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LETTERA settembre
LETTERA 100
settembre 2004
marzo 2004
1
I poliziotti e i soldati tenevano lontani gli operatori della televisione e
dunque i nostri schermi erano popolati da persone ridotte a minuscole
figurine. Io le guardavo come allucinato e mi sembrava una scena già vista
da qualche parte: uomini giganteschi con le armi in mano correvano per
quella lontananza, poi si fermavano di scatto, come impietriti; donne
piangenti si riunivano in gruppi che parevano quelli del Golgotha; a
tratti si disperdevano come se avessero inteso un richiamo da qualche luogo
segreto ma, subito dopo, tornavano insieme, come grumi di dolore; più tardi
arrivarono carri armati che sembravano orrendi pachidermi corazzati;
infine, all'improvviso, irruppe sulla scena una miriade di corpicini nudi
che correvano senza meta. In quel momento ciò che sapevo e vedevo ha
assunto per me, più nettamente, i colori e le forme di un quadro di
Hyeronimus Bosch: un mondo impazzito, di insetti antropomorfi, di belve
antropomorfe, di uomini e figli di uomini ridotti a larve; distrutta ogni
logica, cancellata ogni pietà, fratturato ogni panorama e ogni oggetto da
crepe profonde da cui uscivano incubi..
Ancora oggi (ed è per questo che LETTERA parte così tardi) un muto grido di
orrore risuona dentro di me, e mi sembra annullare non solo ogni speranza
per il futuro ma anche il senso delle scelte che in passato tanti (e un po'
anch'io, con fatica e paura e incoerente testardaggine) hanno fatto (e
pagato) per cercare di riscattare la Terra da certi orrori. Lo strazio di
Beslan, catturato dalle idrovore mass-mediatiche, mi ha reso lucidamente
consapevole della definitiva eclisse di una civiltà incapace di memorie e
di sentimenti amorosi. Il più impressionante dei delitti la cui
contemplazione abbia mai avvelenato la mia esistenza (una intenzionale
strage di bambini davanti agli schermi televisivi) mi costringe a
riconoscere che un genocidio infantile ogni giorno, più o meno
nascostamente, devasta - non a causa di cataclismi ma a causa di decisioni
umane - il pianeta sul quale viviamo: le neonate soppresse perché
"inutili", i milioni di piccoli schiavi della pedofilia organizzata, i
meninos da rua fatti uccidere da buoni borghesi perché "delinquenti
irrecuperabili", i "lavoratori" con meno di 7 anni e quelli soldati a 10; i
milioni di bambini profughi con i loro genitori - o, infinitamente peggio,
ridotti all'orfananza - nel cuore dell'Africa Nera o in Afganistan; quelli
ancor oggi feriti o mutilati dalle mine o dalle bombe a frammentazione (in
Kosovo e in Iraq) o piagati, per generazioni, dalle mutazioni genetiche
provocate dalla chimica bellica (da Hiroshima al Vietnam e daccapo
all'Iraq) per (non) finire con i ragazzi uccisi nella Palestina degli
opposti fondamentalismi. Una specie animale che distrugge con tanta
crudeltà la sua prole è ormai pervertita al punto da avviarsi alla propria
estinzione.
2
Il piccino dagli occhi spalancati che nella scuola di Beslan è obbligato a
tenere le mani dietro la nuca somiglia quasi incredibilmente al bambino del
ghetto di Varsavia, immortalato da una fotografia mentre alza le mani sotto
la minaccia delle armi di un gruppo di soldati nazisti. Sembra che
sessant'anni siano passati invano, che ci sia nella storia una invincibile
coazione a ripetere il male. Ma la realtà è anche peggiore: il piccolo del
ghetto di Varsavia è vittima della violenza feroce di un popolo di Signori
che si considera superiore a tutti gli altri; il piccolo osseziano è ucciso
"dentro" dalla ferocia di un popolo esso stesso poverissimo e martirizzato.
