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La nonviolenza e' in cammino. 867
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 867
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 13 Mar 2005 00:33:12 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 867 del 13 marzo 2005 Sommario di questo numero: 1. Ali Rashid: Aziz 2. Angela Giuffrida: Sul silenzio delle donne 3. Sandro Provvisionato ricorda Nicola Calipari 4. Enrico Peyretti: mezzi e fini. Nonviolenza violenta? 5. In digiuno contro guerra e terrorismo 6. Via crucis Pordenone-Aviano 7. Donatella Di Cesare intervista Juergen Habermas 8. Letture: AA. VV., La fecondazione assistita 9. Letture: Lisa Foa, E' andata cosi' 10. La "Carta" del Movimento Nonviolento 11. Per saperne di piu' 1. APPELLI. ALI RASHID: AZIZ [Ringraziamo Ali Rashid (per contatti: alirashid at tin.it) per questo intervento. Ali Rashid e' il primo segretario della delegazione palestinese in Italia. Fine intellettuale di profonda cultura, conoscitore minuzioso degli aspetti storici, politici, economici e culturali della situazione nell'area mediorientale, esperto di questioni internazionali, ed anche acuto osservatore della vita italiana. E' figura di grande autorevolezza per rigore intellettuale e morale, ed e' una delle piu' qualificate voci della grande tradizione culturale laica palestinese. Suoi scritti appaiono sovente nel nostro paese sui principali quotidiani democratici e sulle maggiori riviste di cultura e politica] Il movimento palestinese per la cultura e la democrazia, nato quattro anni fa, ha fatto un grande sforzo per dare cittadinanza alla cultura della democrazia e della nonviolenza, praticandola in luoghi difficili e in condizioni avverse e sfavorevoli. Il movimento ha avuto maggiore radicamento nel campo profughi di Tulkarem, un luogo tra i piu' sfortunati al mondo, grazie al lavoro straordinario di un valoroso compagno che molti di voi hanno conosciuto in diverse occasioni. Nella sede del movimento e dell'associazione Kufia, dopo il lavoro, l'insegnante che tutti conoscono come Aziz ogni giorno trascorreva tutte le ore che restavano della sua giornata insieme ai giovani e ai vecchi del campo a parlare di democrazia, di storia, di lotta nonviolenta che sottrae i ragazzi alla disperazione e li salva dalla rassegnazione, aiutandoli a incanalare la rabbia nel ragionamento, nel gioco, nello studio e in mille iniziative creative che mitigano il dolore e lasciano filtrare un barlume di luce. Molti di noi hanno dedicato attenzione, aiuto e viva speranza al suo impegno. Colgo l'occasione per ringraziare il sindaco di Terni, la Provincia di Roma, la Provincia di Napoli, la Comunita' montana dell'Umbria, l'Arci, la Fiom e la Comunita' montana di Omegna, i giovani comunisti di Napoli e molte donne e uomini che ci hanno aiutato a realizzare i programmi di adozione a distanza, il progetto di apicoltura, la cooperativa di donne per l'allevamento degli ovini, i corsi per il doposcuola e il tempo libero, i campi estivi per ragazzi israeliani e palestinesi organizzati insieme ad associazioni israeliane progressiste. Aziz ha saputo gestire tutte queste attivita' dimostrando a tutti l'alto significato dell'impegno politico al servizio della comunita' e dando alla lotta un significato positivo e costruttivo, fondato sulla vita e non sulla morte. Il mese scorso ho sentito spesso Aziz, perche' a Ramallah, Bir Zeit e Tulkarem aveva organizzato manifestazioni di solidarieta' per la liberazione di Giuliana Sgrena e non riusciva a trovare l'inviato del "Manifesto" per dare la notizia. Alla fine di ogni telefonata mi lasciava rassegnato dicendo: "l'importante e' fare le cose giuste". E' vero, l'importante e' fare le cose giuste. Aziz, che in arabo significa caro, e' stato arrestato otto giorni fa e da allora si trova nel carcere di Kishom. Secondo il suo avvocato, Dr Mahagneh, e secondo il comitato contro la tortura in Israele, Aziz e' sottoposto a tortura fisica e psicologica, i servizi di sicurezza israeliani vogliono strappargli una confessione in cui dovra' ammettere di essere a capo di una cellula terroristica della Jihad islamica della zona, altrimenti diffonderanno in tutto il mondo un'accusa infamante contro di lui sorretta dalla testimonianza di persone pronte a giurare il falso e a dichiarare che Aziz ha partecipato all'uccisione a sangue freddo di un soldato israeliano. E' una prova concreta di quello che stiamo dicendo da tempo e cioe' che i pacifisti veri sono i nemici piu' temibili per i guerrafondai e che non viene risparmiata nessuna occasione per togliere loro credibilita', come conferma il vile attacco contro Giuliana di questi giorni. Al caro Aziz deve andare tutto il nostro sostegno, in questo momento difficile ha bisogno dell'affetto e della solidarieta' di chi crede nella pace e nella giustizia e di chi ha ancora la forza di indignarsi per la bassezza di chi usa il ricatto contro le persone oneste, forte solo dei suoi muscoli, della sua ignorante arroganza, della cattiveria gratuita, del disamore per la vita, nemico soprattutto di se stesso. Chi volesse esprimere la sua solidarieta' ad Aziz, il nome e' Mohamed fawzi Tanji, puo' farlo inviando fax o e-mail al governo israeliano attraverso l'ambasciata in Italia (tel. 0636198500, fax: 0636198555, e-mail: info-coor at roma.mfa.gov.il). Per informazioni sui progetti di Kufia, potete scrivere all'indirizzo e-mail: paolag18 at tin.it 2. EDITORIALE. ANGELA GIUFFRIDA: SUL SILENZIO DELLE DONNE [Ringraziamo Angela Giuffrida (per contatti: frida43 at inwind.it) per questo intervento. Angela Giuffrida e' docente di filosofia ed acuta saggista; tra le sue pubblicazioni: Il corpo pensa, Prospettiva edizioni, Roma 2002] Il grande silenzio delle donne, sottolineato da Lea Melandri, ma visibile ad occhio nudo da tutte e tutti, dipende, secondo me, dalla loro permanenza nel sistema di pensiero che governa il mondo. Se "i diversi femminismi... riproducono nel loro insieme quel mosaico o quella babele che e' la