La nonviolenza e' in cammino. 779



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 779 del 15 dicembre 2004

Sommario di questo numero:
1. Ileana Montini: Una domenica
2. Enrico Peyretti: Non-rassegnazione
3. Sergio Albesano: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
4. Carlo Gubitosa: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
5. Giovanni Sarubbi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'...
6. Un anno di nonviolenza. In azione
7. Maria G. Di Rienzo: Due buone notizie
8. Bruno Segre: La pace si puo' insegnare
9. Fatema Mernissi: Il tempo e lo spazio
10. Maria Zambrano: Tutto
11. Riletture: Silvia Vegetti Finzi (a cura di), Psicoanalisi al femminile
12. La "Carta" del Movimento Nonviolento
13. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. ILEANA MONTINI: UNA DOMENICA
[Ringraziamo Ileana Montini (per contatti: ileana.montini at tin.it) per questo
intervento. Ileana Montini, prestigiosa intellettuale femminista, gia'
insegnante, e' psicologa e psicoterapeuta. Nata nel 1940 a Pola da genitori
romagnoli, studi a Ravenna e all'Universita' di Urbino, presso la prima
scuola di giornalismo in Italia e poi sociologia; giornalista per
"L'Avvenire d'Italia" diretto da Raniero La Valle; di forte impegno
politico, morale, intellettuale; ha collaborato a, e fatto parte di, varie
redazioni di periodici: della rivista di ricerca e studio del Movimento
Femminile DC, insieme a Tina Anselmi, a Lidia Menapace, a Rosa Russo
Jervolino, a Paola Gaiotti; di "Per la lotta" del Circolo "Jacques Maritain"
di Rimini; della "Nuova Ecologia"; della redazione della rivista "Jesus
Charitas" della "famiglia dei piccoli fratelli e delle piccole sorelle"
insieme a fratel Carlo Carretto; del quotidiano "Il manifesto"; ha
collaborato anche, tra l'altro, con la rivista "Testimonianze" diretta da
padre Ernesto Balducci, a riviste femministe come "Reti", "Lapis", e alla
rivista di pedagogia "Ecole"; attualmente collabora al "Paese delle donne".
Ha partecipato al dissenso cattolico nelle Comunita' di Base; e preso parte
ad alcune delle piu' nitide esperienze di impegno non solo genericamente
politico ma gramscianamente intellettuale e morale della sinistra critica in
Italia. Il suo primo libro e' stato La bambola rotta. Famiglia, chiesa,
scuola nella formazione delle identita' maschile e femminile (Bertani,
Verona 1975), cui ha fatto seguito Parlare con Dacia Maraini (Bertani,
Verona). Nel 1978 e' uscito, presso Ottaviano, Comunione e liberazione nella
cultura della disperazione. Nel 1992, edito dal Cite lombardo, e' uscito un
libro che racconta un'esperienza per la prevenzione dei drop-out di cui ha
redatto il progetto e  curato la supervisione delle operatrici: titolo: "...
ho qualche cosa anch'io di bello: affezionatrice di ogni cosa". Recentemente
ha scritto la prefazione del libro di Nicoletta Crocella, Attraverso il
silenzio (Stelle cadenti, Bassano (Vt) 2002) che racconta l'esperienza del
Laboratorio psicopedagogico delle differenze di Brescia, luogo di formazione
psicopedagogica delle insegnanti e delle donne che operano nelle relazioni
d'aiuto, laboratorio nato a Brescia da un progetto di Ileana Montini e con
alcune donne alla fine degli anni ottanta, preceduto dalla fondazione,
insieme ad altre donne, della "Universita' delle donne Simone de Beauvoir".
Su Ileana Montini, la sua opera, la sua pratica, la sua riflessione, hanno
scritto pagine intense e illuminanti, anche di calda amicizia, Lidia
Menapace e Rossana Rossanda]

E' una domenica di dicembre, la vigilia di S. Lucia.
Si va a pranzo dai parenti e si portano i regali per due bambini: lui ne ha
sette e lei ne ha tre. Arrivano i nonni e anche loro portano i regali. Una
scatola contenente i pezzi per costruire una portaerei per il maschietto e
una scatola contenente i pezzi per organizzare una mini cucina, dai fornelli
a gas, ai tegamini e ai mestoli.
La bimba si accinge subito a giocare, offrendo ai presenti immaginari cibi
appena cotti, mentre la sua giovane mamma sta ultimando in cucina i
preparativi per il pranzo aiutata dalla suocera. Il marito chiacchiera con
gli ospiti. Terminato il pranzo la giovane mamma ritorna in cucina per
rimettere tutto a posto, mentre il marito esce con il figlio e la bimba
riprende a giocare.
La scena si svolge, si faccia attenzione, nel 2004.
Cosa e' cambiato dai tempi , trent'anni fa, del libro Dalla parte delle
bambine di Elena Gianini Belotti, dove si evidenziava la diversa educazione,
ovvero la formazione alla divisione sessuale dei ruoli? La bimba,
incoraggiata dai nonni, cosa fa se non imitare la mamma che vede sempre alle
prese con il ruolo di casalinga, ma in realta' di doppia presenza perche' ha
anche un lavoro? E la mamma, appena trentenne, si e' adattata perfettamente
all'antico ruolo, apparentemente, senza fiatare. Fra qualche anno la bimba
verra' invitata ad aiutare la mamma nei "lavori di casa", mentre il
maschietto seguira' il padre alle partite di calcio.
Intanto arrivano sempre di piu' negli studi degli psicoterapeuti, giovani
donne che, quando resistono al ruolo tradizionale di donne avvertito come
inferiore a quello degli uomini, si sentono in colpa.
Ma non c'entra proprio niente con la violenza questo perdurare della
tradizione?
Direi di si'.
Il piccolo maschio sta gia' comprendendo che le donne hanno un ruolo
inferiore, che, insomma, la parte migliore della vita e' toccata a lui,
rispetto alla sorella. Le statistiche ci dicono che la violenza che si
consuma in famiglia, in Italia (come nel resto del mondo) e', in grandissima
parte, contro le donne. La politica, d'altronde, lo vediamo a ogni serata a
"Porta a porta" o a "Ballaro'", o nei telegiornali, e' dominata dalla
presenza maschile.
Alle radici non c'e' forse proprio il perdurare di questa mentalita'?

2. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: NON-RASSEGNAZIONE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: e.pey at libero.it) per averci
messo a disposizione questo suo testo apparso sul quindicinale "Rocca" del
15 dicembre 2004. Enrico Peyretti e' uno dei principali collaboratori di
questo foglio, ed uno dei maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno
di pace e di nonviolenza. Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non
uccidere", Cens, Liscate 1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il
Monte 1998; La politica e' pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la
guerra, Beppe Grande, Torino 1999; e' disponibile nella rete telematica la
sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra. Bibliografia
storica delle lotte nonarmate e nonviolente, ricerca di cui una recente
edizione a stampa e' in appendice al libro di Jean-Marie Muller, Il
principio nonviolenza, Plus, Pisa 2004 (libro di cui Enrico Peyretti ha
curato la traduzione italiana); vari suoi interventi sono anche nei siti:
www.cssr-pas.org, www.ilfoglio.org. Una piu' ampia bibliografia dei
principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 731 del 15 novembre 2003 di
questo notiziario. "Rocca" - come scrive lo stesso autore - e' quindicinale
molto vivo (tra i collaboratori Raniero La Valle, Filippo Gentiloni, Adriana
Zarri, Giannino Piana, Carlo Molari, Giancarlo Zizola, Umberto Allegretti,
Arturo Paoli, Lidia Maggi, Lilia Sebastiani, Giuliano Della Pergola, ecc.)
della Pro Civitate Christiana di Assisi; per contatti: tel. 075813641, o
anche 075813231, fax: 075812855, e-mail: rocca at cittadella.org]

Fede e potere - La chiesa e' fedele quando dice la parola ricevuta senza
riguardo ai potenti. Pecca di idolatria (il piu' grave peccato) quando si
appoggia ai potenti per sostenere il bene. I potenti volentieri si
appropriano della bandiera del bene, e di Dio stesso, per consacrare il
proprio dominio. Cosi' chiamano bene il maggiore dei mali, il dominio, che
offende i poveri e Dio che sta con loro. L'uomo confermato al vertice
dell'impero, Bush, si proclama "rinato in Cristo" e appoggia il "bene" sulla
forza violenta; e' potente in denaro e armi, usa Dio per chiedere consenso,
e fa guerra nel suo nome, come ha dichiarato piu' volte.
*
Funzione profetica - Non giudichiamo le coscienze, che solo Dio vede, ma
atti e parole, che possiamo vedere e dobbiamo valutare. La funzione
profetica, che tutti abbiamo se ci e' data un po' di fede, non consiste nel
punire, ma nel denunciare si', perche' tacere e' tradire. Non "dire la
verita' ai potenti" (Gandhi), non "proclamare sui tetti cio' che abbiamo
udito nell'orecchio" (cfr. Matteo 10, 27), e' tradire.
*
Italia - Quando la chiesa confida nei potenti, in Usa da' largo appoggio
sull'etica sessuale e sociale a Bush, "presidente di guerra", in Italia
patteggia favori col partito che privilegia la liberta' dei forti sulla
giustizia (si sa da parlamentari che la Cei suggerisce direttamente
emendamenti alle leggi in discussione). La chiesa pecca nel non aver fede
sufficiente nel bene. I potenti nell'aver fede solamente nel male-dominio.
*
Masse - Nella storia gioca e imperversa anche un mistero di iniquita', che
non ha corna e coda, ma e' la semplice volonta' di potenza pronta a
schiacciare la vita di persone e popoli interi. Sempre questo male si
maschera di bene, si erge a Impero del Bene. Grandi masse ne sono sedotte e
conquistate. Altre grandi masse ne conoscono l'offesa perche' la patiscono.
Occulta questa realta', e favorisce i violenti, chi registra in modo
neutrale i fatti, come tanti commentatori "oggettivi", a tutto disponibili.
*
Modello - Le alternative, dentro il cerchio statunitense, erano anguste:
Kerry sarebbe stato un presidente meno brutale e invasato, ma non aveva
alcuna intenzione di uscire dalla politica imperiale e militare. Non si vota
mai sui poteri reali, le corporation, che governano i governi e impongono le
politiche economiche, decidendo la vita o la morte dei fuori-mercato, con
totale cinismo (vedi Joel Bakan, autore di The Corporation, in
"Internazionale", 22 ottobre 2004): su cio' che piu' conta non c'e'
democrazia. Nella democrazia-modello nordamericana si sceglie tra miliardari
integrati, ma su giustizia o ingiustizia non si vota. Coloro che piu'
patiscono i colpi di un sistema diseguagliante ed escludente, sono quelli
che meno di tutti hanno voce in capitolo. Tutto cio', insieme alla sua
esportazione armata, scredita il valore indubbio della democrazia
occidentale davanti alla coscienza del mondo.
*
Non-rassegnazione - La critica del dominio trionfante puo' essere resistente
oppure rassegnata, cioe' disperata. E' resistenza solo se e' unita alla
virtu' della non-rassegnazione, che e' la costanza nel seminare e costruire,
in ogni stagione, libera tanto dalla pretesa del successo, quanto
dall'adeguarsi al reale. Non-rassegnazione e' il nome di battaglia della
speranza.
*
Strategia - Bisogna partecipare alla resistenza mondiale all'impero, per
evitare di restare complici passivi della rivoluzione sacralizzata dei
ricchi contro lo sviluppo moderno dei diritti universali. La scrittrice
indiana Arundhati Roy ("Internazionale", 29 ottobre 2004) propone bene: 1)
Le grandi manifestazioni non bastano, occorrono obiezioni personali e
boicottaggi economici organizzati. 2) Molte ong fanno un ottimo lavoro ma
l'opposizione all'impero liberista non deve lasciarsi confinare nel supplire
allo stato che si ritira dalla spesa pubblica. 3) Il metodo e' la
nonviolenza attiva. E' molto importante discutere le strategie di
resistenza. La repressione della protesta nonviolenta (per esempio a Genova
2001) vuole spingere alla protesta violenta, utile a chi domina. Il
terrorismo e' certamente perverso, proprio come la guerra. Un'alternativa al
terrorismo esiste, si chiama giustizia. L'anelito di dignita' e giustizia e'
il forte contrappunto alla volonta' di dominio. L'unica possibilita' di
opposizione e' che quell'anelito resti fedele a se stesso, forte, cioe'
nonviolento.