Se non cominciamo a capire questa elementare verità - che la guerra dei
poveri non può che inclinare alla follia più sanguinaria, sino a colpire la
propria stessa gente o quella del tutto simile - siamo perduti.
Ci sono momenti in cui uno si odia per avere avuto ragione: qualcuno dei
miei amici ricorderà che più di vent'anni fa scrissi che le guerre che i
poveri avrebbero, prima o poi, cercato di combattere per uscire dalla loro
oppressione sarebbero state "naturalmente" feroci. Non possedendo
mass-media per illustrare le sofferenze del proprio popolo né trovando chi
se ne faccia portavoce, la disperazione dei miseri non può che portarli a
creare eventi tanto terribili da costringere giornali e televisioni a
registrarli con clamore; non possedendo, ammesso che vi siano, tecnologie
belliche capaci di precisione "chirurgica", non possono che manovrare il
plastico degli attentati; convinti, sino al suicidio, che per i loro figli
i paesi dominanti non abbiano pietà, essi stessi non sentono pietà per gli
innocenti travolti nelle loro imprese. E' impossibile chiedere loro di
osservare le grandi convenzioni internazionali: del resto non le osserviamo
neppure noi, nei loro confronti, come Guantanamo insegna. Chi ha occhi per
vedere, con la lucidità che tutti dovremmo conservare, sa che la guerra dei
poveri è disumana perché essi sono stati disumanizzati.
Spero che non ci sia fra chi legge queste righe qualcuno così sciocco o
prevenuto da pensare che io stia cercando di giustificare gli orrori di
queste guerre. Considero anch'io il terrorismo una spaventosa minaccia alla
mia vita e a quella dei miei cari; ma so che accanto a me, dalla mia parte
(che io lo voglia o no, e quindi con mia inevitabile complicità), c'è chi,
da posizioni dominanti, nelle sedi e istituzioni in cui dovrebbe
articolarsi una civiltà fraterna o almeno attenta a un po' di giustizia,
provoca, alimenta e spesso sfrutta la collera dei poveri: quella collera
che quasi cinquant'anni fa già il grande papa Paolo VI sentiva crescere
nelle viscere della storia. e inutilmente ci additava nella sua enciclica
"Populorum progressio"..
3
(Sì, lo so, naturalmente: c'è anche un terrorismo che nasce non dalla
disperazione della miseria, ma dal fanatismo religioso, dal profondo,
feroce disprezzo per un mondo occidentale che sembra (sembra?) avere perso
ogni contatto con i principî morali della Torah, del Corano e del Vangelo.
I terroristi di questo tipo, come i "nostri" fondamentalisti, adorano un
dio che è una proiezione dei loro peggiori difetti, e non il "clemente e
misericordioso" Dio delle Scritture. Essi hanno anche una base politica su
cui far leva; ed è il profondissimo razzismo con il quale le potenze
occidentali vanno trattando, da almeno due secoli, il mondo islamico,
riducendolo a popoli colonizzati, tracciandone a proprio beneplacito i
confini, negandogli ogni autodeterminazione e dando vita, per dominarlo e
rapinarlo delle sue ricchezze, a classi politiche e dinastie
"occidentalizzanti", corrotte e feroci. Ciò che è avvenuto dopo l'11
settembre del 2001 ("Fahrenheith 9/11" ne riassume bene alcune delle tante
prove) mostra che quel tipo di terrorismo, responsabile delle stragi di New
York e di Madrid, per non citare che due crimini non è veramente combattuto
dagli Stati Uniti e dai loro alleati: la tribù dei Bush non può
permetterselo, essendone socia in affari ).
(Un'altra parentesi. Ricordate l'ultimo viaggio di Putin a Roma? I
giornalisti gli domandarono un commento sulla situazione cecena. Berlusconi
gli rubò la risposta: "Non esiste un problema ceceno". Un terzo della
popolazione di quello sventurato paese era stato falciato da anni di
conflitto armato, la disoccupazione e la miseria devastavano la regione ma
il nostro Sorridente del Consiglio non lo sapeva, a lui bastava il sorriso
dell'ex agente del KGB che così amorosamente riceve nel suo regno sardo)..
