La nonviolenza e' in cammino. 793



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 793 del 29 dicembre 2004

Sommario di questo numero:
1. Il Movimento Nonviolento aderisce all'iniziativa umanitaria del Lafti per
le vittime del maremoto
2. Appello di "Medici senza frontiere"
3. Due catastrofi
4. Nanni Salio: Il potere sta sulla canna della bici
5. "Tra noi e Lynndie...". Un incontro tra donne
6. Riletture: Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx
7. Riletture: Agnes Heller, La teoria, la prassi e i bisogni
8. Riletture: Agnes Heller, Morale e rivoluzione
9. Riletture: Agnes Heller, Le condizioni della morale
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. APPELLI. IL MOVIMENTO NONVIOLENTO ADERISCE ALL'INIZIATIVA UMANITARIA DEL
LAFTI PER LE VITTIME DEL MAREMOTO
[Da Mao Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta (per contatti: e-mail:
azionenonviolenta at sis.it; sito: www.nonviolenti.org), riceviamo e
diffondiamo questo appello. Nella lettera di invio Mao Valpiana aggiunge:
"Conosciamo e stimiamo molto Krishnammal e Jagannathan, due instancabili e
straordinari amici della nonviolenza. In questi giorni Alberto ed Anna Luisa
L'Abate sono in India, nei villaggi gandhiani". Sulle luminose figure di
Krishnammal e Jagannathan cfr. il bel libro di Laura Coppo, Terra gamberi
contadini ed eroi, Emi, Bologna 2002. Sul Lafti cfr. la scheda di Stefano
Longagnani nel n. 439 dell'8 dicembre 2002 di questo notiziario]

Il Movimento Nonviolento aderisce all'iniziativa umanitaria lanciata dal
Lafti per inviare aiuti alle popolazioni colpite dal maremoto.
*
Cari amici, vi trasmetto le informazioni che ho richiesto all'associazione
italiana Overseas che sostiene l'organizzazione Lafti di Krishnammal
Jagannathan, la leader gandhiana che ricorderete perche' fu in Italia anche
quattro anni fa (nota anche per la vincente campagna nonviolenta contro le
multinazionali dei gamberetti, che distruggevano le economie locali dei
pescatori).
Il Lafti opera da oltre 35 anni a favore della popolazione della poverissima
regione indiana del Tamilnadu. Attualmente era impegnato a soccorrere le
famiglie di contadini della zona di Nagapattinam, che grazie alla
instancabile azione di Krishnammal, del marito Jagannathan e della loro
comunita' gandhiana, avevano ottenuto 10.000 acri da coltivare, e che ad
ottobre erano state drammaticamente colpite da inondazioni che ne avevano
distrutto le abitazioni, vanificato i raccolti, costringendole gia' allo
sfollamento e a morire di fame.
Chi puo' partecipare alla sottoscrizione straordinaria a favore della
popolazione puo' servirsi del conto corrente postale sottoindicato.
Cari saluti,
Maria Antonietta
*
Da Overseas:
Cara Maria Antonietta,
abbiamo appena ricevuto una lettera elettronica dal segretario del Lafti che
ci ha aggiornato sulla drammatica situazione che stanno vivendo. Riportiamo
il testo della lettera: "Tutto il Tamilnadu, e in particolare la nostra area
di Nagapattinam e' stata gravemente colpita. Le citta' di Nagapattinam e
Velankanni (che distano soltanto 13 chilometri dalla sede del Lafti) sono
state danneggiate moltissimo. Ma la sede del Lafti e gli ostelli
dell'"Operazione futuro di speranza" non hanno subito conseguenze, nessun
danno alle persone e alle cose. Nelle due citta' di Nagapattinam e
Velankanni sono morte piu' di 5.000 persone, 12 villaggi completamente
cancellati. In questi 12 villaggi non e' sopravissuto nessun abitante, ne'
sono rimaste le tracce delle loro povere abitazioni".
Il Lafti ci mandera' al piu' presto altre informazioni sugli aiuti che sta
portando alla popolazione.
Ci dicono inoltre che Amma e Appa [Krishnammal e Jagannathan] si trovano a
Madras e possiamo immaginare con quanta apprensione e dolore stiano vivendo
questi momenti.
La lettera si conclude con l'invito "Pray God" (preghiamo Dio). Ed e' quello
che cerchiamo di fare mentre ci facciamo promotori di una sottoscrizione
straordinaria "Emergenza maremoto".
Per la sottoscrizione straordinaria abbiamo acceso un apposito conto
corrente presso la Banca Popolare dell'Emilia Romagna, filiale di
Spilamberto: n.1298672 CAB 5387 ABI 67060 "Overseas-onlus Emergenza
maremoto".
Sara' nostra cura trasmettere agli interessati le informazioni che ci
inviera' il Lafti.
Mario Cavani, Overseas onlus, via Castelnuovo R.ne 1190, 41057 Spilamberto
(Mo), tel. 059785425, fax: 0597860055, e-mail: overseas at overseas-onlus.org,
sito: www.overseas-onlus.org

2. APPELLI. APPELLO DI "MEDICI SENZA FRONTIERE"
[Da Enzo Mazzi, animatore della comunita' dell'Isolotto di Firenze (per
contatti: emazzi at videosoft.it), riceviamo e diffondiamo questo appello. Enzo
Mazzi nella lettera di invio aggiunge: "Perche' i nostri contributi seguano
percorsi il piu' possibile diretti e meno dispersivi, vi segnalo 'Medici
senza frontiere' e vi trasmetto il loro appello"]

