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La nonviolenza e' in cammino. 813
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 813
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Tue, 18 Jan 2005 00:12:52 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 813 del 18 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Peppe Sini: Tre note su "Conflittualita' nonviolenta" di Andrea Cozzo 2. Giulio Vittorangeli: Tre assemblee per una democrazia preventiva 3. Bibi Tomasi: Tu piangi 4. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte ottava) 5. Alberto Bosi: Uscire dal circolo vizioso della violenza 6. Paolo Predieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 7. Letture: Emilia Ferreiro, Com todas as letras 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. PEPPE SINI: TRE NOTE SU "CONFLITTUALITA' NONVIOLENTA" DI ANDREA COZZO 1. Credo che questo libro (Andrea Cozzo, Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Mimesis, Milano 2004, pp. 336, euro 18) sia uno dei libri piu' importanti se non il libro piu' importante pubblicato in Italia nel corso dell'ultimo anno, e forse non solo. E' forse il primo lavoro effettivamente sistematico sulla nonviolenza scritto in lingua italiana, paese e lingua in cui pure esistono opere stupende di grandi figure della nonviolenza, da Aldo Capitini a Danilo Dolci, da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto a Ernesto Balducci, ma nessuno di loro scrisse un'opera sistematica. L'unico lavoro adeguatamente sistematico disponibile prima di questo, a mio modesto avviso e per quanto e' a mia conoscenza, e' l'eccellente saggio introduttivo di Giuliano Pontara premesso all'altrettato eccellente antologia gandhiana da lui curata (Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996 - in questa nuova edizione ampliato e con l'opportuno titolo "Il pensiero etico-politico di Gandhi"). Ci sono ovviamente motivi peculiari e cogenti per cui in Italia, da parte delle studiose e degli studiosi che alla nonviolenza si sono accostate e accostati, si sono privilegiati altri approcci: spesso si e' scritto avendo presenti soprattutto le lotte da condurre e le esperienze da socializzare; spesso si e' scritto per fornire materiali di lavoro immediatamente fruibili; infine molto ha pesato per un verso la tradizione storicistica e per l'altro la diffidenza verso l'"esprit de systeme". Infine non poco ha influito la tradizionale separazione tra ambiti di ricerca che la nonviolenza "de facto" ma anche "de jure" (se cosi' possiamo esprimerci) unifica, beninteso in adeguate e complesse articolazioni, per mediazioni critiche ed aperture ermeneutiche. Stando cosi' le cose, dopo il grande saggio di Pontara, questa a noi pare essere la prima opera sistematica sulla nonviolenza scritta in Italia. * 2. Che il lavoro di Andrea Cozzo abbia carattere sistematico, non significa che sia un'opera chiusa. E' opera aperta: nel duplice senso che rinvia all'"opera aperta" di cui scrisse Eco, e all'apertura della nonviolenza di cui scriveva Capitini. Ed e' opera feconda: poiche' la nonviolenza e' tra l'altro un vasto campo di ricerche e un continuo ricercare e sperimentare, un confronto critico tra diverse tradizioni di pensiero e diversi ambiti di teoria e di prassi, e' critica creativa e creativita' critica: etica, politica, metafisica; ma anche analisi concreta delle situazioni concrete, materialita' delle cose pensate e teoreticita' delle cose materiali. Principio responsabilita' e sogno di una cosa. Qui e altrove, di fronte e attraverso. Abbiamo altre volte detto, e qui non ripetiamo se non per cenni, che nulla coglie della teoria-prassi nonviolenta chi pretendesse di ridurla a formulario, a repertorio, a dogma, a "ideologia di ricambio". La nonviolenza (termine con cui Capitini traduce nella nostra lingua il densissimo e complesso concetto che Gandhi esprime con i due termini dedotti dal sanscrito di ahimsa e satyagraha) e', secondo l'approccio che chi redige questo notiziario propone, un "insieme di insiemi" (un concetto logico-assiologico; un insieme di modalita' e tecniche ermeneutiche, maieutiche, deliberative ed operative; un insieme di proposte costruttive; un insieme di esperienze storiche e avventure teoretiche; un insieme di testimonianze aggettanti), infinitamente aperto e creativo, essendovi di fatto tante immagini e declinazioni della nonviolenza quante sono le persone che ad essa si accostano. Ma questa complessita' e dialetticita' della nonviolenza, che e' pratica concreta di oppposizione alla violenza, quindi sempre contestuale e relazionale nel suo darsi, farsi, pensarsi, e' anche, ed eminentemente, un invito al rigore morale e intellettuale, alla coerenza tra mezzi e fini, al riconoscimento di umanita': al sentire rettamente e rettamente agire, in un atteggiamento per cui la propria vita si fa - in umilita' e splendore, in timore e tremore, in ricerca e scoperta - esperienza ed esperimento di verita', accostamento all'altro e all'altra, apertura al volto altrui, infinita domanda, infinito prendersi cura. Essa nonviolenza, quindi, non consiste in una generica benevolenza (che pure e' atteggiamento che molto onoriamo), ma nell'opposizione alla violenza, nella pratica del conflitto contro ogni violenza, interiore ed esteriore, flagrante ed occulta, dispiegata o subdola, palesemente riconoscibile o - per essersi cristallizzata in longeve strutture - piu' difficilmente individuabile. La nonviolenza e' lotta contro la menzogna, l'ingiustizia, l'oppressione che denega la qualita' umana degli esseri umani, la violenza che lacera la trama delle relazioni, che distrugge il mondo, che inquina la vita. La nonviolenza e' lotta, ma quella specifica forma di lotta che e' insieme anche comunicazione, apertura all'altro, all'altra, riconoscimento di umanita', degnificazione e dono. E' quella lotta che vuole la salvezza