3. STRUMENTI. SERGIO ALBESANO: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Sergio Albesano (per contatti: sergioalbesano at tiscali.it) per
questo intervento. Sergio Albesano e' impegnato nei movimenti di pace, di
solidarieta' e per la nonviolenza, cura una rubrica di storia e una di libri
su "Azione nonviolenta". Opere di Sergio Albesano: Storia dell'obiezione di
coscienza in Italia, Santi Quaranta, Treviso 1993; con Bruno Segre e Mao
Valpiana ha coordinato la realizzazione del volume di AA. VV., Le periferie
della memoria. Profili di testimoni di pace, coedizione Anppia e Movimento
Nonviolento, Torino-Verona 1999]

"Azione nonviolenta" e' per me uno strumento che presenta una doppia
utilita'.
Da un lato e' un mezzo per essere informato di cio' che avviene in Italia
nel campo della nonviolenza, per conoscere avvenimenti ed eventi e per
essere costantemente aggiornato.
Poi e' un modo per approfondire le tematiche sulla nonviolenza, per leggere
articoli scritti da persone autorevoli che mi aiutano a capire le
motivazione profonde che sottendono la scelta di questo stile di vita.
Percio' quando si dice che la rivista del Movimento Nonviolento e' uno
strumento di formazione e di informazione sulla nonviolenza penso che la
frase sia proprio vera.
Ultimamente, inoltre, "Azione nonviolenta" si e' rinnovata dal punto di
vista grafico e cio' l'ha resa di piu' piacevole lettura.
Insomma per me ricevere la rivista e' un appuntamento che attendo con
piacere, perche' sento che la sua lettura mi fa crescere.

4. STRUMENTI. CARLO GUBITOSA: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Carlo Gubitosa (per contatti: c.gubitosa at peacelink.it) per
questo intervento. Carlo Gubitosa e' segretario di "Peacelink" (la
principale rete telematica pacifista italiana, sito: www.peacelink.it),
collabora con varie testate ed e' uno dei piu' noti operatori
dell'informazione di area pacifista e nonviolenta. Tra le opere di Carlo
Gubitosa: (con Enrico Marcandalli e Alessandro Marescotti), Telematica per
la pace, Apogeo, Milano 1996; Oltre internet, Emi, Bologna 1997;
L'informazione alternativa, Emi, Bologna 2002; Genova, nome per nome, Berti,
Piacenza 2003]

Quest'anno continuero' a sostenere "Azione nonviolenta" perche' e' la
rivista fondata da Aldo Capitini, perche' e' l'organo di informazione di un
movimento nonviolento che considero uno dei pochi soggetti veramente e
genuinamente rivoluzionari nel nostro paese, perche' l'unica alternativa
allo strapotere dei media commerciali e' il sostegno all'informazione
indipendente, perche' l'abbonamento costa piu' o meno come una serata in
pizzeria, ma garantisce un anno di cultura, perche' conosco e stimo
personalmente Mao Valpiana e il suo lavoro giornalistico, perche' credo che
il movimento nonviolento vada rafforzato e sostenuto anche attraverso le sue
riviste e le sue pubblicazioni, per renderlo ancora piu' immune dai numerosi
tentativi di cooptazione che arrivano dal mondo politico ansioso di
appuntare l'arcobaleno sul bavero della giacca ma ancora molto, troppo
restio ad un vero cambiamento di orizzonte culturale, quel cambiamento che
arriva solamente da una scelta di nonviolenza sincera e coerente.

5. STRUMENTI. GIOVANNI SARUBBI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'...
[Ringraziamo Giovanni Sarubbi (per contatti: gsarubb at tin.it) per questo
intervento. Giovanni Sarubbi, amico della nonviolenza, promotore del dialogo
interreligioso, dirige l'eccellente rivista e sito de "Il dialogo"
(www.ildialogo.org)]

La violenza ci parla da ogni angolo di strada che attraversiamo, da ogni
radio accesa, da ogni schermo televisivo illuminato, da ogni quotidiano
letto in un salone di barbiere.
E sono parole, suoni ed immagini che generano odio, che feriscono nel
profondo e ti inducono a dire che e' sempre stato cosi' e cosi' sara' nei
secoli a venire, se ci saranno secoli a venire.
Ed il problema drammatico di questa nostra epoca e' proprio la messa in
discussione dell'esistenza stessa dell'umanita'. Ed e' per questo che
occorre una svolta epocale, un radicale cambiamento del nostro stile di
vita, del nostro approccio al rapporto con gli altri, chiunque essi siano,
qualunque sia la loro religione, la loro etnia o nazionalita' o quant'altro
l'umanita' ha usato per dividersi e per generare oppressi ed oppressori.
Certo una rivista, qualunque essa sia, da sola non basta. Non basta "Azione
nonviolenta" per impedire le guerre e per far avanzare una cultura
nonviolenta nella risoluzione dei conflitti. Ma la nostra umanita', la
nostra piccola societa' italiana sarebbe sicuramente peggiore senza "Azione
nonviolenta" o senza una qualsiasi delle tante testate giornalistiche che
nel nostro paese dal basso e con immensi sacrifici personali cercano di far
vivere l'idea di una umanita' finalmente riscattata dalla violenza. Un altro
mondo e' possibile, spetta a noi realizzarlo.
La pace potra' realizzarsi se ognuno dara' il suo contributo, se ognuno
comprende che l'impegno per la pace non si puo' delegare a nessuno. E cio'
vale per i rapporti fra le persone, fra i gruppi sociali, fra le nazioni.
Spetta ad ognuno impegnarsi, fare il primo passo checche' ne pensino gli
altri: ed abbonarsi ad "Azione nonviolenta" e' un modo per manifestare il
proprio impegno per una societa' nonviolenta, un modo per votare contro la
guerra ed i suoi fautori e mercenari.
Sono questi i motivi che anche quest'anno mi hanno spinto a rinnovare
l'abbonamento, nonostante la crisi economica e tutta la violenza di cui
quotidianamente siamo investiti.

6. STRUMENTI. UN ANNO DI NONVIOLENZA. IN AZIONE
"Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata
da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte
le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via
Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail:
azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e'
di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite
bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso
BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB
11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona,
specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta".

