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La nonviolenza e' in cammino. 784
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 784
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 20 Dec 2004 00:12:05 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 784 del 20 dicembre 2004 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Attraversare 2. Lidia Menapace: Un tribunale mondiale sull'Iraq 3. Rocco Altieri: Il risveglio religioso dei popoli puo' sconfiggere la guerra (parte prima) 4. La "Carta" del Movimento Nonviolento 5. Per saperne di piu' 1. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: ATTRAVERSARE [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] La paura e' una parte naturale della nostra vita, sebbene a noi non piaccia pensarci su troppo. Se non avessimo avuto, quando eravamo piccini, qualcuno che aveva timore di come attraversavamo la strada, molti di noi non sarebbero qui a leggere queste parole. Ma ovviamente, per crescere, dobbiamo imparare ad attraversare la strada, anche sapendo che c'e' la possibilita' di essere feriti o uccisi da un'auto in corsa. Percio', troviamo modi di maneggiare la paura e scendiamo dal marciapiede. Quando si tratta di attivismo nonviolento, molti di noi fanno invece fatica a scendere dal marciapiede. In questi giorni, poi, siamo particolarmente spaventati. Sperimentiamo la contrazione economica, l'arroganza dei potenti, l'angoscia per il futuro. Notiamo che molte persone sono sempre piu' arrabbiate, piu' intolleranti, piu' insofferenti alle opinioni altrui. Abbiamo paura di essere messi a tacere, se parliamo, e ce ne stiamo piu' tranquilli del solito. Sul marciapiede. Venite, attraversiamo la strada insieme. Per farlo non ci servono cose che non abbiamo, abilita' che non possediamo. Siamo perfettamente equipaggiate/i, ve lo assicuro. * 1. Per attraversare, dobbiamo sapere perche' vogliamo attraversare. Tutti gli attivisti hanno cominciato la loro "carriera" come persone prive di esperienza, che si domandavano in che modo trovare risposte dal confuso e respingente mondo della politica. E ciascuno di essi aveva pero' una ragione per agire: una qualsiasi, dall'istanza immediata della salvaguardia di un terreno dalle speculazioni edilizie alla pace nel mondo. Qualunque fosse questa ragione, per essi era molto importante. Fare la differenza, ottenere un cambiamento: perche' voi volete fare la differenza, che cambiamento volete ottenere? Se lo chiarite nella vostra mente, e mantenete questa chiarezza, i rischi a breve termine non vi affliggeranno piu' di tanto: i vostri occhi saranno fissi alla meta. * 2. Per attraversare, dobbiamo conoscere le regole della strada. Per un bimbo di quattro anni, una strada trafficata e' solo un'indistinta massa di veicoli in movimento con occasionali spazi aperti. Se la palla con cui stava giocando finisce in strada, il bambino semplicemente la insegue: il posto dov'e' la palla va bene quanto un altro. Una volta che si trovi la', ecco che la faccenda diventa confusa e spaventosa molto rapidamente. Chi voglia essere efficace nell'ottenere un cambiamento, sa che ci sono luoghi e tempi specifici per attraversare la strada. Quando siete preoccupati, o persino oltraggiati, rispetto a qualcosa, e volete un cambiamento, voi potete saltare giusto in mezzo alla strada per chiederlo, ma coloro che non vogliono ascoltarvi diranno che avete fatto la cosa sbagliata, che siete giunti nel luogo sbagliato e che state parlando alle persone sbagliate. A questo punto anche voi avrete dei dubbi, e vi sentirete imbarazzati, non sapendo a chi parlare o cosa dire per maneggiare il problema. La prossima volta, facilmente resterete sul marciapiede. Prima di scendere, dovete riflettere su quale agenzia, istituto, ente, ecc. sia il posto giusto dove andare; dovete sapere che domande intendete fare e quanto intendete aspettare le risposte. * 3. Per attraversare, dobbiamo conoscere gli schemi normali del traffico. Chi prende le decisioni, al governo o nelle corporazioni economiche, si muove secondo regole scritte e regole non scritte. I giornalisti sono interessati ad un certo tipo di storie piu' che ad un altro, i governanti rispondono piu' facilmente a certi tipi di pressione, e cosi' via. Organizzarsi per il cambiamento e' molto meno preoccupante, se sappiamo cosa possiamo aspettarci. Stando sul marciapiede, ci vengono in mente le cose piu' folli: ad esempio che organizziamo una conferenza stampa e arrivano in massa le tv nazionali (mitico se accade, ma quanta paura); oppure mettiamo uno striscione di protesta al balcone, e la polizia viene ad arrestarci, e tutti i nostri vicini mormorano alle nostre spalle e i nostri parenti ci rinfacciano la vergogna che gli abbiamo gettato addosso (ancora piu' spaventoso); facciamo il giro del quartiere per invitare i nostri vicini alla riunione e ne arriva un gruppetto che contesta tutto e fa picchettaggio all'ingresso (terrore). Bene, ognuna di queste cose e' accaduta a qualcuno. Ma qualcuna di esse accadra' a voi? Molto probabilmente no, soprattutto se invece di spaventare voi stessi con questi scenari fittizi vi prenderete la briga di imparare dal passato, di vedere come altri hanno maneggiato situazioni difficili, e di pianificare le vostre risposte ad esse. Vi assumerete dei rischi, ma nessun rischio che non sia necessario. Se il vostro piccolo ha seguito la palla rotolata in strada, ed ora piange la' in mezzo e non sa più come muoversi, voi dovete raggiungerlo velocemente, anche se questo significa bloccare il traffico: ma voi non avete bisogno di fare questo ogni volta in cui attraversate. La maggior parte delle volte aspettate il verde al semaforo, o che non ci siano automobili in vista. Per lavorare bene per il cambiamento non avete bisogno di saltare in mezzo a situazioni pericolose senza aver pianificato la vostra azione, e questo vale per ogni