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La nonviolenza e' in cammino. 826
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 826
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 31 Jan 2005 00:39:14 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 826 del 31 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Domenico Gallo: Un'analisi del disegno di legge delega al governo per la revisione delle leggi penali militari di pace e di guerra, nonche' per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario militare 2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte sesta) 3. Riccardo Di Segni: Il silenzio di Dio 4. Amos Luzzatto: Sessanta anni dopo Auschwitz 5. Rossana Rossanda: Auschwitz 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. MATERIALI. DOMENICO GALLO: UN'ANALISI DEL DISEGNO DI LEGGE DELEGA AL GOVERNO PER LA REVISIONE DELLE LEGGI PENALI MILITARI DI PACE E DI GUERRA, NONCHE' PER L'ADEGUAMENTO DELL'ORDINAMENTO GIUDIZIARIO MILITARE [Dal sito www.giuristidemocratici.it riprendiamo questa scheda. Domenico Gallo, illustre giurista, e' nato ad Avellino nel 1952, magistrato ed acuto saggista; tra i suoi scritti segnaliamo particolarmente: Dal dovere di obbedienza al diritto di resistenza, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1985; Millenovecentonovantacinque, Edizioni Associate, Roma 1999] 1. Le linee guida. La legge delega introduce un disegno di riforma ambizioso che mira alla quasi completa riscrittura dei codici penali militari di pace e di guerra ed introduce incisive modifiche nell'ordinamento giudiziario militare. Due sono le linee guida che orientano l'intero progetto: la prima e' l'esigenza di ridurre l'area di controllo di legalita' affidata alla giurisdizione ordinaria, incrementando la competenza della giurisdizione militare, attraverso la "militarizzazione" dei reati comuni commessi da militari; la seconda e' l'esigenza di abbassare la soglia fra pace e guerra, riesumando le leggi di guerra e rendendole pienamente utilizzabili ed automaticamente instaurabili. All'interno di queste due esigenze si colloca l'orientamento di confermare, se non addirittura di ripristinare le norme piu' dure in tema di disciplina militare. * 2. Riforma del codice penale militare di pace. Aspetti principali. 2.1. Disposizioni di carattere generale (art. 3, lett. a). La norma prevede che debbano essere riviste le disposizioni di carattere generale, con l'eliminazione di ogni deroga ai principi stabiliti dalla legge penale comune, che non sia giustificata da speciali esigenze militari. In sostanza di prevede di modificare le disposizioni del cpmp in tema di pene principali ed accessorie, esecuzione delle pene, disciplina della non menzione della condanna, prescrizione dei reati, etc. Se l'esigenza di omogeneita' fra le disposizioni generali del codice penale ordinario e di quelle militare non e' contestabile, tuttavia non e' chiaro quale sara' il risultato finale, soprattutto in tema di sanzioni accessorie. Nel momento in cui si "militarizzano" attraverso le altre norme della delega i reati comuni commessi da militari in servizio, e' indispensabile che, in tema di pene accessorie (per es. interdizione dei pubblici uffici), venga realizzata una completa equiparazione fra i due ordinamenti, altrimenti si realizzerebbero forme di ingiustificato privilegio per i militari. 2.2. Modifiche a norme specifiche del cpmp (art. 3, lett. c, d, e, f, g, h, i, l). Revisione modifiche e conferme di varie fattispecie di reato. La delega prevede la revisione dei reati di omessa presentazione in servizio, abbandono di posto e violata consegna, senza prevedere i criteri in base ai quali tale revisione deve essere ispirata. In effetti, una volta che il servizio militare e' stato "professionalizzato", in tempo di pace, tali vicende dovrebbero essere depenalizzate, in quanto semplici violazioni di doveri professionali. La delega prevede di introdurre una specifica ed autonoma disciplina dei reati in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, rispetto alla disciplina comune. In questo modo si creerebbe una evidente disparita' di trattamento penale fra militari e non militari, i primi verrebbero puniti per comportamenti (come il consumo di stupefacenti) che non costituiscono illecito penale per la generalita' dei cittadini. La delega prevede di introdurre come reato la fattispecie della dispersione colposa, che, se giustificata per la custodia delle armi e delle munizioni, e' assurda per tutti gli altri materiali. Tanto per fare un esempio, commetterebbe un reato siffatto un Finanziere che, utilizzando la penna stilografica, macchiasse d'inchiostro la divisa. La delega conferma la criminalizzazione di tutti i comportamenti di protesta o di dissenso, non meramente individuale. Sarebbe reato non solo l'esercizio dello sciopero, ma anche qualunque comportamento collettivo che possa turbare il servizio (per es. lo sciopero del rancio). Giungendo a ripristinare persino una fattispecie di reato (la raccolta o la partecipazione a sottoscrizioni per rimostranze o per protesta), cancellata dalla Corte Costituzionale che, con Sentenza 29 aprile/2 maggio 1985 n. 126 aveva dichiarato incostituzionale l'art. 180, primo comma del Cpmp (domanda, esposto o reclamo collettivo previo accordo). Tanto per fare un esempio, si giungerebbe all'assurdo che un ricorso collettivo al Tar, contro un provvedimento dell'Amministrazione militare costituirebbe reato. 