24). Gandhi sviluppo' concretamente cio' che James aveva solo intuito, evocando nella pratica del satyagraha quella drammatizzazione emozionale della mobilitazione sociale con una sua simbologia e ritualita' che alimentarono l'immaginazione popolare, parlarono ai cuori e ai sentimenti dei lavoratori, costruendo quello spirito guerriero dell'esercito che si prepara alla battaglia. Gandhi nel suo racconto esalta in continuazione le qualita' guerriere dei satyagrahi: il coraggio, lo spirito di sacrificio, la dedizione, la disciplina. * In tanti momenti il lettore assiste a una progressione dell'azione che ha un carattere analogo all'"appello alle armi", oppure ad accadimenti o "incidenti" che somigliano a vere e proprie provocazioni e "aggressioni". Tutta la fase finale dell'epopea somiglia a un'offensiva finale che porta alla vittoria. Questa dinamica di assalto spiega perche' Gandhi non apprezzasse il termine, fino ad allora usato, di resistenza passiva. Il termine resistenza, infatti, creava sempre l'impressione di una reazione, mai di un'azione. La nonviolenza, in realta', ha bisogno di una sua aggressivita', molto, molto attiva, che deve essere esercitata come forza di pressione e persino di coercizione, seppure morale, in un modo estremamente creativo e imprevedibile, mostrando quell'elemento di sorpresa che costituisce, secondo Clausewitz, il fattore decisivo per la vittoria. Nel tenere sempre alta l'iniziativa morale, incalzando continuamente l'avversario, la nonviolenza non mira all'umiliazione o alla distruzione del coraggio dell'avversario, ma semplicemente a trasformare il suo paradigma etico, costruendo nuove modalita' di comprensione, di dialogo, di comune sentire. Per questo scopo, sceglie di concentrare la sua forza in un punto decisivo: il cuore dell'avversario e' il punto di fusione, la sofferenza il fattore di conversione e di empatia. Non certo la sofferenza procurata all'avversario, ma l'auto-sofferenza diviene generatrice di potere, creatrice di forza umana e sociale che rigenera la moralita' dell'avversario, la sua percezione etica e psicologica del conflitto. * Nel racconto vediamo con chiarezza come per Gandhi fosse importante dialogare con l'avversario, cercare di farsi capire, trovando quei punti di contatto comuni. Percio', volle dimostrarsi costantemente un leale suddito dell'impero, dichiarandosi pronto a condividerne i valori culturali e umani positivi presenti in quella civilta', nonostante tutto. Per questo esalto' i protagonisti e i momenti della storia morale inglese che costituivano, a suo parere, esempi luminosi di spirito di sacrificio e di progresso civile. Nell'ottobre del 1906, circa un mese dopo la storica manifestazione che lancio' la campagna di disobbedienza civile, Gandhi scrisse su "Indian Opinion" due articoli (25) in cui riconobbe l'influenza di tre inglesi che nella storia erano stati protagonisti di azioni coraggiose di disobbedienza, riconoscendo che la loro azione aveva contribuito alla nascita delle liberta' moderne. Questi erano: Wat Tyler, John Hampden e John Bunyan (26). Gandhi ne addito' agli indiani l'esempio, perche' la forza della verita' si afferma solo attraverso il fuoco del sacrificio, introducendo nel conflitto l'elemento nuovo della propria sofferenza. * Si puo' affermare che il satyagraha appaia, in questa prospettiva, piu' vicino alla filosofia dell'interventismo che a quella del neutralismo, dell'attendismo o del "pacifismo imbelle". Il fallimento del pacifismo e dell'internazionalismo di arrivare alla pace attraverso il negoziato, l'arbitrato e l'appello a un governo mondiale della Societa' delle Nazioni porto' al disastro della seconda guerra mondiale. Come ha ben sottolineato Shridharani: "L'insufficienza del pacifismo e le illusioni dell'internazionalismo erano un diretto risultato di una inadeguata incomprensione della natura del cambiamento sociale. I pacifisti fallirono, perche' considerarono