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La nonviolenza e' in cammino. 807
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 807
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Wed, 12 Jan 2005 00:59:01 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 807 del 12 gennaio 2005 Sommario di questo numero: 1. Giulio Vittorangeli: L'apparente aridita' delle cifre 2. Corrie Pikul: Lo tsunami e le donne 3. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte seconda) 4. Haifa Zangana: Donne e democrazia in Iraq 5. Nelson Mandela: Un figlio e la verita' 6. Giampaolo Calchi Novati: Nelson Mandela testimone e guida della lotta contro l'Aids 7. La "Carta" del Movimento Nonviolento 8. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. GIULIO VITTORANGELI: L'APPARENTE ARIDITA' DELLE CIFRE [Ringraziamo Giulio Vittorangeli (per contatti: g.vittorangeli at wooow.it) per questo intervento. Giulio Vittorangeli e' uno dei fondamentali collaboratori di questo notiziario; nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarieta' internazionale, con una lucidita' di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili; e' il responsabile dell'Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed e' impegnato in rilevanti progetti di solidarieta' concreta; ha costantemente svolto anche un'alacre attivita' di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresi' un'intensa attivita' pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni; tra i convegni da lui promossi ed introdotti di cui sono stati pubblicati gli atti segnaliamo, tra altri di non minor rilevanza: Silvia, Gabriella e le altre, Viterbo, ottobre 1995; Innamorati della liberta', liberi di innamorarsi. Ernesto Che Guevara, la storia e la memoria, Viterbo, gennaio 1996; Oscar Romero e il suo popolo, Viterbo, marzo 1996; Il Centroamerica desaparecido, Celleno, luglio 1996; Primo Levi, testimone della dignita' umana, Bolsena, maggio 1998; La solidarieta' nell'era della globalizzazione, Celleno, luglio 1998; I movimenti ecopacifisti e della solidarieta' da soggetto culturale a soggetto politico, Viterbo, ottobre 1998; Rosa Luxemburg, una donna straordinaria, una grande personalita' politica, Viterbo, maggio 1999; Nicaragua: tra neoliberismo e catastrofi naturali, Celleno, luglio 1999; La sfida della solidarieta' internazionale nell'epoca della globalizzazione, Celleno, luglio 2000; Ripensiamo la solidarieta' internazionale, Celleno, luglio 2001; America Latina: il continente insubordinato, Viterbo, marzo 2003. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarieta' sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Cura il notiziario "Quelli che solidarieta'"] "Nel 2005 il tema della riduzione della poverta' sara' al centro dell'agenda politica mondiale come mai in passato". Frasi come questa si ascoltano nei vertici del G8 e dell'Organizzazione mondiale del commercio; si leggono nelle risoluzioni dell'assemblea generale delle Nazioni Unite. Peccato che le parole non siano seguite dai fatti. Negli ultimi dieci anni la forbice tra le nazioni ricche e quelle povere si e' ulteriormente allargata. Il 70% dei 40 milioni di ammalati di Aids e' concentrato nei paesi con istituzioni sanitarie malfunzionanti. La tubercolosi e' riemersa con 9 milioni di nuovi casi e 2 milioni di morti all'anno. Tassi di mortalita' simili provengono dalla malaria e in tutti i casi aumenta l'emergenza di agenti patogeni resistenti ai farmaci. Meno del 10% della spesa in ricerca medica e' devoluta a malattie responsabili del 90% della morbilita' (Fonte: "British Medical Journal"). * Se poi guardiamo all'Italia, come non ricordare che i soldi (200 milioni di euro) che il governo Berlusconi aveva promesso di versare (entro il 30 settembre 2004) in occasione del G8 di Genova del luglio 2001 (un Global Fund finanziato dai Paesi ricchi per sostenere la lotta all'Aids, alla tubercolosi e alla malaria nei Paesi poveri) sono scomparsi anche a causa delle spese per la guerra in Iraq. Su sei miliardi di abitanti del pianeta terra, oltre 2 miliardi e 800 milioni vivono con meno di due dollari al giorno. Alla fine del 2003 in America Latina e nel Caribe ci sono 20 milioni di poveri in piu' rispetto al 1997 e cioe' 9.100 latinoamericani poveri in piu' al giorno, 380 all'ora e 6 ogni minuto. Il 44,4% dei latinoamericani (227 milioni) vive sotto la soglia di poverta' e il 79% di essi (177 milioni) sono bambini e adolescenti o giovani sotto i 20 anni. E' la regione del mondo dove impera la maggiore iniquita' per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza. Il 20% piu' ricco si appropria del 60% delle entrate totali, e il 20% piu' povero resta con solo il 3% di tale ricchezza. * Con l'applicazione delle politiche neoliberiste il livello mondiale di poverta' si e' ulteriormente innalzato. Su tutto questo si e' inserita la spirale perversa "guerra-terrorismo"; perche' se l'ingiustizia della ripartizione delle risorse a livello planetario non e' la causa del terrorismo e neppure lo giustifica, e' sempre il mare in cui esso nuota. La guerra preventiva lo ha trasformato in un soggetto politico mondiale con cui dialoga in orrore. Un mondo dove la disuguaglianza tra Paesi ricchi e quelli poveri e' di settanta a uno, puo' essere solo "controllato" con l'uso della forza, della guerra e delle armi. Ecco perche' il nuovo sistema globalizzato ha fatto della guerra "globale e preventiva" la sua politica; e se la guerra cancella il mondo di relazioni tra gli uomini e tra i popoli, brucia cose e persone, e' anche la maniera per fare soldi. 