di tutti, che alla violenza in nulla cede, che limpida ed intransigente ripudia di farsi invadere, contaminare, insignorire da essa violenza, per non riprodurla giammai, per non accrescerla in alcun modo. La nonviolenza: una grande idea e speranza per l'umanita' intera in questa tragica distretta in cui intera l'umanita' si trova oggidi'. Ma anche: un habitus e una esigenza di rigorizzazione logica, di scientificita', di conoscenza verificabile. La nonviolenza si studia, oltre a praticarla; ad essa ci si prepara, per poterla praticare. Chi pensa di sapere gia' tutto di essa prima ancora di essersi ad essa accostato ne ignorera' per sempre i tesori e il tessuto, il dono e il valore. * 3. Il libro di Andrea Cozzo propone campi e percorsi di ricerca, rievoca esperienze e teorie, analizza con acutezza ed empatia vicende storiche e mentali di profonda densita'. Convoca una strumentazione euristica che si svolge in campi del sapere che vanno dalla psicologia alla religione, dall'etica alla politica, dalle scienze umane ed esatte alle tradizioni sapienzali. E' un libro che propone una ricerca, che interroga. Va letto cosi', innanzitutto come un invito. Anche laddove i riferimenti e l'itinerario di chi legge sono altri; anche laddove ci si dispiacesse della mancanza di questo o quella relazione, figura, vicenda o tradizione specifica che per chi legge hanno particolarmente contato; anche laddove alcune formule o proposte si ritenessero parziali o diverse da quanto si ha in animo e si vorrebbe discutere. Molte sono le vie che alla scelta della nonviolenza possono condurre; il libro di Andrea Cozzo non ha la pretesa di segnalarle tutte, propone un approccio, una modalita', nella coscienza che altri e altre se ne diano. E' un contributo grande. Un libro da leggere e discutere. Non solo dalle persone amiche della nonviolenza. * Per richieste alla casa editrice: Mimesis, alzaia nav. pavese 34, 20136 Milano, tel. 0289403935, cell. 3474254976, e-mail: mimesised at tiscali.it, sito: www.mimesisedizioni.it * L'autore: Andrea Cozzo (per contatti: acozzo at unipa.it) e' docente universitario di cultura greca, studioso e amico della nonviolenza, promotore dell'attivita' didattica e di ricerca su pace e nonviolenza nell'ateneo palermitano, tiene da anni seminari e laboratori sulla gestione nonviolenta dei conflitti, ha pubblicato molti articoli sulle riviste dei movimenti nonviolenti, fa parte del comitato scientifico dei prestigiosi "Quaderni Satyagraha". Tra le sue opere recenti: Se fossimo come la terra. Nietzsche e la saggezza della complessita', Annali della Facolta' di Lettere e filosofia di Palermo. Studi e ricerche, Palermo 1995; Dialoghi attraverso i Greci. Idee per lo studio dei classici in una societa' piu' libera, Gelka, Palermo 1997; (a cura di), Guerra, cultura e nonviolenza, "Seminario Nonviolenza", Palermo 1999; Manuale di lotta nonviolenta al potere del sapere (per studenti e docenti delle facoltà di lettere e filosofia), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2000; Tra comunita' e violenza. Conoscenza, logos e razionalita' nella Grecia antica, Carocci, Roma 2001; Saggio sul saggio scientifico per le facolta' umanistiche. Ovvero caratteristiche di un genere letterario accademico (in cinque movimenti), "Seminario Nonviolenza", Palermo 2001; Filosofia e comunicazione. Musicalita' della filosofia antica, in V. Ando', A. Cozzo (a cura di), Pensare all'antica. A chi servono i filosofi?, Carocci, Roma 2002, pp. 87-99; Sapere e potere presso i moderni e presso i Greci antichi. Una ricerca per lo studio come se servisse a qualcosa, Carocci, Roma 2002; Lottare contro la riforma del sistema scolastico-universitario. Contro che cosa, di preciso? E soprattutto per che cosa?, in V. Ando' (a cura di), Saperi bocciati. Riforma dell'istruzione, discipline e senso degli studi, Carocci, Roma 2002, pp. 37-50; Scienza, conoscenza e istruzione in Lanza del Vasto, in "Quaderni Satyagraha", n. 2, 2002, pp. 155-168; Dopo l'11 settembre, la nonviolenza, in "Segno" n. 232, febbraio 2002, pp. 21-28; Conflittualita' nonviolenta. Filosofia e pratiche di lotta comunicativa, Edizioni Mimesis, Milano 2004. 2. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: TRE ASSEMBLEE PER UNA DEMOCRAZIA PREVENTIVA [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] Ci sono dei fine-settimana molto interessanti che, per la molteplicita' delle iniziative messe in campo, si fatica non poco a seguire. Venerdi' 14 gennaio si e' riunita a Roma, la "Tavola della solidarieta'". Decisamente l'iniziativa che piu' e' passata sotto silenzio. Eppure, non per questo, meno interessante. La Tavola e' composta da un gruppo vastissimo di organizzazioni impegnate per la solidarieta', i diritti, la giustizia, la pace che vogliono creare uno spazio comune di dibattito, di confronto, di collegamento e di iniziativa politico-culturale su questi temi. "Nella nostra azione quotidiana siamo impegnati a fronteggiare la guerra, la crescita delle diseguaglianze, la riduzione dei diritti umani, il degrado ambientale del pianeta. Lavoriamo per la costruzione di un ordine di pace, per la realizzazione ed il rispetto dei beni comuni e dei diritti. La guerra in Iraq e le tante guerre dimenticate nel mondo; la crescita delle diseguaglianze e degli squilibri tra Nord e Sud del mondo; la scomparsa di fatto delle politiche di cooperazione internazionale; la riduzione del Welfare e dello spazio pubblico con la equiparazione dei beni comuni a merci segnalano la gravita' e i rischi dell'attuale situazione storica che stiamo vivendo. Servono l'impegno ed il lavoro di tutti per scongiurare questi pericoli e riaffermare la possibilita' di un mondo diverso fondato sui principi della solidarieta', della giustizia, della pace". E' questo della solidarieta' internazionale un primo capitolo fondamentale della politica, comunemente