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da alessandra garusi: anticipazioni del numero di aprile 2004 di M.O.



L'OPINIONE

SE NON ORA, QUANDO?
LETTERA APERTA A PIERO BERETTA




Nelle stesse settimane in cui si riaccendono le polemiche su Exa, la
cosiddetta Esposizione di armi sportive, da caccia e da difesa, di cui
Brescia dovrebbe andarne "orgogliosa", mi e' capitato di rileggere un
passaggio di una intervista da Lei concessa circa due anni fa a un
quotidiano locale. "Le nostre pistole, i nostri fucili", ricordava
perentorio, con una chiarezza a dir poco sconcertante, "servono a reprimere
anche le manifestazioni di piazza, quando degenerano. Siamo felici di armare
la polizia contro le sommosse".
Dato che Lei ammetteva, in tale occasione, che per lo meno il 30% del
fatturato della Beretta e' rappresentato dall'esportazione di armi, non
credo di spingermi piu' di tanto nell'interpretare le sue parole, se oso
pensare che in questa percentuale ci stiano anche quelle vendute alle
polizie di altri Stati.
Lei quindi ammette di aver fornito tale "merce", e di continuare a farlo,
anche a forze di polizia impegnate a reprimere manifestazioni di piazza,
quando assumano le caratteristiche di vere e proprie sommosse. Affermando
cio', lo fa sicuramente con cognizione di causa. Ma basterebbe avere la
pazienza di sfogliare i rapporti annuali di Amnesty International, quelli
dell'agenzia dell'Onu per i diritti umani, o conoscere un po' di storia dell
'Africa o dell'America latina, per sapere quanto sottile sia stata (e lo sia
tuttora) quella sottile linea rossa che segna il confine tra una
manifestazione di piazza da una atto di pura sedizione. Genova del luglio
2001 cosa fu?
Benny Nato, rappresentante in Italia del African National Congress (il
movimento sudafricano antiapartheid), in occasione di una sua visita a
Brescia, nel settembre dell'87, dichiaro': "Nonostante l'embargo imposto
dall'Onu, in Sudafrica continuano ad arrivare armi. Ho visto gli effetti
delle pistole Beretta che sono in dotazione alla polizia di Stato". E
rivolgendosi ai sindacalisti presenti, concludeva con un accorato appello:
"Vi chiediamo questo impegno. Bloccate la produzione di queste armi che
servono a uccidere la mia gente".
Il portavoce dell'Anc aveva una qualche ragione di invocare tale attenzione.
Infatti, tra il 1976 e l'80 erano arrivate nel paese africano alcune decine
di tonnellate di pistole destinate proprio alla polizia del governo di
Pretoria. Il World Campaign Against Apartheid di Oslo denunciava che le
forze di repressione erano dotate di mitra modello PM 12 S fabbricati
proprio dalla ditta bresciana. Cosa servivano queste armi? Secondo Lei,
signor Beretta, a mantenere l'ordine contro le sommosse; ma, a parere di
molti testimoni oculari, a reprimere gli scioperi proclamati dall'
opposizione politica e sindacale fuorilegge. Manifestazioni che finivano con
decine di morti, centinaia di arresti, torture, processi politici e invii al
confino. Tutti "sovversivi"?
Forse, durante l'intervista, Lei non pensava al Sudafrica, ma piuttosto al
Brasile: lì, verso la metà degli anni '70, la polizia ebbe in dotazione i
suoi mitra PM 12. Erano anni bui, in cui al governo di questo paese, come
degli altri della regione, c'erano o stavano per insediarsi dei signori in
doppiopetto mimetico, ed era attiva quella legge per la "sicurezza
 nazionale" che significava carcere, sparizioni degli oppositori politici e
impunità per gli "squadroni della morte", formati da agenti e funzionari di
polizia fuori servizio, che uccidevano centinaia di persone. Questo  mentre
la polizia ufficiale (cioè molti degli stessi che di notte svolgevano il
"secondo lavoro"), si esercitava in esecuzioni extragiudiziali, torture e
altre amenità al fine di difendere "l'ordine costituito".