879 sono i miliardi di dollari, al netto dell'inflazione, della spesa militare mondiale nel 2003: 18 miliardi di dollari in piu' rispetto al 2002. Cifre riportate nello Yearbook 2004 del Sipri, l'autorevole istituto di ricerca sul disarmo di Stoccolma. Le cinque potenze che maggiormente investono in armamenti coprendo il 62% delle spese totali a livello mondiale, sono gli Stati Uniti, il Giappone, la Francia, il Regno Unito e la Cina. A parte il Giappone, gli altri fanno tutti parte in modo permanente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, la cui Assemblea Generale chiede ogni anno la fine della corsa degli armamenti, il disarmo nucleare e il rispetto delle convenzioni internazionali su questi temi. * "La ragione principale per cui la guerra c'e' ancora non sta ne' in un segreto desiderio di morte della specie umana ne' in un insopprimibile istinto di aggressione ne' nei seri pericoli economici e sociali che il disarmo comporta, ma nel semplice fatto che sulla scena politica non e' ancora comparso nessun mezzo in grado di sostituire questo arbitro definitivo degli affari istituzionali". Queste parole di Hannah Arendt tracciano in maniera sorprendente una diagnosi radicale, impietosa e senza appello della drammatica situazione che stiamo vivendo all'inizio di questo XXI secolo. Sono domande cruciali che oggi si presentano a chiunque rifletta sul futuro della democrazia internazionale e sulla pace nel mondo. Allora dobbiamo mantenere fermo il ripudio dell'asse "guerra-terrorismo" che non conosce piu' pieta' pubblica e civile, e che giornalmente ci invade. Rischiamo di assuefarci all'orrore, ai corpi dilaniati e irriconoscibili, alla corsa alle parole per dire un'indignazione rituale e ripetitiva. O peggio ancora, solo cecchini dentro la spirale della violenza; pronti a dimenticare la morte che non ci fa comodo e a magnificare quella utile, immemori anche del nostro rifiuto della morte di stato come di quella per mano privata. Cosi' l'essere umano non c'e' piu', ne' per chi vuole restituire la cittadinanza agli iracheni con i missili statunitensi, ne' talvolta per chi vuole restituirgliela tramite la loro autodeterminazione. Iracheni, americani, italiani... non ce ne sono piu' quasi per nessuno, se non per come si collocano rispetto alle assi cartesiane della violenza. Dimenticando che senza pieta' per l'essere umano viene meno lo stesso concetto di umanita'; resta, davvero, la morte della ragione ed un baratro etico. Se c'e' un compito immediato e' sicuramente quello di spingerci all'umano, e questo passa attraverso la pace, intesa non solo come assenza di guerra. 2. APPELLI. CORRIE PIKUL: LO TSUNAMI E LE DONNE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per averci messo a disposizione la sua traduzione del seguente articolo di Corrie Pikul, corrispondente di "WeNews"] Quando il mortale tsunami si e' preso la vita di 150.000 persone, ha anche spazzato via le strutture delle comunita', lasciando le sopravvissute di sesso femminile vulnerabili ad una nuova serie di minacce. Rapporti di stupri e violenze contro donne e bambine/i, nelle aree colpite, si stanno accumulando, ma le donne hanno di fronte anche basilari problemi di salute dovuti alla mancanza di prodotti per l'igiene personale e per la maternita'. Numerosi gruppi stanno lavorando per costruire consapevolezza pubblica dei pericoli che le donne e le bambine corrono nei paesi piu' duramente colpiti, Sri Lanka, Indonesia e Maldive, e stanno raccogliendo fondi per proteggere non solo la sicurezza fisica delle donne, ma anche la loro salute, la loro dignita' ed il loro benessere psicologico. "I problemi specifici delle donne devono essere identificati e affrontati", dice David Del Vecchio, uno dei portavoce del Fondo Onu per le popolazioni (United Nations Population Fund) che ha base a New York. Un collettivo che riunisce i gruppi femministi dello Sri Lanka ha scritto e diffuso un appello affinche' l'opinione pubblica porti la sua attenzione su "le serie istanze che concernono la sicurezza ed il benessere delle donne che non sono ancora state prese in considerazione, negli sforzi per l'aiuto umanitario". Il collettivo, che comprende cinque gruppi ed include il Forum femminile delle ong e l"Alleanza delle donne per la pace e la democrazia, ha espresso approvazione per gli aiuti internazionali, ma ha sottolineato che essi devono essere ridisegnati in modo da tenere conto della violenza contro le donne, e dei bisogni particolari di alcuni soggetti vulnerabili, come le donne in stato di gravidanza o che stanno allattando un bambino, nonche' i bambini senza accompagnatori adulti. * Il peggio delle violazioni dei diritti umani delle donne e' stato messo in luce all'inizio di questa settimana dal gruppo "Women and Media Collective", un'organizzazione di donne con base a Colombo, Sri Lanka. "Abbiamo ricevuto rapporti relativi a violenze sessuali, stupri di gruppo, molestie ed abusi fisici di donne e bambine durante le operazioni di soccorso prive di supervisione, e durante la loro residenza nei rifugi temporanei", dice il comunicato che il gruppo ha inviato alla stampa internazionale. Il loro appello e' stato raccolto da "Madre", un'organizzazione internazionale per i diritti delle donne. Yifat Susskind, co-direttrice di "Madre", dice che le testimonianze riflettono cio' che accade tipicamente durante gli sconvolgimenti di questo tipo: "Quando le comunita' sono sotto stress, si nota un massiccio aumento della violenza domestica. Quello che stiamo vedendo e' l'onda lunga del disastro". Susskind sostiene che durante una crisi, i meccanismi che usualmente operano per prevenire stupri, violenze e molestie scompaiono. Non ci sono membri delle famiglie che possano proteggere le donne e le bimbe, non ci sono case in cui nascondersi e ben poca polizia che possa dissuadere i criminali potenziali con la sua presenza. "Madre" ha ricevuto rapporti simili, che riguardano la violenza subita dalle donne nei campi profughi, anche da Inform, un'altra ong, molto ramificata, con base a Colombo. In risposta, "Madre" sta raccogliendo ed inviando fondi a Inform, che e' in grado di raggiungere velocemente molte diverse comunita' in tutta la regione. Il denaro verra' usato per creare ed equipaggiare centri sanitari d'emergenza che provvedano assistenza medica, acqua potabile e consulenza sui traumi. Secondo l'Organizzazione Mondiale per la Sanita', per implementare le attivita' chiave necessarie al controllo della salute pubblica, occorrono almeno, e urgentemente, 60 milioni di dollari. * Sia lo staff del Fondo Onu sia quello di "Madre", basandosi sull'esperienza di altre crisi internazionali, sostengono che dopo qualsiasi sciagura le donne, in una societa' distrutta, devono fronteggiare nuove pressioni, poiche' sono ritenute responsabili della cura dei malati, dei vecchi e dei bambini. L'aumento dei bisogni in questo senso puo' impedire alle donne di presentarsi ai centri che distribuiscono cibo o medicinali e di occuparsi delle proprie necessita'. Questo sembra particolarmente vero nella situazione attuale. Migliaia di vedove di pescatori stanno provvedendo da sole ai bisogni delle loro famiglie. "Il