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La nonviolenza e' in cammino. 760
- Subject: La nonviolenza e' in cammino. 760
- From: "Centro di ricerca per la pace" <nbawac@tin.it>
- Date: Sun, 14 Dec 2003 19:17:18 +0100
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Numero 760 del 15 dicembre 2003
Sommario di questo numero:
1. Tre note su "Il nuovo disordine mondiale" di Tzvetan Todorov, ovvero:
quale alternativa per l'Europa
2. Augusto Cavadi: la nonviolenza contro la mafia
3. Marina Forti intervista Mehranghiz Kar
4. Nando dalla Chiesa: al termine di un errore
5. Maria Luisa Boccia, Grazia Zuffa: il fondamentalismo in provetta
6. Erika Tomassone: una legge oscurantista
7. Letture: Euclides Andre' Mance, La rivoluzione delle reti
8. La "Carta" del Movimento Nonviolento
9. Per saperne di piu'
1. EDITORIALE. TRE NOTE SU "IL NUOVO DiSORDINE MONDIALE" DI TZVETAN TODOROV,
OVVERO: QUALE ALTERNATIVA PER L'EUROPA
[Tzvetan Todorov e' nato a Sofia nel 1939, vive a Parigi dal 1963. Muovendo
da studi linguistici e letterari e' andato sempre piu' lavorando su temi
antropologici e di storia della cultura e su decisive questioni morali.
Riportiamo il seguente brano dalla scheda dedicata a Todorov
nell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche: "Dopo i primi
lavori di critica letteraria dedicati alla poetica dei formalisti russi,
l'interesse di Todorov si allarga alla filosofia del linguaggio, disciplina
che egli concepisce come parte della semiotica o scienza del segno in
generale. In questo contesto Todorov cerca di cogliere la peculiarità del
'simbolo' che va interpretato facendo ricorso, accanto al senso materiale
dell'enunciazione, ad un secondo senso che si colloca nell'atto
interpretativo. Ne deriva l'inscindibile unita' di simbolismo ed
ermeneutica. Con La conquista dell'America, Todorov ha intrapreso una
ricerca sulla categoria dell'"alterita'" e sul rapporto tra individui
appartenenti a culture e gruppi sociali diversi. Questo tema, che ha la sua
lontana origine psicologica nella situazione di emigrato che Todorov si
trova a vivere in Francia, trova la sua compiuta espressione in un ideale
umanistico di razionalita', moderazione e tolleranza". Opere di Tzvetan
Todorov: l'intera opera di Todorov a nostro avviso costituisce un contributo
fondamentale per una cultura della pace, della nonviolenza, della dignita'
umana, ma particolarmente segnaliamo: La conquista dell'America. Il problema
dell'"altro", Einaudi, Torino 1984, 1992; Noi e gli altri. La riflessione
francese sulla diversita' umana, Einaudi, Torino 1991; Di fronte
all'estremo, Garzanti, Milano 1992; Una tragedia vissuta. Scene di guerra
civile, Garzanti, Milano 1995; Memoria del male, tentazione del bene,
Garzanti, Milano 2001 (un'opera a nostro avviso fondamentale). Tra le altre
sue opere che maggiormente ci interessano segnaliamo anche almeno Teorie del
simbolo, Garzanti, Milano 1984, 1991; Michail Bachtin. Il principio
dialogico, Einaudi, Torino 1990; Les morales de l'histoire, Grasset, Paris
1991, Hachette, Paris 1997; Le jardin imparfait. La pensee' humaniste en
France, Grasset, Paris 1998, Le livre de poche, Paris 2000; Les abus de la
memoire, Arlea, Paris 1998; ; Il nuovo disordine mondiale, Garzanti, Milano
2003]
1. Un libro da leggere, e da discutere appassionatamente, questo piu'
recente di Tzvetan Todorov, Il nuovo disordine mondiale. Le riflessioni di
un cittadino europeo, Garzanti, Milano 2003, pp. 94, 10 euro).
Tzvetan Todorov e' autore di alcuni libri di decisiva importanza; le sue
analisi sono sempre di grande profondita' e finezza, fondate su una rigorosa
documentazione, una grande capacita' di ascolto, un attento esercizio
interpretativo, una limpida lealta' verso chi legge.
In questo nuovo breve libro tre cose principali (tra altre non meno
interessanti) vengono esposte: a) un'analisi attenta e corrucciata
dell'attuale situazione del mondo; b) la proposta che un'Europa
politicamente unificata costituisca un efficace contrappeso (una "potenza
tranquilla") alla frenesia bellicista dei neofondamentalisti (e non
"neoconservatori", come suona una ideologica e fuorviante definizione
diffusa dai mass-media) che guidano la politica della superpotenza
americana; c) l'idea-forza che per costituire questo contrappeso l'Europa
deve puntare essenzialmente sulla costituzione di un esercito europeo.
In me che scrivo queste righe molte pagine di questo breve libro suscitano
vivo consentimento. Invece non mi convincono affatto ne' alcune diagnosi
troppo rigide del capitolo quinto (pure di effettuale suggestione nel loro
realismo - ma realismo statico e quindi solo parziale, dunque realismo solo
apparente), ne' soprattutto le proposte dei capitoli 6 e 8 (che pure sono il
cuore e il motore del libro).
Non mi convince affatto, e' chiaro, la proposta per Todorov decisiva e
pressoche' fondativa dell'esercito europeo come perno della costruzione
dell'Europa come soggetto politico adeguato, proposta che pure il grande
studioso argomenta con una chiarezza e un rigore intellettuale e morale che
non ho trovato in nessun altro degli autori che di questo hanno scritto e
che ho avuto modo di leggere.
E non mi convince perche' noi abbiamo un'altra opinione, un'altra proposta.
Che non e' affatto la conservazione di uno status quo palesemente gia' reso
del tutto obsoleto dagli eventi dell'ultima dozzina d'anni. E' un'altra,
piu' forte e cogente ed esatta proposta.
La proposta della nonviolenza, la proposta di un'Europa neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta; la proposta della difesa
popolare nonviolenta e dei corpi civili di pace, la proposta della
nonviolenza giuriscostituente come criterio e progetto per un'Europa che
sia costruttrice di pace con mezzi di pace; la proposta insomma avanzata da
Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre,
fatta propria da vari movimenti nonviolenti, per la pace e la giustizia, su
cui a Verona l'8 novembre e a Venezia l'8 dicembre si sono tenuti due
convegni che ulteriormente l'hanno tematizzata, e che sta crescendo - se la
mia percezione non e' fallace - come un punto di riferimento per l'intero
movimento per la pace europeo e come un terreno di confronto, dialogo,
apertura, costruzione con l'intero panorama politico ed istituzionale
dell'Unione Europea, o almeno con quei settori dei movimenti politici e
sociali, delle rappresentanze e delle funzioni istituzionali,
dell'amministazione pubblica, dell'operare sociale, ed anche della cultura e
dell'informazione, che hanno a cuore il bene comune, la democrazia e il
diritto, la vita e la dignita' delle persone.