la pace come un fine in se stesso" (27). Walter Lippmann (28), richiamandosi al saggio di James, scrisse gia' nel lontano 1928 che non era sufficiente proporre un "equivalente morale" delle virtu' militari, ma era necessario attivare dei meccanismi politici diversi dalla guerra nella gestione dei conflitti, realizzando a questo scopo una istituzione permanente di corpi civili di pace. L'arruolamento nel corpo delle ambulanze, promosso da Gandhi durante la guerra boera, e' stato letto da alcuni (29) come una giustificazione della guerra e un'adesione ad essa in quanto, in certe circostanze, diviene lo strumento necessario di risoluzione delle controversie fra nazioni, mentre il satyagraha sarebbe un metodo di lotta riservato ai conflitti interni agli Stati. A parte tutte le affermazioni fatte da Gandhi di fronte alla tragedie contemporanee, che gli fecero dire come alla guerra moderna non si possa partecipare neppure come barelliere, insieme ai molteplici inviti fatti agli occidentali a resistere ad Hitler con la lotta nonviolenta (30), in realta' l'attivazione del corpo di ambulanze durante la guerra boera, o il soccorso medico durante la rivolta degli zulu, vanno visti come un esercizio di coraggio degli indiani del Sudafrica, che rivendicavano pari diritti di cittadinanza, e che quindi non si volevano sottrarre al dovere del servizio. Ma, bisogna dire di piu', quella prova fu anche l'addestramento alla lotta, la formazione del carattere dei combattenti indiani, che saranno successivamente mobilitati in una grande impresa di lotta e disobbedienza civile, e che si spingera' fino alla vittoriosa marcia finale verso il Transvaal. Nel racconto della costituzione del corpo sanitario indiano durante la guerra boera, che occupa pagine importanti del libro, possiamo cogliere in nuce quel programma originale e costruttivo di fondazione di una istituzione permanente, di realizzazione di quell'esercito della pace (lo shanti sena), con corpi civili di interposizione nonviolenta, che ritornera' come tema centrale della visione gandhiana per creare alternative politiche funzionali agli eserciti e alla guerra nell'intervento nonviolento nei conflitti internazionali (31). Se l'ammiraglio inglese Stephen King-Hall (32) ha osservato che le armi nucleari hanno tolto ai militari la possibilita' di pensare la guerra, in quanto le armi di distruzione di massa hanno messo fuori gioco ogni ipotesi difensiva, si puo' affermare che il satyagraha riabiliti l'idea del "combattimento", mettendo in atto la possibilita' di una difesa popolare nonviolenta. In questa prospettiva, il satyagraha consente di riprendere e sviluppare quell'idea di "guerra totale", intesa come mobilitazione sociale di massa mirante a coinvolgere nella lotta tutta la societa', che fu fondamentale nella difesa della rivoluzione francese (33). * Alla vigilia del suo "digiuno fino alla morte" del dicembre 1932, Gandhi scrisse: "Le persone che si propongono di operare cambiamenti radicali nella condizione umana e sociale non possono fare a meno di suscitare un sommovimento nella societa'. Non e' possibile ottenere nulla senza scuotere la societa'. Ci sono solo due metodi per fare cio', uno violento e l'altro nonviolento. La pressione violenta agisce sugli esseri fisici e degrada sia chi la usa, sia la vittima, mentre la pressione nonviolenta esercitata attraverso l'auto-sofferenza, come il digiuno, agisce in un modo completamente differente. Non tocca i corpi fisici, ma fortifica la condizione morale di coloro verso cui e' diretta" (34). La nonviolenza di per se' non evita sacrifici, durezze, sofferenze, ferite o anche la morte (35). Uomini e donne nell'intraprendere la via del satyagraha sono consapevoli di mettere a rischio le loro vite e le loro fortune. Ma offrendosi al carcere, al sacrificio personale, alla perdita economica: "their chains will break" (36), le loro catene saranno spezzate. * Note 1. "Tolstoj's Letter to Gandhi", in The Collected Works of Mahatma Gandhi (da ora in poi CWMG), vol. X, New Delhi, Publication Division, Government of India, 1966, p. 513. Questa lettera, scritta da Tolstoj poco tempo prima della morte, avvenuta ad Astapovo il 7 novembre 1910, rappresenta il testamento spirituale del grande profeta russo in cui riconosce a Gandhi l'investitura morale di erede nel proseguire a livello planetario l'urgente magistero della nonviolenza. Cfr. P. C. Bori, G. Sofri, Gandhi e Tolstoj, Bologna, il Mulino, 1985. 