interpretata (dai partiti) come politica estera. La sfida della Tavola e' quella di costituirsi come soggetto capace di rimettere la solidarieta' internazionale al centro della politica e della societa', del rapporto tra cittadini ed istituzioni, tra popoli e culture, tra le persone. In questo senso, ci sembra particolarmente importante l'appello sul maremoto in Asia, promosso dalla rivista "Carta" (il testo completo con le adesioni e in www.carta.org) che raccoglie urgenze e attivita', quali la proposta di cancellazione del debito avanzata di recente da Alex Zanotelli tra gli altri. Non solo, ma pensiamo che una solidarieta' politica deve essere capace di denunciare chiaramente il gioco delle tre carte che il governo sta facendo sugli aiuti alle popolazioni colpite dallo tsunami: dei 70 milioni previsti dallo stanziamento statale, la meta' provengono dal fondo per la cooperazione internazionale. Come giustamente e' stato evidenziato, togliere fondi dalla cooperazione e' come "far pagare l'emergenza maremoto ai bambini del Ghana" (Sergio Marelli, presidente dell'Associazione delle Ong). * Gli altri capitoli (importanti per l'emergenza che attraversa l'Italia), rappresentati dalla politica della democrazia e delle istituzioni e la politica economica e sociale, sono stati al centro delle altre due assemblee di Roma. Quella del 15 gennaio promossa dal quotidiano "Il manifesto" dal titolo Verso sinistra: la cultura di una sinistra possibile a partire da quattro temi: guerra/pace, conflitto capitale/lavoro, diritti e beni comuni, crisi della democrazia. Un incontro "a sinistra" per ridare senso e pregnanza a questa definizione, non in astratto ma tirando il filo delle pratiche e delle lotte di questi anni di epoca berlusconiana. Quella del 16 gennaio dal titolo Fuori programma promossa da "Carta" insieme a molte riviste di sinistra, cattoliche, ambientaliste, del sindacato; articolata in quattro gruppi di lavoro: pace e solidarieta' globale, beni comuni, sviluppo e diritti dei lavori, legalita' e diritti di cittadinanza. * Probabilmente forziamo un po' le cose, ma a noi sembra di scorgere in tutte e tre le assemblee non solo dei temi comuni, ma una sorta di filo rosso sul "che fare", che cerca di ritessere reti di discussione, di riflessione comune, di solidarieta' politica orizzontale, oggi sacrificate al primato della decisione. Una prima risposta alla vera emergenza democratica che attraversa l'Italia, riattivando gli umori vitali della democrazia, quella della partecipazione dal basso. Pensiamo solo al ricchissimo e variegato tessuto connettivo di saperi, di esperienze associative, di lavoro dei e nei movimenti. Cercando cosi' di trasformare le singole debolezze di oggi in forza comune. Perche' come, giustamente, ha scritto Valentino Parlato: "L'ambizione che dovremmo avere tutti e' quello di essere un lievito". 3. POESIA E VERITA'. BIBI TOMASI: TU PIANGI [Da Bibi Tomasi, La patita dei gatti blu, Quaderni di Via Dogana - Libreria delle donne, Milano 2001, p. 86. Un profilo di Bibi Tomasi (1925-2000), giornalista, scrittrice, promotrice di cultura, figura di riferimento del femminismo, e' nel n. 462 di questo notiziario, ripreso dal sito della Libreria delle donne di Milano (www.libreriadelledonne.it)] Tu piangi come il gelsomino che piega la testa di sera, oppresso dall'infinito. 4. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE OTTAVA) [Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003] La deportazione degli ebrei italiani "In maggioranza, gli ebrei italiani e gli ebrei stranieri che hanno cercato rifugio in Italia sono sopravvissuti. Tuttavia la tempesta razziale e' esplosa in un paese dove la minoranza ebraica, profondamente radicata, era insediata nella vita civile e produttiva, negli ambienti militari, nella magistratura, nelle professioni, nell'insegnamento, nell'industria, e da due secoli non conosceva discriminazioni, appoggiava il governo e non aveva motivo di credere che un giorno sarebbe stata possibile la promulgazione delle leggi razziali. Ma tali leggi furono proposte da un capo del governo che non aveva precedenti di pregiudizi razziali, un re d'Italia le firmo', e divennero una realta' italiana. Vi furono arresti, retate, deportazioni, esecuzioni, migliaia di morti". Cosi' argomenta Furio Colombo nella prefazione, ampia e molto densa, da lui scritta per l'edizione italiana del saggio di Susan Zuccotti su L'Olocausto in Italia. La "soluzione finale" fa la sua comparsa in Italia pochi giorni dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, sotto forma di alcune iniziative definibili come "selvagge". Sulla sponda piemontese del Lago Maggiore stazionano, con il ruolo piu' o meno dichiarato di forze d'occupazione, alcune compagnie del II Reggimento SS della Panzerdivision Leibstandarte Adolf Hitler. Si tratta di un'unita' di fanteria corazzata spostata nell'Italia del nord dopo la caduta di Mussolini (25 luglio 1943), proveniente dal fronte russo e quindi abituata ad assistere, se non a partecipare, agli eccidi di massa perpetrati fra le popolazioni ebraiche dalle Einsatzgruppen. Il 15 settembre, uomini in servizio presso tale reggimento arrestano e, dopo una detenzione di alcuni giorni, massacrano 54 ebrei, 15 dei quali fuggiti in Italia da Salonicco per sottrarsi al terrore dell'occupazione tedesca. L'eccidio che i tedeschi compiono non si sa se a scopo di rapina o per puro sadismo, viene consumato con risvolti di particolare efferatezza in varie localita': Meina, Baveno, Arona, Stresa e alcune altre. Il 18 settembre reparti di questo stesso II Reggimento SS rastrellano e catturano nelle valli del cuneese circa 350 ebrei, per lo piu' d'origine polacca, fuggiti dal sud della Francia nell'illusione che, con l'armistizio, l'Italia possa diventare un'accogliente terra d'asilo. Il 16 settembre, 35 ebrei di Merano e Bolzano cadono in una retata