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la cattura di Saddam toglie ogni alibi all'occupazione militare



E' stato catturato.
Ora non vi più alcun alibi per un'occupazione ad oltranza.

Dopo la ricerca delle armi di distruzione di massa e il loro mancato 
ritrovamento, dopo la stagione delle bugie e della propaganda è stata 
compiuta e messa a segno la missione numero uno per cui veniva giustificata 
in seconda battuta la guerra e poi l'occupazione.

Per riportare la democrazia ora occorre passare il potere a organismi 
locali liberamente eletti e riconosciuti dalla popolazione come sovrani.

Saranno queste realtà espressione della volontà generale a dire se esse 
vogliono o non vogliono l'aiuto di truppe straniere (e di quali nazioni), 
se vogliono o non vogliono l'Onu, se il petrolio e le ricchezze nazionali 
debbano essere gestite dagli irakeni o dagli americani.

Siamo al momento più delicato della faccenda. Questa è l'ora X per i 
signori del petrolio e della guerra.

La si può gestire con lo stesso ipocrita trionfalismo con cui si è 
abbattuta la statua di Saddam. Come pure si può cogliere l'occasione per 
guardare a tutti gli errori commessi al fine di cercare una strada 
d'uscita. La cattura di Saddam, infatti, non è la vittoria, non è la via 
d'uscita dal pantano irakeno. E' solo la porta di ingresso in una 
prospettiva diversa. Che ha un solo nome: il potere agli irakeni. Quel 
potere che Saddam aveva tolto e che - pur nella clandestinità - serbava 
come simbolo ambiguo di resistenza e catalizzatore di una parte delle forze 
del vacchio regime; l'Iraq è stato vittima di una guerriglia che ha usato 
le stesse tecniche dei piani di sabotaggio previsti in Italia dagli 
americani in caso di governo a partecipazione comunista. Il sabotaggio 
sistematico basato sul "tanto peggio tanto meglio" era finalizzato a 
rendere ingestibile tutto. Era un sabotaggio che non mirava solo a mettere 
in difficoltà gli americani ma che toglieva ogni ruolo a quella neonata 
società civile irakena orientata verso la partecipazione democratica e 
verso un'autonoma scelta del proprio futuro politico. Da una parte la 
resistenza di Saddam e dall'altra la prova di forza delle truppe americane: 
era un'alternativa secca da cui non si usciva. E ne faceva le spese la 
volontà popolare, di cui non hanno mai voluto tener conto né Saddam né Bush.

Ora è il momento della svolta vera oppure è il momento della presa per i 
fondelli di un intero popolo.

Che Bush ne sia convinto o no è questo il momento di passare i poteri, o il 
futuro diventerà per i soldati americani l'inferno del Vietnam.

Senza un gesto saggio - magari compiuto controvoglia dalle forze occupanti 
- allora il simbolo della lotta all'occupazione passa nelle mani del 
terrorismo fondamentalista collegato a Bin Laden il quale in questo momento 
vede cadere il suo rivale Saddam.

Se non si compie al più presto questo passaggio democratico di poteri 
allora la resistenza - che fino ad ora era interpretata per lo più come 
terrorismo pilotato da Saddam - diventerà un fenomeno generalizzato e 
incontenibile.

Con una guerra di liberazione nazionale (magari ispirata alla teocrazia e 
benedetta da Al Queida) verrebbero meno le speranze per un cambiamento non 
violento e basato su una volontà popolare espressa tramite il meccanismo 
della maggioranza e della minoranza, ossia la regola della democrazia.

Nel Seicento il liberale John Locke scrisse che quando il potere sottrae al 
popolo la sovranità allora il potere torna al popolo a cui spetta il 
diritto di resistenza.

Noi pacifisti - che condividiamo il diritto a resistere all'oppressione con 
strumenti il più possibile non violenti - non amiamo la guerriglia. 
Tuttavia la resistenza sarà un fatto inevitabile se Bush - dopo il successo 
della cattura di Saddam - continuerà a dare alle sue truppe l'ordine di 
occupare l'Iraq a tempo indeterminato senza riconoscere agli irakeni il 
diritto all'autodeterminazione e alla sovranità sul proprio territorio.

Ogni popolo ha diritto a resistere ad un'occupazione militare. Più è di 
popolo, più è partecipata e meno è armata. Per quanto possa sembrare una 
irrealistica prospettiva, è auspicabile una vasta resistenza popolare non 
armata. Lo spirito di Gandhi non ha finora aleggiato in Irak. Tracciare con 
lo spray sulle corazze militari il simbolo della pace e issare la bandiera 
arcobaleno non sarebbe tuttavia una cattiva idea. A pensarci bene un 
accerchiamento pacifico di popolo dei blindati angloamericani - fatto anche 
da donne, anziani e bambini - sarebbe di fatto la fine della guerra e di un 
occupazione senza sbocco.

Alessandro Marescotti
http://www.peacelink.it