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La nonviolenza e' in cammino. 834
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 834
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 8 Feb 2005 00:12:31 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 834 dell'8 febbraio 2005 Sommario di questo numero: 1. Lidia Menapace: Giuliana 2. Simona Pari e Simona Torretta: Per Giuliana 3. Krishnammal Jagannathan e Vandana Shiva: Un appello 4. John Pilger: Il paese che il mondo vuole dimenticare 5. Per una bibliografia sulla Shoah (parte quattordicesima) 6. Patricia Smith Melton: Una tremenda bellezza 7. Roberto Silvestri: Per Ossie Davis 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: GIULIANA [Ringraziamo di cuore Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto" a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della guerra tuttora in corso. A Baghdad e' stata rapita il 4 febbraio 2005. Dal sito del quotidiano "Il manifesto" riprendiamo, con minime modifiche, la seguente scheda: "Nata a Masera, in provincia di Verbania, il 20 dicembre del 1948, Giuliana ha studiato a Milano. Nei primi anni '80 lavora a 'Pace e guerra', la rivista diretta da Michelangelo Notarianni. Al 'Manifesto' dal 1988, ha sempre lavorato nella redazione esteri: appassionata del mondo arabo, conosce bene il Corno d'Africa, il Medioriente e il Maghreb. Ha raccontato la guerra in Afghanistan, e poi le tappe del conflitto in Iraq: era a Baghdad durante i bombardamenti (per questo e' tra le giornaliste nominate 'cavaliere del lavoro'), e ci e' tornata piu' volte dopo, cercando prima di tutto di raccontare la vita quotidiana degli iracheni e documentando con professionalita' le violenze causate dall'occupazione di quel paese. Continua ad affiancare al giornalismo un impegno anche politico: e' tra le fondatrici del movimento per la pace negli anni '80: c'era anche lei a parlare dal palco della prima manifestazione del movimento pacifista"] Carissimo Peppe, ero a Cuba per un importante convegno alla facolta' di filosofia dell'Universita' dell'Avana (sul quale in seguito scrivero' perche' e' stato davvero una scoperta - erano presenti indiane, brasiliane, venezolane, indigene, afrodiscendenti - come dicono la' -, dalla Colombia, Cile, Bolivia, Messico, da tutto il continente sudamericano che a me sembra la primavera del mondo, tanto che suggeriro' a tutti e tutte di imparare come lingua straniera lo spagnolo, che ha buone probabilita' di sorpassare pacificamente l'egemonia dell'inglese). Ero dunque la' e stavo per tornare in Italia quando come dei pugni in faccia mi e' arrivata per agenzia la notizia di Giuliana: non mi sono ancora ripresa e sto male, sono dolente, amareggiata. Conosco Giuliana fin da piccola, da sempre in politica, conosco anche suo padre che e' mio coetaneo ed e' stato pure partigiano, e il fratello che dipinge cose molto belle, rappresentando un'Africa che non ha mai visto. Giuliana e' una persona di grandissime qualita', mai ostentate, non per "modestia" come dicono facendomi arrabbiare di brutto, ma perche' lei considera la competizione un atteggiamento sbagliato e di cui una persona di sinistra dovrebbe vergognarsi, e si comporta di conseguenza, cercando la verita' con rigore e umanita', con comprensione ed equilibrio, con passione e documenti. Mi ricordo l'impressione che mi fecero delle giovani alle quali una volta dissi che a Roma abitavo nella stessa casa di Giuliana, e in coro esplosero: "Tu conosci Giuliana Sgrena!", un mito per loro. Le raccontai poi la cosa e le dissi che ero stata quasi sorpresa di essere - per le ragazze - importante perche' la conoscevo: ci siamo fatte matte risate, e ripromesse che ci saremmo reciprocamente comportate da "promoter" (se non noi, chi altro?). Giuliana e' una donna molto colta e intelligente, ironica, coraggiosa e dolcissima. Abbiamo abitato per molti anni nella stessa casa che chiamiamo "un residuo di comune sessantottina". Infatti in un appartamento che ci era stato segnalato dalla mamma di Luciana Castellina (madre morta da poco centenaria e stata sempre un'altra donna vivacissima, attiva e assai simpatica) con altre persone (Rina Gagliardi, Ritanna Armeni, con i rispettivi compagni) eravamo setto-otto e ci siamo via via ridotti quando una coppia voleva un figlio e nella Comune era quasi impossibile anche perche' le condizioni di vita erano molto essenziali e difficili. Siamo rimasti alla fine solo noi tre: Giuliana, Pier - il suo compagno -, e io, che ancora oggi ho una stanza nella casa in cui abitano. Quando vado a Roma li' sto, e fruisco dell'ospitalita' generosa, allegra, calda di Giuliana e Pier senza problemi. Giuliana e' una donna molto dolce e forte e coraggiosa. Quando a Cuba ho saputo, ho subito scritto con le altre due italiane che erano con me un breve testo per chiedere la liberazione, testo che e' stato approvato all'unanimita' dall'assemblea plenaria del convegno, ora i e le compagne cubane vi stanno raccogliendo firme prestigiose, e poi lo pubblicheranno sul loro sito web. Mi sono fatta l'idea che Giuliana stia passando attraverso una esperienza drammatica affrontata con molta determinazione e freddezza: sembra strano dirlo perche' e' una donna molto appassionata e anche emotiva, ma di fronte alle vicende difficili e' determinatissima e addirittura fredda. Penso che sia stata rapita da predoni che ora cercano di venderla a qualche gruppo politico-criminale per avere soldi, e spero che sia cosi' e che il governo paghi. Intanto la richiesta del ritiro delle truppe di occupazione continua ad essere piu' necessaria e forte che mai, e per fortuna in molte citta' e attraverso molti messaggi lo si sta richiedendo. Mi aspetto Giuliana che torna leggera come una foglia (e' di corporatura molto minuta) col suo sorriso furbo dolce ironico, quello sguardo allusivo dei grandi occhi, con la sua zazzeretta