La nonviolenza e' in cammino. 827



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 827 del primo febbraio 2005

Sommario di questo numero:
1. Per una bibliografia sulla Shoah (parte settima)
2. La Fondazione ex campo Fossoli e il Centro studi "Primo Levi"
3. Francesco Comina: La coscienza di Josef Mayr-Nusser tra fede e politica
4. Antonio Camuso: Un ricordo di Giovanni Palatucci
5. Gadi Luzzatto Voghera: La Shoah: un evento unico?
6. Ileana Montini: Di donne e di nonviolenza
7. Giulio Vittorangeli: "Milioni di sms"
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'

1. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE SETTIMA)

NEDO FIANO
Deportato ad Auschwitz il 16 maggio del 1944, matricola A 5405, liberato a
Buchenwald l'11 aprile 1945; tutta la sua famiglia fu deportata e
sterminata. E' laureato all'Universita' Bocconi di Milano e alla sua
attivita' professionale di manager affianca un'intensa attivita' di
conferenze e testimonianze sulla Shoah. Opere di Nedo Fiano: A 5405. Il
coraggio di vivere, Monti Edizioni, Varese 2003.

ALAIN FINKIELKRAUT
Nato nel 1949 a Parigi, figlio unico di un superstite di Auschwitz, Alain
Finkielkraut e' uno degli intellettuali francesi piu' importanti della sua
generazione, acuto moralista ed aspro polemista (in questa veste talora
decisamente unilaterale e discutibile). Opere di Alain Finkielkraut: Le Juif
imaginaire, 1981 (tr. it.: L'ebreo immaginario, Genova 1990); La sagesse de
l'amour, Gallimard, Paris 1984; La defaite de la pensee, Gallimard, Paris
1987; La memoire vaine, du crime contre l'humanite', 1989; Le
mecontemporain. Charles Peguy, lecteur du monde moderne, Gallimard, Paris
1992; Comment peut-on etre croate?, Gallimard, Paris 1992; L'Ingratitude.
Conversation sur notre temps avec Antoine Robitaille, Gallimard, Paris 1999;
Une voix qui vient de l'autre rive, Gallimard, Paris 2000; (con Paul
Soriano), Internet, l'inquietante extase, Mille et une nuits, 2001;
L'imparfait du present. Pieces breves, Gallimard, Paris 2002; (con Peter
Sloterdijk), Les battements du monde, Pauvert, Paris 2003; Au nom de
l'autre. Reflexions sur l'antisemitisme qui vient, Gallimard, Paris 2003.

LUIGI FLEISCHMANN
Testimone della persecuzione. Dal sito della casa editrice La Giuntina
(www.giuntina.it) riportiamo la seguente scheda: "Dall'aprile del '43 tutta
la famiglia Fleischmann e' internata a Navelli, un paesino fra il Gran Sasso
e la Majella, assieme ad altri ebrei, e ad alcuni confinati politici. Dopo
l'8 settembre, sono gli stessi carabinieri italiani a metterli in guardia
contro la ben piu' spietata determinazione dei nazisti. Nascosti sotto falsa
identita', gli internati si industriano a sopravvivere, con l'aiuto dei
contadini e spesso con la complicita' degli stessi funzionari fascisti, nel
continuo timore di essere scoperti. Per farsi animo ascoltano
clandestinamente la radio inglese. Il sedicenne Luigi, figlio maggiore dei
Fleischmann, osserva ed annota, con lo sguardo ingenuo ma attento
dell'adolescente, le minute vicende quotidiane e il procedere degli
avvenimenti bellici, scanditi dal volgere delle stagioni, le incursioni
dell'aviazione alleata; l'ansia per i rastrellamenti, i contatti col
nascente movimento di resistenza, fino alla liberazione, cui partecipera',
assieme ai partigiani, nel giugno del '44. Luigi Fleischmann era nato a
Fiume (ora Rjeka, in Croazia) il 17 aprile 1928 da famiglia ebraica
proveniente in parte dalla Moravia in parte dall'Austria. Il padre era
cantore del Tempio Maggiore e segretario della comunita' ebraica di Fiume.
Dopo la fine della guerra, a vent'anni, Luigi si trasferisce in Palestina
dove si arruola nell'Haganah, l'organizzazione militare ebraica. Stabilitosi
in Israele, partecipa successivamente, come soldato semplice, alla guerra di
Suez nel '56, a quella dei Sei giorni nel giugno del '67 e a quella del
Kippur, nel '73. Nella vita civile ha fatto il trattorista poi, per oltre
quarant'anni, il tecnico responsabile dell'irrigazione nel villaggio di Kfar
Warburg (non lontano da Gerusalemme). E' morto il 23 agosto 1999. Il suo
diario e' stato rielaborato dall'autore, non ancora ventenne, sulla scorta
dei ricordi, fra il 1946 e il 1947". Opere di Luigi Fleischmann: Un ragazzo
ebreo nelle retrovie, Giuntina, Firenze 1999.