2.3. La militarizzazione dei reati comuni. a) reati costituenti delitto contro la personalita' dello Stato. La Delega prevede la "militarizzazione" di tutti i delitti contro la personalita' dello Stato se commessi da militari (art. 3, lett. b). Da questo punto di vista, la riforma non e' particolarmente significativa in quanto il Cpmp gia' prevedeva come reati militari i piu' significativi reati contro la personalita' dello Stato (si veda al riguardo il titolo I del libro II, artt. da 77 a 85). In definitiva la riforma si limita ad estendere la militarizzazione a quei reati non contemplati dal Cpmp. Tuttavia, anche in questa, come in tutte le altre ipotesi di "militarizzazione" dei reati comuni, vi sono due controindicazioni fondamentali. La prima e' l'inadeguatezza della giurisdizione militare (composta da soli 103 magistrati in ruolo organico) ad effettuare un effettivo controllo di legalita' in ordine a gravi fatti criminosi per la vastita' delle circoscrizioni territoriali, la carenza di strutture e di personale (si vedano al riguardo le osservazioni del dr. Scafi). La seconda e' costituita dalla duplicazione di giurisdizioni in caso di concorso di persone nel reato. Quando con i militari concorrono civili, lo stesso fatto criminoso dovra' essere giudicato separatamente dal Tribunale militare e da quello ordinario. Vi dovranno essere due separate istruzioni e due separati giudizi. La delega, infatti, non ha previsto alcuna modifica dell'art. 13, II comma, del c.p.p. che prevede che: "fra reati comuni e reati militari, la connessione di procedimenti opera soltanto quando il reato comune e' piu' grave di quello militare". Quando i reati sono di pari gravita' o vi e' un concorso di persone (militari e civili) nello stesso reato, non scatta la connessione e quindi vi dovranno necessariamente essere due giudizi separati. Per fare un esempio pratico, in tema di reati contro la personalita' dello Stato, con riferimento ad una vicenda processuale come quella di Ustica, in tanto vi e' un unico processo innanzi alla giurisdizione ordinaria, in quanto quel processo e' ancora regolato dalle norme del vecchio codice di procedura penale. Se si verificasse un nuovo caso Ustica, si dovrebbero instaurare due separati procedimenti, l'uno dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria per gli eventuali reati commessi dai civili, l'altro dinanzi alla giurisdizione militare per gli eventuali reati commessi dai militari. Tuttavia la giurisdizione militare non potrebbe mai affrontare un processo cosi' complesso per obiettiva carenza di risorse. Molto piu' estesa e' la militarizzazione degli altri reati comuni previsti alle lett. m), n), o), p), q), r), s). m) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro la pubblica amministrazione, se commessa da militare. Si tratta dei delitti previsti dal Capo I del titolo II del Codice penale (art. da 314 a 335). Dal momento che il Cpmp gia' prevede il reato di peculato e di malversazione militare, la principale novita' consisterebbe nella "militarizzazione" dei reati di corruzione e concussione, se commessi da militare. Il reato di corruzione e' un reato nel quale c'e' un concorso necessario di persone (per esserci un corrotto e' necessario un corruttore). Il corruttore, normalmente e' soggetto estraneo all'amministrazione nella quale si verifica la corruzione. Quindi militarizzando la corruzione, si dovra' scindere in due il fatto criminoso e fare un procedimento contro il militare-pubblico ufficiale (corrotto) innanzi alla giurisdizione militare ed un procedimento innanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria per il privato (corruttore). n) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro l'amministrazione della giustizia, se commessa da militare nel corso o in funzione di un procedimento penale militare. Si tratta dei delitti previsti dal libro II, Capo I e II del Titolo III del Codice penale (artt. da 361 a 391 c.p.). In questo caso la militarizzazione non e' stata assoluta, ma e' limitata a quei delitti contro la giustizia strumentali a procedimenti di competenza dell'autorita' giudiziaria militare. Senonche' la dilatazione a dismisura della competenza giurisdizionale dei Tribunali militari si trascina dietro di se' anche la dilatazione della militarizzazione dei reati contro l'Amministrazione della giustizia. o) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro l'incolumita' pubblica, ovvero costituente reato in materia di tutela della sicurezza e di prevenzione di infortuni nei luoghi di lavoro, commesso da militare in luogo militare. Non sono ben chiari i confini della militarizzazione. A prima vista sembrerebbe che i delitti contro l'incolumita' pubblica (fra i quali rientra la strage, art. 422 c.p.) siano esclusi dalla militarizzazione se commessi da militare in luogo non militare. Tuttavia rimarrebbero sempre dei margini di incertezza perche' non sempre e' facile capire cosa sia un luogo militare. Va poi rilevato che la militarizzazione dei reati in materia di tutela e prevenzione degli infortuni sul lavoro, comporterebbe un drastico abbassamento della tutela effettiva, trattandosi di un settore fortemente specialistico, nel quale l'autorita' giudiziaria militare non puo' avere quel bagaglio di competenza professionale sviluppato dall'autorita' giudiziaria ordinaria. p) La delega prevede la "militarizzazione" di ogni violazione della legge penale costituente delitto contro la persona, se commessa da militare a danno di altro militare, a causa del servizio militare ovvero in luogo militare, ovvero in territorio estero mentre il militare ivi si trovi a causa del servizio. Anche qui non sono ben chiari i confini della militarizzazione. Occorrerebbe chiarire se il reato debba essere necessariamente commesso in danno di altro militare (come lascia intendere la relazione introduttiva) ovvero se sia prevista la militarizzazione di ogni reato contro la persona commesso "a causa del servizio militare", o "in luogo militare". Stante l'ambigua o imperfetta formulazione letterale e' ragionevole il dubbio che con la delega si voglia introdurre la militarizzazione di ogni reato commesso "a causa del servizio militare" e/o di ogni reato commesso "in luogo militare". In questo caso sarebbero militarizzati tutti i reati commessi durante l'esercizio di funzioni di ordine pubblico da parte dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Meno significative sono le ipotesi di militarizzazione di cui alle lettere q), r), s). In definitiva questa nuova disciplina di "militarizzazione" dei reati comuni commessi dai militari comportera' un incremento della competenza dei Tribunali militari che e' difficilmente quantificabile, ma che potrebbe portare anche ad una decuplicazione del volume di lavoro giudiziario, senza che nella legge delega sia previsto l'aumento di un solo posto nell'organico della magistratura militare. Attraverso la combinazione della nuova disciplina della militarizzazione del reato con quella della connessione prevista dal nuovo cpp, si ottiene come risultato immediato un incremento dell'area della impunita', soprattutto rispetto ai fatti criminosi piu' gravi e quindi piu' difficilmente accertabili. 