scompigliata e i vestiti sempre eleganti solo per naturale capacita' di portarli e ci dica: "ma che cosa vi siete messi in testa? sono sempre stata padrona di me, sempre attenta a capire, insomma facevo la giornalista politica: non e' forse il mio amato mestiere? ed eccomi qui". Poi faremo tutte le analisi e le indagini: una guerra non diventa legittima a posteriori, resta incostituzionale sempre, elezioni sotto occupazione militare e senza alcun controllo internazionale non cancellano l'aggressione, la resistenza e' e resta un diritto, ma deve distinguere se stessa dal terrorismo, e il nostro compito e' per l'appunto di rendere possibile cio', non semplicemente inneggiando acriticamente a tutto, non semplicemente giustificando tutto. A Cuba al convegno ha preso parte anche il centro locale della rete "Martin Luther King", dunque si fa strada una ipotesi di azione nonviolenta, e una donna palestinese ha detto esplicitamente che la seconda Intifada, quella armata, e' stata una sciagura per il popolo palestinese e specialmente per le donne la cui condizione materiale e culturale e' precipitata all'indietro di decenni. Bisogna avere un buono e sano e critico culto della verita', come sempre cerca di avere Giuliana. 2. TESTIMONIANZE. SIMONA PARI E SIMONA TORRETTA: PER GIULIANA [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2005. Simona Pari e Simona Torretta, costruttrici di pace, cooperanti di "Un ponte per...", sono state rapite e liberate alcuni mesi fa in Iraq] "Morti civili, distruzione, violazioni, in Iraq la popolazione civile soffre". Abbiamo partecipato, a Milano, a un incontro aperto, a meta' gennaio, pochi giorni prima di ripartire. La solita Giuliana. Lucida, puntigliosa e razionale nelle analisi. La Giuliana che abbiamo conosciuto in Iraq, che non si tira mai indietro quando c'e' una storia da raccontare. Che sa capire il valore di una notizia, e non si ferma alla cronaca; e va oltre e cerca di trovare cosa c'e' dietro al fatto, oltre un avvenimento. Giuliana ha sempre voluto capire: per questo e' sempre stata sul campo, per confrontarsi con le persone. E con la realta'. E' sempre stata misurata: mai l'abbiamo vista prendere posizione senza conoscere una realta', senza aver toccato con lo sguardo e la parola la situazione di cui scriveva. Quando eravamo in Iraq, Giuliana veniva spesso in ufficio da noi. Era una delle prime tappe appena arrivava: per prendere un caffe' e confrontarsi, per ricaricare il satellitare, per vedere Internet quando in albergo non c'era elettricita'. Ecco, Giuliana ha sempre conosciuto bene la realta' irachena: da lei imparavi molto, ma era lei la prima a fare domande. Credeva nel valore della testimonianza diretta, dell'informazione indipendente. Durante la guerra aveva raccontato l'Iraq che nessuno vedeva, quello dei civili colpiti dai bombardamenti. Nel dopoguerra, o nel protrarsi di un conflitto senza fine, ha raccontato la quotidianita' degli iracheni sopraffatti dalla mancanza di servizi di base, della sicurezza e, spesso, della speranza. Aveva raccontato la situazione delle donne con molta attenzione, denunciando come i loro diritti fossero costantemente violati. E' stata tra le prime a raccogliere testimonianze delle violazioni sulle donne detenute ad Abu Ghraib. Non ha mai smesso di denunciare le condizioni della popolazione durante l'occupazione. Giuliana e' molto amata dagli iracheni: i nostri colleghi di Baghdad l'accoglievano con affetto tutte le volte che arrivava dall'Italia. E cosi' la gente con cui ha lavorato e di cui raccontava. Riconoscevano in Giuliana la grande umanita' e la passione per la conoscenza. Sapevano che interviste e articoli erano veicolo di informazione e di indipendenza. Ogni intervista era basata sul rispetto e sul riconoscimento dell'interlocutore. Quel rispetto che merita chi non parte da un'idea, ma quell'idea costruisce in base al lavoro sul campo. Giuliana lavora per il dialogo e contro i preconcetti. La necessita' di capire e' sempre stato un modo per abbattere le divisioni, di lingua, di cultura, di prospettiva. E' stata sempre molto attenta al nostro lavoro. Era stata a visitare le nostre scuole, incontrando insegnanti e bambini, per raccontare l'Iraq da dentro: le difficolta' di ogni giorno, le condizioni miserevoli in cui si trovano le infrastrutture nella maggior parte del paese, i problemi delle mamme e dei bambini. Aveva seguito e documentato la situazione umanitaria in Iraq durante l'embargo, quando il paese era dimenticato e invisibile. Giuliana conosce bene l'Iraq e conosce il Medio Oriente. Con rispetto, passione e umilta' attraversa mondi distanti, rendendoli vicini. Il suo e' uno sguardo di donna, curiosa e attenta. Proprio a Baghdad, durante l'ultimo caffe' nel nostro ufficio, le avevamo fatto i complimenti per una mostra di fotografie scattate in Afghanistan. Erano ritratti di donne. Ci aveva colpito l'estrema dignita' che emergeva dalla fragilita' di molti di quegli sguardi femminili. E' un alfabeto segreto, quello che permette di comunicare e di decifrare forza la' dove c'e' vulnerabilita'. Allo stesso alfabeto abbiamo attinto tutte e tre quando ci siamo incontrate appena tornate in Italia, in ottobre. Non ci siamo dette molto. Perche', tra noi, ci eravamo gia' capite. 3. TESTIMONIANZE. KRISHNAMMAL JAGANNATHAN E VANDANA SHIVA: UN APPELLO [Ringraziamo Stefano Longagnani (per contatti: longagnani at yahoo.it) per averci messo a disposizione questa lettera di Krishnammal Jagannathan e Vandana Shiva. Krishnammal Jagannathan (per contatti: Krishnammal Jagannathan, Lafti, Vinoba Ashram, Kuthur - 611 105 Nagapattinam District, Tamilnadu, India) e' segretaria generale del Lafti (Land for Tillers' Freedom - terra per la liberazione dei braccianti), e' insieme a suo marito Jagannathan una delle piu' grandi figure della nonviolenza nel mondo; su Krishnammal e Jagannathan cfr. il libro di Laura Coppo, Terra gamberi contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Krishnammal, Jagannathan e il Lafti con l'aiuto dell'ong italiana Overseas (www.overseas-onlus.org) stanno organizzando la ricostruzione dei villaggi della zona di Nagapattinam (Tamil Nadu, sud dell'India) dopo gli effetti dello tzunami di S. Stefano e di una alluvione che ha distrutto case e raccolti anche nell'entroterra meno di due mesi prima dello tsunami. Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli, di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti pericolosissimi. Tra le opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi, Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995; Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze, DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano 2002. Le guerre dell'acqua, Feltrinelli, Milano 2003] Cari amici e benefattori delle vittime dello tsunami, lo tsunami ha portato una terribile ondata di devastazione ma questa ha suscitato a sua volta un'ondata di compassione alla quale tutti voi avete generosamente partecipato. Gli aiuti per la ricostruzione delle zone colpite vengono purtroppo utilizzati anche per evacuare le comunita' costiere dalle loro case, dalla loro terra e dalla loro sussistenza, talvolta con la forza e in nome della loro vulnerabilita'. Nel frattempo gli allevamenti di gamberetti, responsabili della distruzione della barriera protettiva costituita dalle mangrovie e quindi dell'esacerbazione dei danni dello tsunami, vengono ripristinati grazie ai fondi destinati al soccorso delle popolazioni. Se desiderate aiutare le vittime dello tsunami a ricostruire la propria vita, unitevi a noi affinche' venga garantito che: a) le vittime dello tsunami non vengano evacuate dalle loro case; b) gli allevamenti di gamberetti, che la Corte Suprema ha ordinato di chiudere ma che continuano a funzionare illegalmente, vengano definitivamente eliminati e non vengano loro destinati fondi per la ricostruzione; c) la sicurezza economica e la sopravvivenza delle comunita' costiere, dei pescatori, dei contadini e dei piccoli commercianti siano garantite attraverso un processo di sviluppo ecologicamente sostenibile; d) la barriera naturale protettiva costituita dalle mangrovie venga immediatamente ripristinata. Laddove tale barriera non e' stata distrutta, essa ha protetto la popolazione dai danni delle inondazioni. Vi invitiamo pertanto a scrivere al Primo Ministro indiano Sri Manmohan Singh e al Capo del Governo del Tamil Nadu, Smt. Jayalaleetha, affinche' la vostra generosita' non venga sfruttata da coloro che stanno approfittando della tragedia dello tsunami per i propri interessi economici. 4. MONDO. JOHN PILGER: IL PAESE CHE IL MONDO VUOLE DIMENTICARE [Dagli amici di "Ebo" (per contatti: burma at euro-burma.be), impegnati nella solidarieta' con Aung San Suu Kyi e la lotta per la democrazia in Birmania (Myanmar), riceviamo questo articolo di John Pinger, apparso sul quotidiano "Il manifesto" del 29 gennaio 2005. Nato a Sydney, John Pilger, da molti anni uno dei principali inviati in zone di guerra dei piu' importanti giornali internazionali ("Guardian", "Independent", "New York Times", "The Nation"), e' stato reporter giornalistico e regista di documentari testimone di conflitti in tutto il mondo, dal Vietnam alla Birmania, dalla Cambogia al Medio Oriente. Il sito di John Pilger e': http://pilger.carlton.com] L'altro giorno ho provato a telefonarle. Ho ancora un numero che mi aveva dato, e che ho potuto usare solo di rado per scambiare qualche parola. Stavolta tentare e' stato inutile; il click frettoloso all'altro capo del filo era un'eco della sua oppressione kafkiana. L'isolamento di Aung San Suu Kyi, al suo decimo anno di detenzione, e' totale. L'ultima volta che sono riuscito a parlarle, le ho chiesto cosa stesse succedendo fuori della sua casa. "Oh, la strada e' bloccata e piena di soldati... per difendermi, naturalmente". Mi ha ringraziato dei libri che le avevo mandato, consegnati a mano attraverso la rete clandestina che oggi lotta per restare in contatto con lei. Mi ha detto di avere gradito le biografie di quanti hanno subito l'isolamento come lei: Mandela, Sakharov. Da allora ha ricevuto ben poco, e non si sa se abbia ancora la sua vecchia radio Grundig a onde corte. Adesso il regime ha rimosso le guardie del corpo dalla sua casa accanto al lago Inya. Avendo torturato e ucciso i suoi alleati piu' stretti, devono essersi convinti che, se il mondo si girera' dall'altra parte, potranno fare lo stesso anche con lei. "Per i media, la Birmania e' raramente alla moda", mi ha detto Suu Kyi. "Ma la cosa importante da ricordare di una lotta come la nostra e' che essa resiste, con o senza i riflettori accesi, e non puo' essere piegata". Per una persona cosi' sola, queste parole sono salutari; le raccomando a quelli che si demoralizzano se la loro partecipazione a una dimostrazione non riesce a fermare un'invasione. Fortunatamente, Aung San Suu Kyi e il movimento per la democrazia di cui e' alla guida sono sostenuti da una tenace rete di solidarieta' in tutto il mondo, e sono grato a John Jackson e Yvette Mahon di Burma Campaign Uk. Loro non ci hanno mai permesso di dimenticare che se la richiesta di democrazia - spesso disprezzata - significa qualcosa, il suo vero test e' la Birmania. * Nell'attuale numero di "Metta", la rivista di Burma Campaign, Desmond Tutu ci ricorda che nelle elezioni birmane del 1990 Aung San Suu Kyi e il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia, hanno ottenuto l'82% dei seggi in parlamento. Per la giunta militare quello fu il segnale per dare la caccia ai vincitori, torturarli, ucciderli e ridurre in schiavitu' gran parte della nazione. "Suu Kyi e il popolo della Birmania", scrive Tutu, "non hanno chiesto che una coalizione militare invadesse il loro paese. Hanno semplicemente chiesto