2. In realta' i cento volumi che compongono l'opera omnia di Gandhi comprendono una gran massa di articoli, lettere, discorsi, opuscoli, programmi, mentre i veri e propri libri sono solo due, oltre al presente Satyagraha in Sudafrica, la famosa autobiografia: The Story of my Experiments with Truth, Ahmedabad, Navajivan Press, 1927, (ed. it. : M. K. Gandhi , La mia vita per la liberta', Roma, Newton, 1973). 3. Cfr. CWMG, vol. XXIII, p. 186. Gandhi era stato arrestato la notte del 10 marzo 1922, presso l'ashram di Sabarmati, come risposta delle autorita' inglesi all'annuncio della campagna di disobbedienza civile di massa lanciata a Bardoli nel febbraio 1922. Processato dal Tribunale di Ahmedabad il 18 marzo 1922 fu condannato a sei anni di reclusione. Due giorni dopo la sentenza, il 20 marzo Gandhi fu trasferito nel carcere di Yeravda. 4. Gandhi fu liberato anticipatamente e senza condizioni in seguito alle forti pressioni popolari, suscitate dalla notizia del suo precario stato di salute, che lo aveva portato il 12 gennaio 2004 a un improvviso ricovero in ospedale per appendicite, dove fu sottoposto a operazione chirurgica. 5. Navajivan, letteralmente "nuova vita", era un settimanale in lingua gujarati, di cui Gandhi assunse il controllo editoriale nel maggio 1919. 6. Maganlal K. Gandhi era il figlio di un cugino che il Mahatma aveva portato con se' dall'India al suo ritorno in Sudafrica a meta' del novembre 1902 e che visse nella comunita' di Phoenix, dando prova di grande spirito di sacrificio e di devozione. Cfr. M. K. Gandhi , La mia vita per la liberta', op. cit., p. 275. 7. Cfr. M. K. Gandhi, Satyagraha in South Africa. Foreword, in CWMG, vol. XXIX, p. 1. 8. K. J. Shridharani, War without Violence. A Study of Gandhi's Method and Its Accomplishments, New York, Harcout, Brace and Company, 1939, (originariamente presentato come tesi di laurea in sociologia presso la Columbia University), ristampato con una nuova introduzione di Gene Sharp, New York & London, Garland Publishing, 1972. Shridharani (1911-1960) aveva partecipato alla marcia del sale nel 1930 e alle campagne di disobbedienza civile nel biennio 1930-'31. Diplomatosi nel 1934 alla scuola Shanti Niketan di Tagore, si era recato a studiare negli Stati Uniti presso la New York University e la Columbia University, dove si laureo' in sociologia. Shridharani non fu il solo negli anni trenta a studiare l'importanza dell'approccio nonviolento ai conflitti. Si ricordano: il libro di R. Gregg, Power of Nonviolence, uscito negli Usa nel 1934; in Danimarca uno studio di due danesi e di un tedesco dal titolo: Kamp Uden Vaaben: Ikke-vold som Kammiddel mod Krieg og Undertrykkelse (Combattere senza armi: la nonviolenza come strumento di lotta contro la guerra e l'oppressione), Copenhagen, Levin & Munksgaard, Ejnar Munksgaard, 1937; in Olanda gli studi di B. de Ligt, tra cui The Conquest of Violence: An Essay in War and Revolution, New York, Dutton, 1938. Cfr. anche J. V. Bondurant, Conquest of Violence, Princeton, Princeton University Press, 1958, e M. Q. Sibley, The Quiet Battle, Bombay, Bharatiya Vidya Bhavan, 1965. 9. Un 11 settembre che va ricordato, quindi, non piu' solo per il golpe in Cile del 1973 o per l'attentato terroristico alle Torri gemelle del 2001. 10. Cfr. M. K. Gandhi, The Duty of Transvaal Indians, "Indian Opinon", 6 ottobre 1906, ora in CWMG, p. 461. 