2.4. Revisione della procedura penale. La delega prevede l'applicabilita' nel processo penale militare delle norme del codice di procedura penale, salvo che sussista una esigenza di disciplina differenziata. Tale esigenza non e' contestabile, ma il problema e' la disciplina differenziata, che nella delega e' indicata in modo piuttosto oscuro. La prima osservazione da fare e' che non e' assolutamente giustificata una normativa che consenta l'arresto in flagranza (almeno in tempo di pace) per le ipotesi piu' gravi di assenza dal servizio. Tali ipotesi, semmai, andrebbero depenalizzate. Non sono chiare le disposizioni in materia di rapporti giurisdizionali con autorita' straniere e di cooperazione con la Corte penale internazionale. Appare poi inaccettabile l'introduzione, per l'esercizio delle funzioni attribuite dalla legge al Ministero della Giustizia in materia di rapporti giurisdizionali con autorita' straniere, del concerto con il Ministro della Difesa. * 3. Riforma del Codice penale militare di guerra. Aspetti principali. 3. 1. Questioni di carattere generale. La delega si propone, come si e' visto, di abbassare la soglia della distinzione fra stato di pace e stato di guerra, rendendo possibile, una sorta di introduzione graduale delle leggi di guerra, che aggira la procedura garantista prevista dagli artt. 78 e 87 della Costituzione. Insomma il disegno di legge introduce un menu' a' la carte dal quale e' possibile per il Governo scegliere cosa prendere e cosa lasciare dell'armamentario delle leggi di guerra, ma soprattutto dove e quando farle entrare in vigore. Nell'applicazione graduale delle leggi di guerra, sono previsti due stadi. Il primo stadio e' quello che prevede l'introduzione, piu' o meno automatica, delle leggi di guerra, in aree limitate o nell'intero territorio nazionale, a cui corrisponde l'instaurarsi di un non meglio determinato "tempo di guerra". Il secondo stadio e' quello che consegue alla "dichiarazione dello stato di guerra". Quest'ultimo concetto probabilmente presuppone che siano attivate le procedure di cui agli art. 78 (Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari) e 87 (Il Presidente della Repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere) della Costituzione, anche se nel disegno di legge non vi e' un richiamo esplicito a tali procedure. Tuttavia e' evidente che l'ipotesi della "dichiarazione dello Stato di guerra", che comporta soprattutto una modifica della procedura penale, determinando la riesumazione del Tribunale supremo militare, ed escludendo la possibilita' del ricorso per Cassazione, e' un'ipotesi assolutamente marginale. L'ipotesi principale che ispira l'intero disegno di legge e' quella di rendere in un certo senso ordinario il ricorso alle leggi di guerra, svincolandolo dalla "dichiarazione dello stato di guerra", prevista dalla Costituzione in circostanze del tutto remote. 3.2. Casi di applicazione del codice penale militare di guerra. La delega prevede di confermare l'applicazione automatica della legge penale militare di guerra ai corpi di spedizione all'estero, gia' introdotta dal nuovo testo dell'articolo 9 del cpmg (articolo sostituito dalla L. 31 gennaio 2002, n. 6). Tale norma che, com'e' noto fu introdotta in occasione dell'intervento in Afganistan, aveva carattere transitorio, in attesa di una disciplina organica. Adesso diviene definitiva. In linea di principio non si puo' contestare che alle operazioni militari all'estero, di qualunque tipo esse siano (quindi anche ad operazioni realmente di pace, come quelle di peacekeeping deliberate dall'Onu), sia applicabile la legge penale militare, poiche' il dispiegamento di una forza militare armata comporta sempre il rischio dell'impiego della forza. Il problema e' che la legge delega contempla qualunque tipo di missione (infatti nella relazione si parla di operazioni internazionali di pacificazione o di uso della forza). In questo si rischia di legittimare - indirettamente - il ricorso all'uso della forza, cioe' della violenza militare, aggirando il ripudio costituzionale della guerra (non a caso l'art. 11 della Costituzione non viene mai nominato, ne' nel testo della delega, ne' nel testo della relazione introduttiva) e le procedure previste dagli art. 78 e 87 della Costituzione. La delega prevede che la legge penale militare di guerra debba essere applicata in ogni caso di conflitto armato, interno od internazionale e che al riguardo debbono essere delimitati gli ambiti territoriali ed anche personali di applicazione, in caso di attacchi non generalizzati. Il richiamo ad attacchi non generalizzati e ad ambiti personali di applicazione, puo' far sorgere il sospetto che si vogliano qualificare come atti di guerra eventuali atti di terrorismo e si vogliano sottrarre le garanzie ordinarie del processo per categorie di persone, assoggettandole ai Tribunali militari anche in tempo di pace. Per quanto riguarda i conflitti interni, la delega precisa che tali si intendono i conflitti che si svolgono con le armi all'interno del territorio dello Stato e raggiungano la soglia di una guerra civile o di una insurrezione armata. Non si considerano conflitti interni le situazioni interne di disordine o di tensione, quali sommosse o atti di violenza isolati e sporadici ed altri atti analoghi. La delega non dice nulla circa le procedure da seguire, le garanzie politiche e le autorita' competenti per deliberare in ordine all'entrata in vigore nell'ordinamento interno della legge penale militare di guerra. C'e' da precisare che gli articoli 5 (applicazione della legge penale militare in caso di urgente ed assoluta necessita') e 10 (operazioni militari per motivi di ordine pubblico) del Cpmg erano stati abrogati dalla legge 18 marzo 2003 n. 42 in quanto ritenuti anticostituzionali. Adesso con la delega in bianco prevista dal disegno di legge, il risultato e' quello di far rientrare dalla finestra cio' che e' stato cacciato dalla porta. Con la conseguenza di dare mano libera all'esecutivo di determinare come, quando e dove far entrare in vigore legge penale militare di guerra ed addirittura nei confronti di quali categorie di persone. 