a opera di elementi altoatesini aggregati a un corpo di polizia locale che collabora con le SS. Questi ebrei vengono inviati al campo di internamento di Reichenau, in Austria, ove rimarranno presumibilmente fino ai primi di marzo del 1944, per essere poi trasferiti ad Auschwitz. Subito dopo e' la volta degli ebrei di Roma, su cui si abbatte il 26 settembre l'imposizione di una taglia di 50 chilogrammi d'oro da consegnarsi entro 36 ore, pena la deportazione di 200 membri della Comunita' romana. Il 29 settembre, cioe' il giorno successivo alla consegna dell'oro affannosamente raccolto, i nazisti irrompono nei locali della Comunita' asportando l'archivio corrente, senza per altro trascurare di fare man bassa del denaro contenuto nella cassaforte. Il 13 ottobre e' la volta delle due piu' importanti biblioteche ebraiche che conservano testi antichi e preziosi: la biblioteca della Comunita' e quella del Collegio rabbinico italiano. Ma a tutto cio' fara' seguito, infine, la grande retata del 16 ottobre, nel corso della quale 1.022 persone verranno catturate con un'azione fulminea avente per epicentro l'antico ghetto, e deportate ad Auschwitz. Soltanto 17 riusciranno a sopravvivere, mentre 839 (le prime vittime italiane dello Zyklon-B) subiranno l'immediata eliminazione nelle camere a gas di Birkenau. * Nel frattempo, tra il 15 e il 22 settembre 1943, nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale occupate dai tedeschi viene varato il nuovo governo fascista della Repubblica sociale italiana (Rsi, conosciuta anche come Repubblica di Salo') con a capo Benito Mussolini. Lo Stato neonato e' un regime-fantoccio, del tutto asservito alla potenza occupante, e che nei confronti degli ebrei non tarda a seguire una linea molto piu' dura di quella tenuta dal fascismo italiano dopo l'adozione, nel 1938, delle leggi per la "difesa della razza". Con il manifesto programmatico approvato il 14 novembre 1943 dal Partito fascista repubblicano nel corso del suo Congresso a Verona (la cosiddetta "Carta di Verona"), il regime di Salo' emana contro gli ebrei, sia "puri" che "misti", sia italiani che stranieri residenti in Italia, una serie di provvedimenti che gli stessi nazisti non avevano osato imporre a taluni dei paesi occupati, quali la Danimarca, e neppure agli altri alleati: non alla piccola Bulgaria che, come s'e' visto, si era rifiutata di applicarli; non all'Ungheria che li emanera' soltanto quando Hitler invadera' militarmente il territorio magiaro (19 marzo 1944). Gia' le leggi razziali italiane del 1938 non appaiono sostanzialmente piu' miti di quelle nazionalsocialiste; anzi, contengono alcune specifiche disposizioni dal carattere piu' marcatamente persecutorio - quali per esempio alcune norme sulla proprieta' o l'esclusione totale degli studenti dalle scuole pubbliche - rispetto alla legislazione antiebraica vigente in Germania prima della "Notte dei cristalli" (9-10 novembre 1938). Ma i nuovi provvedimenti resi operativi a Verona (al punto settimo, la "Carta" recita: "Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalita' nemica") prevedono che gli ebrei, in quanto "nemici", vengano arrestati e chiusi in campi di concentramento, e che i loro beni siano confiscati, vale a dire rubati: un complesso normativo che non trova precedenti in alcun rapporto internazionale. A questo proposito, Guido Fubini fa notare che al varo del famigerato punto settimo segue prima il bando del duce del 13 dicembre 1943, che ordina a tutti gli ebrei di presentarsi per essere internati nei campi di concentramento e poi, a poco piu' di un mese di distanza, il decreto del duce del 4 gennaio 1944, n. 2, che dispone la confisca di tutti i beni, mobili e immobili, appartenenti ad ebrei, e "la devoluzione del prezzo di vendita allo Stato a parziale ricupero delle spese assunte per assistenza, sussidi e risarcimenti di danni di guerra ai sinistrati delle incursioni aeree nemiche". "Con tali provvedimenti", chiarisce Fubini, "gli ebrei venivano sottoposti a una condizione peggiore di quella dei cittadini di paesi dichiaratamente in guerra con l'Italia, protetti dalle norme del diritto internazionale, e per i quali la legge italiana prevedeva di regola non la confisca ma il solo sequestro dei beni: agli ebrei [italiani] veniva infatti negato non solo il diritto di avere ma anche il diritto di essere. I provvedimenti della Repubblica sociale italiana toglievano loro anche la tutela giuridica del diritto alla vita. Non si ravvisano precedenti ne' nel diritto romano pre- e post-giustinianeo, ne' nel diritto comune". Un'ordinanza di polizia del ministro degli interni di Salo', in vigore sin dal 30 novembre 1943, prescrive che tutti gli ebrei residenti nel territorio della Rsi, qualunque sia la loro nazionalita', siano "inviati in appositi campi di concentramento". Tale ordinanza diventa subito operativa con un rastrellamento che porta all'arresto di 150 ebrei a Venezia (5-6 dicembre), cui seguono numerose altre retate portate a termine interamente da militi italiani in tutta l'Italia centro-settentrionale, dal confine italo-svizzero sino alle province di Firenze, Livorno e Perugia. * Di qui trae origine la decisione, da parte della Rsi, di allestire appositamente per gli ebrei catturati un grande campo di concentramento. La scelta cade su un'area agricola nel territorio di Fossoli, a pochi chilometri da Carpi, dove incominciano ben presto ad affluire i primi gruppi di ebrei arrestati nel corso delle retate. Ma gia' prima del 15 marzo 1944, data in cui la gestione del campo passa ufficialmente nelle mani delle SS, Fossoli funziona quale principale centro di transito per ebrei e oppositori politici italiani diretti ai campi di sterminio dell'Europa orientale, primo fra tutti Auschwitz. Le testimonianze presentate nel processo (Berlino, aprile 1971) contro il colonnello delle SS Friedrich Bosshammer, capo