7. MONDO. MARIA G. DI RIENZO: DUE BUONE NOTIZIE
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice
dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di),
Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003]

Un'educatrice e l'stituto di cui e' cofondatrice in Afghanistan hanno vinto
l'"International Women's Rights Prize" (premio internazionale per i diritti
delle donne): la cerimonia di premiazione si e' tenuta pochi giorni fa in
sede Onu. Il premio, che consiste di una medaglia d'oro e di 200.000
dollari, e' conferito annualmente ad individui e gruppi che "abbiamo dato
contributi significativi, spesso correndo rischi personali, per
l'avanzamento dei diritti di donne e bambine, ed abbiano reso pubblica la
necessita' di tali diritti". Le vincitrici del 2004 sono Sakena Yacoobi e le
sue compagne dell'Istituto afgano per l'apprendimento, per aver portato
istruzione letteraria e sanitaria alle donne ed alle bambine afgane, sia in
Afghanistan, sia nei campi profughi del Pakistan.
Yacobi ed altre due donne fondarono l'Istituto nel 1995, dopo che i Talebani
avevano contribuito a rendere piu' difficoltoso l'accesso all'istruzione per
le donne chiudendo numerose scuole. Durante il governo talebano, l'Istituto
fece funzionare 80 scuole clandestine, e creo' biblioteche mobili in quattro
citta' afgane. Alla fine del 2003, l'organizzazione aveva servito piu' di
350.000 donne e bambine afgane, alfabetizzandole e istruendole su diritti
umani e leadership femminile, e creando un'altra generazione di insegnanti.
*
Un'altra buona notizia e' che la settantateenne Nawal el Saadawi, scrittrice
che in passato e' stata imprigionata e censurata per le sue opinioni
femministe, si candidera' alla presidenza dell'Egitto nell'ottobre 2005.
Nawal ha dichiarato di sapere bene che la sua candidatura e' largamente
simbolica, ma con essa vuole far riflettere gli egiziani sulla necessita' di
riforme e sulla separazione fra chiesa e stato.

8. ESPERIENZE. BRUNO SEGRE: LA PACE SI PUO' INSEGNARE
[Ringraziamo Bruno Segre (per contatti: bsegre at yahoo.it) per averci messo a
disposizione il testo di questo suo articolo. Bruno Segre, storico e
saggista, e' nato a Lucerna nel 1930, si e' occupato di sociologia della
cooperazione e di educazione delgi adulti nell'ambito del Movimento
Comunita' fondato da Adriano Olivetti; ha fatto parte del Consiglio del
"Centro di documentazione ebraica contemporanea" di Milano; dal 1991
presiede l'Associazione italiana "Amici di Neve' Shalom / Wahat al-Salam",
dirige la prestigisa rivista di vita e cultura ebraica "Keshet" (e-mail:
segreteria at keshet.it, sito: www.keshet.it). Tra le opere di Bruno Segre: Gli
Ebrei in Italia, Giuntina, Firenze 2001; La Shoah, Il Saggiatore, Milano
1998, 2003]