3.3. Effetti dellíapplicazione del codice penale militare di guerra. Gli effetti principali dell'entrata in vigore della legge penale militare di guerra sono due: Il primo e' l'entrata in vigore del reato militarizzato, nella sua massima estensione, gia' prevista dall'art. 47 del Cpmg, nella versione introdotta dalla legge 31 gennaio 2002 n. 6, che viene sostanzialmente confermata nella Delega. Cio' fara' si' che tutti i reati commessi dai militari, ivi compresi i Carabinieri e la Guardia di Finanza in servizio di ordine pubblico, siano di competenza della giurisdizione militare. Il secondo e' l'estensione ai non militari della giurisdizione dei Tribunali militari, Cio' avviene attraverso una interpretazione di comodo dell'art. 103 della Costituzione (che prevede che "i tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge"), che da' all'espressione "tempo di guerra" un significato svincolato dalla dichiarazione dello stato di guerra. A questo riguardo occorre rilevare che l'introduzione della legge di guerra comporta un drastico abbassamento delle garanzie processuali (alla luce delle deviazioni dalla procedura penale ordinaria previste dalla legge delega) e della liberta' di opinione e di espressione del pensiero. Se la delega, infatti, prevede l'abrogazione della norma di cui all'art. 75 (diffusione di particolari notizie di interesse militare) in quanto ritenuta in contrasto con la liberta' di stampa, nulla dice circa i reati di cui all'art. 72 (procacciamento di notizie riservate), 73 (diffusione di notizie riservate), 74 (agevolazione colposa) e 77 (divulgazione di false notizie sull'ordine pubblico o su altre cose di interesse pubblico). In base a tali norme, per esempio, non sarebbe possibile dare notizia dei caduti di Nassirya, se l'Autorita' militare avesse deciso di non divulgare la notizia. L'unica buona notizia e' la previsione della revisione delle norme del titolo quarto del libro terzo del Cpmg (degli atti illeciti di guerra) per adeguarlo alle tipologie dei crimini di guerra previsti dall'art. 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, nonche' delle altre convenzioni internazionali di diritto umanitario, a cui colpevolmente l'Italia non ha dato sinora attuazione Occorre tenere presente, tuttavia, che la delega prevede la condizione di procedibilita' della richiesta del Ministro della Difesa per i reati connessi all'esercizio di funzioni di comando, in tempo di guerra, con esclusione dei crimini di guerra (art. 4, lett. i) n. 7). Si tratta di un privilegio assolutamente ingiustificato, che rende sostanzialmente discrezionale l'azione penale, creando un'area di impunita' connessa all'esercizio di funzioni di comando che non esisteva - in forma cosa' estesa - neppure nel codice fascista del 1941. 3.4. La procedura penale militare di guerra. Sebbene espresso in modo chiarissimo, nella delega e' stato previsto un doppio binario, a secondo che vi sia stata o meno una "dichiarazione di guerra". Al di fuori di questa ipotesi, che appare comunque remota, e' previsto che rimanga in funzione la procedura prevista dal Cpmp. Vi saranno, pertanto, dei Tribunali di primo grado, una unica Corte d'Appello e sara' possibile il ricorso in Cassazione. Sono poi previste delle deroghe all'ordinaria procedura penale, solo parzialmente giustificate dalla particolare situazione in cui si viene a trovare l'esercizio della giurisdizione in tempo di guerra, per quel che riguarda sospensione o abbreviazione dei termini, misure cautelari ed attivita' della Polizia giudiziaria militare, convalida degli atti di istruzione. In caso di dichiarazione dello stato di guerra, scattera' la competenza del Tribunale Supremo Militare. Contro le sentenze emesse dai Tribunali militari si potra' soltanto fare ricorso, in unica istanza, per motivi di legittimita' o di merito, al Tribunale Supremo Militare. Non e' chiaro se il Tsm potra' direttamente riformare le sentenze dei Tribunali militari o soltanto annullarle con rinvio. * 4. Modificazioni dell'Ordinamento giudiziario militare. Al riguardo la Delega sostanzialmente non introduce nulla di nuovo, limitandosi a richiamare l'applicabilita' delle norme in tema di ordinamento giudiziario, in quanto compatibili. In realta' qui si pone un grosso problema di compatibilita' con le nuove norme di ordinamento giudiziario che stanno uscendo fuori dalla riforma in cantiere. Tali norme sono di difficile applicazione all'ordinamento giudiziario militare. La delega prevede che vengano modificati i criteri vigenti per i giudici militari (non togati), di cui viene confermata l'estrazione a sorte. Per quanto riguarda l'organico, la delega non prevede l'incremento neppure di un solo posto, ma soltanto la modificazione delle circoscrizioni territoriali, sebbene, come si e' visto sopra, il volume di lavoro di competenza della giurisdizione militare potrebbe anche essere decuplicato. E' prevista la conferma della unicita' della Corte d'Appello, pur nella articolazione delle Sezioni di Verona e Napoli. In questo modo viene confermata una concentrazione di potere giudiziario nelle mani di una sola o di pochissime persone, che mal si attaglia ai principi costituzionali della distribuzione del potere giudiziario e del giudice naturale. E' previsto inoltre che la difesa dinanzi agli organi giudiziari militari possa essere assunta da ufficiali che abbiano l'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato. Si introduce, pertanto, una inusitata figura di difensore gerarchicamente dipendente dall'Amministrazione militare. Cio' puo' avere una influenza negativa sul libero dispiegarsi della dialettica processuale e sul principio della liberta' di convincimento del giudice. Si pensi al caso in cui il difensore sia un superiore gerarchico dell'Ufficiale chiamato a comporre il collegio. 