fardello delle necessita' di base e' gettato sulle donne, sostiene Susskind, E allo stesso tempo, i loro bisogni vengono sistematicamente sacrificati quando le risorse scarseggiano". Il Fondo Onu ha stimato che degli oltre cinque milioni di individui direttamente colpiti dallo tsunami, almeno 150.000 sono donne incinte che hanno bisogno urgente di sostegno medico e nutrizionale: molte di esse stanno vivendo complicazioni nella gravidanza e molte stanno soffrendo lo shock degli aborti provocati dal trauma. Si prevede che oltre 50.000 donne, nelle zone colpite, partoriranno nei prossimi tre mesi. La possibilita' che lo facciano in circostanze di igiene e sicurezza e' stata distrutta assieme al resto. Le levatrici sopravvissute, che tradizionalmente in questi luoghi provvedono aiuto in casa alle partorienti potrebbero, a causa delle difficolta' che muoversi ora comporta, non riuscire a raggiungere le donne che hanno bisogno di loro. I bisogni igienici sono spesso trascurati, nei momenti di crisi, ma non avere tamponi o assorbenti per le mestruazioni puo' incidere sulla dignita' personale di una donna, limitare la sua mobilita', e persino impedirle di recarsi nei luoghi ove riceverebbe aiuto. Per cominciare ad affrontare il problema, il Fondo Onu ha stanziato tre milioni di dollari per le necessita' igieniche e relative alla maternita' delle donne dello Sri Lanka, delle Maldive, della Tailandia e dell'India. Il Fondo ha lanciato un appello ai donatori, perche' continuino a sostenere le popolazioni colpite nei prossimi sei mesi, ovvero nella fase acuta della crisi. "Tre milioni sono il seme per iniziare", dice del Vecchio. Egli sostiene che il modo migliore per far giungere gli aiuti e' lavorare con le organizzazioni presenti nelle regioni colpite. Le folle sono disperate e frenetiche, aggiunge, e percio' si aspetta che vi siano difficolta' a far giungere i rifornimenti igienici nelle mani delle donne. Del Vecchio ha una proposta, al riguardo: "Le donne sono spesso messe in una posizione in cui devono barattare qualcosa per avere gli aiuti, e a volte barattano se stesse sessualmente, per dar da mangiare ai propri figli. Un modo per assicurarsi una distribuzione equa degli aiuti, e' affidare la distribuzione alle donne. Abbiamo visto che sono bravissime, in questo. Conoscono famiglia per famiglia, sanno chi ha bisogno di che cosa. Inoltre, dar loro questo ruolo le rende meno vulnerabili alle molestie". Per maggiori informazioni: - Madre: www.madre.org - United Nations Population Fund: www.unfpa.org - The Women and Media Collective: www.cenwor.lk/womenmedia.html 3. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE SECONDA) [Ringraziamo di cuore Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci permesso di riprodurre sul nostro foglio ampi stralci dal suo utilissimo libro Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando alcuni passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa. Bruno Segre, storico e saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della cooperazione e di educazione delgi adulti nell'ambito del Movimento Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del "Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991 presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam"; dirige la prestigiosa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail: segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; Shoah, Il Saggiatore, Milano 1998, 2003] La dialettica dei bicipiti: botte e lacrime a Vienna e a Berlino Vienna, febbraio 1921. L'impero austro-ungarico ha cessato di esistere da meno di tre anni. In un teatro viene messo in scena Girotondo, e fulmineamente si scatena una gazzarra sessuofobica, subito strumentalizzata sul terreno politico. Girotondo e' una piece che quel "sudicione ebreo" di Arthur Schnitzler (1862-1931) ha scritto circa venticinque anni prima, e che nel frattempo gli ha procurato una serie di processi in tribunale e noie senza fine con la censura. Gli scritti teatrali di Schnitzler - probabilmente le espressioni drammaturgiche piu' significative nella Vienna a cavallo dei due secoli - brillano soprattutto per la penetrante capacita' di rappresentare la decadenza della borghesia viennese: donne e uomini tesi con disperata vuotaggine a soddisfare i propri desideri immediati, come nelle operette di Strauss e di Lehar; un mondo esteriormente scintillante, ma minato alla radice da un egoismo diffuso e da un'insuperabile difficolta' nel comunicare. In Girotondo Schnitzler illustra con ironia graffiante proprio tale tematica. Mette infatti in scena un intreccio fittissimo di rapporti sessuali interdipendenti fra dieci personaggi che incarnano l'intero spettro della societa' viennese della Belle Epoque (il conte, la prostituta, il soldato, la cameriera e cosi' via): personaggi che danno vita a un carosello erotico sfrenato, nel quale si rivelano capaci di un unico genere di comunicazione interpersonale, quella sessuale. Un sesso senza amore, ridotto a semplice rituale meccanico. Questo approccio non vittoriano al tema dei costumi sessuali viene percepito come scandaloso negli ambienti clericali e nazional-conservatori austriaci, i cui organi di stampa si affrettano a incitare gli "apaches del cardinale" viennese Piffl a mettere fine a quell'oscenita'. "Il senso morale del nostro popolo cristiano, radicato nella propria terra, viene di continuo ferito nel piu' grave dei modi dalla rappresentazione di una sordida commedia uscita dalla penna di un autore ebreo", tuona monsignor Ignaz Seipel, leader dei cristiano-sociali (il maggiore partito borghese austriaco) e futuro cancelliere dell'Austria. Ancora piu' esplicitamente gli fa eco la "Reichspost", organo ufficioso del suo partito, con un bel sillogismo: Schnitzler e' ebreo, Dernau (il regista) e' ebreo, Neumann (il borgomastro socialdemocratico di Vienna) e' ebreo. "La socialdemocrazia si e' di nuovo presentata come usbergo del giudaismo. Anche il pubblico e' composto quasi esclusivamente di profittatori e pescecani ebrei. La socialdemocrazia, in ossequio alla sua missione, si e' di nuovo posta dietro quel giudaismo che vuole annientare sul piano morale ed economico il nostro popolo. Lo si dovra' tenere bene a mente!". La sera del 10 febbraio, durante la rappresentazione scoppia il tumulto, con fischi e urla: "Porci, fuori marmaglia di profittatori, canaglie