Situato in Israele su una collina a meta' strada fra Gerusalemme e Tel Aviv,
il villaggio ha due nomi: Neve' Shalom in ebraico, Wahat al-Salam in arabo,
che significano "oasi di pace".
Si tratta di una piccola realta': venticinque famiglie di ebrei e
venticinque famiglie di palestinesi, in tutto centosessanta uomini e donne,
che da poco meno di trent'anni coabitano e lavorano gomito a gomito. Con
orgoglio, essi considerano Neve' Shalom /Wahat al-Salam la loro casa comune.
Ma per quanto condotta in termini civili e democratici, la cogestione del
villaggio non e' sinonimo di idillio o di assenza di tensioni e di problemi.
I membri della comunita', infatti,  pur condividendo la cittadinanza (anche
gli abitanti arabi del villaggio sono cittadini israeliani), fanno
riferimento a universi etnico-culturali che sono storicamente in conflitto.
Detto cio', da molti anni gli abitanti, ebrei e arabi, crescono ed educano
in comune i loro figlioli, e per fare cio' hanno messo a punto un sistema
scolastico che in Israele e nell'intero Vicino Oriente costituisce un
unicum, e che da vari anni e' fonte d'ispirazione per molte iniziative
avviate in luoghi abitati da gruppi etnici in conflitto: per esempio Cipro,
la Macedonia, il Kosovo, l'Irlanda del nord.
Il prodotto d'elezione di Neve' Shalom / Wahat al-Salam e' l'educazione, e
in particolare l'educazione alla pace.
E negli ultimi due anni, da quando israeliani e palestinesi hanno avviato
l'attuale stagione della violenza, con tragici picchi di guerra
guerreggiata,  il villaggio e' diventato il punto di riferimento per
incontri e consultazioni fra  molte delle organizzazioni impegnate a
riannodare il dialogo e a promuovere la pace. Piu' d'una volta dall'inizio
delle tensioni e degli scontri, rappresentanti di tali organizzazioni si
sono dati convegno nel villaggio onde concordare strategie comuni e indire
manifestazioni pubbliche dotate, grazie agli sforzi congiunti, della
visibilita' necessaria.
*
Neve' Shalom / Wahat al-Salam rappresenta la grande "utopia realizzata" di
Bruno Hussar, un sacerdote cattolico dell'ordine dei Domenicani, nato al
Cairo nel 1911 da genitori entrambi ebrei. Verso la fine della sua lunga
esistenza, questo "uomo di Dio" - che, scomparso nel febbraio 1996, era una
figura al di fuori di qualsiasi possibile categorizzazione - ti spiegava con
estrema levita' che la sua identita' era quadruplice. Si considerava ebreo a
pieno titolo in quanto figlio di genitori entrambi ebrei; era cristiano ("un
ebreo discepolo di Gesu'", preferiva dire) in quanto aveva ricevuto il
battesimo; era israeliano avendo regolarmente acquisito la cittadinanza
dello Stato d'Israele; era e si sentiva vicino e in sintonia con gli arabi,
con il loro mondo e le loro istanze, grazie al fatto di essere nato al Cairo
e di avervi trascorso gli anni decisivi dell'infanzia e dell'adolescenza:
quattro identita', ciascuna delle quali sembrerebbe destinata a gravare come
un macigno sulle spalle di chiunque se ne faccia carico, e che tuttavia
Hussar riusciva a reggere, tutte assieme, senza denunziare alcuno sforzo
apparente; quattro identita' profondamente conflittuali fra loro in sede
storica, ma il cui conflitto Bruno riusciva a gestire, fino ad
addomesticarlo, nel proprio foro interiore.
*
Nella mente e nel cuore di quest'uomo l'idea di Neve' Shalom / Wahat
al-Salam germino'  all'indomani della guerra dei sei giorni (1967), anche
alla luce della svolta epocale che quel conflitto impresse alla struttura
geopolitica del Vicino Oriente.
Sin dalla fine degli anni sessanta Hussar era andato animando in Israele
gruppi attivi nell'ambito del dialogo interreligioso. Alcuni membri di
questi gruppi si affiancarono a lui nella realizzazione della sua idea.
Verso la meta' degli anni settanta si era gia' formato un nucleo di uomini e
donne fortemente motivati a dare vita e ad andare a vivere in un villaggio
multireligioso: Neve' Shalom / Wahat al-Salam, appunto.
Ma ben presto dall'idea iniziale di puntare sul dialogo interreligioso si
passo' a quella di affrontare con particolare impegno le problematiche della
convivenza binazionale e biculturale. Quando bene il conflitto tra ebrei e
arabi trovera' una soluzione politica, e uno Stato per i palestinesi vedra'
la luce a fianco dello Stato d'Israele - sembravano pensare i fondatori del
villaggio -, i due popoli che convivono nella regione dovranno pur imparare
ad accettarsi vicendevolmente e a predisporsi, ciascuno  con le proprie
distinte peculiarita', a costruire un futuro di civile contiguita', di
intensi scambi economici e culturali, e di larga condivisione del territorio
e delle risorse naturali.
Sin dall'inizio, i membri della comunita' decisero che all'interno di Neve'
Shalom / Wahat al-Salam ebrei e palestinesi dovessero essere presenti in
pari numero, differenziando cosi' la composizione demografica del villaggio
da quella che era ed e' la situazione in Israele, dove i palestinesi
rappresentano non piu' del 20 per cento della popolazione. I fondatori di
Neve' Shalom / Wahat al-Salam erano convinti, infatti, che soltanto vivendo
in una comunita' paritetica (e giusta) sarebbero riusciti a lavorare assieme
per il raggiungimento di obiettivi comuni. Essi, tuttavia, si rendevano
lucidamente conto del fatto che un'esperienza di quel genere, ristretta a
una piccola comunita', avrebbe potuto esercitare un'influenza assai limitata
sul resto della societa'. E per questo decisero di creare strutture
educative che li mettessero in grado di coinvolgere anche famiglie e gruppi
situati all'esterno della comunita'.
*
Nel villaggio e' attiva da oltre quindici anni una Scuola per la pace, molto
nota e apprezzata a livello internazionale, che organizza seminari di
incontro e di mediazione dei conflitti. La sua attivita' consiste in
laboratori residenziali (della durata di quattro-cinque intense giornate),
attraverso i quali sono finora passati piu' di venticinquemila persone tra
allievi (16-17 anni) dei licei ebraici e arabi di Israele, studenti
universitari, insegnanti, leader locali e altre categorie di professionisti.
Quando gli accordi di Oslo incominciarono a entrare in vigore, gli operatori
della Scuola si diedero a coinvolgere negli incontri anche arabi provenienti
dai territori amministrati dall'Autorita' palestinese. Ma oggi,
naturalmente, la maggior parte dei seminari e' frequentata da ebrei e
palestinesi con cittadinanza israeliana. I laboratori per i gruppi giovanili
sono piu' strutturati che non quelli destinati agli adulti. Il lavoro si
suole svolgere in piccoli gruppi binazionali di 14-16 partecipanti, e per
ognuno di questi microgruppi vi sono due coordinatori o "facilitatori", di
cui uno/a e' ebreo/a e l'altro/a e' palestinese.
*
L'idea di creare strutture scolastiche che potessero esprimere e diffondere
gli ideali di coesistenza ed eguaglianza di Neve' Shalom / Wahat al-Salam
nacque nella comunita' assieme alla nascita dei primi figli. Nel rendere
operativo (1980) il primo asilo-nido misto per fanciulli palestinesi ed
ebrei, gli abitanti del villaggio non esitarono a decidere che vi sarebbero
dovute essere due maestre - una palestinese e una ebrea - e che ognuna di
loro avrebbe dovuto rivolgersi a tutti i bambini nella propria lingua madre.
Con il crescere dei fanciulli, l'asilo-nido divenne anche scuola materna e
poi, nel 1984, fu aperta la scuola elementare, frequentata nei primi anni
solo dai figlioli della comunita'. Successivamente cominciarono a iscriversi
anche ragazzi provenienti dai centri circostanti, tanto che oggi gli allievi
che frequentano quotidianamente l'asilo e la scuola sono oltre trecento,
piu' del 90 per cento dei quali viene da una ventina di villaggi e citta'
arabi ed ebraici, che distano talvolta da Neve' Shalom / Wahat al-Salam
anche trenta-quaranta chilometri. Nella scuola del villaggio (binazionale e
bilingue), le docenze e i ruoli direttivi sono distribuiti in numero eguale
tra palestinesi ed ebrei. Yossi Sarid, quand'era ministro dell'Educazione
nel governo diretto da Ehud Barak, riconobbe al sistema educativo promosso
dalla comunita' la qualifica di "scuola modello a raggio interregionale",
proponendo di estenderne l'operativita' all'istruzione secondaria di livello
inferiore.
*
Impegnati a erogare un'educazione bilingue, gli insegnanti di Neve' Shalom /
Wahat al-Salam devono confrontarsi quotidianamente con la condizione di
"asimmetria politica" (per cosi' dire) che contraddistingue il rapporto tra
le due lingue entro la piu' ampia realta' israeliana. E cio', ad onta del
fatto che nella loro scuola binazionale gli scolari palestinesi e quelli
ebrei siano presenti in pari numero. La situazione esterna, infatti, dove
l'ebraico rappresenta la lingua piu' forte, cioe' quella della maggioranza,
si riflette sul lavoro scolastico e rende problematico il raggiungimento
dell'equilibrio nelle competenze linguistiche degli allievi ebrei e di
quelli palestinesi. I bambini palestinesi che vivono a Neve' Shalom / Wahat
al-Salam dimostrano di fatto di essere perfettamente bilingui, mentre per
gli ebrei risulta faticoso l'esprimersi in arabo. Questo fenomeno si
accentua via via che i ragazzi crescono. Gli ebrei, in realta', fanno sempre
piu' fatica a parlare l'arabo, mentre gli arabi si rivelano sempre piu'
fluenti in ebraico, cosicche' a volte si esprimono addirittura meglio in
questa lingua che nella loro lingua madre. La circostanza, poi,  che gli
insegnanti arabi tendano a parlare ebraico, mentre i maestri ebrei abbiano
di solito scarse competenze nella lingua araba, complica ulteriormente la
situazione. In teoria sarebbe opportuno che tutti gli insegnanti  sapessero
esprimersi correntemente in entrambe le lingue.
*
Ma oltre all'asimmetria esistente tra le lingue, il sistema educativo di
Neve' Shalom / Wahat al-Salam deve fare i conti anche con problematiche
pedagogiche d'altra natura. Un quesito che, in particolare, si ripresenta
puntualmente e' quello che concerne le modalita' per gestire le celebrazioni
nazionali e le festivita' delle tre religioni: islam, cristianesimo ed
ebraismo.
Per esempio, in occasione dello "Yom ha-Zikaron" (il giorno in cui Israele
commemora i propri caduti), che cosa devono fare i bambini arabi, e come
devono celebrarlo i bambini ebrei? Con quale approccio va ricordato, nella
scuola di Neve' Shalom / Wahat al-Salam, lo "Yom ha-Atzmauth" (cioe' il
giorno in cui lo Stato d'Israele festeggia la propria indipendenza), quando
per la meta' dei suoi studenti tale giorno e' simbolo della "Nakba" - in
arabo, il "disastro"? Nel giorno dei caduti d'Israele, gli insegnanti
lavorano separatamente con i ragazzini palestinesi ed ebrei, e in ognuno dei
due gruppi gli allievi parlano delle emozioni e delle sofferenze che provano
nel commemorare questa ricorrenza. Il giorno appresso, i bambini ebrei
celebrano la festa dell'Indipendenza in assenza dei bambini arabi, che
invece commemorano per conto loro la "Nakba".
Anche circa la funzione educativa di queste celebrazioni, tuttavia, non
mancano aspetti problematici o punti di vista contrastanti: vi sono
genitori, infatti, che chiedono se non vi sia una modalita' che consenta di
vivere la festa dell'Indipendenza assieme, o se non vi sia il modo di
celebrare una sorta di festa dell'Indipendenza alternativa. Un'esigenza di
questo tipo e' avvertita soprattutto dai genitori ebrei, mentre i genitori
palestinesi sono scettici circa la possibilita' che vi sia una simmetria
anche in questo ambito. "Il giorno dei caduti, dicono i palestinesi, e' una
ricorrenza per gli ebrei, mentre la nostra 'Nakba' e' tutt'altra cosa. Noi
palestinesi siamo anche contrari alla celebrazione di una festa
dell'Indipendenza alternativa, poiche' sin qui la Palestina non risulta
godere di indipendenza".
