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La nonviolenza e' in cammino. 809
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 809
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Fri, 14 Jan 2005 01:01:31 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 809 del 14 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte quarta) 2. Una conversazione con Agnese Ginocchio 3. Francesca Lazzarato ricorda Pinin Carpi 4. Gianni Vattimo ricorda Eugenio Garin 5. Letture: Pat Carra, Orizzonti di boria 6. Letture: Vilma Costetti (a cura di), Comunicazione & potere 7. Letture: Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio 8. Letture: Annamaria Vitale (a cura di), Per una storia orizzontale della globalizzazione 9. La "Carta" del Movimento Nonviolento 10. Per saperne di piu' 1. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE QUARTA) [Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione degli adulti nell'ambito del Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003] L'escalation della persecuzione "Pensate: non piu' di venti anni fa, e nel cuore di questa civile Europa, e' stato sognato un sogno demenziale, quello di edificare un impero millenario su milioni di cadaveri e di schiavi. Il verbo e' stato bandito per le piazze: pochissimi hanno rifiutato, e sono stati stroncati; tutti gli altri hanno acconsentito, parte con ribrezzo, parte con indifferenza, parte con entusiasmo. Non e' stato solo un sogno: l'impero, un effimero impero, e' stato edificato; i cadaveri e gli schiavi ci sono stati". Cosi' annota Primo Levi (1919-1987) in una testimonianza del febbraio 1961. La conquista del potere, in Germania, da parte di un regime dichiaratamente antisemita non presenta, come s'e' visto, i caratteri dell'inevitabilita'. Ma dopo avere consolidato la sua dittatura personale e di partito - e per fare cio' Hitler impiega esattamente diciotto mesi, durante i quali si sbarazza di tutti gli avversari, fuori e dentro il partito - il tiranno incomincia a dare forma al suo attacco sistematico contro gli ebrei. Dichiarata la Nsdap partito unico, sciolte tutte le altre organizzazioni politiche e sindacali, abolita la liberta' di parola e di stampa, cancellato l'"habeas corpus" dal diritto penale, Hitler inizia a gettare la sua rete sulla popolazione, per controllarla e inculcarle il nuovo vangelo della nazione e della razza superiore. Nel diffondere un clima d'esaltazione patriottico-nazionalista e razzistica, il dittatore puo' avvalersi anche dell'adesione di ampi settori del clero e del milieu cattolico. Nel luglio1933, infatti, la Santa Sede e il Reich concludono il Concordato, che rappresenta il primo importante riconoscimento conseguito da Hitler sul terreno internazionale. Ma gia' qualche mese prima, in una dichiarazione del 2 aprile 1933, il movimento operaio cattolico offre la sua partecipazione alla creazione di "un ordinamento popolare conforme alla natura cristiana e tedesca" con forti accenti di condanna delle "forze distruttrici del materialismo, del liberalismo, del marxismo e del bolscevismo". La morte di Hindenburg, nell'agosto 1934, offrira' a Hitler la possibilita' di fregiarsi anche del titolo e dei poteri di presidente del Reich, consentendogli di mettersi legalmente alla testa delle forze armate. Come ogni regime assoluto, il potere nazista ha bisogno di un anti-potere, di un anti-Stato su cui scaricare le colpe di tutti i guai, presenti e passati, veri e presunti, di cui i tedeschi soffrono. Hitler e' convinto che tutte le rivoluzioni, come la sua, abbiano bisogno di un punto focale di ostilita' per dare espressione "ai sentimenti di odio delle masse". Gli ebrei sono l'anti-Stato ideale. La scelta del dittatore cade su di loro non solo per convincimento personale, ma anche per un calcolo politico razionale. Verso gli ebrei, indifesi e sentiti come "altri" da molti, e' infatti possibile indirizzare l'aggressivita' del regime (e delle masse che esso controlla) incanalandola, contemporaneamente o alternativamente, su due piste distinte: quella della violenza spontanea, altamente emotiva e "non programmata" del pogrom, e quella fredda, legale e disciplinata dallo Stato, governata dalla legge e dal potere poliziesco. Da un lato ci sono i bravacci del partito, e in particolare le camicie brune (SA), forti di piu' di mezzo milione di adepti ancor prima della fine del 1932, che seminano il terrore nelle strade lanciandosi sui passanti ebrei, picchiandoli selvaggiamente, rapinandoli spesso del loro denaro, e talvolta assassinandoli (45 ebrei vengono uccisi in questo modo nel corso del 1933 e centinaia di altri sono feriti in maniera piu' o meno grave). Dall'altro ci sono le SS, per amministrare la complicata struttura della violenza di Stato e gettare addosso agli ebrei, agli oppositori politici e a ogni altra sorta di "indesiderabili" (zingari, omosessuali, malati di mente e altri infermi) il peso dell'oppressione poliziesca, chiudendo fin d'allora molti sventurati nei recinti dei campi di concentramento. * Due mesi dopo l'ascesa di Hitler al cancellierato, gia' esiste Dachau (nell'alta Baviera), il Lager primogenito, a cui molti altri faranno seguito. Oltre a recuperare e a rilanciare i temi antigiudaici tradizionali di matrice cristiana, cioe' l'"insegnamento del disprezzo" e le superstizioni demonologiche ereditate dal medioevo, la propaganda nazista contro gli ebrei fa proprie ed enfatizza le fantasiose teorie pseudobiologiche della "superiore razza ariana". Ma cio' che contaddistingue i nazisti da altri gruppi politici che in Germania si colorano di antisemitismo, e che pure attribuiscono all'impegno antiebraico una certa importanza, e' il fatto che soltanto i nazisti considerano l'antisemitismo una Weltanschauung, una concezione esauriente del mondo, facendone il centro e lo scopo del loro programma. Hitler vi edifica sopra un'intera "filosofia della storia", un'interpretazione dell'esistenza umana dalle origini in poi, che rivela una certa truce originalita'. Secondo lui, la storia umana fa parte della natura e segue le stesse leggi