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Nonviolenza. Femminile plurale. 1
- Subject: Nonviolenza. Femminile plurale. 1
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Thu, 3 Mar 2005 12:32:54 +0100
============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Numero 1 del 3 marzo 2005 In questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Donne e azione diretta nonviolenta 2. Benito D'Ippolito: Dieci parole della nonviolenza in dieci profili di costruttrici di pace 3. Lea Melandri: Il femminismo e' ancora in silenzio? 4. Ileana Montini: Il grande silenzio 5. Catrin Dingler: Nel vento infernale la parola dell'amore 6. Tommaso Losavio ricorda Franca Ongaro Basaglia 7. Rocco Canosa ricorda Franca Ongaro Basaglia 1. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: DONNE E AZIONE DIRETTA NONVIOLENTA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Il sessismo e' ovunque, ma puo' essere sorprendente il modo in cui spunta in campagne ed azioni che dichiarano di essere nonviolente. Le donne possono avere un'esperienza molto diversa, rispetto all'azione, di quella che gli uomini fanno, percio' e' importante che discutiate insieme la cosa. Il sessismo esplicito nelle campagne per il cambiamento sociale e' davvero raro (usualmente non viene tollerato) ma si manifesta in numerosi modi piu' "sottili", quali il machismo, la competizione e il linguaggio militare. L'azione diretta e' a rischio di machismo quando implica stereotipi del tipo "eroico": tentate di evitarli. La cooperazione, l'inclusione e la resistenza faranno assai di piu', per la campagna, degli atti sporadici di un'eroica elite. Quando notate che ad organizzare l'azione ci sono molti piu' uomini che donne cominciate ad interrogarvi subito sulla faccenda, perche' piu' tempo passa piu' sara' difficile riequilibrare la bilancia di genere. Se lo sbilanciamento e' ingente, puo' accadere che si innesti una spirale di sessismo incontrollabile, con le donne che finiscono per abbandonare il progetto: perche' si sentono schiacciate da attitudini e comportamenti che non condividono e perche' anche se li fanno notare non vengono ascoltate (o peggio ancora vengono ridicolizzate). Spesso, inoltre, quelle che si permettono di chiedere un cambiamento vengono deluse dalla mancanza di sostegno di altre donne presenti (le quali hanno per esempio deciso che per essere prese in considerazione devono essere aggressive, competitive e "dominanti" quanto i loro compagni, oppure che e' meglio ottenere l'approvazione degli uomini tacendo). Avete mai notato quanti "campi di protesta", quante campagne, quante azioni, cascano con facilita' estrema negli stereotipi di genere, con le donne che cucinano, puliscono, mettono in ordine? Attenzione: cucinare e pulire eccetera sono cose importanti, e proprio per questo vanno condivise fra tutti e tutte. Avete mai notato quanto frequentemente gli uomini interrompono e cercano di schiacciare i loro interlocutori durante una discussione? E avete mai notato che ad essere interrotte e zittite sono soprattutto donne? Gli uomini dovrebbero cominciare a farsi carico del problema, ed apprendere a rispettare i contributi altrui, maschili e femminili, in eguale misura. Il rispetto delle differenze e' il livello minimale per avere un buon dialogo preparatorio ad una buona azione, il livello ottimale e' il pieno dispiegamento (e la celebrazione) di tutti i talenti e le capacita'. Se entrate nella "visione tunnel", ovvero in quel tipo di attitudine che vi permette di vedere un solo aspetto del vostro lavoro e di sacrificare ad esso qualsiasi istanza venga sollevata, come viene sacrificata sistematicamente l'istanza di genere, la qualita' del vostro modo di comunicare ne soffrira' all'interno come all'esterno. A volte gli uomini guardano con un po' di sospetto le azioni di sole donne, o le criticano come "separatiste": gruppi di attiviste di diversi paesi, europei e non, mi hanno confermato che spesso si tratta di una scelta obbligata. Aprirebbero volentieri molte loro azioni al contributo degli uomini, ma quando lo fanno non riescono ad avere risultati, vengono spinte ai margini, o il senso dell'azione viene snaturato completamente. Se vogliamo avere successo nello sconfiggere la violenza, che si annida e si alimenta nel sistema patriarcale, allora dobbiamo cominciare da noi stesse e noi stessi. I commenti sessisti durante una riunione sono offensivi per tutte le donne, vi prego di credermi, anche per quelle che ne ridono o dicono che in fondo non importa. A scena chiusa, chissa' perche', vengono a lamentarsene con la femminista di turno (si', mi capita spesso), invece di aprire un sano e produttivo conflitto nei loro luoghi e con i loro amici. Questo resta senz'altro compito loro, ma il compito di smettere di metterle a disagio e' degli uomini. * Un'altra parte della questione concerne le molestie sessuali e i commenti osceni che le donne possono ricevere durante un'azione da polizia, eventuali oppositori, passanti. Denunciare legalmente questo tipo di violenza e' importante, ma assai piu' importante e' che vi sia durante l'azione forte solidarieta' e sostegno fra le donne presenti. Se alla prima scemenza un bel mucchio di donne circonda l'offensore e lo "svergogna", e' probabile che gli altri faranno piu' attenzione a quel che fanno e dicono, e persino (a me e' capitato) che il macho venga ripreso dai suoi stessi colleghi. E' anche importante che gli attivisti presenti non peggiorino la situazione con reazioni del tipo: "Tu non tocchi la donna mia!", che risultano abbastanza umilianti per la donna molestata, ridotta a campo di battaglia fra due persone che credono di poter disporre di lei a loro piacimento. Anche se uno lo crede per "potere" e l'altro lo crede per "amore", vi assicuro che la donna presa nel mezzo si sente come un calzino usato. La giustizia, l'equita', il rispetto, il dialogo, il cambiamento: se non sono parole vuote, ognuna di esse comincia a casa propria. 