*
2. Il genere letterario in cui questo pamphlet si inscrive, l'intervento
pubblicistico sulle decisioni politiche del presente, ha limiti intrinseci a
tutti noti: se l'autore vuol essere ascoltato ed ottenere di influire sul
dibattito in corso e' evidente che in qualche misura deve adeguarsi al
linguaggio comune (la koine' del dibattito) e confrontarsi coi processi in
corso: col rischio frequente e forse inevitabile di una o piu' concessioni
al cosiddetto sentire comune, al comune discorso, e quindi anche
all'ideologia dominante.
Altrimenti si rischia l'isolamento, l'astrattezza, l'inefficacia: ed invece
in questo genere di scritture quel che piu' conta e' l'efficacia
nell'orientare o almeno influenzare il dibattito. Vi sono in questo ambito
saggi magnifici di Franco Fortini splendidi di verita' e restati del tutto
inascoltati; e vi sono saggi di autori talora anche egregi che nulla
aggiungono e nulla rilevano, eppure diventano discorso comune nelle aree a
cui son destinati, sovente assunti e ad un tempo svuotati, ovvero assunti in
quanto gia' recuperati, sterilizzati, e non di rado peggio che inerti,
nocivi, rumore di fondo.
Questo agile testo di Todorov mi pare confermi la regola del genere
letterario cui appartiene: deve discutere con autori di desolante poverta'
intellettuale e morale, deve farsi ascoltare da soggetti la cui lingua, i
cui pensieri, le cui azioni non ci appaiono commendevoli.
In altre opere Todorov da' ben altre prove, questo libro e' per cosi' dire
obbligato a una funzione pratica e per cosi' dire a un livello di
approfondimento e di acclaramento minore rispetto ai suoi grandi saggi.
Ma questo mi sembra decisivo di questo libro: che se si crede ancora alla
difesa militare, se si crede ancora che la sicurezza possa essere garantita
dagli eserciti, se si crede ancora che le armi servano all'umanita', allora
quella formulata in questo libro e' una proposta seria e adeguata e quasi
direi ineludibile per l'Europa; in queste poche decine di pagine mi pare,
ripeto, si trovi la piu' chiara e rigorosa argomentazione in pro della
proposta dell'esercito europeo.
Ma noi abbiamo un'altra opinione, un'altra proposta, piu' cogente ed esatta,
piu' nitida.
La proposta della nonviolenza, la proposta di un'Europa neutrale e attiva,
disarmata e smilitarizzata, solidale e nonviolenta; la proposta della difesa
popolare nonviolenta e dei corpi civili di pace, la proposta della
nonviolenza giuriscostituente come criterio e progetto per un'Europa che
sia costruttrice di pace con mezzi di pace; la proposta insomma avanzata da
Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne contro le guerre e
fatta propria da vari movimenti nonviolenti, per la pace e la giustizia, e
che sta crescendo - se la mia percezione non e' fallace - come un punto di
riferimento per l'intero movimento per la pace europeo e per tutte le
persone di volonta' buona che hanno a cuore il bene comune, la democrazia e
il diritto, la vita e la dignita' delle persone.
*
3. Poiche' la nostra opinione e' che la macchina militare come garante di
sicurezza, difesa, pace, abbia fallito: e se c'e' un luogo e un tempo che lo
dimostrano sono proprio la storia europea del Novecento e la situazione del
mondo attuale. Cosi' come Tzvetan Todorov insuperabilmente ce li ha
descritti in varie sue indimenticabili opere.
E la nostra proposta e' che sia sorta un'alternativa teorica e pratica,
metodologica ed operativa, morale e politica e giuriscostituente:
l'alternativa nonviolenta. Cosi' come anche Todorov ce l'ha descritta ad
esempio nella parte per cosi' dire costruttiva ed esemplare del suo
magnifico libro Memoria del male, tentazione del bene (e particolarmente
nelle pagine in cui evoca e propone le figure e le testimonianze di Vasilij
Grossman, Margarete Buber-Neumann, David Rousset, Primo Levi, Romain Gary,
Germaine Tillion), ma anche in varie altre opere sue.
Non solo: ma che quest'alternativa va posta in modo netto: a nostro modesto
parere si illudono coloro che pensano di poter raggiungere un compromesso
con l'apparato bellico, il complesso militare-industriale, i poteri che
ritengono l'omicidio di massa una delle risorse della politica: in questo
cruciale ambito delle politiche della sicurezza e della difesa, in questo
cruciale ambito della scelta tra la pace e la guerra, tra difendere la vita
o irrogare la morte, non vige l'et-et hegeliano, ma l'aut-aut di
Kierkegaard. O si fa la scelta della nonviolenza o si legittima l'omicidio
come arte di governo. Tertium non datur.
La riflessione di Todorov, anche questa contenuta nel libro di cui stiamo
discorrendo, ci e' assai congeniale nelle sue premesse e nelle sue diagnosi,
ed in buona parte dei suoi esiti; cosi' come l'impegno morale e
intellettuale di Todorov e' per noi da decenni un nutrimento e un
riferimento, e un pungolo e un esempio.
Cosicche' molto ci piacerebbe che qualcuna o qualcuno dei nostri maestri ed
amici (che so: Angela Dogliotti Marasso, Lidia Menapace, Alberto L'Abate,
Giuliana Martirani, Enrico Peyretti, Giuliano Pontara, Etta Ragusa, Nanni
Salio, Matteo Soccio, Giovanni Scotto, per dire i primi nomi che mi vengono
in mente) scrivesse o telefonasse a Todorov, e lo incontrasse, e gli
proponesse una riflessione comune.
Se Todorov applicasse il suo acume e il suo rigore alla nostra proposta per
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta, potrebbe dare un contributo straordinario alla riflessione in
corso, alla mobilitazione che in molti stiamo cercando di promuovere.
Perche' questa nostra di un'Europa neutrale e attiva, disarmata e
smilitarizzata, solidale e nonviolenta, a me pare che sia la proposta che
l'ora esige e che oltre il varco della distretta attuale - drammatica
distretta che tutti alla responsabilita' chiama - aggetta, ed apre vie al
futuro.
La nonviolenza, lo videro chiaro Simone Weil e Aldo Capitini, Virginia Woolf
e Danilo Dolci, e' la scelta necessaria e feconda cui qui e ora tutte e
tutti siamo chiamati.
2. INCONTRI. AUGUSTO CAVADI: LA NONVIOLENZA CONTRO LA MAFIA
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
messo a disposizione questo suo articolo una cui stesura abbreviata e'
apparsa nell'edizione palermitana del quotidiano "La Repubblica" il 9
dicembre 2003. Augusto Cavadi, prestigioso intellettuale ed educatore,
collaboratore del Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" di
Palermo, e' impegnato nel movimento antimafia e nelle esperienze di
risanamento a Palermo, collabora a varie qualificate riviste che si occupano
di problematiche educative e che partecipano dell'impegno contro la mafia.