del resto della natura. Lotta, sottomissione, distruzione sono realta' naturali immutabili. Ma mentre la natura, che non e immorale, richiede disuguaglianza, gerarchia, subordinazione dell'inferiore al superiore, la storia umana ha partorito una serie perniciosa di rivolte contro questo ordine naturale, ispirate a un egualitarismo politico che Hitler assimila a una malattia, alla disastrosa intossicazione provocata da un bacillo. La forza che sta dietro questa degenerazione letale e' lo spirito ebraico, "che e' stato presente fin dall'inizio". Gia' nell'antico Egitto i figli di Israele inquinarono una societa' sana e "naturale"; lo fecero introducendo il capitalismo (Giuseppe fu il primo capitalista) e soprattutto spingendo le plebi alla sedizione, fino al momento in cui gruppi di egiziani animati da spirito nazionalista insorsero, e gonfi d'ira cacciarono dal Paese quei fomentatori di disordini. Se questo e' - nel morboso immaginario del dittatore tedesco - il significato autentico dell'Esodo biblico, non e' errato vedere in Mose' il primo bolscevico e il vero precursore di Lenin, che secondo Hitler sarebbe stato un ebreo (mentre non lo era per nulla). In epoca moderna gli ebrei, spasmodicamente protesi al dominio mondiale, hanno ripetuto la stessa manovra piu' e piu' volte, precisa Hitler, e i risultati sono stati la rivoluzione francese, il liberalismo, la democrazia e, alla fine, il bolscevismo. Insomma, e' giusto individuare nel giudeo il nemico universale, il colpevole assoluto: se non ci fosse l'ebreo, afferma Hitler, "dovremmo inventarlo. Occorre un avversario visibile, non basta un nemico invisibile". Nella sua ossessiva descrizione di una presunta strategia ebraica volta alla conquista del mondo, uno dei suoi modelli e' certamente costituito dai famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion: una storica contraffazione, un falso notorio ma molto duro a morire, che piu' d'ogni altro, nel XX secolo, ha fatto male agli ebrei a partire dalla sua redazione avvenuta intorno al 1897 a Parigi per mano di uno sconosciuto agente dell'Ochrana, la polizia segreta zarista. In nome di tutte queste allucinate fandonie, camuffate da verita' scientifiche, nella Germania che ormai si e' consegnata nelle loro mani i nazisti adottano contro gli ebrei gli stessi metodi collaudati nella Spagna del XIV e XV secolo: singoli atti di violenza vengono promossi e incoraggiati onde poi servirsene quali pretesti per introdurre misure legali antiebraiche. * Sotto la spinta della demagogia oratoria e dei media controllati da Joseph Goebbels - il ministro della Propaganda che si fa carico di aizzare le masse -, gli attacchi contro gli ebrei da parte delle camicie brune e dei membri del partito, i boicottaggi e le azioni terroristiche contro le imprese ebraiche si sviluppano e raggiungono il loro acme nell'estate del 1935. Hitler fa sapere che disapprova queste "azioni individuali", ma le lascia impunite. E in tale contesto fa emanare il 15 settembre 1935, in occasione di un congresso nazionale della Nsdap, la "Legge per la tutela del sangue e dell'onore tedesco" e le "Leggi di Norimberga": un insieme di norme che sanciscono per la prima volta il concetto di "arianita'" e definiscono con minuzia maniacale chi si debba considerare "ebreo completo" (Volljude), chi "ebreo-per-meta'", chi "ebreo-per-un-quarto". Esse privano gli ebrei dei diritti essenziali, li escludono da ogni settore della funzione pubblica e danno cosi' inizio al processo della loro netta separazione dal resto della popolazione, mettendo efficacemente in pratica il programma nazista originario (del 1920). Vengono anche messi al bando i matrimoni e le relazioni sessuali tra ebrei e tedeschi. Si stabilisce cosi' un'equazione rigida e meccanica: tedesco uguale "ariano". Non hanno rilevanza il passato, la lingua, la cultura, la nascita, la guerra fatta in uniforme tedesca. Tutto cio' che non e' ariano e' contro la nuova legge tedesca, che peraltro ha un unico interprete, il Fuehrer. In un discorso importantissimo nel quale giustifica l'introduzione delle nuove normative, Hitler ammonisce che se quelle disposizioni volte a favorire "una soluzione laica separata" non dovessero reggere (ossia, se i burocrati dell'amministrazione statale non procedessero con zelo sufficiente), allora sarebbe necessario promulgare una legge che "passasse il problema nelle mani del Partito nazionalsocialista per la soluzione finale". A carico degli ebrei tedeschi segue, nei due o tre anni successivi, una pioggia di soperchierie legali, alcune crudeli, altre di carattere apertamente derisorio, atte a convalidare una delle tesi di fondo del nazismo: gli ebrei sono bensi' una tenebrosa potenza universale, l'incarnazione di Satana, ma qui in Germania, nelle nostre mani, sono ridicoli e impotenti. Possono sedere solo sulle panchine pubbliche con su scritto 'nur fuer Juden' (solo per ebrei); le vacche degli ebrei non sono ammesse alla monta presso il toro comunale; un regolamento del 17 agosto 1938 stabilisce che dal primo gennaio 1939 gli ebrei possano assumere solo i nomi propri riportati in un apposito elenco predisposto dal ministero degli Interni del Reich: chi possiede un nome proprio non contenuto nella lista deve aggiungere a esso il nome ebraico di Sara (se e' donna) o di Israel (se e' uomo). Nell'aprile 1938 vengono censiti i beni patrimoniali degli ebrei, nel giugno le imprese commerciali di loro appartenenza; nel luglio e nel settembre, sull'onda di una politica che nel gergo nazista si chiama di "arianizzazione", sono tolte agli ebrei le abilitazioni all'esercizio della professione medica e le autorizzazioni a svolgere l'attivita' di avvocato e di procuratore legale. Nell'autunno del 1938 gli ebrei vedono gravemente compromessa ogni possibilita' di sopravvivere decorosamente nel mondo tedesco. Sui 500.000 "ebrei completi" censiti nel Reich nel 1933, oltre 200.000 hanno lasciato ormai la Germania, ma l'annessione dell'Austria (marzo 1938) aggiunge al totale altrettanti ebrei austriaci, lasciando in tal modo irrisolta la "questione