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La nonviolenza e' in cammino. 777
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 777
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac at tin.it>
- Date: Mon, 13 Dec 2004 00:07:13 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 777 del 13 dicembre 2004 Sommario di questo numero: 1. Maria G. Di Rienzo: Silenziatori 2. Augusto Cavadi ricorda Lucio Schiro' D'Agati 3. Mao Valpiana: Buon compleanno, "Raggio" 4. Maria Luigia Casieri: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 5. Giancarla Codrignani: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 6. Alessandro Pizzi: Mi abbono ad "Azione nonviolenta" perche'... 7. Come ci si abbona ad "Azione nonviolenta" 8. La "Carta" del Movimento Nonviolento 9. Per saperne di piu' 1. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: SILENZIATORI [Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59 at libero.it) per questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza; e' coautrice dell'importante libro: Monica Lanfranco, Maria G. Di Rienzo (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003] Ci sono tipi di sofferenze che abbiamo imparato ad accettare come naturali e normali solo perche' sono molto diffuse. Come abbiamo appreso a mettere il silenziatore non solo ai nostri sentimenti ed alle nostre intuizioni, ma anche alle fonti dell'immaginazione, che hanno il potere di creare visioni alternative? Numerose conoscenze "silenziate" esistono all'interno delle ordinarie esistenze degli individui e delle comunita': con conoscenze "silenziate" intendo quelle conoscenze che ognuno di noi sistema in un rifugio di silenzio, ritenendo pericoloso comunicarle a noi stessi o agli altri. Le sanzioni contro di esse, che vengano dalla famiglia, dalla comunita' di appartenenza o dalla piu' vasta cultura dominante, rendono tali conoscenze mute ed inaccessibili. Una volta che sia stato applicato loro il silenziatore, esse richiedono pero' la nostra energia per mantenerne la dissociazione dalle nostre vite, ed il nostro "oscuramento" dell'intero sforzo per evitarne il dolore. * Alcune di queste conoscenze silenziate richiedono di metabolizzarsi attraverso parecchie generazioni, tanto esse sono difficili da ascoltare e da riconoscere. Un esempio di metabolizzazione viene dalla storia di un giornalista australiano, Peter Sichrovsky, che intervisto' dozzine di figli e nipoti di ex nazisti (le interviste divennero il libro "Born Guilty: The Children of Nazis", 1988) Sichrovsky parlo' con una donna tedesca, Suzanne, che era cresciuta ben sapendo che il padre era un fervente nazista, ma non aveva mai sviluppato nessun interesse o curiosita' al proposito. Suzanne resistette anche alle domande di suo figlio Dieter, quando quest'ultimo venne a casa da scuola con il compito di effettuare una ricerca sugli effetti dell'Olocausto nella citta' in cui viveva. Come molti altri della sua generazione, la terza dall'inizio della II guerra mondiale, Dieter voleva sapere. Il suo cammino verso la conoscenza e la guarigione rispetto alla sua eredita' culturale erano interconnessi. Dopo aver esaminato archivi e scritto a sopravvissuti, Dieter fece una scoperta sorprendente. La casa in cui sua madre e lui erano cresciuti era stata confiscata ad una famiglia ebrea. Dieter lesse il documento ai suoi genitori: "Qui vivevano Martha Kolleg, di anni 2, Anna Kolleg, di anni 6, Ferdi Kolleg di anni 12, Harry Kolleg, di anni 42, e Susanne Kolleg, di anni 38. Arrestati il 10 novembre 1941, deportati il 12 novembre 1941. Data ufficiale della morte dei bambini e della madre: 14 gennaio 1944. Luogo della morte: Auschwitz. Il padre e' ufficialmente disperso". I nonni di Dieter, il padre e la madre di Suzanne, avevano preso possesso dell'appartamento nel giorno stesso in cui la famiglia Kolleg era stata deportata ad Auschwitz. Il nonno di Dieter, infatti, era una delle guardie del campo di sterminio. L'informazione portata alla luce dal ragazzo diede inizio ad un processo di memoria e di lutto in sua madre. Per la prima volta, Suzanne provava rabbia per cio' che era accaduto, e per il silenzio che aveva coperto l'accaduto. Era stata certamente conscia dello svolgersi della guerra anche prima, e inoltre ricordava che suo padre l'aveva condotta ad Auschwitz quando lei aveva 16 anni: ma il modo in cui le spiego' il proprio coinvolgimento fu presentandosi egli stesso quale vittima. L'ordine non scritto, ma saldamente fissato nell'inconscio dell'intera famiglia, era che certe domande non andavano fatte. "In retrospettiva, disse poi Suzanne, la cosa terribile di mio padre era la sua 'oggettivita''. I suoi racconti, le sue descrizioni degli eventi. Non l'ho mai visto versare una lacrima, non l'ho mai udito interrompersi perche' impedito dall'emozione. C'erano solo quelle monotone litanie, ed era come se le leggesse da un libro". Dieter aveva dato voce alla conoscenza "silenziata", al segreto su cui la sua famiglia era vissuta, letteralmente e metaforicamente: e cioe' che la stessa casa in cui vivevano era una rapina del razzismo e del genocidio. Solo attraverso questa rimembranza (un ridare corpo, ri-membrare) l'effetto dissociativo delle narrazioni del nonno poteva essere riconosciuto ed elaborato. * Questa semplice storia solleva tre difficili questioni: 1) Quali modi, di esistere e di conoscere, rendono possibile per la gente comune derubare, brutalizzare ed uccidere i propri vicini di casa? E quali modi, di esistere e di conoscere, rendono possibile vivere a fianco del terrore e dell'abuso tenendoli per "normali", cose su cui non ci si interroga? Durante il XX secolo ci sono state al mondo oltre 500 guerre civili, in cui si e' dato ogni tipo di