2. MAESTRE. BENITO D'IPPOLITO: DIECI PAROLE DELLA NONVIOLENZA IN DIECI PROFILI DI COSTRUTTRICI DI PACE [Da "La nonviolenza è in cammino" n. 597. Benito D'Ippolito e' uno dei principali collaboratori del Centro di ricerca per la pace di Viterbo] Etty Hillesum, o la forza della verita' Scegliere il bene, pensare col cuore, condividere il dolore, avere cura degli afflitti, totalmente ripudiare la violenza, rifiutare la salvezza per se' che affoga gli altri. Fare la scelta della compassione in nulla cedere al male salvare tutti dinanzi all'orrore salvare almeno l'umanita' futura. * La coscienza di Virginia Woolf Alla corsa per l'accaparramento sottrarsi, e preferire altro sentiero, la propria autonomia l'uso corretto delle tre ghinee l'analisi serrata che connette e smaschera per sempre il maschilismo, il fascismo, la guerra. E la guerra, il fascismo, il maschilismo combattere con voce e forme proprie trovando in se' la stanza denegata. E' questo che chiamiamo nonviolenza. * Maria Callas inventa l'amore E' la voce che chiama e che trae fuori dal gorgo verso la salvezza. E' la voce che rompe del niente il deserto, che la solitudine svela, e consente che l'io si faccia noi. * Cathy Berberian, la festa dell'umanita' Era sapiente di tutte le sapienze parlava tutte le lingue, sapeva e sapeva fare tutto. Scioglieva in canto una voce che incantava ed al convivio ed alla convivenza l'umanita' chiamava intera a festa. * La sobrieta' di Rosa Luxemburg Quando e' normale prendere il fucile e strappare la vita alla gente allora la galera e' il posto giusto per le persone giuste, e li' era Rosa. Quando e' normale che la gente buona per prima venga presa e assassinata per prima Rosa viene data ai pesci. Ma questa norma dei vampiri Rosa insegno' a smascherare, a contrastare, per costruire un mondo non piu' barbaro in cui normale sia esser d'aiuto. * La giustizia secondo Hannah Arendt Sempre all'opposizione, sempre nitida nella ricerca della verita'. E sempre innamorata e sempre agile nell'inseguire i pensieri fino in fondo come riflessi nelle acque cangianti vivi guizzanti pesciolini d'oro. Sempre nemica dei poteri assassini sempre nemica dell'astratto che uccide, sempre il dialogo e lo spazio politico in cui si possa vivere da umani pronta a tessere di nuovo, a ragionare, invito al concreto, invito al vivo incontro. Del nascere il miracolo incessante, il gesto morale del pensare, la liberta' fondata sul dialogo, nessuno seppe dire come lei nssuno come lei seppe donare. * Simone de Beauvoir, maestra di liberazione Cosa sarebbe la Francia che amiamo senza i libri di Simone de Beauvoir? Cosa sapremmo senza quei libri di cio' che conta del pensiero e della vita d'Europa del secolo ventesimo? Ma soprattutto quante lotte sarebbero state sconfitte e cancellate senza la voce del Castoro, senza la sua presenza, la sua dedizione? Ci insegno' tutto in verita' e in errore Simone de Beauvoir: l'ascolto e l'arte della parola, e l'essere vicini - che e' l'unica cosa che conta. * Luce Fabbri, il potere di tutti La prima scoperta fu la guerra: l'orrore sovrano che uomini accettassero di uccidere e di essere uccisi. L'intera vita dedico' alla lotta contro la guerra, contro ogni oppressione, per un'umanita' di liberi ed eguali. Se avra' l'umanita' degno un futuro come nel canto comunardo e' detto e se tanto dolore avra' riscatto nell'internazionale futura umanita', in quel futuro che e' gia' compresente ogni volta che fai l'azione buona ci attende luminosa Luce Fabbri. * Frida Kahlo, della bellezza Sognare tutti i sogni, raccontare di se' e di tutti il volto e il cammino. Rosa gelata, fiore appena nato felicita' promessa a tutti e data per sempre nel piu' lieve dei sussurri. * Simone Weil e la persuasione Una cosi' profonda liberta' nessuno deve averla mai provata ed un cosi' profondo lucido strazio. Maestra di attenzione e verita' che tutti rovescia i pigri pregiudizi e tutte combatte le intime vilta'. Figura dell'umanita' lo specchio e l'enigma piu' chiaro l'ardua la cruda la candida e lucente incandescente nonviolenza in cammino fatta donna. 3. RIFLESSIONE. LEA MELANDRI: IL FEMMINISMO E' ANCORA IN SILENZIO? [Dal quotidiano "Liberazione" del 10 dicembre 2004 riprendiamo il seguente articolo di Lea Melandri che ha dato luogo a una vivace, corale, dialogica riflessione. Lea Melandri, nata nel 1941, acutissima intellettuale, fine saggista, redattrice della rivista "L'erba voglio" (1971-1975), direttrice della rivista "Lapis", e' impegnata nel movimento femminista e nella riflessione teorica delle donne. Opere di Lea Melandri: segnaliamo particolarmente L'infamia originaria, L'erba voglio, Milano 1977, poi Manifestolibri, Roma 1997. Cfr. anche Come nasce il sogno d'amore, Rizzoli, Milano 1988; Lo strabismo della memoria, La Tartaruga, Milano 1991; La mappa del cuore, Rubbettino, Soveria Mannelli 1992; Migliaia di foglietti, Moby Dick 1996] I movimenti "rivoluzionari", quando sembrano essersi eclissati dalla scena storica o spariti del tutto, si lasciano generalmente dietro un alone di mistero, un residuo fantasmatico che puo' risultare persino piu' inquietante della loro presenza. Il femminismo, inspiegabilmente silenzioso su questioni che lo interpellano direttamente, come la legge sulla fecondazione assistita, l'aumento della violenza sulle donne nel mondo, la mercificazione dei corpi, della sessualita' e delle storie personali, continua a essere evocato da voci diverse e contrastanti della cultura maschile: chi lo rimpiange, chi lo vede dissolto in un generale processo di "femminilizzazione" della societa', chi lo sospetta insidiosamente presente nel "disordine" sessuale che minaccia la famiglia. Nessuno sembra davvero interessato a sapere che cosa si agita dentro la fitta rete dell'associazionismo femminile, nella produzione di studi, convegni, iniziative politiche che oggi vedono impegnate molte piu' donne che negli anni '70, sia pure con uno strano effetto carsico dovuto alla grande diversificazione e in molti casi a una dichiarata autoreferenzialita'. Tenendo conto di questa ambigua presenza/assenza, la domanda potrebbe essere allora formulata in un altro modo, piu' consono alla anomalia di un movimento che ha inteso portare la sua sfida politica fin dentro i territori oscuri della "persona", della memoria del corpo e delle formazioni inconsce: il femminismo e' ancora una pratica di modificazione di se' e del mondo? * Anche in passato il movimento delle donne ha avuto anime diverse, ma erano, per cosi' dire, passionalmente in contrasto, spinte a incontrarsi dal bisogno di trovare un "punto di vista", un'angolatura da cui analizzare il rapporto tra i sessi, e produrre effettivi cambiamenti al riguardo. Rileggendo il libro appena ristampato, Dal movimento femminista al femminismo diffuso. Storie e