In seguito al violento maremoto che ha colpito il Sudest asiatico, "Medici
senza frontiere" (MSF) lancia una campagna di raccolta di fondi
straordinaria per avviare i primi soccorsi.
In queste ore si sta completando l'invio di un aereo cargo con 32 tonnellate
di medicine e materiale medico per le operazioni di soccorso. Questa prima
spedizione permettera' di avviare l'assistenza per le 30.000 e le 40.000
persone nel nord di Sumatra, la regione piu' vicina all'epicentro del
terremoto.
Dieci operatori del pool d'emergenza sono stati gia' mobilitati per valutare
i bisogni in India, Malesia e Indonesia.
Due persone sono in stand-by per valutare la situazione. Un altro team di
quattro persone e' pronto a raggiungerli in 24 ore.
"In occasione di disastri naturali di questa portata, l'immediatezza
dell'intervento puo' fare la differenza nel salvare migliaia di persone.
"Medici senza frontiere" ha deciso di lanciare una campagna di raccolta di
fondi per allestire strutture mediche, fornire ripari e ripristinare le
condizioni igieniche per i senzatetto e gli sfollati", dichiara Stefano
Savi, direttore generale di "Medici senza frontiere Italia".
Per sostenere le azioni di soccorso e' necessario raccogliere almeno 1,5
milioni di euro: per questo abbiamo bisogno del tuo aiuto. Ora.
Donazioni on line con carta di credito: www.medicisenzafrontiere.it
Conto corrente postale: 87486007
Banca Popolare Etica c/c 000000115000 ABI: 05018 CAB: 12100 CIN: B Agenzia
Unica
Numero verde: 800996655
Causale "Maremoto in Asia"
Per informazioni: Medici Senza Frontiere Onlus, via Volturno 58, 00185 Roma,
tel. 064486921, fax: 0644869220, e-mail: msf at msf.it; sede di Milano: largo
Settimio Severo 4, 20144 Milano.

3. EDITORIALE. DUE CATASTROFI
Due catastrofi. In Asia. In Iraq.
Per quanto e' in potere degli esseri umani questo occorre fare: smettere di
uccidere; soccorrere i superstiti. Salvare le vite umane invece di
sopprimerle.

4. EDITORIALE. NANNI SALIO: IL POTERE STA SULLA CANNA DELLA BICI
[Ringraziamo Nanni Salio (per contatti: regis at arpnet.it) per averci messo a
disposizione questo suo articolo apparso su "Azione nonviolenta" n. 12 del
dicembre 2004. Giovanni (Nanni) Salio, torinese, nato nel 1943, ricercatore
nella facolta' di Fisica dell'Universita' di Torino, segretario dell'Ipri
(Italian Peace Research Institute), si occupa da alcuni decenni di ricerca,
educazione e azione per la pace, ed e' tra le voci piu' autorevoli della
cultura nonviolenta in Italia; e' il fondatore e l'attuale presidente del
Centro studi "Domenico Sereno Regis", dotato di ricca biblioteca ed
emeroteca specializzate su pace, ambiente, sviluppo (sede: via Garibaldi 13,
10122 Torino, tel. +39.011532824 - 011549005, fax: +39.0115158000, e-mail:
regis at arpnet.it, sito: www.cssr-pas.org). Opere di Giovanni Salio: Difesa
armata o difesa popolare nonviolenta?, Movimento Nonviolento, II edizione
riveduta, Perugia 1983; Ipri (a cura di Giovanni Salio), Se vuoi la pace
educa alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1983; con Antonino Drago,
Scienza e guerra: i fisici contro la guerra nucleare, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1984; Le centrali nucleari e la bomba, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1984; Progetto di educazione alla pace, Edizioni Gruppo Abele, Torino
1985-1991; Ipri (introduzione e cura di Giovanni Salio), I movimenti per la
pace, vol. I. Le ragioni e il futuro,  vol. II. Gli attori principali, vol.
III. Una prospettiva mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986-1989; Le
guerre del Golfo e le ragioni della nonviolenza, Edizioni Gruppo Abele,
Torino 1991; con altri, Domenico Sereno Regis, Satyagraha, Torino 1994; Il
potere della nonviolenza: dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine
mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1995; Elementi di economia
nonviolenta, Movimento Nonviolento, Verona 2001; con D. Filippone, G.
Martignetti, S. Procopio, Internet per l'ambiente, Utet, Torino 2001]