rischio che si presenta, non solo per quelli piu' drammatici (come l'essere arrestati o feriti). Se avete appena trovato lavoro in un ristorante, potreste non voler essere il/la portavoce del vostro gruppo rispetto alle istanze di sicurezza alimentare, per timore di essere licenziati: questo non dovrebbe essere un problema, per l'organizzazione, perche' qualcun altro puo' assumersi l'incarico di parlare sull'istanza (mentre voi potete fornirgli informazioni di prima mano). Ogni volta in cui misuriamo un rischio reale per qualcuno, inclusi noi stessi, dobbiamo essere ragionevoli. Nessuno che si dedichi all'attivismo nonviolento deve essere messo in una posizione in cui temere per il proprio impiego, o per la propria famiglia, o per la propria sicurezza personale, a meno che non ci sia veramente una buona ragione, una ragione che avete discusso e condiviso. Spesso, comunque, non si presenta alcun rischio del genere: noi lo temiamo perche' sappiamo che molta gente che detiene del potere non e' d'accordo con noi, che altre persone sono urtate dalla nostra limpidezza e coerenza (se l'attivismo nonviolento non presenta queste caratteristiche, toglietegli pure l'aggettivo "nonviolento"), e questo ci rende nervosi. Alcune delle cose che potrebbero capitarvi facilmente, come la domanda stupida o cattiva di un giornalista, o la telefonata di minacce a casa, non sono sicuramente divertenti, ma vi sopravviverete. Riflettete e scegliete che rischi assumervi, e poi fate cio' che e' necessario per maneggiarli, niente di piu' e niente di meno. * 4. Per attraversare, e' utile aver gia' attraversato. Le situazioni che conosciamo poco, e che per questo ci fanno paura, diventano sempre meno spaventose con il passare del tempo, mentre impariamo a conoscerle. Persino l'attivista piu' eloquente, convincente, calmo e dignitoso che conoscete ha cominciato come voi e me, in modo incerto e perdendo qualche volta le staffe: ma dopo un po' di riunioni, e azioni, e colloqui con funzionari, e convegni, ecc., dopo un po' di vittorie, e un po' di sconfitte, ci si alza al mattino e si va semplicemente dove i nostri scopi e il nostro cuore ci portano. Riflettete: c'e' sicuramente qualcosa che fate, oggi, e che in passato eravate molto spaventati dal dover fare: pu' trattarsi di qualcosa che riguarda il vostro lavoro, come guidare un mezzo nuovo, imparare ad usare il computer, assimilare le ultime circolari; oppure puo' riguardare le vostre relazioni, come parlare a quella persona nuova, strana, a voi straniera, che oggi e' vostro marito, la vostra compagna o il vostro migliore amico. Piu' volte attraversate la strada, piu' facile diventa attraversare. * 5. Per attraversare, e' utile avere un sistema di sostegno. Molti di noi attraversano la strada da soli, ma anche cosi' non smettiamo di essere parte di una comunita'. Se attraversando inciampiamo, o veniamo feriti da un veicolo, sappiamo di poter contare sul fatto che qualcuno ci assistera'. Se stiamo attraversando con il verde al semaforo, contiamo sul fatto che gli automobilisti rispetteranno le regole, e si fermeranno per lasciarci passare. Se ognuno di noi fosse totalmente solo, potremmo non riuscire mai ad attraversare la strada. Le persone che cercano il cambiamento sociale sono di solito efficaci quanto le connessioni e le relazioni che sanno creare, e tali connessioni e relazioni diminuiscono di molto le nostre paure: e' piu' facile parlare in pubblico, ad esempio, se sappiamo che altre persone ci stanno sostenendo, fanno il tifo per noi, hanno preparato con noi quel momento. * 6. Per attraversare, bisogna crederci. Cio' in cui si crede, cio' in cui si ha fede, non e' materia che discutiamo spesso nei nostri gruppi. E' un errore non farlo, perche' non si lavora ad una campagna a lungo termine o non si partecipa ad un'azione diretta senza quel "qualcosa" in cui si crede e che da' significato a quello che si sta facendo. Poco importa che questo "qualcosa" sia una fede religiosa, un sistema di idee politiche, o solo la bella sensazione che la vita e il mondo possono essere migliori: sia quel che sia, vi aiutera' molto nei momenti difficili. Naturalmente, "credere" non e' un sostituto per la consapevolezza e la pianificazione. C'e' una storiella, che forse conoscete, in cui un uomo di fede si trova isolato su un'altura nel mezzo di un'inondazione. L'acqua continua a salire. Per soccorrerlo, arrivano due barche e poi un elicottero, ma sempre l'uomo respinge i suoi salvatori, dicendo che sara' la sua fede a trarlo al sicuro. L'acqua continua a salire, e l''uomo annega. In paradiso, si lamenta con Chi Avrebbe Dovuto Fare Qualcosa: "Pensavo di poter contare sulla mia fede. Dov'eri? Perché non mi hai soccorso?". E subito gli arriva la risposta: "Ti ho mandato due barche e un elicottero". Perci', usiamo tutti i doni, i talenti, i sostegni che abbiamo, e manteniamo viva la fiamma di quel "qualcosa' in cui crediamo, e che ci rende forti. * Per concludere, quando diamo uno sguardo al mondo intorno a noi, vediamo che milioni di persone sono semplicemente ignorate, o trattate con disprezzo. I loro bisogni non vengono soddisfatti, le loro preoccupazioni non vengono ascoltate, i loro problemi e le loro lotte sono invisibili ai media, ai governi e ai decisori in genere. L'attivismo nonviolento e' il modo migliore di cambiare questa situazione. Un passo alla volta, un giorno alla volta, lentamente ma completamente, noi possiamo lavorare insieme, condividere il potere e ottenere il cambiamento. 