Un altro aspetto controverso e' quello sollevato dalle feste religiose.
Nella scuola di Neve' Shalom / Wahat al-Salam si e' infatti stabilito che
ogni bambino deve celebrare le festivita' della propria religione
d'appartenenza. Ma mentre i ragazzini ebrei sono tutti correligionari, tra
gli arabi vi sono bambini sia cristiani che musulmani. Dunque, in occasione
delle ricorrenze religiose il gruppo palestinese si ritrova a essere diviso.
E pertanto i genitori e gli insegnanti palestinesi lamentano che la
procedura educativa adottata indebolisce di fatto lo spirito e la coesione
del loro  gruppo. D'altro canto, gli abitanti di Neve' Shalom / Wahat
al-Salam desiderano che ogni bambino sia consapevole e anche  orgoglioso
della sua identita' nazionale, nonche' di tutti gli elementi che concorrono
a comporre tale identita': in particolare della componente culturale che,
lato sensu, e' comprensiva anche di quella religiosa.
Un altro problema con cui la scuola del villaggio deve fare i conti sorge
dal fatto che le norme sociali invalse fra i palestinesi sono diverse,
palesemente,  da quelle prevalenti fra gli ebrei. La societa' palestinese,
per esempio, ha una struttura patriarcale piu' marcata di quella ebraica,
per cui i ragazzini palestinesi accettano piu' facilmente il ruolo
d'autorita' dell'insegnante, anzi esigono che l'insegnante sia autoritario,
giacche' solo in questo modo riescono a compiere il proprio dovere. I
bambini ebrei, invece, sono piu' critici rispetto alle direttive del
maestro. Ci si chiede allora quale strategia educativa debba adottare un
docente che sia alle prese con una classe mista: dovra' forse assumere un
comportamento severo con gli scolari arabi e aperto con quelli ebrei?
*
Come si vede, su molte questioni la scuola di Neve' Shalom / Wahat al-Salam
non ha ancora formulato conclusioni definitive. Ma quelle sin qui menzionate
sono difficolta', per cosi' dire, di pura routine. Ben diversa e' la natura
dei problemi che gli educatori e gli abitanti del villaggio si trovano ad
affrontare da quando e' in corso la cosiddetta "Intifada di al-Aqsa".
Certo, vivere di questi tempi in una localita' in cui ebrei e arabi si
trovano a collaborare e a coabitare su un piede di eguaglianza non e'
facile. Fra gli abitanti sono frequenti le esplosioni di ira, di
frustrazione, e talvolta i docenti arabi, allorche' entrano in classe, non
riescono a trattenere le lacrime. Cio' nondimeno una visita a Neve' Shalom /
Wahat al-Salam offre l'opportunita' - oggi invero rarissima - di scoprire
che la coesistenza fra i due popoli e' ancora possibile. "Per parte nostra,
dicono gli abitanti, stiamo ben attenti che la bufera che produce
devastazioni la' fuori non travolga anche noialtri".
*
"Non si pensi che le grandi correnti che sconvolgono l'intera regione
restino fuori dal nostro ambiente senza penetrarvi", afferma Boaz Kita'in,
l'ebreo che, insieme con la palestinese  Diana Shalufi-Rizek, ha diretto
negli ultimi anni la scuola elementare. "Gli appelli che suonano 'Morte agli
arabi' o 'Morte agli ebrei' arrivano anche alle nostre orecchie. Le
frustrazioni sono terribili, e cosi' andiamo tutti domandandoci quale posto
dobbiamo occupare in questi frangenti e quale atteggiamento dobbiamo
assumere. Ecco un esempio. Ogni giorno io mi piazzo all'ingresso della
scuola per salutare i ragazzi che entrano. Stamane un'allieva araba
proveniente da uno dei villaggi qui attorno mi ha interpellato per dirmi che
era in collera con una compagna ebrea: il giorno innanzi, costei le aveva
chiesto se i palestinesi non fossero tutti impazziti giacche' avevano preso
a sassate l'automobile della sua famiglia. 'Perche' mai mi dice che siamo
matti?', urlava la bambina. Il conflitto tra arabi ed ebrei assume anche
questi aspetti. Ne ho colto la sollecitazione e, entrato in classe, ho
chiesto alla ragazza araba di esporre la propria posizione e alla ragazza
ebrea di fare altrettanto. In tal modo il conflitto tra le due ragazzine ha
potuto trasformarsi nell'avvio di un dialogo".
"La situazione crea difficolta' e confusione specialmente nei piu' giovani",
sostiene Shai Schwartz, un altro ebreo che vive a Neve' Shalom / Wahat
al-Salam con la famiglia. "I ragazzi del villaggio vengono allevati nel
rispetto verso quelli dell'altra parte. Piuttosto che illuderli che 'il
contrasto non esista', noi ci sforziamo di informarli senza veli sulle
versioni contrastanti che i due popoli danno dei medesimi avvenimenti.  Lo
spettacolo offertoci dai media e' tale da rendere inaccettabile il fatto che
tutto il buono stia da una parte sola. Il mondo visto dai media e' un mondo
in bianco e nero, tutti i buoni da una parte e tutti i malvagi dall'altra.
Il nostro sistema educativo aiuta a capire che nella vita c'e' posto per il
dilemma, per le opinioni in contrasto".
"I tempi sono durissimi", commenta Daphna Karta-Schwartz (la moglie di
Shai), che nella scuola del villaggio e' docente di teatro. "Fra i nostri
studenti abbiamo ragazzini che, abitando a Gerusalemme est, sperimentano
quotidianamente il clima infuocato di una sommossa che continua a nascere e
a rinascere all'improvviso. Quando arrivano qui, lontano dall'atmosfera
feroce della loro citta', i ragazzi trovano la pace e la quiete del nostro
ambiente. Facciamo di tutto per aiutarli a superare lo sconforto, offrendo
loro calore e sostegno. Ogni lezione prende le mosse da un ascolto
interiore, da uno sfogo del cuore. Osservo che i bambini sono pieni di
paura, di frustrazione e d'ira. Cosi', nel nostro lavoro scolastico
cerchiamo di dare corpo a un personaggio teatrale, 'Satana', il cui massimo
godimento consiste nel vedere che ciascuno e' in collera, combatte e uccide
il prossimo. Gli obiettivi che ci proponiamo, allora, sono quelli di
neutralizzare 'Satana' e di superare il nostro nemico comune, la paura".
*
"Con l'ebreo della porta accanto io non ho problemi", afferma Anwar Daoud,
l'arabo che per lungo tempo ha co-diretto la scuola elementare e da quasi
due anni e' il Segretario Generale [Sindaco] della comunita', "ma ho
problemi con la classe politica e i membri del governo d'Israele: si tratta
di un establishment che, all'inizio della seconda Intifada, nel giro di una
settimana riusci' a uccidere in Galilea dodici cittadini arabi israeliani.
Non e' ammissibile che uno Stato spari sui propri cittadini: questa e' una
questione su cui il mio vicino di casa ebreo e io ci troviamo perfettamente
d'accordo. Devo tuttavia ammettere che differenze d'opinione anche profonde
mi dividono dai vicini ebrei i cui figlioli fanno il servizio militare".
Tom, il maggiore dei figli di Boaz e Daniella Kita'in, perse la vita nel
febbraio 1997 a bordo di uno dei  due elicotteri dell'esercito che
accidentalmente si scontrarono ai confini con il Libano. Al dolore della
famiglia presero parte da subito tutti i membri, ebrei e arabi, della
comunita'. E all'epoca l'opinione pubblica diede, a livello nazionale, un
rilievo particolare al lutto che aveva colpito i Kita'in: persone insediate
da gran tempo in un villaggio in cui ebrei e arabi vivevano assieme con la
dichiarata intenzione di dimostrare che la coesistenza e' possibile.
Tuttavia, fra gli abitanti dell'"oasi di pace" i primi seri malumori
cominciarono a manifestarsi il giorno in cui i familiari di Tom chiesero che
il villaggio dedicasse un segno, una targa, alla memoria del soldatino
caduto. A quel punto gli abitanti di Neve' Shalom / Wahat al-Salam si resero
conto di quanto profondamente il conflitto in atto tra i due popoli avesse
fatto breccia anche nel ristretto ambito dei loro rapporti di vicinato. In
termini dolorosi, cominciarono a prendere corpo dilemmi di fondo, con i
quali gli uomini e le donne del villaggio avevano sino allora evitato di
confrontarsi. Come rapportarsi ai ragazzi della comunita' chiamati al
servizio di leva, e che fare per tenere sotto controllo la frustrazione e
l'ira di una parte e dell'altra?
"Devo ammettere, chiarisce Anwar Daoud, che tra me e qualsiasi genitore che
abbia un figlio sotto le armi la tensione esiste. Non c'e' dubbio: essa
insorge tutte le volte che in gioco vi sono questioni che toccano gli
orientamenti personali. Allora le divergenze diventano abissali, addirittura
incolmabili. Tra la mia sensibilita' e quella di un genitore che piange il
figlio caduto in guerra, la distanza e' enorme. Per esempio Boaz, il padre
di Tom, era tra coloro che l'anno scorso, in occasione del giorno
anniversario in cui lo Stato d'Israele commemora la propria nascita (Yom
ha-Atzmauth), hanno acceso la "fiaccola dell'Indipendenza". A mio parere,
questo atto ha rappresentato una mancanza di rispetto verso la nostra
comunita'. Le cose che dissi allora a Boaz lo urtarono profondamente e io
non me ne curai. Oggi la situazione e' diversa. Vi sono molte cause per le
quali ci battiamo fianco a fianco, com'e' stata a suo tempo quella di
condannare l'uccisione dei nostri concittadini in Galilea. Al  padre di un
militare che l'altro giorno mi diceva "Sono nell'angoscia perche' non ho
notizie di mio figlio", non ho saputo che cosa rispondere. A questo punto,
le opinioni che ho a livello politico si mescolano all'onda dei miei
sentimenti personali; e poiche' riesco a comprendere quello che prova il
genitore del ragazzo sotto le armi,  per ora preferisco astenermi
dall'esprimere critiche".
*
Rami, un palestinese diciassettenne, vive a Neve' Shalom / Wahat al-Salam da
quando aveva quattro anni. E da allora prende puntualmente parte ai
festeggiamenti per il bar mitzvah dei vari ragazzi ebrei della comunita'.
Ori, un suo amico e coetaneo ebreo, nato nel villaggio, non manca di
associarsi ogni anno ai ragazzi musulmani nelle celebrazioni per la fine del
Ramadan. "L'essere nato e cresciuto a Neve' Shalom / Wahat al-Salam, afferma
Ori, mi offre molte opportunita' di cui la stragrande maggioranza degli
israeliani non puo' godere. La piu' importante e' quella di incontrare e
interagire quotidianamente con i miei coetanei arabi". Rami, per parte sua,
ricorda con soddisfazione che "da noi, quando ci sono dei conflitti
d'opinione, e nel villaggio ne insorgono tutti i giorni, riusciamo a
gestirli mediante il confronto, il dialogo. Insomma, evitiamo con scrupolo
qualsiasi ricorso alla violenza".
"Non c'e' nulla di strano: molti dei miei amici sono ebrei", esclama Samaa,
la figlia dodicenne del Segretario Generale Anwar. "Nei rapporti che ho con
loro ogni giorno, non mi capita mai di chiedermi se sono ebrei o arabi.
Tutto cio' e' molto naturale qui da noi. Le cose funzionano cosi' nel nostro
villaggio". Samaa studia nella vicina citta' di  Ramle, in una scuola media
cristiano-ortodossa. E' li', nella mia classe, che i ragazzi fanno discorsi
contro gli ebrei in una chiave razzista e unilaterale. Quando parlano degli
ebrei, tengono conto soltanto dei loro comportamenti cattivi, mentre
sorvolano sul fatto che gli arabi incendiano le automobili o si fanno
esplodere nei ristoranti e nelle discoteche".
Ilan Frisch, uno dei pionieri ebrei della comunita', ha un figliolo sotto le
armi, inquadrato  in un'unita' di combattimento, il quale afferma: "Molte
volte questo conflitto appare privo di sbocchi". Un altro arabo, Abdessalam
Najjar, anch'egli nel nucleo dei fondatori di Neve' Shalom / Wahat al-Salam,
confessa che talvolta, alzandosi al mattino, desidererebbe non incontrare
alcun ebreo.
*
Minuscola isola al centro di un oceano in tempesta, Neve' Shalom / Wahat
al-Salam vede i suoi abitanti compiere sforzi quotidiani per non lasciarsi
travolgere dai marosi che li assalgono da ogni parte. Di questa strenua
resistenza,  Daphna Karta-Schwartz da' un'idea con un sospiro: "Ogni
mattino, afferma, contiamo fino a dieci, cerchiamo di contenere la nostra
ira e, tutti insieme, tiriamo avanti sulla nostra strada".