percorsi a Milano dagli anni '60 agli anni '80 (a cura di Annarita Calabro' e Laura Grasso, edito dalla Fondazione Badaracco e da Franco Angeli), appare chiaro che la differenziazione ricalcava allora i poli opposti e complementari di una dialettica nota: sfera personale e sfera sociale, sessualita' e politica, psicanalisi e marxismo. A tenere insieme le donne in convegni nazionali affollatissimi si puo' pensare che fosse il bisogno di interezza: non si poteva dividere il corpo dal pensiero, il privato dal pubblico, l'amore dal lavoro, la famiglia dallo Stato, il conflitto tra i sessi dal conflitto di classe, e cosi' via. Ci si muoveva, in altre parole, dentro una complementarieta' rivisitata criticamente, che rendeva necessarie le une alle altre. C'era un corpo a corpo fatto di frequentazioni quotidiane, di scontri violentissimi, di prese di posizione diversificate, di avvicinamenti e allontanamenti. Tutto fuorche' l'indifferenza. La possibilita' di contrastarsi, non era solo tollerata, ma ritenuta indispensabile per intaccare ragioni inconsapevoli di consenso, adattamento a modelli imposti e interiorizzati come propri. * Oggi le differenze, all'interno del femminismo, si sono moltiplicate ma stanno sullo stesso piano di realta', hanno un denominatore comune che e' la vita pubblica, i suoi saperi, i suoi linguaggi, le sue professioni, le sue gerarchie. Ad omologarle e' una cultura che ha integrato nuovi contenuti ma che conserva in parte il suo impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla soggettivita' incarnata. Si ha l'impressione che, pur mantenendo ferma la presunta neutralita' del loro pensiero, gli uomini siano andati molto piu' avanti nell'analisi del rapporto natura-storia, individuo-collettivita'. I diversi "femminismi" oggi non confliggono tra loro, ne' sentono il bisogno di confrontarsi, perche' riproducono nel loro insieme quel mosaico o quella babele che e' la societa' attuale, con le sue molteplici funzioni. Ci sono gruppi, centri, associazioni della piu' varia specie - la Societa' delle storiche, delle letterate, delle giuriste, delle scienziate, ecc. - che lavorano bene in ambiti specifici, ma mostrano tutta la loro debolezza quando sono costrette a incontrarsi intorno a un fenomeno che le implica tutte, come ad esempio la legge sulla fecondazione assistita. La mia impressione e' che, nonostante si continui a scrivere, parlare e incontrarsi, ci sia comunque un grande silenzio: per tutto cio' che delle vite, dei rapporti con l'uomo e con le altre donne, non si riesce piu' a nominare, per paura di ulteriori divisioni, o per paura di perdere anche le persone piu' vicine. Per un movimento che e' partito dalle problematiche del corpo e della sessualita', non riuscire a parlare dell'invecchiamento, della malattia, della morte, dei problemi legati alla cura (di un figlio, un marito, un genitore anziano), del rapporto con le donne straniere che vivono nelle nostre case, e' senza dubbio una resa, una sconfitta. Lo stesso si puo' dire della difficolta' a esprimersi su un fenomeno drammatico e vistoso come la riduzione delle persone a nuda corporeita' (i corpi devastati dalla fame, dalla guerra, dalle malattie, dalle migrazioni), a pornografia, a sommatoria di organi. * Il fatto che ci siano tanti temi, tante problematiche di ordine privato e pubblico all'attenzione del femminismo oggi, non significa maggiori capacita' modificative di se stesse e dell'esistente. Invece di uno slogan ormai svuotato di contenuti, come il "partire da se'", dovremmo forse provare a chiederci se e quali cambiamenti produce la relazione con le altre donne (divenuta piu' solida, piu' continuativa, direi quasi "istituzionalizzata"), se ci sono ancora interrogativi, desideri di conoscenza e di cambiamento legati alle nostre vite, che li', nella riflessione collettiva, possono trovare risposte, se il separatismo e' diventato solo una rassicurazione - di appartenenza, identita', storia comune -, o se e' ancora il luogo di modificazioni effettive, riguardo al modo di pensarsi, sentirsi e agire nel mondo. Una delle novita' piu' interessanti dei seminari sull'eredita' del femminismo, che si sono tenuti in questi ultimi anni tra Milano e Roma, e' stata la presenza attiva di generazioni diverse, che ha permesso di confrontare esperienze, ma anche di capire che cosa e' passato di quell'intreccio originale di teoria e pratica che ha caratterizzato il movimento delle donne ai suoi inizi. Un tema ricorrente, proposto dalle piu' giovani, e' stato il rapporto tra femminismo e femminile. Il riferimento era in particolare ai modelli di femminilita' che compaiono nella pubblicita', nei media, nei consumi, ma lo si potrebbe estendere a quella parte di esperienza personale che, per la generazione degli anni '70, e' tornata ad essere un "privato" indicibile e che, per le piu' giovani, non e' mai stata al centro di una pratica politica. 4. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: IL GRANDE SILENZIO [Dal sito de "Il paese delle donne" (www.womenews.net) riprendiamo questo intervento di Ileana Montini. Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it), prestigiosa intellettuale femminista, gia' insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per "L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain" di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle" insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne". Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa, scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani, Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani, Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha redatto il progetto e curato la supervisione delle operatrici: titolo: "... ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione, insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir". Ha recentemente pubblicato, con altri coautori, Il desiderio e l'identita' maschile e femminile. Un percorso di ricerca, Franco Angeli, Milano 2004. Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia Menapace e Rossana Rossanda] Girovagando per internet ho trovato lo scritto di Lea Melandri intitolato Il femminismo e' ancora in silenzio, di grande interesse. Secondo Lea il femminismo e' inspiegabilmente silenzioso su questioni prioritarie come la legge sulla fecondazione assistita, l'aumento della violenza sulle donne nel mondo, la mercificazione dei corpi e, aggiungerei, l'assenza, soprattutto in Italia, dalla scena politica pubblica. Si potrebbe pensare che il raggiungimento di alcuni obiettivi, come una generalizzata presenza nelle sedi dell'istruzione fino ai livelli piu' alti, una maggiore possibilita' per le donne di accedere a professioni una volta frequentate soltanto dagli uomini, il diritto, teorico, a lavorare e a diventare anche presidente della Repubblica, abbia acquietato gli animi. In fondo il femminismo "militante" ha a suo tempo interessato donne che non avevano avuto queste possibilita' o, a fatica, cominciavano ad averle. Puo' darsi che ci siano giovani, qua e la', che partecipano a qualche sparuto seminario femminista, ma, in genere si dicono con forza non femministe e magari guardano alla storia del femminismo con sincera diffidenza. Vivono la "parita'" con i coetanei nell'abbigliamento, nella liberta' di movimento, nell'accesso agli studi, nella sessualita', ma sono terribilmente tradizionali nei rapporti amorosi. Del resto come le loro mamme ex femministe. Chi esercita la professione di psicologa sa bene come le novelle cinquantenni o sessantenni stanno riproducendo comportamenti tradizionali nei rapporti con l'altro sesso e i figli. Di fronte, in poltrona o sul lettino ci stanno sempre di piu' donne che manifestano un'anima contraddittoria: sono femministe nella mente e nel cuore, non lo sono nei comportamenti con l'altro sesso e nella vita. Se sono innamorate lo sono al modo antico: idealizzano l'altro, vi si appoggiano o si fanno compagne-amanti-madri. Oppure diventano delle ancelle che lo servono devotamente. Forse, a differenza di un tempo, vivono piu' spesso male l'incoerenza e finiscono per produrre sintomi di vario genere, nel corpo e nella psiche. * Lea Melandri si chiede: "il femminismo e' ancora una pratica di modificazione di se' e del mondo?". Probabilmente no e forse non e' neanche importante che lo sia, per cosi' dire, di persona. Ma e' invece un po' sconvolgente constatare che oggi la cultura "conserva in parte il suo impianto tradizionale, le sue cancellazioni, le sue cesure, rispetto alla soggettivita' incarnata". E, soprattutto, scrive ancora Lea, "la mia impressione e' che, nonostante si continui a scrivere, parlare e incontrarsi, ci sia comunque un grande silenzio: per tutto cio' che delle vite, dei rapporti con l'uomo e con le altre donne, non si riesce piu' a nominare, per paura di ulteriori divisioni, o per paura di perdere anche le persone piu' vicine. Per un movimento che e' partito dalle problematiche del corpo e della sessualita', non riuscire a parlare dell'invecchiamento, della malattia, della morte, dei problemi con le donne straniere che vivono nelle nostre case, e' senza dubbio una resa, una sconfitta". Il silenzio su questi temi corrisponde all'assenza e al disinteresse delle donne per la politica. Ho sentito femministe replicare che pero' le donne fanno tante cose, hanno interessi che "dal basso" possono influenzare la politica. Non e' il vecchio modo di pensare, ovvero di giustificarsi? O di ritagliarsi, e accontentarsi, come vuole la tradizione patriarcale, dell'esercizio del potere all'interno delle quattro mura di casa? Ho sentito femministe affermare che non ci si puo' trovare a proprio agio nell'agone politico dove i maschi si scannano come e peggio del solito anche a sinistra. Tutto vero: poco e' cambiato, se non in peggio, nei comportamenti dei politici di professione e le donne, pochissime, che ne condividono le sorti parlano e gesticolano, sono competitive, come i loro colleghi. Proprio come una volta, quando c'era la Dc. * Ma intanto il fare-politica continua a essere ostico alle donne. Certo gli uomini evitano accuratamente di fare posto alle donne, ma accusarli di averne la totale responsabilita' e' perlomeno infantile. Le donne non fanno politica perche' sono piu' buone, piu' brave e piu' sensibili, insomma diverse? E' il latente messaggio che sta circolando tra noi. Ma risulta semplificatorio quanto quello che voleva le donne incapaci di effettuare, per esempio, la tortura, come abbiamo dovuto constatare di recente essere avvenuto in Iraq. E come gia' era accaduto nei lager nazisti. Probabilmente l'assenza dalla politica deve essere ricondotta anche al permanere di una cultura fortemente tradizionale alla quale, in definitiva, non ci si puo' facilmente sottrarre. Ecco, questa difficolta' di sottrazione, questa forza della tradizione culturale di un paese, l'abbiamo, forse, sottovalutata. E' vero che i compiti di cura pesano ancora, soprattutto in Italia, sulle spalle delle donne. Ma la tradizione ha un peso forse ancora maggiore. Il modo di pensare e di agire e' ancora contrassegnato dalla divisione sessuale dei ruoli e da una mentalita' che vuole le donne, secondo natura, inferiori e non adatte a compiti di responsabilita' pubblica. Il femminismo ha favorito i comportamenti camerateschi dei giovani, ma non ha scalfito abbastanza il pregiudizio dell'inferiorita' o della superiorita' biologica. Le donne giovani sono piu' intraprendenti nell'assumere l'iniziativa e scoprono la fragilita' psicologica dei maschi, ma poi non sanno reggere una relazione con sufficiente autostima. La fragilita' maschile allo scoperto e' forse uno dei motivi dell'aumento della violenza fisica e sessuale contro le donne anche in famiglia, proprio perche' la tradizione impone che sia una vergogna che va riparata. Ho sentito una nonna sessantenne riportare le affermazioni del nipote gia' quando aveva poco piu' di tre anni: "io sono un maschio! ripeteva con orgoglio". E che dire dei giocattoli ancora fortemente divisi per sesso e riproducenti i ruoli nel privato e nel pubblico? Appunto, esprimono un sentire, un'aspettativa, una direzione di vita individuale e sociale quasi per nulla mutati. Forse dovremmo cominciare a fare i conti con parole come complicita' o collusione. E, come invitano a fare i libri della psicoanalista Anna Salvo, con il rapporto madre-figlia, senza dimenticare peraltro la piu' studiata, dagli uomini, relazione madre-figlio. 