ebraica". A quel punto Hitler affronta con decisione lo stadio successivo: la gestione della "questione" a livello internazionale. Se il potere ebraico in Germania e' ormai azzerato, il potere degli ebrei all'estero diviene uno dei temi centrali dei discorsi e delle cure del Fuehrer. * Nell'ottobre 1938, pochi giorni dopo che Gran Bretagna e Francia hanno firmato gli accordi di Monaco con cui accettano che parte della Cecoslovacchia sia annessa al Terzo Reich, la Gestapo arresta ed espelle brutalmente dalla Germania circa 17.000 ebrei di nazionalita' polacca: una mossa propiziata dalla decisione del governo di Varsavia di bloccare il loro rientro in Polonia. Il figlio di uno dei profughi, Herschel Grynszpan, ha trovato rifugio da tempo a Parigi. Ha solo 17 anni, e' un mistico e un esaltato: ritenendosi chiamato a fare vendetta, il 7 novembre uccide un diplomatico tedesco a Parigi. E' il gesto che i nazisti attendono. E' la conferma della tesi del "complotto internazionale giudaico" ai danni della Germania. La risposta e' immediata: "Ora il popolo agira'", annota Goebbels nel suo diario. La pubblicazione nel 1992 delle pagine dei Tagebuecher di Goebbels relative alla "Notte dei cristalli" (come gli stessi nazisti denominano pudicamente quell'evento, nell'intento di sdrammatizzarlo) aggiungono importanti elementi interpretativi sull'interazione esistente tra Hitler, i suoi piu' stretti collaboratori, le organizzazioni di partito e i piu' ampi settori della societa' in rapporto all'inizio e alle modalita' di espletamento della violenza antiebraica. Nella notte tra il 9 e il 10 novembre si scatena il pogrom in tutta la Germania. Vengono devastati e saccheggiati 7.500 botteghe e magazzini appartenenti a ebrei, si distruggono migliaia di case, 167 sinagoghe subiscono la stessa sorte, 91 ebrei sono uccisi, la polizia arresta e invia in campo di concentramento piu' di 26.000 persone, scelte fra gli ebrei piu' facoltosi; verranno rilasciati nelle settimane successive in cambio della promessa scritta di emigrare al piu' presto. Tra il 10 e il 13 novembre il solo campo di Buchenwald, vicino a Weimar, ne riceve 10.454, che vengono trattati con estrema brutalita', mentre un altoparlante ripete: "Ogni ebreo che intenda impiccarsi e' cortesemente pregato di introdursi in bocca un pezzo di carta recante il proprio nome al fine di consentire l'identificazione". Nelle prime ore del pogrom gli aggressori sono in divisa, ma poi vengono frettolosamente mandati a casa a indossare panni civili: hanno capito male le istruzioni, l'indignazione deve scaturire dal popolo, deve essere "spontanea". La polizia, dappertutto, sta a guardare; i vigili del fuoco intervengono solo la' dove le fiamme minacciano edifici o proprieta' "ariane". Singoli funzionari locali imbastiscono variazioni sul tema. A Krumbach presso Augsburg, donne ebree vengono trascinate alla sinagoga e costrette a estrarre dall'arca i rotoli della Legge e a calpestarli: devono commettere il sacrilegio cantando, quelle che si rifiutano sono uccise. A Saarbruecken gli ebrei vengono obbligati a portare paglia nel tempio, a cospargerla di benzina e ad accenderla. Qualche "indignato" va oltre il programma e si da' al saccheggio privato, e allora la polizia interviene, ma la magistratura mandera' tutti a casa con pene irrisorie. Non cosi' per gli zelanti che stuprano donne ebree. Questi vengono esclusi dal partito e puniti duramente, non gia' per la violenza commessa sulle loro vittime, bensi' per essersi essi stessi contaminati contravvenendo alla sacra legge del sangue. All'indomani della "Notte dei cristalli" la soluzione del "problema ebraico" non puo' piu' essere differita. Il 12 novembre ha luogo una riunione interministeriale finalizzata a concludere il processo di emarginazione degli ebrei tedeschi. Sotto la presidenza di Goering - incaricato del Piano quadriennale e supremo controllore dell'economia tedesca - viene elaborata una serie di provvedimenti oltremodo gravosi e umilianti. Un primo decreto impone agli ebrei un'ammenda collettiva di un miliardo di marchi a titolo di espiazione per "l'atteggiamento ostile dell'ebraismo nei confronti del popolo e del Reich tedesco, che non arretra neppure davanti all'omicidio vigliaccamente perpetrato". Un secondo decreto esige che gli ebrei facciano fronte personalmente ai danni causati dal pogrom e restituiscano al Reich gli indennizzi corrisposti dalle compagnie d'assicurazione. Un terzo decreto elimina definitivamente gli ebrei dalla vita economica della Germania, disponendo l'arianizzazione coatta di tutte le imprese, di tutte le attivita' commerciali e le aziende artigiane di proprieta' ebraica, ossia la loro vendita (o svendita a prezzo irrisorio) ad "ariani". Infine, a carico degli ebrei viene imposta una serie di ulteriori limitazioni: il deposito coatto di titoli, valori mobiliari e azioni; la vendita coatta di gioielli, monili e opere d'arte; il divieto di partecipare a tutte le "manifestazioni della cultura tedesca"; il divieto di frequentare cinema, teatri, mostre d'arte, conferenze, concerti, e cosi' via; l'espulsione degli ebrei da tutte le scuole tedesche; il ritiro delle patenti di guida e il divieto di possedere autoveicoli a motore; l'imposizione di aliquote fiscali piu' gravose; il divieto di esercitare le professioni di farmacista, dentista e veterinario. Con il pogrom del novembre 1938 la vita pubblica della collettivita' ebraica tedesca viene di fatto stroncata. Le organizzazioni ebraiche sono messe fuori legge, i loro funzionari vengono arrestati, qualsiasi pubblicazione da parte di ebrei e' bloccata. Cessano persino quelle forme di collaborazione timide e larvate tra gli uffici ebraici e le autorita' dello Stato, che sin li' avevano continuato ad avere luogo, quanto meno nel settore dell'emigrazione. 