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La nonviolenza e' in cammino. 825
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 825
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Sun, 30 Jan 2005 00:08:02 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 825 del 30 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Andrea Cozzo: Un'esperienza di formazione alla nonviolenza per operatori della Guardia di Finanza e dell'Arma dei Carabinieri a Palermo 2. Per una bibliografia sulla Shoah (parte quinta) 3. Stefania Cherchi: Le donne in nero leggono Paul Celan, a Piacenza 4. Guido Liguori ricorda Nicola Badaloni 5. Luisa Cavaliere: Pietas, un filo di pensiero 6. La "Carta" del Movimento Nonviolento 7. Per saperne di piu' 1. ESPERIENZE. ANDREA COZZO: UN'ESPERIENZA DI FORMAZIONE ALLA NONVIOLENZA PER OPERATORI DELLA GUARDIA DI FINANZA E DELL'ARMA DEI CARABINIERI A PALERMO [Ringraziamo Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) per averci messo a disposizione un estratto, lievemente rielaborato, della presentazione del corso di formazione alla nonviolenza che ha svolto prima per la Guardia di Finanza e adesso sta svolgendo per l'Arma dei Carabinieri, con il relativo programma. Andrea Cozzo e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004] Presentazione Il Laboratorio sulla gestione creativa e nonviolenta delle situazioni di tensione (25 ore) che tengo a Palermo per operatori dell'Arma dei Carabinieri ha lo scopo in primo luogo di presentare i principali concetti e le applicazioni della nonviolenza cosi' come essa e' stata elaborata nella sua storia da Mohandas K. Gandhi fino a Pat Patfoort, Antonino Drago, Jean-Marie Muller e Johan Galtung (per nominare solo alcuni tra gli studiosi odierni piu' noti); e in secondo luogo di affrontare lo studio di casi concreti presentati dai partecipanti in cui le nozioni acquisite possano essere "messe al lavoro". La nonviolenza e' una tecnica fondata sul riconoscimento dei meccanismi delle dinamiche relazionali e della comunicazione verbale e non verbale; essa contribuisce ad aumentare le capacita' di prevenire l'insorgere di conflitti o di gestirli senza fare ricorso alla violenza nello scontro con altri, o ancora di intervenire come "terza parte". Capire cosa sono e come funzionano la violenza e la pragmatica della comunicazione e' fondamentale nella gestione delle situazioni di tensione tanto quanto in un corso antidroga lo e' riconoscere le sostanze psicotrope, i motivi della tossicodipendenza e la psicologia di chi vi ricorre. La teoria e' necessaria per affrontare la pratica di intervento e il controllo del territorio che, come e' ben noto, non sono fatti soltanto di inseguimenti, arresti e di tutto cio' che contrasta la delittuosita', ma anche di operazioni volte a mettere fine a risse e a sedare litigi o indirizzate al soccorso pubblico. Ancor piu' importante infine, nella dimensione sempre piu' multiculturale della citta' di Palermo, risulta la conoscenza di un approccio adatto alla relazione con persone provenienti da altre societa' e dunque da altre abitudini comportamentali, mentali, verbali. Entrare nella cultura dell'ascolto, saper parlare alle persone, sapere essere mediatore diventa essenziale tanto per evitare un'escalation della tensione nelle situazioni di conflitto, quanto per riuscire a diventare pienamente, anche nella percezione del cittadino, operatore che "tutela l'esercizio delle liberta' e dei diritti dei cittadini" (Legge 121/1981, art. 24) piuttosto che avversario. * Linee di programma - Alcune teorie del conflitto - Processi di soluzione dei conflitti - "Giochi a somma zero" e "giochi a somma positiva" - Lineamenti di storia della nonviolenza - Concetti del pensiero della nonviolenza - Violenza (cos'e' e come funziona), conflitto, nonviolenza - Catena della violenza, escalation, deescalation - Violenza come "profezia autodeterminantesi"; nonviolenza e/e' comunicazione - Nonviolenza come logica e pratica delle possibilita' - Simmetria, complementarita', spiazzamento - Immaginazione, non spontaneita' - Fiducia, cooperazione, giudizio, mediazione, conciliazione - Comprendere non e' giustificare, ma ä comprendere - Comunicare alla gente che le forze dell'ordine non servono a reprimere e a punire, ma ad aiutare chi e' in difficolta' - Comunicazione sistemica: linguaggio digitale e linguaggio analogico - Il reo e la vittima - Dinamiche relazionali e strategie operative e cooperative. Comprendere intellettuale e comprendere empatico - Persona e diritti umani - Punti di vista e intercultura: esercizi di ascolto - Modalita' comunicative in situazioni di tensione - Approccio costruttivo: il metodo Transcend, creativita' e possibilita' - Le Brigate Nonviolente gandhiane - Conflitti internazionali e peacekeeping (con esempi storici) - Studio di casi - Autovalutazione del corso e criteri per l'attribuzione dei giudizi finali. 