2. INIZIATIVE. LIDIA MENAPACE: UN TRIBUNALE MONDIALE SULL'IRAQ [Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: lidiamenapace at aliceposta.it) per questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani, Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna, Milano 2001] Il Tribunale mondiale sull'Iraq ha tenuto la sua prima sessione anche a Roma, dopo quella fondativa a Istambul e poi a New York, Bruxelles, Hiroshima, Copenhagen, Tokio. Con l'intenzione dichiarata di raccogliere documentazione precisa sulle violazioni dei diritti umani ed esecuzione di crimini di guerra e contro l'umanita' da parte delle truppe occupanti, in mancanza di sedi formali adeguate o funzionanti. E' - a mio parere - molto importante che questa istituzione informale avanzi, come anche il Forum per la democrazia costituzionale europea, perche' rappresentano un anello decisivo nel sistema politico nuovo. Mi spiego: un tempo i partiti avevano i loro movimenti di pertinenza, la Dc usava il "collateralismo" e il Pci le "organizzazioni di massa". In qualche modo erano stabilite delle procedure (ad esempio delle incompatibilita') e degli ambiti di pertinenza. Ma i nuovi movimenti sono diversi: non sono di pertinenza di questo o di quel partito, essi interpellano partiti e istituzioni, avendo anche espresso la novita' di essere molto critici verso partiti e istituzioni, ma non opposti o estranei (un'altra differenza rispetto al Sessantotto, che ci mette al sicuro dal vedere i movimenti che si trasformano in partiti). La necessita' - a questo punto - di costruire un sistema di relazioni e' impellente, altrimenti tutto si impoverisce, confonde e diventa ripetitivo. Mi e' parso chiaro proprio quando, sul finire dei lavori del Tribunale, dopo un intervento da parte di un giovane del Social forum mondiale, una giovane ha preso la parola mentre stavamo votando un documento finale, per chiedere che il Tribunale decidesse di "convocare" il movimento, cosa che non si puo' fare senza violarne l'autonomia: pero' l'appassionata e insistita richiesta rivela che nel movimento si avverte la necessita' che legami si stringano e rapporti si definiscano. E' dunque necessario che chi puo' e sa, studi e poi proponga qualche procedura per avere consultazioni e rapporti precisi e stabili tra movimenti veri e propri, istituzioni informali (tribunale Iraq, Forum costituzionale europeo, partiti,sindacati) e istituzioni formali rappresentative. E' tra l'altro un inizio di nuova formazione del diritto, in un momento nel quale la distruzione programmata del diritto internazionale, l'assalto ai testi costituzionali, lo smantellamento delle garanzie (art. 18) mette in luce un pericoloso scivolamento (ma quasi una frana o una valanga tanto e' veloce) verso la distruzione dello stato di diritto, sostituito dagli "istinti bestiali" (animal spirits) del mercato, che - non avendo piu' o non volendo alcuna regola giuridica - si sfrena nella violenza degli stati. * Intanto il Tribunale - dicevo - ha tenuto i suoi lavori ascoltando agghiaccianti testimonianze dall'Iraq di una compagna di"Un ponte per...", di un medico e di una professoressa iracheni e di un imam, che hanno descritto le situazioni ed enunciato decisioni in ordine alle elezioni-farsa in previsione (le considerano farsesche tutti, sia i civili iracheni presenti che pensano comunque che a qualcosa potrebbero servire, sia l'imam che dirige l'area del boicottaggio delle stesse, perche' possono significare solo una sorte di microlegittimazione del dominio Usa). Si propone da parte nostra di stabilire dei criteri: se una delegazione di parlamentari italiani non puo' andare a Bagdad durante il percorso elettorale perche' "non si puo' garantire la sicurezza" (cosi' e' gia' stato risposto alla richiesta) questo significa o che le elezioni non si possono fare perche' manca in generale la sicurezza, oppure che gli Usa non vogliono testimoni (si chiede a gran voce di rifare le elezioni in Ucraina con osservatori esterni, in un paese sovrano, e lo si nega in un paese militarmente occupato mentre continua una guerra gia' dichiarata finita da piu' di mezzo anno?): si debbono fare, dicono Usa e alleati, ma non ci debbono essere testimoni. In ogni caso i motivi per invalidarle sono infiniti. E poiche' intanto viene anche a scadenza la "missione" italiana, e tra il 30 dicembre e la fine di febbraio si dovra' decidere che fare, il momento e' giustissimo per reiterare la richiesta di ritiro immediato delle truppe italiane anche per non trovarsi coinvolti in una operazione sporca di inquinamento delle elezioni. Se persino dei parlamentari non possono andare in Iraq durante le elezioni, e le ong si stanno ritirando, e i giornalisti non possono scrivere quel che vedono senza timore di andare sotto codice militare di guerra, la raccolta di dati e le testimonianze sulla situazione non si possono avere. E' necessario dunque, come il Tribunale ha gia' deciso, tenere un paio di sessioni sull'informazione... 3. RIFLESSIONE. ROCCO ALTIERI: IL RISVEGLIO RELIGIOSO DEI POPOLI PUO' SCONFIGGERE LA GUERRA (PARTE PRIMA) [Ringraziamo Rocco Altieri (per contatti: roccoaltieri at interfree.it) per averci messo a disposizione questo suo articolo apparso su "Quaderni Satyagraha" (la prestigiosa pubblicazione di cui e' curatore) n. 3, giugno 2003, alle pp. 73-92; pubblichiamo oggi la prima parte dell'articolo. Rocco Altieri e' nato a Monteleone di Puglia, studi di sociologia, lettere moderne e scienze religiose presso l'Universita' di Napoli, promotore degli studi sulla pace e la trasformazione nonviolenta dei conflitti presso l'Universita' di Pisa, docente di Teoria e prassi della nonviolenza all'Universita' di Pisa, dirige la rivista "Quaderni satyagraha". Tra le opere di Rocco Altieri segnaliamo particolarmente La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Biblioteca Franco Serantini, Pisa 1998. Per abbonarsi ai "Quaderni Satyagraha" (per contatti: tel. 050542573, e-mail: roccoaltieri at interfree.it, sito: pdpace.interfree.it): abbonamento annuale 30 euro da versare sul ccp 19254531, intestato a Centro Gandhi, via S. Cecilia 30, 56127 Pisa, specificando nella causale "Abbonamento Satyagraha"] "'Ove i popoli sono infieriti con le armi, talche' non vi abbiano piu' luogo