Opere di Augusto Cavadi: Per meditare. Itinerari alla ricerca della
consapevolezza, Gribaudi, Torino 1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a
questioni inevitabili, Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo,
Augustinus, Palermo 1990; Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad.
portoghese 1999; Ciascuno nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera,
Augustinus, Palermo 1991; Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad.
portoghese 1999; Le nuove frontiere dell'impegno sociale, politico,
ecclesiale, Paoline, Milano 1992; Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa
puo' fare ciascuno di noi qui e subito, Dehoniane, Bologna 1993, nuova
edizione aggiornata e ampliata Dehoniane, Bologna 2003; Il vangelo e la
lupara. Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A
scuola di antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze
didattiche, Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo
1994; Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza
cristiana, Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain
fra moderno e post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo.
Indicazioni per chi fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce
"Pedagogia" nel cd- rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie,
Cliomedia Officina, Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici.
Naufragio della politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000;
Le ideologie del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi
contributi sono apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo.
Indirizzi utili: segnaliamo il sito:
http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con bibliografia completa)]
Che cosa lega le iniziative nonviolente realizzate in India piu' di mezzo
secolo fa da Gandhi e la Sicilia attuale? Apparentemente nulla. Grazie al
cielo, la nostra isola non e' sottoposta ad una dominazione straniera
rispetto a cui dover scegliere fra resistenza armata e forme di lotta
alternative. Eppure - a ben rifletterci - gli abitanti di cui brulica la
nostra regione proprio liberi non sono. Non siamo.
Veniamo quotidianamente sottoposti alle forche caudine di un sistema di
potere complesso, al cui centro pulsa l'inquieta coalizione di una decina di
cosche mafiose che organizzano militarmente (circa) cinquemila "uomini
d'onore" e che - proprio grazie al dosaggio astuto di violenza effettiva e
di violenza minacciata - riescono a controllare la vita politica, economica
e, in qualche misura, sociale.
Come possono cinquemila individui, per quanto solidamente organizzati,
imporre la loro dittatura su cinque milioni di cittadini? Un'utile
indicazione l'ha data, a suo tempo, Buscetta parlando con Falcone: "Dottore,
noi potevamo contare sulla complicita' di un quinto dei siciliani".
Significa che un milione, o giu' di li', di nostri concittadini - per paura
o per ambizione o per sete di denaro o per conformismo o per un tragico mix
di questi fattori - costituiscono quello che Umberto Santino chiama il
"blocco sociale" mafioso: un reticolo gerarchico e capillare che succhia le
risorse finanziarie dagli imprenditori onesti, ottiene la cooperazione di
funzionari pubblici e di professionisti per finalita' illecite, stabilisce
patti scellerati con amministratori locali e uomini politici nazionali.
Depreda coste e boschi, si accaparra fonti idriche, inchioda al degrado
postbellico interi quartieri cittadini, gestisce terapie mediche
d'avanguardia.
*
Se questo quadro ha qualche fondamento oggettivo, non dovrebbe risultare
esagerato porsi la questione di come liberare la Sicilia (e, analogamente,
il Meridione italiano) dal dominio mafioso. Partiti e sindacati, chiese e
movimenti, magistrati e intellettuali hanno le loro ricette: e, data la
difficolta' dell'obiettivo, sarebbe poco saggio escluderne frettolosamente
alcune.
Ed e' in questo contesto di ipotesi operative che, da decenni, Enzo
Sanfilippo - sociologo palermitano, membro del movimento dell'Arca fondato
da Lanza del Vasto ed animatore sociale, con la moglie Maria, in svariati
settori - propone in convegni, corsi di aggiornamento e incontri
assembleari, di far tesoro della lezione gandhiana. A suo avviso, infatti,
dalla sudditanza alla criminalita' organizzata non si uscira' per effetto di
generici processi di sviluppo politico o economico (l'esperienza ci attesta
quanto la mafia sia abile nell'adattarsi ai regimi politici ed ai sistemi
economici che si susseguono): dunque, occorre una lotta mirata, consapevole
e insistente.
D'altronde e' ancora l'esperienza storica ad insegnarci che questa lotta non
puo' essere esclusivamente giudiziaria e repressiva: con i processi, nei
casi piu' felici, si decapitano le cosche ma non si riesce a sradicare il
meccanismo riproduttivo di nuovi dirigenti ne' ad intaccare la vasta base di
consenso sociale che assicura adepti e fiancheggiatori. Occorre, allora,
boicottare con strategie inedite gli interessi economici e politici di "Cosa
nostra" e delle sue sorelle minori; ma - mentre si tenta di opporre
resistenza e di arginare - occorre anche passare attivamente al contrattacco
introducendo all'interno delle associazioni mafiose semi di dubbio, di
riflessione e di destrutturazione. Detto un po' sbrigativamente: bloccare e
rendere inoffensivi i mafiosi e' il primo passo; educarli - la' dove c'e'
ancora uno spiraglio di umanita', di senso critico, di comunicazione - il
secondo.
Tutto cio' puo' essere scambiato per "buonismo" o per ingenuita'
"cattolica": ma, alla luce degli insegnamenti gandhiani, e' invece segno di
lungimiranza. Arrestare un mafioso, tenerlo dentro in regime carcerario duro
e' senz'altro utile, anzi necessario: lo Stato deve utilizzare tutti gli
strumenti a disposizione per interrompere sequenze di omicidi ed estorsioni.
Ma la societa', o almeno le punte piu' consapevoli e sensibili della
societa', devono attivarsi per cogliere anche il minimo sintomo di
resipiscenza. Al di la' di "perdonismi" piu' o meno meditati, trasformare
(la' dove e' possibile) un "collaboratore di giustizia" in pentito effettivo
significherebbe non solo recuperare al consorzio civile individui che - con
i loro comportamenti - ne sono evasi, ma anche evitare che, agli occhi dei
parenti e dei "picciotti", questi criminali appaiano dei martiri e degli
eroi.
*
Neppure in questo ambito siamo all'anno zero. Ci sono esperienze che
meritano di essere ricordate, discusse e valutate. Per farne memoria, in
prospettiva di nuovi percorsi, i "Quaderni Satyagraha" (rivista scientifica
sulla nonviolenza che la condirettrice, Martina Pignatti Morano, ha
presentato ieri alle ore 16 presso la facolta' di Lettere e filosofia
dell'Universita' di Palermo), "Libera" e il Centro "Impastato" hanno
organizzato, per le ore 17 di mercoledi' 10, un seminario, aperto alla
cittadinanza, presso il "Gruppo di studio per la qualita' della vita" (via
Notarbartolo 41). Punto di partenza, per un contatto fra persone e gruppi
interessati a proseguire anche in futuro il confronto e la collaborazione,
il denso saggio su "Il contributo della nonviolenza al superamento del
sistema mafioso" apparso, a firma di Sanfilippo, nel numero 3 dei citati
"Quaderni Satyagraha".