2. MATERIALI. PER UNA BIBLIOGRAFIA SULLA SHOAH (PARTE QUINTA) MARIO DE MICHELI Illustre intellettuale antifascista, storico e critico d'arte, saggista, traduttore di poesia e poeta, organizzatore culturale, docente universitario (Genova 1914 - Milano 2004). Dal sito dell'Anpi (www.anpi.it) riprendiamo il seguente profilo: "Nato a Genova il primo aprile 1914, deceduto a Milano il 17 agosto 2004, critico d'arte e scrittore. Nel 1938, De Micheli si era trasferito da Genova a Milano e qui aveva fatto le sue scelte di vita e politiche. Infatti, prese subito parte ai movimenti artistico-letterari milanesi culturalmente piu' avanzati, impegnandosi in primo luogo nel gruppo di "Corrente", di chiara ispirazione antifascista. Nel 1942 De Micheli pubblico' il suo primo libro: Picasso. Nel volume, oltre ad un'interpretazione politico-civile del grande pittore spagnolo, il critico presento' per la prima volta in Italia una serie di disegni preparatori per "Guernica". Il volume supero' le maglie della censura fascista, ma la sua seconda edizione, stampata dopo che De Micheli aveva portato a termine anche una monografia sullo scultore Giacomo Manzu', fu sequestrata. Negli anni del conflitto il critico, che era in contatto con Eugenio Curiel, partecipo' attivamente alla Resistenza, sino a che nel 1944 - mentre stava lavorando a due saggi fondamentali quali Realismo e poesia e La protesta dell'espressionismo, che sarebbero stati pubblicati dopo la Liberazione - fu arrestato. Dopo il 1945, De Micheli, che nel 1943 aveva aderito al Pci, oltre che scrittore di successo (il suo Le avanguardie artistiche del Novecento ha superato le trenta edizioni), fu anche un organizzatore culturale di primo piano. E' stato merito di una campagna promossa da Mario De Micheli se Aldo Carpi, reduce da un campo di sterminio, pote' tornare a dirigere l'accademia di Brera. Il Diario di Gusen dello stesso Carpi reca la prefazione di De Micheli, che ha scritto anche molti libri sulla Resistenza (Uomini sui monti, VII G.A.P., Barricate a Parma), e ha organizzato importantissime mostre di pittura (su Siqueiros, Henry Moore, Orozco, Marino Marini, ecc.) e mostre sulla Resistenza in Italia e allestero. Per anni e anni e' stato critico d'arte del giornale "l'Unita'"; sue sono anche le traduzioni di due poemi di Majakovskij; suo, infine, e' il merito di aver fatto conoscere in Italia importanti poeti ungheresi e rumeni. Poco tempo prima di morire, Mario De Micheli ha donato la sua biblioteca, ricca di trentamila volumi, al comune d'origine della madre, Trezzo d'Adda, dove ha voluto essere sepolto". Tra le molte rilevanti opere di Mario De Micheli qui segnaliamo particolarmente (a cura di), I bambini di Terezin, Feltrinelli, Milano 1979. CESARE G. DE MICHELIS Cesare G. De Michelis, allievo di Angelo Maria Ripellino, e' ordinario di letteratura russa all'Universita' di Roma "Tor Vergata" e membro della Societa' puskiniana. Si e' occupato di cultura russa antica, moderna e contemporanea, e dei rapporti italo-russi. Tra le opere di Cesare G. De Michelis: Il manoscritto inesistente, Marsilio, Venezia 1998; La giudeofobia in Russia, Bollati Boringhieri, Torino 2001. LUCE D'ERAMO Scrittrice e testimone straordinaria, nata nel 1925, e' scomparsa nel 2001. Evasa dal lager nazista, gravemente ferita sotto un bombardamento, coscienza vigile e inquieta, di tenacissimo impegno civile, ha collaborato a "Nuovi argomenti", "Tempo presente", "La fiera letteraria" e al quotidiano "Il manifesto". Opere di Luce D'Eramo: fondamentale e' Deviazione, Mondadori, Milano 1979, poi Rizzoli, Milano 1990; tra le altre sue opere: Raskolnikov e il marxismo - Note a un libro di Moravia (1959); L'opera di Ignazio Silone (1971); Cruciverba politico (1974); Nucleo zero (1981); Partiranno (1986). JACQUES DERRIDA Illustre filosofo francese, tra i piu' influenti della seconda meta' del Novecento; nato in Algeria nel 1930, e' scomparso nel 2004. Tra le molte opere di Jacques Derrida qui segnaliamo particolarmente La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 1968; Della grammatologia, Jaca Book, Milano 1969; La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1971, 1990; La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989; Schibboleth per Paul Celan, Gallio, Ferrara 1991; Margini della filosofia, Einaudi, Torino 1997; Addio a Emmanuel Levinas, Jaca Book, Milano 1998; Aporie, Bompiani, Milano 1999, 2004; Perdonare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2004. Opere su Jacques Derrida: per un avvio cfr. Maurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Roma-Bari 2003; cfr. anche il libro di Giovana Borradori, Filosofia del terrore. Dialoghi con Juergen Habermas e Jacques Derrida, Laterza, Roma-Bari 2003. VITTORIO DE SICA Attore e regista cinematografico, 1901-1974. Opere di Vittorio De Sica: di De Sica come regista segnaliamo particolarmente Sciuscia' (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951), Umberto D. (1951), tra i vertici del neorealismo, e tra i frutti della collaborazione con Zavattini; ed anche il tardo (1970) Il giardino dei Finzi Contini; tra le sue interpretazioni Il generale Della Rovere (1959) di Rossellini. Opere su Vittorio De Sica: Franco Pecori, Vittorio De Sica, Il Castoro Cinema. DONATELLA DI CESARE Donatella Di Cesare, gia' allieva di Gadamer, docente di filosofia del linguaggio, e' acuta studiosa della riflessione filosofica