MARCELLO FLORES
Marcello Flores (Padova 1945) dal 1975 al 1993 ha insegnato Storia dei
movimenti politici all'Universita' di Trieste; attualmente insegna Storia
dell'Europa orientale e Storia delle relazioni internazionali
all'Universita' di Siena, dove dirige anche il Master in Human Rights and
Humanitarian Action. Ha compiuto soggiorni di studio e periodi
d'insegnamento a Berkeley, Cambridge, Parigi, Mosca, Varsavia, dove e' anche
stato per due anni addetto culturale presso l'Ambasciata d'Italia. Ha
organizzato i seguenti convegni internazionali: "Il mito dell'Urss. La
cultura occidentale e l'Unione Sovietica", Cortona, 1989; "L'identita'
collettiva e la memoria storica", Varsavia-Siena, 1994; "L'esperienza
totalitaria nel XX secolo", Siena, 1997. I suoi campi di ricerca sono stati
prevalentemente: il comunismo e il movimento operaio internazionale; i
regimi dell'Urss e dell'Europa orientale e i loro rapporti con l'occidente;
la guerra fredda; la storia intellettuale e culturale del Novecento; la
ricostruzione democratica in Italia e in Europa dopo la seconda guerra
mondiale. Ha fatto parte della redazione di "Linea d'ombra" e della rivista
"Movimento operaio e socialista"; fa parte del comitato di direzione della
rivista "I viaggi di Erodoto" e dirige il supplemento "XX secolo" della
rivista "Storia & Dossier". Fa parte del gruppo di ricerca "Memoire grise a'
l'est" costituitosi nel 1985 presso la Bibliotheque de Documentation
Internationale Contemporaine di Nanterre. Fa parte del comitato scientificio
per la pubblicazione dei documenti diplomatici italiani sull'Armenia. Opere
di Marcello Flores: L'immagine dell'Urss. L'occidente e la Russia di Stalin,
Il Saggiatore, Milano 1990; L'eta' del sospetto. I processi politici della
guerra fredda, Il Mulino, Bologna 1995; (con Nicola Gallerano), Introduzione
alla storia contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 1995; 1956, Il Mulino,
Bologna 1996; In terra non c'e' il paradiso. Il racconto del comunismo,
Baldini & Castoldi, Milano 1998; (a cura di), Nazismo, fascismo, comunismo.
Totalitarismi a confronto, Bruno Mondadori, Milano 1998; (a cura di),
Verita' senza vendetta, Manifestolibri, Roma 1999; (a cura di), Storia,
verita', giustizia. I crimini del XX secolo, Bruno Mondadori, Milano 2001;
Il secolo-mondo. Identita' e globalismo nel XX secolo, Il Mulino, Bologna
2002.

VITTORIO FOA
Nato a Torino nel 1910, antifascista, dopo la Resistenza e' stato deputato
alla Costituente per il Partito d'Azione. Dirigente della Cgil; testimone e
storico delle vicende del movimento operaio; e' stato deputato e senatore.
Opere di Vittorio Foa: Sindacati e lotte operaie, Loescher; La struttura del
salario, Alfani; Per una storia del movimento operaio, Einaudi; Riprendere
tempo (con Pietro Marcenaro), Einaudi; La cultura della Cgil, Einaudi; La
Gerusalemme rimandata, Rosenberg & Sellier; Lettere da vicino (curato con
Laura Balbo), Einaudi; La questione socialista (curato con Antonio
Giolitti), Einaudi; Le virtu' della Repubblica (con Paul Ginsborg), Il
Saggiatore; Il cavallo e la torre, Einaudi; Del disordine della liberta'
(con Renzo Foa, suo figlio), Donzelli; Questo Novecento, Einaudi; Lettere
della giovinezza, Einaudi; Lavori in corso 1943-1946, Einaudi.

FERRUCCIO FOELKEL
Scrittore triestino, cultore delle tradizioni ebraiche. Opere di Ferruccio
Foelkel: segnaliamo aprticolarmente La risiera di San Sabba, Rizzoli, Milano
2000.

ENZO FORCELLA
Giornalista di forte impegno democratico, uno dei maestri del giornalismo
italiano, gia' collaboratore del "Mondo" di Mario Pannunzio, e' scomparso
nel 1999. Opere di Enzo Forcella: Celebrazione di un trentennio, Mondadori,
Milano 1974; La resistenza in convento, Einaudi, Torino 1999;
Millecinquecento lettori. Confessioni di un giornalista politico, Donzelli,
Roma 2004; (con Alberto Monticone), Plotone di esecuzione, Laterza, Bari.
Segnaliamo anche che insieme a Francesco Rosi e Raffaele La Capria scrisse
il soggetto e la sceneggiatore del film Le mani sulla citta' di Rosi.

GINA FORMIGGINI
Storica. Opere di Gina Formiggini: Apocalisse sull'Europa, Izzo, 1969;
Stella d'Italia stella di David. Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza,
Mursia, 1970.

MICHEL FOUCAULT
Filosofo francese (Poitiers 1926 - Parigi 1984), critico delle istituzioni e
delle ideologie della violenza e della repressione. Opere di Michel
Foucault: Storia della follia nell'eta' classica, Rizzoli; Raymond Roussel,
Cappelli; Nascita della clinica, Einaudi; Le parole e le cose, Rizzoli;
L'archeologia del sapere, Rizzoli; L'ordine del discorso, Einaudi; Io,
Pierre Riviere..., Einaudi; Sorvegliare e punire, Einaudi; La volonta' di
sapere, Feltrinelli; L'uso dei piaceri, Feltrinelli; La cura di se',
Feltrinelli. Cfr. anche i tre volumi di Archivio Foucault. Interventi,
colloqui, interviste, Feltrinelli. In italiano sono stati pubblicati in
volume anche molti altri testi e raccolte di interventi di Foucault, come
Malattia mentale e psicologia, Cortina; Questa non e' una pipa, Serra e
Riva, Scritti letterari, Feltrinelli; Dalle torture alle celle, Lerici;
Taccuino persiano, Guerini e associati; e varie altre raccolte di materiali,
trascrizioni di conferenze, seminari. Opere su Michel Foucault: tra le molte
disponibili segnaliamo Stefano Catucci, Introduzione a Foucault, Laterza;
Vittorio Cotesta, Linguaggio, potere, individuo, Dedalo; Hubert L. Dreyfus,
Paul Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, Ponte alle Grazie; Didier
Eribon, Michel Foucault, Flammarion; Francois Ewald, Anatomia e corpi
politici. Su Foucault, Feltrinelli; Jose' G. Merquior, Foucault, Laterza;
Judith Revel, Foucault, le parole e i poteri, Manifestolibri; Paolo
Veronesi, Foucault: il potere e la parola, Zanichelli.