2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE SESTA) JACQUES ELLUL Nato a Bordeaux il 6 gennaio 1912, scomparso a Pessac il 19 maggio 1994, pensatore impegnato, militante democratico, teologo della speranza, critico della societa' tecnocratica, giurista, storico e sociologo, docente universitario, ha preso parte alla Resistenza. Opere di Jacques Ellul: Jacques Ellul ha scritto piu' di cinquanta libri e circa un migliaio di articoli e saggi in giornali e riviste; un'ampia bibliografia e' consultabile nel sito www.ellul.org cui rinviamo. AMOS ELON Amos Elon vive da decenni a Gerusalemme ed e' impegnato per la pace e il dialogo; scrittore, saggista e critico prestigioso, collabora a varie testate, tra cui la "New Yorker Review of Books". Tra le opere di Amos Elon: Gerusalemme: I conflitti della memoria, Rizzoli, Milano; Gli ebrei tedeschi prima di Hitler, Mondadori, Milano; La rivolta degli ebrei, Rizzoli, Milano. HANS MAGNUS ENZENSBERGER Poeta e saggista tedesco, nato nel 1929. Ma anche: redattore radiofonico, consulente editoriale, drammaturgo, romanziere, traduttore, scrittore indipendente, direttore di una delle piu' citate riviste della stagione generosa dell'impegno politico degli intellettuali: "Kursbuch". I suoi testi piu' belli ereditano movenze e motivi brechtiani e francofortesi, alcuni suoi antichi versi sono indimenticabili analisi politiche in toni ironici e sapienziali ad un tempo. Opere di Hans Magnus Enzensberger: per la poesia segnaliamo Poesie per chi non legge poesia, Feltrinelli; Mausoleum, Einaudi; La fine del Titanic, Einaudi; La furia della caducita', Se; per la saggistica: Questioni di dettaglio, Feltrinelli; Palaver, Einaudi; Politica e terrore, Politica e gangsterismo, Savelli; Sulla piccola borghesia, Il Saggiatore; In difesa della normalita', Mondadori; Dialoghi tra immortali, morti e viventi, Se, poi Mondadori; La grande migrazione, Einaudi; Prospettive sulla guerra civile, Einaudi. Segnaliamo inoltre due libri ad un tempo cosi' anomali e cosi' tipici dell'Enzensberger migliore, quello che sa fare della citazione e del montaggio di materiali un uso creativo e disvelatore: Colloqui con Marx e Engels, Einaudi; La breve estate dell'anarchia, Feltrinelli. IL'JA ERENBURG Scrittore russo (1891-1967), autore tra molte altre opere di un libro, Il disgelo, che segno' e diede il nome a una fase storica. Opere di Il'ja Erenburg: segnaliamo particolarmente, con Vasilij Grossman, Il libro nero. Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945, Mondadori, Milano 1999, 2001. GABRIELE ESCHENAZI Nato a Milano nel 1945, giornalista e saggista. Opere di Gabriele Eschenazi: con Gabriele Nissim, Ebrei invisibili, Mondadori, Milano 1995. ROBERTO FAENZA Regista cinematografico italiano. Opere di Roberto Faenza: Escalation, 1968; Forza Italia!, 1977; Si salvi chi vuole, 1980; Copkiller, 1983; Mio caro dottor Grasler, 1990; Jona che visse nella balena, 1993; Sostiene Pereira, 1994; Marianna Ucria, 1996; L'amante perduto, 1999. FRANCOIS FEJTO Nato in Ungheria nel 1910, in Francia dal 1938, docente universitario, giornalista, illustre storico. Tra le opere di Francois Fejto: Gli ebrei e l'antisemitismo nei paesi comunisti, Milano 1962; Storia delle democrazie popolari, 2 voll., Bompiani, Milano 1977; Requiem per un impero defunto, Mondadori, Milano 1992; La fine delle democrazie popolari, Mondadori, Milano 1998; (con Maurizio Enrico Serra) Il passeggero del secolo. Guerre, Rivoluzioni, Europe, Sellerio, Palermo 2001. FRANCESCO MARIA FELTRI Studioso della Shoah. Opere di Francesco Maria Feltri: Il nazionalsocialismo e lo sterminio degli ebrei, Giuntina, Firenze 1995. OTTO FENICHEL Illustre psicoanalista, natoa Viennna nel 1898, deceduto a Los Angeles nel 1946. Opere di Otto Fenichel: Problemi di tecnica psicoanalitica (1941), Boringhieri, Torino 1975; Trattato di psicoanalisi delle psicosi e delle nevrosi (1943), Astrolabio, Roma 1951; The Collected Papers, New York 1954. FRANCO FERRAROTTI Illustre sociologo italiano. Dal sito dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche (www.emsf.rai.it) riprendiamo la seguente scheda: "Franco Ferrarotti, nato il 7 aprile 1926 a Palazzolo Vercellese, si e' laureato in filosofia nell'Universita' di Torino nell'anno accademico 1949-1950 con una tesi su "La sociologia di Thorstein Veblen", di cui aveva tradotto La teoria della classe agiata. Duramente criticato da Benedetto Croce ne "Il Corriere della Sera" del 15 gennaio 1949, alla stroncatura crociana replica con due saggi nella "Rivista di Filosofia". Compie studi di perfezionamento a Parigi, Londra e Chicago. E' fra i fondatori del Consiglio dei Comuni d'Europa a Ginevra nel novembre 1949. Nel 1951 fonda, con Nicola Abbagnano, i "Quadeni di sociologia". E' deputato indipendente al Parlamento per la Terza legislatura (1958-1963) in rappresentanza del Movimento Comunita' di Adriano Olivetti, con cui collabora dal 1948. Non si ripresenta per la rielezione, avendo deciso di dedicarsi in piena autonomia allo studio e alla ricerca. Ottiene nel 1961 la cattedra di sociologia nell'Universita' di Roma, a seguito del primo concorso bandito in Italia per questa disciplina. Dal 1957 al 1962 e' direttore della Divisione dei fattori sociali nell'O.E.C.E. (ora O.C.S.E.) a Parigi. Nel 1965 e' Fellow del "Center for the Advanced Study in the Behavioral Sciences" a Palo Alto, California. Visiting Professor presso molte universita' europee e nordamericane, in Russia, Giappone e America Latina. Nel 1978 e' nominato "Directeur d' Etudes" alla Maison des Sciences de l'Homme a Parigi. Medaglia d'oro al merito della Cultura. Membro della New York Academy of Sciences. Attualmente dirige "La Critica