Il rapporto tra nonviolenza e politica e' mediato dal potere. Ma ci sono
molti modi di intendere sia la politica sia il potere.
Nella tradizione dominante della teoria del cosiddetto realismo politico
(che in realta' e' ben poco realista) vale quanto sostiene C. Wrights Mill:
"tutta la politica e' una lotta per il potere; la forma estrema del potere
e' la violenza" (citato da Ekkehart Krippendorff, a pag. 69 del suo
importantissimo saggio, Critica della politica estera, Fazi, Roma 2004, al
quale faro' ampiamente riferimento).
E la politica, a sua volta, e' intesa sia come politica estera sia come
politica interna. In entrambi i casi, la nascita dello stato moderno avviene
attraverso la centralizzazione, il monopolio, del potere inteso come dominio
e uso della violenza attraverso lo strumento militare (eserciti all'esterno,
forze di polizia all'interno, ma quando occorre sono strumenti
intercambiabili).
Una visione politica della nonviolenza non puo' quindi fare a meno di
confrontarsi criticamente con le varie forme e concezioni di potere.
Gia' Kant distingueva tra la falsa politica, quella che secondo Machiavelli
si propone come "scienza del dominio" per acquisire e mantenere il potere,
ma che inevitabilmente si deve confrontare anche con la perdita del potere,
e la "vera politica", che "non puo' fare alcun passo senza aver prima reso
omaggio alla morale" (vedi Krippendorff, pag. 68).
*
Possiamo analizzare le strutture di potere mediante lo schema seguente [date
le caratteristiche grafiche del nostro notiziario non possiamo riprodurre
qui lo schema, per la visione del quale rinviamo al fascicolo di "Azione
nonviolenta" in cui questo testo e' apparso. Ne diamo comunque una
descrizione esterna: due segmenti perpendicolari definiscono un quadrante,
il segmento verticale ha in alto la didascalia "potere dall'alto (dominio)"
e in basso al didascalia "potere dal basso (nonviolento, di liberazione"; il
segmento orizzontale reca a sinistra di chi legge la didascalia "potere
individuale", e a destra "potere collettivo". Nel quadrante in alto a
sinistra per chi legge ci sono i tre item: leader autoritari, dittatori,
presidenzialismo; nel quadrante in alto a destra: eserciti, multinazionali,
complesso militare-industriale; nel quadrante in basso a sinistra:
empowerment individuale, testimonianza nonviolenta, azione diretta
nonviolenta; nel quadrante in basso a destra di chi legge: people power,
difesa popolare nonviolenta, potere di tuti (Capitini) - ndr-]
*
Come abbiamo gia' detto, il potere dall'alto e' un potere di dominio e la
guerra altro non e', parafrasando Clausewitz, che "la prosecuzione della
politica con altri mezzi", ovvero mediante gli eserciti (Krippendorff, p.
31).
Ma l'intreccio tra la politica, cosi' come e' comunemente intesa dai
realisti, e la guerra e' talmente perverso che si puo' anche ribaltare la
massima clausewitziana sostenendo, con Foucault, che "la politica e' la
prosecuzione della guerra con altri mezzi".
Oggi piu' che mai vediamo come le quattro forme classiche di potere
(politico, economico, militare e culturale) siano cosi' intrecciate e
centralizzate nelle mani di ristrette elites che la formula piu' corretta e'
quella usata sin dagli anni '60 nientemeno che da un generale nonche'
presidente degli Stati Uniti, Eisenhower, che denuncio' il pericolo del
nascente "complesso militare-industriale" cresciuto ai giorni nostri sino a
diventare complesso militare-industriale-scientifico-mediatico.
*
Il potere dal basso, esercitato mediante la lotta nonviolenta, puo' assumere
la forma individuale di testimonianza e di azione diretta oppure quella
collettiva di "people power" che si e' manifestata piu' volte nel corso
della storia, come e' ampiamente documentabile.
In entrambi i casi si deve attivare un processo di empowerment,
riacquisizione di potere personale e collettivo, che permetta di avviare un
circolo virtuoso di fiducia e di lotta (vedi John Friedman, Empowerment.
Verso il potere di tutti, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi 2004).
Ma il potere dal basso puo' basarsi anch'esso sulla violenza e
l'imposizione, secondo la formula maoista che "il potere sta sulla canna del
fucile". Ma questa massima puo' essere resa in forma nonviolenta sostenendo
che "il potere sta sulla canna della bici", ovvero su un modello di sviluppo
e uno stile di vita autenticamente sostenibili, su tecnologie appropriate
(di cui la bici e' il prototipo per eccellenza) e sulla capacita' di
trasformazione nonviolenta dei conflitti, dal micro al macro (Dpn: difesa
popolare nonviolenta).
*
Il potere centralizzato e' oggi reso ancora piu' temibile dalla
tecnoscienza, piegata agli interessi di pochi (armi nucleari e di
distruzione di massa; tecnologie di condizionamento, propaganda e
manipolazione mediatica; fonti energetiche ad alta potenza; biotecnologie
utilizzate per espropriare saperi millenari e creare dipendenza).
Ma al tempo stesso non dimentichiamo che la formula machiavellica del potere
prevede anche che prima o poi i potenti cadano e tramontino. Cosi' come e'
avvenuto nel 1989, quando il "people power" dimostro' in pieno la capacita'
di sconfiggere senza colpo ferire quello che la propaganda statunitense
considerava l'"impero del male", anche il falso "impero del bene", quello
degli Usa, non gode di buona salute.
L'analisi svolta da Galtung e' quanto mai illuminante e ne prevede la fine
entro i prossimi quindici anni, accelerata dalla rielezione di Bush (vedi:
The Fall of the US Empire, nel sito www.transcend.org). Compito della
nonviolenza politica e' di sostenere, contro ogni propaganda e falsa
evidenza, che "esistono alternative", che "il re e' nudo" e che la
nonviolenza e' la strada piu' efficace per costruire i tanto agognati nuovi
mondi possibili.
Ma questo comporta l'assunzione in pieno di responsabilita', di capacita'
progettuali, di grande lungimiranza, continuita' di azione e di
elaborazione, superamento creativo dei conflitti interni ai movimenti e
della loro deleteria frammentazione, dei particolarismi, delle idiosincrasie
personali e delle beghe da cortile.
*
Proviamo a immaginare, a mo' di esercizio, ma senza alcuna pretesa di
esaustivita', quale potrebbe essere un programma politico che si richiami
alla nonviolenza, quello che Gandhi chiamava il "programma costruttivo" e
chiediamoci anche qual e' il soggetto, o i soggetti, che possono proporlo,
sostenerlo e realizzarlo, e con quali modalita'.
Secondo l'analisi di Luigi Bonanate (La politica internazionale tra
terrorismo e guerra, Laterza, Roma-Bari 2004) nell'ultimo decennio la
politica estera e' sempre piu' diventata "politica interna del mondo" ed e'
difficile distinguere tra interno ed esterno. Comunque sia, in politica
estera, intesa in senso tradizionale, possiamo ravvisare due principali
priorita'.
La prima e' la riforma delle Nazioni Unite in senso popolare, assembleare,
democratico, come proposto da vario tempo nelle sedi e dagli autori piu'
autorevoli.
La seconda e' la progettazione della transizione dall'attuale modello di
difesa, aggressivo, offensivo, funzionale alla guerra e che produce
insicurezza, alla Difesa popolare nonviolenta (Dpn).
La fase intermedia di questa transizione (transarmo) vedra' convivere forme
di difesa difensiva (ancora militare) con la nascente Difesa popolare
nonviolenta (Dpn) e con la costituzione dei Corpi civili di pace (Ccp), di
cui gia' oggi esistono molteplici esempi spontanei, dal basso, coordinati
dalla Rete dei Corpi civili di pace (sito: www.reteccp.org).
Ma politicamente, questo significa riduzione programmata delle spese
militari, riconversione dell'industria bellica e degli eserciti.
E' la tanto auspicata politica minima del "5%". Ogni anno, per un'intera
legislatura, e poi per quelle a venire, occorre programmare in termini
quantitativi, e non solo con l'aria fritta della retorica della pace, un
diverso uso delle risorse economiche.
Oggi stiamo andando esattamente in senso opposto. E questo vale tanto per
l'Italia quanto per l'Unione Europea, che dovrebbe scegliere la strada del
transarmo e della neutralita'.
*
Sul piano della politica interna, individuiamo almeno tre principali
priorita'.
Primo, progettare la transizione dall'attuale modello di sviluppo ad alta
intensita' energetica e di potenza, con un impatto ambientale insostenibile,
a un modello a bassa potenza, centrato sull'uso di fonti energetiche
rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza energetica e su uno stile di vita
ispirato alla semplicita' volontaria e alla gioia di vivere e alla felicita'
che ne deriverebbero. Anche in questo caso, uscire dall'aria fritta
significa programmare di anno in anno la riduzione del 5% dei consumi di
combustibili fossili e l'incremento di fonti alternative. Il recente lavoro
di Hermann Scheer (Il solare e l'economia globale, Edizioni Ambiente, Milano
2004) e' l'esempio piu' concreto di tale possibilita' e dovrebbe diventare
un manuale di studio per ognuno di noi.
Il secondo punto riguarda la promozione e diffusione della cultura della
nonviolenza in ogni campo: da quello mediatico a quello educativo, da quello
accademico (con la rottura dei paradigmi dominanti) a quello
dell'immaginario collettivo (artistico, musicale, progettuale, urbanistico).
Questa e' un'azione capillare che abbiamo cominciato anni fa e continua in
un leggero crescendo, ma occorre farne una priorita' soprattutto nei
confronti di quella stragrande quantita' di cittadine e cittadini che
attendono un messaggio chiaro per uscire dall'apatia.
Terzo, la qualita' delle relazioni interpersonali, di genere,
intergenerazionali. Il vecchio slogan femminista "il personale e' politico"
e' quanto mai attuale: senza "l'altra meta' del cielo" non si fa nessuna
rivoluzione nonviolenta. In questo campo siamo di fronte al "potere senza
volto" del maschilismo, delle strutture violente ereditate dal passato. Sono
forme di potere, come quello della mafia e del capitalismo (non a caso
intrecciate al maschilismo) contro le quali e' piu' difficile lottare
rispetto alle situazioni in cui il potere ha un volto ed e' concentrato in
gruppi piu' facilmente identificabili.
*
Infine, bisogna passare all'azione con maggiore incisivita': moltiplicare la
presenza attiva dei Gan (gruppi di azione diretta nonviolenta), investendo
quanto basta nell'addestramento all'azione diretta nonviolenta; rilanciare e
sostenere ogni forma di obiezione di coscienza (alle spese militari e per la
difesa popolare nonviolenta, alla ricerca militare, al lavoro nell'industria
bellica, al servizio militare trasformando i soldati in refusnik);
appoggiare le campagne di boicottaggio come forme di autentica disobbedienza
civile (e non solo sociale e/o incivile) all'insegna di parole come: diserta
i supermercati; diserta le autostrade; diserta la tv.
Tempo fa mi fu posta una domanda imbarazzante e intelligente: "Da quanto
tempo non andate in carcere?". L'efficacia dell'azione nonviolenta si misura
anche dal grado di fastidio che si riesce a dare al potere costitutito. La
vera disobbedienza civile, di Gandhi e Martin Luther King, si svolgeva
all'insegna della parola d'ordine "riempire le carceri". Chi prende
l'iniziativa guida il gioco, e se non la prendiamo noi la prenderanno altri,
prima o poi. Ed e' probabile che se non si vedono o non si conoscono le
tecniche e i metodi dell'azione nonviolenta si ricorra tout court alle
scorciatoie dell'azione diretta violenta.
*
E il soggetto? Siamo noi nel senso piu' ampio, con una grande
responsabilita' dei movimenti, formali e informali, dell'area nonviolenta a
trasformare i lillipuziani in una forza resistente organizzata e non in una
generica armata brancaleone.
Ma su tutti questi punti occorrera' ritornare e meditare a lungo in quelli
che proporrei di chiamare "laboratori creativi di nonviolenza politica",
simili ai Centri di orientamento sociale (Cos) di capitiniana memoria, ma
aggiornati ai tempi nostri, affamati di partecipazione, ricchi di
esperienze, ma ancora poveri di capacita' operativa.