2. ESPERIENZE. LA FONDAZIONE EX CAMPO FOSSOLI E IL CENTRO STUDI "PRIMO LEVI"
[Dal sito della Fondazione ex campo Fossoli (www.fondazionefossoli.org)
riprendiamo questa presentazione della Fondazione stessa e del Centro studi
"Primo Levi"]

La Fondazione ex campo Fossoli, costituita nel gennaio 1996 dal Comune di
Carpi e dall'Associazione Amici del Museo Monumento al Deportato, ha come
obiettivi il recupero e la valorizzazione della memoria storica dell'ex
campo di concentramento di Fossoli di Carpi, nonche' la promozione di
attivita' rivolte prevalentemente ai giovani sui temi dell'educazione alla
pace, ai diritti umani ed all'interculturalita'.
All'interno della Fondazione e' stato istituito un Centro studi e
documentazione intitolato alla memoria di Primo Levi, che fu internato a
Fossoli, prima di esserlo a Auschwitz. L'impegno del Centro e' rivolto alla
raccolta di documenti e di testimonianze, alla ricerca storica sul campo di
Fossoli e a promuovere attivita' didattiche sui temi dell'educazione alla
pace ed alla gestione dei conflitti.
Il Centro Studi "Primo Levi" e' diretto da un comitato scientifico di cui
fanno parte Andrea Canevaro, Luciano Casali, Fausto Ciuffi, Enzo Collotti,
Paolo De Benedetti, Raffaele Mantegazza, Daniele Novara, Liliana Picciotto e
Frediano Sessi.
Dal 1998 la Fondazione ex campo Fossoli e' soggetta al controllo ed alla
vigilanza del Ministero dei beni culturali ed ambientali. Dal primo gennaio
2001 la Fondazione Fossoli si occupa della gestione del Museo Monumento al
Deportato e del campo di Fossoli, attivita' in passato svolta direttamente
dal Comune di Carpi.

3. MEMORIA. FRANCESCO COMINA: LA COSCIENZA DI JOSEF MAYR-NUSSER TRA FEDE E
POLITICA
[Ringraziamo Francesco Comina (per contatti: f.comina at ladige.it) per averci
messo a  disposizione questo suo articolo apparso su "L'Adige" del 28
gennaio 2005.
Francesco Comina, giornalista e saggista, pacifista nonviolento, e'
impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi
con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste. Opere
di Francesco Comina: Non giuro a Hitler, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo (Mi) 2000; ha contribuito al libro di AA. VV., Le periferie della
memoria, Anppia - Movimento Nonviolento, Torino-Verona; e a AA. VV.,
Giubileo purificato, Emi, Bologna.
Josef Mayr-Nusser, nato nel 1910, impegnato nell'Azione Cattolica, "nel
1944, benche' sudtirolese con cittadinanza italiana, viene illegalmente
richiamato nelle SS e mandato, insieme ad altri ottanta sudtirolesi, a
Konitz, nella Prussia occidentale. Josef rifiuta il giuramento a Hitler.
Viene sottoposto a carcerazione preventiva a Danzica e di qui destinato al
campo di concentramento di Dachau. Josef non ci arrivera' mai: il 24
febbraio del 1945 viene trovato morto su un carro bestiame fermo alla
stazione di Erlangen" (Comina). Opere su Josef Mayr-Nusser: Francesco
Comina, Non giuro a Hitler. La testimonianza di Josef Mayr-Nusser, San
Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000; Reinhold Iblacker, Non giuro a questo
Fuehrer, Sono, Bolzano 1990]