Per quanto preziose, comunque, le esperienze non bastano. Occorrono dei
criteri interpretativi validi. Per quanto mi riguarda, una chiave filosofica
interessante me l'ha suggerita, nel corso di un'intervista di molti anni fa,
il figlio di un boss di quartiere volatilizzatosi probabilmente perche'
vittima di "lupara bianca". Il ragazzo aveva maturato un consapevole rifiuto
della tavola di valori della famiglia d'origine, ma riteneva che questo
processo sarebbe stato difficilmente condiviso dai fratelli e dalle sorelle
perche' "ogni volta che entriamo in contatto col mondo della giustizia e con
esponenti del movimento antimafia abbiamo la netta impressione di una
barriera invalicabile fra persone per bene e gente perduta. Penso che le
cose andrebbero diversamente se si fosse convinti che c'e' del marcio anche
fra i 'giusti' e c'e' del valido anche fra gli 'ingiusti'. Nella storia, e
nel cuore delle persone, il bene e il male non si lasciano separare mai con
un taglio netto". Non so se avesse mai letto Gandhi, ma il suo modo di
vedere l'uomo non ne era troppo distante.
3. TESTIMONIANZE. MARINA FORTI INTERVISTA MEHRANGHIZ KAR
[Dal quotidiano "Il manifesto" dell'11 dicembre 2003. Marina Forti,
giornalista, particolarmente attenta ai temi dell'ambiente, dei diritti
umani, del sud del mondo, della globalizzazione, e' un'esperta di questioni
ecologiche globali. Mehranghiz Kar e' una prestigiosa intellettuale e
attivista per i diritti umani iraniana]
Iconservatori, in Iran, hanno accusato Shirin Ebadi di essersi fatta
"strumento dell'occidente", quando il comitato del Nobel ha annunciato la
decisione di attribuirle il suo premio per la pace. Ma il discorso di
accettazione pronunciato ieri dall'avvocata e attivista iraniana, a Oslo,
non era davvero tenero verso le nazioni occidentali. "Negli ultimi due anni
molti stati hanno violato i principi universali e le leggi sui diritti umani
usando gli eventi dell'11 settembre e la guerra al terrorismo internazionale
come pretesto", ha detto durante la cerimonia di premiazione nel municipio
di Oslo.
Giudice, poi avvocata e soprattutto attivista per l'affermazione dei diritti
delle donne e le liberta' fondamentali in Iran, Shirin Ebadi ha definito
preoccupante che i diritti umani vengano violati proprio in quelle
democrazie occidentali che ne hanno introdotto i principi. Ebadi ha citato
in particolare il caso del campo di detenzione nella base militare
statunitense di Guantanamo, "una violazione alla Convenzione di Ginevra". Ha
lanciato un messaggio contro la guerra, accusando gli Stati Uniti di doppio
standard: da 35 anni le risoluzioni delle Nazioni Unite sui territori
palestinesi occupati sono ignorate, ma lo stato e il popolo iracheno e'
stato soggetto a "attacco, aggressione militare, sanzioni economiche e
infine occupazione militare", una volta in nome di una risoluzione dell'Onu
e una nonostante l'opposizione del Consiglio di sicurezza.
Ebadi, prima donna musulmana insignita del Nobel per la pace, ha infine
puntato il dito sul suo governo. Ha detto che continuera' a lavorare perche'
l'Iran applichi i trattati internazionali sui diritti umani che ha firmato
ma non messo in pratica. In diverse occasioni l'avvicata e attivista aveva
chiarito che per lei il rispetto dei diritti umani rafforza le societa'
civili, senza cui non esiste democrazia reale. Lo ha ribadito ieri, quando
ha detto che e' impossibile "governare in modo tradizionale, patriarcale e
autoritario persone coscienti dei propri diritti".
*
Il premio Nobel per la pace a Shirin Ebadi e' stato una sorpresa per molti,
a cominciare dalla stessa avvocata e dalle giuriste e attiviste per i
diritti umani e per la democrazia che hanno condiviso con lei le lotte e le
durezze degli ultimi ventiquattro anni.
Estromessa dalla magistratura nel 1979 - quando la rivoluzione, vittoriosa
contro il regime autoritario dello shah, ha proclamato la religione principi
o fondamentale della repubblica e in nome di questo ha confinato le donne in
un ruolo subalterno - Ebadi si e' messa a lavorare per i diritti dei bambini
e delle donne, poi a fare l'avvocata.
Altre hanno fatto lo stesso: un lento cammino per riconquistare lo spazio
pubblico. Ha condiviso battaglie e durezze Mehranghiz Kar, avvocata, forse
la piu' nota giurista in Iran (anche lei era stata candidata al Nobel).
Aveva appena ottenuto l'abilitazione a esercitare la professione di avvocato
quando lo shah e' fuggito dall'Iran e "da allora ho sempre praticato, fino a
due anni fa: per ventidue anni sono stata un avvocato nella repubblica
islamica d'Iran", ci ha detto ieri, a Roma, dove era ospite della
Commissione pari opportunita' della Federazione nazionale della stampa
italiana che ha voluto rendere omaggio alla lotta delle iraniane con una
conferenza su "Donne e informazione per la democrazia in Iran" - un omaggio
anche a Zahra Kazemi, la giornalista iraniano-canadese morta lo scorso
luglio dopo essere stata arrestata.
Mehranghiz Kar ripercorre quei 22 anni da avvocata e attivista per i diritti
umani e delle donne. Ricorda quando, alla fine della lunga guerra con l'Iraq
(durata gran parte degli anni '80), si e' aperto qualche spiraglio: "Sono
uscite riviste culturali non strettamente religiose, un'opportunita'
d'espressione". Per sette anni ha scritto regolarmente su "Zanaan",
("Donne"), magazine femminile che ha avuto una funzione apripista: "Scrivevo
per criticare il sistema legale che assegna alle donne un posto inferiore,
discrimina i musulmani e i non musulmani, perseguita i dissidenti".
Quando a Tehran sono cominciati i serial killing, nel 1998, un'ondata di
"misteriosi" omicidi di intellettuali e giornalisti, Mehranghiz Kar era nel
direttivo dell'Unione degli scrittori: gli omicidi, e' stato presto chiaro,
erano una guerra sporca di apparati del potere contro il movimento per le
riforme avviato da Mohammad Khatami da poco eletto presidente. "In quel
momento tutti eravamo in pericolo", ricorda, "circolo' anche una lista di
persone 'condannate a morte'". Nel 2000 e' intervenuta, con diversi
attivisti e intellettuali iraniani, a una conferenza sulla democrazia in
Iran organizzata a Berlino dalla Fondazione Heinrich Boell: "Ero andata a
dire che le riforme non hanno possibilita' di successo in Iran in questo
quadro costituzionale, cioe' finche' il parlamento, pur con una maggioranza
di riformisti, e' sottoposto al potere di veto del Consiglio dei Guardiani",
ricorda Mehranghiz Kar. Appena rientrata in Iran e' stata arrestata (come
un'altra attivista, Shahla Lahji) e accusata di attentato alla sicurezza
nazionale, propaganda contro la Repubblica islamica, "e poiche' a Berlino
ero in pubblico senza hijjab, il foulard, anche di offesa all'islam". In
quell'occasione Kar e Lahji sono state difese da Shirin Ebadi. Mehranghiz
Kar ha a sua volta difeso Ebadi quando questa e' stata arrestata, poco dopo.