contemporanea; dal sito www.donadice.com riportamo la seguente notizia: "Donatella Di Cesare si e' laureata in Filosofia nel 1979 all'Universita' La Sapienza di Roma. Ha proseguito gli studi all'Universita' di Tubinga dove ha conseguito il dottorato con Eugenio Coseriu nel 1982. Dal 1985 e' stata ricercatrice di filosofia del linguaggio all'Universita' La Sapienza di Roma. Nel 1996 ha ottenuto la borsa di studio Alexander von Humboldt presso Hans-Georg Gadamer all'Universita' di Heidelberg; in questa universita' ha compiuto ricerche anche presso la Hochschule fuer Juedische Studien. Nel 1998 ha vinto il concorso di professore associato, nel 2000 quello di professore ordinario. Dal 2001 e' professore ordinario di filosofia del linguaggio alla facolta' di filosofia dell'Universita' La Sapienza di Roma. E' membro della Societa' italiana di filosofia del linguaggio, della Societa' italiana di studi sul secolo XVIII, della Deutsche Hamann-Gesellschaft, della Academie du Midi, della Associazione italo-tedesca di Villa Vigoni, dello International Institut for Hermeneutics, della Heidegger-Gesellschaft, e' membro fondatore della Walter-Benjamin Gesellschaft. Fa parte della redazione scientifica dello Jahrbuch fuer philosophische Hermeneutik, dirige la rivista di filosofia Eidos. Pubblicazioni di Donatella Di Cesare: segnaliamo i seguenti volumi: Wilhelm von Humboldt y el estudio filosofico de las lenguas, Anthropos, Barcelona 1999; Die Sprache in der Philosophie von Karl Jaspers, Francke Verlag Tuebingen-Basel 1996; La semantica nella filosofia greca, Bulzoni, Roma 1980; ha inoltre curato i seguenti libri: Filosofia, esistenza, comunicazione in Karl Jaspers, a cura di D. Di Cesare e G. Cantillo, Loffredo, Napoli 2002; L'essere che puo' essere compreso, e' linguaggio. Omaggio a Hans-Georg Gadamer, a cura di D. Di Cesare, Il Melangolo, Genova 2001; "Caro professor Heidegger...". Lettere da Marburgo 1922-1929, a cura di D. Di Cesare, Il melangolo, Genova 2000; Wilhelm von Humboldt, La diversita' delle lingue, a cura di Donatella Di Cesare, Laterza, Roma-Bari 1991, 2000. Wilhelm von Humboldt, Ueber die Verschiedenheit der Sprache, hrsg. und mit einer Einleitung von Donatella Di Cesare, Paderborn, UTB, 1998; Eugenio Coseriu, Linguistica del testo. Introduzione all'ermeneutica del senso, a cura di Donatella Di Cesare, Carocci, Roma 1997, 2000; Lexicon grammaticorum, a cura di T. De Mauro e D. Di Cesare, Niemeyer, Tuebingen 1996; Torah e filosofia. Percorsi del pensiero ebraico, a cura di D. Di Cesare e M. Morselli, La Giuntina, Firenze 1993; Karl Jaspers, Il linguaggio. Sul tragico, a cura di Donatella Di Cesare, Guida, Napoli 1993; Le vie di Babele, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Marietti, Milano 1987; Iter babelicum. Studien zur Historiographie der Linguistik. 1600-1800, a cura di D. Di Cesare e S. Gensini, Nodus Publikationen, Muenster 1990". OTTAVIO DI GRAZIA Ottavio Di Grazia e' docente di storia delle religioni all'Istituto suor Orsola Benincasa dell'Universita' di Napoli, e di storia della diaspora ebraica all'Universita' di Trieste. ALFONSO M. DI NOLA Nato a Napoli nel 1926 e scomparso a Roma nel 1997, illustre docente di storia dellle religioni e di antropologia culturale. Tra le molte opere di Alfonso M. Di Nola qui segnaliamo particolarmente Antisemitismo in Italia 1962-1972, Vallecchi, Firenze 1973. CARMINE DI SANTE Ha insegnato all'Istituto teologico di Assisi e ha lavorato come teologo al Sidic di Roma. Opere di Carmine Di Sante: segnaliamo particolarmente almeno La preghiera d'Israele. Alle origini della liturgia cristiana, Marietti, Casale Monferrato 1985, Genova 1998; Parola e terra. Per una teologia dell'ebraismo, Genova 1990; il Padre nostro. L'esperienza di Dio nella tradizione ebraico-cristiana, Cittadella, Assisi 1996; Responsabilita'. L'io-per-l'altro, Edizioni lavoro - Esperienze, Roma 1996; Vedere con gli occhi della bibbia, Elle Di Ci, Torino 1999; La rinascita dell'utopia, Edizioni Lavoro, Roma 2000; Lo straniero nella bibbia. Saggio sull'ospitalita', Citta' aperta - Macondo libri, Troina (En) 2002; La profezia. Figure bibliche della speranza, Citta' aperta - Macondo libri, Troina (En) 2003. RICCARDO DI SEGNI Riccardo Di Segni e' rabbino capo della comunita' ebraica di Roma, una delle piu' antiche della diaspora, la maggiore d'Italia, e direttore del Collegio rabbinico italiano; laureato in medicina, lavora come radiologo. Tra le opere di Riccardo Di Segni: saggi in "Quaderni Storici": Verginita', Fratelli e sorelle, Trasmissione matrilineare dell'ebraismo; vari studi sul significato delle regole alimentari, in particolare il libro Noten ta'am leshevach, ta'ame hakashrut baparshanut hayehudit, Roma 1998; Catalogue of the Manuscripts of the Library of the Collegio Rabbinico Italiano, Alei Sefer, Rome; Le unghie di Adamo, Guida, Napoli; Il Vangelo del Ghetto, Newton Compton, Roma 1985. DANILO DOLCI Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel 1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50 partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi. Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone (comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel 1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico: le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo "sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile, "continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto, l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm), per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare, denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna, rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E' proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia, che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo: saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso: muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della "scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico, propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul "reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze 1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi, Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992; Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000, 2004. ANGELO D'ORSI Angelo D'Orsi e' docente di storia del pensiero politico contemporaneo all'Universita' di Torino; si occupa da anni, oltre che di questioni di metodo e di storia della storiografia, di storia della cultura e dei gruppi intellettuali. Tra le sue opere: La cultura a Torino tra le due guerre, Einaudi, Torino 2000; Intellettuali nel Novecento italiano, Einaudi, Torino 2001. UGO DRAGONI Storico, membro dell'Anei. Opere di Ugo Dragoni: La scelta degli I. M. I. Militari italiani prigionieri in Germania (1943-1945), Le Lettere, Firenze 1996, 1997. TEO DUCCI Nato a Budapest nel 1913, laureato in scienze diplomatiche e consolari a Venezia, superstite di Auschwitz e Mauthausen; saggista, studioso e testimone. Opere di Teo Ducci: (a cura di), Bibliografia della deportazione nei campi nazisti, Mursia, Milano 1997. SIMONE DURANTI Ricercatore particolarmente impegnato nel salvare la memoria delle vittime del nazifascismo. Opere di Simone Duranti: (a cura di, con Luciano Casali, Enzo Collotti, Letizia Ferri Caselli), Leggere Fossoli. Una bibliografia, Edizioni Giacche', La Spezia 2000. DEBORAH DWORK Docente di storia alla Yale University. Opere di Deborah Dwork: Nascere con la stella. I bambini ebrei nell'Europa nazista, Marsilio, Venezia 1994, 1999. ALBERT EINSTEIN Einstein (1879-1955) non e' stato solo un grande uomo di scienza, ma anche un uomo di pace. Opere di Albert Einstein: segnaliamo particolarmente Pensieri degli anni difficili, Boringhieri, Torino; Come io vedo il mondo, Newton, Roma; Pensieri, idee, opinioni, Newton, Roma; segnaliamo anche la raccolta di brevi frammenti estratti da testi e discorsi occasionali Il lato umano, Einaudi, Torino. Opere su Albert Einstein: Abraham Pais, Sottile e' il signore. La vita e la scienza di Albert Einstein, Boringhieri, Torino 1986; Roberto Fieschi, Albert Einstein, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole 1987: il volume contiene anche un'ampia antologia di scritti di Einstein sui temi della pace e dei diritti umani. NORBERT ELIAS Nato in Germania nel 1897 e deceduto ad Amsterdam nel 1990, e' tra i maggiori sociologi e storici contemporanei. Opere di Norbert Elias: La societa' di corte; La solitudine del morente; Saggio sul tempo; Humana conditio; Il processo di civilizzazione (di cui La civilta' delle buone maniere e' il primo volume, Potere e civilta' e' il secondo); Sport e aggressivita'; La societa' degli individui; Mozart; I tedeschi; La teoria dei simboli: tutti editi in Italia dal Mulino. Opere su Norbert Elias: Simonetta Tabboni, Norbert Elias: un ritratto intellettuale, Il Mulino, Bologna. 3. MEMORIA. STEFANIA CHERCHI: LE DONNE IN NERO LEGGONO PAUL CELAN, A PIACENZA [Ringraziamo di cuore Chiara Casella delle "Donne in nero e non solo" di Piacenza (per contatti: lazampas at katamail.com), per averci inviato questo articolo apparso sul quotidiano "La Liberta'" del 28 gennaio 2005, che riferisce dell'incontro realizzato dalle Donne in nero a Piacenza il 25 gennaio 2005, come contributo alla Giornata della Memoria (incontro di cui ci piace riportare qui anche la lettera-invito: "Nasce il 23 novembre 1920 a Cernovitz, in Bucovina; la notte del 27 giugno 1942 i suoi genitori, che l'hanno convinto a dormire lontano da casa, vengono deportati al campo di sterminio di Michailovka, in Ucraina, da cui non faranno piu' ritorno; alla fine di aprile del 1970, dopo una vita dedicata alla poesia e alla memoria, si uccide gettandosi nella Senna. Tra questi estremi biografici, Paul Celan scrive centinaia di poesie bellissime in cui il dramma personale si trasfigura in dolore universale, confermando una delle intuizioni fondamentali della modernita': che la condizione umana e' ostaggio del male efferato, che le "umane sorti e progressive" non contengono di per se' una risposta di civilta' capace di vaccinarci contro l'orrore. L'incontro con un grande poeta, con un poeta eccelso, e' un avvenimento raro e prezioso. Quando poi questo poeta ha speso l'intera sua vita, e una sconfinata produzione in versi, per sopravvivere all'Olocausto pur senza tradire la memoria e la fedelta' a quanti sono rimasti per sempre laggiu', sotto la neve dei campi di sterminio, privati perfino del nome e delle lacrime dei loro cari, l'incontro diventa uno sconvolgente atto di denuncia. Il 25 gennaio 2005, alle ore 18, alla Volta del Vescovo, strada Valnure 24/a, Lidia Menapace, profonda conoscitrice della poesia tedesca del Novecento, legge e commenta per noi donne i versi di Paul Celan". Stefania Cherchi e' una delle "Donne in nero e non solo", che hanno organizzato la serata. Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001; (con Fausto Bertinotti e Marco Revelli), Nonviolenza, Fazi, Roma 2004. Paul Celan, poeta di lingua tedesca, nato a Czernowitz nella Bukowina nel 1920, perseguitato e internato in campo di concentramento. Visse poi a Vienna e a Parigi; si e' tolto la vita nel 1970. Opere di Paul Celan: Poesie, Mondadori, Milano 1998; La verita' della poesia, Einaudi, Torino 1993] Nella bella cornice della Volta del Vescovo, quaranta donne sedute in cerchio, assorte, leggono e commentano Paul Celan guidate da Lidia Menapace. Un difficile, doloroso ma straordinario omaggio alla Giornata della Memoria. Qualcuna legge una poesia: segue un breve silenzio, la bellezza struggente dei versi si fonde alla sensazione d'incubo di quelle immagini ricorrenti, ripetute all'infinito, variate su mille tonalita': le mani bruciate, gli occhi sbarrati, vuoti, la coltre di neve che copre gli infiniti corpi senza nome. La parabola di Paul Celan, poeta poco conosciuto, forse perche' di non facile approccio, forse perche' solo negli ultimi anni abbiamo assistito a un tornare meno frettoloso sui temi dell'Olocausto degli ebrei, e' tutta racchiusa fra poche date significative: la nascita nel 1920, a Czernowitz, in Bucovina, da famiglia ebrea; la notte tra il 27 e il 28 giugno 1942, quando i genitori furono deportati e scomparvero per sempre dalla sua vita, mentre Paul si era messo in salvo in un rifugio sotterraneo; il suicidio, nel 1970, gettandosi nella Senna. In mezzo, una produzione poetica sconfinata interamente dedicata alla possibilita' di sopravvivere, di rimanere in vita dopo aver assistito all'orrore. Di reggere l'insostenibile destino dei sopravvissuti che si domandano, perche' io? Sempre in bilico tra il desiderio di costruire un futuro abitabile e il senso di colpa e di esclusione di non essere con quelli cui si appartiene. Dapprima la gioventu' fa credere a Paul Celan che il problema sia quello di portare in salvo la memoria in un mondo che torna a vivere, e non vuole piu' sentir parlare di cio' che e' successo: "Io porto il lutto dell'ora appassita / e serbo una resina per un uccello tardivo: / egli porta il fiocco di neve sulla piuma rossa di vita; / col grano di ghiaccio nel becco egli passa attraverso l'estate". Ma col tempo la prospettiva si inverte: "In fondo / al crepaccio dei tempi, / presso il favo di ghiaccio / attende, cristallo di respiro, / la tua irrefutabile / testimonianza". Nel paesaggio sconvolto e inaridito per sempre dall'orrore, nell'aria resa irrespirabile dalle complicita' e dall'oblio, la testimonianza di quanti sono stati cancellati dalla faccia della terra e' difficile da ritrovare, si nasconde in fondo a un crepaccio, ma e' l'unica cosa vera, l'unica cosa che valga davvero la pena di cercare. Questa necessita' di affidare alla parola poetica la memoria dell'orrore, e' eticamente giustificata? La bellezza dei versi in cui si commemora il sangue versato non tradisce per cio' stesso l'indicibilita' del male, il suo essere assolutamente altro rispetto al bello, alla vita, a tutto cio' che e' armonia? Lentamente, nei versi di Celan, la fiducia nella possibilita' della parola poetica di conservare la memoria, senza curare il mondo ma al contrario mantenendo aperta la ferita, e permettendoci in questo modo di vivere nell'unico modo dignitoso secondo la retta coscienza, si affievolisce: "Qualunque parola tu dica - / rendi grazie / alla perdizione". "Arrivato al punto in cui, anziche' continuare a scrivere, si va a fare il mercante d'armi in Abissinia, Celan continua a scrivere" (Giuseppe Bevilacqua): meno la parola sembra soddisfare le richieste salvifiche che il poeta le pone, piu' Celan scrive, compulsivamente, in modo sempre piu' oscuro, quasi solo per se'. Fino al tragico epilogo nella Senna. Sedute in cerchio, le donne leggono e parlano. Alcune poesie mettono a dura prova la loro capacita' di resistere al fiotto di dolore che ne trapela, qualcuna ha gli occhi lucidi, altre sembrano non trovare le parole. Poi, Lidia Menapace, materna, allenta un po' la tensione, inserisce i suoi racconti sulla Resistenza, sul registro antieroico che governava gli atti e le scelte di quanti si sono opposti quotidianamente, senza armi, con silenziosa ostinazione, alla dittatura e all'occupazione. Parla della sua fiducia nelle rivolte senza armi, agite solo dalla coscienza, che possono far traballare i troni senza creare nuovo dolore. Ci si lascia cosi', consapevoli di aver avuto qualcosa di eccezionale da questa serata, tenuta volutamente "in piccolo", senza pubblicita', tra donne, perche' potesse essere piu' vera. Un modo tutto nostro di condividere la memoria. 