"Se nessuno avra' mai il coraggio di opporsi ad Adolf Hitler, il nazismo non
tramontera' mai". E' notte, e' buio, e' silenzio nell'ex manicomio di Konitz
(Prussia occidentale) dove al posto dei "matti" inceneriti nei forni sono
apparsi gli ombrosi insegnanti delle SS. Josef Mayr-Nusser e' un cattivo
discepolo e il 4 ottobre del 1944 ha interrotto la lezione per bestemmiare
il Fuehrer. Dio mio che scandalo! La giovane matricola sudtirolese doveva
ripetere con orgoglio il comandamento supremo: "Giuro a te, Adolf Hitler,
Fuehrer e cancelliere del Reich fedelta' e coraggio. Prometto solennemente a
Te e ai superiori designati da te l'obbedienza fino alla morte. Che Dio mi
assista". E invece il sobillatore, l'impostore, il dissenziente ha alzato la
mano per dire l'indicibile: "Signor maresciallo maggiore, io non posso
prestare giuramento a HItler, non posso giurare in nome di Dio ad un uomo
come il Fuehrer. Sono un cattolico, un uomo di fede, la mia coscienza non me
lo consente. Non posso giurare, non me lo chieda". Pochi minuti dopo Josef
sara' costretto perfino a mettere per iscritto quella "bestemmia" perche'
venga posta agli atti della pignolissima burocrazia tedesca. E perche'
rimanga, scritta con l'inchiostro, la sua condanna a morte.
"Ma lo volete capire anche voi? Se nessuno avra' mai il coraggio di opporsi
ad Adolf Hitler, il nazismo non tramontera' mai". Sono le ultime parole che
Josef rivolge ai compagni di stanza per giustificare il suo atto. E' la sera
della lunga agonia: la festa di san Francesco. Gli amici si stringono in un
silenzio opaco. "Ma il buon Dio, non chiede il tuo sangue, non vuole la tua
vita, non ammette che tu getti nella sofferenza Hildegard, la tua giovane
moglie e Albert, il tuo bimbo appena nato. Ritira il tuo rifiuto, pentiti,
torna indietro" dicono alcuni amici sudtirolesi. Josef invece conferma le
sue parole e si prepara alla morte: "Amatissima Hildegard - aveva gia'
annotato qualche giorno prima nella lettera inviata alla moglie - una
preoccupazione affliggera' anche te da quando sai che presto servizio nelle
SS. Non ho dubitato un attimo su come mi comporterei in una simile
situazione e tu non saresti mia moglie se ti aspettassi qualcosa di diverso
da me. Cio' che affligge di piu' il mio cuore e' che la mia testimonianza,
nel momento decisivo, possa causare a te, fedelissima compagna, disgrazia
temporale. Ma l'impellenza di tale testimonianza e' oramai ineluttabile. I
miei superiori hanno mostrato fin troppo chiaramente di rifiutare e odiare
quanto per noi cattolici vi e' di piu' sacro e intangibile. Prega per me,
Hildegard, affinche' nell'ora della prova io agisca senza timori o
esitazioni secondo i dettami di Dio e della mia coscienza".
I mesi passano nella cella umida e scura che rinchiude Josef fino al gennaio
del '45 quando il "traditore" compare come imputato davanti ai giudici
nazisti nel tribunale di Danzica "la bella e antica citta' sul Baltico". Gli
interrogatori del processo sono sommari e la sentenza e' perentoria:
"Wehrmachtszersetzung", disfattismo. Josef Mayr-Nusser viene condannato a
morte e avviato al campo di sterminio di Dachau dove non arrivera' mai
perche' il suo sorriso pieno di fede nel Dio Amore si spegnera' per sempre
il 24 febbraio del 1945 in un carro bestiame fermo alla stazione di
Erlangen. L'ultima parola che pronuncia il "disfattista" Mayr-Nusser e' un
"grazie" rivolto all'SS Fritz Habicher -  responsabile del carico di
condannati - che aveva tentato di farlo curare caricandoselo sulle spalle
per portarlo all'ospedale della zona. Ma i medici nazisti lo rimandarono
indietro: "Non ha nulla, e' sano come un pesce". D'altronde Josef non era
piu' un uomo, un tedesco, un ariano. Era un oppositore politico, un pazzo,
un fanatico antinazista, un condannato a morte. "Amatissima Hildegard, cio'
che mi ha particolarmente riempito di gioia nella tua lettera e' quanto
scrivi del nostro amore. Si', era veramente il primo amore, profondo ed
autentico! E siccome ti conosco so che questo amore reggera' anche alla
prova rappresentata dal passo impostomi dalla mia coscienza. Hildegard,
moglie diletta, sii forte! Dio non abbandonera' ne' te ne' me".
*
Quando Pietro Scoppola lesse la vicenda di Josef Mayr-Nusser disse
pubblicamente che "nel panorama dell'opposizione cristiana al nazismo quel
rifiuto rappresenta uno dei punti piu' alti di espressione dei motivi
profondi per cui era impensabile una adesione della Chiesa a Hitler". Una
testimonianza di fede e politica allo stesso tempo. E lo studioso torinese
Enrico Peyretti ha scritto in piu' occasioni che "Josef Mayr-Nusser e' una
delle voci piu' alte dell'anti-idolatria che la storia conosca".
La diocesi di Bolzano ha atteso decenni per raccogliere l'eredita' di Josef
Mayr-Nusser e ora ha deciso di affrettare i tempi e di velocizzare il
processo di beatificazione, che nelle settimane scorse ha avuto il parere
favorevole dalla commissione per le cause di beatificazione delle diocesi
del nordest. Il postulatore, don Josef Innerhofer (autore di alcuni scritti
sui martiri altoatesini) sta costruendo un abile consenso intorno alla causa
attraverso atti formali e coinvolgendo i media nazionali. E l'abilita' di
don Josef Innerhofer - referente dei media diocesani - consiste nell'aver
capito quali sono anche i punti critici che potrebbero frenare il cammino
del processo di beatificazione. Lo afferma lo stesso don Josef in varie
interviste apparse su televisioni e giornali altoatesini. Intanto c'e' un
problema interno al gruppo tedesco, che per molto tempo ha emarginato la
testimonianza di Josef. Al martire sudtirolese si rinfacciano, in particolar
modo, due situazioni: il suo comportamento nei confronti delle opzioni del
1939, quando Hitler e Mussolini concordarono una strategia comune per
risolvere il problema degli sudtirolesi di madrelingua tedesca in Alto
Adige. Sono essi parte del Reich e dell'Italia? Scelgano loro. Se optano per
il Reich devono abbandonare le loro terre e trasferirsi oltre il confine con
la sicurezza di preservare l'identita' tedesca. Se optano per l'Italia
possono rimanere nelle loro terre ma perderanno le loro radici culturali. I
non optanti rientreranno di fatto in questo secondo gruppo. Josef
Mayr-Nusser decise di non optare. Di piu': entro' a far parte dell'Andreas
Hofer Bund, unica cellula antinazista presente sul territorio, con lo scopo
specifico di invitare il maggior numero di sudtirolesi a rifiutare l'opzione
e ad opporsi all'emigrazione nel Reich. Fu un momento "alto" di battaglia
politica (non partitica). Il secondo elemento che irrita ancora molti
sudtirolesi riguarda il suo atto di disobbedienza civile. Molti non hanno
approvato e non approvano atteggiamenti di disobbedienza: "L'obbedienza non
e' piu' una virtu'" di don Milani e' un concetto ancora troppo poco radicato
nella cultura tedesca (anche se ci sono stati molti casi di sudtirolesi che
hanno rifiutato di far parte delle SS e dell'esercito regolare tedesco
attraverso diserzioni e obiezione di coscienza). Ma l'abilita' diplomatica
di don Innerhofer per far passare la causa di beatificazione mira anche a
tenere lontana una presunta "volonta' di strumentalizzare la testimonianza
di Josef Mayr-Nusser in chiave politica da parte del gruppo italiano", che
per la verita' a me pare piuttosto infondata.
E dunque? Come rilanciare una figura "emarginata" nel suo territorio? Come
far assurgere al ruolo di beato un personaggio che e' stato per molto tempo
relegato in un angolo della cultura e della ricerca storiografica in
Sudtirolo? Semplice: bisogna evitare il piu' possibile di fare i conti con
la componente "politica" della testimonianza di Josef Mayr-Nusser facendo
risaltare al massimo la prospettiva di fede. E che la fede sia la matrice di
fondo della vita e della storia di Josef Mayr-Nusser non ci sono dubbi.
Josef e' stato davvero un cattolico profondamente radicato in una fede
inviolabile. Tutto parte e tutto si risolve nella sua adesione totale al
Cristo che non poteva mai e poi mai venir mercanteggiata con una adesione
all'idolo Adolf Hitler.
Eppure non si puo' comprendere Josef Mayr-Nusser senza pensare alla
dimensione "politica". Perche' Josef nel rifiutare l'idolo Hitler ha fatto
una scelta politica, ha deciso che non da quella parte si poteva stare ma da
un'altra parte, dalla parte della democrazia e della giustizia. Hitler e
Mussolini erano per lui due dittatori temibili, proprio perche' avevano
organizzato un sistema politico disumano, che si teneva in piedi con il
consenso delle masse. Quel sistema andava rifiutato attraverso una
trasformazione profonda della societa'. Come cattolico, appassionato di
Tommaso Moro, pensava all'Utopia, alla citta' futura, ad uno stato in cui i
diritti fossero rispettati e la liberta' fosse un valore supremo. In nome di
Dio e del sogno di giustizia Josef ha rifiutato di prestare giuramento a
Hitler. Ma non si puo' slegarlo dalla sua storia, non si puo' rinchiuderlo
su una nuvola beata e circoscrivere il suo atto nella dimensione di una fede
slegata dalla prassi "politica".
"Josef Mayr-Nusser - commenta lo storico altoatesino Leopold Steurer - se
non fosse morto nel '45 sarebbe fra i fondatori della Svp, come molti suoi
compagni antinazisti e molto probabilmente sarebbe stato emarginato di li' a
poco, come molti suoi compagni antinazisti".