violenza. Mentre scrivo, la gente muore in circa 50 guerre in corso. Come viviamo in un mondo siffatto, e come tale scenario ha influenza su di noi? 2) In secondo luogo, quando si vive in un ambiente in cui la violenza, l'odio e l'esclusione sono le regole, quali perdite subisce ogni individuo in termini di spontaneita', apertura e creativita'? Parlando degli effetti della dittatura in Argentina, la ricercatrice Diana Taylor ha coniato il termine "percetticida", intendendo con esso l'erosione della nostra capacita' di percepire e conoscere. Cosa accade alla nostra consapevolezza, quando le nostre vite sono piene di oggetti la cui creazione a basso costo ha richiesto condizioni di lavoro inique e degrado ambientale? Quando di alcune cose e' proibito parlare, alcune conoscenze sono "silenziate", e l'espressione delle stesse e' riprovata socialmente, quale tipo di personalita' mutilata sviluppiamo? 3) In terzo luogo, come una comunita' guarisce dopo un periodo storico di estrema violenza? In Cile, Argentina, Bosnia, Macedonia, Ruanda, Corea, Vietnam e Sudafrica, ad esempio, sono stati creati spazi in cui dare pubblico riconoscimento alle narrazioni dolorose. Se ogni momento di violenza ed abuso del passato vede l'amnesia (e/o la riscrittura) da un lato, e la rabbia latente o manifesta dall'altro, uno scenario che puo' solo condurre a cicli di odio e violenza ricorrenti, il mondo contemporaneo si avvia su un china rovinosa, privo di controllo. Il dialogo, com'e' ovvio, non puo' che avvenire fra individui: come possono individui che hanno formato le loro personalita' in ambienti segnati dalla cancellazione, apprendere a ricordare e a riconnettersi a sentimenti perduti? Forse potremmo trovare delle risposte in una "giustizia riparatrice", che comprenda l'intima interdipendenza fra individui e comunita', che preveda la memoria, la possibilita' di esprimere il lutto ed il re-immaginare le nostre vite. La consapevolezza personale e la liberazione sociale sono anch'esse interdipendenti. * Naturalmente e' facile guardare a problemi lontani ed offrire ad essi soluzioni semplicistiche; com'e' sempre piu' facile vedere la pagliuzza nell'occhio altrui. Sarebbe invece interessante guardare con maggior profondita' a cosa accade nelle nostre case, nelle nostre organizzazioni, nelle nostre vite sociali. E' qui dove siamo che dovremmo esaminare i nostri processi di "normalizzazione", tramite i quali mutiliamo i nostri sentimenti e ci rifugiamo nelle amnesie: e cioe' il perpetuarsi della nostra miopia ed il fallimento della nostra capacita' di immaginare, i processi per cui le tragedie di ogni giorno ci appaiono normali ed inevitabili. Desmond Tutu suggeri' (1999) il concetto africano di "ubuntu" (costruzione di comunita') come valore chiave: "Una persona con 'ubuntu' e' aperta e disponibile agli altri, alla loro affermazione come individui. Non si sente minacciato dalle abilita' altrui, perche' lui o lei ha la propria assicurazione di autostima, che viene dal sapere di essere parte di un tutto piu' grande, che soffre di diminuzione quando gli altri sono umiliati o spossessati, quando gli altri sono torturati o oppressi, o trattati come se fossero meno di quel che sono". In questo concetto l'autostima (vostra, mia) si crea attraverso i modi in cui l'Altro e' trattato. Lo sviluppo positivo del Se' e' collegato al relazionare con l'Altro in modo rispettoso ed affermativo per entrambi, un modo libero dall'abuso, dallo sfruttamento, dall'umiliazione. E' vero che noi camminiamo in una lunga storia di oppressioni e di discriminazioni, e' vero che ne risultiamo privilegiati anche se non ne siamo direttamente responsabili. Se vogliamo guarire le nostre storie e le nostre comunita' l'ascolto profondo dev'essere seguito dalla cura, dall'intenzione di capire e sostenere, e da gesti di riparazione. Ma tutto questo non e' possibile se non abbiamo la volonta' di rompere i codici sociali che ci impongono il silenzio, e che spesso lo hanno imposto da generazioni. * Il sistema dell'economia "globale" ha rapidamente esportato il lavoro di produzione ai paesi piu' poveri, dove i lavoratori e le lavoratrici producono gli oggetti che noi consumiamo a paghe scandalosamente basse (che spesso ammontano a poco piu' di un euro al giorno). Mary Atkins, madre adottiva di una bimba di 9 anni originaria della Cina, cosi' racconta del suo viaggio in quel paese (2002): "La cosa che ci ha sconvolto di piu' fu la visita ad una fabbrica di tessuti di seta. Dentro strutture massicce e chiuse, nel rumore assordante di centinaia di telai, immerse in una temperatura caldissima (40 gradi) lavoravano ragazzine poco piu' grandi di mia figlia. Ci dissero che molte di loro lavorano 12 ore al giorno, altre dormono addirittura nello stabilimento, in un ambiente decisamente malsano. Persino le famiglie piu' povere tentano di evitare il fato delle fabbriche di seta alle loro figlie. La maggior parte delle ragazzine viene dalle campagne, dove le condizioni di vita sono miserabili. Se le famiglie hanno qualche soldo da investire nell'istruzione, questa spetta ai figli maschi, e cio' lascia milioni di bambine fuori dalle porte delle scuole, disponibili per le fabbriche che esportano i frutti della loro terribile fatica nei nostri paesi. Dai loro telai fluivano bellissimi tessuti multicolori, delle stoffe regali. Cominciai a piangere, soffocata dalla tragedia umana che si svolgeva davanti ai miei occhi. La seta e la tristezza delle ragazze divennero un tutt'uno. Ora non posso piu' guardare degli abiti o delle stoffe in una vetrina senza connettermi a cio' che mi e' nascosto, che e' fuori di vista: le lunghe ore di una fanciulla al lavoro in una fabbrica, una fabbrica che non produce nulla di utile