4. LUTTI. GUIDO LIGUORI RICORDA NICOLA BADALONI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 21 gennaio 2005. Guido Liguori e' acuto studioso di Gramsci, del movimento operaio e del pensiero politico contemporaneo; collabora a varie qualificate riviste. Nicola Badaloni, nato nel 1924 e recentemente deceduto, antifascista, militante del movimento operaio, e' stato un illustre pensatore e docente; tra gli altri suoi rilevanti scritti ci piace qui ricordare particolarmente l'impegnato contributo alla riflessione su nonviolenza e marxismo, in Movimento Nonviolento, Marxismo e nonviolenza, Editrice Lanterna, Genova 1977] Se n'e' andato Marco. E' cosi' che familiari, amici, compagni e allievi chiamavano Nicola Badaloni, e' cosi' che egli amava farsi chiamare, come al tempo della Resistenza. Non un vezzo, ma il segno quasi di quella "scelta di vita" che non avrebbe rinnegato mai. Aveva compiuto da poco ottant'anni e da qualche tempo la sua voce era meno presente nel dibattito culturale e politico. Ma per molti decenni Badaloni e' stato uno dei piu' prestigiosi intellettuali italiani e uno dei piu' prestigiosi intellettuali del Partito comunista italiano. Aveva sempre abbinato impegno culturale e impegno politico, quasi due facce di una stessa medaglia molto difficili da separare. Era stato a lungo (1954-1966) sindaco di Livorno, la citta' dove era nato il 21 dicembre del 1924, membro del comitato centrale del Partito comunista (vicino alla sinistra, contrario nel 1969 all'espulsione del gruppo del "Manifesto"), attento ai fermenti del '68-'69, presidente della Fondazione Istituto Gramsci (1971-1993) negli anni Settanta e Ottanta. Fermamente contrario alla "svolta della Bolognina" dell'89, Nicola Badaloni aveva partecipato alla battaglia politica della "seconda mozione" e aveva poi fatto parte del gruppo di intellettuali e politici che avevano dato vita dal 1993 alla nuova serie militante della rivista "Critica marxista", a cui aveva gia' nei decenni passati attivamente collaborato quando era la rivista teorica del Partito comunista italiano, dopo aver partecipato all'esperienza di "Societa'". Nicola Badaloni aveva insegnato a lungo Storia della filosofia all'Universita' di Pisa, citta' nella quale in giovinezza aveva studiato (alla Normale, dove era divenuto amico di Carlo Azeglio Ciampi) alla scuola di maestri quali Guido Calogero, Luigi Russo e, soprattutto, Cesare Luporini, con cui avrebbe continuato ad avere nel tempo uno stretto rapporto di amicizia e solidarieta' politica e intellettuale. Si era distinto a partire dagli anni cinquanta per gli studi sulla filosofia di Giordano Bruno (a partire dal suo primo libro, La filosofia di Giordano Bruno, uscito nel 1955 per Parenti editore; Giordano Bruno tra cosmologia ed etica, De Donato, 1988), di Tommaso Campanella (Tommaso Campanella, 1965), di Giovanbattista Vico (Introduzione a Vico, 1982), di Antonio Conti (Antonio Conti. Un abate libero pensatore tra Newton e Voltaire, 1968). A questa rivisitazione di figure della filosofica italiana che erano state positivamente alternative rispetto al proprio tempo si era accompagnato lo studio di Marx, di Gramsci, del marxismo contemporaneo. Nel 1962 era uscito (per Feltrinelli) Marxismo come storicismo, libro di confronto con le principali correnti culturali del tempo, che avrebbe dato il la al celebre dibattito fra filosofi marxisti italiani sulle colonne di "Rinascita". Se successivamente il filosofo livornese avrebbe ritenuto che l'uso del termine "storicismo" era stato probabilmente sbagliato e troppo foriero di equivoci, mai avrebbe abbandonato il nocciolo di una posizione filosofica che puntava su una nuova visione dell'individuo, e sugli individui associati in grado di controllare le condizioni materiali e sociali della loto esistenza. In questa valorizzazione stava il nocciolo della sua lettura di Karl Marx (oltre ai tantissimi saggi e articoli, si ricordano i volumi Per il comunismo. Questioni di teoria, 1972, e Dialettica del capitale, 1980) e soprattutto di Antonio Gramsci. Del 1970 era la densa relazione introduttiva su Il marxismo italiano degli anni sessanta, in occasione dell'omonimo convegno dell'Istituto Gramsci, impegnata rilettura teorico-politica degli anni sessanta, tra marxismo "ufficiale" e nuovi fermenti (operaismo teorico, francofortismo, ecc.) sfociati nella cultura del Sessantotto. Di Gramsci Nicola Badaloni e' stato uno dei principali interpreti, soprattutto a partire dagli anni sessanta, attraverso una serie di relazioni a convegni e saggi che avevano scavato teoricamente sia nel "giovane Gramsci" che nel pensiero consegnato ai Quaderni del carcere. Due i suoi libri sul marxista sardo: Il marxismo di Gramsci (1975) e Il problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio Gramsci (1988). Soprattutto importante il primo, che proponeva una lettura originale del pensiero gramsciano, nella cui genesi pesavano soprattutto - per Badaloni - l'influenza di Sorel e di Labriola, prima e oltre all'incontro con Lenin. Da Sorel il giovane Gramsci avrebbe derivato una sorta di "primato