le umane leggi, l'unico potente mezzo di ridurgli e' la religione' (G. B. Vico, Dignita' XXXI). E religione vuol dire oggi essenzialmente questo: che la struttura morale va a costituire l'intima struttura del mondo, che la realta' sarebbe nulla senza la nostra anima; che ha valore universale l'iniziativa d'amore e il promovimento infinito di liberta', di sviluppo, di creazione di valori, che la vita divina si attua nel darsi spontaneo e liberale. Questa e' una cosa che nessun armato puo' toglierci, e quando egli veda ben questo, e' gia' vinto e buttera' via le armi". (Aldo Capitini, Nuova socialita' e riforma religiosa, p. 17). * Uno degli aspetti piu' sorprendenti ogni volta che si rilegge Capitini, ha notato Norberto Bobbio (1), e' lo scoprire la sua "straordinaria chiaroveggenza" rispetto al corso della storia. In un momento di grande smarrimento di fronte alle strategie della guerra preventiva scatenata dall'impero americano, avvertendo un assoluto vuoto di coscienza storica nella cultura politica contemporanea, siamo andati a rileggere cosa scriveva Capitini nel lontano 1936, l'anno della guerra civile in Spagna e dell'avventura imperiale dell'Italia in Africa Orientale: "La violenza e' dilagata perche' si e' visto che avere pochi strumenti per difendersi o imporsi, e' come non averne nessuno. Si sostiene che la migliore difesa e' l'offesa preventiva, e il deprimere via via tutti quelli che domani o piu' tardi ci potrebbero nuocere. E si resta tutti assorbiti da questa cura; e piuttosto che migliorare se stessi, si cerca di spiantare gli altri, dedicando tutte le energie alla preparazione di una mentalita' offensiva. E allora? continuare sino al massimo su questa via? che cosa diverra' la vita? E se invece di moltiplicare i congegni micidiali, di estendere su larghissima scala la pena di morte, si cercasse e si diffondesse una persuasione elementare, atta a vivere energicamente nell'animo, non si darebbe un altro impulso alla civilta'?" (2). Dieci anni piu' tardi, nell'agosto 1945, pochi giorni dopo l'esplosione della prima bomba atomica, Capitini cosi' rifletteva: "Questo tempo e' tale che tutto in esso si riassume e culmina. Questo mondo distinto in continenti e in tante genti, ecco che si va unificando, e la resa del Giappone (una specie di Cartagine) e' un altro passo. Ecco un cosmopolitismo crescente, macchine, film, edifici, che possono collocarsi indifferentemente in qualsiasi parte della terra; e infine ecco che la forza, invece di stare decentrata in migliaia e migliaia di industrie di guerra, si raccoglie in una bomba di sovraterrena potenza, che mette al bivio: o essere terribilmente violenti o essere inferiori sul piano della forza. La vittoria ha piegato le ali e ha scelto la sua dimora? l'imperium non gira piu' da popolo a popolo? Si torna effettivamente a riconoscere ad uno solo il diritto di far guerra, quell'uno che e' potenzialmente il tutto, e non piu' ai singoli popoli, diritto riaffermato nel Rinascimento? Certamente, sorge il problema dell'uso della forza e della scelta del 'mezzo' per lottare, per affermare. Come raggiunta l'unita' mondiale, sorge la crisi di questa unita', ... cosi' posseduta la massima forza, sorge la crisi della forza, e il problema se, per attuazione di liberta', non le si possa contrapporre una ancora piu' formidabile". (3). * Il senso di smarrimento e di incertezza, emerso in questi mesi tra tanti intellettuali di sinistra (4), nasce dal fatto di non saper immaginare una politica internazionale che si realizzi al di fuori degli strumenti tradizionali della potenza economica e militare. Ritorna in campo una nostalgia per un mondo bipolare che non c'e' piu', e allora si ipotizza di reimpiantarlo, promovendo l'Europa, una volta che si sara' dotata di un suo esercito e di una sua politica estera autonoma, al rango di chi si contrappone alla volonta' dell'impero. Tuttora nessuno dei cultori del diritto internazionale sembra intravedere l'efficacia di una attiva azione politica di pace al di fuori degli Stati, attraverso l'esercizio di un potere popolare nonviolento che Capitini riteneva essere piu' forte della bomba, auspicando gia' nel lontano 1945 la creazione su basi culturali nuove di nonviolenza di una "internazionale della umanita' lavoratrice" (5). Negli anni immediatamente successivi alla caduta del fascismo Capitini si affanno' moltissimo nel tentativo di spiegare ai partiti politici di sinistra che "la forza non e' tutto, e che per le contrapposizioni assolute bisogna allestire ben altro" (6). Alle rivendicazioni economiche e politiche del socialismo bisognava aggiungere, "con evidenza assoluta, una centralita' etico-religiosa" (7), cosi' come avvenne contro l'apoteosi dell'impero romano quando sorse "la croce e l'attiva noncollaborazione dei cristiani contro colei che era l'assolutizzazione del potere politico" (8). Ma questa impostazione religiosa fu irrisa dai leader dei partiti, accusata di essere sentimentale e poco realistica: "Sono molti anni - lamentava Capitini - che io esprimo le mie riserve circa la teoria e la prassi che la nuova civilta' dell'umanita' lavoratrice possa e debba affermarsi mediante la forza e i mezzi della potenza; e ho incontrato troppi richiami alla realta' e frequenti sorrisi alla cinese, ispirati dalla fiducia in un'abile mescolanza di tattica e di forza. Ho pensato e penso che le vittorie che contano sono vittorie dal di dentro, quelle di Atene e di Gerusalemme" (9). * Gia' negli Elementi di una esperienza religiosa Capitini aveva annunciato: "Si va verso una difficile, ma inevitabile, riaffermazione religiosa nel mondo. Sara' una conquista, potente come non mai, dell'interiorita'..." (10). Ma non era folle, si chiedevano i piu', anche tra i suoi amici ed estimatori, proporre una "astrusa" riforma di religione, spacciata come necessaria e propedeutica a una rivoluzione politica