sociologica", da lui fondata nel 1967 ed e' coordinatore del "Dottorato in Teoria e ricerca sociale" nell'Universita' di Roma "La Sapienza". Opere: Il dilemma dei sindacati americani, Comunita', Milano 1954; La protesta operaia, Comunita', Milano 1955; Il rapporto sociale nell'impresa moderna, Armando, Roma 1961; La sociologia come partecipazione, Taylor, Torino 1961; Max Weber e il destino della ragione, Laterza, Bari 1964; Trattato di sociologia, Utet, Torino 1968; Vite di baraccati, Liguori, Napoli 1975; Alle radici della violenza, Rizzoli, Milano 1979; La societa' come problema e come progetto, Mondadori, Milano 1980; Il paradosso del sacro, Laterza, Roma-Bari 1983; Homo sentiens, Liguori, Napoli 1985; Il ricordo e la temporalita', Laterza, Roma-Bari 1987; (con Pietro Crespi), La parola operaia, Scuola G.Reiss Romoli, L'Aquila 1994; L'Italia in bilico - elettronica e borbonica, Laterza, Roma-Bari 1994; Simone Weil: la pellegrina dell'Assoluto, Messaggero, Padova, 1996". Dell'immensa produzione di Ferrarotti segnaliamo qui in particolare Oltre il razzismo, Armando, Roma; La tentazione dell'oblio, Laterza, Roma-Bari. ERNESTO FERRERO Scrittore ed operatore culturale, già direttore editoriale della casa editrice Einaudi. Opere di Ernesto Ferrero: segnaliamo particolarmente (a cura di), Primo Levi: un'antologia della critica, Einaudi, Torino 1997. LETIZIA FERRI CASELLI Responsabile dell'Archivio storico dell'Istituto storico di Modena. Opere di Letizia Ferri Caselli: (a cura di, con Luciano Casali, Enzo Collotti, Simone Duranti), Leggere Fossoli. Una bibliografia, Edizioni Giacche', La Spezia 2000. 3. MEMORIA. RICCARDO DI SEGNI: IL SILENZIO DI DIO [Dal sito dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane (www.ucei.it) riprendiamo questo intervento di Riccardo Di Segni svolto in occasione del giorno della memoria nel 2004. Riccardo Di Segni e' rabbino capo della comunita' ebraica di Roma, una delle piu' antiche della diaspora, la maggiore d'Italia, e direttore del Collegio rabbinico italiano; laureato in medicina, lavora come radiologo. Tra le opere di Riccardo Di Segni: saggi in "Quaderni Storici": Verginita', Fratelli e sorelle, Trasmissione matrilineare dell'ebraismo; vari studi sul significato delle regole alimentari, in particolare il libro Noten ta'am leshevach, ta'ame hakashrut baparshanut hayehudit, Roma 1998; Catalogue of the Manuscripts of the Library of the Collegio Rabbinico Italiano, Alei Sefer, Rome; Le unghie di Adamo, Guida, Napoli; Il Vangelo del Ghetto, Newton Compton, Roma 1985] Il tema del silenzio e dell'assenza di Dio davanti alle sofferenze dell'umanita' e' salito improvvisamente alla ribalta per un motivo quasi casuale, un recente intervento del Papa che lo ha affrontato nel corso di un'omelia. Parlare di quest'argomento ha sorpreso un po' tutti, sia per la natura del tema, così difficile e speciale, che per la forza con cui e' stato trattato. Ma per la sensibilita' ebraica non si e' trattato di una novita' ne' di una sorpresa. E' un tema importante della teologia biblica che viene costantemente ripreso ed elaborato nel corso della storia e che davanti a fenomeni di particolare gravita', come la Shoah, esplode travolgendo le coscienze. Esaminando le pagine bibliche si puo' vedere come l'interrogativo sulla presenza divina accompagni la storia ebraica dal momento stesso in cui nasce come popolo. La Bibbia cerca di dare qualche risposta, anche molto precisa a questa domanda terribile, ma la questione evidentemente non e' semplice da risolvere per le coscienze turbate. Il tema trova espressione in una grande metafora antropomorfica, quella del panim, del volto divino. Nel rapporto tra esseri umani guardarsi in faccia e' un modo di comunicare, anche se non necessariamente benevolo, mentre volgersi la faccia, rivoltarsi, e' segno di chiusura, di interruzione, di comunicazione, di rifiuto. Sono pertanto sinonimo di speciale benedizione, simpatia, protezione, benevolenza le espressioni iaer haShem panaw elekha e issa' haShem panaw elekha, "che il Signore illumini e volga te il suo volto", che compaiono nella benedizione sacerdotale di Numeri 6:25-26, che quotidianamente ripetiamo nella nostra liturgia. * Al contrario e' il celarsi, il nascondersi del volto divino il segno di allontanamento. Leggiamo in proposito un brano fondamentale: " La mia ira divampera' contro di lui in quel giorno e li abbandonero' e nascondero' loro il mio volto (letteralmente: mi nascondero' il volto da loro) e diventera' preda di chi vuole divorarlo e lo incontreranno numerose disgrazie e cose cattive e in quel giorno dira' 'e' perche' il mio Dio non e' in mezzo a me che mi sono capitate queste brutte cose'. Ma Io avro' nascosto il mio volto in quel giorno per tutto il male che aveva fatto, perche' si era rivolto ad altri dei" (Deuteronomio 31:17-18). In questo brano c'e' la prefigurazione dell'evento (l'abbattersi delle sciagure nazionali, il diventare preda dei nemici), la sua rappresentazione teologica (Dio che si nasconde all'uomo), la constatazione umana dell'abbandono (Dio non e' in mezzo a me) e l'interpretazione teologica (il volto si nasconde perche' l'uomo si e' ri-volto altrove). Che non si vadano a cercare responsabilita' divine primarie nel male; questo dipende in primo luogo dall'uomo e dal dono che gli e' stato fatto di poter scegliere tra bene e male, tra premio e punizione. E all'uomo viene quindi chiesto di fidarsi e scommettere. Non a caso, in un brano che per molti versi e' l'anticipazione di quest'interpretazione del Deuteronomio, la domanda su dove e' Dio nasce in un contesto storico preciso: usciti dall'Egitto, dopo tutti i miracoli cui hanno assistito, gli ebrei si trovano nel deserto senza acqua; e allora, immemori e ingrati dei beni precedenti, protestano, fino a minacciare Mose' di lapidazione. Racconta la Bibbia: "[Mose'] chiamo' quel luogo Massa' e Meriva' (contesa e lite) per la lite dei figli d'Israele e per aver loro messo alla prova il Signore dicendo: 'se Dio e' in mezzo a noi o no'" (Esodo 17:7). E subito dopo ecco quello