ebree!". Volano fialette puzzolenti e gusci d'uovo pieni di catrame; dalle porte spalancate per l'acre tanfo irrompono varie centinaia di energumeni inferociti che fracassano finestre e specchi, scaraventano dal loggione suppellettili e poltrone sul palcoscenico e sugli spettatori, gia' presi a bastonate, a ceffoni e insulti, trascinano le donne per i capelli, fanno assaggiare tirapugni e manganelli ai loro accompagnatori che tentano di difenderle. La polizia interviene molto tardi arrestando sette dimostranti e sospendendo le rappresentazioni "per ragioni di pubblica sicurezza". In Parlamento socialdemocratici e cristiano-sociali si affrontano con virulenza e senza costrutto. Ma la' dove fallisce la dialettica parlamentare prevale la dialettica dei bicipiti in un autentico "pogrom teatrale": una prima pallida prova generale delle imminenti (ma non ancora prevedibili) aggressioni dei nazisti. * L'anno successivo, 1922, nelle librerie di Vienna e' in vendita un'opera narrativa, arguta e breve ma carica di premonizione. Si intitola La citta' senza ebrei. Un romanzo di dopodomani. L'autore e' Hugo Bettauer (1872-1925), uno scrittore di origine ebraica che negli ambienti intellettuali viennesi gode di larga notorieta' per le sue spregiudicate provocazioni. Redatto in uno stile disinvolto e brillante, questo piccolo capolavoro viene tradotto in piu' lingue e va incontro a un successo fulmineo: oltre 250 mila copie vendute nel giro d'un paio d'anni. La vicenda narrativa e' presto riassunta: il Parlamento austriaco approva all'unanimita' una legge che sancisce il bando degli ebrei dall'Austria. Vienna immiserisce subito; le banche, le industrie, i negozi, i leggendari teatri e i caffe' piu' celebri chiudono i battenti; le vivaci ragazze viennesi rimpiangono i loro corteggiatori ebrei, audaci e generosi; la moda propone squallidi Loden e scarponi chiodati; la letteratura, la musica e il teatro approdano allo strapaese montanaro. Insomma, l'esodo degli ebrei viene sperimentato come la rovina di Vienna. E cosi', questo scintillante divertissement letterario termina descrivendo il richiamo a furor di popolo degli espulsi, che rientrano in citta' in una cornice di gioiosa tolleranza. La Storia, come sappiamo, sara' molto meno clemente. Ma al di la' d'ogni loro piu' o meno vago presagio, ne' Bettauer, ucciso nel 1925 da un militante nazista rimasto praticamente impunito, ne' Schnitzler, che morira' sei anni piu' tardi, sono in grado di immaginare il destino che il regime pantedesco instaurato da un loro giovane compatriota di provincia - Adolf Hitler - riservera' agli ebrei d'Europa tra la fine degli anni Trenta e il 1945. * E' vero che la neonata Repubblica Austriaca e' un Paese di deracines sull'orlo della carestia e dell'universale declassamento, scosso da aspre lotte sociali, in preda a un'inflazione disastrosa, mutilato nella sua geografia e nei corpi dei reduci; ed e' anche vero che in questo Paese basta la rappresentazione di un testo teatrale "pornografico", scritto un quarto di secolo prima da un autore "debosciato, asiatico, degenerato", per dare ai peggiori filistei l'occasione di indignarsi moralmente, offrendo loro pretesti per una strumentalizzazione politica e per la comoda individuazione di un capro espiatorio. Ma per il momento, l'immagine degli ebrei inginocchiati per terra a Vienna - come saranno nel marzo 1938 - a cancellare con la spazzola gli slogan contro l'annessione al Terzo Reich, e' ancora lontanissima. Nei Paesi di lingua tedesca, l'itinerario che dalla meschinita' filistea conduce al nazismo e' per ora soltanto agli inizi. Non sarebbe corretto giudicare la condizione degli ebrei austriaci e tedeschi, negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, solo sulla base dell'antisemitismo voelkisch (etnico) di cui grondano molti dei libri e opuscoli che le tipografie vanno allora sfornando; cosi' come sarebbe sbagliato affermare che la vita dell'ebreo medio sia condizionata in quei Paesi da sofferenze e discriminazioni continue. Di solito l'antisemitismo non si configura come una minaccia attiva, ma come un tormento superficiale, anche se tedioso e irritante. "Si consideri ad esempio il caso di Gustav Mahler [1860-1911]", ricorda in un'intervista Ernst H. Gombrich, "particolarmente il fatto che Mahler abbia dovuto battezzarsi per poter assumere la direzione dell'Opera di Vienna. (...) Pressioni perche' gli ebrei si convertissero erano pressoche' all'ordine del giorno in Austria. Mio padre mi racconto' un giorno che, a una persona desiderosa di ottenere una posizione piu' elevata nell'amministrazione statale, il responsabile del personale rispose - e la risposta e' meno rozza e diretta di come potrebbe essere oggi: 'certo, lei ha ottime referenze e tutti i titoli per ambire al nuovo incarico, le manca pero' un documento'. Si riferiva al certificato di battesimo. Si poteva comunque scegliere se battezzarsi o meno: non tutti peraltro si battezzavano. Alcuni erano cosi' ricchi da potersi permettere di non battezzarsi". * Tra austriaci (e tedeschi) da un lato, ed ebrei dall'altro, la cooperazione e la comprensione non sono l'eccezione bensi' la regola: non soltanto nel mondo degli affari, delle banche, dell'editoria e delle arti, ma anche, cosa piu' importante, nei rapporti interpersonali. Tedeschi ed ebrei si sposano tra loro e fanno figli assieme; le statistiche germaniche mostrano che, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, un terzo dei matrimoni celebrati da ebrei sono in realta' matrimoni misti. Tedeschi ed ebrei frequentano le stesse scuole, lavorano nelle stesse aziende, scrivono per gli stessi giornali, si arruolano volontari nello stesso esercito, subiscono mutilazioni e vengono uccisi fianco a fianco negli stessi fatti d'armi. A Berlino - dove prima della Grande guerra gli ebrei sono in proporzione meno della meta' che a Vienna - "lo splendore dell'impero del Kaiser, la sua ricchezza interiore ed esteriore, erano dovuti in larga misura alla parte ebraica della popolazione". Cosi' scrivera' nell'autobiografia Doppelleben ("Doppia vita", 1950) un nazista "pentito", il poeta tedesco Gottfried Benn (1886-1956). Quanto agli anni del dopoguerra, Benn rileva che "la valanga travolgente di stimoli, di improvvisazione artistica, scientifica e commerciale che tra il 1918 e il 1933 elevarono Berlino all'altezza di Parigi, provenivano