4. MEMORIA. ANTONIO CAMUSO: UN RICORDO DI GIOVANNI PALATUCCI
[Dal sempre utilissimo sito de "Il dialogo" (www.ildialogo.org) riportiamo,
per ampi stralci, il seguente intervento.
Antonio Camuso, dell'"Osservatorio sui Balcani" di Brindisi, e' portavoce
delle associazioni che lavorano nel Comitato per la pace e contro la guerra
di Brindisi..
Giovanni Palatucci fu vicecommissario e poi commissario aggiunto di PS a
Fiume (Rijeka) dal 15 novembre 1937 al 13 settembre 1944 quando fu arrestato
dalla Gestapo; mori' a Dachau il 10 febbraio 1945. Si impegno' per la
salvare la vita degli ebrei perseguitati, e' stato riconosciuto come "Giusto
tra le Nazioni". Opere su Giovanni Palatucci: Polizia di Stato, a cura del
Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Giovanni Palatucci. Il poliziotto che
salvo' migliaia di ebrei, Laurus Robuffo, Roma 2002]

Nella giornata della memoria, in cui si commemorano i milioni di vittime dei
campi di sterminio nazisti, e' doveroso ricordare il sacrificio di coloro
che si adoperarono in tutti i modi nel salvare vite umane date in pasto alla
follia della guerra, del terrore, dell'annullamento di ogni forma di
umanita'.
Tra questi, negli ultimi tempi e' stata riscoperta la figura di Palatucci,
funzionario della questura di Trieste negli anni dell'occupazione
nazifascista, che si adopero' nel salvataggio di numerosi ebrei, pagando in
seguito questa sua coraggiosa scelta con la deportazione in campo di
sterminio e la morte.
Il caso vuole che la nuova questura di Brindisi sia stata intitolata a
questo eroe della nonviolenza. Ancora piu' singolare e' il fatto che la
vicenda di Palatucci si intersechi con quelle della mia famiglia.
*
Siamo nell'ultima parte della prima guerra mondiale e fino all'ultimo giorno
il grande macello, che aveva riempito le trincee del Carso di centinaia di
migliaia di cadaveri, continuava a chiedere le sue vittime quotidiane. Tra i
reparti dell'Esercito Regio vi era quello nel quale il padre di Palatucci
aveva il ruolo di ufficiale e mio nonno di semplice fantaccino, entrambi
dello stesso paesino dell'Irpinia, come anche lo erano la maggior parte
degli effettivi di quella compagnia.
La disfatta di Caporetto e le diserzioni di massa avevano spinto l'alto
comando dell'Esercito a favorire la costituzione di reparti di "paesani"
poiche' su di essi, in caso di diserzione o rifiuto a farsi ammazzare
andando all'assalto alla baionetta, era piu' facile usare la minaccia della
decimazione con la fucilazione a caso tra gli elementi del reparto, dove
convivevano paesani spesso parenti se non addirittura fratelli, padri e
figli.
In uno di questi atroci assalti all'arma bianca contro i nidi di
mitragliatrici austriache mio nonno vide cadere a terra il suo tenente
Palatucci che, riconoscendolo, lo prego' di non lasciarlo li' nella terra di
nessuno. Mio nonno, un montanaro dal fisico di un corazziere, dopo averlo
rincuorato, se lo carico' sulle spalle e sotto i tiri del nemico lo riporto'
prima fra le nostre linee, e poi all'ospedale da campo. Li' prima di
lasciarlo lo rincuoro' per la sua ferita che nonostante fosse all'addome non
doveva essere grave, poiche' il proiettile austriaco che lo aveva colpito
fortunosamente aveva avuto la corsa frenata dal'íimpatto col calamaio che
l'ufficiale aveva nella cintura e che gli serviva per scrivere i messaggi da
inviare al Comando tramite il portaordini.
Questo e' l'ultimo ricordo che mio nonno narrava di Palatucci padre che,
sfortunatamente, nonostante che il proiettile fosse stato immediatamente
estratto quasi a fior di pelle, mori' di infezione per quella ferita.
Quella dolorosa vicenda contribui' in seguito alle scelte di vita di mio
nonno e di Palatucci figlio.
*
Quest'ultimo, figlio di una buona famiglia borghese e possidente, fu
allevato nel ricordo del sacrificio del padre e sotto la tutela di suo zio
prelato che, divenuto poi vescovo, fu in seguito suo sodale nel famoso
salvataggio di ebrei inviati presso la sua diocesi dal nipote.
La morte assurda di suo padre per colpa della follia della guerra e la sua
profonda fede cristiana gli fecero da riferimento per la scelta coraggiosa,
non imposta da nessuno, di anteporre al suo ruolo istituzionale quello di
essere umano, simile in tutto per tutto a coloro che decise di salvare fino
al sacrificio estremo.
Mio nonno dal grande macello della prima guerra mondiale ne usci'
rafforzando la sua ferma convinzione sulla fratellanza di tutti i diseredati
di questa terra o, come si diceva un tempo, sull'internazionalismo
proletario, pagando anche lui il suo antimilitarismo e la sua voglia di
giustizia con il carcere, il confino, la fame.
Mentre Palatucci si adoperava per salvare ebrei dai campi di sterminio, mio
nonno operava nel nascondere soldati tedeschi disertori e paracadutisti
americani piovutigli per sbaglio in testa durante il sanguinoso sbarco di
Salerno. Entrambi, mio nonno e Palatucci, accomunati nel salvare vite umane
dal sonno della ragione provocato dall'odio, la guerra, l'intolleranza.
Il modo migliore per ricordare questi eroi, spesso sconosciuti, a mio avviso
e' quello di agire come loro, mettendo da parte ogni nostra diffidenza e
vedendo sempre nell'altro un compagno di viaggio in questo nostro percorso
terreno.