4
Riprendo a scrivere dopo qualche giorno. Dopo la strage di Beslan, mi sono
accorto che cercavo di pregare senza riuscirci. Riuscivo solo a ripetere
tacitamente due versi di Rabin-danath Tagore, il poeta indiano
dell'ecumenismo "largo":
Sulla spiaggia di mondi senza fine
giocano i bambiniŠ
Il cuore cercava almeno una speranza di gioia restituita dall'eternità
all'innocenza massacrata. E tuttavia, un po' alla volta, ho cominciato a
sentire che anche questo sentimento - e quello dell'immensa pietà per i
superstiti, la cui infanzia è stata per sempre piagata dalla scoperta della
ferocia degli adulti - non poteva bastare. Non potevano le candele accese
dietro le finestre o le fiaccolate per illuminare il buio di una notte
atroce perché quella notte è anche dentro di noi e non solo nei terroristi,
se rimaniamo inerti, loro complici. Ho sentito il bisogno di confessarlo:
davanti a Beslan, perché quell'evento mi è sembrato un tornante di civiltà,
irreparabile senza una risposta finalmente nata dalla consapevolezza degli
orrori generati dal dolore di tanti popoli. Nurit Peled-Elhahan, scrittrice
israeliana che sei anni fa ha perso la figlia tredicenne in un attentato di
Hamas e che da allora si batte contro le spaventose responsabilità del
regime di occupazione, dice: "Mi appello ai genitori che non hanno ancora
perso i loro figli perché prestino attenzione alle voci che salgono dal
regno della morte, sul quale camminiamo giorno dopo giorno e ora dopo ora".
Lo so. sembra difficile accettare questo invito, tanto sono ancora fragili,
incerte e leggere le forme e le idee del movimento per la pace, scaduto e
minato il prestigio dell'ONU, potenti come mai le forze del male. tuttavia
vi sono epoche - diceva ancora Paolo VI - in cui l'unico realismo è quello
dell'utopia. E' arrivato il momento in cui il dilemma si è fatto
chiarissimo: o rifiutiamo l'odio, in tutte le sue forme, o l'odio ci
distruggerà tutti. Siamo non invitati ma obbligati alla speranza, alla
solidarietà, alla creatività, alla sincerità coraggiosa. l'unica
alternativa è paura crescente e trasformazione di ogni strada e cortile in
possibile campo di battaglia. Putin ha imparato la lezione dall'amico Bush
e annunzia che schiaccerà il terrorismo, anche con guerre preventive, in
tutti i luoghi in cui esso si manifesta,. a è davvero possibile non
comprendere che il terrorismo non è uno stato né un esercito, non è una
centrale operativa, è spesso "artigianato della morte",
micro-organizzazione o disperata protesta di singoli? Che soltanto in un
mondo in cui l'amore compia coerenti atti riparatori delle ingiustizie e
delle strutture che le generano si potrà vivere senza paura?
5
Come sempre mi accade quando la disperazione mi prende alla gola, non tanto
per me che sono ormai vecchio ma per i miei figli e per i loro bambini,
sono andato testardamente in cerca di qualche speranza fra le macerie che
ci circondano, e mi pare di averne rintracciato qualche segno. Il primo è
il nuovo atteggiamento di parte del mondo islamico, la sua volontà di
prendere le distanze dalla crudeltà del terrorismo, da qualunque parte
venga agito. Questa atteggiamento deriva certamente dalla paura di un
antisemitismo che si trasferisca dall'odio per gli ebrei a quello per i
semiti arabi; ma certamente non nasce soltanto da paura; al contrario, esso
pone fondamenti ideali religiosi alla necessità della pace.