11. G. Sharp, Gandhi as a Political Strategist, Boston, Porter Sargent, 1979, p. 26. 12. Pyarelal, Mahatma Gandhi. The Early Phase, vol. I, Ahmedabad, Navajivan Publishing House, p. 152. 13. Lord Curtzon era il segretario di Stato per l'India. 14. Inizialmente pensato come strumento di pressione politica contro i progetti di spartizione, il boicottaggio divenne subito un modo per affermare lo Swadeshi, la volonta' di rilanciare l'economia domestica indiana. 15. M. K. Gandhi, Russia end India, in "Indian Opinion", 11 novembre 1905, ora in CWMG, vol. V, p. 132. La rivoluzione russa del 1905 e' stata interpretata dalla storiografia marxista in maniera riduttiva secondo il giudizio di Lenin che la considerava solo come "la prova generale" della rivoluzione del 1917, sostanzialmente una rivoluzione immatura, fallita "perche' le masse non erano state abbastanza intensamente illuminate sulla necessita' di abbattere lo zarismo con la forza", cit. in V. Gitermann, Storia della Russia, vol. II, Firenze, La Nuova Italia, 1963, p. 531. In realta', essa manifesto' una forte spinta popolare nonviolenta, che offri' a Gandhi molti spunti di riflessione. La sollevazione ebbe inizio la mattina di domenica 9 gennaio 1905, in una Pietroburgo innevata, allorche' centocinquantamila lavoratori insieme alle loro famiglie, dopo essersi riuniti a pregare nelle chiese, si diressero verso il Palazzo d'Inverno, guidati da padre Gapon, un pope della Chiesa ortodossa, per presentare allo zar una supplica che implorava riforme per determinare migliori condizioni di vita. Nonostante lo svolgimento pacifico della manifestazione, i soldati spararono sulla folla provocando un bagno di sangue. Seguirono scioperi e agitazioni da parte di studenti e operai. Il sentimento di rivolta si propago', presto, nelle campagne, dove i contadini cominciarono a praticare scioperi dell'affittanza, occupando le terre e promovendo delle vere e proprie repubbliche autonome, che gestivano cooperative di consumo, sale di lettura, scuole popolari. La piu' famosa di queste fu la repubblica di Markovo, fondata da Sergej Semenov, uno scrittore contadino tolstojano, cfr. O. Figes, La tragedia di un popolo, Milano, Corbaccio, 1996, p. 236. Intanto, interi reparti militari della fanteria e della cavalleria cosacca si rifiutavano di reprimere la rivolta. Anche la marina fu contagiata: celebre fu l'episodio della corazzata Potemkin. 16. Cfr. W. Conser, R. M. McCarthy, D. J. Toscano, G. Sharp, Resistance, Politics, and the American Struggle for Independence, 1765-1775, Boulder, Lynne Rienner, 1986. 17. M. K. Gandhi, Joseph Mazzini. A Remarkable Career, in "Indian Opinion", 22 luglio 1905, ora in CWMG, vol. V, pp. 27-28. 18. Cfr. F. Engels, Introduzione alla prima ristampa, in K. Marx, Le lotte di classe in Francia, Roma, Editori Riuniti, 1973, pp. 39-85. 19. M. K. Gandhi, Neither a Saint Nor a Politician, "Young India", 12 maggio 1920, ora in CWMG, vol. XVII, p.407. 20. M. K. Gandhi, Russia end India, in "Indian Opinion", 11 novembre1905, ora in CWMG, vol. V, p. 132. 21. E. De La Boetie, La servitu' volontaria, Napoli, Procaccini, 1994. 22. K. von Clausewitz, Della guerra, Milano, Mondadori, 1970. 23. M. Q. Sibley, The Quiet Battle, op. cit., pp. 74-75. 24. W. James, "The Moral Equivalent of War", in Memories and Studies, New York, Longmans, 1911. 25. Il primo articolo e': The Duty of Transvaal Indians, in "Indian Opinion", 6 ottobre 1906, ora in CWMG, pp. 461-463. Il secondo: Tyler, Hampden and Bunyan, in "Indian Opinion", 20 ottobre 1906, ora in CWMG, pp. 476-477. 