5. MEMORIA. GADI LUZZATTO VOGHERA: LA SHOAH: UN EVENTO UNICO?
[dal sito www.ucei.it/giornodellamemoria/2004 riprendiamo questo testo. Gadi
Luzzatto Voghera e' nato a Venezia nel 1963, studioso di storia ebraica,
saggista. Opere di Gadi Luzzatto Voghera: L'antisemitismo, Feltrinelli,
Milano 1994]

La Shoah e' da considerarsi evento unico nella storia? L'"unicita'"
dell'evento-Shoah rispetto a tutti gli altri numerosi casi di sterminio di
massa (anche recenti) viene sostenuta in vari e diversi modi; si tratta di
un complesso di elementi che presi nel loro insieme vanno a disegnare un
evento eccezionalmente grave che e' stato negli ultimi anni assunto come
punto di riferimento ineludibile di riflessione etica sul peso della storia
che ci portiamo alle spalle. Tentiamo di schematizzarli brevemente:
- unico caso nella storia in cui pregiudizi alla base di un'ideologia
secolare come l'antisemitismo portano a progettare lo sterminio di un intero
popolo, azione che da allora viene chiamata "genocidio" (termine ora in gran
voga e di cui ampiamente si abusa);
- unico caso in cui la civilta' europea tenta di eliminare in modo
largamente volontario una parte fondamentale del suo patrimonio umano e
culturale;
- unico caso in cui l'intera macchina militare e burocratica di uno stato
assume come fine programmatico lo sterminio di un popolo;
- unico caso in cui la furia persecutoria propria di un uomo (Hitler) si
trasforma in azione che verra' messa in pratica da chi riconosceva in questo
uomo il proprio leader;
- unico caso in cui un'intera generazione di un popolo - quello tedesco -
partecipo' in vari gradi e con minime eccezioni a un genocidio.
Non si tratta - come da piu' parti si obietta - di considerare la Shoah come
evento particolare solo perche' ha colpito gli ebrei. Qui gli ebrei
c'entrano relativamente. Certo, sono stati - a milioni - vittime di una
macchina inaudita di sterminio. Ma non e' in questo che risiede l'unicita'.
Ogni morte violenta e' di per se' "unica" e impone una riflessione etica che
conduca all'elaborazione di una necessaria memoria. L'unicita' della Shoa',
oltre che negli elementi elencati schematicamente, risiede nel fatto che si
tratta di un qualcosa che  nasce all'interno di un mondo occidentale,
liberale, industrializzato, tecnologicamente avanzato che nella sua
presunzione di superiorita' morale verso altre civilta' e' stato capace di
produrre si' cose ottime (dagli antibiotici al motore a scoppio, dalla
democrazia al cinema a quel che si vuole aggiungere) ma anche prodotti
terribili come la Shoah e la bomba atomica. Ma se l'atomica e'
un'elaborazione, per quanto traumatica, prodotta da un'elite di politici,
scienziati e militari e utilizzata in modo orribile, la Shoa' senza la
partecipazione di massa degli europei, che in vari gradi e con diverse
responsabilita' si sono trasformati in carnefici, non avrebbe potuto essere
realizzata ed e' per questo che si puo' parlare di "macchina" della Shoah.
Oggi la memoria della Shoah e' un dovere per rammentarci che la sua unicita'
risiede nel fatto di essere un nostro prodotto e il non ricordare, il non
rifletterci (nel senso di guardarci allo specchio di questo evento),
significherebbe di fatto accettare l'idea che tutto cio' potra' ripetersi,
perche' no, con la nostra partecipazione attiva. Questo, umanamente,
moralmente e praticamente non possiamo consentirlo.
E' necessario saper guardare ai propri ed agli altrui errori per costruire
una societa' che mai piu' partorisca orrori come la Shoah.
Ci interroghiamo in questi anni - in special modo dopo l'istituzione a
livello europeo della Giornata della Memoria il 27 gennaio, anniversario
della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz - sui riflessi
contemporanei, sulle domande e sulle possibili risposte che ci pone
Auschwitz a livello individuale e a livello di societa' complessa. Ha senso
suscitare una memoria storica cosi' forte, unica, su un evento cosi' remoto?
Di fronte a quali problemi ci pone? Ed e' sempre stato cosi' in passato?
Le forme utilizzate per la celebrazione della Shoah sono state per molti
anni relegate all'ambito di una ritualita' priva di effettivi
approfondimenti storiografici. La necessita' di "mettersi alle spalle" il
passato recente di conflitti e la non volonta' di far emergere la complessa
rete di complicita', silenzi, mancati interventi che hanno di fatto
agevolato e contribuito alla cosiddetta "macchina dello sterminio", avevano
funzionato da freno nel far emergere quell'ingentissimo patrimonio di
testimonianze dirette, riflessioni letterarie e analisi storiografiche che
oggi sono a disposizione di tutti noi in un continuo crescendo di
produzione.
Per molti anni allo sterminio degli ebrei non venne mai neppure attribuito
un nome (fatta salva la definizione di "soluzione finale del problema
ebraico" peraltro ideata dagli stessi nazisti); ora ne abbiamo a
disposizione addirittura due, Olocausto e Shoah. Negli ultimi anni la parola
ebraica Shoah (letteralmente: distruzione, catastrofe) e' stata preferita in
Italia e in altri paesi per la sua qualita' descrittiva in lingua ebraica di
un evento cosi' estremo da essere stato definito variamente come
"indicibile", "impensabile" ecc. La parola Olocausto e' sembrata ambigua per
la sua origine etimologica che ne rimanda il significato piu' profondo a
un'azione religiosa, l'offerta di un sacrificio in "olocausto" a un dio, che
sembra particolarmente stridere con l'evento in se'. Tuttavia il primo ad
usare la parola Olocausto fu lo scrittore ebreo Elie Wiesel, vittima assieme
alla famiglia dei campi di sterminio e premio Nobel; la sua influenza
culturale e' forse all'origine dell'accoglimento della parola Olocausto
soprattutto in ambito anglosassone e americano, tanto che il museo nazionale
realizzato a Washington per ricordare lo sterminio degli ebrei prende il
nome di Holocaust Museum.
A fronte della questione dell'unicita' o di quella dei "nomi" dello
sterminio, soprattutto in ambito scolastico e' necessario innanzitutto non
prescindere da una accurata ricostruzione degli avvenimenti storici che
hanno condotto alla realizzazione della soluzione finale. Si', alla
realizzazione, perche' se e' fuor di dubbio che le comunita' ebraiche non
sono scomparse dopo lo sterminio, e' altrettanto vero che il nazismo e i
suoi alleati sono riusciti nel loro intento di cancellare un intero mondo,
la civilta' ebraica dell'Europa orientale che la' aveva trovato la sua culla
fatta di elaborazioni culturali e religiose originali (chassidismo e
haskala' russa), canti (il klezmer), lingua (lo yiddish), esperienze
politiche (bundismo, sionismo), vite umane. Solo una ricostruzione degli
avvenimenti e una parallela ricostruzione dell'ambiente potra' condurre
studenti e insegnanti a porsi interrogativi piu' teoretici e comunque
ineludibili sull'importanza della memoria e sull'unicita' della Shoah.
Quindi spazio agli elementi basilari sull'ascesa del nazionalsocialismo al
potere, sulla soppressione piuttosto rapida delle liberta' democratiche in
Germania, la rimessa in discussione del trattato di Versailles, il riarmo
unilaterale. Poi il 1935 e le leggi di Norimberga sulla purezza della razza
e loro conseguenze, accompagnate dai paralleli progetti di pulizia razziale
della popolazione tedesca, soppressione dei malati mentali e degli
handicappati; la costruzione dei primi campi di concentramento per
oppositori politici, l'espansionismo (Anschluss), la "notte dei cristalli",
e infine l'esplosione della guerra mondiale e le tappe che hanno condotto
alla realizzazione dello sterminio, dai Gaswagen alle Einsatzgruppen fino
alle camere a gas e ai forni crematori. E tanto per non eludere le
responsabilita' (che ci sono assai piu' prossime di quanto in genere non si
creda) sara' anche necessario analizzare le forme della collaborazione
italiana allo sterminio: la promulgazione di una autonoma legislazione
razzista antiebraica realizzata dagli apparati amministrativi italiani, la
progressiva rapida emarginazione della minoranza ebraica, la caccia
all'ebreo scatenata dopo l'8 settembre 1943 con la collaborazione attiva di
civili, personale di polizia e Guardia nazionale repubblicana. La
deportazione, infine, di ottomila ebrei italiani per una destinazione
(Auschwitz) che non era probabilmente del tutto "ignota" come per molto
tempo si e' voluto credere.
Solo dopo aver acquisito una opportuna conoscenza dei fatti, potremo tentare
di rispondere ai "perche'" dello sterminio.