5. RIFLESSIONE. "TRA NOI E LYNNDIE...". UN INCONTRO TRA DONNE
[Ringraziamo Tiziana Plebani (per contatti: plebani at marciana.venezia.sbn.it)
per averci messo a disposizione questa sintesi dell'incontro "Tra noi e
Lynndie...", organizzato dalla Rete di donne per la pace di Venezia-Mestre
il 21 dicembre 2004]

* Intervento di apertura di Tiziana Plebani
L'incontro nasce dall'orrore suscitato, nel maggio scorso, da cio' che era
successo ad Abu Ghraib, ma anche per emergere di altre figure di donne assai
visibili sulla scena del mondo, le kamikaze, le martiri, le soldatesse:
avevo richiesto subito alle amiche di riflettere insieme, inviando anche
alle amiche lontane in rete un invito alla discussione. Come noi altre
donne, altrove, si sono interrogate organizzando dibattiti pubblici a Roma e
Milano, di cui ha dato conto "Il Paese delle donne", oppure avviando una
riflessione su "Via Dogana", "Dea", "Leggendaria", il sito della Libera
Universita' delle donne di Milano, o in articoli sul "Manifesto" o altre
riviste.
Nostro desiderio allora era quello di riuscire a creare un dibattito piu'
allargato in questa citta' ma il clima politico ingombro dalle elezioni di
giugno, gli impegni e i nostri tempi hanno rallentato e in fine impedito la
realizzazione di questo desiderio. Non abbiamo abbandonato tuttavia questo
scenario e il suo interesse e abbiamo pensato che valesse la pena di
riproporlo. Il tempo produce infatti degli scatti di pensiero e soprattutto
permette di sciogliere forse dei grumi di sentimenti che si erano fortemente
associati a queste figure femminili, ragionando con maggiore lucidita'.
Inoltre ora abbiamo il vantaggio di poter avviare la discussione partendo
gia' dalle parole e dalle elaborazioni che nel frattempo alcune donne hanno
prodotto su questo.
*
Se guardo a me, la parola che allora avevo preso, anche accettando di
scrivere, come propostomi da Luisa Muraro, per "Via Dogana", non era stata
provocata tanto da queste figure femminili ma da cio' che era successo e che
minacciava, ai miei occhi, le fondamenta del vivere e del vivere insieme,
rappresentato dallo strumento dell'umiliazione, dall'uso del dominio
sessuale su corpi diversi, di diverse culture, ma anche e soprattutto dalla
spettacolarizzazione del disprezzo della vita, in opposizione al principio
della convivenza. Qualsiasi ideologia ma anche qualsiasi ragione (pensiamo
ai casi della resistenza irachena o palestinese) che non ne tenga conto
produce morte, barbarie, ritorsioni, catena senza fine di orrori. E il
simbolico pericoloso che viene creato e' quello di luoghi di vita insicuri,
citta' in cui si annida la paura perche' l'altro fa e deve fare paura, un
continuo ammonire all'11 settembre come fine della possibilita' di
convivenza.
Sempre piu' la mia risposta percorre un mio radicamento nel contesto, agendo
la capacita' di convivere, lavorando per la citta' come luogo d'accoglienza
e dialogo, anche nel conflitto, indispensabile visto le questioni in gioco.
Sono molto piu' attenta al vicinato, sto frequentando il Forum che e' nato
nel mio quartiere a Dorsoduro per discutere le proposte urbanistiche a forte
impatto sulla residenza e indirizzarle a miglior utilizzo. E ho elaborato un
progetto di discussioni e pratiche di incontro in citta' con le diverse
realta' che la percorrono, che spero possa trovare condivisione.
*
Tuttavia cio' non basta, come e' stato messo in evidenza anche da tante
donne nei materiali che si sono appunto sedimentati nella discussione su
questi tempi. Cio' che ci mette in crisi, che per molte e' gia' uno scarto
rispetto al passato, forse anche un guadagno dei tempi, e'
l'autorefenzialita' delle nostre pratiche di relazioni: esse mostrano i loro
limiti, che sono forse limiti soprattutto rispetto ai nostri desideri
attuali, al nostro bisogno attuale di essere nel mondo, ne' piu' riparate.
Vorrei ricordare le parole di Lia Cigarini nell'ultimo "Via Dogana", che
possono costituire una base di riflessione sul senso del limite: "il trauma
iracheno e la consapevolezza di uno stato di guerra che e' mondiale e
permanente ha messo in discussione i contesti piccoli del nostro agire
relazionale e ci spinge a disegnare un orizzonte piu' ampio. Il bisogno di
fare ordine simbolico - che e' tanta parte della politica delle donne - a
fronte di accadimenti sempre piu' rapidi e sovrastanti, non puo' che
allargare il contesto del nostro pensare e agire. Secondo me, non ha piu'
senso dire: la pratica di relazione la agisco li' dove sono, non ha senso
perche' in realta' siamo qui e siamo altrove".
*
Come qualcuna sa ho espresso a quel tempo il desiderio di esprimere una
riparazione, e cio' non era un sentimento transitorio, nel senso che perdura
ancora il bisogno e la necessita' del valore simbolico di una riparazione,
di una messa in atto di una pietas e anche di un sentimento d'amore per
tutti gli offesi. Ho avuto poco coraggio forse nel perseguire cio', l'amore
mette a nudo e puo' far sentire ridicoli; abbiamo avuto poco coraggio
perche' la scena del mondo e' faticosa ma credo che ci siano gesti e
pratiche che sanno parlare del pensiero d'amore e farsi riconoscere da tutti
come verita'. Non e' facile individuarli ma cio' e' ancora piu' necessario
non solo per riparare ma per rifondare la convivenza, perche' si possa
ancora credere nell'abitabilita' di questi luoghi di vita, in cui c'e'
convivenza reale, lavoro quotidiano delle donne e anche degli uomini.
Dobbiamo non farci soverchiare dalla voce dei media, dai tamburi di morte
che vengono continuamente fatti rullare. Sappiamo che c'e' un'opera d'amore
in atto che permette alle donne e agli uomini di vivere e di vivere anche in
bellezza, che mi permette di vivere, che ci permette di vivere. C'e' proprio
da difenderci da quest'opera di convincimento della nostra barbarie. E c'e'
bisogno di una visibilita' che esca dall'autoreferenzialita' appunto dei