che succede: "Arrivo' Amaleq e combatte' con Israele a Refidim" (ibid, v. 18). Amaleq e' il nemico mortale perenne d'Isra ele, senza pieta' per i piu' deboli. Amaleq arriva e colpisce non in un momento qualsiasi, ma quando Israele non e' piu' capace di avvertire la presenza divina dentro di se'. Dio fugge e si nasconde secondo il Deuteronomio dopo che gli ebrei gli si rivoltano contro; ma la prima fuga - quella che apre il varco al nemico divoratore - avviene nella coscienza degli uomini che diventano sordi e incapaci di avvertire la presenza divina. Prima ancora di un volto che si nasconde c'e' l'incapacita' umana di vederlo quando c'e'. L'importanza di questa storia supera il caso isolato, diventa emblematica. Non a caso nella Tora' uno dei comandi piu' importanti che si riferiscono all'uso della memoria, riguarda proprio la storia di Amaleq: "ricorda cosa ti ha fatto Amaleq" (Deuteronomio 25:17). Ricorda cosa ti ha fatto, ma anche che cosa puo' averlo provocato. * Il celarsi del Deuteronomio non e' isolato, ma lo ritroviamo in tanti altri brani biblici, da Isaia (8:17, 54:8), Ezechiele 39 (23,24,29), ai Salmi ("non nascondermi il tuo volto": 27:9, 102:3, 143:7; e ancora 13:2, 30:8, 44:25 etc.), espressioni di una angoscia e di una ricerca costante. Di fatto il tema del Dio che si nasconde diventa la costante dell'esperienza successiva, specialmente diasporica. Giocando sulla lingua, la radice satar che indica il celarsi (da cui forse anche il mistero) viene riscontrata dai Maestri nel nome dell'eroina biblica Ester: un nome che in realta' dovrebbe essere collegato a Astarte e Aster-Astro, ma che per i Maestri non indica il fulgore ma il buio. Con una consolazione: perche' la regina Ester opera in un periodo storico in cui il Volto non e' piu' visibile e accessibile, e per questo puo' sempre sorgere qualcuno che decide di distruggere l'intero popolo ebraico; ma anche se la presenza diretta, la visione luminosa del volto non c'e' piu', la presenza divina, la sua provvidenza, la sua assistenza non mancano mai e al momento giusto intervengono nella storia e liberano. Per questo motivo consolatorio e di speranza gli ebrei celebrano ancora oggi (e continueranno a farlo anche quando tutte le altre feste saranno abolite), per una volta all'anno, con gioia fisica quasi sfrenata, la festa del Purim, per segnalare che anche in un regime di volto nascosto la protezione non viene mai meno. E' sul filo di questa speranza che si gioca un'esperienza drammatica, una domanda con tante risposte sempre insufficienti, una provocazione alla fede che coinvolge quasi quotidianamente la vita di ogni ebreo, che sia religioso o no. Nel momento in cui lo Stato si accinge a celebrare il Giorno della Memoria, con importanti intenti memoriale ed educativi, lo spirito ebraico partecipa con un ricordo sconsolato e con il peso di una domanda e di una ricerca che ha piu' di trentadue secoli di storia. 4. MEMORIA. AMOS LUZZATTO: SESSANTA ANNI DOPO AUSCHWITZ [Dal sito dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane (www.ucei.it) riprendiamo questo intervento di Amos Luzzatto. Amos Luzzatto, medico e biblista, e' presidente dell'Unione delle comunita' ebraiche italiane. Opere di Amos Luzzatto: segnaliamo almeno Una lettura ebraica del Cantico dei cantici, Firenze 1997; Leggere il Midrash, Brescia 1999; Il posto degli ebrei, Torino 2003] Decorrono quest'anno, nel Giorno della memoria, i sessanta anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, data simbolica, che e' stata appunto decisa per ricordare che cosa e' stato, prima ancora del momento indimenticabile della sua liberazione, che cosa ha rappresentato quel campo per quei terribili tre anni della sua esistenza. Come sempre, queste ricorrenze ci sollecitano a un esame di quanto abbiamo fatto in questi anni, di che cosa ci proponiamo di fare man mano che i superstiti, i pochi reduci tornati vivi da quell'inferno, vanno scomparendo. "Perche' non succeda mai piu'". Questa e' la vera e propria parola d'ordine che ricorre in questa circostanza. E' giusta? E' sufficiente? Non abbiamo dubbi sul fatto che sia giusta e che ripeterla ogni anno in questa giornata, lungi dal banalizzarla, dovrebbe rafforzarla e soprattutto farla diventare un patrimonio stabile della coscienza individuale e collettiva. Forse pero' dobbiamo riconoscere che non e' sufficiente. Il problema e' non tanto che cosa affermiamo, ma che cosa abbiamo fatto e che cosa intendiamo fare, sul piano educativo, sul piano dell'informazione, persino sul piano della sicurezza. L'antisemitismo, a sessant'anni da allora, non e' certamente scomparso e riaffiora, alimentando e insistendo su vecchi pregiudizi antiebraici, sia su quelli teologici che speravamo essere in via di estinzione dopo il Concilio Vaticano II, sia su quelli genericamente o specificamente razzistici che circolano insidiosi soprattutto fra molti giovani, sia su quelli politici che possono diventare fonte di violenza, se non si provvede con adeguati strumenti di chiarificazione. Dobbiamo dunque adeguare il nostro auspicio, la nostra volonta', il nostro senso di solidarieta' e la stessa nostra speranza per un futuro di fratellanza umana, ai problemi del presente e alle sue persistenti minacce. Senza fare di questa sacrosanta battaglia un compito di ristrette schiere di specialisti, ma facendone un patrimonio di tutti, un patrimonio da conservare e da sviluppare; appunto, "perche' non succeda mai piu'". 