6. RIFLESSIONE. ILEANA MONTINI: DI DONNE E DI NONVIOLENZA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

"... sono le donne che soprattutto insegnano ai cuccioli della specie umana
a divenire persone adulte, comunicano loro memoria e sapere, e li comunicano
nell'unico modo in cui si insegna senza ferire, si offre senza obbligare, si
alimenta senza deformare, si dona conoscenza senza imporre ideologia: con
l'amore, la cura, la forza della verita', la relazione vissuta".
Ho trovato l'editoriale [de "La domenica della nonviolenza" del 30 gennaio
2005] da cui ho estratto questo frammento, appena rientrata da un pranzo di
famiglia dove una nonna, neppure tanto anziana, con evidente compiacimento
raccontava le manifestazioni d'orgoglio del nipote quando aveva appena poco
piu' di due anni: "mi diceva: nonna io sono un maschio... io sono un
maschio!".
Le donne-mamme-nonne sono complici spesso dei loro uomini nel trasmettere
ancora, nel duemila, l'ideologia, la mentalita' secondo la quale nascere
maschi determina una superiorita' a tutto tondo. Le donne possono essere
abili manipolatrici per imporre proprio la tradizione; possono essere
sottilmente capaci di ricatti se, per esempio, le giovani figlie si
discostano dalla linea che ha improntato la loro esistenza. Le donne che
hanno introiettato l'etica del sacrificio, o quella che Lidia Menapace
felicemente defini' "del gratuito obbligatorio", non sono necessariamente
capaci di trasmettere senza deformare o senza imporre quei ruoli sessuali
che loro hanno dovuto accettare e vivere.
La divisione del potere, che assegna alle donne il potere e il controllo
nell'ambito del privato, le fa diventare spesso anche delle tiranne nei
confronti dei figli e dei mariti. Vorrei citare l'ultimo libro della
psiconalista femminista Anna Salvo, Madri e figlie. Legami e conflitti tra
due generazioni (Mondadori): il libro tratta del rapporto, poco esplorato,
tra madre e figlia, poiche' la psicoanalisi ha avuto maggiore frequentazione
con la relazione madre-figlio. La madre, scrive la Salvo, "come asse di un
avvitamento doloroso e vibrante, le cui origini risiedono in un passato
assai remoto e i cui esiti si manifestano nel presente della figlia. La
madre come idolo da venerare, come modello irraggiungibile, come fata
benevola, come figura interiore messa da parte , come oggetto di disprezzo e
di rancore". E ancora: "Nel racconto di alcune donne - un poco come per
Erminia - la madre e' un deserto o un 'oggetto spaventevole'; in quello di
altre, un simulacro inamovibile, una icona innanzi a cui si resta inchiodate
nell'atto della genuflessione. E ancora, in altri casi, il sogno di un
assoluto, di un mondo femminile a due su cui  stenta ad affacciarsi l'ombra
del padre".
Inchiodare le donne nell'aurea della perfezione-santita', della naturale,
presunta innata, nonviolenza, mentre gli uomini sarebbero, altrettanto
naturalmente, inchiodati alla esplicitazione della violenza e all'ideologia,
vuol dire confermare indirettamente che l'esericizio  del  potere, con la p
maiuscola, quello che fa andare avanti le societa', e che richiede forza,
coraggio e  un po' anche  di sana spregiudicatezza, deve restare in mani
maschili. Questo non vuol dire che le donne non hanno anche sperimentato -
ed elaborato - altre vie di comunicazione e modelli del vivere. Ma sono
state - lo sono ancora - anche complici dei modelli vincenti e dominanti per
inerzia, paura, difficolta' reali a sottrarsi. Ma tant'e', questa e' la
realta' da sempre.
Credo che prima di tutto la nonviolenza, come stile di vita, inviti a fare i
conti con il principio di realta'.