2. MUSICA E PACE. UNA CONVERSAZIONE CON AGNESE GINOCCHIO [Ringraziamo Agnese Ginocchio, cantautrice per la pace (per contatti: e-mail: agnese.musica at katamail.com, sito: www.agneseginocchio.it) per aver risposto ad alcune nostre domande. Agnese Ginocchio, giovane cantautrice, e' impegnata in molte iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti umani e la nonviolenza] Domanda: Musica e pace: un binomio sovente evocato; quali motivazioni e quali esempi per te hanno contato di piu' nel deciderti a valorizzare la tua attivita' di cantautrice al servizio dell'impegno di pace? Risposta: Musica e pace sono due poli che si attraggono; ma puo' avvenire anche il contrario, che si respingano. C'e' musica e musica in giro, quanti i messaggi, quanti gli slogan... talvolta essi possono indurre a scegliere strade ambigue, strade errate, strade perse, strade senza ritorno. Una musica per essere musica di e a servizio della pace deve avere innanzitutto una motivazione valida, deve scaturire da una persuasione autentica. Nascere dall'impegno e dall'esperienza in prima persona che si vive dentro e che poi si esprime fuori, nel quotidiano, attraverso gesti concreti. E' una scelta di vita innanzitutto. * Domanda: Della tua propria esperienza di musicista per la pace, quali vicende ricordi con maggiore intensita'? Risposta: Sono diverse le situazioni che mi vengono in mente. Quelle che per me acquistano piu' risalto e valore sono le esperienze di strada, in cammino con la chitarra in spalla, incontrando mille volti, timidi, curiosi, a volte anche indifferenti, ma con cui e' sempre nato uno scambio. Le esperienze piu' belle sono le marce per la pace. Quando il tempo mi consente di camminare e di marciare (perche' molte volte sono costretta a tagliare il percorso proprio per le prove di musica per cui devo trovarmi nella piazza d'arrivo molto tempo prima che arrivi il corteo) lo faccio con molta gioia, anche perche' durante la marcia si parla, si fa amicizia, si fa comunita'. Dopo l'ultima Perugia-Assisi (che percorsi solo in parte, sempre per lo stesso motivo) l'anno scorso ho partecipato alla marcia Benevento-Pietrelcina organizzata dalle Acli: percorsi senza volerlo ben 14 chilometri, non avrei mai immaginato di essere potuta arrivare a tanto, considerando anche il mio fisico esile e che prima di partire avevo gia' cominciato a cantare nella piazza di ritrovo del corteo e mi aspettava all'arrivo sulla montagna di Pietrelcina il concerto finale. Altre esperienze molto belle con i missionari comboniani di Castelvolturno e di Casavatore, che io chiamo "gli incatenati" per una serie di azioni dirette nonviolente, fra cui quella di essersi incatenati notte e giorno per alcune settimane davanti alla prefettura di Caserta per protestare contro la legge Bossi-Fini e i veri e propri rastrellamenti da essa previsti, che durante le settimane precedenti le forze dell'ordine avevano messo in atto proprio sul litorale Domizio di Castelvolturno, ove i missionari comboniani vivono, operano e si battono ogni giorno per la difesa dei diritti degli immigrati. Con loro e con gli stessi immigrati ho condiviso molte esperienze, comprese le catene che ho portato sulle spalle, ma soprattutto e anche in relazione alla musica. Molte volte ho cantato per la pace con la mia chitarra davanti ai volti di centinaia di immigrati e dei comboniani di Castelvolturno: ricordo in particolare il sit-in davanti a Montecitorio cui parteciparono anche padre Alex Zanotelli e diverse altre personalita'; un'altra volta a Napoli davanti alla prefettura, ove da diversi giorni un altro gruppo di immigrati stava facendo uno sciopero della fame e della sete per chiedere al prefetto il diritto del permesso di soggiorno. E' incredibile la loro spontaneita', nel vedermi arrivare con la chitarra si animarono e mi sorrisero subito, non sembravano affatto stanchi e affamati, cominciarono a cantare, a battere le mani, solo perche' avevo voluto dedicare loro un po' del mio tempo, un gesto di solidarieta'. Sono rari nel nostro paese i gesti solidali nei loro riguardi, anzi subiscono sfruttamento e discriminazione, vengono gettati senza alcuna pieta' nelle gabbie dei Cpt e trattati come malfattori. Ma io dico che queste persone sono migliori di tanti ambigui occidentali che dentro hanno il cancro del potere e della corruzione. Altre esperienze sono state anche a Roma lungo i cortei per la pace, e ritornando sempre a Napoli (che e' la mia terra) quando cantai durante lo svolgersi di una marcia anticamorra nel quartiere Forcella, martoriato da agguati e stragi che continuano a susseguirsi come una maledizione senza fine. In quella circostanza chiesi ad alta voce alla gente, partendo proprio dalle parole della canzone, di unirsi, di mettersi insieme, di uscire dalla paura, reagire, e vincere la violenza attraverso azioni nonviolente, forme di solidarieta' e percorsi educativi alla pace, perche' ogni essere umano ha il diritto di vivere, di realizzare un proprio sogno, di sperare in un futuro di pace e non di guerra e devastazione. Subito a quelle mie brevi parole segui' la risposta della gente che mi fece un forte applauso spontaneo e sincero; avvertii in quella risposta il desiderio profondo del cambiamento. * Domanda: La tradizione dei e delle folk-singer, da Woody Guthrie a Wolf Biermann, da Joan Baez a Violeta Parra, si e' frequentemente fortemente intrecciata con le lotte popolari per i diritti e la pace, contro l'ingiustizia e per la solidarieta', per la rivendicazione della dignita' umana di tutti gli esseri umani. Cosa significa per te collocarti in questa tradizione? Risposta: Collocarmi in questa tradizione significa aver fatto la scelta di cantare per la pace, la pace che richiama la giustizia, giustizia che richiama la liberta', liberta' che richiama la speranza, speranza che richiama l'amore, amore che richiama la solidarieta', e cosi' via; la scelta di cantare contro tutte le guerre, le bombe, le armi, le ingiustizie, il razzismo, le discriminazioni, l'odio, l'indifferenza. Fa tremendamente male assistere allo spettacolo dell'ingiustizia. E allora che fare? Allora forza con le lotte nonviolente, le azioni dirette popolari. Ce ne vogliono, e tante. Boicottiamo questo sistema di morte, facciamo sentire la nostra voce, attiviamoci con i nostri mezzi, le nostre risorse interiori: per me uno