del sociale" che sarebbe stato modificato, ma non sarebbe andato perso, nel successivo incontro con il leniniano "primato della politica". Gramsci avrebbe anzi tentato una ricomposizione teorica e pratica di queste due facce del pensiero di Marx, incentrata sulla figura del "produttore", soggetto di una nuova cultura politica e di un nuovo sapere tecnico-produttivo. Badaloni e' una figura che ha espresso al meglio la presenza dei comunisti italiani nella cultura e nella vita civile e politica del nostro paese. Ha rappresentato un modo d'essere, uno stile politico e culturale che oggi e' forse persino difficile capire: avere tutti i numeri e i riconoscimenti di un grande intellettuale, che pero' sa dare tutto se stesso all'interno di una impresa collettiva che si vuole finalizzata alla crescita politica e culturale non di pochi 'migliori', ma di tutti. Anche per questo esempio che ci ha lasciato e che non muore con lui continueremo a pensare a Marco con affetto e con gratitudine. 5. RIFLESSIONE. LUISA CAVALIERE: PIETAS, UN FILO DI PENSIERO [Da "Via Dogana" n. 69 del giugno 2004 riprendiamo questo articolo di Luisa Cavaliere. Nei prossimi giorni continueremo a riproporre altri materiali estratti da questo e dal successivo fascicolo di "Via Dogana". Ringraziamo le amiche della Libreria delle donne di Milano per averci messo a disposizione questi testi che contengono riflessioni che sentiamo decisive. Per richiedere "Via Dogana" (rivista la cui lettura vivamente raccomandiamo) e per contattare la Libreria delle donne di Milano: e-mail: info at libreriadelledonne.it, sito: www.libreriadelledonne.it. Dalla stessa rivista riprendiamo la seguente breve nota di presentazione dell'autrice: "Luisa Cavaliere vive a San Marco di Castellabate in provincia di Salerno. E' stata giornalista e ha collaborato con "Il manifesto" e "L'Unita'". Su "Via Dogana" n. 68, in un articolo che parte da alcuni episodi significativi dell'esperienza di Ersilia Salvato, sindaca di Castellamare di Stabia, con la quale Luisa ha condiviso vent'anni di militanza nel Pci, Luisa Cavaliere ha sviluppato un'idea di politica come 'luogo nel quale prioritariamente imparare a formulare la domanda Che cosa io desidero? e a redigere risposte sempre piu' vicine, sempre piu' chiare, sempre piu' pubbliche'"] Una riunione di redazione [di "Via Dogana"] allargata ad esperienze diverse, tutte in relazione fra loro. Introduce Luisa Muraro. Commenta l'ultimo numero della rivista e delinea lo schema del successivo. Parla in maniera efficace. Propone un tema: la guerra. Una palude, dice, dalla quale non si sa come uscire e sulla quale urge una riflessione che sia anche una messa in ordine per non smarrirsi. Il giorno dopo, sul "Corriere della sera", Giovanni Sartori evoca la stessa immagine: scrive "il pantano Iraq", restituendo, come Luisa, l'idea di un'emergenza che se, da una parte, ha inaridito molta retorica, giustiziato tante categorie interpretative, dall'altra impone di essere pensata, parlata, per poterne delineare una via d'uscita. Per poter accennare una strategia di relazioni capace di darci ragione di quanto accade e, anche, di costruire un itinerario di senso. Ma Luisa Muraro aggiunge, suggerisce, uno spostamento. Allude e parla esplicitamente di pietas. Gia' nel dicembre del 2001 aveva scritto di provare una "... simpatia per il popolo Usa. Per quegli americani (non la classe dirigente) che costituiscono una moltitudine anonima alla quale tocchera' fare il cambiamento decisivo... Tirarci fuori da un mondo che ha trasformato i diritti in privilegi e che difende con la guerra le regole che lo governano", assolutizzandole come buone ed eterne. Da mesi cerco di trovare un filo. Di pensare all'Iraq legandolo a cio' che faccio, dico, tutti i giorni, liberandomi dal senso terribile di impotenza ed inefficacia che, a tratti, mi invade e che si oppone a tutte le antiche ragioni che scopro giuste ma parziali. Desidero comprendere senza concedermi le consuete consolazioni, i collaudati anestetici, gli incontrovertibili approdi teorici. (So bene, per esempio, che la guerra fonda la politica seconda condividendone la sostanza. Ho imparato che per creare la "citta'" si e' sedata ed espulsa la guerra dalla comunita' che si e' associata e la si e' trasferita all'altro, al diverso, al nemico. Fuori delle mura). Avverto che non posso farlo da sola, che ho bisogno, avrei bisogno, di rimandi, di luoghi, di pensieri, di parole delle altre e degli altri capaci di creare una rete di significati validi da subito; che delineino la possibilita' di un'azione, non di una risposta contingente, ma di un'azione. Non di una dottrina ma di un'esperienza, di una misura di realta' che interrompa i mille silenzi che avvolgono questa guerra e che sono a me vicinissimi. E, forse, la pietas e' un punto di approdo fecondo. Puo' produrre una torsione profonda da dare allo sguardo e da tenere, poi, come base delle parole e dell'agire. Ma la potenza evocativa della pietas che mi appare per un attimo forte a tal punto da assicurarmi un punto di vista e, insieme, un punto di partenza per l'azione, si impiglia. C'e' qualcosa che le fa da ostacolo. Qualcosa