5. RIFLESSIONE. CATRIN DINGLER: NEL VENTO INFERNALE LA PAROLA DELL'AMORE [Dal quotidiano "Il manifesto" del 27 febbraio 2005. Catrin Dingler scrive su "Per amore del mondo", la rivista della comunita' filosofica femminile Diotima (sito: www.diotimafilosofe.it)] L'orizzonte e' coperto di nero. Le bandiere di pace hanno perso colore, sbiadite e arruffate pendono nel vento. Un vento di guerra, una tempesta di immagini terribili, scandalose, insopportabili. Rischiamo di essere travolte, senza nulla speranza. In questa bufera infernale l'ultimo numero della rivista "Dwf" invita a riflettere sul canto V della Divina commedia. Il canto in cui una donna, Francesca, prende la parola e parla d'amore; l'amore che "non porta a visioni consolatorie ma piuttosto a indagare tensioni e contraddizioni della realta'", come sottolineano le curatrici del numero, Rosetta Stella e Federica Giardini, nella nota introduttiva. In effetti, nella bufera infernale sono le donne che cercano "la forza di sottrarsi alla forza", come ha scritto Luisa Muraro sul "Manifesto" qualche tempo fa, e le parole per parlare d'altro - dell'amore appunto. Ne ha parlato gia' nell'autunno scorso, prima sulle pagine di questo giornale e poi in una lezione al "grande seminario" della comunita' filosofica Diotima di Verona (che riproporra' giovedi' prossimo alla Casa internazionale delle donne di Roma), Ida Dominijanni, partendo anche lei dalla tempesta di guerra dei nostri giorni che ci costringe a fare i conti con la nostra vulnerabilita', con l'esperienza del dolore e del lutto, con una violenza espropriante cui Dominijanni contrappone la potenza espropriante dell'amore, l'unica in grado di volgere la fragilita' e l'esposizione delle nostre vite precarie, come le definisce Judith Butler, alla relazione con l'altro e non al suo annientamento. * "Dwf" riprende e rilancia quindi un tema gia' presente tra le pensatrici femministe - non a caso proprio Diotima pubblica da qualche mese un giornale on-line che s'intitola "Per amore del mondo" (www.diotimafilosofe.it) - per indagare "sullo stato delle relazioni amorose tra uomini e donne, ma poi anche piu' ampiamente sull'amore". Rosetta Stella comincia la serie di riletture intrecciando il canto dell'inferno con il mito del paradiso, e ci offre una interpretazione della Genesi secondo la quale Dio non avrebbe creato la donna "per complementare, quanto piuttosto per limitare" l'eccesso di giubilo del maschio: "Un troppo nel senso di se' e della sua potenza totalizzante; troppo incline a diventare strapotere". La donna avrebbe dovuto risvegliarlo al vero senso del conoscere e dell'amare: farlo "fuoriuscire dall'orgoglio privo di infinito del suo troppo pieno, per avventurarsi nell'infinito possibile delle creature umane". Sappiamo come e' andata la storia: dopo la cacciata dal paradiso, di questa sapienza femminile poco sembra essere rimasto. Anzi, guardando all'oggi vediamo come "pulsioni emancipatorie" portino anche molte donne all'eccesso di "sostenere un ordine 'fallico' anche a costo della propria rovina". Nessuna speranza? Nonostante queste notizie pessime Stella insiste su "un di piu' femminile nell'amore", con riferimenti a mio avviso molto problematici alla sessualita' della donna. Mi trovo piu' d'accordo con lei quando scommette su una "scoperta" politica piu' recente, la liberta' femminile e la possibilita' "di servirsene per cambiare lo stato delle cose nel mondo". * A questo proposito e' suggestiva l'idea di Federica Giardini di pensare l'amore e la storia intrecciando la rilettura del canto dantesco con la tesi benjaminiana sull'angelo della storia. Sebbene in questo tempo di terrorismo e di guerra ci troviamo tutti, uomini e donne, in una condizione comune di esposizione alla violenza, la tempesta - scrive Giardini - non travolge "il due-in-uno dell'angelo, travolge un uomo e una donna e li travolge in modi diversi", giacche' donne e uomini "non hanno la medesima genealogia e, al presente, non occupano le stesse posizioni". Non penso, tuttavia, che la differenza permetta alle donne di chiamarsi fuori dalle catastrofi del passato e del presente. Il mucchio di rovine non rimanda semplicemente a una "verita' maschile" andata in frantumi. Il mucchio di rovine segna il crollo dell'ordine politico moderno e chiede - ha sottolineato Dominijanni al seminario di Diotima - di ripensare l'antropologia politica. Il soggetto nella tempesta e' un soggetto fragile, vulnerabile ed esposto alla violenza a discapito delle sue pretese di sovranita' e autonomia. La sfida e' quella di riconoscere e rendere riconoscibili l'offesa, il dolore e il lutto anziche' irrigidirsi in un narcisismo aggressivo o chiudersi in una depressione malinconica. Ed e' proprio qui che rientra in gioco la differenza sessuale. Perche' se da un lato - dice Dominijanni - questa condizione di fragilita' offre l'occasione di ripensare la relazione tra uomini e donne sulla scala della debolezza e della mancanza e non della forza e del potere, dall'altro sembra evidente il vantaggio femminile rispetto a una concezione del soggetto non piu' sovrano. Le donne conoscono e sanno sopportare di piu' la fragilita' propria e quella altrui. E nella piega del presente - Dominijanni lo scrive in Approfittare dell'assenza, l'ultimo libro di Diotima - la cultura femminile ha il vantaggio di aver elaborato tempestivamente una critica all'individuo sovrano della politica moderno e lavorato a "una strategia basata sulla differenza e sulla relazione". * Dopo il taglio femminista insomma "chi e' nella tempesta e' tempesta a sua volta" (Giardini), puo' prendere una posizione diversa e far valere il pensiero e la pratica della differenza. Nel vento c'e' la singolarita' sessuata, un corpo che si forma e riforma mettendosi in relazione (non necessariamente secondo la matrice eterosessuale, prevalente nei contributi di "Dwf") e che si lascia trasportare dall'amore. Un amore che - Giardini lo evidenzia - "non ha piu' per oggetto un uomo, non le basta, ha a che fare con il mondo intero". Per amore del mondo la donna si lascia coinvolgere, alza la voce in mezzo alla tempesta. L'amore come pratica politica dunque. E' un passaggio difficile e, come dimostra l'insieme dei contributi, tutt'altro che acquisito. Nelle stesse pagine di "Dwf" ricorre la nostalgia per quell'infernale amor che a nullo amato amar perdona. Nel desiderio di vivere un'"attrazione irresistibile", sentimento "che porta a dimenticare se stessi" (Scaraffia) appare cio' che Stella chiama "l'illusione dell'identico e del fuso", "che e' tutto immanenza", destinata a morire, perche' "sul bordo dell'immaginario fusionale nessuno dei due e' libero". Anzi, restando fedele