9. MAESTRE. FATEMA MERNISSI: IL TEMPO E LO SPAZIO
[Da Fatema Mernissi, L'harem e l'Occidente, Giunti, Firenze 2000, p. 175.
Fatema (ma il nome puo' essere traslitterato anche in Fatima) Mernissi, e'
nata a Fez, in Marocco, nel 1940, acutissima intellettuale, docente di
sociologia, studiosa del Corano, narratrice; tra i suoi libri disponibili in
italiano: Le donne del Profeta, Ecig, 1992; Le sultane dimenticate,
Marietti, 1992; Chahrazad non e' marocchina, Sonda, 1993; La terrazza
proibita, Giunti, 1996; L'harem e l'Occidente, Giunti, 2000; Islam e
democrazia, Giunti, 2002; Karawan. Dal deserto al web, Giunti, 2004]

Il tempo e' usato contro le donne a New York allo stesso modo in cui a
Teheran lo spazio e' usato dagli Ayatollah iraniani: per fare sentire le
donne non gradite e inadeguate. L'obiettivo rimane identico in entrambe le
culture: le donne occidentali che consumano il tempo, guadagnano esperienza
con l'eta' e divengono mature, sono dichiarate brutte dai profeti della
moda, proprio come le donne iraniane che consumano lo spazio pubblico.