in gran parte da questa minoranza, dai suoi legami internazionali, dalla sua sensibilita' irrequieta, e, soprattutto, dal suo infallibile istinto per la qualita'". Quello che le notazioni di Benn registrano e' un rapidissimo ma problematico processo di sviluppo socio-culturale che, iniziato con l'emancipazione ottocentesca, ha condotto in pochi decenni gli ebrei tedeschi e austriaci - usciti finalmente dal lungo isolamento fisico e mentale dei ghetti - ad aprirsi un varco verso "orizzonti imprevedibili" (come scrivera' in Idee e opinioni, 1957, Albert Einstein). * Si tratta di un processo che coincide temporalmente con l'apogeo che la cultura di lingua tedesca (soprattutto durante la Repubblica di Weimar) tocca in tutti i campi: dalla musica alla letteratura, dalle arti figurative alla ricerca scientifica e tecnologica. Si badi, pero', che entro questo contesto di primato culturale tedesco, l'apporto degli ebrei, pur essendo straordinariamente significativo, non e' di certo prevalente (basti qui ricordare due figure-guida di non ebrei: Thomas Mann e Max Planck). Cio' nondimeno, l'attiva presenza di ebrei a tutti i livelli della vita culturale e pubblica suscita le gelosie di molti "veri" tedeschi. Se ne rende conto con lucidita', sin dal 1911, il critico Moritz Goldstein, che scrivendo sul settimanale "Kunstwart" ammonisce: "Quando i cristiani permisero ai paria della loro societa' di ritagliarsi la propria parte all'interno della cultura europea, non avevano previsto, ne' voluto, un fenomeno di questo genere. Allora cominciarono a ostacolarlo, ripresero a chiamarci stranieri e a considerare pericolosa la nostra presenza nel tempio della loro civilta'". E stigmatizzando "quegli ebrei che sono completamente ignari, che continuano a prendere parte alle attivita' culturali come se niente fosse, che fingono e si convincono di non essere identificati", conclude: "Noi ebrei stiamo amministrando le proprieta' spirituali di una nazione che ci nega il diritto e le capacita' di farlo". A cio' si aggiunga che nella mente del pubblico medioborghese - appartenga esso alla destra estrema o a quella moderata -, tutto quanto appare "audace", "moderno" o "scandaloso" nei campi delle arti figurative, della musica e della letteratura viene identificato con gli ebrei. Tant'e' che, quando subito dopo la morte di Frank Wedekind (1864-1918), che non era un ebreo, va in scena a Monaco (dicembre 1919) il suo Schloss Wetterstein, un dramma "sessualmente esplicito", la destra politica non esita a definirlo "spazzatura ebraica". Anche se e' corretto ritenere che scrittori e artisti ebrei non esprimano un modernismo piu' estremo dei loro colleghi non ebrei, rimane tuttavia innegabile che il modernismo fiorisce in un contesto culturale nel quale gli ebrei esercitano una funzione di notevole rilievo. Per tutti coloro che, nella Germania degli anni Venti, vedono nel modernismo culturale l'insolente rifiuto dei valori e delle norme di fondo della tradizione, gli ebrei sono i latori di una minaccia gravissima. Ancor piu' minacciosa del modernismo culturale, pero', appare la cultura di sinistra in tutti i suoi aspetti. Come rileva Istvan Deak, autore di un'importante indagine circa gli intellettuali di sinistra nella Germania di Weimar, "se il contributo culturale degli ebrei fu fortemente sproporzionato rispetto alla loro forza numerica, la loro partecipazione alle attivita' intellettuali di sinistra lo fu ancora di piu'. A parte la letteratura comunista ortodossa, rappresentata in maggioranza da non ebrei, gli ebrei erano responsabili della gran parte della letteratura di sinistra prodotta in Germania. [Il periodico] "Die Weltbuehne" non era, sotto tale aspetto, un caso isolato; gli ebrei pubblicavano, controllavano e in gran parte scrivevano le altre riviste intellettuali di sinistra. Essi svolgevano inoltre un ruolo decisivo nei movimenti pacifista e femminista e nelle campagne di liberazione sessuale". * Nell'immediato dopoguerra, tuttavia, la vera insuperabile difficolta' con cui gli ebrei tedeschi devono fare i conti e' la stessa Repubblica di Weimar. E' vero che sotto quel regime - chiave di volta del sistema politico istituito in Europa (Versailles, giugno 1919) dai vincitori del primo conflitto mondiale - la Germania, superate le prove della tempesta inflazionistica e del crollo del marco (1922), realizza una spettacolare ripresa economica: meno di dieci anni dopo la fine della guerra, il Paese e' di nuovo la piu' forte potenza economica del continente, in testa sia all'Inghilterra che alla Francia. Ma politicamente e' un colosso con i piedi d'argilla, incapace di darsi un governo vigoroso e stabile. La sua struttura istituzionale, priva di radici storiche, manca del consenso delle masse. L'inflazione del 1922-23 aggrava la situazione sociale, portando alla rovina le classi medie. L'industria tedesca e' in grande espansione, i suoi prodotti ricompaiono sui mercati mondiali, i salari crescono, ma i ceti medi - gli agricoltori e i professionisti - non partecipano a questa prosperita' e imputano alla Repubblica il loro progressivo impoverimento. E soprattutto, nell'immaginario di molti tedeschi il regime di Weimar, nato dalla disfatta, rimane indissolubilmente vincolato alla disfatta, e in particolare agli ebrei, odiosi "autori di tale scelleratezza" (come asserisce Hitler in Mein Kampf, 1924). Weimar, dunque, come Judenrepublik. E' innegabile che alcune grosse case editrici e influenti organi di stampa d'orientamento liberal (come il "Berliner Tageblatt", la "Vossische Zeitung" e la "Frankfurter Zeitung") sono diretti da ebrei. Cosi' come ebrei sono numerosi giornalisti, critici teatrali, musicali, artistici e letterari, nonche' i responsabili di importanti gallerie d'arte e di altri centri culturali. Ma sia chiaro: nella vita politica di Weimar, se si escludono i primissimi tempi, gli ebrei svolgono una parte piuttosto irrilevante. I primi e ultimi politici ebrei di qualche peso della neonata Repubblica sono Walther Rathenau (1867-1922; ministro della Ricostruzione nel 1921 e degli Esteri nel 1922, anno in cui viene assassinato da estremisti di destra) e Rudolf Hilferding (1877-1941; ministro socialdemocratico delle Finanze nel 1923 e nel 1928-29, morto suicida in Francia durante la seconda guerra mondiale, allorche' la polizia del regime di Vichy lo consegnera' ai carnefici di