*
Le donne in Iran non sono zittite, le dico. "Non sono zitte, certo: ma a
proprio rischio, non certo perche' la repubblica islamica ci abbia dato
spazio". L'epilogo della sua storia lo testimonia. Uscita di prigione si e'
scoperta un tumore al seno, nel 2002 ha ottenuto il permesso di recarsi
al'estero per le cure e appena lei e' partita suo marito, il giornalista e
critico cinematografico Siamak Pourzand, e' stato arrestato. "Per molto
tempo non ho saputo dov'era. Poi ho saputo che e' stato torturato,
picchiato, sottoposto a interrogatori in cui gli hanno estorto confessioni
per contruire accuse contro di me e altri. Ora non posso rientrare perche'
mi arresterebbero subito, il mio ufficio e' sigillato, ho perso tutto cio'
che avevo".
Sottoscrive un'affermazione di Shirin Ebadi, che il presidente Khatami ha
sprecato un'opportunita' storica per cambiare l'Iran? "Assolutamente.
Khatami ha avuto contro ostacoli enormi, bisogna riconoscerlo. Ma non era
disposto a correre rischi, e i conservartori l'hanno presto capito. Khatami
non ha preso le difese di giornalisti come Akhbar Ganji e altri che sono
andati in galera. Cosi' oggi gli iraniani sono delusi, stufi dei
conservatori ma anche dei riformisti. Credo che nella societa' sia diffusa
un'opinione laica, stufa di uno stato che controlla le vite private, il modo
di vestire e di pensare. E' l'idea di separare la religione e lo stato. Ma
quest'opinione non ha espressione organizzata in Iran, la legge non lo
permette. Magari alle prossime elezioni vincera' l'astensionismo, i
conservatori riprenderanno il parlamento, i riformisti andranno
all'opposizione. Non e' detto che sia un male".
Il punto, insiste Mehranghiz Kar, "non e' se l'islam e' compatibile con i
diritti umani: e' che bisogna separare la religione e lo stato". Cosi'
torniano a quel premio Nobel che ha stupito anche lei: "Penso che Shirin
Edabi lo meriti. Penso anche che sia un messaggio politico da parte della
comunita' internazionale. Dice allo stato iraniano che non puo' violare i
diritti umani in nome dell'islam, e usare l'islam per attaccare i diritti
fondamentali. Insieme, dice agli iraniani che la comunita' internazionale li
sostiene nella loro rivendicazione di diritti e liberta' fondamentali. Ma
non sono sicura che lo stato iraniano abbia capito il messaggio". Di nuovo,
il futuro e' incerto: "Hanno cominciato a minacciarla... Il Nobel non basta
a proteggerla, questo noi lo sappiamo".
4. RIFLESSIONE. NANDO DALLA CHIESA: AL TERMINE DI UN ERRORE
[Dagli amici di "Italia Democratica" (per contatti:
italiademocratica@virgilio.it) riceviamo e diffondiamo questo articolo di
Nando dalla Chiesa sulla legge sulla fecondazione assistita gia' apparso sul
quotidiano "L'unita'" del 12 dicembre 2003. Nando dalla Chiesa e' nato a
Firenze nel 1949, sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato
uno dei promotori e punti di riferimento del movimento antimafia negli anni
ottanta; e' persona di straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di
Nando dalla Chiesa segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta;
Delitto imperfetto, Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi),
Mondadori; Storie, Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo:
la nuova resistenza (a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I
trasformisti, Baldini & Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi;
Storie eretiche di cittadini perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema. Ha
inoltre curato (organizzandoli in forma di autobiografia e raccordandoli con
note di grande interesse) una raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto
Dalla Chiesa, In nome del popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando dalla
Chiesa: suoi ritratti sono in alcuni libri di carattere giornalistico di
Pansa, Stajano, Bocca; si veda anche l'intervista contenuta in Edgarda
Ferri, Il perdono e la memoria, Rizzoli]
Che mondo complicato. Sentii argomentare la prima volta di Stato etico circa
vent'anni fa; perche' prima, per polemizzare, si usava dire - dello Stato -
che fosse "confessionale" o addirittura "clericale". "Etico", nella polemica
politica, divenne aggettivo in voga tra i sedicenti "liberal" degli anni
ottanta. Usato allora per fronteggiare la rivolta dei moralisti e dei
"giacobini" (le parole non per caso fioriscono insieme) davanti alle stragi
di mafia e di camorra o al latrocinio organizzato. Si sorprendevano, quei
liberal, della indignazione civile e della domanda crescente di ripristinare
decenti livelli di legalita'. Vi coglievano un'idea di Stato etico nella
quale essi non potevano riconoscersi. Meglio il Far West modello mitra e
mazzetta, insomma, piuttosto che esagerare con l'invadenza dello Stato e
l'imposizione ad altri dei propri personalissimi standard morali.
Ora lo Stato etico e' comparso sul serio, brutalmente, nella legge votata
dal parlamento in tema di fecondazione assistita. E chi ieri non si
permetteva di spiegare ai feudatari della politica che non si ruba e non si
uccide (perche', appunto, mica siamo in uno Stato etico), ora ha il piglio
del giustiziere nello spiegare a cittadine e cittadini come devono - si',
devono - comportarsi nelle loro piu' intime scelte sessuali e familiari.
D'altronde, aggiunge chi ieri non sentiva nemmeno il fragore dei
kalashnikov, non possiamo continuare a vivere in questo Far West.
*
Che mondo complicato. Una maggioranza piu' larga del previsto ha votato una
legge che sa di Stato etico lontano un miglio, e lo ha fatto in difesa della
vita. Quanto alla maggioranza governativa, ha salutato il risultato finale
d'aula con una festosa standing ovation. Quando riesce di difendere meglio
la vita umana si ha il diritto di festeggiare, giusto? Stessa standing
ovation, anzi piu' festosa, la stessa maggioranza fece in marzo votando la
mozione che appoggiava la guerra in Iraq, la dottrina della guerra
preventiva, la morte di migliaia di innocenti. Si puo' accettare la morte
degli altri, in effetti, per alcune valide ragioni. Tra cui quella di
liberare la loro terra da un dittatore o anche, come nel caso
dell'Afghanistan, da uno Stato etico che detta i suoi principi alle donne, a
tutte le donne. Liberare le donne dell'Afghanistan, diceva il premier. Altro
contesto, certo. Ma il principio era quello. In realta' la morte e la vita
ballano nella nostra politica come concetti vuoti, disancorati da qualsiasi
gerarchia di valori, alla merce' di ogni opportunismo o di ogni frenesia
ideologica.