10. MAESTRE. MARIA ZAMBRANO: TUTTO
[Da Maria Zambrano, Chiari del bosco, Feltrinelli, Milano 1991, p. 55. Maria
Zambrano, insigne pensatrice spagnola (1904-1991), allieva di Ortega y
Gasset, antifranchista, visse a lungo in esilio. Tra le sue opere tradotte
in italiano cfr. almeno: Spagna: pensiero, poesia e una citta', Vallecchi,
Firenze 1964; I sogni e il tempo, De Luca, Roma 1964; Chiari del bosco,
Feltrinelli, Milano 1991; I beati, Feltrinelli, Milano 1992; La tomba di
Antigone. Diotima di Mantinea, La Tartaruga, Milano 1995; Verso un sapere
dell'anima, Cortina, Milano 1996; La confessione come genere letterario,
Bruno Mondadori, Milano 1997; All'ombra del dio sconosciuto. Antigone,
Eloisa, Diotima, Nuova Pratiche Editrice, Milano 1997; Seneca, Bruno
Mondadori, Milano 1998; Filosofia e poesia, Pendragon, Bologna 1998.
L'agonia dell'Europa, Marsilio, Venezia 1999. Dell'aurora, Marietti, Genova
2000; Delirio e destino, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000; Persona e
democrazia. La storia sacrificale, Bruno Mondadori, Milano 2000; L' uomo e
il divino, Edizioni Lavoro, Roma 2001; Le parole del ritorno, Citta' Nuova,
Roma 2003. Opere su Maria Zambrano: un buon punto di partenza e' il volume
monografico Maria Zambrano, pensatrice in esilio, "Aut aut" n. 279,
maggio-giugno 1997, e il recente libro di Annarosa Buttarelli, Una filosofa
innamorata. Maria Zambrano e i suoi insegnamenti, Bruno Mondadori, Milano
2004]

Tutto e' rivelazione, tutto lo sarebbe se fosse accolto allo stato nascente.

11. RILETTURE. SILVIA VEGETTI FINZI (A CURA DI): PSICOANALISI AL FEMMINILE
Silvia Vegetti Finzi (a cura di), Psicoanalisi al femminile, Laterza,
Roma-Bari 1992, pp. XVIII + 402, lire 28.000. Un'appassionante raccolta di
profili biografici scritti con grande finezza da sensibili e acute studiose:
ritratti di Anna O. e Dora, Anna Freud, Melanie Klein, Marie Bonaparte, Lou
Andreas-Salome', Sabine Spielrein, Helene Deutsch e Karen Horney, Francoise
Dolto, Luce Irigaray. Un libro che vivamente raccomandiamo.

12. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

13. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta at sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it,
paolocand at inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info at peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it

Numero 779 del 15 dicembre 2004

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