a lei o alla sua gente". * La liberta' e' indivisibile, non solo nel senso "popolare" che tutti gli oppressi del mondo sono idealmente uniti, ma nel senso "impopolare" che l'oppressore stesso e' preso prigioniero dalla cultura dell'oppressione. Senza esaminare quale tipo di consapevolezza si struttura attraverso la partecipazione a relazioni di oppressione, non possiamo determinare l'estensione della ferita. E' come se fossimo malati senza saperlo. Per guarire, dobbiamo divenire consci della malattia, farne esperienza. E guardare a noi stessi/e e agli altri in modo compassionevole, non attraverso la lente della colpa. L'ideale della competizione, ed i comportamenti ad esso correlati, il mito del "farsi da soli", la vita vissuta come una corsa in cui bisogna arrivare primi (e ogni mezzo e' lecito, se legittimato dalla vittoria), distruggono la cooperazione di cui abbiamo disperatamente bisogno: tutti abbiamo necessita' degli altri, dell'Altro. * Riconoscere l'interdipendenza e' la sfida alla maturita' degli individui e dei gruppi. Rifiutarsi di farlo e' continuare a vivere in un sogno infantile e narcisistico di onnipotenza individuale, dove gli ego lottano per il predominio ed il controllo. Il controllo viene ottenuto tramite la creazione della gerarchia e la sua scalata verticale, provvedendo le risorse solo a coloro che si situano in cima alla scala. Il linguaggio delle corporazioni economiche, i cosiddetti "soffitti di vetro", riflettono esattamente questo tipo di individualismo. La narrazione dell'Altro come inferiore, arretrato e primitivo, ci permette di mitigare la diretta percezione delle violenze perpetrate contro di lui/lei. La dissociazione tra la narrazione della cultura dominante (gli eventi come ci vengono presentati) ed ogni nostro sentimento di empatia o conoscenza "trasgressiva", causa la necessita' di difenderci da queste ultime. E' in questo modo che la dissociazione interna alla storia culturale si traduce in dissociazione psichica. E naturalmente essa ha bisogno di energia per la propria continuazione: lo stato che ne risulta e' di sofferenza mentale, di compromissione della vitalita', della creativita', dell'eros e della compassione. Il campo che proiettiamo sulla personalita' dell'Altro agisce come una nube oscurante, permettendoci di non fare esperienza della sua sofferenza umana. Il lavoro di guarigione dovrebbe comprendere il chiederci quanto e che cosa della nostra stessa sofferenza, dei nostri pensieri, sentimenti e percezioni, sia andato "perduto" in questo processo. Quando teorici di varie discipline descrivono il nostro tempo come segnato dal narcisismo, stanno descrivendo la pericolosa situazione psicologica in cui ci troviamo a fare a pezzi le nostre ed altrui esperienze, dividendole in opposizioni binarie di superiorita' e inferiorita'. Non e' solo la molteplicita' delle relazioni nel mondo ad essere negata, ma anche le molteplici relazioni del Se'. Il paradigma individualista del Se' tenta di immaginare se stesso come unita' monolitica. Non incoraggia l'ascolto profondo delle nostre stesse ambivalenze, ne' il discernimento della molteplicita' di voci che abbiamo interiorizzato grazie alle nostre relazioni presenti e passate. Siamo sordi anche noi a noi stessi, pur di ingrandire il nostro ego. * Christa Wolf affronto' nel libro Trame d'infanzia il difficile recupero della propria lingua, il tedesco, che risultava intrecciata in modo sconvolgente alla lingua del tempo dell'abuso, del periodo nazista. In altri lavori (come Befund, 1994) descrive la perdita della capacita' di comunicare e la difficolta' di "provare compassione per la propria stessa persona, il tipo di difficolta' di cui fa esperienza una persona che fu forzata, sin da piccola, a trasformare la compassione per deboli e perdenti in odio e ansieta'". I protagonisti/le protagoniste di questi racconti soffrono di mal di testa, attacchi d'ansia, dolori di stomaco: i sintomi del corpo, quindi, esprimono la loro protesta non verbale alla struttura costrittiva in cui e' stata incastrata l'immaginazione, una situazione molto comune, e di cui in molti/e abbiamo fatto esperienza. Sarebbe il caso di cominciare a prendere questa protesta seriamente, ovvero di scorgere nei nostri sintomi di sconforto i semi di narrazioni alternative delle nostre storie personali e sociali. * Per meglio profittare dell'oppressione altrui, abbiamo creato culture e sistemi di valori che giustificano l'oppressione. L'Altro e' inferiore, impulsivo, sottosviluppato, incapace di pensiero astratto, superstizioso. L'Altro necessita la nostra coloniale sovrintendenza per le necessita' minime della sua sopravvivenza. La nostra intelligenza, il nostro saper lavorare, la nostra superiore morale (non uso il termine etica, che e' ben altra cosa), il nostro pensiero logico, le nostre conoscenze scientifiche... questo ed altro giustificano il nostro controllo della "torta". Ma questo tipo di "Se' coloniale" deve anche separarsi da tutto quanto in lui/lei e' inferiore, sottosviluppato, impulsivo e vulnerabile. La separazione binaria, dove un polo e' lodato ed ambito, l'altro degradato e disprezzato, ricade nella psiche del colonizzatore e del colonizzato, creando caricature identitarie e letture della storia false e parziali. L'intelligenza viene indotta a separarsi dal sentimento, dall'intuizione, dall'immaginazione. Il lavoro viene dissociato dalla vitalita', dalla creazione, dalla generazione. * Per cominciare a maneggiare l'eredita' di questo rigido complesso dissociativo dobbiamo porre una sfida ai noi stessi, al nostro stesso tentativo di controllare la storia, di evitare ricordi dolorosi. E' solo nel recupero della memoria culturale, nell'ascolto dei sentimenti precedentemente