della sezione IV-B-4 dell'Rsha per l'Italia (l'ufficio di Eichmann) riferiscono in quali condizioni si svolgono questi trasferimenti. Il convoglio partito da Fossoli, cioe' dalla stazione ferroviaria di Carpi la mattina del 22 febbraio 1944, trasporta circa 500 ebrei d'ambo i sessi, fra cui molti malati gravissimi e, come testimonia Primo Levi, anche una donna di 88 anni, la veneziana Anna Jona, moribonda. Si tratta di ebrei italiani e stranieri catturati in varie localita' da agenti italiani della Pubblica Sicurezza, in ossequio alla citata ordinanza di polizia del 30 novembre 1943. Il treno si compone di dodici vagoni-merce e una carrozza viaggiatori, occupata dalle SS che scortano i prigionieri. Trentuno dei deportati sono bambini al di sotto dei 12 anni; il piu' giovane, Leo Mariani proveniente da Venezia, ha appena compiuto tre mesi; uno fra i piu' vecchi, un uomo di 75 anni, muore prima di giungere ad Auschwitz, e la stessa sorte tocca ad altri due ultrasettantenni. Una volta al giorno il convoglio si ferma in aperta campagna e la scorta distribuisce pane, marmellata e acqua. Il treno arriva a destinazione dopo quattro giorni, la sera del 26 febbraio, alle 21. La selezione ha luogo l'indomani e, in base ai documenti conservati nell'archivio del Museo di Auschwitz, 95 uomini e 29 donne entrano nel Lager come "idonei al lavoro"; gli altri, fra cui tutti gli anziani e le madri con i loro bimbi, vengono gassati. Dei 124 ebrei che passano la selezione si salveranno 15 uomini e 8 donne. * Durante l'occupazione tedesca, gli ebrei che risultano presenti nel nostro paese sono poco piu' di trentatremila; altri 1.900 vivono a Rodi e nelle isole dell'Egeo, gia' possedimenti italiani (Dodecanneso). Dal settembre 1943 all'aprile 1945, nel corso di uno dei piu' oscuri e sconvolgenti periodi della storia dell'Italia contemporanea, gli ebrei di cui e' accertata la deportazione dal territorio "metropolitano" sono 6.806, mentre i deportati dal Dodecanneso ammontano a 1.820 (pari rispettivamente al 27 e al 96 per cento degli ebrei presenti). Su un totale di 8.626 deportati, 7.557 periranno nelle camere a gas o nei campi di lavoro coatto. Altri 322 verranno massacrati in occasione di eccidi documentati (come alle Fosse Ardeatine, 24 marzo 1944, dove 75 ebrei cadranno assieme a 260 non ebrei). Queste macabre statistiche non riescono a coprire i casi di un altro migliaio di ebrei, residenti o in transito allora in Italia, il cui martirio sembra destinato a restare anonimo. Nei mesi in cui questa tragedia va consumandosi, gli ebrei italiani trovano aiuti, soccorsi e complicita' generose, talvolta eroiche, presso la gente del popolo, i soldati, i sacerdoti, i conventi, i funzionari civili, singoli individui che a proprio rischio salvano migliaia di vite e che, talvolta, pagano la loro opposizione alla barbarie spingendosi fino a condividere la stessa sorte toccata agli ebrei. Mirabili ed esemplari restano le iniziative di assistenza ai profughi ebrei assunte a Genova dal cardinale Pietro Boetto e a Firenze dal cardinale Elia Della Costa dopo la chiusura, nelle due citta', degli uffici delle rispettive Comunita' israelitiche. Al livello, invece, del governo e delle autorita' periferiche della Rsi, le responsabilita' nel processo di sterminio degli ebrei in Italia sono dirette e pesantissime. Dalla polizia fascista che conduce i rastrellamenti di ebrei d'intesa con le SS, ai militi della Guardia nazionale repubblicana che scortano i convogli dei deportati dall'Italia fino ai cancelli di Auschwitz; dalla cieca e sorda burocrazia statale che rapina i beni ebraici per finanziare il sottogoverno di Salo', agli organi di stampa che plaudono ai successi delle retate e delle deportazioni: la Rsi accetta il proprio ruolo di esecutrice zelante delle direttive naziste senza obiezioni e senza frapporre ostacoli. Mentre lo stesso Mussolini non esita a sottoscrivere di suo pugno l'autorizzazione alle deportazioni, va detto che la persecuzione omicida e' realizzata, anche nel nostro paese, da migliaia di fanatici e tollerata da una maggioranza terrorizzata, preoccupata o indifferente. E nelle ore piu' cupe del genocidio, lo stesso Vaticano, purtroppo, non riesce a esprimere una chiara condanna morale, preferendo osservare un diplomatico silenzio. 5. RIFLESSIONE. ALBERTO BOSI: USCIRE DAL CIRCOLO VIZIOSO DELLA VIOLENZA [Questo intervento e' stato pubblicato nel notiziario elettronico "Il granello di senape", n. 113, dicembre 2004, pp. 7-9 (per contatti e richieste: mambre at lillinet.org) e, in forma piu' breve, col titolo Occorre uscire dal circolo vizioso della violenza: un'opera di Jean-Marie Muller, in "La Guida", settimanale di Cuneo, 24 dicembre 2004. Alberto Bosi, docente di filosofia, e' impegnato a Cuneo in molteplici iniziative di pace e di solidarieta'; collabora con vari centri e pubblicazioni per la pace e la nonviolenza, ha tra l'altro curato un'apprezzata edizione di Immanuel Kant, Per la pace perpetua, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1995. Jean-Marie Muller, filosofo francese, nato nel 1939 a Vesoul, docente, ricercatore, e' tra i più importanti studiosi del pacifismo e delle alternative nonviolente, oltre che attivo militante nonviolento. E' direttore degli studi presso l'Institut de Recherche sur la Resolution non-violente des Conflits (Irnc). In gioventu' ufficiale della riserva, fece obiezione di coscienza dopo avere studiato Gandhi. Ha condotto azioni nonviolente contro il commercio delle armi e gli esperimenti nucleari francesi. Nel 1971 fondo' il Man (Mouvement pour une Alternative Non-violente). Nel 1987 convinse i principali leader dell'opposizione democratica polacca che un potere totalitario, perfettamente armato per schiacciare ogni rivolta violenta, si trova largamente spiazzato nel far fronte alla resistenza nonviolenta di tutto un popolo che si