nonviolenta, in un mondo che si avviava ormai verso la sua emancipazione da Dio e la sua definitiva secolarizzazione, in un tempo in cui la religione diveniva invisibile, secondo la celebre espressione di Thomas Luckmann (11), ricacciata cioe' nella sfera del privato, ridotta a una dimensione di credenza individuale, senza piu' alcuna rilevanza pubblica? La fine della religione veniva argomentata facendo ampio ricorso alle analisi dei padri fondatori delle scienze sociali: Marx, Durkheim, Weber, Freud. Ma questi grandi pensatori sociali, pur partendo da una posizione di non-credenza, nel loro sforzo creativo di decifrare lo statuto simbolico profondo sotteso all'esperienza religiosa non fecero altro che riscoprire la potenza della coscienza religiosa e la centralita' del fenomeno religioso all'interno del sistema sociale umano (12). * Nell'elaborare la sua teoria dell'azione sociale Parsons, ad esempio, il principale teorico del funzionalismo sociologico, ha sostenuto che, in realta', a una analisi attenta della modernita' l'influenza della dimensione religiosa non appare essersi attenuata, anzi: "Per molti anni la visione generale che sono andato esponendo e' che nella sfera socio-culturale, e quindi anche in quella psicologica, cio' che viene generalmente chiamata 'religione' sta ai piu' alti livelli nella gerarchia cibernetica delle forze che, nel definire la direzionalita' generale dell'azione, tra le possibili alternative permesse dalla condizione esistenziale dell'uomo, controlla i processi dell'azione umana (13). In realta', l'interpretazione che Parsons ci offre del processo di secolarizzazione differisce da quanti teorizzano il declino della religione nel mondo moderno e il suo degradarsi ad affare privato, mentre si avvicina molto alla visione laica sostenuta da Capitini nella sua proposta di una "religione aperta" (14). Parsons attribuisce al fenomeno moderno della secolarizzazione un duplice significato, spiegandolo, innanzitutto, come un processo di differenziazione funzionale tra la componente religiosa e le componenti secolari, che lungi dal portare a un declino dei valori religiosi, introduce, e' questo il secondo aspetto fondamentale, a una nuova fase di istituzionalizzazione di tali valori all'interno dell'evoluzione dei sistemi sociali e culturali. Istituzionalizzare significa per Parsons che "tali valori vengono a rappresentare il centro nella definizione della situazione per la condotta dei membri delle societa' secolari, precisamente nei loro ruoli secolari" (15). Parsons immagina uno sviluppo a spirale dei processi di differenziazione e di istituzionalizzazione, all'interno del quale si puo' riconoscere una sua teoria del conflitto e del cambiamento, che e' stata, invece, completamente misconosciuta dai suoi critici (16). Il cambiamento matura per Parsons nella sfera del sottosistema culturale e, all'interno di questo, si manifesta soprattutto nella dimensione religiosa piu' profonda. La differenziazione va intesa come scissione e antagonismo tra le forze emergenti della nuova religione di fronte ai vecchi poteri costituiti (17). E' il processo che abbiamo visto nella storia realizzarsi in modo paradigmatico con la nascita della chiesa cristiana rispetto alla comunita' giudaica e alla societa' dell'impero romano (18). Il processo di cambiamento culturale si sviluppa come desacralizzazione e sottrazione di legittimita' ai poteri costituiti, per cui in nome della nuova fede i cristiani si rifiutavano di prestare giuramento, di militare nell'esercito, di bruciare il granello di incenso sull'altare dell'imperatore. L'agire sociale per Parsons non si puo' spiegare soltanto coi meccanismi della razionalita' utilitaristica, ricorrendo ad esempio alla teoria dei giochi, per cui la societa' nel suo insieme e' vista come una grande macchina complessa, totalmente soggetta al calcolo mirante a massimizzare il proprio tornaconto personale. L'agire strumentale e' un concetto indebolito e riduttivo di ragione cui si potrebbe dare piu' esattamente il nome di "ragione calcolante", strumento soltanto dell'uomo d'affari, del tecnico o dell'analisi scientifica. "Una volta - ha scritto Tillich - la ragione era il potere di conoscere i principi ultimi del bene, del vero, del bello" (19). Questo concetto e' andato perduto nel XIX secolo, sostituito da qualcosa che nei secoli precedenti era assolutamente secondario. E' avvenuta una "disumanizzazione" della ragione, ridotta a conoscenza calcolante o controllante. Ma "quando tale conoscenza recide i suoi legami con la conoscenza olistica - quando la scienza diviene scientismo- finisce per impazzire nello sforzo insaziabile di misurare e gestire" (20). In realta', a fianco all'etica utilitaristica esiste sempre una possibile scelta etica non egoistica, altruistica, orientata ai valori (love-orientation, come viene chiamata nel funzionalismo sociologico). Parsons riprende a questo proposito la distinzione di Weber tra la Zweckrationalitaet, ossia la razionalita' strumentale, e la Wertrationalitaet, ossia la razionalita' ispirata ai valori (21). Il carisma e' per l'appunto quella componente non-razionale (ma certo non definibile come irrazionale) dell'agire umano, fatta di fede religiosa, affettivita', sentimenti, la cui presenza va riconosciuta a pieno diritto accanto alla razionalita' strumentale nell'influenzare la condotta dell'uomo e l'organizzazione sociale. Parsons nella sua teoria dei sistemi simbolici parla diffusamente dei "simboli costitutivi" espressivi e morali, che sono alla base della nascita della societa' umana. Il processo di inaridimento della cultura, a cui assistiamo, potrebbe essere rovesciato attraverso un processo di rivitalizzazione promosso da un generale risveglio religioso. Tyriakian, riprendendo Parsons e Durkheim parla a questo proposito di un ciclico processo di de-differentiation (22) o rigenerazione