zittiti, che i sintomi e gli effetti della dissociazione interiore possono guarire. Per mantenere la nostra storia in modo che essa informi il nostro presente, dobbiamo nutrire le nostre capacità di provare il lutto, di cercare la verita' e la riconciliazione. Il lutto richiede la capacita' di sostenere e rapportarsi: parte della tristezza che deve essere riconosciuta sta nel modo in cui abbiamo impedito ad alcune delle nostre conoscenze piu' profonde di interagire con le principali scelte della nostra vita. Noi possiamo "sentire" la sofferenza che il paradigma individualista del Se' ci ha portato: l'isolamento e la solitudine, il dubitare interiormente di noi stessi, l'oscillazione narcisistica fra i poli inferiore/superiore su cui abbiamo costruito l'assestamento del Se' e dell'Altro, l'oggettificazione della natura, il restringersi della compassione, la frenesia compulsiva generata da un Se' vuoto. * L'alternativa liberante a cui penso e' il vivere le nostre capacita' nell'interdipendenza, e' il lenire la sete di relazione e connessione. Il modo in cui trattiamo l'Altro dovrebbe divenire la principale identificazione di quale sia la stoffa con cui il nostro Se' e' fatto. Nel lavoro per guarire i traumi culturali, il sentiero comincia dal permettere a frammenti e pezzi di sentimenti e memorie sconnesse di venire alla superficie, per poterne fare esperienza in un ambiente che ha cura e protegge. La chiave e' il riuscire a creare contenitori di dialogo per questo lavoro, ed entrare in essi con la semplice intenzione di condividere. Tali dialoghi hanno bisogno di piu' spazio, pazienza e silenzio dei dialoghi ordinari. Hanno bisogno di dare il benvenuto all'ignoto, alle voci provenienti dai nostri "margini". Ricostruire le nostre storie perdute significa prendere fra le mani i pezzi in cui sono state separate, con amore e attenzione, come fossero tessere di un puzzle il cui disegno finale comincia appena a delinearsi. Questo richiede piu' ascolto, piu' meraviglia, piu' immaginazione. E meno lunghi discorsi, meno conoscenze certe, meno attaccamento all'oggetto: un dialogo che muova, passate il termine a una donna di pochissima fede, verso la "grazia". Potreste obiettare che questo tempo di recupero, questo tipo di dialogo, non pertengono al tipo di efficienza che siamo abituati/e a riconoscere. Ed io vi rispondero' che tutto quello che sacrifichiamo all'efficienza, cosi' come siamo abituati a definirla, continua ad agitarsi dentro di noi, decomponendo e sabotando, trovando rifugio nel sintomo fisico fino a che la voce silenziata verra' trovata e udita. 2. MEMORIA. AUGUSTO CAVADI RICORDA LUCIO SCHIRO' D'AGATI [Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi at lycos.com) per averci messo a disposizione il capitolo "Il Martin Luther King della Sicilia" dedicato a Lucio Schiro' D'Agati, estratto dal suo recente stupendo libro Gente bella. Volti e storie da non dimenticare, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004, pp. 199, euro 15; il testo che riportiamo e' alle pp. 159-167. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001; Volontariato in crisi? Diagnosi e terapia, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2003; Gente bella, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2004. Vari suoi contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili: segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)] I difficili inizi Nel nostro Paese - aduso, secondo la felice formula di Ennio Flaiano, a "correre in aiuto del vincitore" - le minoranze non hanno mai avuto vita facile. Essere socialista ed essere protestante, a cavallo fra il XIX ed il XX secolo, significava trovarsi due volte in minoranza: dunque, condannarsi ad una vita doppiamente difficile. E tale, infatti, e' stata l'esistenza di uno di quei tanti concittadini straordinari di cui - eccezion fatta per qualche congiunto - perdiamo, talora definitivamente, la memoria. Lucio Schiro' D'Agati nacque ad Altofonte, a pochi chilometri da Palermo, il 18 marzo 1877, ma il precoce decesso della madre e il carattere riservato della seconda moglie del genitore non contribuirono a rallegrarne i primi anni: "la mia infanzia tramonto' senza che io avessi un bacio, neppure dal padre che subiva il pregiudizio che i figli si baciano quando dormono" (cosi' lui stesso in una pagina di diario ripresa dalla figlia Miriam in Un lottatore senz'armi: mio padre Lucio Schiro' D'Agati, Zephyro, Milano 2003, p. 16). Si vanno intanto organizzando i "Fasci siciliani": Lucio ha solo 15 anni ma, "preso dallíeloquenza di Nicola Barbato, dottore" (ivi, p. 16), aderisce al Movimento di Riscossa Popolare e, per evitare la repressione poliziesca, e' costretto - come De Felice, Verro e lo stesso Barbato - a fuggire: si imbosca in una salsamenteria dove svolge le funzioni di garzone. I cinque anni di servizio militare presso la Guardia di Finanza segnano una svolta positiva: conosce nuovi amici, puo' studiare, ritrova - dopo aver perso la fede cattolica familiare - una prospettiva religiosa nel mondo protestante prima a lui sconosciuto e incontra Consiglia, la donna che lo sposera' e lo accompagnera' per oltre un cinquantennio, sino a quando lo lascera' vedovo e addolorato, "nonostante tanti figli attorno" (p. 54). Gli esordi, in Puglia, come predicatore dei Metodisti (confessione cristiana fondata nel Settecento dall'inglese John Wesley) non furono proprio dei piu' incoraggianti. "Il 14 luglio 1901 - racconta egli stesso - alcuni conoscenti mi invitarono (...) per una conferenza. Lo seppero i preti. Sobillarono la plebaglia, mi assalirono con urli, insulti, minacce e furore collettivo. Io avevo depositato la mia borsa nell'albergo, ma l'albergatore fu costretto a rimandarmela non certo senza rammarico. Nell'albergo non c'era posto per me! I Carabinieri non intervenivano. La plebaglia mi sospingeva verso la campagna. Un sacerdote che, mi dissero, possedeva la laurea in Medicina e Chirurgia, parroco, arciprete, mi mando' una sfida per l'indomani. Risposi: 'Domani alle otto saro' a sua disposizione'. Urla bestiali della plebaglia che gridava: 'Ma domani sarai vivo?'