dei modi e' quello di cantare per la pace, la giustizia e la legalita', per un altro sara' lo scrivere, per un altro ancora sara' un modo ancora diverso, e cosi' via. Risvegliamo le coscienze, c'e' bisogno di cambiamento per liberare la pace e costruire la giustizia. Ogni giorno sono consapevole di questa scelta, cammino per la mia strada ove incontro tanta gente, porto sempre con me addosso e ben visibile agli occhi di tutti il mio segno esteriore, come una vera e propria disciplina che mi fa camminare con austerita' ma anche con molta spontaneita': la sciarpa o lo straccio arcobaleno. * Domanda: La scelta della nonviolenza, una scelta esigente, una scelta a nostro comune avviso necessaria. Cosa significa per te? Quali sono stati i punti di riferimento, le vicende storiche e le occasioni esistenziali che ti hanno portata ad accostarti alla nonviolenza, a diventare, per usare la bella formula di Aldo Capitini, una persona "amica della nonviolenza"? Risposta: C'e' un'alternativa allo "scontro di civilta'", quest'alternativa consiste proprio nello scegliere la strada del dialogo e della nonviolenza come unica via di pace e di soluzione ai problemi del mondo. Il primo ad avercela trasmessa e' stato Gesu', profeta e principe della pace e della nonviolenza, attraverso il comandamento dell'amore: "Ama il prossimo tuo come te stesso", e ancora: "Non fare ad altri cio' che non vuoi sia fatto a te". Proseguendo nel corso dei secoli tante persone hanno adottato a loro volta questo metodo segnando la storia: Francesco d'Assisi, Mohandas Gandhi, don Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, don Peppino Diana, don Tonino Bello, e il grande maestro laico dell'Italia: Aldo Capitini... ma ce ne sono ancora tante e tanti altri. La nonviolenza e' la strada che si dovrebbe adottare in ogni ambito, come unico mezzo per la soluzione ai problemi. Si dovrebbe adottare nelle istituzioni e nella politica soprattutto, che mai come in questo momento e' cosi' ambigua, sterile, contraddittoria e vuota; la politica che dovrebbe essere un servizio disinteressato svolto per il bene comune. La nonviolenza e' la strada amichevole e giusta, equa, sobria e solidale; e' il metodo che ci ha lasciato in eredita' Aldo Capitini, ove si riscopre il vero volto non solo della politica, ma anche dalla societa' civile. La nonviolenza ci insegna ad amare ed avere rispetto per l'essere umano e per la natura, induce alla riscoperta di se stessi e dei propri talenti naturali come valori fondamentali che messi al servizio del bene comune portano un gran beneficio e una rinascita generale. La nonviolenza e' una disciplina che arricchisce e nobilita la persona, la induce alla sensibilita', all'equilibrio. Rivolgo l'invito a scegliere questa strada come alternativa al male sociale soprattutto ai miei compagni di viaggio, i giovani del Duemila: un altro mondo e' possibile, ma dipende dalla rete che si tesse con pazienza tramutare il nostro sogno in realta'. La mia scelta della nonviolenza e' anche la lotta interiore, la capacita' di saper vincere il male con il bene attraverso prove, azioni, resistenze che ci mettono in continua discussione, trasformando le vecchie abitudini in nuove idee e forme di solidarieta', di apertura verso il mondo, le persone e la natura che ci circonda. La mia scelta di essere amica della nonviolenza e' nata anche dall'aver scelto la pace come compagna dei miei giorni. E' emersa in seguito a percorsi e cammini che ho approfondito dentro di me, attraverso esperienze anche in campo musicale, attraverso la conoscenza e l'incontro di tanta gente, tante testimonianze. Una molto vicina e' stata quella di Rachel Corrie, giovane pacifista americana schiacciata da un bulldozer militare israeliano mentre si interponeva con una azione diretta nonviolenta per impedire l'ennesimo abbattimento delle case dei palestinesi. La storia di Rachel mi colpi' e mi segno' profondamente. Ho conosciuto i suoi genitori qui in Italia all'inaugurazione del Centro per la pace e la nonviolenza dedicato proprio a Rachel, a Ovada, vicino Alessandria. Alla giovane Rachel, martire di pace e nonviolenza, ho dedicato una canzone che porto in giro. Abbiamo cominciato questa conversazione parlando del binomio musica e pace. Vorrei concludere con un elemento in piu' passando da un binomio a un trinomio: musica, pace, nonviolenza, tre elementi che sono perfettamente collegati fra loro. La musica e' la mia vita, la pace il mio ideale, la nonviolenza la mia disciplina, l'equilibrio e il percorso sulle strade della vita... 3. MEMORIA. FRANCESCA LAZZARATO RICORDA PININ CARPI [Dal quotidiano "Il manifesto" del 5 gennaio 2005. Francesca Lazzarato dirige collane editoriali ed e' autrice, curatrice e traduttrice di molti libri soprattutto per giovani e bambini. Pinin Carpi, recentemente scomparso, e' stato un grande amico del bambini, un artista generoso, e un rigoroso antifascista dalla Resistenza per tutta la vita] "Una volta c'era in Cina un cinese vestito di blu e d'arancione che si chiamava Cion Cion Blu. Aveva i pantaloni blu e le calze arancione; e in tasca aveva un fazzoletto arancione e una pipa blu". Quanti bambini ed ex bambini ricordano un libro che comincia cosi'? Sicuramente moltissimi, perche' la storia del contadino cinese che veste solo di blu e di arancione, coltiva arance, ha un gatto blu che si chiama A Ran Cion e un cane arancione di nome Blu, negli ultimi trentasei anni ha accompagnato la crescita di innumerevoli lettori. Cion Cion Blu parla di un uomo gentile e pronto all'avventura, che, in una Cina immaginaria quanto quella della Turandot e della brechtiana Anima buona di Sezuan, compie un lungo viaggio in compagnia di un imperatore triste, incontrando via via briganti, streghe, fanciulle imbruttite per magia e generali guerrafondai: una fiaba, ma anche un'utopia (quasi) realizzata, in cui non ci si ferma all'apparenza e le ragazze brutte si sposano con uomini innamorati, gli imperatori imparano dai contadini, i contadini considerano gli imperatori uomini come tutti gli altri, i generali vengono licenziati