della societa' (23). "In termini parsoniani, il settore 'L' (24) viene ad essere riattivato per rigenerare la 'potenza' di tutto il sistema" (25). * Religioni e rivoluzioni hanno una comune matrice nell'impegno a mobilitare, risvegliare i popoli contro le strutture di dominio. Questa mobilitazione unifica le persone, crea legami di cooperazione attiva e di solidarieta', facendo sentire tutti come un solo popolo, al di la' di ogni differenza sociale o politica (e' questo per l'appunto il realizzarsi del processo di de-differenziazione) (26). La religione come affermazione creativa della verita' in rapporto alla totalita' dell'esperienza umana e', percio', una dimensione ineliminabile (27). Ha scritto Robert Bellah, sociologo formatosi alla scuola di Parsons : "Quella che generalmente viene chiamata secolarizzazione e declino della religione, in questo contesto apparirebbe come il declino del sistema esterno di controllo della religione ed il declino della credenza religiosa tradizionale. Ma la religione, come quella forma simbolica attraverso la quale l'uomo trova un accordo con le antinomie del suo essere, non e' venuta meno, di fatto, non puo' venire meno, a meno che la natura dell'uomo cessi di essere un problema per esso" (28). In un certo senso la secolarizzazione del cristianesimo, nel significato datole dalla teoria funzionalista, ha portato a una maturazione della coscienza religiosa moderna. Bellah, riprendendo la distinzione di Tillich (29) tra fede e credenza, tra fede e pratiche religiose (considerazione che e' centrale anche in Capitini), afferma come la centralita' della coscienza rispetto all'autorita' della legge sia l'acquisizione piu' importante della modernita', introducendo quella che Bellah chiama l'internalizzazione dell'autorita' (30). Bisogna sempre distinguere tra fede (faith) e credenza(belief): "La fede - secondo Tillich - e' lo stato consistente nell'essere afferrati da qualcosa che ha un significato supremo, e nell'agire e pensare in base ad esso come persona dotata di un centro. Le credenze sono opinioni che si ritengono vere, che possono essere o meno realmente tali" (31). Confondere fede e credenza ha portato storicamente a esiti nefasti, aprendo la strada al dogmatismo e all'intolleranza. Scrive Bellah: "Lo sforzo di mantenere la credenza ortodossa e' consistito principalmente in uno sforzo di mantenere l'autorita' piuttosto che la fede. Faceva parte di un intero modo gerarchico di considerare il controllo sociale, profondamente radicato nella societa' tradizionale" (32). Ma la fede autentica non accetta forme di coercizione esterna, ha in se' uno spirito antidogmatico e antiautoritario. Il processo di differenziazione funzionale introdotta dalla modernita' tra Chiesa e Stato, ha portato a una purificazione della prassi religiosa, vincendo ogni tentazione "cesaro-papista", rompendo l'allenza medievale tra trono e altare. Come osserva Bellah: " (...) E' necessario ora come lo e' sempre stato caricarsi della croce e seguire Colui che fu crocifisso fuori dalle porte della citta'. In un certo senso [il processo di differenziazione] solleva la chiesa da un pesante fardello. Non deve piu' fornire il cemento sociale per un imperfetto ordine sociale; non deve piu' mantenere due ruoli come il Concilio notturno delle Leggi di Platone (33). In un mondo non autoritario, la chiesa puo' soltanto essere come era in origine, una societa' volontaria. Questo non vuol dire che la chiesa sia isolata e alienata, anche se oggi qualsiasi persona moralmente impegnata deve spesso sentirsi sola e alienata. Ma diviene possibile riconoscere l'azione dello Spirito santo, per usare un simbolismo cristiano, in gruppi e individui che non si definirebbero cristiani, e riconoscere il modello biblico in movimenti che proclamano rumorosamente il loro anti-cristianesimo. I cristiani possono unirsi ai non cristiani nel definire il consenso emergente per certi valori, nel criticare i valori esistenti nei termini del criterio di umanita' comune e di integrita' personale, ed insistere perche' i valori che costituiscono gia' un impegno per tutte le societa' siano attuati per tutti i gruppi sociali. (...) Non e' possibile dividere l'umanita' in credenti e non-credenti. Tutti credono a qualcosa, e gli indifferenti e quelli con scarsa fede si possono incontrare sia nelle chiese che fuori di esse. Lo Spirito soffia dov'e' ascoltato e uomini di integrita' appassionata si trovano in strani luoghi. (...) I cristiani assieme con altri uomini sono chiamati a costruire la comunita' senza frontiere, il corpo dell'uomo identificato con il corpo di Cristo, anche se poi tutti gli uomini sono liberi di simbolizzarlo nel modo che e' loro proprio (34).. * Anche per Capitini affermare la laicita' dello Stato e' stato un bene assoluto per la vita e il rinnovamento della religione, liberandola finalmente sia dalla tentazione del dominio temporale, sia dall'assoluto controllo governativo. Ma e' erroneo pensare che questa scelta di laicita' debba portare a separare la religione dalla politica. Infatti, non vanno confusi o identificati lo spazio della politica con quello dello Stato. E' questo un nodo cruciale per la comprensione della nonviolenza. Jose' Casanova, sociologo americano, vede come il processo di secolarizzazione abbia spostato il baricentro della religione verso il basso, passando, attraverso un processo di trasformazione, dall'alleanza con i vertici dello Stato verso la progressiva immersione nella societa' civile (35). Questo processo pone il legame tra religione e politica su basi nuove, distinguendo le concezioni della "politica di potenza" promossa dagli Stati dalla politica come azione popolare per la liberazione degli oppressi e come servizio al bene comune, agendo positivamente nel promuovere solidarieta' e giustizia. Secondo questa ultima accezione chi nega lo stretto legame