che contro i brutali dittatori della Birmania sia esercitata la massima pressione diplomatica ed economica". Come ha dimostrato la reazione della gente di fronte allo tsunami e all'invasione dell'Iraq, la divisione che sta crescendo piu' in fretta nel mondo e' quella tra i popoli e coloro che sono al potere e pretendono di agire moralmente nel loro nome. La Birmania ne e' un esempio. * Prendete la disgustosa politica dell'Unione Europea. Con un occhio al suo vasto mercato asiatico, l'Unione Europea - promotrice di "diritti umani" quando il prezzo e' giusto - ha blandito senza alcuna vergogna la giunta della Birmania. Dove lo stupro e' usato come arma di stato contro donne e bambini indigeni. Il lavoro forzato e' diffuso ed e' definito dall'agenzia dell'Onu Ilo (International Labour Organisation) un "crimine contro l'umanita'". La giunta detiene piu' di 1.350 prigionieri politici, molti dei quali vengono torturati sistematicamente. Fino a un milione di persone sono state scacciate dalla loro terra. Meta' del budget nazionale viene speso per un esercito brutale e vanesio il cui unico nemico e' il suo popolo, mentre per la sanita' non si spende praticamente niente; un bambino birmano ogni dieci muore durante la prima infanzia. E la vera leader, eletta con una maggioranza schiacciante, e' agli arresti e si alza tutte le mattine alle quattro per meditare su una simile, epica ingiustizia. Nel frattempo l'Unione Europea sostiene il regime aumentando le importazioni, il cui valore tra il 1998 e il 2002 ammonta a circa 4 miliardi di sterline. Lo scorso ottobre si e' tenuto ad Hanoi il quinto Summit euro-asiatico (Asem) a cui hanno partecipato 39 stati e, per la prima volta, i rappresentanti della giunta vi hanno preso parte. Invece di annunciare un boicottaggio, gli europei sono rimasti in silenzio. Il presidente francese Jacques Chirac ha detto pero' di sperare che non siano necessarie sanzioni piu' severe perche' "colpirebbero i piu' poveri". Per "i piu' poveri" si legga la Total Oil Company, appartenente in parte al governo francese, ossia il maggiore investitore straniero in Birmania. L'infrastruttura di strade e ferrovie delle compagnie petrolifere e' stata spesso oggetto di denunce perche' realizzata con il lavoro forzato. Gli euro della Total consentono alla giunta di rinnovare la attrezzatura del suo stato del terrore. Jackson denuncia la farsa delle attuali sanzioni dell'UnioneEuropea. Dopo che, nel 2003, ben cento sostenitori di Suu Kyi sono stati pubblicamente picchiati a morte dai soldati, l'Unione Europea ha esteso il suo divieto di visto alla giunta e la Germania ha congelato ben 86 euro di beni birmani presenti in Germania. * Per contro, e attraverso un'azione diretta, la campagna internazionale ha ottenuto importanti disinvestimenti da Premier Oil, Heineken, PepsiCo, British Home Stores. L'attuale "lista nera" degli investitori comprende le compagnie petrolifere Total e Unocal, la Rolls-Royce, i Lloyd's di Londra e le societa' specializzate in viaggi "prestigiosi" come Bales, Road to Mandalay e Orient Express. La guida Lonely Planet, un best-seller mondiale, e' una presenza fissa nella lista. Da tempo la Lonely Planet si e' resa ridicola sostenendo, secondo le parole di uno dei suoi autori, che la Birmania oggi "e' piu' ricca" e che, sebbene la giunta sia "abominevole", "il carcere politico, la tortura" e "il servizio civile non volontario" non sono novita' e "ci sono da secoli". Andate a dirlo agli abitanti di Pagan, l'antica capitale, che contava 4.000 abitanti. Gli furono lasciate solo poche settimane per andarsene, poi le loro case furono rase a zero con i bulldozer e furono costretti a marciare sotto la minaccia delle armi fino a un campo di stoppie privo d'acqua che d'estate diventa arido, e d'inverno si riempie di fango. La loro cacciata serviva a fare spazio ai turisti stranieri. "Daro' il benvenuto ai turisti e agli investitori", ha detto Aung San Suu Kyi, "quando saremo liberi". Molti elementi dimostrano che il turismo straniero ha beneficiato il regime, non la popolazione birmana, e che gran parte dell'infrastruttura turistica e' stata costruita con il "servizio civile non volontario", uno stupido eufemismo per il lavoro forzato quando non schiavistico. * Nove anni fa, mentre ero in Birmania e facevo segretamente delle riprese, mi imbattei in una scena che avrebbe potuto essere un tableau dell'Inghilterra dickensiana. Vicino la citta' di Tavoy, nel sud del paese, alcune squadre di operai stavano costruendo un viadotto ferroviario sotto la sorveglianza dei soldati. Gli operai, molti dei quali bambini, erano ridotti in schiavitu'. Vidi una bambina con un lungo vestito azzurro tentare di brandire una zappa piu' alta di lei per poi ricadere giu' esausta. "Quanti anni hai?", le chiesi. "Undici", fu la risposta. Come non dobbiamo dimenticare la popolazione di Fallujah, Najaf e Baghdad, e quella di Ramallah e Gaza, cosi' non dobbiamo dimenticare questa bambina, la sua gente e la loro leader, che chiedono il rispetto dei diritti piu' elementari e meritano il nostro sostegno. 5. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE QUATTORDICESIMA) HANNA LEVY-HASS Nata a Sarajevo, studi alla Sorbona, partecipa alla lotta partigiana, arrestata dalla Gestapo e' deportata a Bergen-Belsen, sopravvissuta, continua il suo impegno civile. Opere di Hanna Levy-Hass: Diario di Bergen-Belsen, La Nuova Italia, Firenze 1972. BERNARD LEWIS Bernard Lewis e' uno dei maggiori esperti di studi mediorientali. Tra le opere di Bernard Lewis: L'Europa e l'Islam, Laterza, Roma-Bari 1995; Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e su un pregiudizio, Bologna 1990, 2000. HELEN LEWIS Nata a Trutnov in Cecoslovacchia, deportata nel 1942 a Terezin e poi trasferita ad Auschwitz. Tornata a Praga dopo la liberazione, nel 1947 si trasferisce a Belfast dove fonda la Compagnia di danza moderna e vive insegnando danza e coreografia. Opere di Helen Lewis: Il tempo di parlare, Einaudi, Torino 1996. GUENTER LEWY Nato a Breslavia nel 1923, docente in varie universita' americane. Opere di Guenter Lewy: I nazisti e la Chiesa, Il Saggiatore, Milano 1965; La persecuzione nazista degli zingari, Einaudi, Torino 2002. ROBERT JAY LIFTON Psichiatra, studioso della Shoah. Opere di Robert Jay Lifton: Medici nazisti, Rizzoli, Milano 1988. GIACOMA LIMENTANI Nata a Roma nel 1927, scrittrice, studiosa della cultura ebraica. Dal sito www.festivaletteratura.it riprendiamo la seguente scheda: "Nata nel 1927 a Roma, dove vive e lavora, Giacoma Limentani e' una delle interpreti piu' sensibili della cultura ebraica, Scrittrice, traduttrice, ha dedicato il suo talento a diffondere e indagare la bellezza ed i misteri della sapienza ebraica, componendo libri che, pur rispettando la tradizione delle leggende ebraiche, risplendono di nuova luce grazie alla sua cura sensibile ed intelligente. Raffinato anche il suo talento narrativo in romanzi ben costruiti e velatamente ironici". Tra le opere di Giacoma Limentani: In contumacia, Adelphi, Milano 1967; Il grande seduto, Adelphi, Milano 1969; Gli uomini del libro. Leggende ebraiche, Adelphi, Milano 1975; Il vizio del faraone, Stampatori, Roma 1980; L'ombra allo specchio, La Tartaruga, Milano 1988; Dentro la D, Marietti, Genova 1991; Nachman racconta, Giuntina, Firenze 1993; E rise Mose', Einaudi, Torino 1995; Aiutare a pensare, Giuntina, Firenze 1996; Scrivere dopo per scrivere prima. Riflessioni e scritti, Giuntina, Firenze 1997; Il midrash. Come i maestri ebrei leggevano e vivevano la Bibbia, Paoline Editoriale Libri, 1997; Giona e il Leviatano, Edizioni Paoline, 1998; Da lunedi' a lunedi', Einaudi, Torino 1999; Il profeta e la prostituta. Osea, Paoline Editoriale Libri, 1999; (con Guido Lopez e Raffaele Niri), Viaggio nel mondo ebraico di Emanuele Luzzati, Tormena, 2000; Regina o concubina? Ester, Paoline Editoriale Libri, 2001. BARNET LITVINOFF Barnet Litvinoff, storico, si e' dedicato a lungo allo studio del sionismo e alla storia recente del popolo ebraico; e' stato biografo di Chaim Weizmann e curatore dei suoi scritti. Tra le opere di Barnet Litvinoff: Il roveto ardente. Storia dell'antisemitismo, Mondadori, Milano 1989. CARLO LIZZANI Regista e studioso del cinema. Nato a Roma nel 1922, inizia a scrivere di cinema nel 1941, antifascista, fa parte del gruppo di "Cinema" e partecipa all'opera di elaborazione teorica ed all'impegno politico che furono alla base della nascita del neorealismo cinematografico. Come soggettista, sceneggiatore, aiuto regista, attore, collabora tra il 1943 e il 1950 con Visconti, Blasetti, Vergano, Rossellini, Lattuada, De Santis. Autore di documentari e di film a soggetto di grande rilevanza. Opere di Carlo Lizzani: tra i suoi film segnaliamo: Achtung! Banditi!; Cronache di poveri amanti; Il processo di Verona; La vita agra; Banditi a Milano; Mussolini ultimo atto; San Babila ore venti. Tra gli scritti segnaliamo almeno Il cinema italiano 1895-1979, Editori Riuniti, Roma 1979; e la profonda analisi di Riso amaro, Officina, Roma 1978 (del capolavoro di De Santis Lizzani era stato tra i soggettisti e gli sceneggiatori). ELENA LOEWENTHAL Limpida saggista e fine narratrice, acuta studiosa; nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali; collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e' stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi. Opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani, Milano 2003; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino 1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg. JOSEPH LOSEY Joseph Losey (1909-1984), intellettuale e regista, nel '35 incontra Ejzenstejn in Russia; nel '47 mette in scena in America la Vita di Galileo con l'aiuto dello stesso Bertolt Brecht e l'interpretazione che restera' celebre di Charles Laughton; impegnato politicamente, lascia l'America per l'Europa per sfuggire alla "caccia alle streghe"; in Europa collabora con sceneggiatori come Harold Pinter ed altri intellettuali di grande valore impegnati nel cinema. Opere di Joseph Losey: segnaliamo particolarmente quella tenera favola contro il pregiudizio che e' Il ragazzo dai capelli verdi (1948); la spietata analisi dei rapporti di classe e dello sfacelo di un mondo di oppressione e mistificazione ne Il servo (1963); e soprattutto il formidabile apologo kafkiano sulla deportazione e sul collaborazionismo che e' Mr Klein (1976). Ma tutta la sua filmografia meriterebbe di essere qui citata. Opere su Joseph Losey: Giorgio Cremonini, Gualtiero De Marinis, Joseph Losey, Il Castoro Cinema. ALBERTO LOVATTO Alberto Lovatto, nato nel 1957, consigliere scientifico dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea di Vercelli. Dal giugno 2000 fa parte della Commissione archivi dell'Insmli. Etnomusicologo, insegnante. Consigliere comunale a Grignasco (1995-1999). Ha svolto corsi di didattica della storia contemporanea e di didattica musicale. Si e' occupato anche di produzione video. Collabora a "L'impegno". Suoi articoli sono comparsi anche in "Musicascuola", "Pum. Progetto uomo musica", "Remmalju". Ha pubblicato, nelle edizioni dell'Istituto per la storia della Resistenza e della societa' contemporanea: La deportazione nei Lager nazisti. Nuove prospettive di ricerca, 1989; L'emigrazione dei valsesiani nell'Ottocento. Materiali per una ricerca, 1989; Dalle leggi razziali alla deportazione. Ebrei fra antisemitismo e solidarieta', 1992; L'ordito e la trama. Frammenti di memorie su lotte e lavoro dei tessili in Valsessera negli ultimi cinquant'anni, 1995; "Quando io avevo la tua eta' c'era la guerra". Ricordando fascismo, guerra e Resistenza a Breia e Cellio, 1995; Deportazione, memoria, comunita'. Vercellesi, biellesi e valsesiani nei Lager nazisti, 1997; "E sulla terra