26. Tyler aveva capeggiato nel 1381 la rivolta dei contadini inglesi dell'Essex e del Kent, contro le nuove imposte volute dal re Riccardo II per finanziare la ripresa della guerra contro la Francia. Tyler fu ucciso a tradimento da un complotto ordito dal sindaco di Londra, ma la lotta costrinse comunque il re alla rimozione della pesante tassa. John Hampden (1594-1643), un aristocratico di grande prestigio, aveva combattuto contro l'assolutismo monarchico di Carlo I Stuart, rifiutando di pagare le imposte illegali dello ship-money, che sarebbero servite al re per finanziare le guerre coloniali. A causa del suo rifiuto fino' in carcere, ma il suo gesto gli attiro' la simpatia popolare e molti ne seguirono l'esempio. Di fronte al dilagare della disobbedienza, non potendo arrestare migliaia di persone, il re fu costretto a fare marcia indietro e Hampden fu liberato. Ma ormai il seme della lotta per la liberta' era stato gettato, aprendo la strada alla rivoluzione di Cromwell. Infine John Bunyan (1628-1688), un umile stagnino che divenne in breve un riformatore religioso. Per aver predicato, nonostante il diniego del vescovo, trascorse dodici anni in carcere, dove scrisse uno dei testi spirituali piu' belli della letteratura della Riforma: The Pilgrim's Progress. 27. M. Q. Sibley, The Quiet Battle, op. cit., p. 270. 28. W. Lippmann, The Political Equivalent of War, in "The Atlantic Monthly", August, 1928, p. 181. 29. Cfr. A. Parel, Gandhi, War, and Peace, in "Gandhi Marg", vol. XXVI, n.1, New Delhi, Gandhi Peace Foundation, 2004, p. 12. 30. Cfr. M. K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Torino, Einaudi, 1973. 31. Cfr. T. Weber, Gandhi's Peace Army. The Shanti Sena and Unarmed Peacekeeping, Syracuse, New York, Syracuse University Press, 1996. 32. S. King-Hall, Defense in the Nuclear Age, London, Gollancz, p. 110. 33. Cfr. L. Carnot, Revolution et mathematiques, Paris, L'Herne, 1984. 34. M. K. Gandhi, Statement on Fast to Anti-Untouchability Committee, 4 dicembre 1932, ora in CWMG, vol. LII, p. 114. 35. Ciononostante il livello di feriti e morti e' di gran lunga inferiore a quello delle rivoluzioni violente. 36. M. K. Gandhi, Tyller, Hampden and Bunyan, in "Indian Opinion", 20 ottobre1906, ora in CWMG, vol. V, p. 477. 3. MAESTRE. ELEONORA CHITI: MARY WOLLSTONECRAFT [Dal sito www.antrodellasibilla.it riprendiamo questo profilo estratto da Maria Antoniettta Pappalardo (a cura di), Ritratti di donne dall'eta' greca all'eta' contemporanea, Bandecchi e Vivaldi editori, Pontedera 2000. Eleonora Chiti (Lori), lucchese, vive e lavora a Livorno; e' insegnate di liceo, si occupa di didattica e aggiornamento, di critica letteraria e di saggistica, con un interesse specifico per il rapporto tra parola e immagine e per la scrittura delle donne; e' parte attiva del Centro donne livornesi; ha esordito come disegnatrice vincendo la prima edizione della biennale "Le donne ridono" nel 1985, iniziando subito dopo a collaborare a "Leggere Donna" e a "Il Paese delle Donne", ha collaborato con varie altre riviste, tra cui "Noi Donne". E' autrice di una opera narrativa e saggistica a fumetti che la accosta ad altre esperienze di alta cultura e profondo scandaglio sociologico e morale nella forma del fumetto, come ad esempio quella di Claire Bretecher. Tra le sue opere: La De Magistris, Luciana Tufani editrice, Ferrara 1996. Mary Wollstonecraft (Londra, 1759-1797), scrittrice, intellettuale e militante femminista e libertaria, compagna di William Godwin, madre di Mary Shelley (la moglie del poeta inglese, autrice del Frankenstein), visse, scrisse, opero' nel Settecento, ma la sua opera e' di un valore perenne e merita di essere riletta e meditata oggi. In traduzione italiana sono disponibili il suo capolavoro saggistico scritto nel 1792, I diritti delle donne, Editori Riuniti, Roma 1977, tradotto anche dalle Edizioni Elle, sempre nel 1977, col titolo Il manifesto femminista; ed il suo romanzo (con larghi tratti autobiografici) scritto nel 1788, Mary, Savelli, Roma 1978. Alcune incisive pagine di e su Mary Wollstonecraft sono in Franco Restaino, Adriana Cavarero, Le filosofie femministe, Paravia, Torino 1999] "Il nocciolo della sua filosofia", dice Virginia Woolf di Mary Wollstonecraft, "era che nulla conta se non l'indipendenza". Questa