7. GIULIO VITTORANGELI: "MILIONI DI SMS"
[Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per
questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori
di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da
sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di
solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di
condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione
Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di
studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta'
concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione
di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra
soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha
svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e
riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti
interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui
promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra
altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre
1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara,
la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo,
Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996;
Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La
solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I
movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto
politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria,
una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra
neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della
solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno,
luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio
2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per
anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della
solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha
cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che
solidarieta'"]

La tragedia dello tsunami, il maremoto che ha travolto le coste di otto
paesi asiatici e cinque paesi africani, ha visto una spinta solidaristica
forse inferiore alle dimensioni della catastrofe "naturale", ma comunque
piu' grande e duratura del solito.
In Italia sono stati raccolti attraverso numerosissimi sms inviati dai
cellulari al numero 48580 (indicato dai quattro gestori della telefonia
mobile: Tim, Vodafone, Wind e Tre, piu' le reti Rai e Mediaset) oltre 24
milioni di euro. Non e' una caratteristica specificatamente italiana,
perche' altri paesi europei ricorrono da tempo alla stessa modalita' per
raccogliere le offerte individuali, anche se di piccola entita'.
A prescindere dall'utilizzo e dall'impegno che e' stato fatto, o che sara'
fatto (consegna alla Protezione civile e trasformazione in aiuti concreti),
dei soldi cosi' raccolti, non si puo' non sottolineare come la tecnologia,
apparentemente, consente in questi casi forme di mobilitazione altrimenti
faticose e dispendiose, facilitando la raccolta di cifre considerevoli in
poco tempo.
In realta', ben prima dei tragici avvenimenti del sud-est asiatico, era
facile imbattersi nella pubblicita' che invitava a donare un euro per
aiutare il cosiddetto Terzo Mondo. E' facile, basta poco. Invia un sms per
la costruzione di una scuola, per una vaccinazione... e per tanto altro. E'
un gesto semplice, che costa poco; non richiede sforzi e ci fa sentire tutti
un po' migliori. Una nota compagnia telefonica quotidianamente ci informa
che "in collaborazione con le maggiori associazioni no profit, nazionali e
internazionali, promuove programmi d'intervento a sostegno di chi nel mondo
ha bisogno d'aiuto. Con il semplice utilizzo del proprio telefonino
chiunque, inviando un sms da un euro, puo' offrire la propria
collaborazione. Ancora una volta comunicare significa creare integrazione e
benessere". La realta' e' che con questo meccanismo (dell'sms inviato in
compassione) tutti si sentono piu' buoni e soprattutto senza colpa. E'
elemosina che acquieta la coscienza.
*
Altre sono le forme di solidarieta' capaci di rispondere alla fame di
dignita' e di diritti degli esclusi che gia' oggi muoiono perche' esclusi
dall'attuale sistema mondiale.
E' un problema di giustizia, per questo e' difficile e per questo costa
tanto. Non sono cose ne' facili, ne' semplici. Esiste, ancora, una distanza
infinita fra questa trasformazione molecolare (a cui spesso si limita anche
la migliore solidarieta' internazionale) e i poteri che governano il mondo.
Oggi piu' di ieri. Tanto per essere chiari: come bloccare quel degenerare
dei poteri (prima che ci sfracellino) che, come Bush negli Usa o Berlusconi
da noi, riducono il nostro stesso spazio di esistenza, spingendoci con le
spalle al muro?
Dobbiamo continuare a tenere presente che esiste un forte legame tra sistema
di guerra, catastrofi e poverta' globale. "E' inaccettabile che la comunita'
internazionale spenda un totale di 956 miliardi di dollari per le spese
militari, cioe' per approntare strumenti di morte e distruzione, e non sia
in grado di offrire a tutti i paesi del mondo un sistema di allarme per i
maremoti che prevenga le catastrofi e difenda le vite umane. Se i nostri
governati fossero altrettanto generosi nell'aiutare le persone quanto lo
sono nell'apprestare strumenti per uccidere, nessuno soffrirebbe piu' la
fame e la sete" (dal volantone distribuito alla catena umana dal Ministero
della Difesa al Ministero del Tesoro sabato 29 gennaio a Roma).
Per tutto questo restiamo fermamente convinti che un concreto aiuto per le
popolazioni colpite dallo tsunami, non puo' prescindere dalla cancellazione
del debito estero di quei paesi, anche come segno concreto di una inversione
di tendenza nei rapporti internazionali che prepari la cancellazione
generale della poverta' a livello globale.

8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 827 del primo febbraio 2005

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