LA LISTA E' LUNGA
Ma l'elenco dei clienti armati dall'azienda bresciana non finisce qui:
mentre i carabinieros cileni reprimevano "le sommosse" di piazza, essa
vendeva a quel governo la pistola mod. 92 e il mitra PM12 S. In anni piu'
recenti (anni '80 e '90) le cosiddette "armi da difesa" sono finite in
Colombia, in Venezuela (mitragliette PM 12 e pistole), in Peru', in
Argentina (fucili BM 59), in Ecuador, nell' Honduras. Tutti paesi che, pur
avviati al ristabilimento di un sistema costituzionale di diritti, ancora
negli anni '80 non splendevano per la loro garanzia.
Rigoberta Menchú, l'india guatemalteca e premio Nobel per la pace, dichiaro'
che negli anni '80 l'Italia aveva offerto assistenza alla polizia del suo
paese, a cui la Beretta aveva fornito il mitra PM12. E oggi - grazie anche
al lavoro di una commissione d'inchiesta voluta dal vescovo Girardi, e per
questo assassinato - tutti possono documentarsi sul "lavoro" svolto dalle
forze di polizia di quel paese, che con l'esercito si sono rese colpevoli di
migliaia di esecuzioni sommarie contro contadini, operai, insegnanti,
sacerdoti e membri di associazioni di difesa dei diritti umani.
Vogliamo provare con l'Algeria? Ancora alla metà del decennio scorso, sono
arrivate li' un bel po' di pistole: questo mentre migliaia di civili
venivano uccisi non solo dai gruppi islamici, ma anche dalle forze di
sicurezza governative e da milizie armate che compivano esecuzioni
extragiudiziali, vere e proprie stragi da addebitare, come è stato
successivamente denunciato, alle milizie fondamentaliste cosi' da non
interrompere il ciclo "virtuoso" della repressione antipopolare o delle
minoranze, come quella esercitata sulle popolazioni berbere.
L'elenco si fa lungo. Libia: erano gli anni '70 e Gheddafi era un buon
cliente dell'azienda gardonese. Solo dopo divenne il leader di uno "Stato
canaglia" (ma ora non lo è piu'). Tanto che fu proprio una Beretta ad armare
la mano assassina di un noto oppositore del colonnello, Youssef Krebesh.
Marocco: tra gli anni '80 e '90 il governo di questo paese acquistò una
partita di pistole mitragliatrici e ottenne la licenza di produzione per il
fucile modello BM59. Anche qui la polizia non usava la mano leggera contro
gli oppositori, facendone strage in occasione delle innumerevoli "rivolte
del pane", come quella dell'88.
E in Turchia non andava meglio, così come in Egitto, Giordania, Iran, Iraq,
Arabia Saudita, Kuwait. Se poi dal Medio Oriente passiamo all'Africa, su
quel mercato troveremo le varie pistole 92 F, le mitragliette PM 12 e i
fucili AR70 un po' dovunque: in Costa d'Avorio come in Nigeria, in Niger
come nel Camerun. Zone, come si sa, non proprio tranquille. Se infine ci
spostiamo verso l'Asia, scopriremo un po' di articoli made in Brescia anche
in Thailandia, Yemen, Cina e Indonesia. Tutti paesi (soprattutto gli ultimi
due) governati d classi politiche per le quali la difesa dei diritti umani
e' un optional.
In conclusione: dalla sua, signor Beretta, potrà sempre fare appello alla
giustificazione che tutto questo e' stato fatto nel rispetto della legge e
con l'approvazione dei vari governi che si sono succeduti in Italia negli
ultimi 30-40 anni. E non Le si potrebbe dare torto, anche se non sposta di
una virgola il rosario dei fatti appena ricordati.

IL BISOGNO DI CAMBIARE STRADA
Eppure una via di uscita dovremmo pur cominciare a trovarla. Non Le chiedo
la riconversione, anche se la pongo come un problema di medio termine,
ineludibile. E non solo per ragioni di principio. Le vorrei sottoporre solo
due proposte, sulle quali potrebbe avviarsi un confronto in modo proficuo,
fuori da preconcetti o vecchie ruggini.
Come Lei sa, proprio in ragione della globalizzazione e della spinta che
matura in ampi settori della società civile mondiale, si sta affermando l'
esigenza di stendere specifici "codici di condotta", a qualsiasi settore
merceologico appartenga il prodotto considerato, ai quali attenersi  ed
orientare, secondo queste linee, le scelte di politica industriale e
commerciale. A mio parere, per il settore armiero questo codice gia' esiste,
e si tratta del testo della legge 185/90. E' uno strumento di valutazione
della situazione politica internazionale e dello stato di  rispetto o meno
dei diritti umani. E' possibile fare in modo che in ogni prossimo accordo
tra le parti sociali, ci sia un riferimento a tale legge, ed in modo
esplicito ad alcuni suoi articoli?
Ma non solo: sarebbe disponibile a garantire la piena trasparenza
commerciale di tutti i modelli di armi che escono dalle aziende del suo
gruppo presenti in Italia ed in altri paesi, redigendo una volta all'anno,
una "libro bianco" che dia ragione documentata e quindi verificabile, di
quali sono stati e quali potrebbero essere i vari mercati di sbocco di tali
produzioni, oltre che il tipo e la quantita' di armi (o di loro componenti)
che vengono destinati ai vari paesi committenti?
Come vede nulla di eversivo: Le chiedo semplicemente di denunciare la pura e
semplice verità. Del resto - dovrebbe convenire --, proprio perché viviamo
in un tempo in cui gli interessi economici, i problemi etici e le
opportunita' politico-sociali non si parlano, e quando si incontrano non si
salutano perché non si riconoscono, bisognerebbe sentire il bisogno di
cominciare a cambiare strada. Se non ora, quando?

ROBERTO CUCCHINI