esistente tra religione e politica, come ha scritto Gandhi alla fine della sua autobiografia, non ha capito bene cosa si intenda per religione (36). Jose' Casanova (37) trova riaffermata questa intuizione gandhiana nel suo studio delle rivoluzioni popolari che si sono susseguite con successo nel corso del decennio 1979-'89, dall'Iran all'America Latina, dalle Filippine ai paesi dell'Est europeo, mettendo in luce come la sfida ai poteri autoritari sia venuta dal cuore delle religioni tornate a svolgere un ruolo politico determinante. Casanova chiama questo nuovo protagonismo pubblico delle religioni processo di deprivatization of religion (38). Le religioni, uscendo dalla sfera del privato dove lo spirito moderno sembrava volerle confinare, diventano lo spazio culturale profondo all'interno del quale la comunita' rinnova, secondo la visione data da Durkheim (39), la base morale della propria identita', dei propri valori fondanti, dei significati ultimi del proprio agire, e, allorche' si manifesti una situazione di crisi, consente di avviare un processo di delegittimazione dei poteri costituiti e di ridefinizione dei nuovi confini. "I movimenti sociali a carattere religioso - osserva Casanova - sfidano in nome della religione la legittimita' e l'autonomia delle due primarie sfere secolari, in particolare gli Stati e i Mercati" (40). I movimenti contestano in particolare il fatto che l'economia e la politica facciano le loro scelte seguendo esclusivamente le logiche del profitto e della volonta' di potenza, ignorando completamente, secondo la critica sostanziale che gia' fece John Ruskin nell'800, i principi etici dell'umanita': "Similmente, istituzioni e organizzazioni religiose rifiutano di limitarsi alla cura pastorale delle anime e continuano a sollevare questioni sulle interconnessioni tra moralita' pubblica e privata e a sfidare le pretese dei sottosistemi, particolarmente degli stati e dei mercati, di essere dispensati da considerazioni normative estranee. Il risultato di questa crescente contestazione e' duplice, un processo interrelato di ripoliticizzazione della religione privata e della sfera morale, e una ri-normativizzazione dell'economia pubblica e della sfera politica. Cio' e' quello che io chiamo, per mancanza di un termine migliore, la deprivatizzazione della religione" (41). * La cultura dominante del liberismo economico ha orrore della politicizzazione della religione, bollando come "fondamentalismo" il risveglio dell'Islam e "comunismo" l'opzione privilegiata per i poveri presente nella teologia della liberazione e nelle comunita' cristiane di base dell'America Latina, avversandole entrambe con una guerra ideologica di criminalizzazione senza precedenti. In realta', scrive Casanova, "la concezione liberale ha paura che l'etica religiosa esca dal privato, sostenendo concezioni alternative di giustizia, pubblico interesse, beni comuni, solidarieta', dentro le deliberazioni 'neutrali' della sfera pubblica liberale" (42). Tre sono le questioni cruciali, fondamentali, su cui le religioni, secondo Casanova, lanciano la sfida ai potentati del mondo globalizzato: la promozione dei diritti umani e delle liberta' civili contro l'oppressione totalitaria del libero mercato; la messa al bando delle armi nucleari e della guerra; l'affermazione di una bioetica nell'orizzonte della difesa della vita (43). I movimenti religiosi che rivendicano un forte legame tra fede e politica vengono spesso bollati come fondamentalisti. Ma il fondamentalismo, in realta', non va identificato tout court con l'estremismo e il fanatismo violento, con il nazionalismo che cerca di fare un uso strumentale delle frustrazioni popolari e del sentimento religioso, alimentando la guerra tra civilta'. Il concetto di fondamentalismo, come hanno dimostrato Martyn E. Marty e Scott Appleby nella loro magistrale ricerca (44), e' in se' molto ambiguo, perche' non distingue la diversita' di posizioni tra la reazione violenta e l'opzione nonviolenta, entrambe presenti all'interno di un comune processo di mobilitazione politica della religione, pur avvertendo che le azioni violente vengono di gran lunga enfatizzate dai mass-media a svantaggio di quelle nonviolente, che sono innumerevoli, ma silenziose, diffuse, e costruite dal basso della societa', lontano dai riflettori. C'e' indubbiamente una possibile ambivalenza del sacro, di un modo di essere violento o nonviolento delle religioni, che gia' J. J. Rousseau aveva evidenziato nelle sue riflessioni a proposito della Religione civile (45). Mark Juergensmeyer (46) ha di recente analizzato in maniera magistrale i meccanismi sociologici e culturali che possono trasformare la religione in un cemento ideologico capace di mobilitare le folle e spingere i credenti ad atti violenti di martirio e di terrorismo. Bisogna, allora, fare tutto un lavoro educativo di purificazione della prassi religiosa in senso nonviolento, per spostare la lotta dalla violenza contro l'altro, all'impegno assieme all'altro, per sconfiggere la violenza strutturale presente nei sistemi sociali contemporanei (47). Bisogna, secondo l'invito di Gandhi, scoprire e rivitalizzare tutti gli elementi di nonviolenza presenti in ogni tradizione religiosa. Nella guerra degli Usa contro l'Irak ben ha fatto la popolazione sciita a sfuggire alla morsa tra il regime e gli eserciti aggressori, sottraendosi alla resistenza armata e spostando la lotta sul piano della opposizione popolare e religiosa, cosi' come e' avvenuto con le grandiose manifestazioni nonviolente di Kerbala (48), schierandosi ne' con Bush, ne' con Saddam, ma rivendicando il proprio diritto all'autoderteminazione. * Note 1. Norberto Bobbio, Cinquant'anni dopo, in Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Bologna, Cappelli, 1990, (prefazione alla ristampa anastatica della seconda edizione del 1947), p. XX. 2. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, Bologna, Cappelli, 1990, pp. 21-22. 3. Aldo Capitini, Italia nonviolenta, Bologna, Libreria Internazionale di Avanguardia, 1949, ristampa a cura del Centro Studi Aldo Capitini, Perugia,1981, p. 46. 4. Si pensi ad esempio al dibattito ospitato dal quotidiano "Il manifesto" a cura di Luigi Cavallaro (20 e 22 aprile 2003) sui recenti scritti di Michael Hardt e Toni Negri dedicati alla politica di Gorge W. Bush, pubblicati sul primo numero di "Global Magazine", aprile 2003. 5. Ivi, p. 47. 6. Ibidem. 7. Ibidem. 8. Ibidem. 9. Ibidem. 10. Aldo Capitini, Elementi di un'esperienza religiosa, op. cit. , pp. 21-22. 11. Thomas Luckmann, Invisible Religion, New York, Macmillan, 1967. E' il testo piu' famoso che teorizza la secolarizzazione come processo moderno di riduzione della fede a un fatto privato e individuale. 12. Cfr. Robert N. Bellah, Beyond Belief. Essays on Religion in a Post-Traditional World, New York, Harper & Row, 1970, ed.it.: Al di la' delle fedi. Le religioni in un mondo post-tradizionale, Brescia, Morcelliana, 1975, p. 249. 13. Talcott Parsons, Action Theory and the Human Condition, New York, The Free Press, 1978, p. 240. 14. Aldo Capitini, Religione aperta, Parma, Guanda, 1955. 15. Talcott Parsons, op. cit., p. 241. 16. Questa visione viene enfatizzata soprattutto nei suoi ultimi scritti, che delineano una terza fase del suo pensiero, tuttora trascurata e poco studiata. Cfr. Peter Hamilton, Talcott Parsons, Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 151-168. 17. E' evidente l'influenza della teoria weberiana della forza carismatica. 18. Cfr. Talcott Parsons, op. cit., nota 11, pp. 241-2. 19. Paul Tillich, L'irrilevanza e la rivelanza del messaggio cristiano per l'umanita' oggi, Brescia, Queriniana, 1998, p. 53. 20. Ivi, p. 15. 21. Ivi, pp. 236-7. 22. Tiryakian scrive che "c'e' bisogno di abbinare la de-differenziazione con la differenziazione strutturale per arrivare a un modello teorico generale di sviluppo" in Edward A. Tiryakian, On the significance of de-differentiation, in S. N. Eisenstadt and H. J. Helle, Macro-Sociological Theory, vol. I, London, Sage, 1985, p. 131. 23. Cfr. Emile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Roma, Newton Compton Italiana, 1973, pp. 214-246. 24. "L" sta per latenza e indica nel modello di controllo cibernetico AGIL, elaborato da Parsons, il sottosistema culturale che opera in interazione con il sottosistema economico, politico e sociale. AGIL e' un acronimo: A sta per Adaptive subsystem (l'economia); G sta per Goal-attainment subsystem (la politica); I sta per Integrative subsystem (le norme di controllo sociale, altrimenti detto comunita' societaria); L identifica il luogo delle motivazioni ultime, dell'etica orientata ai valori, della religione civile. Cfr. Talcott Parsons & Gerald M. Platt , The American University, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1973, pp. 426-428. 25. Edward A. Tiryakian, op. cit., p. 129. 26. Ibidem. 27. Cfr. Andrew Greeley, Unsecular Man: The Persistence of Religion, New York, Schocken, 1972. 28. Robert N. Bellah, Al di la' delle fedi. Le religioni in un mondo post-tradizionale, cit., p. 242. 29. Paul Tillich (1886-1965), tra i piu' eminenti teologi del secolo scorso, fu tra i primi oppositori di Hitler e percio' sospeso dall'insegnamento e costretto all'emigrazione negli Stati Uniti. Sua opera principale e' la Teologia sistematica in tre volumi (1951-1963). 30. Robert N. Bellah, op. cit., p.238. 31. Paul Tillich, op. cit., p. 42. 32. Ivi, p. 235. 33. Nel libro X delle Leggi Platone sostiene la necessita' di una serie di credenze (l'esistenza di Dio, l'immortalita' dell'anima), per cui la manifestazione di incredulita' era passibile di punizione. 34. Ivi, pp. 243-244. 35. Jose' Casanova, Public Religions in the Modern World, Chicago, The University of Chicago Press, 1994, pp. 58-63. 36. M. K. Gandhi, An Autobiography, or the Story of my Experiments with Truth, (1927-29), Ahmedabad, Navajivan Publ., 1979, p. 383. 37. Jose' Casanova, Public Religions in the Modern World, cit. 38. Ivi, p.65-66 39. Cfr. Emile Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, cit. Durkheim nel capitolo 7 del secondo libro (nell'edizione italiana capitolo 11, pp. 214-246) sostiene che il sacro costituisce la base fondamentale della comunita' morale, l'espressione simbolica della vitalita' collettiva della societa'. 40. Jose' Casanova, op. cit, p. 5 41. Ivi, pp. 5-6. 42. Ivi, p. 55. 43. Ivi, pp. 57-58. 44. Cfr. M. E. Marty, R. S. Appleby, Fundamentalism Observed, Vol. I, The Fundamentalisms Project, Chicago, Chicago University Press, 1991. 45. Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, in Scritti Politici, Torino, Utet, 1970, p. 838. Per analisi piu' recenti cfr.: Marc Gopin, Between Eden and Armageddon: The Future of World Religions, Violence, and Peacemaking, New York, Oxford University Press, 2000; R. Scott Appleby, The Ambivalence of the Sacred. Religion, Violence, and Reconciliation, Lanham, Maryland, Rowman & Littlefield Publ., 2000. 46. Mark Juergensmeyer, Terror in The Mind of God. The Global Rise of Religious Violence, Berkeley, University of California Press, 2001. 47. Cfr. Johan Galtung, La pace con mezzi di pace, Milano, Esperia, 2000. 48. Kerbala, a meta' strada tra Baghdad e Najaf, e' la citta' santa sciita, dove tra il 21 e il 22 aprile sono confluiti in pellegrinaggio milioni di persone, nell'anniversario dell'assassinio 1300 anni fa dell'iman Hussein, figlio di Ali'. Il pellegrinaggio e' stata l'occasione per manifestare pubblicamente di essere ne' con Bush, ne' con Saddam. * (Continua) 4. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 5. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 784 del 20 dicembre 2004 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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