. L'aggressione si fece piu' tremenda, fui circondato ed esposto a gravi minacce; qualche sasso volo' tra la mischia..." (p. 20). L'indomani, comunque, all'appuntamento il prete non si fa trovare: "era andato ai bagni con una comitiva sghignazzante per la prodezza della sera precedente. Fu pero' chiamato e venne accompagnato dal medico condotto. Il prete disse: 'Parliamo dentro che' la folla non puo' capire'. Comincio' la discussione sul Decalogo di Mose' contro le sculture. Il prete aveva studiato Medicina, non Teologia. Io ero ignorante di Medicina ma rispondevo da piccolo teologo. 'Per la vostra ostinazione vi romperei la testa!' mi disse il medico. Con una calma che non mi parve mia, gli dissi: 'Il medico del mio paese cuciva le teste rotte. Lei rompe quelle sane!'. La battuta fu efficace. Rise anche il prete. Ci licenziammo e me ne andai, questa volta non minacciato e non insultato" (p. 21). Dopo alcune tappe intermedie (Abruzzo, Umbria), nel 1908 Lucio viene trasferito in Sicilia, a Scicli (Ragusa) dove trova una situazione sociale intollerabile: "i ricchi signori, - sintetizza la figlia Miriam - divenuti feudatari con mezzi anche illeciti, trattano come bruti i coloni. Li fanno lavorare dalla mattina alla sera, lontani dalle famiglie, che vedono solo alla domenica, per un piatto di fave e un po' di frumento alla raccolta" (p. 25). Davanti a tanto disastro, non si scoraggia ma progetta e, gradualmente, attua una complessa strategia di liberazione su piu' livelli. Innanzitutto, si dedica alla istruzione e alla formazione culturale: "fonda scuole elementari, doposcuola, una sezione di asilo infantile, corsi serali per analfabeti" (p. 26). Per rafforzare ed estendere la promozione culturale fonda un giornale, "Il Semplicista", che resistera' - con sospensioni forzate - per decenni: "un esperimento religioso unico" - commentera' nella tesi di laurea del 2001 la giovane ricercatrice Laura Malandrino - "perche' fu aperto a chiunque, evangelici, cattolici, buddisti, maomettani ed atei; esempio di un esperimento politico come pochi, essendo stato lo specchio dell'opera politica di Schiro', che fece di Scicli una sorta di repubblica indipendente nello Stato". Nella convinzione che la formazione dell'intelletto e' condizione necessaria ma insufficiente, si impegna in prima persona anche su un secondo livello: l'organizzazione sociale. Avendo notato che "nel periodo estivo i fanciulli piu' poveri sono lasciati liberi per le vie del paese rese quasi impercorribili dal caldo afoso e snervante" e che, addirittura, "qualcuno non ha mai visto il mare", Schiro' "riunisce i genitori e organizza insieme a loro una colonia estiva" (p. 32). Nella stessa ottica, avvia "una cooperativa dove i poveri possono acquistare i prodotti a prezzi moderati" e fonda "una lega di contadini" (p. 26), una sorta di sindacato. La formazione culturale, l'organizzazione sociale: ma non basta. Con intelligenza davvero lungimirante, egli intuisce che - se si vuole incidere profondamente e durevolmente - bisogna attivarsi anche sul piano della politica istituzionale. E' cosi' che, sin dal 1910, con la stretta collaborazione di un avvocato, fonda a Scicli la sezione del Partito Socialista: dopo la Prima guerra mondiale, cui egli si era opposto fermamente, i socialisti vincono le elezioni del 1920 e il pastore della chiesa metodista diventa anche sindaco della citta'. Avverte la stranezza, o per lo meno la straordinarieta', dell'identificazione in una sola persona dei due ruoli e, sin dal primo discorso alla popolazione, chiarisce il suo desiderio di andare oltre l'emergenza per tornare alle occupazioni abituali: ""Io guardo questo posto e mi sento a disagio. Questo posto non e' mio, e' degli sciclitani. Il mio posto e' alla Chiesa. Ben vengano i paesani a gridare viva il Socialismo, io allora al loro grido esultante uniro' la mia benedizione" (p. 29). * Socialista, pacifista, nonviolento: dunque antifascista Per decenni siamo stati abituati a considerare inscindibile il legame fra radicalita' rivoluzionaria e lotta armata: al punto che, quando il segretario nazionale di un partito comunista propone - come in questi mesi - un'adozione seria e convinta della metodologia nonviolenta, scattano gia' nella stessa Sinistra i sospetti di opportunismo e le diffidenze verso possibili ripiegamenti compromissori. Lucio Schiro' D'Agati non sara' stato, a giudicare dagli scritti che ci rimangono, un pensatore particolarmente profondo o originale: ma ha certamente visto con lucidita' anticipatrice cio' che intere generazioni successive hanno stentato - e tutt'ora stentano - a vedere. Intendo che ha visto con chiarezza stupefacente come l'interesse delle fasce deboli dei popoli di tutto il mondo implica il rifiuto della guerra come mezzo per risolvere i conflitti fra gli Stati e che il rifiuto della guerra implica il rifiuto della violenza come arma per risolvere i conflitti interni agli Stati. In altri termini: che il socialismo comporta il pacifismo e che il pacifismo comporta la nonviolenza attiva. La riprova che la connessione fra questi tre principi "funziona" e' data dalla sua incompatibilita' con qualsiasi logica reazionaria. E infatti il fascismo storico si scateno' spietatamente contro il piccolo pastore di provincia che incarnava nella sua opera quotidiana l'intreccio