a un'idea dell'amore non toccata dalle faccende mondane, riappaiono puntualmente pregiudizi quasi sessuofobici (Scaraffia) e quella scissione fallologocentrica tra corpo e mente, passione e ragione (Fiori, Vantaggiato) che la critica femminista dovrebbe aver smentito da tempo. La persistenza dell'ideale di un amore privato e privatizzato va letto come sintomo. Il desiderio della passione a due e' la fuga dell'immaginario da una societa' in cui gli affetti vengono telecomandati: una passione oltre limite in realta' fa tremare. Rosa Rossi accenna a questa "esistenza mancata" che non riesce a tenersi aperta alla chiamata dell'altro/a "perche' in lui i canali della ricezione e dello scambio sono come otturati". Ma non c'e' soluzione privata: il personale e' politico, recitava il primo slogan femminista. La paura di trovarsi esposto/a all'altro/a non si vince ripristinando il narcisismo offeso, individuale o statuale che sia, bensi' mettendo in gioco quel desiderio finora inibito di trovare l'altro/a. La crisi che travolge l'individuo e' quella che investe lo statuto della soggettivita' moderna. Il politico e' personale: sembra - dice Dominijanni - che il circolo si stia completando e il pensiero femminista venga sollecitato a un nuovo intervento. * L'idea di una politica d'amore tenta di ricambiare il desiderio di perdere se stessi con l'espropriazione del se' e l'ansia di essere travolto/a con il piacere paradisiaco "che si rinnova ogni volta che ci si lascia andare alla perdita, che si acconsente, pur nel dolore, a separarsi". Il passo nuovo riguarda la necessita' di farsi spiazzare, di accettare la perdita dell'identita' acquisita, di rinunciare al riconoscimento nei propri termini, di imparare altri gesti, di sopportare lo scacco. L'amore per l'altro/a vuol dire buttarsi nella corrente in cui si confondono le lingue, saper "smettere di declinare ciascuno la propria lingua" e dare ascolto all'altro/a, alla lingua corrente. Con un gioco di parole risuona cosi' nel testo di Stella l'espressione di Muraro. Non a caso: proprio Muraro ha richiamato gia' qualche anno fa (in Duemilauna, Il Saggiatore) l'attenzione all'intelligenza dell'amore: quella capacita' di fare della mancanza che muove l'amore un'apertura all'altro, alla conoscenza, al mondo, andando contro la tradizione filosofica che separa la conoscenza dalla sensorialita'. Puo' passare anche da qui l'apertura di un altro orizzonte nella politica. Le risorse di una politica d'amore sembrano tante, "e - conclude Stella - forse ancora moltissime sono da scoprire per poterci fare leva e non precipitare". 6. MAESTRE. TOMMASO LOSAVIO RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA [Da "Epidemiologia e psichiatria sociale", 14, 1, 2005, riprendiamo questo articolo. Tommaso Losavio, psichiatra, e' stato ed e' tuttora uno dei protagonisti delle esperienze della psichiatria democratica. Franca Ongaro Basaglia, Intellettuale italiana di straordinario impegno civile, insieme al marito Franco Basaglia e' stata tra i protagonisti del movimento di psichiatria democratica. Tra i suoi libri segnaliamo particolarmente: Salute/malattia, Einaudi; Manicomio perché?, Emme Edizioni; Una voce: riflessioni sulla donna, Il Saggiatore; in collaborazione con Franco Basaglia ha scritto La maggioranza deviante, Crimini di pace, Morire di classe, tutti presso Einaudi; ha collaborato anche a L'istituzione negata, Che cos'e' la psichiatria, e a molti altri volumi collettivi. Ha curato l'edizione degli Scritti di Franco Basaglia. Su Franca Ongaro Basaglia riproponiamo anche la seguente scheda biobibliografica estratta dal quotidiano "Il manifesto" e gia' riprodotta nel n. 812 de "La nonviolenza e' in cammino": "Dalle avventure per i bambini alla rivoluzione nelle istituzioni. I suoi primi lavori Franca Ongaro li aveva dedicati ai bambini: Le avventure di Ulisse illustrate da Hugo Pratt, e una riduzione del romanzo Piccole donne di Louise May Alcott uscirono sul "Corriere dei Piccoli" tra il '59 e il '63. In quegli stessi anni i suoi interessi si indirizzarono verso il lavoro nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, con il gruppo che si stava raccogliendo attorno a suo marito Franco Basaglia, con il quale - nella seconda meta' degli anni '60 - scrisse diversi saggi cui contribuirono altri componenti del gruppo goriziano. Due suoi testi - "Commento a Ervin Goffman, La carriera morale del malato di mente" e "Rovesciamento istituzionale e finalita' comune" - fanno parte dei primi libri che documentano e analizzano il lavoro di apertura dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, Che cos'e' la psichiatria (1967) e L'istituzione negata (1968). E' sua la prima traduzione italiana dei testi di Erving Goffman Asylums e Il comportamento in pubblico, pubblicati da Einaudi rispettivamente nel 1969 e nel 1971. Introdusse anche il lavoro di Gregorio Bermann La salute mentale in Cina (1972). Dagli anni `70 Franca Ongaro fu coautrice di gran parte dei principali testi di Franco Basaglia, da Morire di classe (1969) a La maggioranza deviante (1971), Crimini di pace (1975), fino al saggio "Condotte perturbate. Le funzioni delle relazioni sociali", commissionato da Jean Piaget per la Encyclopedie de la Pleiade e uscito nel 1987. Nel 1981 e `82 curo' per Einaudi la pubblicazione dei due volumi degli Scritti di Franco Basaglia. Franca Ongaro e' stata anche autrice di volumi e saggi di carattere filosofico e sociologico sulla medicina moderna e le istituzioni sanitarie, sulla bioetica, sulla condizione della donna, sulle pratiche di trasformazione delle istituzioni totali. Tra i suoi testi principali, i volumi Salute/malattia. Le parole della medicina (Einaudi, 1979), raccolta dei lemmi di sociologia della medicina scritti per la Enciclopedia Einaudi; Una voce. Riflessioni sulla donna (Il Saggiatore, 1982) che include la voce Donna della Enciclopedia Einaudi; Manicomio perche'? Emme Edizioni 1982; Vita e carriera di Mario Tommasini burocrate scomodo, Editori Riuniti, 1987. Tra i saggi, Eutanasia, in Le nuove frontiere del diritto, "Democrazia e Diritto", n. 4-5, Roma 1988; Epidemiologia dell'istituzione psichiatria. Sul pensiero di Giulio Maccacaro (Medicina Democratica, 1997); Eutanasia. Liberta' di scelta e limiti del consenso in R. Dameno e M. Verga (a cura di), Finzioni e utopie. Diritto e diritti nella societa' contemporanea, (Guerrini, 