Hitler). E' vero che il Partito comunista tedesco viene costituito grazie al contributo decisivo di ebrei; ma con l'avvento a Mosca dello stalinismo essi sono presto rimossi dai vertici dell'organizzazione, proprio come nell'Urss. E nelle elezioni del 1932, quando il partito presenta cinquecento candidati riuscendo a farne eleggere un centinaio, neppure uno di questi e' ebreo. Secondo un'indicazione di Klaus Voigt, durante la Repubblica di Weimar gli ebrei votano in prevalenza per i partiti liberali. Nella fase finale della Repubblica, quando ormai la dimensioni di questi partiti sono ridotte ai minimi termini, gli ebrei vanno spostando i loro suffragi verso il partito socialdemocratico e a volte persino verso il partito cattolico di centro. Simili orientamenti elettorali non sono legati tanto al fatto che gli ebrei si riconoscano nei programmi politici di questi due partiti, quanto al fatto che, negli auspici dell'elettorato ebraico, tali partiti dovrebbero essere in grado di difendere la Repubblica contro il nazionalsocialismo. Correnti nazionaliste e autoritarie non trovano molto seguito fra gli ebrei; le adesioni rimangono essenzialmente limitate alla Lega dei soldati ebrei combattenti al fronte (Reichsbund Juedischer Frontsoldaten) e all'Associazione degli ebrei tedeschi nazionalisti (Verband Nationaldeutscher Juden), che sono l'espressione di orientamenti ultra-assimilatori e tentano persino, senzasuccesso, di allacciare contatti con i nazionalsocialisti. Nel rapporto assai complesso tra il mondo germanico e i suoi ebrei, la svolta decisiva si registra alla fine degli anni Venti in occasione della grande depressione (1929-32), che colpisce la Germania piu' duramente di molti altri Paesi, forse piu' degli stessi Stati Uniti. Protagonista di questa virata, foriera di un'atroce catastrofe, e' Adolf Hitler. 4. RIFLESSIONE. HAIFA ZANGANA: DONNE E DEMOCRAZIA IN IRAQ [Ringraziamo Maria Chiara Tropea (per contatti: a.alba at areacom.it) per averci segnalato e inviato la traduzione italiana di questo articolo di Haifa Zangana apparso sul prestigioso quotidiano britannico "The Guardian" il 22 dicembre 2004. Haifa Zangana e' una scrittrice nata in Iraq ed ex prigioniera del regime di Saddam Hussein] Il Dipartimento di Stato Usa ha lanciato una "iniziativa democratica per le donne irachene", per un ammontare di dieci milioni di dollari per addestrare le donne irachene alle tecniche e alle pratiche della vita democratica prima delle elezioni progettate. Paula Dobriansky, sottosegretaria di Stato agli affari globali, ha dichiarato: "Noi daremo alle donne irachene gli strumenti, l'informazione e l'esperienza di cui hanno bisogno per dirigere un ufficio e adoperarsi per essere trattate correttamente". Il fatto che questi soldi andranno principalmente ad organizzazioni implicate con l'amministrazione Usa, come Independant Womens Forum (Iwf) fondata dalla moglie di Dick Cheney, Lynn, non e' stato affatto menzionato. Tra tutte le gaffes dell'amministrazione Bush in Iraq, la piu' enorme e' la sua incapacita' a comprendere il popolo iracheno e in particolare le donne. Il suo difetto principale e' di percepire le donne irachene come silenziose, come le vittime senza potere di una societa' costruita dagli uomini e aventi un urgente bisogno di "liberazione". Questa immagine si integra molto bene nel quadro complessivo del popolo iracheno come vittima passiva pronta ad accogliere l'occupazione del suo paese. La realta' e' differente: le donne irachene erano attivamente coinvolte nella vita pubblica anche sotto l'impero ottomano. Le prime scuole per ragazze furono attivate nel 1899, le prime organizzazioni delle donne nel 1924. Nel 1937, quattro riviste femminili venivano pubblicate a Baghdad. Le donne furono coinvolte nella rivoluzione del 1920 contro l'occupazione britannica, anche nei combattimenti. Negli anni '50, alcuni partiti politici crearono delle organizzazioni di donne. Tutti seguivano lo stesso principio: combattendo fianco a fianco degli uomini, le donne liberavano contemporaneamente se stesse. Se ne trova la prova in quello che segui' la rivoluzione del 1958, che mise fine alla monarchia imposta dalla Gran Bretagna, quando le donne realizzarono in due anni quello che non era riuscito nel corso dei trent'anni di occupazione britannica: l'uguaglianza legale. Questo processo ha guidato l'Unicef nel suo rapporto del 1993: "E' raro che nel mondo arabo delle donne godano di tanto potere come in Iraq: uomini e donne devono ricevere lo stesso salario per lo stesso lavoro: la pensione di una donna e' riconosciuta come indipendente da quella di suo marito. Nel 1974, l'educazione e' stata liberalizzata a tutti i livelli, e nel 1979 e' diventata obbligatoria per ragazzi e ragazze fino ai dodici anni". All'inizio degli anni '90, l'Iraq aveva uno dei tassi di alfabetizzazione piu' elevati del mondo arabo. C'erano piu' donne professioniste in posizione di potere che in qualsiasi altro paese del Medio Oriente. La tragedia e' stata che le donne vivevano sotto il regime di oppressione di Saddam. E' vero, le donne occupavano posizioni politiche elevate, ma non hanno fatto nulla per protestare contro l'ingiustizia inflitta alle loro sorelle che si opponevano al regime. * La stessa cosa sta succedendo nel "nuovo Iraq democratico". Dopo la"liberazione", Bush e Blair strombazzavano la liberazione delle donne come pietra miliare della loro visione dell'Iraq. Alla Casa Bianca, alcune donne irachene, selezionate con cura, hanno recitato omelie disperatamente doverose per giustificare l'invasione dell'Iraq. In giugno, la sovranita' nominale e' stata trasmesssa ad un governo iracheno ad interim, designato dagli Usa, comprendente sei donne ministre di gabinetto. Non sono state elette dal popolo iracheno. Sotto il regime di Allawi, le "forze multinazionali" restano al riparo dalle riparazioni legali, e sono raramente ritenute responsabili dei crimini contro gli iracheni. Il fossato tra le donne componenti del regime di Allawi, e la maggioranza delle donne irachene si ingrandisce ogni giorno. Mentre i ministri del gabinetto e le ambasciate degli Usa e della Gran Bretagna sono al sicuro all'interno della zona verde fortificata, si nega agli iracheni il diritto elementare di camminare con sicurezza nelle proprie strade. Ai lati delle strade sono parcheggiati dei carri armati Usa con la scritta "se