Temo che i "nostri" uomini politici e i "nostri" mass-media commettano
l'ennesimo errore se invece che a questo Islam "di base" preferiscono dare
importanza a un "moderatismo arabo" che sarebbe quello dei governi legati
all'Occidente capitalista. Gli statisti italiani si rivolgono al Cairo, ad
Amman e Kuwait City eccetera per "mitigare" il terrorismo quando esso ci
prende di mira, com'è avvenuto nel caso delle "guardie" italiane, del
giornalista Baldoni e, in questi giorni delle due Simona. In realtà certi
governi sono contenitori solo apparentemente islamici e in tutti i casi
vicini al punto di rottura: i loro popoli, spesso dominati da regimi
crudeli, non ne condividono le scelte politiche occidentalizzanti. Come
tali, del resto, i governi "arabo-moderati" sono certamente tagliati fuori
da ogni rapporto con i musulmani iracheni, non soltanto quelli
fondamentalisti ma anche quelli più semplicemente ribelli all'occupazione
militare. (A questo proposito è sconcertante la stupidità, per non dire di
peggio, del governo italiano, il quale, nel momento di una crisi tanto
dolorosa e delicata riceve, primo fra i governi europei. il presidente
fantoccio del regime stelle-e-strisce di Bagdad).
Ben più promettente, io credo, per la conquista della pace è invece l'Islam
che in Italia, in Francia e in Spagna, ma anche in molti altri luoghi,
esprime solidarietà alle vittime dell'odio. Questa novità apre una inedita
speranza: la ripresa di un dialogo fra credenti che n altri secoli produsse
mirabili civiltà.
Anche da questo punto di vista mi è sembrata straordinariamente commovente
la mani-festazione di bambini iracheni e delle loro famiglie per chiedere
la liberazione delle due Simona che hanno lavorato a lungo per loro e con
loro. Nella piazza del Paradiso di Bagdad, quella in cui si erge ancora il
basamento della statua di Saddam Hussein trascinata nella polvere da un
cingolato americano, questa piccola folla di coraggiosi ha sfidato la
crudeltà dei terroristi e mostrato quanto bene possa seminare chi non
chiede se non di servire la causa della fraternità fra i popoli. E' triste,
e scandaloso dal punto di vista morale e politico (ma sì: anche della
realpolitik) che i governi della cosiddetta Coalizione non riescano a
decidere qualche atto similare di positiva ricerca di un'attenuazione del
conflitto iracheno, per esempio la cessazione dei bombadamenti a tappeto su
Falluja ed altre città, che tanto sangue costano alla popolazione civile,
bambini compresi. Il grande massacro terrorista di Bush, lo capiscano o no
i suoi elettori, sta diventando sempre più chiaramente una guerra
neo-colonialista, dunque già persa davanti alla storia.
6
Quando dico che è ormai di fatale necessità che ciascuno di noi prenda
posizione contro gli orrori che devastano la Terra e preparano altri
spaventosi conflitti e terrorismi, so bene di suscitare le frustrazioni di
chi è convinto di non contare nulla nelle decisioni dei governanti, di chi
sente di trovarsi di fronte allo strapotere del grande Capitale e, ancor
più amaramente, di chi ricorda il fallimento di una propria esperienza nei
partiti, nei sindacati, nelle espressioni di "base". Tutto ciò è
dolorosamente vero, e però, io credo, non ci esime dal dovere di custodire
in noi la dignità del coraggio e dell'indignazione. Questi due sentimenti,
diceva un grande pensatore, Agostino di Ippona, sono figli della verità:
chi contempla la ferocia dei Potenti sui poveri non può, se crede nella
dignità dell'uomo, non sentire dentro se stesso bruciare una ribellione che
lo spinge a intervenire; e poiché questo sentimento risponde alla logica
dell'amore esso è inevitabilmente sostenuto dalla volontà di non tradirne
le conseguenze. Dunque un passato deludente, o peggio, non può giustificare
una diserzione: o accettiamo di farci minimi ma reali protagonisti del
nostro tempo o siamo poveri rottami portati via da una corrente fangosa.
Dobbiamo provare e riprovare, ancora, creare aggregazioni o dare il nostro
contributo a quelle già esistenti.