societa' attuale", se "le differenze, all'interno del femminismo, si sono moltiplicate ma stanno sullo stesso piano di realta'", omologate da "una cultura che ha integrato nuovi contenuti ma che conserva in parte il suo impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla soggettivita' incarnata", vuol dire che il femminismo, nelle sue diverse forme, rimane interno ad un apparato concettuale che mostra ormai scopertamente la sua inadeguatezza ad interpretare l'umano in particolare, il vivente in generale. Ci troviamo in un vicolo cieco perche' la razionalita' maschile, imposta come l'unica possibile, non riesce a dare risposte significative ai numerosi problemi che affliggono la nostra specie, di cui, per la massima parte, e' direttamente responsabile. Da questo punto di vista la voce maschile e' muta, risolvendosi nella "chiacchiera" di heideggeriana memoria. La causa della macroscopica contraddizione tra gli innumerevoli e intelligentissimi contributi provenienti da donne di tutto il mondo e la loro irrilevanza nelle comunita' androcratiche, va ricercata non solo, com'e' giusto, nella tenace resistenza degli uomini ad un possibile empowerment femminile, ma anche nell'uso dei paradigmi interpretativi maschili che, presentati come universali, informano anche i pensieri e i discorsi delle donne. Vorrei fare un esempio che, mi pare, sia esplicativo di quanto vado affermando. Dopo i fatti di Abu Ghraib si e' sviluppato un acceso dibattito attorno alla violenza femminile, concretatosi nella polarizzazione di due concetti astratti, la bonta' e la cattiveria, secondo il tipico approccio maschile che assolutizza i dati, isolandoli dal contesto e opponendoli. All'interno di questi meccanismi che, fornendo un'immagine eccessivamente semplificata della realta', la rendono praticamente invisibile, e' impossibile trovare soluzioni sensate ai problemi. Infatti, solo se si considera la bonta' come un dono elargito alle donne gratuitamente e una volta per tutte da una natura benevola, ci si puo' meravigliare che in comunita' centrate sul dominio, inneggianti alla bellezza della guerra, alcune donne non sviluppino in modo adeguato quelle caratteristiche che sono la sostanza stessa della civilta'. Viceversa, non e' difficile capire che l'incivilimento della mente non e' un acquisto definitivo e sicuro se lo si considera un processo lento, faticoso e mai concluso, derivante da particolari e concrete esperienze. Allo stesso meccanismo semplificatorio e' dovuto il rifiuto di riconoscere che gli aspetti positivi che ineriscono alla persona e alle attivita' femminili sono ridondanti rispetto alle contraddizioni, ai limiti, agli inevitabili errori e che proprio la preminenza di tali aspetti dimostra l'acquisizione da parte della maggior parte delle donne di conoscenze fondamentali e irrinunciabili per una gestione razionale delle societa' umane. Il riconoscimento dell'altro, la comprensione del valore della vita e della sua unicita' contraddistinguono senza alcun dubbio l'operosita' quotidiana della stragrande maggioranza delle donne nel mondo. Ma l'aspetto piu' qualificante di tale operosita' e' che non pone condizioni di sorta, non chiede nulla in cambio; e' proprio questo disinteresse, indice di grandezza d'animo, che, paragonato al punto di vista interessato - umano troppo umano - attorno a cui si struttura in genere il fare maschile, situa le donne in un'altra dimensione. Ma le donne sono ben lontane dal riconoscersi meriti di sorta, anzi rifiutano con decisione la "bonta'" che viene attribuita loro perche', ancora una volta, la interpretano in chiave maschile come una debolezza, non come una forza quale in effetti e'. Ileana Montini in un intervento sul n. 827 di questo foglio dimostra la veridicita' delle mie argomentazioni: "Inchiodare le donne nell'aura della perfezione-santita', della naturale, presunta innata, nonviolenza, mentre gli uomini sarebbero, altrettanto naturalmente, inchiodati alla esplicitazione della violenza e dell'ideologia, vuol dire confermare indirettamente che l'esercizio del potere con la p maiuscola, quello che fa andare avanti le societa', e che richiede forza, coraggio e un po' anche di sana spregiudicatezza, deve restare in mani maschili". Dato che la bonta' e' quel miscuglio di superiori conoscenze e magnanimita' cui si e' accennato prima e dato che i maschi sprecano gran parte della loro energia mentale per distruggere "scientificamente" vite umane e per ordire inganni di tutti i tipi, inventando ideologie, tradizioni, "culture" atte ad opprimere i propri simili per assicurarsi il dominio, a me pare che il potere con la p maiuscola spetti di diritto alle donne, alle cui scelte coraggiose e decisive l'umanita' deve non solo la propria sopravvivenza ma anche lo sviluppo di quelle caratteristiche che la distinguono dalle altre specie. 3. MEMORIA. SANDRO PROVVISIONATO RICORDA NICOLA CALIPARI [Da "La newsletter di Misteri d'Italia", anno 6, n. 98 dell'11 marzo 2005 (sito: www.misteriditalia.com) riprendiamo il seguente testo. Sandro Provvisionato e' un prestigioso giornalista e saggista autore di rilevanti inchieste, da sempre impegnato contro i poteri criminali. Tra le opere di Sandro Provvisionato: Lo sport in Italia, Savelli, Roma 1978; (con Adalberto Baldoni), La notte piu' lunga della Repubblica. Destra e sinistra: ideologie, estremismi, lotta armata, Serarcangeli,1989; Misteri d'Italia. 50 anni di trame e delitti senza colpevoli, Laterza, Roma-Bari 1993; Segreti di mafia, Laterza, Roma-Bari 1994; Giustizieri sanguinari. I poliziotti della Uno bianca. Un altro mistero di Stato, Pironti, Napoli 1995; (con Gian Paolo Rossetti), Il mostro, il giudice e il giornalista, Theoria, 1996; (con Ferdinando Imposimato e Giuseppe Pisauro), Corruzione ad alta velocita'. Viaggio nel governo invisibile, Koine', 1999; Uck: l'armata dell'ombra. L'Esercito di liberazione del Kosovo. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo, Gamberetti, Roma 2000. Nicola Calipari, nato a Reggio Calabria, laureato in giurisprudenza, con una straordinaria e prestigiosa esperienza nelle forze dell'ordine con ruoli di grande responsabilita' nella lotta contro il crimine, da due anni funzionario del Sismi, e' l'eroe che ha salvato la vita a Giuliana Sgrena, come gia' prima alle due Simone; e' stato ucciso il 4 marzo a Baghdad] Di Nicola Calipari e' stato scritto molto, moltissimo. La retorica ormai inevitabile, in questo Paese senza piu' certezze, non e' riuscita ad evitare un termine ormai tristemente inflazionato: eroe. Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa un eroe: un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o del terrorismo, un ostaggio caduto nelle mani piu' insaguinate. Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo cosi', perche' lo conoscevo da tempo) sia stato un eroe. So solo che e' morta una delle persone piu' belle che abbia mai conosciuto nella mia lunga carriera di giornalista. Un uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori, ma soprattutto un uomo competente che adorava il suo lavoro. Conobbi Nicola all'inizio del 2000 quando era al vertice dello Sco, Il servizio centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo, la "guerra umanitaria" della Nato scatenata - con il pieno avallo del governo di centro-sinistra, guidato da Massimo D'Alema - per "liberare" la provincia serba, oggi finita nelle mani di un criminale di guerra, grande trafficante di droga, avevo deciso di scrivere un libro che pero' non raccontasse la mia esperienza di inviato di guerra, ma la realta' di un paese vocato a diventare uno narcostato, una Colombia infilata come un cuneo nei Balcani. La storia di questi anni sembra aver dato ragione a quel libro (usci' sempre nel 2000 con il titolo: Uck, l'armata dell'ombra. Una guerra tra mafia, politica e terrorismo). E Nicola in quel libro ebbe un ruolo determinante: non volle essere citato, Nicola, ma tutte o quasi le notizie sui narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da Nicola che proprio sulle filiere del traffico della droga era un vero esperto. Tovai in lui sensibilita' e competenza, ma soprattutto una grande diponibilita' a ragionare. Alla mia domanda: perche' la Nato ha fatto una guerra per questa banda di criminali e trafficanti che e' l'Uck? Lui mi rispose: "Me lo sto chiedendo dall'inizio della guerra". Il nostro rapporto e' continuato negli anni. Nei momenti di dubbio su fatti che via via accadevano lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo di interpretare gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale, mai scontato. Sapeva analizzare gli accadimenti con una lucidita' che legava un fatto ad un altro, fino a tessere una tela degna del migliore di quelli che oggi e' di moda chiamare con disprezzo "dietrologi". Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: "Lo dicono a me, ma guarda che il vero dietrologo sei tu...". Lui rideva e ripeteva sempre: "Ma se non vai dietro a quello che succede hai solo una visione frontale che ti da' solo un'immagine parziale della realta'". Lo avevo sentito un paio di settimane prima della sua morte. Gli avevo esposto dubbi su un'operazione condotta lo scorso anno dal Sismi (e quindi da lui) in Libano: un attentato sventato all'ambasciata italiana di Beirut con l'appoggio dei servizi segreti siriani (vedi la "Newsletter di Misteri d'Italia" n. 93). Si era un po' innervosito della mia insinuazione, ma poi, come sempre, aveva riso e mi aveva detto: "Lo sai che il dubbio che i siriani ci abbiano tirato un bidone e' venuto anche me...". Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c'e' stato tempo. Ciao, Nicola. 4. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: MEZZI E FINI. NONVIOLENZA VIOLENTA? [Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci messo a disposizione questo articolo gia' apparso - con qualche minima modifica per esigenze di spazio - sul mensile torinese "il foglio" n. 319, febbraio 2005. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino 1999; Dov'e' la vittoria?, Il segno dei Gabrielli, Negarine (Verona) 2005; e' disponibile nella rete telematica la sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha curato la traduzione italiana), e una recentissima edizione aggiornata e' nei nn. 791-792 di questo notiziario; vari suoi interventi sono anche nei siti: www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di questo notiziario] Tutto serve. Tanti anni fa, in Spagna, lessi su un muro "Los guerrilleros de Cristo Rey, somos la ley". Gesu' guerrigliero, di estrema destra. A quando Gandhi alfiere dell'impero? Del resto, nella pubblicita' e' gia' stato ripetutamente usato, come Gesu'. Nel '99 falliscono i bombardamenti della Nato in Jugoslavia? Niente paura. Si organizzano, e si finanziano bene, potenti manifestazioni popolari nonviolente e Milosevic (il quale se lo merita pure) cade. Il metodo e' quello di Gandhi, e delle grandi rivoluzioni nonviolente dell'89 nell'Europa orientale. Certo, non e' solo manipolazione, c'e' una vera insorgenza popolare contro autoritarismi e dittature. Ma il metodo serve a qualunque scopo. Serbia, Georgia, Ucraina: funziona! Sto leggendo l'articolo Nell'ombra delle "rivoluzioni spontanee", di Regis Gente' e Laurent Rouy, su "Le Monde diplomatique" (gennaio 2005, p. 6). Dove un potere deve un po' aggiustare le elezioni per legittimarsi - ma questo non e' successo, almeno nel 2000, anche negli Usa, modello di democrazia da esportazione forzata? - oltre il monitoraggio internazionale si infiltrano organizzazioni e fondazioni americane. Una, il National Democratic Institute, e' presieduta da Madeleine Albright, quella che disse che le vittime della guerra del Golfo "valevano la pena". Un'altra, Freedom House, e' diretta da James Woolsey, ex capo della Cia, gia' attivo in Serbia nel 2000. Vanno in aiuto a parti interne che "volevano far crollare il regime piu' che avere libere elezioni", come dice Gia Jorjolani, del Centro per gli studi sociali di Tbilisi, Georgia. I media e i