sorpassate il convoglio, sarete uccisi". La mancanza di sicurezza e la paura dei rapimenti fanno si' che le donne irachene siano prigioniere nelle loro case. Sono le testimoni del saccheggio del loro paese da parte di Halliburton, Bechtel, delle ong Usa, dei missionari, dei mercenari e dei sottoposti locali, mentre manca loro l'acqua potabile e l'elettricita'. Nel paese del petrolio, devono fare una fila di cinque ore al giorno per avere del kerosene o del petrolio. La malnutrizione acuta e' raddoppiata nei bambini. Una disoccupazione al 70% ha aggravato la poverta', la prostituzione, gli aborti clandestini e le morti "d'onore". La corruzione e il nepotismo sono in auge nel governo ad interim. Il ministro dell'interno, Al-Nagib, ha riconosciuto di aver designato 49 membri della sua famiglia in alti posti, ma solo perche' erano qualificati. L'assassinio di universitari, di giornalisti e di scienziati non ha risparmiato le donne: hanno ucciso Liga Abdul Razaq, una speaker dei notiziari della Tv al-Sharqiyya con il suo bambino di due mesi. Layla al-Saad, decana dell'universita' di Mosul e' stata massacrata nella sua casa. Il silenzio delle "femministe" del regime di Allawi e' assordante. Le sofferenze delle loro sorelle bruciate nelle citta' da bombe al napalm, al fosforo e a frammentazione dagli aerei a reazione Usa, la morte di almeno 100.000 iracheni di cui almeno la meta' donne e bambini, viene spiegata con la retorica dell'insegnamento della democrazia. Tony Blair ha riconosciuto ieri a Baghdad che le violenze proseguiranno prima e dopo le elezioni ma ha aggiunto: "D'altra parte, avremo un espressione molto chiara della volonta' democratica". Forse non sa che "democrazia" e' quella parola che le donne irachene usano al giorno d'oggi per spaventare i loro bimbi innocenti, urlando loro : "zitti o chiamo la democrazia!". 5. MAESTRI. NELSON MANDELA: UN FIGLIO E LA VERITA' [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 gennaio 2005 riprendiamo la dichiarazione rilasciata ai mezzi d'informazione internazionali da Nelson Mandela alcuni giorni fa. Nelson Mandela ("Madiba" e' il nomignolo con cui lo chiamano affettuosamente) e' il piu' grande rappresentante vivente della lotta contro il razzismo, per la dignita' di ogni essere umano; nato nel 1918, tra i leader principali dell'African National Congress, nel 1964 e' condannato all'ergastolo dal regime razzista sudafricano; non accetta nessun compromesso, nel corso dei decenni la sua figura diventa una leggenda in tutto il mondo; uscira' dal carcere l'11 febbraio 1990 come un eroe vittorioso; premio Nobel per la pace nel 1993, primo presidente del Sudafrica finalmente democratico. Opere di Nelson Mandela: fondamentale e' l'autobiografia Lungo cammino verso la liberta', Feltrinelli, Milano 1995; tra le raccolte di scritti ed interventi pubblicate prima della liberazione cfr. La lotta e' la mia vita, Comune di Reggio Emilia, 1985; La non facile strada della liberta', Edizioni Lavoro, Roma 1986; tra le raccolte pubblicate successivamente alla liberazione: Tre discorsi, Centro di ricerca per la pace, Viterbo 1991; Contro ogni razzismo, Mondadori, Milano 1996; Mai piu' schiavi, Mondadori, Milano 1996 (il volume contiene un intervento di Nelson Mandela ed uno di Fidel Castro). Opere su Nelson Mandela: Mary Benson, Nelson Mandela: biografia, Agalev, Bologna 1988; François Soudan, Mandela l'indomabile, Edizioni Associate, Roma 1988; Jean Guiloineau, Nelson Mandela, Mondadori, Milano 1990; John Vail, I Mandela, Targa Italiana, Milano 1990; Fatima Meer, Il cielo della speranza, Sugarco, Milano 1990. Si vedano anche Winnie Mandela, Finche' il mio popolo non sara' libero, Sugarco, Milano 1986; Nancy Harrison, Winnie Mandela, Jaca Book, Milano 1987] Alcuni di voi sanno che da qualche tempo, da piu' di tre anni, io vado dicendo che e' necessario dare pubblicita' all'Aids, e non nasconderlo. Perche' questa e' l'unica strada per farlo apparire come una malattia normale, esattamente al pari delle tubercolosi o del cancro: venire allo scoperto e dire che qualcuno e' morto a causa dell'Hiv. Cosi' che la gente possa smettere di considerarlo un fatto straordinario, come una malattia riservata solo a gente condannata ad andare all'inferno anziche' in paradiso. Io sono fiducioso che mano a mano che il tempo passa noi tutti raggiungeremo la convinzione che e' importante parlare apertamente della gente che muore a causa dell'Aids. E' per questo che, ora che cio' e' accaduto a me, ho deciso di annunciare la morte a causa dell'Aids di un membro della mia famiglia. Avevo preso questa decisione ben prima di sapere che un qualsiasi membro della famiglia fosse malato di Aids. Se i membri della mia famiglia avessero scelto di restarsene in silenzio, sarebbero stati i dottori, le infermiere e l'altro personale degli ospedali a parlarne: "Avete saputo che il figlio o il nipote di Mandela e' morto di Aids?". Questo avrebbe gettato una luce davvero pessima sui membri della famiglia per non avere saputo loro stessi venire allo scoperto e rivelare coraggiosamente che un membro della famiglia e' morto di Aids. Non dobbiamo avere paura e nascondere la causa delle morti nelle nostre rispettive famiglie perche' questo e' il solo modo con cui noi possiamo far capire alla gente che l'Hiv e' una malattia comune. Questo e' il motivo per cui noi vi abbiamo invitati qui oggi per annunciarvi che mio figlio e' morto di Aids. 6. RIFLESSIONE. GIAMPAOLO CALCHI NOVATI: NELSON MANDELA TESTIMONE E GUIDA DELLA LOTTA CONTRO L'AIDS [Dal quotidiano "Il manifesto" del 7 gennaio 2005. Giampaolo Calchi Novati, nato nel 1935, docente universitario, e' tra i massimi esperti italiani delle questioni del sud del mondo. Tra le opere di Giampaolo Calchi Novati: Neutralismo e guerra fredda (1963); L'Africa nera non e' indipendente (1964); Le rivoluzioni nell'Africa nera (1967); La rivoluzione algerina (1969); Decolonizzazione e terzo mondo (1979); La decolonizzazione (1983); Dopo l'apartheid (a cura di, 1986); L'Africa (1987); Nord/Sud (1987); Maghreb (a cura di, 1993); Il Corno d'Africa nella storia e nella politica (1994); Dalla parte dei leoni (1995); Storia dell'Algeria indipendente (1998); Il canale della discordia (1998)] Non si puo' parlare di fatalita'. Non e' una stata una beffa. Qualsiasi evento che riguardi la vita di Nelson Mandela, anche i lati piu' intimi del suo