Sembra a me di capire che (altro magnifico segno di speranza) molta e molta
gente, in questi giorni più che in altre occasioni, stia comprendendo
questa realtà, La moltiplicazione quasi irruente, di manifestazioni di
solidarietà con le due volontarie italiane pare indicare questa preziosa
novità. Se la partecipazione popolare ai funerali dei soldati morti a
Nassiriya travalicò la retorica dei generali e di cardinali come Ruini fu
perché gli italiani sono sempre stati abituati a considerare i nostri
militari come "poveri figli di mamma". Grandi furono anche le
manifestazioni per il rilascio dei vigilantes italiani: molti, anche fra
quelli che non condividevano le loro scelte "professionali" -ed anzi le
disapprovavano - colsero lo strazio delle famiglie e vollero esprimere
pietà e vicinanza. Ma nel caso di Simona Pari e di Simona Torretta non è
solo la pietà a radunarci in loro favore: è che chiunque sa che l'amore è
più potente dell'odio e comunque ben più vicino alle ragioni della vita,
nonostante ogni diffidenza per la politica e ogni paura di compromettersi
si sente toccato nei suoi sentimenti migliori e coglie tutta l'assurdità
delle guerre, la loto forza disgregatrice di ogni sentimento; e del
conflitto da Bush contro l'Iraq coglie la mostruosa ipocrisia e la
devastazione di un popolo che si pretende di salvare.
Forse il movimento per la pace non è mai stato così forte nel nostro
Paese; e se è bene che gli esponenti dei partiti di opposizione salgano le
scale di palazzo Chigi per mostrare all'opinione pubblica internazionale
l'unità del popolo italiano nel richiedere l'incolumità e la liberazione
delle due Simona, è necessario che i leaders di quei partiti non consentano
equivoci sul ripudio della guerra irachena e delle strategie "preventive",
quasi che queste scelte passassero in secondo piano in un momento di crisi
così dolorosa e di consapevolezza cos' lucida.
Momento, anche, di orgoglio. Il movimento per la pace è stato spesso
accusato di preferire le retrovie all'eroismo militare: Ma le due Simona
erano assai più esposte ai rischi dei soldati superarmati: e servivano la
pace molto più dei soldati inviati dal governo italiano agli ordini degli
occupanti britannici. La vicenda di "Un ponte perŠ" dovrebbe ridurre al
silenzio chi in ogni occasione ha cercato di offendere i valori del
movimento per la pace. Berlusconi - ricordate? - dileggiava Gino Strada che
sotto i bombardamenti dell'Afganistan denunziava la crudeltà e l'inutilità
della guerra. "E' un uomo dalle idee confuse" assicurava con un sorriso
sardonico.
Lui, invece, ha idee chiarissime. Speriamo che piacciano sempre meno agli
italiani.
ettore masina
****************
Come vedete, LETTERA riprende il suo corso. Arrivata al suo centesiimo
numero, viene spedita a circa 2000 persone. Il suo indirizzario si è
arricchito grandemente nel corso degli ultimi mesi.
LETTERA viene inviata a chiunque me ne faccia richiesta. Il mio indirizzo
è: via Cinigiano 13, 00139 Roma, tel. (06) 810.22.16. Purtroppo durante le
mie peripezie ospedaliere è andata distrutta una parte del mio archivio
cosicchè non sono più in grado di sapere chi mi ha fornito diversi
nominativi. Prego dunque che non mi ha richiesto l'invio e non desidera
ricevere la mia corrispondenza di farmelo sapere, Provvederò immediatamente
alla cancellazione del suo nome.
Un contributo alle spese di fotocopiatura e postali è assai gradito. I
versamenti possono essere effettuati sul ccp 49249006 intestato a Luca Lo
Cascio, via Leone Magno 56, 00167 Roma.
LETTERA può essere liberamente riprodotta in tutto o in parte. Sarò
riconoscente a chi, facendolo, vorrà darmene notizia