sia liberato dalla paura. Tra le opere di Jean-Marie Muller: Strategia della nonviolenza, Marsilio, Venezia 1975; Il vangelo della nonviolenza, Lanterna, Genova 1977; Significato della nonviolenza, Movimento Nonviolento, Torino 1980; Momenti e metodi dell'azione nonviolenta, Movimento Nonviolento, Perugia 1981; Lessico della nonviolenza, Satyagraha, Torino 1992; Simone Weil. L'esigenza della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1994; Vincere la guerra, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999; Il principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004. Per acquistare il libro di Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Edizioni Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (edizione originale: Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), pp. 336, euro 15, rivolgersi alla casa editrice: tel. 0502212056, fax: 0502212945, e-mail: info-plus at edizioniplus.it, sito: www.edizioniplus.it] Nell'assieme, in questa rubrica, nella quale riverso in piena liberta' le mie elucubrazioni di "cittadino" di un mondo nel quale ha qualche difficolta' a riconoscersi in quanto lo vede piu' che mai dominato (s'intende non esclusivamente, ma pure...) dalla violenza e forse ancor piu' dalla stupidita', questa volta vorrei dare la parola a qualcuno che della pace ne sa certamente piu' di me, Jean-Marie Muller, un francese che ricordo una dozzina d'anni or sono tra i partecipanti ad un convegno della Scuola di pace di Boves, e che nel 1995 ha pubblicato nel suo paese un' opera che penso rimarra' nella storia del pensiero nonviolento: Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, recentemente pubblicato da Plus Edizioni, Pisa 2004, nell'accurata e direi amorevole traduzione di Enrico Peyretti, egli stesso attivista e teorico della nonviolenza. Come appendice alla traduzione Peyretti ha aggiunto una preziosa Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, un argomento del quale si occupa da anni per controbattere il pregiudizio tanto diffuso sulla scarsa efficacia pratica della nonviolenza. Peyretti ha scelto di scrivere nonviolenza (traduzione letterale ma discussa del sanscrito ahimsa) come un'unica parola, proprio per sottolineare che qui non si tratta semplicemente d'una negazione della violenza, ma d'un principio autonomo, positivo e costruttivo, proprio come la pace non e' semplicemente l'assenza della guerra, ma la sua attiva e positiva antitesi. Penso che l'opera di Muller sia destinata a diventare un classico del pensiero sulla pace, proponendosi come ideale complemento di un altro classico gia' da tempo tradotto in italiano: Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo Abele, Torino 1985 e sgg., il quale si concentra appunto sull'aspetto propriamente politico e "tecnico" della nonviolenza (considerando anche che siamo sotto Natale, non resisto alla tentazione di ricordare il "classico dei classici" della nonviolenza, cioe' una delle migliori antologie gandhiane: Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1973, 1996). Dare un'idea della ricchezza di questo libro, denso di pensiero ma molto accessibile quanto al linguaggio, non e' possibile in queste poche pagine: bisogna che chi e' interessato alla pace lo legga. Per comunicarne tuttavia almeno un sentore, in un primo tempo avevo pensato ad una recensione, ma mi e' parso piu' utile offrire qui una specie di antologia minima, con alcune brevi note introduttive . * Il circolo incantato del pensiero violento Come nota Roberto Mancini, autore di una densa prefazione all'opera di Muller, lo sforzo essenziale dell'autore e' propriamente filosofico: consiste precisamente nel mettere in questione, attraverso una critica radicale anche se esposta in un linguaggio accessibile, i percorsi obbligati, i veri e propri recinti mentali nei quali il pensiero, particolarmente nella civilta' occidentale, si muove da millenni, e che partendo dall'esigenza piu' che comprensibile della sicurezza, finiscono per rendere la violenza e la sua forma piu' spettacolare, la guerra, non solo inevitabile, ma legittima ed onorevole, mentre lo sforzo di chi ricerca la pace viene spesso accusato di debolezza e di vilta'. Nella efficace sintesi di Mancini, ecco i "paletti" che delimitano la questione agli occhi del pensiero comune (e di buona parte di quello filosofico), configurando una specie di circolo incantato entro il quale il pensiero umano si muove: "1) e' ovvio che la nonviolenza sia desiderabile in teoria; 2) e' ovvio che pero' non sia praticabile; 3) e' ovvio che in teoria la violenza sia da condannare; 4) e' ovvio che pero' la violenza sia da praticare nella realta'" (p. 14). Questo non significa che la nonviolenza stia o cada su un piano puramente intellettuale, al contrario come nota l'autore in essa e' essenziale la dimensione emotiva e corporea: ma senza una chiarificazione filosofica anche gli spiriti piu' disposti alla nonviolenza saranno sempre in imbarazzo davanti alle ragioni apparentemente inconfutabili della violenza. * Violenza: estremista od ortodossa? Mettere in questione questi millenari "paletti" e' impresa non da poco: in primo luogo occorre richiamare l'attenzione sul carattere insidioso, pervasivo e apparentemente "rispettabile" di quello che potremmo ben chiamare il "principio violenza", che ha radici salde e profonde nelle ortodossie sia politiche che religiose. "Noi abbiamo preso l'abitudine di mettere le violenze che condanniamo sul conto degli estremismi. Ma questi estremismi che noi rifiutiamo non sono possibili che grazie alle ortodossie che noi accettiamo. Per definizione, l'estremista e' il partigiano di una dottrina spinta fino alle sue conseguenze estreme, e cio' significa che esiste un legame tra questa dottrina e le ragioni degli estremisti. L'ortodossia della dottrina alla quale questi si riferiscono non e' innocente dei misfatti