movimenti studenteschi (Otpor, Resistenza, in Jugoslavia) vi hanno grande parte. Seminari di "formazione per formatori" sono tenuti anche a Washington (9 marzo 2004), e vi si e' visto presente anche Gene Sharp, teorico della lotta nonviolenta e autore di un classico manuale in tre volumi, Politica dell'azione nonviolenta (Edizioni Gruppo Abele, Torino), molto usato anche dai nonviolenti italiani. Quelle rivoluzioni nonviolente in Serbia e Georgia, a detta degli stessi politici che hanno preso il potere, sono state sostenute da forze politiche contrarie ai precedenti regimi. Nelle recenti elezioni contestate e ripetute, sotto pressione popolare, in Ucraina, hanno avuto parte evidente la Polonia e l'Unione Europea. Personaggi ivi emergenti fanno parte della nomenklatura arricchitasi con le privatizzazioni. Non sempre ci guadagna la democrazia: un anno dopo la "rivoluzione delle rose" in Georgia, una militante per i diritti umani, Tinatin Khidasheli, scrive "La rivoluzione delle rose e' appassita" ("International Herald Tribune", Parigi, 8 dicembre 2004). La politica estera americana si serve oggi non solo della guerra, ma anche di questi movimenti, non sempre del tutto o veramente spontanei, anche se attecchiscono grazie ai difetti, e a volte i crimini, dei regimi contestati. Pare che, oltre l'area ex-sovietica, punti ora ad applicare il metodo a Cuba, mentre nel Medio Oriente le possibilita' sono scarse, anche per l'odio che gli Usa si sono guadagnati. * Che dire, da parte di chi crede nella nonviolenza come metodo giusto per fini giusti? Anzitutto, proprio questo: non solo i mezzi devono non essere violenti, ma anche i fini. La Germania nazista, prima dello sterminio, e l'antisemitismo fascista, perseguitarono gli ebrei col boicottaggio economico, che e' un tipico mezzo nonviolento contro le economie ingiuste. Usare mezzi ingiusti per fini giusti e' tanto ingiusto quanto usare mezzi giusti per fini ingiusti. La nonviolenza gandhiana e' una speranza per l'umanita', portata sull'orlo della distruzione totale dall'ideologia della violenza necessaria e regnante. Manipolarla per fini di dominio, uguali a quelli che si cercano con la guerra e la violenza, e' falsificare un valore umano. La nonviolenza non e' solo una tecnica utilizzabile, ma una cultura, una concezione dell'umanita', da rispettare pienamente in ogni persona e popolo. Come insieme di tecniche puo' servire al dominio incruento e sottile, ma non meno ingiusto. Come cultura e spiritualita' non puo' farsi strumentalizzare dall'ingiustizia del dominio. Percio', la ricerca della nonviolenza non puo' essere puro attivismo, ma educazione morale profonda. Su cio' i nonviolenti devono vigilare e approfondire il loro lavoro. Si sono gia' viste anche da noi forze politiche sbandierare Gandhi e poi rendersi utili ai potenti e persino alla guerra. Certo, puntare al potere con la demagogia incruenta e' qualcosa di meglio che con una guerra o un golpe sanguinario, mezzi usati senza scrupoli da chi ora si serve della nonviolenza, ma mai da Gandhi, da Martin Luther King, da Badshah Khan. Cosi', la democrazia, ovviamente, e' meglio della dittatura. Ma essa e' vera se e quando le persone si educano a decidere secondo giustizia, e non soltanto perche' si contano le teste invece di tagliarle. Non c'e' vera democrazia la' dove le teste decidono liberamente di tagliarne altre, o di opprimerle, o tacitarle. La democrazia che elegge Hitler e' falsa democrazia, forma senza sostanza. Non c'e' vera democrazia dove il principio di maggioranza instaura una dittatura della maggioranza, come sta accadendo in Italia. La democrazia e' un metodo, ma soprattutto un fine: farci tutti piu' rispettosi della comune umanita'. Percio' la nonviolenza dei mezzi e dei fini e' (come insistono Capitini e Pontara) l'aggiunta e il completamento della democrazia. 5. APPELLI. IN DIGIUNO CONTRO GUERRA E TERRORISMO [Dagli amici dell'agenzia Metamorfosi (per contatti, e-mail: agenzia at metamorfosi.info, sito: www.metamorfosi.info) riceviamo e diffondiamo. Per aderire all'iniziativa tutte le informazioni sono nel sito www.pergiuliana.org] Sono molte le persone, le comunita', le associazioni, i movimenti e le reti che hanno aderito all'iniziativa "Quanti giorni all'alba?". Attraverso un digiuno pubblico, comunitario ed a oltranza in tanti hanno chiesto la liberazione di Giuliana Sgrena. Dopo gli sconcertanti eventi che hanno accompagnato questa liberazione e profondamente colpiti dall'assurda e tragica morte di Nicola Calipari, il gruppo interreligioso promotore dell'iniziativa ha deciso di proseguire con rinnovato slancio, giudicando che testimoniare ancora il bene, la giustizia, la pace sia un imperativo etico assoluto. Andiamo avanti allora. Continua il digiuno che rappresenta un grido sofferto, perche' la guerra in Iraq deve cessare quanto prima. Perche' sulla morte di Nicola Calipari deve essere fatta verita' e giustizia. Perche' sono ancora molte, ad iniziare da Florence Aubenas e Hussein Hanoun, le persone sequestrate nelle mani del terrorismo, generato da un'occupazione militare che opprime il popolo iracheno. Il nostro impegno pubblico, davanti a tutto il paese, sara' volto a chiedere al governo e al parlamento italiano il ritiro delle truppe. Per questo chiediamo a tutti coloro che reclamano la pace per il popolo iracheno di ribadire il proprio impegno attraverso l'adesione al digiuno e di rendere visibile questa adesione con una fascia bianca al braccio. Per questo - oltre a digiunare - tutti i venerdi', dalle ore 17,30 alle 19,30, saremo presenti a Roma sotto il Parlamento: per ribadire, insieme al popolo italiano e alle realta' impegnate contro la guerra, la richiesta di ritiro immediato dei nostri militari dall'Iraq. Vi chiediamo l'adesione all'iniziativa "Quanti giorni all'alba?" con le modalita' indicate sul sito www.pergiuliana.org. Allo stesso tempo chiediamo di continuare ad essere presenti nelle vostre citta' promuovendo iniziative pubbliche con gli stessi obiettivi, affinche' questa