privato, della sua famiglia, assume una dimensione "politica". E' stato cosi' quando la moglie Winnie e' incappata in disavventure di carattere penale, gettando una macchia sulla coppia che aveva impersonato a lungo - lui in carcere, lei sulle barricate - la resistenza del popolo sudafricano all'apartheid e alle sue ignominie. E' cosi' oggi, in questa nuova tragedia, con la morte per Aids di quello che era ormai il suo unico figlio maschio, Makgatho, di 56 anni. Madiba [il nomignolo con cui e' affettuosamente chiamato Nelson Mandela da tutti i sudafricani] ha detto, in una conferenza-stampa che ha sicuramente rappresentato per lui una prova tremenda, di non volere misteri sulla morte del figlio per restituire l'Aids al suo rango di malattia "normale". Ma in realta' la rivelazione, mettendo fine a illazioni e voci incontrollate, ha avuto proprio l'effetto contrario e ha contribuito a trasformare in politica il dramma personale dello stesso Mandela collegandolo alla battaglia che da presidente ed ex-presidente ha condotto per contenere e sconfiggere la piaga dilagante dell'Aids, fino a farne uno dei pilastri del suo impegno e un motivo di netta divergenza con Thabo Mbeki, prima suo vice e poi suo successore alla presidenza. L'Aids e' assurto infatti a problema politico cruciale per il Sudafrica del dopo-apartheid, menomando le capacita' di un'intera generazione di uomini e donne, attaccati dagli effetti di un morbo che riduce dolorosamente la durata della vita delle singole persone e che intanto incide pesantemente sull'integrita' della societa' e sulla produttivita' economica. * Nelson Mandela ha raccontato lui stesso nell'autobiografia - Lungo cammino verso la liberta' [tr.it. presso l'editore Feltrinelli, Mlano] - la sua formazione, la militanza nell'African National Congress, le sofferenze negli anni di detenzione, la guida offerta al partito e alle masse del Sudafrica con il suo esempio e la lezione che discendeva dal suo passato, giacche' per tutto il periodo culminante della lotta contro il razzismo Mandela e' rimasto fuori campo. Passo dopo passo, la sua vita e' diventata storia. L'intreccio fra un uomo, sia pure un uomo eccezionale, e il suo paese, il suo popolo, e' il prodotto di una interazione con i fattori profondi che muovono la storia. Come pochi altri, in Africa e nel mondo, Mandela ha interpretato i valori positivi che malgrado tutto hanno animato la seconda meta' del Novecento, l'era della decolonizzazione, dell'emancipazione di interi continenti, oltre che di molte speranze andate deluse o frustrate. Quando usci' dal carcere in quei giorni indimenticabili del febbraio 1990 era un vecchio, ma si capi' benissimo che la sua potesta' di dominare gli eventi era intatta. Se la transizione dallo stato razzista allo stato democratico ha avuto successo, con costi in fondo assai inferiori a quello che tutti avevano temuto, fu grazie alla combinazione di molte componenti. Ma decisiva e' stata l'influenza della personalita' di Mandela, esercitata con pari efficacia sui neri e sui bianchi. Questo prestigio, a sua volta, non era il frutto del caso. Mandela non ha mobilitato gli africani con l'estremismo e non ha convinto i bianchi con la moderazione. La forza della sua leadership risiede nell'impressione che Mandela sa trasmettere di essere nel giusto, perfettamente nella parte e nello stesso tempo super partes. Nel 1999 Mandela ha lasciato il potere a Mbeki, che e' stato eletto due volte alla massima carica dello stato mantenendo saldo il consenso per l'African National Congress. Via via, Mbeki, soprattutto dopo le elezioni del 2004, non ha potuto piu' nascondersi dietro la personalita' di Mandela. Dal canto suo, Mandela ha annunciato formalmente di abbandonare la vita politica e tutti i suoi obblighi ufficiali in ragione dell'eta' e della sua fragilita'. La morte di Walter Sisulu nel 2003 aveva rafforzato la sua solitudine, ultimo superstite fra i protagonisti della battaglia politica e morale per la liberazione del Sudafrica, che ci siamo abituati a considerare dei grandi vecchi perche' il regime razzista li ha privati della loro maturita' condannandoli al carcere o all'esilio. Nel parlare della morte del figlio, Madiba e' apparso piu' vecchio che mai. Eppure e' chiaro a tutti in questo momento - la malattia e morte di Makgatho Mandela e' solo un frammento minuscolo del flagello che incombe sul Sudafrica e l'Africa tutta, ancora piu' grave nei fatti concreti e nelle prospettive di medio periodo di quanto non risulti dall'attenzione pur sensazionalistica che a tratti gli viene riservata dai media - che c'e' ancora bisogno di lui. * Come si sa, Thabo Mbeki sul problema dell'Aids si e' opposto strenuamente all'impostazione di Mandela sottolineando di piu', fra le cause dell'epidemia, i mali interni di una societa' povera e indebolita dall'oppressione di cui e' stata vittima rispetto all'uso delle medicine moderne, importate dall'esterno, molto costose e sostanzialmente al di la' dei mezzi della maggioranza della popolazione nera. Anche nei rapporti con la comunita' internazionale, il presidente ha negoziato il pacchetto operativo in modo da accoppiare agli interventi piu' propriamente curativi ex-post, su cui comunque il Sudafrica ha ottenuto qualche vittoria a livello mondiale portando al ribasso del prezzo dei farmaci distribuiti in Africa e nel Terzo mondo, un'azione intesa a prevenire la diffusione del contagio attraverso un miglioramento dei servizi di base. Ora che ha perduto un figlio, Mandela non potra' ne' dire di aver avuto ragione ne' ammettere di avere avuto torto. Anche perche' i due approcci si sostengono a vicenda senza escludersi. L'esperienza personale diventa in se' un motivo di sensibilizzazione, forse un aiuto ulteriore perche' tutto il Sudafrica si attrezzi psicologicamente e politicamente per rispondere con piu' consapevolezza alla sfida che dopo la fine dell'apartheid ha assunto le proporzioni dell'ostacolo principale sulla strada di un paese per molti versi emblematico e all'avanguardia in questo nostro mondo alla ricerca di soluzioni giuste per i problemi che rendono cosi' oscuro il futuro di tutti. 7. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 8. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 807 del 12 gennaio 2005 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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