che toglie ad essa forza e che domanda per essa chiarimenti. La pietas che impregna di se' il mio sguardo su di me e sul mondo, annulla, puo' annullare, lo spazio della politica (che a me continua ad apparire come prioritario). Puo' ridurre quella distanza di sicurezza che mi consente di guardare la scena concreta dell'accadere. Puo' sfumare i confini tra me e le donne, gli uomini, i luoghi per i quali la sento. Traccia uno spettacolo che ha dentro di se' anche me che lo guardo e per questo attenua, puo' attenuare, il contesto che la genera, la condizione che la suscita. Nell'assunzione della sofferenza come cifra per rapportarsi, per mettermi in sintonia con me stessa e con l'altro/a e comprenderlo, si puo' esaurire e depotenziare l'indignazione, stemperare l'urgenza di un'azione, di un pensiero che non deve ritrarsi rispetto all'orrore Che non deve, e non puo', farsi consolare da niente, che non puo' smettere, neanche per un secondo, di vedere la ridicola impotenza, la complicita' o il doloso silenzio di chi come la sinistra dovrebbe (se solo volesse darsi conto del nome che porta) costruire un muro di no alla guerra e al suo devastante incedere. * Ma la pietas (ed e' per questo che la trattengo come una delle piu' preziose parole-chiave di lettura di quanto accade) serve a conservare, nella loro tragica materialita', la sofferenza e la morte che questa guerra produce. Essa sola puo' opporsi a quella assuefazione che le immagini, pure ossessive, minuziose, continue, di quanto accade provocano (1) e che sembrano raccolte per togliere spessore, depotenziare, ridurre, proprio lo spazio della pietas. Senza di essa forse non potrei cogliere quell'umanissimo, atroce accadere che e' la morte di un individuo, di una bambina irachena (o palestinese o israeliana o ...) che va a scuola in un pulmino che esplode, di una donna che attraversa la strada e salta su una mina. Non potrei guardare a quella palude come ad una melma nella quale affonda, ogni giorno di piu', l'Occidente, la sua storia, la bellezza che, pure, ha prodotto, la civilta' che, pure, ha disegnato, il pensiero che, pure, ha ordito. Affonda trascinando con se' tutto e tutti/e nell'ansia mortifera che lo ha sempre attraversato e, a tratti, distinto, e che adesso sembra possederlo, come un'ossessione, senza opposizione, senza significativi contrasti. Questa guerra non e' una guerra qualsiasi (2). E' una guerra che rade al suolo insieme all'Iraq le categorie della politica seconda, con il rischio di non concedere spazi indenni neanche alle nostre parole, alla nostra capacita' di colmare lo scarto tra il fatto che avviene e il suo significato, tra l'accadere e l'esperienza che di esso ognuna/o fa. Ed e' per questo che non possiamo tirarci fuori. Non posso tirarmi fuori ricorrendo ad una non colpevolezza, ad un'estraneita' che, se la eccepissi, non mi darebbe ragione di niente, quasi di niente. Forse dobbiamo, devo, continuare a rafforzare la pratica e il sapere della nostra politica. Di quella politica che si nutre di relazioni e delle parole che esse coniano, del sapere che esse generano, degli spostamenti che esse producono, della resistenza che esse oppongono ad ogni riduzione, ad ogni semplificazione, delle connessioni che esse costruiscono. Rafforzare, estendere, mettersi in sintonia, in ascolto e in comunita' d'azione con quelli e quelle che, come noi, rompono qualsiasi complicita' (nei consumi, nelle scelte culturali, negli atteggiamenti, in una parola nella vita di tutti i giorni) con cio' che genera ingiustizia e guerra, violenza e morte. Questa credo, sia la mia responsabilita', l'obbligo che ho oggi: discutere, produrre pratiche politiche, parole, connessioni, sapere, azioni. So bene di non aver indicato vie d'uscita dalla palude, sentieri asciutti da percorrere, ma so, anche, che se fingiamo (come, a tratti, mi sembra che facciamo) di non vederla o pensiamo che non puu' inghiottirci, potremmo esserne sommerse senza neanche accorgercene. * Note 1. Un giornale della California, con una modalita' che mi pare improntata al desiderio di trattenere l'orrore, di non rimuoverlo e di mostrare la "concreta specialissima umanita' di chi muore", racconta la storia di ogni marines californiano ucciso in Iraq facendo parlare la sua maestra dell'asilo, le sue prime fidanzate dell'adolescenza, i suoi amici, i suoi compagni di gioco. Al corpo avvolto in un'inutile bandiera, si risparmia l'oltraggio della retorica patriottica che lo congela in un solo gesto, e gli si restituisce concretissima umanita'. Si mostra della morte il suo terribile ruolo di creare vuoti, silenzio, irrisarcibile assenza. 2. So bene che tutte le guerre sono una tragedia e so anche che, dopo i campi di sterminio nazisti, discutere della guerra e del male come eccezione o interruzione temporanea di una corsa verso l'avvenire, non ha alcun senso, ma uso quel qualsiasi per enfatizzare la gravita' di quanto oggi accade. 6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 7. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 825 del 30 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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