piccoli contesti, che dia voce e visibilita' all'amore.
*
Per quanto riguarda Lynndie, adesso che e' passato del tempo, mi sono
chiesta: ma com'e' che nessuna di noi, o delle donne come noi in America,
l'ha contattata? perche' non abbiamo saputo entrare in relazione con lei?
Quest'immagine di donna e' un'immagine estrema, il comportamento di Lynndie
non e' quello delle donne, sia chiaro, non si confonda, non e' il genere
femminile a essere tirato in causa, ma e' chiaro che non ci puo' lasciare
indifferenti.
Che cosa significa Lynndie l'hanno detto in molti e molte ma non sappiamo
che cosa lei abbia pensato. Non mi interessano le analisi su di lei:
dobbiamo dialogare con lei, non con i pensieri, buoni o cattivi, su di lei.
Ora Lynndie e' un'estremo ma vi sono tante donne che scelgono vie estreme o
comunque indifferenti al progetto di responsabilita' sulla vita e dell'amore
della madre. Rifiuto totalmente l'idea che siano uomini travestiti, donne
fallocrate: sono orribili parole che vanno proprio espulse dal nostro
lessico.
Penso che queste immagini di donne, dobbiamo riuscire a contenerle, per
cosi' dire, a tenerle dentro l'orizzonte, riuscendo a dialogare e a fare
insieme un percorso, costruendo una relazione; se invece le espelliamo
dall'orizzonte di senso credo non sia affatto una buona cosa per tutte noi.
Certo, anch'io, come Luisa Muraro e altre tra noi, sono piu' preoccupata
dalle donne carrieriste, schiacciasassi, aggressive che incontro sul lavoro
che interrogano il nostro percorso nella storia. C'e' tanto desiderio di
arrivare (poi non si sa dove), di avere cose, beni, ma sostanzialmente di
contare, di avere potere. E la nostra riflessione sul potere forse e' ancora
all'inizio; siamo sempre piu' coinvolte nella gestione di progetti, uffici,
io dirigo il mio ufficio e alcune persone, mi occupo di una piccola
comunita' come e' la mia famiglia, non si creda che non vi sia potere in
questo.
Il potere non e' negativo in se', c'e' il potere di fare bene. Il potere,
micro, medio, grande, ha una sua positiva e negativa attrazione. Siamo
ancora sbalordite dall'ammissione di avere potere. Chi tra noi ha scelto la
via della politica istituzionale si confronta con una strada di potere piu'
immediatamente visibile, ma che rapporto ha con il potere di risicare e
tiranneggiare i nostri cari, colleghi e colleghe?
Tra Lynndie e noi un percorso da fare e' forse quello di interrogarci sulla
micro e macrofisica del potere. Inoltre tutti quelli che ambiscono a
plasmare il mondo a propria somiglianza, a trasformarlo cercano strumenti,
leve (= potere) per realizzare cio', e dai piccoli contesti guardano
inevitabilmente ai grandi contesti; si tratta di una discussione che e'
presente, come sappiamo, anche nel movimento dei movimenti.
*
* Intervento di apertura di Franca Marcomin
Abbiamo pensato e preparato l'incontro di oggi sulle interrogazioni proposte
dal documento di invito, in particolare su cosa ci hanno provocato le
immagini della donna torturatrice di Abu Ghraib.
Nel mondo delle donne in questi mesi sono circolati pensieri, elaborazioni
interessanti e incontri pubblici, dai quali abbiamo tratto spunto per le
nostre riflessioni che vi proponiamo oggi. Riteniamo importante creare
luoghi di pensiero in citta' e su questo lavoriamo, ma anche su gesti
concreti se vengono individuati.
Il movimento femminista si interroga sulla delega che e' stata consegnata
alle donne di una funzione salvifica del mondo. Parlando con alcuni amici
delusi dal fatto che anche le donne possano commettere le barbarie prodotte
storicamente da uomini, dicevo loro che dovevano finalmente prendersi la
responsabilita' di non distruggere il mondo sicuri, anche se inconsapevoli,
dell'opera di civilta' e di riparazione operata dal genere femminile.
Come e' stato scritto ed e' cio' che io condivido, le torturatrici e le
kamikaze producono la vanificazione di qualunque visione essenzialista delle
differenza tra i sessi, quindi la differenza sessuale non e' un dato
biologico ma un progetto, una scelta nella propria vita. "Per una che
tortura ce ne sono milioni che lavorano ogni giorno e dappertutto", ci sono
le Simone, ecc.
*
Nell'ampio dibattito circolato ci si interroga se l'orrore di cui si fanno
carico torturatrici e kamikaze e' da imputare all'omologazione delle donne
all'ordine fallocentrico in forma di emancipazione e diritti di accesso
paritario a tutto, guerra e carriera militare comprese, o a una ritorsione
sadica e umiliante del gentil sesso sul sesso forte, o e' un frutto e una
deriva, dice Muraro, del protagonismo femminile e del movimento di liberta'
femminile dalla fissita' dei ruoli sessuali.
Ma e' vero, come dice Ida Dominjanni sul "Manifesto" che dopo Lynndie (la
torturatrice di Abu Ghraib) piu' niente e' come prima? Ma conflitti ed
orrori non sono da sempre presenti nella storia, anche prodotti da donne?
Cosa e' cambiato e sta cambiando?
Per rispondere a queste domande ho avuto bisogno di ripensare alle analisi e
ai guadagni elaborati nelle Donne in nero sul rapporto donne e guerra.
Bisogna ritornare a ragionare su questo rapporto, perche' non c'e' solo in
atto una guerra tra uomini, anche se poi sappiamo che nelle guerre moderne
non muoiono tanto i soldati quanto le popolazioni civili, ma e' in atto una
guerra tra i sessi.
*
Cio' che e' nuovo sembra l'ingresso sulla scena pubblica e nei media della
pornografia come strumento bellico, l'ingresso sulla scena dei corpi
sessuati, assenti come categoria nella politica che e' pubblica quindi
opposta a cio' che e' privato, il mondo dei corpi e dell'amore governati
dalle donne, e assenti in un pensiero occidentale fondato proprio sulla
separazione tra corpo e mente.
E' stato femminista il rifiuto della categoria amico-nemico delle guerre,
cioe' del sistema binario del pensiero occidentale, tra cui le categorie
pubblico-privato, natura-donna/cultura-uomo. Uomini e donne diventano