esplosivo (e tanto pericoloso per gli interessi dei poteri forti) fra difesa dei poveri, rifiuto della guerra e lotta tendenzialmente nonviolenta. Che cosa abbia significato per Schiro' essere socialista, cioe' dalla parte degli sfruttati, lo si e' accennato: pur senza escludere mutamenti di regime epocali, egli ha innescato - nel "qui ed ora" della sua sfera d'intervento - iniziative culturali, sociali e politiche che rendessero in qualche modo visibile e palpabile un processo di emancipazione. Aveva tante ragioni per maledire il buio ma, per riecheggiare un detto orientale, ha preferito accendere la sua candela. Si e' anche accennato alla sua (per me conseguente) opposizione all'intervento dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Su questo punto non si puo' non citare almeno qualche passaggio cruciale di un articolo del 12 dicembre 1914 in cui egli taccia "quei socialisti che ieri votarono contro le spese militari ed ora son per la guerra", di tradimento del "Proletariato, il quale, in ogni guerra, paga sempre ed esige mai!" (p. 93). Bisogna entrare in guerra per combattere la disoccupazione? "Ma la richiesta di lavoro a spese dell'altrui sangue mi sa di cinismo piu' che brigantesco" (p. 93). Bisogna entrarci perche' "questa guerra sarebbe rivoluzionaria"? "Non e' vero. Io osservando che i monarchi si fanno fotografare in divisa militare deduco che Militarismo e Monarchia sono sposi. Percio' ogni vittoria militare costituisce un nuovo forte attorno al Trono" (p. 93). Bisogna entrare in guerra per ragioni patriottiche? "Pretesto borghese. Se oggi l'Italia conquistera' Trento e Trieste, domani vorra' conquistare Nizza, Savoia, Tunisi, Malta ecc. per cui l'ingordigia non sara' saziata e sara' suscitata la diffidenza franco-inglese; l'odio austriaco non sara' spento ed invece sara' acceso quello tedesco contro l'Italia, il che richiederebbe enormi spese militari offensive e difensive. Ad ogni modo se l'Italia conquistera' il Mondo pel Proletariato non contera' proprio nulla, contera' per la Borghesia. Che sia dunque essa sola l'assassina" (pp. 93-94). Bisogna entrare in guerra per ragioni umanitarie, per annientare la "barbarie teutonica"? "Superficialita'. Ammesse magari per vere e moltiplicate per dieci le gesta barbare attribuite ai tedeschi affermo che non pesano un terzo degli orrori commessi dal Belgio militaresco nel Congo e dalla Russia Czaresca sul bel corpo di Maria Spiridonova e sulle menti di Massimo Gorki, Tolstoj ecc." (p. 94). Nella prima meta' del XX secolo non era strano che socialismo e pacifismo si intrecciassero: molto meno ovvio, pero', che si coniugassero anche con la nonviolenza. Qui la tradizione marxista, presente anche nel Partito Socialista da cui nel 1921 si era distaccato il Partito Comunista, pesava fortemente: essere rivoluzionari implicava il ripudio della guerra, ma anche l'adozione della lotta armata. Schiro', pero', ha radici non solo socialiste: il suo cristianesimo evangelico gli vieta di concepire l'uso della forza fisica come metodo ordinario. Con molto anticipo su orientamenti attuali (pensiamo, per limitarci ad un solo riferimento, al dibattito interno al Partito della Rifondazione Comunista circa la scelta programmatica per la nonviolenza), egli vive con costanza e coerenza un inequivoco atteggiamento nonviolento che gli ha meritato, da parte di Andrea Speranza nel corso di un convegno commemorativo del 1982, il titolo di "Martin Luther King della Sicilia Sud-orientale" (p. 76). Socialista, pacifista, nonviolento: troppo per il fascismo! Ma proprio le persecuzioni dei fascisti lo confermeranno nella validita' delle sue opzioni - esistenziali e politiche - di fondo. Quando il 26 dicembre del '20 le squadracce d'azione aggrediscono dei cittadini inermi, Schiro' - informato mentre e' riunito con cento persone nell'assemblea della Cooperativa - si precipita nel luogo dell'assalto, affronta da solo e inerme i quaranta facinorosi e, benche' colpito alla testa e sanguinante, non recede dalla richiesta alle forze dell'ordine di fare il loro dovere. Quando, poi, la situazione si capovolge e la gente inferocita vuole fare giustizia sommaria dei caporioni, e' proprio Schiro' ad accoglierli a casa propria per evitare una strage! Ovviamente la cortesia non gli sara' ricambiata. Intimidazioni e attentati si susseguono senza posa, anzi con violenza crescente: sino a quella sera dell'estate del 1921 in cui i fascisti sparano sul pastore ferendo lui, una figlioletta, alcuni amici, ed uccidendo un pover'uomo reo soltanto d'essere simpatizzante della Chiesa metodista. Quando poi il regime s'instaura ufficialmente, sono le stesse autorita' ad angariare il "suddito" sospetto: come quando - siamo gia' nel '29 - il Commissario di Pubblica Sicurezza lo interroga, lo schiaffeggia e lo accusa di aver dichiarato di voler devolvere un certo sussidio "per il bene dei comunisti", reagisce solo con il suggerimento ironico di consultare il vocabolario italiano per cogliere la differenza fra "comunisti" e "comunita'". Il suo servizio sopravvive al crollo del fascismo ed e' "ministro" della sua comunita' religiosa sino al 1952: si spegnera', non senza ragioni di sconforto come pure di consolazione, il 30 giugno del 1961. In un articolo del 1924 egli aveva evidenziato, con un linguaggio "datato" che pero' conserva una propria tempra, come la storia documenti "l'esistenza di profeti in determinati tempi e luoghi, senza dei quali non si sa quali splendori avrebbe la religione se pur non avesse la bruttura di turpe manutengola della falsa Politica. Guai al mondo (...) moderno se in tempi difficili, in mezzo al chiasso di politicanti incoscienti, al lezzo dell'affarismo, al disgusto del turpiloquio e dello scempio di uomini e cose, al gemito straziante della Verita' offesa, della Giustizia mutilata e della Liberta' inceppata, mancasse la voce ammonitrice di sinceri ministri del Ciel!". Non mi pare esagerato affermare che proprio Lucio Schiro' D'Agati sia stato una di queste figure "profetiche", capaci cioe' di interpretare con piu' acutezza i "segni dei tempi" e di anticipare con piu' inventivita' le pratiche adeguate alle sfide della storia. 