5. MEMORIA. ROSSANA ROSSANDA: AUSCHWITZ [Dal quotidiano "Il manifesto" del 28 gennaio 2005. Rossana Rossanda e' nata a Pola nel 1924, allieva del filosofo Antonio Banfi, antifascista, dirigente del Pci (fino alla radiazione nel 1969 per aver dato vita alla rivista "Il Manifesto" su posizioni di sinistra), in rapporto con le figure piu' vive della cultura contemporanea, fondatrice del "Manifesto" (rivista prima, poi quotidiano) su cui tuttora scrive. Impegnata da sempre nei movimenti, interviene costantemente sugli eventi di piu' drammatica attualita' e sui temi politici, culturali, morali piu' urgenti. Opere di Rossana Rossanda: Le altre, Bompiani, Milano 1979; Un viaggio inutile, o della politica come educazione sentimentale, Bompiani, Milano 1981; Anche per me. Donna, persona, memoria, dal 1973 al 1986, Feltrinelli, Milano 1987; con Pietro Ingrao et alii, Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri, Roma 1995; con Filippo Gentiloni, La vita breve. Morte, resurrezione, immortalita', Pratiche, Parma 1996; Note a margine, Bollati Boringhieri, Torino 1996. Ma la maggior parte del lavoro intellettuale, della testimonianza storica e morale, e della riflessione e proposta culturale e politica di Rossana Rossanda e' tuttora dispersa in articoli, saggi e interventi pubblicati in giornali e riviste] Quando Willy Brandt vi si reco', cadde in ginocchio senza parlare - lui che non c'entrava per nulla, ma era il leader della Germania e questa piegava le ginocchia nel gesto estremo di riconoscimento di colpa - piu' che di richiesta di perdono, perche' ci sono colpe di cui non si puo' essere perdonati. Non so se lo fara' anche Berlusconi, se gli verra' in mente che l'Italia ha partecipato della stessa responsabilita'. Ne' so immaginare la sua lustra persona nei passaggi fra quelle baracche e i loro fantasmi. Che anche l'Italia debba chinare la testa non e' venuto in mente neanche a Fini quando ha ammonito qualcun altro di non scordare la Shoah - sarebbe stato piu' convincente se fra coloro che la minimizzavano, fino a una decina di anni fa, avesse messo onestamente anche se stesso e il suo mentore Almirante. Oppure se avesse taciuto. Al dolore si addice il silenzio e la riflessione. A questo dovrebbe servire la giornata della memoria. Soprattutto per i piu' giovani che della seconda guerra mondiale hanno una vaga percezione, mentre sanno tutto dello sterminio degli ebrei ma banalizzato dall'essere diventato immagine corrente e oggetto di fiction in tanti e pur utili film. Certo, quella che corre e' una percezione diversa da quella che ne ebbero quelli della mia eta'. C'e' una generazione, di ebrei e non ebrei, che quella memoria non se la potra' mai togliere di dosso. Perche' la seconda guerra mondiale e questo suo orrore in essa non finirono il 25 aprile ne' alla firma della resa finale. Anche se di ogni guerra ciascuno che non abbia fatto parte d'uno stato maggiore conosce soltanto quel poco che gli sta nell'orizzonte (e in guerra l'orizzonte si restringe, poco ci si dice, al piu' si sussurra fra paura e speranza) della dimensione della seconda guerra mondiale ognuno seppe singolarmente poco. Apprese quando fini', quella guerra continuo' a rivelare per anni la sua estensione e i suoi abissi. Sgocciolo' sangue su di noi per tutta l'estate del 1945, nella quale sui giorni di sollievo o di festa caddero successivamente la notizia delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki e le prime fotografie dei lager. L'atomica ci mettemmo un pezzo a concepirla in concreto. Quanto ai campi, io avevo veduto gli impiccati a Fondo Toce e i corpi dei fucilati ammucchiati a Milano, e credevo di sapere tutto, quando mi arrivarono le prime istantanee di Buchenwald, le fosse di corpi diventati strame, fradici come foglie marce confusi l'uno nell'altro, ossa pelle e orbite di volti senza piu' lineamenti. Neppure mi resi conto subito che la maggior parte di essi non erano combattenti che avevano messo in conto di finire sanguinanti sotto terra, non erano i miei compagni comunisti e resistenti, erano ebrei uccisi perche' ebrei - non per quel che avevano tentato di fare ma per quel che erano o erano classificati. Perche' gli ebrei e, seppi dopo, anche gli zingari vennero sterminati come una specie animale infetta. Il sogno che ossessiona il deportato, come scrive Primo Levi, e' che torna a casa, racconta e nessuno gli crede. Perche' quel che gli e' successo e' impensabile. Nessuno di noi pote' vedere per anni quei forni crematori simili a locomotive, quei cortili circondati dalle palizzate di ferro spinato ed elettricita', gli osceni becchi di doccia delle camere a gas, senza sentirsi messo in causa come essere umano. Si era andati oltre ogni limite immaginato. E non per caso, per decisione di molti e per un esercito di esecutori tranquilli. E sull'umanita' questo si riversava, sua terribile proiezione. Oggi qualcuno dice che prima non si sapeva e dopo la guerra non si volle sapere. Non credo, anche se certamente fu la messa in causa dell'esistenza di Israele in Palestina e la dura risposta della guerra dei sei giorni a riportare con una forza mai avuta la memoria degli ebrei sulla scena del presente, ad allargarla e approfondirla. Non c'era stata censura, c'era l'insopportabilita' di un passato cosi' vicino, dell'aver visto qualcuno portato via in camion da casa, di notizie e timori che arrivavano - e questa e' una percezione che neanche il processo di Norimberga, neanche quello ad Eichmann, neanche i fiumi di testimonianza che escono oggi possono rendere come la sentimmo allora. Non tutto quel che e' stato vissuto si puo' riprodurre. Ed e' forse un bene che sia cosi'. Che tutti sappiano della Shoah come di una delle tragedie piu' atroci che sono state possibili per trarne un insegnamento decisivo. Capisco che non puo' essere una pagina di storia per chi e' uscito da quell'inferno. Ma penso che Hannah Arendt sbagli quando dice: "Quel che una volta e' stato pensato e fatto, e' destinato a ripetersi". Altre disumanita' stiamo compiendo, perche' l'inventivita' degli uomini nel distruggere e' infinita. E potente la tentazione di uccidere chi non appartiene ai tuoi. Ma un massacro degli ebrei perche' ebrei, di un popolo perche' e' un popolo, non potra' piu' avvenire nel silenzio del mondo. Qualche volta la storia fa anche una passo indietro e l'impensato torna a essere impensabile. Almeno nel giorno della memoria lasciamo le miserie in cui inciampiamo tutti i giorni e inginocchiamoci tutti perche' sia cosi'. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 826 del 31 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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