macchine in guerra, nello stato di assoluta rottura di relazioni e nel
dominio della categoria amico-nemico.
Cosi' come le torture rappresentano la radicalita' dell'incapacita' sia di
identificazione con l'altro da se' che di civilta' delle relazioni. Abu
Ghraib rappresenta non solo la deriva della perdita dell'innocenza delle
donne come icona del buono per natura, ma anche la deriva della democrazia e
dello stato di diritto dell'Occidente che Bush-Blair-Berlusconi vogliono
esportare con la guerra, provocando lo scontro tra civilta' cui stiamo
assistendo.
Leggevo che nel mondo islamico le immagini della donna torturatrice possono
provocare ritorsioni contro i diritti delle donne, perche' vengono
presentate come simbolo dell'emancipazione delle donne occidentali, nella
semplificazione che tutto il mondo occidentale e' cosi', come noi spesso
crediamo che tutto il mondo islamico sia un blocco omogeneo.
*
L'ultima considerazione che voglio fare e' collegarci con un altro pezzo
della nostra storia di rete di donne che da due anni ha lavorato sui temi
della globalizzazione, di cui pubblicheremo presto un libretto. Siamo in
scenari mondiali in continua evoluzione, leggevo recentemente che c'e' chi
afferma che stiamo uscendo dalla globalizzazione, siamo in scenari mondiali
dove la guerra e' diventato uno strumento di ordine e governo del mondo,
dove la globalizzazione dei mercati e delle merci ha comunque provocato la
libera circolazione delle persone, anche se con molte piu' difficolta' date
dalle normative sull'immigrazione dei vari Paesi, e questo e' un dato
positivo di interrogazione e crescita sulla convivenza tra diversita'.
Contemporaneamente e' nato e cresciuto il movimento dei movimenti, a cui le
donne non solo appartengono ma ne sono matrici e genitrici insieme ad altre
soggettivita'. Movimento che, afferma il testo di Benasayag-Aubenas
"Resistere e' creare", ha mutuato dalla pratica femminista "il personale e'
politico" per dire che e' dalla quotidianita' che inizia il nuovo mondo
possibile, dal qui e ora della situazione, quindi dal contesto come dicono
le donne. Si trasforma la societa' non dalla conquista dello Stato e
dall'attesa messianica del futuro, ma dal pensare globalmente e agire
localmente di un'azione locale in funzione del globale, come ha piu' volte
affermato il mondo ecologista, e come ha scritto Lia Cigarini su "Via
Dogana" di giugno 2003 "della necessita' di una nuova pratica politica delle
donne che sta nel piccolo gruppo e in un altrove".
*
Dibattito.
Primo intervento. Giuseppina
Chiede la ragione ultima di questo dibattito.
Di che cosa ci stiamo lamentando? Della crudelta' di alcune donne? Io non mi
sono stupita di cio' che e' accaduto. Le analisi che sono state fatte sono
interessanti ma non c'e' nulla di nuovo. Lynndie proviene dalla provincia
americana, in cui regna l'ignoranza. Vorrei sapere se avete pensato a gesti
concreti di riparazione.
*
Secondo intervento: Franca Tombari
Cio' che e' successo ha prodotto uno spaesamento: adesso cosa penso [delle
donne]? Ma in realta' io sono stata piu' colpita dal riapparire delle
torture, di conoscere che vi erano luoghi segreti in cui si tornava a
torturare come nei paesi del Centro e Sud America degli anni '70.
Io penso che in certe situazioni le persone si comportino e pensino con
categorie neutre, credo che per Lynndie sia stato cosi'. Soprattutto cio'
che accade e' una scissione tra le diverse sfere del vissuto e dei diversi
luoghi, quella professionale, quella sentimentale, ecc: Lynndie rappresenta
una tragedia della scissione e dell'inconsapevolezza. Questa donna sta
pagando in carcere, altri no. E' contemporaneamente vittima e carnefice.
*
Terzo intervento: Pia Miani
Le immagini di torture e umiliazioni sessuali rinviano, in me, al dominio
della cultura sado-maso tipica della cultura inglese e anglosassone. Mi
ricordano le foto delle scene dei club sado-maso dove le donne sono pagate
per procurare dolore nel godimento sessuale. E' una cultura maschile che ha
represso la parte femminile del vivere, il piacere, la vita, la bellezza, e
che persegue l'obiettivo di far crescere popoli guerrieri e dominatori. In
questo gli americani sono i nipoti dell'impero britannico.
Per quanto riguarda lo stupore sull'emergere di cattiveria femminile esso
riguarda l'appiattimento maschile della personalita': noi donne siamo
composte da tante parti, siamo meno schematiche, piu' complesse come
raccontano anche i miti.
*
Quarto intervento: Gigetta Pagnin
Cio' che e' successo ha chiuso un circolo nella mia riflessione: ho compreso
che il femminismo non dava risposta e parole per spiegare l'accaduto.
Ma nella perdita d'innocenza, e nell'accaduto, si e' prodotto uno
scuotimento e un'interrogazione del presente che va colta sino in fondo.
Se i contesti possono fornire delle motivazioni dell'azione delle singole,
la questione centrale si pone all'interno della cultura del femminismo. Il
suo limite, ora ci accorgiamo, e' stata la fusionalita': la differenza di
genere non da' conto della differenza esistente nelle varie persone e dei
contesti. Si tratta di un errore interpretativo messo in atto anche dal
movimento operaio che ha creato un'unica identita'.
Io vi ringrazio di questo incontro e di questa opportunita' proprio perche'
da' voce a un insoluto. Una frase del vostro invito al dibattito e' cruciale
di cio' che sta al centro della questione: Mai come ora cio' che e' stato
trasmesso delle torture e delle donne torturatrici, ma anche delle immagini
delle donne kamikaze palestinesi e cecene, interroga il movimento delle
donne sulla "catastrofe simbolica del primato e dell'alterita' femminile
sulla specie e sulla relazione con l'altro". Io non ho risposta ora a cio'
perche' e' una nuova interrogazione che produce altre domande, ora avverto
solo il dolore prodotto dallo scuotimento che pero' produce una crescita.