A proposito: pensavo, modestamente e fallibilmente pensavo, che nella
gerarchia dei valori venissero la donna e poi il feto e poi l'embrione. Non
pretendo di essere nel giusto ne' che tutti la pensino cosi'. Diciamo pero'
che se mi trovassi a poterlo (e saperlo) fare, in guerra o in una catastrofe
naturale, darei la vita per salvare una donna, mai per salvare un embrione.
Rispetto (con qualche perplessita') chi farebbe il contrario, e non gli
imporrei il mio punto di vista. Ma scopro che da oggi, sotto tanti aspetti
per nulla marginali, per il nostro Stato vengono obbligatoriamente in ordine
decrescente di importanza l'embrione e poi il feto e poi la donna. Non siamo
mica nel Far West. Anche se grazie alla prevalente natura (economica) delle
sanzioni, sara' sempre Far West per i ricchi.
Ho imparato che Giordano Bruno e' bene non perderlo di vista. Senza
esagerare, naturalmente, perche' il contesto e' diverso, quasi
incomparabile.
Ma ho sentito usare per la prima volta, e ripetutamente, l'espressione
"uccidere gli embrioni", cosi' da dare dell'assassina a una donna (e a una
coppia) che accetti pratiche procreatrici dalla riuscita incerta. Ho sentito
evocare, ahime', non dalla maggioranza, lo scenario di Hiroshima per
spiegare che la scienza puo' fare male e molto male all'umanita'. Ho sentito
ipotizzare scenari degni di Frankestein dalla maggioranza: la madre che fa
clonare per disperazione il figlio moribondo o il padre piu' portato a
insidiare sessualmente la figlia quando questa nasca da sperma altrui e sia
priva dunque di una "vera" relazione di discendenza. Un intero mondo
mostruoso, dietro l'angolo di una gravidanza attesa per anni.
*
Che mondo complicato. Perche' a sostenere questa legge abbiamo avuto, sia
alla Camera sia al Senato, non solo reazionarie o reazionari incalliti. Ma
anche parlamentari che si sono battuti e si stanno battendo con generosita'
riconosciuta sulle questioni del lavoro, dell'uguaglianza, della giustizia e
della liberta' di informazione. E perche' ai vertici delle gerarchie che
hanno imposto questa legge e si accingono a tornare all'assalto della legge
sull'aborto sta quel papa a cui non smetteremo mai di essere grati per la
meravigliosa forza profetica con cui, stanco e sfibrato nella carne, ha
condannato la guerra come "crimine contro l'umanita'".
*
Mondo complicato davvero. Quando, dopo il crollo del Muro, si sfarino' la
Democrazia cristiana, si penso' che nella politica italiana che scopriva il
maggioritario non avremmo piu' avuto la tentazione o il rischio di un
partito confessionale. E che i cattolici si sarebbero divisi tra destra e
sinistra uniformandosi alle regole di un bipartitismo laico. E' successo
l'opposto. E ora e' chiaro perche'. La Dc, avendo il monopolio della
rappresentanza dei cattolici, sapeva tenere meglio a bada le gerarchie
ecclesiali. Fu un caso raro di monopolio virtuoso. Mentre la competizione
odierna tra cattolici di destra e di sinistra tende a incoraggiare una folle
corsa ad accaparrarsi il consenso di quelle gerarchie, senza piu' il filtro
della laicita' della politica. Fino a potersi dire che corriamo il rischio,
se non ci si ferma in tempo, di avere una societa' molto piu' clericalizzata
senza la Dc che non con la Dc.
Qui sta la sfida, la sfida alta della politica. La sfida che quest'ultima
vicenda parlamentare ha indicato come la grande assente dalle strategie
delle classi dirigenti dei partiti. Perche' se il "mercato" del consenso
incrina la laicita' dello Stato, ebbene il progetto di una politica bipolare
deve proprio misurarsi con questo storico problema: come costruire un
sistema maggioritario senza Dc, rispettoso delle istanze cattoliche ma anche
della natura liberale dello Stato. E' un compito al quale devono sentirsi
impegnate tutte le forze politiche, ma piu' di ogni altro proprio quel
partito, la Margherita, che ha avuto il coraggio di nascere dalla fusione di
esperienze cattoliche ed esperienze laiche e che nella sua Carta dei
principii aveva scolpito senza possibilita' di equivoci questo impegno:
"Tocca ai non credenti riconoscere che l'esperienza religiosa, lungi
dall'essere un residuato storico destinato all'estinzione, puo'
rappresentare un fermento che vivifica la vita democratica; tocca ai
credenti riconoscere che le convinzioni religiose non possono essere imposte
per legge a chi non le condivida". Purtroppo questo principio e' uscito
strapazzato, e non poco, dalla discussione parlamentare. Perche' far valere
in questioni come la fecondazione assistita il principio di maggioranza (due
voti in piu' o in meno tra i propri parlamentari) significa abbandonare il
ruolo creativo e propositivo della politica, abdicare al proprio
fondamentale ruolo maieutico (nel pensiero, nell'azione) di fronte alla
storia del paese.
*
Davvero un mondo complicato. Che lo sara' ancora di piu', per il
centrosinistra, se quanto e' accaduto diventera' non stimolo e urgenza per
trovare forme piu' alte, felici e impegnative di sintesi politica ma
pretesto per abbandonare il progetto di una lista unitaria per l'Europa e
riandare beatamente ognuno per i fatti propri. Se la Margherita deve farsi
piu' di altri (ma non da sola) una bella riflessione su quanto e' accaduto,
tutti la facciano di fronte a quanto potrebbe accadere se i particolarismi
dovessero di nuovo prevalere. Su quel piano, forse, abbiamo gia' dato.
5. RIFLESSIONE. MARIA LUISA BOCCIA, GRAZIA ZUFFA: IL FONDAMENTALISMO IN
PROVETTA
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 9 dicembre 2003.
Maria Luisa Boccia e' nata il 20 giugno 1945 a Roma, dove vive. Dal 1974
lavora all'Universita' di Siena, e attualmente vi insegna Filosofia
politica. Dagli anni '60 ha preso parte alla vita politica del Pci e dei
movimenti, avendo la sua prima importante esperienza nel '68. Deve alla
famiglia materna la sua formazione politica comunista, e al padre,
magistrato e liberale, la sua formazione civile, l'attenzione per
l'esistenza e la liberta' di ciascun essere umano. Ad orientare la sua vita,
la sua mente, le sue esperienze, politiche e umane, e' stato il femminismo.