faremo liberta'". Piccola storia in musica dell'immaginario partigiano tra Resistenza, dopoguerra, anni sessanta ed oltre, 1999; Partigiani a colori nelle diapositive di Carlo Buratti, 2000; Va in scena la memoria. La radio, la storia, l'ascolto, 2000; Canzoni e Resistenza, 2001. Suoi saggi sono editi anche in Patrizia Dongilli (a cura di), Aspetti della storia della provincia di Vercelli tra le due guerre, Isrsc Vc, 1993. Altre opere: Primi appunti sulla ribeba in Valsesia, Bologna, Dams, 1983; ... e 'n cent agn l'e' 'n musicon. Cento anni di banda, musicanti e comunita' a Grignasco, Musica Societa' Operaia, Grignasco 1993; Cent'anni di banda a Portula Matrice nei documenti e nelle testimonianze dei suoi musicanti, Corpo Musicale di Portula, Portula 1994; Quarona tra bande e fanfare. La vita di un paese nella storia delle sue bande musicali, Associazione culturale quaronese, Quarona 1997; Archivi sonori del Piemonte. Archiviazione, gestione ed uso di documenti sonori in quarant'anni di audioregistrazioni, in Antonella Mule' (a cura di), Archivi sonori. Atti dei seminari di Vercelli (22 gennaio 1993), Bologna (22-23 settembre 1994), Milano (7 marzo 1995), Ministero per i beni e le attivita' culturali, Roma 1999; Storia orale e deportazione: riflessioni su alcune esperienze di ricerca, in Giovanna D'Amico, Brunello Mantelli (a cura di), I campi di sterminio nazisti. Storia, memoria, storiografia, Consiglio regionale del Piemonte, Angeli, Milano 2003. Ha realizzato i seguenti videotapes: Prigionieri ed internati militari durante la seconda guerra mondiale, 1989; La seconda guerra mondiale e la Resistenza, 1990; Radio liberta': alcune testimonianze, 1990; La Resistenza a Postua. I luoghi e la memoria, 1998. Ha curato inoltre le seguenti mostre: L'emigrazione dei valsesiani nell'Ottocento. Materiali per una ricerca, 1989; Memoria della seconda guerra mondiale (in collaborazione con Pierangelo Cavanna), 1992; Canzoni e Resistenza. Documenti per una storia dell'immaginario partigiano nella canzone, 1998. 6. RIFLESSIONE. PATRICIA SMITH MELTON: UNA TREMENDA BELLEZZA [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione nella sua traduzione questo estratto dall'intervento di Patricia Smith Melton al congresso "Riunire le donne" (Gwt) del 27 ottobre 2004. Patricia Smith Melton, del movimento dei Cerchi, ha girato il mondo, anche nelle aree di conflitto armato, per filmare i documentari di Peacexpeace, il network globale dei Cerchi delle donne] Io sono una donna, e questo non e' stato il mio mondo per migliaia di anni. Perche' il mondo non mi presta attenzione, non presta attenzione al modo in cui io vedo? Alcuni dicono che la mia caduta e' cominciata con l'apparizione dell'alfabeto, dono benedetto scaturito e radicato nella parte analitica di tutti noi. Ma si sono usate le parole come superiori alle immagini, i particolari come superiori all'interezza, il pensiero come superiore all'emozione. Si e' tolta forza alla dea, alla dea fertile, alla dea della primavera e del rinnovamento, e dei cicli: toglietele potere! Bruciatela, soffocatela, distruggete le sue immagini, innalzate Zeus, le parole sulle immagini, e abbasso i pericolosi irrazionali scaltri modi delle donne! Pregate Atena, se volete, nata dalla mente di un dio maschio e che dichiara la mente maschile perfetta, la donna ideale nata dai processi mentali degli uomini pensanti! Chi ha scritto tutta questa roba? Una donna da una costola di un uomo, da una parte non del tutto utile, non vitale? Chi ha scritto questa roba? Non la mia Lilith, non la mia Giuditta, non la mia Maria. E neppure la mia Gloria, Bella, Germaine, Elizabeth, Cady o Rosa. Non l'ha scritta Sojourner: "E io, non sono una donna?". Non sono una persona? E' stato a causa di questa espulsione forzata, che accade ancora oggi che io non percepisco la pietra miliare del mio essere? Sono al pozzo, ma non so se sono cieca o se vedo. Condannata per i miei modi "irrazionali", come vedro' l'interezza di cio' che sono? * Sono stati i guerrieri che arrivavano da oltre le montagne, che attraversavano le pianure e le steppe, uccidendo e devastando? Tutto il potere ai muscoli, tutto il potere al massacro selvaggio! O sono state le strade commerciali, quando il commercio passo' dal baratto all'oro, dalle cose concrete all'astratto? E' stato quando sono diventata una proprieta'? Prima nascosta per il valore del mio ventre, e poi nascosta per la vergogna del mio ventre? O e' stato perche' non volevo aderire alla violenza, in un mondo che stava diventando violento? Mi faccio piccola, sempre piu' piccola, silenziosa, attendo che la sua furia passi. Non tira piu' ai lanosi mammuth, ora uccide piccoli mammiferi, io sono il piccolo bersaglio mammifero. I miei bambini sono i suoi piccoli mammiferi. Io sono al pozzo con le donne, e ci vediamo l'un l'altra. Ci sono anche uomini, al pozzo, che sospettano che qualcosa di terribilmente falso ha il controllo del mondo? Sono persi nella nebbia del mio non vedere? La mia paura mi rende cieca a loro? E loro, ci vedono? Ci vedono, mentre ci riuniamo, mentre ci riuniamo in cerchi come le Madri di Plaza de Mayo, lamentando i nostri figli scomparsi? Gli uomini pensano che potrebbero venire piu' vicini al pozzo? Chi fra le donne rompera' il codice del silenzio? "Perche' io vedo qualcosa di piu', so qualcosa di piu', e sarebbe bene che tu mi prestassi attenzione". Com'e' che le donne sanno tutto quello che c'e' da sapere nelle nostre case: i calzini, i barattoli, le faccende, le telefonate per la scuola dei bambini; com'e' che tutto e' nelle nostre famiglie: le ferite, i segreti, la rabbia, le rivalita', le falsita', gli amori inattesi; com'e' che tutto e' nella nostra comunita': la corruzione, le lotte di potere, i fili della bonta' e il bisogno di parchi... Per le nostre regioni, piu' case a riscaldamento solare, istruzione per tutti, scuole che