Sulla questione proposta da Tiziana in relazione alle parole di Lia Cigarini
sul limite del piccolo gruppo va ricordato che questo piccolo gruppo ci ha
permesso di creare ed elaborare molto della ricchezza che abbiamo ora a
disposizione, e' stato un luogo molto produttivo, tuttavia e' vero che non
e' adeguato ad affrontare le grandi questioni. E anche a questa domanda per
ora non ho risposte.
Sulla riparazione di cui hanno parlato Luisa Muraro e Tiziana devo affermare
che questa parola non mi basta, per la nostra responsabilita' come
occidentali verso una cultura di morte: una riparazione mi pare poca cosa.
Con l'11 settembre io ho sentito di voler rompere con la cultura
occidentale. Per quanto riguarda la complessita' messa in campo da Tiziana,
vorrei dire che e' una parola che non mi piace perche' spesso la usiamo
quando non sappiamo rispondere alle questioni, e mi pare un modo per
rimuovere.
*
Quinto intervento: Giorgia Reberschak
La nostra civilta' genera mostri: la guerra e' un mostro. Non c'e' da
meravigliarsi se talora vi sono mostri anche al femminile. Ne conosciamo
alcune ragioni legate al contesto di Lynndie: ignoranza della provincia
americana, la ricerca di soldi e benessere. Ma queste donne sono casi di
malessere individuale che non mettono in gioco il valore delle donne. Sono
casi enfatizzati dai media. Non parlerei nel caso di queste torturatrici ne'
di protagonismo ne' di imitazione del mondo maschile: piuttosto di un
bisogno di farsi accettare dal mondo maschile. Credo che siano piu'
pericolose alcune altre donne in posizioni di potere come Condoleezza Rice e
su queste donne bisogna maggiormente interrogarsi.
*
Sesto intervento: Adriana Sbrogio'
La riparazione e', credo anch'io, il punto di partenza: l'unica salvezza e'
il riuscire a far entrare nella storia e nella politica l'amore, non si puo'
fare altro.
Noi siamo fortunate perche' anche se si puo' dire che siamo in guerra non
abbiamo un presente di guerra, non dobbiamo ripararci e difenderci, ma
dobbiamo mettere in atto delle azioni preventive di pace, come noi abbiamo
cercato di fare a Spinea facendo dialogare due giunte di opposti
schieramenti. Noi dobbiamo far prevalere la relazione umana. La nostra
scelta, come gruppo di Spinea, e' stata quella di lavorare con gli uomini
perche' essi si facciano carico dei valori del pensiero delle donne. Bisogna
cioe' cominciare a dialogare e a confrontarsi con il maschile che governa il
mondo, per far entrare l'amore nella storia.
*
Settimo intervento: Laura Guadagnin
Prima di parlare di lavoro con gli uomini e di amore nella storia
bisognerebbe affrontare davvero le difficolta' di amore tra le donne che io
vivo quotidianamente. Noi non abbiamo dimestichezza con l'ombra, il
negativo, le difficolta' tra le donne.
Cio' che e' successo, le immagini delle donne come Lynndie, sono lo specchio
del rimosso dell'occidente e dei rapporti di barbarie, dell'immaginario
occulto e quindi questo scossone e' positivo perche' ci stana dalle nostre
posizioni e ci fa riflettere su questo negativo emerso.
*
Ottavo intervento: Mara Bianca
Queste immagini di donne sono anche un prodotto del percorso di
emancipazione e come tale dobbiamo acquisirle in tutti i significati che
hanno, ma ricordandoci che il percorso emancipatorio non e' una strada
liquidabile solo come negativa.
L'orrore in campo adesso mostra il livello di insicurezza che stiamo vivendo
e l'arruolamento delle donne nel presunto o reale scontro di civilta',
mostra la riduzione di una differenza femminile al maschile. Ma dobbiamo
ricordarci che le condizioni di vita reali hanno a che fare con la liberta'.
La differenza sessuale deve stare nella liberta' di scelta, entrano in campo
le soggettivita'.
*
Nono intervento: Carla Turola
Ho sentito molto l'impatto di quelle immagini di donne come Lynndie, ma non
credo che l'analisi vada fatta ricercando le cause psicologiche, ma vada
interrogato il piano simbolico in gioco. Quelle immagini per me hanno
rappresentato la messa in scena di un punto di caduta nella relazione tra
gli uomini e le donne. Va quindi operata una riparazione del simbolico di
tale relazione, recuperando il senso di civilta' nei rapporti: e questo puo'
avvenire solo immettendo gesti d'amore nella storia.
Credo che anche gli uomini siano stati interrogati in questa guerra sulla
loro mancanza di civilta', del collasso, dell'abisso in cui sono state
risucchiate anche alcune donne. Non e' tanto una negativita' femminile che
va interrogata, come dice Laura, ma deve essere agito un atto d'amore che
sia in grado di tagliare con la ripetizione del negativo, di spalancare una
porta.
L'amore della realta' puo' divenire una pratica politica?
*
Decimo intervento: Nicoletta
Riflette sulla staticita' dell'immaginario sul femminile, costruito anche
dal femminismo, che cozza con queste realta' e identita' diverse. Le donne
sono invece diverse, hanno identita' molteplici. La sclerotizzazione di un
femminile buono per natura non da' strumenti per capire la complessita'
delle donne, l'idealizzazione delle donne non s'incarna nelle donne vere.
*
Undicesimo intervento: Maria Sangiuliano
L'immagine di Lynndie non e' entrata nei miei incubi perche' e' un'immagine
dei media, come si e' visto anche nel caso delle due Simone,
strumentalizzate come bene assoluto dal nostro governo, fino a che non hanno
avuto parola, contro un male assoluto rappresentato dalla torturatrice.
Negli assoluti non c'e' liberta' di scelta. Su quali paure e desideri
agiscono i media? C'e' paura del protagonismo femminile e quindi un
bombardamento di immagini negative di donne, comprese quelle che uccidono i
figli. Viene proposto un modello aggressivo del femminile, c'e' in campo una
guerra tra sessi.
Dobbiamo riflettere sulla manipolazione e sull'uso politico delle immagini,
opporci all'uso della liberta' delle donne per fare la guerra.