2001). Dall'84 al '91 e' stata, per due legislature, senatrice della sinistra indipendente. Nel luglio 2000 ha ricevuto il premio Ives Pelicier della International Academy of Law and Mental Health, e nell'aprile 2001 l'universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche"] Il 13 gennaio 2005 Franca Ongaro Basaglia e' morta nella sua casa veneziana dopo una vita intensa dedicata allo studio e alla pratica sociale, all'azione politica, a fare ricerca in modo nuovo e diverso rispetto alla cultura scientifica dominante. Franca Ongaro era nata a Venezia nel 1928 ed aveva iniziato la sua attivita' letteraria dedicandosi alla letteratura per bambini: aveva scritto il testo Le avventure di Ulisse, illustrato dal suo amico Hugo Pratt, pubblicato a puntate sul "Corriere dei Piccoli" per il quale aveva scritto anche alcune favole e una riduzione di Piccole donne di Louise May Alcott. Nel 1962 si trasferi' con la famiglia a Gorizia dove il marito, Franco Basaglia giovane psichiatra colto ("il filosofo", lo chiamavano i colleghi), insoddisfatto dell'esperienza trascorsa nell'Universita' di Padova, rischiando non poco, aveva deciso di andare a dirigere quel manicomio di confine. Quella scommessa risulto' per molti aspetti vincente: l'esperienza goriziana riusci' ad attrarre dapprima un piccolo gruppo di giovani psichiatri e, dopo pochi anni, a dimostrare nella pratica come fosse possibile trasformare non soltanto la condizione dei malati di mente internati in manicomio, ma anche come fosse necessario ripensare criticamente ai rapporti tra follia e ragione, tra salute e malattia, tra diritti e bisogni, tra tutela e oppressione, tra eguaglianza e diversita'. Quel piccolo gruppo iniziale ha poi fatto scuola, non soltanto in Italia, e Franca Ongaro ha sempre rappresentato per chi quelle esperienze ha avuto la fortuna di viverle in prima persona, ma anche per tutti quelli che le hanno seguite con interesse e passione, una voce autorevole ma nello stesso tempo inquietante. Franca Ongaro, in quel gruppo, seppe mantenere un ruolo importante ed autonomo, dando un contributo fondamentale alla riflessione che le pratiche di deistituzionalizzazione andavano producendo. * In tutti i suoi scritti - in collaborazione con Franco Basaglia: Che cos'e' la psichiatria (1967), L'istituzione negata (1968), Morire di classe (1969), La maggioranza deviante (1971), Crimini di pace (1975), e come autrice di Salute/malattia. Le parole della medicina (1979), Una voce. Riflessioni sulla donna (1982), oltre a molti saggi pubblicati su riviste di scienza e di politica - ha costantemente messo in guardia sui rischi di semplificare la complessita' dei problemi con i quali tutti, sani e malati, siamo costantemente costretti a fare i conti. E sulla necessita' ineludibile, pena la perdita di liberta' e di democrazia, di avere la capacita' di sostenere le contraddizioni personali, sociali e sanitarie che il campo della psichiatria rappresentava e continua a rappresentare in maniera esemplare, ma non esclusiva. La riduzione dell'uomo sofferente a malattia, a semplice oggetto di studio e d'intervento, non puo' non condurre a forme di oggettivizzazione e di espulsione e alla negazione della sofferenza stessa sul piano teorico e alla sua espulsione dal corpo sociale, alla sua ghettizzazione in vecchi o nuovi manicomi sul piano dell'organizzazione sociale. Se cio' e' vero, e che fosse vero e' stato concretamente dimostrato per i malati di mente determinando la definitiva chiusura dei vecchi miserabili manicomi, e altrettanto vero per tutti quei soggetti che, a causa di una loro momentanea o permanente debolezza, rischiano pericolosamente di perdere i loro diritti, oppressi da risposte inadeguate che tendono a tutelare piu' chi sta bene e chi ha la capacita' di farsi rispettare, piuttosto che i soggetti fragili perche' malati, vecchi o piu' semplicemente poveri. Dopo la morte di Franco Basaglia, Franca Ongaro continuo' nel suo impegno: fu eletta senatrice per due legislature dal 1984 al 1991 come indipendente nelle liste del Pci, nel 2000 ha ricevuto il premio "Ives Pelicier" della International Accademy of Law and Mental Health e nel 2001 l'Universita' di Sassari le ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche. * La sua opera dovrebbe essere ancora di stimolo e di guida in un'epoca nella quale da una parte sono esaltate le capacita' e le risorse dell'individuo e dall'altra si continuano a sottrarre le possibilita' perche' quelle risorse (tante o poche che siano) abbiano le condizioni per potersi realizzare nella concretezza della quotidianita'. Cosa succede oggi, per esempio, nel dilagare del modello di semplificazione biologica (il Bollettino d'informazione sui farmaci inviato a tutti i medici italiani dal Ministero della Salute mette in guardia sul crescente consumo di psicofarmaci e sulla loro cattiva utilizzazione specialmente negli anziani, nei bambini e negli adolescenti) a quei malati di mente che, nonostante gli obiettivi progressi delle terapie farmacologiche, non guariscono o non guariscono nei tempi che i protocolli hanno previsto? Come e' possibile che vengano riproposte soluzioni che negano l'esistenza dell'uomo malato, i suoi bisogni, la sua storia, i suoi rapporti, le sue difficolta', riducendo tutto di nuovo semplicemente a malattia? La lezione di Franca Ongaro e il suo impegno sono in tal senso per molti aspetti attualissimi eppure lontani in una sanita' italiana che riduce l'efficienza a un obiettivo e non a mezzo, che fa dell'aziendalizzazione lo strumento per impoverire le gia' scarse risorse destinate a questo settore, che delega all'industria farmaceutica gran parte della ricerca, che pone sullo sfondo la cultura dei diritti e l'etica dei servizi a favore di un mercato (pubblico e privato) della salute che fornisce, a prezzi sempre crescenti, risposte di una scarsa efficacia. E' incombente il rischio che possa venire cosi' disperso e vanificato quel patrimonio di risorse umane, di cultura e di attenzione al sociale ancora vivo e presente in tante persone ancora impegnate nelle strutture sanitarie e nei servizi sociali. Patrimonio in gran parte ereditato da quelle esperienze e da quelle ricerche iniziate nel piccolo manicomio di Gorizia che hanno avuto tra i protagonisti Franca Ongaro Basaglia. Cara Franca, molti di noi sentiranno la tua mancanza, il tuo incoraggiamento, la tua tenacia, la tua speranza in un mondo capace di dare ospitalita' a tutti: cercheremo di farti conoscere ai piu' giovani, a quelli che non hanno avuto l'opportunita' di conoscerti di persona e di lavorare insieme con te perche' il tuo impegno possa, forse con nuove forme, ma con identici contenuti, essere d'insegnamento per chi e' venuto dopo di noi e non ha vissuto in prima persona le lotte antiistituzionali, ma ha ancora voglia e piacere di mettersi in gioco e di lavorare per una societa' che tuteli tutti, ma in modo particolare quegli uomini e quelle donne che, per motivi diversi, corrono maggiori rischi di essere oppressi e messi ai margini. 