e la guerra non si fa piu'. E non e' certo un caso che la storia di Cion Cion Blu sia stata pubblicata per la prima volta nel 1968 (l'editore era Garzanti, l'illustratrice la brava Iris de Paoli), quasi a sottolineare la necessita' di un nuovo modo di entrare in relazione con l'infanzia, secondo modalita' di ascolto, rispetto e attenzione per un'eta' tradizionalmente subordinata e "senza potere". Autore di un libro tanto gioioso e antipedagogico era un architetto mancato-giornalista-illustratore che fino ad allora non aveva mai scritto per i bambini: Pinin Carpi, che se ne e' andato, a 84 anni, il 31 di dicembre e il cui nome, nel labile panorama della letteratura infantile italiana, e' tra i pochi destinati a non passare di moda, come dimostra il grande successo dalla recente riproposta di Cion Cion Blu, ma anche di Le avventure di Lupo Uragano, Susanna e il soldato, Il papa' mangione, Il paese dei maghi, da parte delle edizioni Piemme. * Pieno di fascino, gentile come Cion Cion Blu e all'occorrenza affettuosamente brusco e senza peli sulla lingua, Pinin e' stato, prima che un grande scrittore, un personaggio straordinario che per tutta la vita ha inseguito cose nuove, sperimentato tanti mestieri, attraversato tempeste di ogni genere (il padre Aldo, pittore antifascista e autore del Diario di Gusen - edito da Einaudi e curato dallo stesso Pinin - fu deportato a Mauthausen, e il fratello Paolo venne ucciso dai tedeschi a 17 anni), restando sempre un anticonformista incapace di compromessi e rigorosamente coerente con le proprie idee. "Io il soldato non l'ho fatto, ho fatto il partigiano", rispondeva ai bambini che, dopo aver letto i suoi libri, gli chiedevano se fosse mai stato in guerra. Per la sua partecipazione alla Resistenza nel '45 era stato rinchiuso a San Vittore, e un'altra avventura quasi guerresca l'aveva vissuta nel 1970, quando, durante la manifestazione milanese del 12 dicembre in cui la polizia uccise lo studente Saverio Saltarelli, si era preso un proiettile nella gamba. Eppure niente gli piaceva meno della guerra, come sanno tutti i bambini che hanno letto Susanna e il soldato (uscito per la prima volta per Vallardi nel '77), storia di una orfana che incontra un soldato disertore, in fuga da battaglie che non vuol piu' combattere. Allo stesso tempo, pero', per Carpi la pace non era soltanto "assenza di guerra" perche', come sottolineo' in un'intervista: "Pace significa anche la fine di tutte le ingiustizie, gli sfruttamenti, le poverta' e le malattie". * A scrivere per l'infanzia ci era arrivato un po' per caso e per un'ottima ragione: i bambini gli piacevano, gli piaceva il loro appartenere al mondo del desiderio e delle infinite possibilita', il loro modo di essere intrepidi e curiosi nonostante l'oggettiva subalternita' e il controllo esercitato dagli adulti. Li aveva scelti come interlocutori quando aveva cominciato a inventare storie per i suoi figli, e si era reso conto di quanto si divertiva a raccontare fiabe sorprendenti, simili a un fuoco artificiale che non smette mai di esplodere in nuove girandole colorate. Le sue erano storie sensatamente assurde, piene di esagerazioni e meraviglie, di tesori ed enormi mangiate, di avventure per mare e per terra, di spaventi e risate pronte a dissolverli, il tutto legato da un linguaggio immaginoso, privo di enfasi e di birignao, capace di esprimere in modo semplice concetti difficili e di riprodurre il ritmo di una voce che racconta. E' appunto questo intenzionale rifarsi all'oralita' che da' vita a una scrittura inconfondibile e a testi che si prestano in modo speciale alla lettura ad alta voce, cuciti come sono su misura per i piu' piccoli da un fabulatore che si affida all'umorismo, ma non e' consolatorio ne' conciliante. Le fiabe, diceva del resto Pinin, "nascono sempre da una tragedia e si raccontano per alleviare la sofferenza che essa provoca. Ecco perche' e' giusto e necessario che abbiano il lieto fine. Lieto fine non significa che tutto va a finire bene, anzi, spesso e' piu' vero il contrario; significa invece che la vita vale la pena di essere vissuta". * A questa felicita' del raccontare Carpi aveva aggiunto il suo particolare tocco di grande illustratore, che costruiva tavole acquerellate fitte di personaggi e di dettagli. Nato in una famiglia di artisti (pittori il padre e il fratello Cioni, musicista il fratello Fiorenzo) e appassionato di pittura, aveva fatto molto per avvicinare l'infanzia al mondo dell'arte. Da una sua idea, infatti, era nata una collana che resta unica nel panorama editoriale italiano e che purtroppo e' ormai scomparsa dalle librerie, ossia "L'arte per i bambini", edita da Vallardi e composta da incantevoli fiabe moderne ispirate a quadri famosi: un viaggio per nulla didattico all'interno di un dipinto, e un'efficace educazione alla necessita' della bellezza. A questi libri preziosi e ai molti romanzi e racconti che Pinin Carpi ci ha lasciato, si aggiunge poi una singolare enciclopedia, Il mondo dei bambini, realizzata dalla Emme Edizioni per la Utet nel 1973. Un'impresa impegnativa cui Carpi si dedico' con grande entusiasmo, producendo un'opera del tutto anti-enciclopedica che, invece di fornire nozioni, cercava di organizzare e proporre una visione del mondo. Ed e' proprio un brano dell'introduzione scritta da Pinin per i bambini a ricordarci, oggi, uno scrittore molto amato e soprattutto un uomo libero e un compagno di strada: "... vorremmo fare un patto con voi: come tutti, grandi e piccoli, avete il diritto di giudicare ogni cosa, di dire se la trovate giusta o sbagliata. Quindi considerate sempre che quello che vi diciamo e' cio' che pensiamo noi, ma che voi potete pensarla in un modo completamente diverso". 