6. RILETTURE. AGNES HELLER: LA TEORIA DEI BISOGNI IN MARX
Agnes Heller, La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1974, 1978,
pp. 168. All'epoca fu un libro molto letto e molto amato, e aiuto' a
superare vecchi schematismi, ad aprire degli occhi. Merita di essere riletto
anche oggi.

7. RILETTURE. AGNES HELLER: LA TEORIA, LA PRASSI E I BISOGNI
Agnes Heller, La teoria, la prassi e i bisogni, Savelli, Roma 1978, pp. 160.
"La critica della vita quotidiana in sei saggi", recita il sottotitolo; piu'
due interviste. Da rileggere.

8. RILETTURE. AGNES HELLER: MORALE E RIVOLUZIONE
Agnes Heller, Morale e rivoluzione, Savelli, Roma 1979, pp. 128. Una bella,
ampia intervista frutto di uno scambio epistolare, a cura di Laura Boella e
Amedeo Vigorelli.

9. RILETTURE. AGNES HELLER: LE CONDIZIONI DELLA MORALE
Agnes Heller, Le condizioni della morale, Editori Riuniti, Roma 1985, pp.
68. "Vorrei formulare la questione fondamentale della filosofia morale in
questo modo: le persone virtuose esistono; come sono possibili?". Aureo
libretto.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 793 del 29 dicembre 2004

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