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Disarmiamo la storia



Padova e Vicenza, 6 -9 agosto 2004.
"Disarmiamo la storia", programma su www.beati.org
Lettera che porteremo alla manifestazione a Vicenza la mattina del 6 agosto.

LETTERA APERTA AI MILITARI STATUNITENSI
DI STANZA NELLA CASERMA EDERLE DI VICENZA



6 agosto 2004





"Mio Dio! Che cosa abbiamo fatto!"

Colonnello Paul Tibbetts, USAF, pilota dell'Enola Gay
 pochi secondi dopo aver sganciato la bomba su Hiroshima,

6 agosto 1945, ore 8.12.



Anche quest'anno, nell'anniversario dell'esplosione atomica su Hiroshima,
 vorremmo rivolgervi un saluto. Lo scorso anno ci è stato impedito di
 comunicare con voi: è come se fossimo noi i pericolosi. Sentiamo invece
 l'urgenza di condividere con voi le nostre ansie e le nostre speranze e ci
 ferisce essere, per questo, considerati una minaccia. Anche questo è il
 frutto della guerra.



In un anno sono successe molte cose. La devastazione della guerra e
 dell'occupazione è continuata. La situazione sul terreno in Iraq mostra ogni
 giorno che passa con maggiore chiarezza che violenze, massacri e distruzioni
 non aprono vie di pace, ma chiudono inesorabilmente tutte le porte alla
 convivenza, alla democrazia, alla riconciliazione. Sono ormai quasi 1000 i
 vostri commilitoni che hanno perso la vita in Iraq, mentre il popolo
 iracheno piange più di 13.000 morti. Dei soldati americani feriti, il 50% ha
 subito ferite così gravi che non potrà mai riprendere il servizio. E molti
 altri, pur non feriti nel corpo, sono stati rimpatriati perché non più in
 grado di reggere emotivamente le tensioni.



Negli Stati Uniti si è costituita da pochi giorni una nuova associazione,
 Iraq Veterans against the War (Reduci dell'Iraq contro la Guerra), che si va
 ad aggiungere a molti altri gruppi: Veterans for Peace, Vietnam Veterans
 against the War, Military Families Speak Out, ecc. Sono vostri compagni che
 hanno visto da vicino gli orrori della guerra e che ritengono loro dovere,
 anche patriottico, denunciare le responsabilità di chi li ha mandati a
 combattere una guerra ingiusta. Come le famiglie delle vittime degli
 attentati dell'11 settembre, anche i Reduci dell'Iraq contro la Guerra si
 pongono l'obbiettivo di dire "Non in nostro nome" e di ricostruire una
 moralità comune per il popolo statunitense che non sia più fondato sul
 disprezzo di altri popoli.



Del resto anche l'uomo che desidera diventare il vostro nuovo presidente,
 John Kerry, nell'aprile 1971, rendendo testimonianza a nome di oltre mille
 reduci dal Vietnam davanti alla Commissione Affari Esteri del Senato degli
 Stati Uniti, da ex combattente che aveva visto gli orrori, dichiarò: "Oggi
 ci impegniamo a portar a termine un'ultima missione: quella di snidare e
 sradicare anche l'ultimo rimasuglio di questa guerra barbara, per pacificare
 finalmente i nostri cuori, per sconfiggere l'odio e la paura che hanno
 governato questa nazione nell'ultimo decennio, di modo che quando, tra
 trent'anni, i nostri fratelli cammineranno per strada senza una gamba o
 senza un braccio, o con il volto devastato, e i bambini chiederanno perché,
 potremo rispondere loro 'Vietnam' senza che questa parola significhi un
 deserto, un ricordo osceno, ma significhi invece quel luogo dove l'America
 finalmente voltò pagina, cambiò strada, e dove i nostri soldati la aiutarono
 ad imboccare la nuova via."



Dipende anche da voi, oggi, che il Senatore Kerry ritrovi il coraggio che
 ebbe nel denunciare il disastro della guerra del Vietnam.



L'anno scorso, nella lettera che i vostri superiori ci hanno impedito di
 consegnarvi, vi scrivevamo di sapere la differenza tra chi impartisce ordini
 da distanza e chi, come voi, affronta dal di dentro il macello della guerra.
 La disastrosa guerra del Vietnam finì anche perché i "soldati d'inverno"
 resero pubblica la loro angoscia. Grazie a loro, l'America voltò pagina e
 cambiò strada in Vietnam. Oggi questo compito tocca anche a voi.



Negli Stati Uniti si usa l'espressione "the poverty draft", il servizio di
 leva per povertà. Vediamo che tra di voi sono prevalenti giovani di famiglie
 meno abbienti, alla ricerca di un futuro, oppure appartenenti a minoranze, o
 anche stranieri in cerca di cittadinanza o carte verdi per poter lavorare.
 Nessuno dei figli di coloro che con cinismo ordinano le guerre presta
 servizio accanto a voi. E, quando le atrocità più bieche, le violazioni più
 eclatanti come quelle di Abu Ghraib vengono alla luce, i signori che danno
 gli ordini vorrebbero discolparsi parlando di "mele marce". Vorremmo che
 sapeste che noi non crediamo neanche a queste menzogne.



Alcuni di noi sono appena tornati da Baghdad, dove abbiamo visto come
 l'occupazione militare di quel Paese sia oggi la causa della mancanza di
 sicurezza e non la soluzione. Abbiamo visto iracheni terrorizzati dalle
 azioni improvvise dei militari USA in mezzo alla folla o al traffico;
 abbiamo ascoltato persone che hanno perso un familiare nelle famigerate
 "random shootings" (sparatorie senza obbiettivo specifico) dei vostri
 commilitoni; abbiamo visto i minacciosi cartelli (solo in inglese) che
 recitano "Deadly Force Authorized" (è autorizzato l'uso della forza letale).
 Ma abbiamo anche intravisto, dietro la apparentemente invincibile corazza
 che indossate, elmetti e giubbotti di Kevlar, la paura negli occhi, i gesti
 nervosi di chi sa di poter diventare un bersaglio da un momento all'altro.



Vogliamo ricordarvi le parole dei reduci statunitensi di altre guerre, prima
 di questa. "Se deciderete di combattere in Iraq, dovete rendervi conto che
 farete parte di un esercito occupante. Lo sapete che cosa si prova a
 guardare negli occhi gente che vi odia con tutto il cuore?" Ve lo ripetiamo,
 sebbene a Baghdad abbiamo potuto anche ascoltare alcune persone irachene che
 ci hanno detto di vedere nei soldati americani solo dei giovani, come i loro
 figli, coinvolti loro malgrado nella spirale di violenza crescente innescata
 dalla guerra e dall'occupazione. Sono persone che tengono aperta la porta
 della pace, della riconciliazione e del perdono.



Nell'anniversario di Hiroshima, vi rivolgiamo una richiesta. Accettate di
 incontrarci, di avere con noi uno scambio. Il futuro del mondo non sta nella
 guerra ma nella pace, nella giustizia, nel rispetto reciproco. La pace sarà
 il frutto di un lavoro comune, in cui servono l'impegno e la buona volontà
 di tutti. In altri tempi e altri luoghi sono stati proprio i soldati,
 ribellandosi ad ordini ingiusti, a dare l'avvio al cambiamento. Questa
 svolta è possibile, oggi. Facciamo un primo passo insieme.





"Beati i costruttori di pace"

presenti oggi, 6 agosto 2004, davanti alla Caserma Ederle