In particolare e' stato il femminismo a motivare e nutrire l'interesse alla
filosofia. La sua pratica tra donne, cominciata nel 1974 a Firenze con il
collettivo "Rosa", occupa tuttora il posto centrale nelle sue attivita', nei
suoi pensieri, nei suoi rapporti. Ha dato vita negli anni a riviste di
donne - "Memoria", "Orsaminore", "Reti" - ed a diverse esperienze di
gruppi, dei femminili tra i quali ricordare, oltre al suo primo collettivo,
dove iniziano alcune delle relazioni femminili piu' profonde e durevoli,
"Primo, la liberta'", attivo negli anni della "svolta" dal Pci al Pds;
"Koan", con alcune allieve dell'universita'; "Balena", nato dal rifiuto
della guerra umanitaria in Kosovo e tuttora felicemente attivo. E' stata
giornalista, oltre che docente, partecipa dagli anni '70 alle attivita' del
Centro per la riforma dello Stato, ha fatto parte della direzione del Pci,
poi del Pds, ed ha concluso questa esperienza politica nel 1996. Vive da
molti anni con Marcello Argilli, scrittore per l'infanzia, e non ha figli.
Ha scritto articoli, saggi, ed elaborato moltissimi interventi, solo in
parte pubblicati, per convegni, incontri, iniziative. Tra i suoi scritti
recenti: Percorsi del femminismo, in "Critica marxista" n. 3, 1981; Aborto,
pensando l'esperienza, in Coordinamento nazionale donne per i consultori,
Storie, menti e sentimenti di donne di fronte all'aborto, Roma 1990; L'io in
rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, La Tartaruga, Milano 1990; con
Grazia Zuffa, l'eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche,
fantasie, norme, Pratiche, Milano 1998; La sinistra e la guerra, in
"Parolechiave" nn. 20/21, 1999; Creature di sabbia. Corpi mutanti nello
scenario tecnologico, in "Iride" n. 31, 2000; L'eredita' simbolica, in
Rossana Rossanda (a cura di), Il manifesto comunista centocinquanta anni
dopo, Manifestolibri, Roma 2002; Miracolo della liberta', declino della
politica. Rileggendo Hannah Arendt e Simone Weil, in Ida Dominijanni (a cura
di), Motivi di liberta', Angeli, Miano 2001; La differenza politica. Donne e
cittadinanza, Il Saggiatore, Milano 2002.
Grazia Zuffa, psicologa, senatrice per due legislature, nel 1990 presento'
un disegno di legge sulle tecnologie della riproduzione artificiale; si
occupa da anni di teoria e politica femminista, con particolar riguardo ai
temi della sessualita' e della procreazione; direttrice del mensile
"Fuoriluogo", autrice di molti saggi, ha collaborato tra l'altro a: Il tempo
della maternita', 1993; Franca Pizzini, Lia Lombardi (a cura di), Madre
provetta, Angeli, Milano 1994; con Maria Luisa Boccia ha scritto L'eclissi
della madre, Pratiche, Milano 1998]
In buona sostanza la fecondazione in vitro sara' proibita o impraticabile,
dopo l'approvazione della legge. Anche l'inseminazione sara' drasticamente
limitata dal divieto di utilizzare i gameti di donatore.
Molti parlamentari impegnati a votarla dichiarano che, finalmente!, si mette
fine al far west. Non sara' cosi', poiche' il proibizionismo avra' come
conseguenza la clandestinita' e il diffondersi del mercato illegale, per
tutti coloro che non potranno praticare il "turismo procreativo", prima di
tutto per motivi economici. Con buona pace della tutela per la salute delle
donne e dei nascituri, la quale sarebbe dovuta essere la priorita' del
legislatore. Non lo e' stata - e' bene ricordarlo - perche' l'ipotesi di una
limitata, ma efficace, regolamentazione sanitaria, atta appunto a limitare
il far west, e' sempre stata respinta a favore di una legge manifesto, quale
quella che si sta approvando.
*
Sarebbe stato meglio un divieto esplicito della fecondazione in vitro, della
mostruosita' di queste norme. Lo diciamo seriamente. Sarebbe di gran lunga
preferibile per le donne sapere con chiarezza che questa via e' preclusa,
piuttosto che trovarsi a percorrerla nei modi previsti dalla legge. Pensiamo
proprio a quelle tra loro, eterosessuali, sposate o conviventi,
sufficientemente benestanti - questi i requisiti richiesti - che potrebbero
aspirare a realizzare il desiderio di un figlio/a. Cosa le attende? Se va
bene, di mettere al mondo non uno ma tre figli, non e' difficile immaginare
con quali e quante complicate conseguenze; e comunque non e' questo che,
presumibilmente, volevano quando hanno espresso un consenso all'avvio della
fecondazione in vitro. Se va male, un aborto terapeutico, o di mettere al
mondo uno o piu' figli malati o con malformazioni, dato che non si possono
fare diagnosi preimpianto o sopprimere embrioni malformati, ma si puo' fare
l'una e l'altra cosa dopo. Con quale logica o sensatezza, si puo' affermare
che queste norme non coinvolgono la legge sull'aborto? Comunque, per una
donna e' senza dubbio piu' pesante, da tutti i punti di vista, la
prospettiva di abortire che non quella di evitare l'impianto. Se nessuno dei
tre embrioni e' sano, dovra' sottoporsi di nuovo alla stimolazione ed al
prelievo di ovuli, con un aggravio dei costi fisici, psichici, economici.
Ma il punto dirimente e' l'obbligatorieta' dell'impianto dei tre embrioni:
vietata la revoca del consenso, la donna non ha scelta, anche se la
situazione e' mutata o, semplicemente, valuta diversamente le conseguenze al
momento di decidere l'impianto. Oltre che incostituzionale e' davvero
mostruoso ipotizzare di costringerla, contro la sua volonta' manifesta. Il
medico che si ritrova con questi tre embrioni dovra' chiedere un'ingiunzione
al giudice, alla polizia di prelevarla, agli infermieri di legarla?
L'assurdo nulla toglie alla gravita' dell'intento del legislatore. Ma
piuttosto che avviarsi in questo inferno la ragionevolezza suggerira' ad una
donna che tutto e' preferibile: rassegnarsi, rivolgersi all'estero o a
centri clandestini.
*
Solo l'ipocrisia, o meglio la malafede, possono far sostenere che questa
legge regolamenta la fecondazione assistita, sia pure restringendone
l'impiego, nell'interesse primario del concepito. Di fatto e' una legge che
rinuncia al compito di governare la societa', lasciando senza riferimenti i
medici ed i ricercatori, come le donne e gli uomini interessati, perche' si
preoccupa soltanto di ribadire alcuni - discutibili e di parte - principi
etici, disinteressandosi perfino dell'effettiva probabilita' che hanno di
essere applicati.
Come ogni legge-manifesto ha effetti devastanti, proprio su principi
fondamentali, quali la liberta', la laicita' dello stato, la funzione e
responsabilita' legislativa.
Davvero non c'e' limite alla violazione della liberta' femminile, quando si
tratta di disporre del corpo delle donne. Tutto, pur di non prendere atto
che si nasce da donna, che non vi e' modo di tutelare la vita - qualunque
cosa si intenda con questa parola - senza e contro di lei. Su questo non
c'e' da mediare tra diverse concezioni etiche, ne' da bilanciare tra beni e
diritti in conflitto, quelli dell'embrione e quelli della donna. E, per
favore, che nessuno, da destra o da sinistra, ci venga a parlare dei
fondamentalismi di altre societa' e culture, e della liberazione delle donne
che li subiscono, quando si scrive una legge come questa, rinverdendo
l'alleanza patriarcale tra chiesa e stato, tra etica cattolica e legge.