iniziativa coinvolga sempre piu' persone e realta'. E' necessario mettere a disposizione tutta la creativita', tutte le relazioni, tutto l'impegno possibile affinche' il nostro paese, l'Iraq e l'umanita' tutta possano vivere un futuro di pace. E' necessario resistere all'idea che tutto sia finito con la liberazione di Giuliana. La guerra infinita va avanti, e' nostro dovere sovvertire questa "verita'" imposta dall'alto. E' nostro dovere riuscire a farlo partendo dal basso, al di la' delle singole culture di appartenenza, coinvolgendo tutte le realta', organizzate e non, che si oppongono ad un sistema di violenza, che fa della guerra lo strumento per mantenere l'oppressione dei popoli. Allora, quanti giorni all'alba? * I religiosi promotori del digiuno: Alex Zanotelli, missionario comboniano; Alessandro Santoro, Comunita' di base delle Piagge; Izzeddin Elzir, imam di Firenze; Jeremy Milgrom, rabbino, Rabbini per i Diritti Umani, Gerusalemme; Tavola Valdese; archimandrita Julio Brunella, Chiesa Melchita; mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea; Hamza Piccardo, segretario nazionale Unione delle organizzazioni e delle comunita' islamiche in Italia (Ucoii); Luigi Ciotti, Gruppo Abele e Libera; Albino Bizzotto, Beati i costruttori di pace; Tonio Dell'Olio, coordinatore di Pax Christi Italia; Feras Jabarin, imam di Colle Val d'Elsa; Moschea di Sorgane (Fi); Comunita' islamica di Centocelle (Roma); Casa della cultura islamica di Milano; Moschea Alsalam di Torino; Andrea Bigalli, rivista "Testimonianze"; Aldo Tarquini, padre domenicano parroco di San Domenico di Fiesole; Suore domenicane di Firenze e Livorno; Armando Zappolini, Coordinamento nazionale delle comunita' di accoglienza (Cnca); Fabio Corazzina, Pax Christi; Dario Bossi, Comboniani; Renato Sacco, Pax Christi; Missionarie comboniane di Verona; Giovanni Franzoni, Comunita' di San Paolo fuori le mura. 6. INIZIATIVE. VIA CRUCIS PORDENONE-AVIANO [Da molte persone amiche riceviamo e diffondiamo] Nel venticinquesimo anniversario del martirio del vescovo Romero, domenica 13 marzo 2005, continuiamo il nostro cammino di giustizia, di nonviolenza attiva, di costruzione quotidiana della pace, di custodia e rispetto dell'ambiente vitale, di spiritualita' incarnata nel mondo del materialismo invadente e pervasivo. Continuiamo questo cammino insieme agli impoveriti, agli oppressi, alle vittime per vivere con loro, coinvolti dal Vangelo, il protagonismo della liberazione e della vita. Il nostro cuore vive la compassione per tutte le vittime del pianeta comprese quelle del recente terremoto e maremoto del sud-est asiatico: esse ci rivelano la condizione di impoverimento e di precarieta' degli esseri umani e ci provocano alla ineludibile responsabilita' di prevenzione, di liberazione, di protezione e cura. Esprimiamo il nostro impegno quotidiano, oltre le emozioni temporanee, per la giustizia, l'equita' e una vera cooperazione che inizi finalmente con l'estinzione e la riconversione del debito in costruzioni efficaci di progetti di vita. Camminiamo da Pordenone alla base Usaf di Aviano per esprimere la piu' profonda preoccupazione e convinta contrarieta' a ogni forma di violenza, ai diversi terrorismi e alla guerra ritornata ad essere strumento normale per la risoluzione dei conflitti fra comunita', popoli, interi continenti. Sosteniamo la possibilita' di riconversione di armi, strutture, basi militari, di impiego di donne e uomini ora militari per interventi di prevenzione, di protezione, di soccorso, di costruzione di condizioni di vita umane, in una autentica cooperazione. Oggi, in modo ancor piu' chiaro, chiediamo la riconversione della base militare di Aviano in base per gli interventi di protezione civile, per l'accoglienza temporanea di persone in vario modo colpite; non piu' deposito di armi, perfino di armi atomiche, bensi' di viveri, di medicinali, di strumenti di lavoro; non piu' pista per i cacciabombardieri, bensi' per aerei da trasporto, di aiuto alla vita. Camminiamo per esprimere la liberazione dall'uso strumentale di Dio per l'inimicizia, la violenza, la guerra, per il fondamentalismo moralista che divide pregiudizialmente i buoni dai cattivi. Il Dio di Bush, il Dio di Bin Laden, il Dio delle radici cristiane evocate come chiusura difensiva e aggressiva nei confronti della diversita' dell'altro, sono una bestemmia del Dio della Bibbia che vive la compassione per i poveri e gli oppressi, e cammina con loro; del Dio di Gesu' che riunisce, non separa; che accoglie, non rifiuta; che libera dall'inimicizia, non la alimenta. Camminiamo contemplando il volto del Crocefisso per non distogliere mai lo sguardo dai crocefissi della storia; ripercorriamo la Via Crucis della sofferenza a causa dell'amore e della coraggiosa e coerente testimonianza; ci sentiamo sempre sulla strada di Emmaus e scrutiamo i compagni di viaggio per scoprire il volto del Vivente che ci accompagna e, con la parola della ragionevole speranza e il gesto concreto della condivisione, ci incoraggia ad essere perseveranti, coraggiosi nell'annuncio di "cieli e terra nuova" e soprattutto fedeli e coerenti nella testimonianza, giorno dopo giorno, nella quotidianita' della storia, nelle nostre comunita' locali, nell'appartenenza a tutta la famiglia umana. Camminiamo vivendo con profondita' la memoria del venticinquesimo anniversario del martirio del vescovo Romero e con lui di tutte le donne e gli uomini profeti e martiri: da lui, da loro riceviamo luce e coraggio. E' l'anniversario di chi ha dato la vita per la giustizia, la pace, la fraternita' e si pone proprio come alternativo all'anniversario del cinquantesimo anno della presenza della base Usaf di Aviano espressione del potere delle armi. Partenza alle ore 13 da Pordenone, piazzetta San Marco (duomo), conclusione alle ore 17,30 davanti alla base Usaf di Aviano. Un bus navetta riportera' i partecipanti a Pordenone. Per informazioni: tel. 0434578140, 0432560699, e-mail: viacrucis at beati.org 7. RIFLESSIONE. DONATELLA DI CESARE INTERVISTA JUERGEN HABERMAS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 febbraio 2005. Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario. Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta' di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa' italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi, della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti volumi: Ermeneutica della finitezza, Guerini, Milano 2005; Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990". Juergen Habermas, sociologo e filosofo tedesco, nato nel 1929, e' attualmente tra i piu' influenti pensatori contemporanei. Opere di Juergen Habermas: nella sua enorme produzione segnaliamo almeno Conoscenza e interesse (1968, tr. it. Laterza); Teoria dell'agire comunicativo (1981, tr. it. Il Mulino); Etica del discorso (1983, tr. it. Laterza); Il discorso filosofico della modernita' (1984, tr. it. Laterza). Opere su Juergen Habermas: un'agile introduzione e' il volumetto di Walter Privitera, Il luogo della critica. Per leggere Habermas, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996; una recente assai utile monografia complessiva di taglio introduttivo e' quella di Stefano Petrucciani, Introduzione a Habermas, Laterza, Roma-Bari 2000] Benche' affronti temi di attualita' politica, il nuovo libro di Habermas appena uscito da Laterza con il titolo L'Occidente diviso e' una profonda e originale riflessione filosofica che, seguendo il filo conduttore delle sue ultime opere, mentre disegna criticamente il panorama contemporaneo propone l'alternativa di una costituzione politica della societa' mondiale. Per il filosofo tedesco la scissione che segna trasversalmente i paesi occidentali e' stata provocata non dal terrorismo, ma piuttosto dalla politica degli Stati Uniti che dopo l'11 settembre hanno ignorato del tutto il diritto internazionale. La sua diagnosi e' pesante: in pericolo e' il progetto kantiano che mira alla abolizione dello "stato di natura" tra gli stati nazionali, cioe' l'iniziativa piu' grandiosa volta a civilizzare il genere umano, che oggi conoscerebbe, dunque, una crisi del tutto inedita. * - Donatella Di Cesare: L'occidente e' diviso: questa la tesi del suo libro. La divisione e' stata provocata dalle scelte del governo Bush che rappresentano una rottura inaudita capace di far saltare i vincoli stessi della civilta'. Il suo, dunque, e' un atto di accusa che non si limita pero' a tacciare di imperialismo la politica americana. Gli Stati Uniti, con il loro disprezzo per il diritto internazionale, ricadono nel "falso universalismo" degli antichi imperi che pretendevano di imporre agli altri i propri valori e le proprie forme di vita. Il che e' in contrasto stridente con l'universalismo democratico e con il vocabolario dei diritti umani. - Juergen Habermas: Il concetto di imperialismo ha perso oggi pregnanza; alcuni neoconservatori lo usano in senso affermativo. Quel che a me interessa e' il cambio di paradigma che il governo Bush ha introdotto nella politica estera americana: si e' passati dal "realismo" di Kissinger a un unilateralismo missionario. Un classico esempio di falso universalismo e' il modo in cui Bush ha giustificato la sua politica in Iraq. Ha messo da parte i principi e i metodi del diritto internazionale richiamandosi alla validita' generale che avrebbero i valori nazionali della tradizione americana. Evidentemente, Bush non riesce a immaginare che il proprio ethos politico, cosi' come lui lo intende, non si adatta a nessuna altra cultura. Quel che e' sbagliato e' supporre che ci sia un nucleo universale nella democrazia e nei diritti umani. E sbagliata e' l'arroganza cognitiva che consiste nel giudicare la propria causa dal proprio punto di vista. Carl Schmitt, di cui discuto la teoria politica nell'ultima parte del mio libro, denunciando ogni forma di fondazione universalistica ha buttato via il bambino con l'acqua sporca. Schmitt a mio avviso non ha capito l'importanza di un universalismo che miri a decisioni non di parte. Anche le procedure del diritto internazionale sono state introdotte con l'intento di far intervenire tutte le parti in causa, sollecitandole nello stesso tempo a considerare questioni controverse dalla prospettiva degli altri. Fin quando tutte le parti non avranno imparato a relativizzare la propria prospettiva rispetto a quella degli altri, non saranno in grado di risolvere i conflitti in modo imparziale. - Donatella Di Cesare: Lei dice piu' volte: non e' piu' la "mia" America. Ed esprime la speranza di un cambiamento. Ma cosa avverra' ora che Bush e' stato rieletto? - Juergen Habermas: La mia generazione, dopo la seconda guerra mondiale, ha avuto l'occidente, e l'America in particolare, come punto di riferimento culturale. Per me, che ho fatto sempre parte della sinistra filoamericana, la delusione e' tanto piu' grande. Ho seguito a Chicago l'ultima contesa elettorale da cui e' emersa la divisione culturale che squarcia la societa' americana. I modi di pensare piu' diffusi in Europa sono in una relazione di affinita' piu' che mai stretta con la parte liberale della societa' americana. Percio' gli sviluppi politici che ci saranno in Europa potrebbero avere un influsso, anche solo indiretto, sulla polarizzazione d'oltre Atlantico. - Donatella Di Cesare: Dopo il secolo americano quello appena iniziato dovrebbe essere - secondo i suoi auspici - un secolo europeo. Nell'appello firmato con Jacques Derrida e ripubblicato nel suo libro Il 15 febbraio, ovvero: cio' che unisce gli europei, lei indica nelle grandi manifestazioni di Londra, Roma, Madrid, Barcellona, Parigi, Berlino, il "segnale della nascita di un'opinione pubblica europea". Insomma, grazie a una identita' che si e' sempre articolata nelle differenze, l'Europa sembra sia per lei una sorta di laboratorio per nuove forme di governo transnazionale basate sulla solidarieta' civica. E' cosi'? - Juergen Habermas: No, io non sogno un secolo europeo. Ma una Europa che impari a