4. MEMORIA. GIANNI VATTIMO RICORDA EUGENIO GARIN [Dal sito www.giannivattimo.it riprendiamo questo articolo di Gianni Vattimo in ricordo di Eugenio Garin apparso su "La Stampa" del 30 dicembre 2004. Dal medesimo sito www.giannivattimo.it riprendiamo la seguente scheda biografica di Gianni Vattimo: "Gianni Vattimo e' nato nel 1936, a Torino, dove ha studiato e si e' laureato in filosofia; ha poi seguito due anni i corsi di Hans Georg Gadamer e Karl Loewith all'universita' di Heidelberg. Dal 1964 insegna all'Universita' di Torino, dove e' stato anche preside della facolta' di Lettere e filosofia. E' stato visiting professor in alcune universita' americane (Yale, Los Angeles, New York University, State University of New York) e ha tenuto seminari e conferenze in varie universita' di tutto il mondo. Negli anni Cinquanta ha lavorato ai programmi culturali della Rai. E' membro dei comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere; e' socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino. Laurea honoris causa dell'Universita' di La Plata (Argentina, 1996). Laurea honoris causa dell'Universita' di Palermo (Argentina, 1998). Laurea honoris causa dell'Universita' di Madrid (2003). Grande ufficiale al merito della Repubblica italiana (1997). Attualmente e' vicepresidente dell'Academia de la Latinidade. Nelle sue opere, Vattimo ha proposto una interpretazione dell'ontologia ermeneutica contemporanea che ne accentua il legame positivo con il nichilismo, inteso come indebolimento delle categorie ontologiche tramandate dalla metafisica e criticate da Nietzsche e da Heidegger. Un tale indebolimento dell'essere e' la nozione guida per capire i tratti dell'esistenza dell'uomo nel mondo tardo moderno, e (nelle forme della secolarizzazione, del passaggio a regimi politici democratici, del pluralismo e della tolleranza) rappresenta per lui anche il filo conduttore di ogni possibile emancipazione. Rimanendo fedele alla sua originaria ispirazione religioso-politica, ha sempre coltivato una filosofia attenta ai problemi della societa'. Il "pensiero debole", che lo ha fatto conoscere in molti paesi, e' una filosofia che pensa la storia dell'emancipazione umana come una progressiva riduzione della violenza e dei dogmatismi e che favorisce il superamento di quelle stratificazioni sociali che da questi derivano. Con il piu' recente "Credere di credere" (Garzanti, Milano 1996) ha rivendicato al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la post-modernita'. Una riflessione che continua nelle ultime pubblicazioni quali Dialogo con Nietzsche. Saggi 1961-2000 (Garzanti, Milano 2001), Vocazione e responsabilita' del filosofo (Il Melangolo, Genova 2000) e Dopo la cristianita'. Per un cristianesimo non religioso (Garzanti, Milano 2002). Recentemente ha pubblicato Nichilismo ed emancipazione (Garzanti, Milano 2003). Con la volonta' di battersi contro i dogmatismi che alimentano violenze, paure e ingiustizie sociali si e' impegnato in politica... [anche come eurodeputato]. Collabora come editorialista a La Stampa, Il Manifesto, L'Unita', L'Espresso, El Pais e al Clarin di Buenos Aires". Eugenio Garin e' stato un maestro per molti di noi, anche chi scrive queste brevi notizie introduttive e' cresciuto sui suoi libri. Nato a Rieti nel 1909, e' deceduto sul finire del 2004, straordinario storico della filosofia, fondamentale il suo contributo allo studio dell'Umanesimo e del Rinascimento. Opere di Eugenio Garin: la sua opera e' immensa; qui segnaliamo almeno La filosofia come sapere storico, Laterza (nella nuova edizione del '90 col bel saggio autobiografico Sessanta anni dopo); Storia della filosofia italiana, 3 voll., Einaudi; il classico Medioevo e Rinascimento, Laterza; le Cronache di filosofia italiana, Laterza] Non e' forse un semplice caso che uno degli ultimi lavori di Eugenio Garin, uscito nel 1991, sia l'ampia e, in molti sensi, appassionata introduzione all'edizione Garzanti delle Opere filosofiche di Giovanni Gentile. In molti sensi, queste pagine sono un fedele autoritratto del professore fiorentino, della sua formazione nella cultura filosofica italiana dei primi decenni del Novecento, del suo insegnamento negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e anche della sua presenza politica nelle vicende della sinistra italiana di quell'epoca. Persino il fatto che proprio Garin si sia assunto il compito di curare una ampia silloge delle opera maggiori di Gentile in anni in cui, nonostante lo scarto temporale, il fondatore dell'attualismo era ancora marcato dalla sua adesione al fascismo e dalla estrema avventura con la Repubblica Sociale (alla quale aveva aderito per una sorta di volonta' di coerenza nel momento in cui le cose volgevano decisamente al peggio), e' denso di significato per la ricostruzione della portata del suo insegnamento nella cultura italiana. Garin era stato infatti, negli anni Cinquanta del secolo, una sorta di mentore del gramscismo italiano, vicino a Togliatti e al suo progetto di preparare il rinnovamento della societa' italiana attraverso un riconoscimento della continuita' con la cultura passata del nostro paese. Ora, un tale proposito, sia pure spinto all'estremo di vedere nel pensiero italiano dell'Ottocento (Rosmini, Gioberti) una anticipazione dell'idealismo hegeliano, era stato proprio uno dei punti fondamentali del programma filosofico di Gentile. In qualche modo, Garin da un lato ereditava tale programma, naturalmente trasformato in senso radicale ma non del tutto sfigurato; e occupandosi di ripresentare alla cultura italiana le opere di Gentile attuava questo stesso programma proprio nei confronti del suo autore. Cosi' concludeva infatti l'introduzione citata: "Attraverso Gentile, la cultura italiana sperimento' in forme proprie e originali la crisi profonda del pensiero europeo tra Ottocento e Novecento... Con i limiti propri della tradizione nazionale: dalla retorica "eredita' umanistica" a innegabili chiusure nei confronti delle scienze e del progresso tecnologico... Cio' non toglie che sul piano del pensiero filosofico l'Italia si apri' molto presto, e piu' di altri grandi paesi europei, a Hegel, e proprio con Gentile... a cogliere l'importanza del nesso Hegel-Marx e della 'filosofia della prassi'". * Non e' riduttivo vedere nel lavoro di Eugenio Garin, caratterizzato da un prevalente interesse per la storiografia di alcuni grandi periodi della filosofia occidentale, l'attuazione, potremmo