e dei crimini ai quali essi si abbandonano. Gli estremismi di cui vediamo dappertutto gli effetti distruttivi non possono esistere che per il fatto che essi prendono dalle ortodossie gli argomenti per la loro propaganda. (...) Giustificando l'"uso ragionevole della violenza", le ortodossie giustificano gia' l'abuso degli estremismi. Per combattere la violenza degli estremismi bisogna arrivare a braccarla e stanarla nei punti precisi dove essa si ripara nel seno delle ortodossie. L'ideologia nazionalista che insegna il disprezzo dello straniero si appoggia sul culto della patria che esalta l'identita' nazionale dei popoli. Lo stato totalitario pretende di fondare la sua legittimita' sulla dottrina della democrazia che attribuisce allo stato il monopolio della violenza legittima. La guerra totale fonda la sua giustificazione sulla dottrina della guerra giusta che legittima e onora la violenza e l'omicidio dal momento che essi sono al servizio di una causa giusta. L'integrismo religioso si radica nell'ortodossia delle religioni che professano una dottrina della violenza legittima" (pp. 25-26). * "Chi vuole il fine, vuole i mezzi" "'Il fine giustifica i mezzi' dice il proverbio, e questo vuol dire che giustifica tutti i mezzi. Certo, i mezzi sono giusti solo se, anzitutto, e' giusto il fine. Ma non basta che il fine sia giusto perche' i mezzi siano ugualmente giusti. Importa anche che i mezzi siano accordati al fine, coerenti con esso. Il mezzo della violenza, pur se impiegato per un fine giusto, contiene in se stesso una parte irriducibile di ingiustizia che si ritrova nel fine. Se la scelta dei mezzi e' seconda rispetto al fine ricercato, non e' tuttavia secondaria; al contrario, e' primaria per raggiungere effettivamente il fine perseguito. Non si raccoglie, in definitiva, che cio' che si e' seminato, e chi semina violenza raccoglie morte. Non soltanto i mezzi della violenza pervertono il fine, ma si sostituiscono ad esso. L'uomo che sceglie la violenza abbandona il fine che aveva prima invocato per andare a dare battaglia, e non se ne preoccupa piu', perche' il mezzo lo occupa interamente. (...) Cosi', il mezzo non e' piu' al servizio del fine, ma e' il fine che e' messo al servizio del mezzo. (...) La violenza diventa allora eticamente neutra e soltanto la probabilita' della sua riuscita e del suo scacco permette di apprezzarne l'utilita'. La decisione che comanda l'azione non e' piu' una scelta ma soltanto un calcolo. 'Chi vuole il fine, vuole i mezzi', dice un altro proverbio il quale, purche' ben interpretato, esprime meglio del precedente la vera saggezza delle nazioni. Chi vuole la giustizia, vuole in effetti i mezzi giusti. Chi vuole la pace vuole effettivamente i mezzi pacifici. E' l'azione che e' importante, e non l'intenzione dell'attore. Ora, precisamente, il fine e' nell'ordine delle intenzioni, i mezzi sono nell'ordine dell'azione. Nulla e' piu' perverso di una morale dell'intenzione che giudica l'azione soltanto dalla qualita' della propria intenzione" (p.107). Circa un secolo fa il sociologo e filosofo Max Weber pose un celebre dilemma tra etica dell'intenzione (che, ligia solo ai principi, sarebbe indifferente alle conseguenze) ed etica della responsabilita' (che invece partirebbe proprio dalle possibili conseguenze dell'azione). In realta' Weber voleva dire, come aveva gia' ampiamente sostenuto Machiavelli, che se in politica si pone il problema dell'efficacia nel perseguire un certo fine (in primo luogo, la conservazione dello stato) non si puo' essere schizzinosi quanto alla scelta dei mezzi, e chi vuole attenersi a principi morali rischia di fare guai peggiori di un politico poco scrupoloso ma deciso e coerente. In questo testo Muller rovescia audacemente l'accusa: in effetti, non esiste tra fine e mezzi solo il problema dell'efficacia ma anche quello della coerenza; come ben vediamo ai nostri giorni, esportare la democrazia con mezzi dispotici ha altrettanto senso che predicare il Vangelo con la spada o dare lezioni di dolcezza a suon di schiaffi (naturalmente cio' che conta e' sempre la direzione generale dell'azione, non le singole realizzazioni che possono essere piu' o meno imperfette). La violenza puo' certo apparire piu' efficace in tempi brevi: tale efficacia viene pero' il piu' delle volte vanificata dalla mancanza di coerenza, specie in tempi lunghi. Secondo Muller, sarebbe appunto l'uomo etico colui che ha il coraggio di assumersi la responsabilita' del rapporto tra fine e mezzi, anzitutto nel senso della coerenza tra i due (naturalmente, presupponendo che il fine sia buono, perche' altrimenti il piu' coerente di tutti sarebbe il criminale che persegue fini malvagi con mezzi malvagi). * Dalla cultura della violenza a quella della nonviolenza La pace non e' semplice assenza di guerra, ma la sua positiva alternativa, il suo continuo superamento, che va continuamente ed attivamente costruito. Nulla di piu' lontano dal pensiero di Gandhi del pensare la nonviolenza come passivita' o indifferenza. Al contrario, egli ribadi' innumerevoli volte, contrariamente all'immagine convenzionale diffusa su di lui, che chi si ribella anche violentemente all'ingiustizia e' piu' vicino alla nonviolenza di chi per vilta' si defila. Per uscire pero' dal circolo vizioso per il quale un fine preteso buono giustifica dei mezzi cattivi (proprio come oggi, quando la guerra viene legittimata con il fine della pace e della liberazione dall'oppressione) bisogna anzitutto battere l'ideologia della violenza. Un'ideologia che ha la natura della "profezia che si adempie da sola", crea cioe' situazioni nelle quali la violenza "buona" sembra diventare assolutamente necessaria (pensiamo alla Somalia, al Kossovo, all'Iraq e ad altre emergenze internazionali di questi ultimi anni). "Giustificare la violenza sotto la copertura della necessita', e' rendere la violenza