parlare all'unisono in politica estera potrebbe forse contribuire a ricordare agli Stati Uniti il loro ruolo di battistrada verso una costituzione politica della societa' mondiale. Se si guarda alla integrazione europea, ci sono oggi ovviamente ben pochi motivi per essere ottimisti. Gia' le reazioni alla nostra piccola azione concertata, che lei ricorda, sono state molto deboli. I media dovrebbero fare si' che le opinioni pubbliche nazionali serrino le fila. Sono deluso soprattutto dallo zoppicante tandem Francia-Germania da cui non vengono piu' impulsi per la politica europea. Non vedo da nessuna parte una iniziativa energica volta a consolidare l'Unione Europea: essa dovra' differenziarsi all'interno per evitare che i passi futuri verso una estensione dei suoi confini ad est e sudest non le sottraggano ogni capacita' politica d'azione. - Donatella Di Cesare: Lei si e' battuto per una Costituzione dell'Unione Europea che e' stata firmata dopo la stesura del suo libro. Cosa ne pensa ora, dopo la firma? - Juergen Habermas: La ratifica della Costituzione da parte del Parlamento Europeo non significa gran che. E il processo successivo puo' contribuire ad affinare l'identita' europea tra i cittadini solo se verra' evitato ogni referendum. A tal fine dovra' esserci una mobilitazione sufficiente. Alcuni governi hanno scelto la via di una campagna nazionale. Cosi' ha fatto ad esempio l'Inghilterra dove ora come ora e' possibile che, in caso di referendum, voterebbero un rifiuto. In questo caso si esporrebbe la Costituzione a un fallimento. Non possiamo non guardare con ansia a quel che succedera'. - Donatella Di Cesare: La guerra in Iraq - come lei nota - ha approfondito le divisioni gia' presenti tra i diversi paesi europei. Il caso dell'Italia mi sembra particolarmente significativo anche per la schizofrenia che sussiste tra la vocazione europeista di molti cittadini e la politica del governo palesemente filoamericana. Quale ruolo dovrebbe svolgere per lei l'Italia, dato che non fa parte di quello che chiama il "nucleo d'Europa", cioe' di quei paesi che avranno un ruolo politico piu' attivo? - Juergen Habermas: Se mi permette l'osservazione, il fenomeno Berlusconi, visto dall'esterno, e' molto irritante: la cultura politica del suo paese sembra modificarsi sempre piu' profondamente sotto il regime di questo imprenditore mediatico di successo. Ma l'Italia resta una democrazia e, se la depoliticizzazione di una societa' sempre piu' riorientata verso altri valori non sara' andata troppo avanti, possiamo ancora sperare che ci sia presto un governo guidato dall'europeista Prodi. A Roma le proteste di massa contro la guerra in Iraq non sono state meno imponenti che a Madrid, dove il governo Aznar ha avuto la risposta che meritava. Un nucleo, o un gruppo di paesi, che dovesse costituirsi all'interno dell'Unione Europea non sarebbe concepibile senza l'Italia. * - Donatella Di Cesare: Leggendo il suo libro mi hanno sorpreso alcune affermazioni che lei fa sul modo in cui la Germania sta elaborando il proprio passato. "Il marchio della Shoah si e' trasformato in un monito universale". Cosi' la "politica della memoria" contribuirebbe a isolare le posizioni della estrema destra e sarebbe un antidoto per l'antisemitismo sempre in agguato, per quanto - lei dice - meno violento che altrove. Non voglio soffermarmi qui ne' sulle vette raggiunte ultimamente dall'estrema destra ne' su quei numerosi rigurgiti di antisemitismo che anche in Germania si nascondono dietro l'antiamericanismo. Le chiedo pero' di indicare le responsabilita' dell'Europa: cosa ha fatto per arginare il conflitto fra israeliani e palestinesi? Non e' stata questa una grande occasione mancata? E come puo' l'Europa presentarsi da autorevole protagonista sulla scena mondiale se Auschwitz, la cesura che e' al suo centro, riaffiora ovunque nelle forme piu' radicate dell'odio razziale? - Juergen Habermas: Lei tocca qui un punto dolente di cui non possiamo fare a meno di parlare. E giustamente distingue anche tra l'eredita' antisemitica dell'Europa e la responsabilita' specifica che noi abbiamo in Germania per lo sterminio degli ebrei europei e per le conseguenze prodotte da questa frattura della civilta'. L'antisemitismo e' il parto dell'Europa cristiana e nazionalista, divenuta alla fine anche razzista. Il fatto che dopo Auschwitz, in alcuni paesi europei, non siamo ancora riusciti ancora a rompere radicalmente con questo modo di pensare resta davvero una tara. Anche percio' gli Stati Uniti godono in Israele di una fiducia maggiore di quanta non ne abbia l'Europa, di cui si teme una presa di posizione a favore della parte araba. A prescindere dalla incapacita' degli europei di assumere una posizione comune, gli Stati Uniti sono stati fino a poco fa l'unica potenza che abbia potuto esercitare un influsso sulla soluzione del conflitto tra israeliani e palestinesi, perche' vengono accettati come gli unici mediatori. Tanto piu' dobbiamo sforzarci in Europa non solo di prevenire l'odio razziale, l'antisemitismo e la xenofobia nella famiglia e nella scuola, non solo di affrontarli nel dibattito politico, ma anche di opporci con coraggio civile per le strade e nelle piazze. Per quanto riguarda la Germania, qui gli stessi pregiudizi e gli stessi casi di antisemitismo assumono un peso ben diverso da quello di ogni altro paese. Dobbiamo tener conto della diffusione dell'antisemitismo che riguarda il 15% della popolazione. Fin quando questo potenziale e' rimasto nell'ombra, o e' stato risucchiato dai partiti democratici, il problema non si e' posto. Ma ora e' sorto un clima di paura sociale. Forse anch'io ho sottovalutato le conseguenze derivanti dal rigetto di un processo di riunificazione non riuscito. In ogni caso, i neonazisti puntano sempre a "successi" raggiunti con colpi spettacolari. La questione politicamente decisiva sorgera' quando questi pregiudizi razziali avranno voce in capitolo nella societa'. Sembrano purtroppo contribuire a cio' il pubblico cordoglio per