abbiano programmi artistici, posti per incontrarci e ascoltarci l'un l'altro... e per il mondo, il bisogno del coraggio di avere cura, di dare il benvenuto e di tenere con se', anziche' bombardare e distruggere. Com'e' che le donne sanno di cosa si tratta: concerne le donne, e i bambini, e i poveri, e gli uomini, e i bisognosi, e la bellezza, e i ricchi, e la malattia, e la benedizione, e i deprivati e coloro i cui occhi hanno una forma e i capelli un colore e corpi di altre forme, un caleidoscopio di colori e suoni ed esseri... eppure tutti sono una sola luce. Com'e' che noi sappiamo che tutte le lingue sono una lingua, che tutti i cuori sono uno? E dove, quando e perche' perdemmo potere in questo mondo e la fede in noi stesse? * Ma siamo qui ora. C'e' una distruzione massiccia che ci circonda, eppure noi riusciamo a vedere di piu' nei cespugli, e a parlarne. Quest'enorme ferita e' creata da esseri umani, ed esseri umani permettono che essa rimanga. La paura e' la principale arma di distruzione di massa. Le donne sono capaci psicologicamente, mentalmente, emotivamente e fisiologicamente di guarire il mondo, perche' noi vediamo, comprendiamo e agiamo in modo olistico. Le donne sono state represse attraverso i millenni, e solo ora stiamo riguadagnando la nostra forza individuale e collettiva. Ma non abbiamo piu' ne' l'agio ne' il lusso di evolvere lentamente la nostra ricostruzione di coscienza su cio' che siamo capaci di fare: dobbiamo guidare il percorso. L'armonia ed il caos hanno combattuto lungamente. Il potere dell'amore e' alla fine sempre piu' forte della paura. Le donne si stanno alzando ora, spinte dall'amore, vedendo le necessita'. Stiamo entrando nel nostro potere attraverso le connessioni e la comunicazione. Stiamo ricordando chi siamo, e questo sa di liberta', e ci fa sentire bene. Possiamo cullare l'umanita' con il nostro lato affettivo, e organizzare il mondo con il nostro lato analitico, e vedere ciascuna cosa e ciascuna persona attorno a noi. Le donne sono il sesso il cui tempo e' venuto. Noi siamo creature dalla tremenda bellezza. 7. LUTTI. ROBERTO SILVESTRI: PER OSSIE DAVIS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 febbraio 2005. Roberto Silvestri, acuto studioso di cinema, di cinema scrive sul "Manifesto". Su Ossie David riprendiamo anche questa scheda apparsa sul medesimo giornale: "Attore, musicista, attivista, Ossie Davis, nato in Georgia nel 1917, e' morto in un albergo a Miami Beach dove si trovava per le riprese di Retirement di Charlie Picerni. E' stato una delle voci piu' significative e sfaccettate della cultura afroamericana. Fu lui a leggere l'orazione funebre di Malcolm X. Ha inoltre prestato il suo nome alla causa di Mumia Abu Jamal ed e' stato il codirettore, insieme all'attore Mike Farrell, del Commitee to save Mumia Abu Jamal. Attore icona di Spike Lee - con il quale ha lavorato in molti film, da Fa la cosa giusta ('89) fino a She hate me (2004) - ha interpretato centinaia di ruoli tra cinema e tv, spesso accanto alla moglie, l'attrice Ruby Dee. Uomo bianco tu vivrai ('49) di Mankiewicz, La storia di Joe Luis ('53) di Robert Gordon, La collina del disonore ('65) di Sidney Lumet, Joe Bass l'implacabile ('68) di Sydney Pollack, Il cliente ('94) di Joel Schumacher, il cult Bubba Ho-tep (2002) di Don Coscarelli, sono alcuni dei titoli della sua carriera. E' del '70 la sua prima regia, Pupe calde e mafia nera (Cotton Comes to Harlem), cui seguiranno: Kongi's Harvest, Black Girl, La guerra di Gordon e Countdown at Kusini. Tra i suoi ultimi film anche How to Get the Man's Foot Outta Your Ass (2003) di Mario Van Peebles"] Per noi e' diventato famoso negli ultimi anni soprattutto come presenza fissa e autorevole, adorabile e rassicurante, nei drammi cinematografici di Spike Lee, compreso l'ultimo, She hates me. Ma Raiford Chatman Davis, detto Ossie, e' stato, come lo scrittore di gialli Chester Himes, il genio politico C. L. R. James, l'astronauta della musica Charlie Parker, il rivoluzionario post-islamico Malcolm X, i pugni chiusi delle Black Panthers a Citta' del Messico e la diva erotica Dorothy Dandridge, un'icona gigante della cultura radicale african-american del secondo novecento, il rappresentante prestigioso e affidabile di una nuova soggettivita' insorgente, l'anello mancante tra le speranze, le lotte e le conquiste democratiche effettive dell'era roosveltiana e la breve, ma non effimera, parentesi kennediana. Il punto di congiunzione egemonico tra le moltitudini in lotta nel sud (e non solo) contro la segregazione razziale inossidabile (e gli impuniti del Kkk) e una classe nera metropolitana, colta, illuminista e borghese, che non deve diventare, per questo, di nuovo schiava delle grandi Corporations. Ma soprattutto l'incarnazione dell' immagine moderna e intelligente, profonda e articolata del cittadino consapevole e dell'attore americano black dalle mille sottigliezze psicologiche. * Veniva da Codgell, Georgia, ma studio' letteratura e i meravigliosi saggi di W. E. B. DuBois alla Howard e alla Columbia University di New York City, e recitazione al Rose McClendon Players di Harlem. Dopo trentadue mesi passati al fronte per salvare il mondo dal mostro nazista (e durante la seconda guerra mondiale scrisse e produsse show per le truppe) si accorse che l'apartheid e lo sfruttamento operaio erano duri a morire in combattimento e perfino nella patria dell'iper-democrazia. Non fu il solo. Sindacati e partiti progressisti, donne divenute in cinque anni il perno del lavoro in fabbrica e in miniera, e soprattutto il PcUsa, furono protagonisti, tra il '45 e il '47, del ciclo di lotte in fabbrica e nella societa', piu' organizzato, possente e "dal basso" della storia d'America. Ma e' molto duro e cruento produrre democrazia nella democrazia occidentali soprattutto quando non disponi di una sponda miracolosa come fu quella del new deal