dire secolarizzata e spogliata delle sue implicazioni metafisiche, di questo programma "gentiliano". Che, negli anni della ricostruzione italiana del dopoguerra, si colorava di importanti connotazioni politiche, alle quali Garin rimase fedele per tutto il resto della sua vita, anche con minore interesse per la filosofia militante e per la politica in senso stretto. Aveva avuto una parte importante nel grande convegno gramsciano del 1956 a Firenze e nel dibattito che vi fece seguito (di cui da' conto in modo analitico e documentatissimo Giovanni Fornero nel volume IV, 2 della Storia della filosofia di Abbagnano, edizione Utet). Contro alle tendenze che, anche nella cultura di sinistra, tendevano a cercare un rinnovamento della filosofia italiana aprendosi soprattutto agli autori e alle scuole anglosassoni (uno dei principali esponenti di questa tendenza era Giulio Preti, suo collega a Firenze negli stessi anni), Garin - che pure non osteggio' mai queste aperture - sottolineava piuttosto la necessita' di ricollegarsi, del resto sulla linea di Gramsci, alla tradizione del pensiero italiano, dall'umanesimo a Vico a De Sanctis, Labriola, Croce e allo stesso Gentile. Non e' difficile vedere in questo proposito, oltre all'influenza di Gramsci, anche il parallelo del programma togliattiano di realizzare la trasformazione comunista in Italia come una prosecuzione e compimento del Risorgimento. Con i suoi studi sul pensiero rinascimentale, in polemica contro le troppe semplificazione immanentistiche e antireligiose che vedevano il Rinascimento come il puro e semplice rovesciamento della religiosita' medievale, Garin aveva gia' insegnato a vedere la continuita' tra gli inizi del pensiero moderno, e della stessa scienza, e l'eredita' del tardo Medio Evo. * Una continuita' che, da storico "filologo" quale fu sempre, egli riconosceva al di fuori di ogni presupposto storicistico, come quelli che gravavano sulle prospettive storiografiche delle scuole crociana e gentiliana, tutte protese a cercare "cio' che e' vivo e cio' che e' morto" nei pensatori del passato, o a documentare precorrimenti di posizioni attuali considerate vere. Anche sul piano della metodologia storiografica in filosofia, Garin fu, insieme a Nicola Abbagnano e a pochi altri, un innovatore che segna anche oggi questa disciplina nelle nostre universita'. Ma, ancora una volta riprendendo in modo critico e originale la lezione di Croce e di Gentile, il lavoro storiografico fu sempre, per lui, anche lavoro "teorico". Ricostruire il pensiero del Rinascimento significava infatti anche rinnovare l'idea di filosofia, che i grandi autori di quell'epoca avevano esercitato come riflessione su concrete esperienze individuali e sociali, per cui filosofare finiva per identificarsi con la costruzione di una interpretazione coerente della propria esperienza nel concreto momento storico, con riflessi decisivi sull'etica: ci sono qui, ancora una volta, elementi significativi dell'eredita' di Croce (la filosofia come metodologia della storia) e di Gentile (la filosofia come "prassi"). Si osservera' che forse Garin e' troppo pensatore "italiano" per lasciarci una eredita' spendibile nella cosmopoli postmoderna. Ma in realta' molti degli sviluppi recenti della cultura filosofica di derivazione anglosassone stanno scoprendo proprio, magari attraverso la riconsiderazione di Hegel, l'importanza di questi elementi. Noi ci eravamo gia' "aperti" ad essi, e anche per merito precipuo di Eugenio Garin. 5. LETTURE. PAT CARRA: ORIZZONTI DI BORIA Pat Carra, Orizzonti di boria, Quaderni di Via Dogana - Libreria delle donne, Milano 1999, pp. 60, lire 10.000. Con una introduzione di Luisa Muraro, una raccolta di vignette di Pat Carra che demistificano con grande efficacia ermeneutica la guerra della Nato contro la Jugoslavia, i deliri e gli inganni ideologici che pretendevano giustificare quel massacro, le diffuse complicita' con gli assassini e i loro mandanti tuttora impuniti. Per richieste: tel. 0270006265, fax: 0271093653, sito: www.libreriadelledonne.it 6. LETTURE. VILMA COSTETTI (A CURA DI): COMUNICAZIONE & POTERE Vilma Costetti (a cura di), Comunicazione & potere, Edizioni Esserci, Reggio Emilia 2004, pp. 160, con allegata videocassetta di Marshall B. Rosenberg, euro 16,50. Il volume e' tratto da un seminario interattivo condotto da Marshall Rosenberg, del cui lavoro e delle cui proposte sulla comunicazione nonviolenta l'autrice, nota e apprezzata formatrice alla nonviolenza, e' in Italia la principale promotrice. Per richiedere l'opera, ma anche per contatti con Vilma Costetti e col Centro Esserci di cui e' animatrice: tel. 0522943053, e-mail: info at centroesserci.it, sito: www.centroesserci.it 7. LETTURE: NICOLETTA CROCELLA: ATTRAVERSO IL SILENZIO Nicoletta Crocella, Attraverso il silenzio, Edizioni Stelle Cadenti, Bassano in Teverina (Vt) 2000, pp. 40, s.i.p. L'autrice racconta l'esperienza del Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, proponendo anche molti preziosi documenti. Il volumetto e' arricchito da una densa prefazione di Ileana Montini. E' una lettura appassionante che vivamente raccomandiamo. Per richieste: Associazione Stelle Cadenti, tel. 0761407403, e-mail: stellecadenti at stellecadenti.org, sito: www.stellecadenti.org 8. LETTURE: ANNAMARIA VITALE (A CURA DI): PER UNA STORIA ORIZZONTALE DELLA GLOBALIZZAZIONE Annamaria Vitale (a cura di), Per una storia orizzontale della globalizzazione. Sette lezioni di Andre Gunder Frank, Rubbettino, Soveria Mannelli 2004, pp. 162, euro 8,50. A cura dell'apprezzata docente di sociologia dello sviluppo, autrice dell'ampia prefazione (pp. 5-26), i testi delle lezioni tenute da Andre Gunder Frank all'Universita' della Calabria, con un'intervista di Andrea Meloni al grande studioso, un nostro maestro da sempre. 9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione d i organi di governo paralleli. 10. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 809 del 14 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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