3. VOCI. MAO VALPIANA: BUON COMPLEANNO, "RAGGIO" [Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta at sis.it) per averci messo a disposizione il testo di questa intervista rilasciata all'ottimo mensile "Raggio" (per contatti con la redazione: "Raggio", via Cesiolo, 46, 37126 Verona, e-mail: raggio at rivistaraggio.org). Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario] "Raggio": Da quanto tempo conosci la rivista "Raggio"? Come l'hai conosciuta? Mao Valpiana: Nel 1989 ho partecipato, insieme ad Alexander Langer, ad un convegno a Manaus, sui temi della missione, dell'ambiente, degli indios. Ci interessava capire quella realta' e il lavoro di Chico Mendes, per riportare in Italia elementi utili alla Campagna Nord-Sud che voleva far conoscere all'opinione pubblica il dramma ambientale e sociale che stava vivendo l'Amazzonia. In quel convegno ho incontrato per la prima volta suor Irene Bersani: eravamo in un altro continente, ma venivamo dalla stessa citta' di Verona. Lei scriveva per "Raggio", io per "Azione nonviolenta". E' stato il primo contatto tra le due riviste. Ringrazio sempre il compianto Alexander Langer anche per questo bel dono che mi ha regalato, facendomi conoscere "Raggio" e il lavoro delle suore missionarie. * "Raggio": Ti piace? Se si', perche'? Mao Valpiana: "Raggio" e' una rivista particolare, per il suo sguardo al femminile sui problemi della missione e del mondo. Si presenta con semplicita', quasi con umilta', ma i contenuti di "Raggio" sono di una forza rivoluzionaria: la rivoluzione della fede, e la rivoluzione delle donne. * "Raggio": Ti pare che risponda a una particolare fisionomia e che svolga un servizio utile (e quale?) nel mondo della stampa missionaria? Mao Valpiana: La stampa missionaria e' molto varia e diversificata. "Raggio" rappresenta per me, insieme a "Nigrizia" e "Missione oggi", una delle punte piu' avanzate. Mi piace anche come "Raggio" riesce a mantenere insieme sia le spinte per il rinnovamento della missione, sia gli aspetti piu' profondi della sua tradizione. E' una rivista che mira al cambiamento, ma che non vuole perdere le proprie profonde radici. * "Raggio": Realizza le tue attese o come la vorresti? Quali aspetti vorresti che fossero maggiormente focalizzati? Mao Valpiana: "Raggio" sta facendo una propria originalissima ricerca sui temi della nonviolenza al femminile. Mi auguro che prosegua su questo terreno, cosi' fecondo, e cosi' utile per tutti noi. * "Raggio": Quali sono gli articoli o le parti che ti interessano di piu'? Mao Valpiana: In questi ultimi anni ho apprezzato molto i calendari sulle figure di donne per la pace e la nonviolenza. Li conservo perche' sono strumenti utilissimi sia per la documentazione che per la divulgazione. * "Raggio": Hai qualche critica da fare su articoli o rubriche che ti generano dubbi, perplessita' o altro? Mao Valpiana: No, no ho davvero nessuna critica, anche perche' so quanta fatica costa fare una rivista cosi' bella con pochi mezzi e poche persone. Il lavoro che Irene e le altre suore della redazione fanno ogni mese, e' per me un dono prezioso. * "Raggio": Hai consigli da darci? Mao Valpiana: Il consiglio puo' essere quello di mantenere sempre piu' vivo il contatto con le altre riviste missionarie e del mondo pacifista e nonviolento. Stiamo vivendo un momento difficile per la carta stampata e per l'informazione in generale. Le riviste libere ed indipendenti come "Raggio" devono fare un fronte unico per la difesa della liberta' di stampa, che oggi e' messa in pericolo sia dal dilagare della disinformazione televisiva, sia dal pensiero unico espresso dal potere. Un altro consiglio (ma davvero non mi pare che "Raggio" ne abbia bisogno) e' quello di avere antenne sempre piu' lunghe per cogliere ed amplificare tutti i segnali di nonviolenza che si levano dal continente africano, e di far parlare i protagonisti diretti. * "Raggio": Cosa vorresti dire per i settanta anni di "Raggio"? Mao Valpiana: Innanzitutto vorrei fargli i miei complimenti, perche' davvero non dimostra l'eta' che ha. Poi vorrei augurargli di sapersi sempre rivolgere alle giovani generazioni. Infine, voglio mandare un forte abbraccio a suor Irene e ringraziarla del suo servizio. 4. STRUMENTI. MARIA LUIGIA CASIERI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Maria Luigia Casieri (per contatti: nbawac at tin.it) per questo intervento. Maria Luigia Casieri, nata a Portici (Na) nel 1961, insegna nella scuola dell'infanzia ed e' una delle principali animatrici del "Centro di ricerca per la pace" di Viterbo. Ha organizzato a Viterbo insieme ad altri il "Tribunale per i diritti del malato"; assistente sociale, ha svolto un'esperienza in Germania nell'ambito dei servizi di assistenza per gli emigrati italiani; rientrata in Italia si e' impegnata nel settore educativo; per dieci anni ha prestato servizio di volontariato in una casa-famiglia per l'assistenza ai minori; dal 1987 e' insegnante di ruolo nella scuola per l'infanzia; ha preso parte a varie iniziative di pace, di solidarieta', per i diritti; ha tenuto relazioni a convegni e corsi di aggiornamento, e contribuito a varie pubblicazioni. Dopo anni di lavoro, ha recentemente concluso la realizzazione di un "opus magnum" in 5 volumi su Il contributo di Emilia Ferreiro alla