i caduti di guerra in Germania, avvenuto con ritardo, e un asfittico antiamericanismo che con la guerra in Iraq ha avuto un nuovo impulso. Siamo ancora al di qua o siamo gia' al di la' di quello spartiacque oltre il quale i pregiudizi di cui parliamo rischiano di trovare eco nella societa'? Sono sempre abbastanza ottimista per quel che riguarda la forza della vecchia Repubblica federale. Ma lei ha assolutamente ragione: si puo' auspicare capacita' di azione politica solo per una Europa che vede chiaro in se stessa quanto basta. Altrimenti finira' per riprodurre all'esterno i conflitti interni. * - Donatella Di Cesare: Lei riprende il progetto kantiano di una "condizione cosmopolitica". Ma in che cosa poi se ne allontana? - Juergen Habermas: La parte centrale del libro e' costituita da un lungo saggio sullo sviluppo del diritto internazionale in cui cerco di difendere l'idea kantiana di un passaggio dal diritto degli stati al diritto cosmopolitico contro idee opposte, soprattutto contro la visione neoconservatrice del liberalismo egemonico e contro la concezione elaborata da Carl Schmitt. Kant ha dato alla sua idea due forme diverse; io considero troppo forte la forma della "repubblica mondiale" e troppo debole quella della "lega dei popoli". Kant era affascinato dai due modelli di repubblica che proprio allora erano nati dalla rivoluzione americana e da quella francese. E poteva immaginarsi un ordine cosmopolitico solo come uno stato costituzionale democratico in grande formato oppure come una associazione, liberamente scelta, di singole repubbliche. La chiave per una concezione che eviti i lati deboli di entrambi i modelli sta, per me, nella idea di una politica interna mondiale senza governo mondiale. Ma per trovare le forme giuste di un "governo al di la' dello stato nazionale" occorre separare al livello della organizzazione sovrastatale i tre elementi che nello stato nazionale sono intrecciati. Nello stato nazionale sono infatti fusi insieme: la costituzione politica che garantisce a tutti i cittadini la stessa autonomia privata e pubblica, l'apparato burocratico dello stato che traduce la volonta' politica dei cittadini e dei loro rappresentanti e infine la coscienza della solidarieta' fra i cittadini di uno stato che sanno di essere membri della stessa comunita' politica. Per contro, le organizzazioni internazionali possono avere una costituzione senza assumere il carattere della autorita' statale. E la solidarieta' che ci si aspetta dai cittadini dell'Unione Europea e dai cittadini del mondo puo' essere molto piu' astratta e modesta di quanto non sia la coscienza nazionale. Se si intuisce come questi elementi siano separabili, si potra' capire meglio la possibilita' di un "governo transnazionale". - Donatella Di Cesare: Le tendenze della globalizzazione sembrano assecondare la progressiva costituzionalizzazione del diritto internazionale e favorire dunque un ordinamento cosmopolitico, non le pare? - Juergen Habermas: In una societa' mondiale che, pur crescendo unitariamente si e' differenziata, i problemi che superano i confini e che non possono piu' essere risolti nell'ambito dei singoli stati sono sempre piu' numerosi. Sono problemi che richiedono coordinamento, cooperazione e la formazione di una volonta' politica comune al di la' dei confini nazionali. Mi immagino una societa' mondiale costituita politicamente come un sistema a piu' livelli. Al di la' degli stati nazionali si erge gia' oggi l'organizzazione mondiale delle Nazioni Unite. Tra questi due livelli, pero', non e' stato ancora sufficientemente sviluppato il livello transnazionale, quello cioe' della formazione di una volonta' politica comune. A questo scopo una Unione Europea, divenuta capace di agire in politica estera, potrebbe fornire un buon esempio. Su questo piano i governi continentali, che in tutte le parti del mondo potranno formarsi accanto a potenze mondiali come gli Stati Uniti o la Cina, dovranno costituire sistemi di negoziati per affrontare i problemi della politica interna dei vari stati. Penso soprattutto ai problemi dell'economia mondiale e dell'ecologia globale. Certo ci sarebbero ancora residui di quella politica di potere che ci e' ben nota nelle relazioni internazionali. Ma almeno i global players perderebbero quel diritto alla guerra che una volta era possesso degli stati sovrani. Sarebbero infatti membri di una comunita' internazionale che al livello sovranazionale avrebbe assunto la forma di una organizzazione delle Nazioni Unite riformata. Non e' necessario mutare l'Onu in un governo mondiale che abbia il monopolio della forza per far si' che svolga le due funzioni essenziali di assicurare la pace e affermare nel mondo i diritti umani. In questo modo ne risulterebbe, alla fine, alleggerito il livello sovranazionale della politica in senso stretto. 8. LETTURE. AA. VV., LA FECONDAZIONE ASSISTITA AA. VV., La fecondazione assistita. Riflessioni di otto grandi giuristi, Corriere della sera, Milano 2005, pp. 204, euro 1 (in supplemento al "Corriere della sera"). Edito in collaborazione dalla Fondazione Umberto Veronesi e dalla Fondazione Corriere della sera, il volume presenta, dopo la prefazione di Veronesi e l'introduzione di Maurizio De Tilla, interventi di Pietro Rescigno, Enrico Quadri, Alfonso Celotto, Luigi Balestra, Gilda Ferrando, Salvatore Patti, Guido Alpa, Alessandra Bellelli. Un testo di grande interesse. 9. LETTURE. LISA FOA: E' ANDATA COSI' Lisa Foa, E' andata cosi', Sellerio, Palermo 2004, pp. 216, euro 9. Lisa Foa - recentemente scomparsa - in queste "conversazioni a ruota libera" racconta (sollecitata da Brunella Diddi e Stella Sofri, che hanno curato anche l'edizione del libro) la sua vita di straordinario impegno civile. Una lettura di grande suggestione. 10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 11. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 867 del 13 marzo 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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