di Roosevelt e Wallace. E, certo, senza lotte niente sviluppo. Fu decisivo il contributo dei lavoratori dei vagoni letto delle ferrovie (il sindacato all-black piu' combattivo del periodo) che minaccio' una vera invasione di Washington se lo status di african-american non fosse cambiato, almeno di un punto in percentuale, e non in maniera formale. Ossie Davis cosi' interpreto' sul palcoscenico Jeb Turner di Robert Ardrey, proprio nel ruolo di un reduce che tenta senza successo di reinserirsi nella societa' che lo ha sfruttato come combattente e gli rifiuta la parita' di diritti. Fu un disastro commerciale, ma conquisto' la critica che conta e soprattutto conobbe un'attrice di nome Ruby Dee, altrettanto militante ma molto piu' brava tecnicamente, e la sposo' due anni dopo. Anzi essendo di corporatura piuttosto robusto e massiccio le costrui' una casa con le sue mani, a New Rochelle, nello stato di New York, dove la coppia piu' creativa e progressista del mondo ha sempre vissuto, assieme a tre figli, di cui uno, Guy, attore. * Gli anni cinquanta li vedono impegnati sulle scene e in televisione, soprattutto in piccoli ruoli, scritti e diretti da Garson Kanin o Joshua Logan, in musical come Jamaica, in classici in versione nera (Il giardino dei ciliegi, da Cechov) o assieme a Sidney Poitier, l'altro attore moderno, in Green Pastures (1951). The Emperor Jones che era stato il cavallo di battaglia di Paul Robeson, nel 1955, per la televisione, sara' lui. "Sapevo che gli attori non erano molto di moda in quel decennio - ha detto una volta - e non avevo molte aspettative. Ma i rifiuti danno mordente, anche se, a parte portare vassoi d'argento, non c'era molto di piu' da sperare. Pero' a teatro ho imparato a competere con i miei pari, mi e' successo a Broadway per Green Pastures, e a lottare per dire parole di cui ti vergogni". Dopo molta televisione il suo ruolo in The hill (La collina del disonore) di Sidney Lumet (1965), al fianco di Sean Connery, fa esclamare alla sofisticata critica del "New Yorker" Pauline Kael: "che straordinario volto per la macchina da presa, un autentico re. Ha una presenza cosi' forte e profonda che nessun attore bianco puo' superare". Eppure Ossie e' molto autocritico sulla sua tecnica recitativa. "Ruby e' molto piu' intensa di me. Preferisco scrivere, ma devo pur mangiare". Scrivera' e dirigera' pochi, ma importanti film, come, nel 1971, Kongi's Harvest, il primo film della storia nigeriana, girato negli studi di Lagos (presto abbandonati) e tratto da un copione (e da un dramma teatrale) del futuro premio Nobel Wole Soyinka, un testo polemico contro la nuova borghesia africana al potere, perennemente asservita alle ex potenze coloniali. E scrivera' qualcosa di ancora piu' importante. Commoventi, lucide e battagliere furono infatti le sue due orazioni funebri sulla tomba dei due martiri della lotta contro il fascismo e il razzismo (variabili interne del liberalismo Usa), Martin Luther King e Malcolm X. Furono capaci di aprire fecondi fronti di combattimento simbolico i suoi drammi teatrali, i suoi film anche commerciali (come Cotton Comes To Harlem del 1969, tratto dal romanzo poliziesco di Chester Haimes Harlem, e tradotto in Italia un po' sciaguratamente Pupe calde e mafia nera, grande successo commerciale, film d'avvio del filone Blaxploitation - ma che Davis considero' "riuscito al 60%". Come Purlie Victorious che nel 1963 divenne il film Gone are the days e da cui fu tratto il musical Purlie. O Black Girl, del 1972, tratto dal dramma della scrittrice african american J. E. Franklin. O il film d'azione Gordon's War del 1973 e, nel 1976, Countdown at Kusini, film metafora, dedicato al Sudafrica delle lotte contro l'apartheid, sulla liberazione di un immaginario paese del continente nero. E le sue interpretazioni sullo schermo, tra cui Fa la cosa giusta , School daze, Jungle fever, e Malcolm X (dove rimette in scena il suo stesso elogio funebre) di Spike Lee sono quelle piu' care dell'ultimo periodo. Ma alle quali sara' bene aggiungere almeno Il cardinale di Preminger, Sam Whiskey, Shock Treatment, A man called Adam, Slaves e, recentemente, Gladiator. * Davis ha girato infatti un'ottantina di film come attore, e ha continuato a fare molto teatro e televisione. In Joe Bass l'impalcabile (The Scalphunters), anti-western di Sidney Pollack (1968), e' un personaggio nonviolento e volubile che impara come la nonviolenza sia una meravigliosa tecnica di comando, basta essere "armati" dentro, e infatti fara' una scazzottata, anche psicologica, con Burt Lancaster e, miracolo del sessantotto, non solo gli tiene testa, ma addirittura vince. Ma quella folgorante performance di Ossie Davis era di un attore di 51 anni, virtuoso (adorato da Orson Welles) e - come successe almeno a un'altra ventina di formidabili artisti african-american, comunisti o simpatizzanti del partito comunista Usa, come Paul Robeson e Canada Lee, Spencer Williams e Hazel Scott - contrastato, "deviato" e respinto ai margini dalla democrazia a "sovranita' limitata", che negli anni della guerra fredda era caduta in mano a gruppi conservatori militaristi e fanatici. I dirigenti Rai, specialisti in lacune storiche, in queste ore di dolore staranno certo facendo il diavolo a quattro per impossessarsi dei diritti di un documentario nordamericano del 1998, Scandalize my name: Stories from the Blacklist di Alexandra Isles, che illumina finalmente proprio questa pagina segreta dentro il piu' ampio rimosso delle purghe illiberali e un-american. Nel 2004 Ossie Davis, assieme a John Wiliams, Warren Beatty, la moglie Ruby Dee, Joan Sutherland e Elton John era stato insignito di una importante onrificenza al Kennedy Centers Honoris. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 834 dell'8 febbraio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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