effettivamente necessaria" (p. 289). Tra la violenza "irragionevole" e quella "buona" dell'"uomo ragionevole" che la invoca come unico mezzo per far cessare l'ingiustizia, si determina una specie di circolo vizioso che minaccia di perpetuare all'infinito la violenza stessa: questa ha infatti un dinamismo, quasi una personalita' propria, per cui non si lascia mettere da parte come uno strumento che si ripone una volta usato. "La violenza sfugge a chi la mette in atto. Non rimane nelle mani di chi vuole afferrarla per usarla. Letteralmente, gli scappa di mano e non obbedisce che alle proprie leggi (...). Per questo, chi ha optato per la violenza non puo' restare padrone delle conseguenze dei suoi atti (...). Certo, la tesi per cui la violenza dell'uomo ragionevole e' necessaria per lottare contro la violenza dell'uomo irragionevole sembra appoggiarsi su argomenti forti. Ma, al contrario di cio' che e' generalmente ammesso, ci sembra che sia piu' forte in teoria che in pratica. La storia di ieri e di oggi ci mostra che l'applicazione di questa tesi ha generalmente provocato lo scatenarsi di violenze che non erano per niente necessarie (...). In realta', la storia non funziona come quella tesi pretende. Invece di spegnere la violenza dell'uomo irragionevole come l'acqua spegne il fuoco, la violenza dell'uomo ragionevole non arriva forse, il piu' delle volte, ad alimentarla come il legno alimenta la fiamma? (...) La storia prova che il piu' delle volte (...) il mezzo cancella il fine" (pp. 290-291). E poco oltre, Muller spiega cosa significhi che la violenza prende la mano a chi la usa. "L'uomo politico pretende di decidere ragionevolmente di ricorrere alla violenza per difender l'ordine o ristabilire la pace, e giustifica la sua decisione invocando i piu' alti valori morali dell'umanita'. Ma, anzitutto, per mettere in atto la violenza bisogna chiamare gli uomini ad essere violenti. L'appello alla violenza puo' pretendere di fondarsi sulla ragione ma, per essere inteso, fa appello piu' alla passione che alla ragione (...). Cio' che importa, nell'esecuzione della violenza, non e' piu' la morale degli uomini, ma soltanto il loro morale. Poiche' non sono ragionevoli, bisogna che gli uomini violenti siano convinti di avere ragione per ottenere, costi quel che costa, che gli altri si arrendano alla loro ragione. E per meglio sostenere il morale di quelli che mettono in atto la violenza ci si da' daffare a convincerli che svolgono il compito piu' giusto e piu' nobile che ci sia. L'ideologia ha la funzione di rendere innocente la violenza cancellando in essa ogni contraddizione tra i suoi mezzi e il fine che la giustifica" (p. 292). Negli ultimi capitoli Muller porta avanti il proprio discorso in un dialogo ideale con alcuni pensatori come Eric Weil e Emmanuel Levinas, che si sono molto impegnati nella riflessione sulla violenza, giungendo a conclusioni assai vicine a quelle di Gandhi. Il tratto decisivo di Gandhi che manca in questi pensatori e' pero' a parere di Muller la stretta integrazione tra teoria e pratica della nonviolenza, che gli ha permesso di concepire, e spesso di realizzare, il concetto di "costrizione nonviolenta". In altre parole, se l'azione di Gandhi era rivolta in ultima analisi alla "conversione" dell'avversario, cioe' al riconoscimento delle ragioni dell'altro rinunciando alla propria ingiustizia, essa non si e' limitata ad attendere che tale conversione si realizzasse, ma ha mobilitato una serie di forze reali (il numero, l'entusiasmo, l'impatto emotivo della comunicazione di massa) che in parecchi casi si sono dimostrate capaci di spostare i rapporti di forza a favore dell'azione nonviolenta (a parte l'esempio dell'indipendenza indiana, rimando, per il dopoguerra, all'esempio macroscopico del crollo della maggior parte dei regimi dell'Est). I pensatori sopra citati, ma anche lo stesso Gandhi, non escludono che in certi casi estremi, sia a livello politico che a livello privato (ad esempio, nel caso sempre citato del pazzo che si mette a sparare alla gente per strada) la violenza rimanga l'unica azione possibile. Il vero punto della questione da un punto di vista nonviolento e' pero' che la violenza, anche quando e' inevitabile, non e' mai propriamente giustificata dal punto di vista morale (resta sempre un limite, una sconfitta, un qualcosa di cui dispiacersi e scusarsi, quasi a dire: non siamo riusciti a fare nulla di meglio) e che soprattutto non deve mai essere esaltata e glorificata come spesso avviene col pretesto che e' stata compiuta "per la buona causa". 6. STRUMENTI. PAOLO PREDIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Paolo Predieri (per contatti: musica at nonviolenti.org) per questo intervento. Paolo Predieri e' musicista, musicologo, amico della nonviolenza tra i piu' noti. "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e' di 29 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta"] Sono abbonato ininterrottamente ad "Azione nonviolenta" dal 1976. La rivista ormai accompagna la mia vita nelle varie stagioni portando sempre qualcosa di utile e interessante. In particolare credo che valga la pena abbonarsi perche' contiene una meravigliosa rubrica sulla musica, imitata ma non eguagliata da tante altre riviste... 7. LETTURE. EMILIA FERREIRO: COM TODAS AS LETRAS Emilia Ferreiro, Com todas as letras, Cortez Editora, Sao Paulo 2003 (undicesima edizione), pp. 104. Tre acuti interventi di Emilia Ferreiro scritti tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta su L'alfabetizzazione dei bambini nell'ultima decade del secolo; Alfabetizzazione dei bambini e insuccesso scolastico: problemi teorici ed esigenze sociali; La costruzione della scrittura nel bambino. 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 813 del 18 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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