7. MAESTRE. ROCCO CANOSA RICORDA FRANCA ONGARO BASAGLIA [Dal quotidiano "Liberazione" del 15 gennaio 2005. Rocco Canosa e' presidente di Psichiatria democratica] "Bisogna capire che il valore dell'uomo sano e malato, va oltre il valore della salute e della malattia; che la malattia come ogni altra contraddizione umana puo' essere usata come occasione di appropriazione o di alienazione di se', quindi come strumento di liberazione o di dominio; ... che in base al diverso valore e uso dell'uomo, salute e malattia acquistano o un valore assoluto (l'una positivo, l'altra negativo) come espressione dell'inclusione del sano e dell'esclusione del malato dalla norma, o un valore relativo in quanto avvenimenti, esperienze, contraddizioni della vita che si svolge sempre fra salute e malattia". E' un brano tratto dal testo di Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia, Einaudi, Torino 1982. Franca ci ha sostenuto in questi duri anni di lotta contro le istituzioni totali in tanti modi. Sempre presente quando la chiamavamo nelle nostre iniziative politiche e culturali, sempre attiva nella difesa della legge 180, soprattutto durante il suo mandato al Senato, sempre rigorosa nelle analisi delle trasformazioni istituzionali della psichiatria, ci ha insegnato molto. I suoi scritti, molti in collaborazione con Franco Basaglia, e i suoi interventi ci hanno aiutato a tener dritta la barra del timone nel nostro lavoro pratico, a superare ogni trionfalismo o autoreferenzialita'. Franca ci ha spinto sempre a ragionare oltre i luoghi comuni del riformismo assistenziale, a collegare i bisogni individuali con i fenomeni macrosociali, a svelare continuamente i meccanismi di potere occultati dalle "nuove scienze". Nella voce "Follia/delirio" (op. cit.) scrive: "La storia della psichiatria consiste essenzialmente in questo continuo dare la parola a qualcosa che non puo' esprimersi in un linguaggio imposto: se il linguaggio della follia - il delirio- e' l'espressione soggettiva di bisogni e desideri che non hanno la possibilita' di esprimersi se non attraverso l'irrazionalita' e la sragione, esso non potra' mai essere il linguaggio della razionalita' del potere... La follia - accerchiata dalla ragione- dovra' esprimersi secondo questo schema interpretativo che gli e' estraneo, cioe' nel linguaggio della malattia, che e' il linguaggio della razionalita' del potere, dove la soggettivita' del folle, espressa nel delirio, sara' definitivamente oggettivata". La straordinaria attenzione "per l'uomo malato e non per la malattia" (affermazione di Franco Basaglia che ritroviamo in un intervista per la Rai di Sergio Zavoli) e' il leit-motiv di Franca nella sua critica alla medicina in generale. "Dipendenza, oggettivazione e passivizzazione del malato sono essenziali allo sviluppo di una medicina, che, pur fondandosi sull'esperimento e sulla verifica del corpo, non si misura e non si verifica mai con l'uomo nella complessita' dei suoi bisogni, cioe' con l'uomo come entita' storico-sociale". Questa riflessione, di grande attualita', e' una lancia acuminata contro le pretese di chi vuol ridurre la persona che sta male a puro oggetto di intervento e di studio, contro un approccio tecnologico e biologistico alla sofferenza. Ci induce ad essere vigili e relativizzare costantemente il sapere clinico, il quale, sganciato dalla storia e dalla societa', produce solo sopraffazione. Franca, anche dopo la scomparsa di Franco Basaglia, ha continuato con tenacia sia il suo lavoro scientifico, sia il suo impegno per l'applicazione della legge 180, opponendosi ai numerosi progetti di controriforma e difendendo il servizio pubblico. Nel gennaio del 1993 ("Fogli di Informazione" n. 158) scriveva: "La natura del ricovero privato e' estranea alla ricerca di soluzioni alternative piu' adeguate alla persona, ai diversi livelli di sofferenza, ai diversi bisogni di cura, ma anche di autonomia, di rapporti e di vita... Un servizio pubblico funzionante puo' essere in grado di metter in moto tutte le risorse possibili, necessarie ad una positiva evoluzione del disturbo in famiglia, nella comunita', nelle istituzioni; cosa che la struttura privata non puo' ne' vuole fare". In un'intervista abbastanza recente sottolineava come chi soffre di disturbi psichici raramente ha bisogno di un letto di ospedale, quindi non richiede automaticamente forme di internamento e di degenza ospedaliera prolungata. Poneva, dunque, ancora una volta l'accento sull'importanza di strutture vicine alla gente, la' dove nasce e si sviluppa il disagio. Di Franca Ongaro Basaglia ci ha sempre colpito la capacita' di coniugare il rigore delle sue analisi teoriche con la lucidita' e l'essenzialita' delle sue proposte pratiche. Invitata al trentennale di Psichiatria Democratica, tenutosi a Matera nel novembre del 2003, non potendo partecipare per seri motivi di salute, ci telefono' e con voce flebile ma decisa ci raccomando' di continuare a batterci affinche' le nuove strutture della psichiatria non diventassero dei nuovi manicomi, perche' le persone non subissero la violenza dei legacci e dei farmaci, perche' i pazienti potessero praticare i loro diritti. Franca, dunque, per noi e' stato un faro di sapienza, di rigore, di continuo stimolo a migliorarci e a migliorare il mondo. Con l'affetto di sempre ricordiamo il suo cuore, la sua intelligenza e i suoi sorridenti, profondi occhi azzurri. ============================== NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE ============================== Supplemento settimanale del giovedi' de "La nonviolenza e' in cammino" Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 1 del 3 marzo 2005
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