Lo stato, lo ha ricordato Piero Fassino, non puo' identificarsi ne' in una
fede, ne' in un'etica; non puo' stabilire cosa e' permesso e cosa e' vietato
dalle leggi, sulla base di cie' che e' lecito o non e' lecito per l'etica.
Si parla abitualmente di contrasto tra "laici" e cattolici, come se la
laicita' fosse una delle concezioni etiche in campo. Ma laici e laiche
dovremmo essere tutti e tutte, in particolare in parlamento, poiche' la
laicita' prescrive soltanto che nessuna concezione etica possa prevalere,
avvalendosi della legge. Nessuna puo' cioe' armarsi del potere di proibire
scelte che ritiene illecite o difformi.
Oggi la laicita' e' insidiata da un rilancio del fondamentalismo: finita la
Dc, la gran parte dei cattolici dell'uno e dell'altro schieramento
parlamentare sono impegnati, su pressanti sollecitazioni delle gerarchie
ecclesiastiche, a riportare nella legge il dettato della chiesa. E cio' e'
sostenuto, da parte dei parlamentari e delle parlamentari, in nome della
liberta' di coscienza. Si puo' cioe' imporre all'intera societa' cio' che
detta la propria dottrina, sia pure con convinta adesione personale, negando
la liberta' di altre coscienze, ma soprattutto stravolgendo il senso della
legge, della funzione del parlamento, in breve della politica. Peraltro,
dietro l'alto ideale della liberta' di coscienza fa capolino un molto piu'
terreno interesse politico di parte: fra le neoformazioni cattoliche, e'
aperta una corsa a guadagnarsi legittimazione guardando al Vaticano.
Che si possa pensare che questo non abbia rilevanza nei rapporti politici,
tra eletti ed elettori, e' davvero straordinario. Pensiamo alle numerose
dichiarazioni di esponenti dell'Ulivo. Davvero si crede che le scelte
attuate in questa come in altre questioni non siano determinanti? Che possa
essere considerata "una ricchezza", pluralista, come ha affermato Patrizia
Toia, senatrice della Margherita, l'approvazione di una legge che offende
gravemente liberta' e laicita' dello stato? Ed i Ds pensano di limitare il
danno, derubricando a opinioni etiche diverse una questione politica di
enorme rilevanza? Non si illudano, saranno molte e molti a valutarla
diversamente, a metterla al primo posto, proprio sul piano della
rappresentanza. Nessuna alleanza politica, nessuna accordo programmatico,
nessuna lista sara' credibile, se non sara' costruita su scelte chiare e
nette su contenuti cosi' dirimenti.
6. RIFLESSIONE. ERIKA TOMASSONE: UNA LEGGE OSCURANTISTA
[Dalla newsletter "Ecumenici" (per contatti: ecumenici@aliceposta.it)
riportiamo ampi stralci di un intervento di Erika Tomassone originariamente
apparso sulla sempre interessante agenzia stampa della federazione delle
chiese evangeliche "Nev" (sito: www.fedevangelica.it/nev). Erika Tomassone
e' pastora valdese]
La legge sulla procreazione medicalmente assistita che sta per essere
approvata definitivamente dal Parlamento, e' una delle piu' oscurantiste
d'Europa e purtroppo poco attenta ai risultati attuali della ricerca
scientifica.
Da un lato e' giusto che vi sia una legge atta a regolare una materia che
puo' diventare terreno di ogni sorta di eccessi. D'altro lato, l'attuale
legge rende la procreazione medicalmente assistita un calvario incredibile
per chi sia nella condizione di ricorrervi, a partire dalla selezione delle
coppie conviventi o coniugate, purche' di sesso diverso, che desiderano
ricorrervi.
Immaginiamo le quantita' di analisi cui sottoporsi, volte ad assicurare
l'assoluta impossibilita' di avere un figlio attraverso altre vie. Si passa
poi all'accesso al programma incontrando comunque ancora ostacoli di tipo
"informativo". La domanda sara': "Avete preso in considerazione
l'adozione?". Dopo la stimolazione ormonale, potranno essere prodotti solo
tre embrioni, tutti e tre da impiantare. Questo punto e' assai controverso
dalla comunita' scientifica che denuncia l'irresponsabilita' di tale
limitazione, in quanto ha per conseguenza nuove stimolazioni ormonali in
caso di insuccesso. Dopo che l'embrione e' stato impiantato per le donne si
apre la strada comune a tutte le altre donne, vale a dire ecografie ed
indagini. Dal momento che e' vietato fare diagnosi su eventuali malattie
genetiche dell'embrione prima dell'impianto, si aspettera' come tutte di
sapere se il feto e' sano, e poi - dopo tutta questa trafila piena di
ostacoli - si rischia pure di dover decidere per l'aborto terapeutico.
La legge se letta tutta d'un fiato lascia due brutte impressioni:
innanzitutto piu' che regolare, scoraggia in molti modi il ricorso alla
procreazione medicalmente assistita, tenendo conto anche della questione
finanziaria. In secondo luogo, non prende sul serio la fotografia attuale
delle situazioni in cui un bambino o una bambina potrebbe crescere, ma
ribadisce un modello obsoleto di famiglia. In questo modo lascia ampio
spazio alla ricerca di soluzioni alternative ad esempio nei paesi europei in
cui le leggi sono piu' aperte alla realta' delle loro societa', per chi puo'
ovviamente. Un punto che lascia l'amaro in bocca e' lo spostamento sul
prodotto del concepimento, come portatore di diritto, per non parlare del
non riconoscimento di una certa asimmetria tra uomo e donna nella
procreazione...
In alternativa che cosa resta? Augurarsi di essere fertili e procreare
"naturalmente" e soprattutto non avanzare dei diritti se si e' una coppia
omosessuale, o una donna singola. Questo e' il succo della legge. C'e' da
chiedersi se proprio questo punto non ne sia il vero obiettivo: ribadire che
cosa e' oggi una famiglia in Italia e relegare nella marginalita' qualunque
altra esperienza umana.
7. LETTURE. EUCLIDES ANDRE' MANCE: LA RIVOLUZIONE DELLE RETI
Euclides Andre' Mance, La rivoluzione delle reti. L'economia solidale per
un'altra globalizzazione, Emi, Bologna 2003, pp. 224, euro 13. Un utile
libro del prestigioso studioso e militante brasiliano.
8. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.
9. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti: azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: luciano.benini@tin.it,
angelaebeppe@libero.it, mir@peacelink.it, sudest@iol.it, paolocand@inwind.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it; per
contatti: info@peacelink.it
LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it
Numero 760 del 15 dicembre 2003