convinzione si era sviluppata molto presto: aveva un padre dispotico e violento il quale pensava che le femmine non avessero nessun diritto all'istruzione, e picchiava la madre che la bambina cercava di difendere. A diciotto anni cercava gia' di essere autonoma economicamente, criticando il ruolo tradizionale che la societa' imponeva alle donne e le donne che lo accettavano. Prima di arrivare a condurre una vita libera, stimata, riconosciuta, dovette affrontare anni di lavoro umiliante e malpagato, di miseria e fatica, di lotte con una realta' dura e sfavorevole. Il suo primo libro, Pensieri sull'educazione delle figlie, e' gia' pieno di passione verso la necessita' di una istruzione corretta, che renda le giovani donne autonome e rispettabili. Non e' strano dunque che attaccasse, in seguito, la pedagogia di Rousseau per la sua insultante indifferenza all'educazione delle bambine, anche se apprezzava di Rousseau l'importanza data alla passione d'amore. Lei fu infatti sempre una "femminista innamorata": bella e geniale com'era, scrisse con passione del conflitto tra la liberta' di amare e di capire e la schiavitu' delle convenzioni, anche nei due romanzi che portano il suo nome: Mary, a fiction (1788) e Mary, and the wrongs of a woman (postumo). Nella sua opera piu' famosa, I diritti delle donne, chiede per il suo sesso istruzione, lavoro, diritti legali e politici: l'opera, pubblicata nel 1792, e' preceduta da una dedica provocatoria a Talleyrand che, all'Assemblea Costituente, in piena Rivoluzione francese, aveva escluso le donne dall'istruzione pubblica; afferma l'autrice: "E' giunto quindi il momento per una rivoluzione nel comportamento delle donne; e' il momento di restituire loro la dignita' perduta e di fare in modo che esse, in quanto parte dell'umana specie, si adoperino a trasformare il mondo, iniziando da se stesse". Mary mori' di parto quando era realizzata, felice e piena di progetti, dando alla luce un'altra Mary, quella fanciulla geniale che a soli diciannove anni scrivera' il Frankenstein. Ma lasciamo parlare ancora Virginia Woolf: "Mary mori' a trentasei anni; ma e' stata vendicata. Milioni di donne sono morte e sono state dimenticate da quando fu sepolta: eppure quando leggiamo le sue lettere e seguiamo i suoi ragionamenti e guardiamo i suoi esperimenti (...) e ci rendiamo conto del modo generoso e appassionato con cui si getto' nel vivo della vita, non abbiamo dubbi che ella possieda una sua forma di immortalita': e' ben viva tra noi, discute e fa esperimenti, sentiamo la sua voce, riconosciamo la sua influenza ancor oggi tra i vivi". * Tutte le opere della Wollstonecraft furono pubblicate dall'editore Joseph London di Londra. Le date si riferiscono alle prime edizioni: 1787 - Thoughts on the education of Daughters: with reflections on female conduct in the more important duties of life. 1788 - Mary: a fiction. 1788 - Original stories from real life with conversation calculated to regulate the affections and form the mind to truth and goodness. 1790 - A vindication of the rights of men. 1792 - Vindication of the rights of woman. 1794 - An historical and moral view of the origin and progress of the French revolution and the effect it has produced in Europe. 1796 - Letters written during a short residence in Sweden, Norway and Denmark. 1797 - On poetry, and our Relish for the beauties of nature. Libri disponibili attualmente in libreria: Mary Wollstonecraft, A vindication of the rights of woman, Penguin Classics; Mary Wollstonecraft, Mary and Maria, Penguin Classics. Su Mary Wollstonecraft: Virginia Woolf, "Mary Wollstonecraft", in Le donne e la scrittura, La Tartaruga, Milano. ============================== LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA ============================== Supplemento domenicale de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 13 del 20 marzo 2005
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