comprensione dei processi di apprendimento della lingua scritta] Perche' non e' una moda, non e' una conversione dell'ultim'ora, non segue l'andamento del mercato; perche' tenacemente da quarant'anni continua a costruire sentieri di pace. 5. STRUMENTI. GIANCARLA CODRIGNANI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Giancarla Codrignani (per contatti: giancodri at libero.it) per questo intervento. Giancarla Codrignani, presidente della Loc (Lega degli obiettori di coscienza al servizio militare), gia' parlamentare, saggista, impegnata nei movimenti di liberazione, di solidarieta' e per la pace, e' tra le figure piu' rappresentative della cultura e dell'impegno per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Giancarla Codrignani: L'odissea intorno ai telai, Thema, Bologna 1989; Amerindiana, Terra Nuova, Roma 1992; Ecuba e le altre, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1994] Forse non e' cosi' importante che i lettori conoscano le ragioni per cui io sono abbonata ad "Azione nonviolenta". Il bello sarebbe che voi tutti sapeste perche' e' bene ricevere una rivista che nel corso degli anni e' diventata sempre piu' interessante. Chi crede nella nonviolenza ha bisogno di informazione e di formazione per non scoraggiarsi vivendo in un mondo violento. Inoltre la maggior parte degli amici che abbiamo conosciuto negli anni sono diventato genitori e non e' male lasciare in giro per casa buoni materiali per i figli. Ritengo una fortuna che non ci sia piu' la leva obbligatoria che aveva la sola funzione di condizionare all'ubbidienza, al senso delle gerarchie, al falso patriottismo; ma, proprio per questo, bisogna continuare ad avere pensiero critico e ad "obiettare". Ci sono ragioni concrete per dare testimonianza di quel pensiero concreto che aveva per simbolo appunto l'obiezione al servizio militare: rischiamo un altro genere di militarizzazione e dobbiamo essere preparati non solo a dire che un altro mondo e' possibile, ma a confermarne in termini nuovi la cultura. Poi diventare amici di Mao Valpiana vale veramente la pena... 6. STRUMENTI. ALESSANDRO PIZZI: MI ABBONO AD "AZIONE NONVIOLENTA" PERCHE'... [Ringraziamo Alessandro Pizzi (per contatti: alexpizzi at virgilio.it) per questo intervento. Alessandro Pizzi, gia' apprezzatissimo sindaco di Soriano nel Cimino (Vt), citta' in cui il suo rigore morale e la sua competenza amministrativa sono diventati proverbiali, ha preso parte a molte iniziative di pace, di solidarieta', ambientaliste, per i diritti umani e la nonviolenza, tra cui l'azione diretta nonviolenta in Congo con i "Beati i costruttori di pace"; ha promosso il corso di educazione alla pace presso il liceo scientifico di Orte (l'istituto scolastico dove insegna)] Rinnovo l'abbonamento ad "Azione nonviolenta" perche' mi piace ogni mese trovare nuovi spunti di riflerssione sui temi della nonviolenza. Mi sembra che oggi e' importante avere strumenti teorici per orientarsi ed agire in situazioni sempre piu' segnate da rapporti violenti dovuti alla competizione, al consumismo, alla gerarchizzazione dei lavoratori con conseguente esclusione ed emarginazione dei piu' deboli. La rivista offre la possibilita' di conoscere le azioni dei movimenti nonviolenti nel mondo e in Italia ignorate dalla stampa e dalla televisione. Della formazione e informazione sono grato a Mao Valpiana e a tutti i collaboratori della rivista. Poi c'e' un altro motivo che mi spinge ad abbonarmi: e' un piacere ricevere la rivista fondata da Aldo Capitini, i cui scritti mi appaiono sempre piu' attuali. Accolgo la proposta di Luciano Capitini, quest'anno sottoscrivero' due abbonamenti e uno lo donero' ad un amico. 7. STRUMENTI. COME CI SI ABBONA AD "AZIONE NONVIOLENTA" "Azione nonviolenta" e' la rivista mensile del Movimento Nonviolento fondata da Aldo Capitini nel 1964, e costituisce un punto di riferimento per tutte le persone amiche della nonviolenza. La sede della redazione e' in via Spagna 8, 37123 Verona, tel. 0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta at sis.it, sito: www.nonviolenti.org; l'abbonamento annuo e' di 25 euro da versare sul conto corrente postale n. 10250363, oppure tramite bonifico bancario o assegno al conto corrente bancario n. 18745455 presso BancoPosta, succursale 7, agenzia di Piazza Bacanal, Verona, ABI 07601, CAB 11700, intestato ad "Azione nonviolenta", via Spagna 8, 37123 Verona, specificando nella causale: abbonamento ad "Azione nonviolenta". 8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono: 1. l'opposizione integrale alla guerra; 2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione; 3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario; 4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo. Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli. 9. PER SAPERNE DI PIU' * Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per contatti: azionenonviolenta at sis.it * Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia: www.peacelink.it/users/mir; per contatti: mir at peacelink.it, sudest at iol.it, paolocand at inwind.it * Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per contatti: info at peacelink.it LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac at tin.it Numero 777 del 13 dicembre 2004 Per ricevere questo foglio e' sufficiente cliccare su: nonviolenza-request at peacelink.it?subject=subscribe Per non riceverlo piu': nonviolenza-request at peacelink.it?subject=unsubscribe In alternativa e' possibile andare sulla pagina web http://web.peacelink.it/mailing_admin.html quindi scegliere la lista "nonviolenza" nel menu' a tendina e cliccare su "subscribe" (ed ovviamente "unsubscribe" per la disiscrizione).
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