[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 712



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 712 del 25 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
0. Comunicazione di servizio
1. Mao Valpiana: un invito a Verona l'8 novembre con Lidia Menapace
2. Amnesty International: per la vita di Asfaneh Noruzi
3. Peppe Sini: per la vita di Asfaneh Noruzi
4. Giuliana Sgrena: per la vita di Asfaneh Noruzi
5. Crescente attenzione e significative convergenze sulla proposta di Lidia
Menapace
6. Luisa Morgantini: una pacifista in Palestina
7. Danilo Dolci: la scuola
8. Alcuni incontri di pace
9. Alcune riviste utili
10. Letture: Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, Conflitti e mediazione
11. Letture: Luciano Bertozzi, I bambini soldato
12. Letture: Mario Lancisi, Alex Zanotelli
13. La "Carta" del Movimento Nonviolento
14. Per saperne di piu'

0. COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Una rottura del computer che utilizziamo per le spedizioni ha impedito per
due giorni la pubblicazione del notiziario. Cose che capitano.

1. INCONTRI. MAO VALPIANA: UN INVITO A VERONA L'8 NOVEMBRE CON LIDIA
MENAPACE
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: azionenonviolenta@sis.it) per
questo invito. Mao (Massimo) Valpiana e' una delle figure piu' belle della
nonviolenza in Italia; e' nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come
assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e' impegnato nel
Movimento Nonviolento (si e' diplomato con una tesi su "La nonviolenza come
metodo innovativo di intervento nel sociale"), e' membro del comitato di
coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa
della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione
Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al
servizio e alle spese militari ha partecipato tra l'altro nel 1972 alla
campagna per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza e alla fondazione
della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e' stato segretario
nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un'azione
diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per
"blocco ferroviario", e' stato assolto); e' inoltre membro del consiglio
direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio
della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell'Obiezione
di Coscienza); e' stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato
di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per
la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; un suo profilo autobiografico,
scritto con grande gentilezza e generosita' su nostra richiesta, e' nel n.
435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]
Un incontro a Verona, sabato 8 novembre, dalle ore 12 alle ore 16, "per
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta".
E' importante l'incontro di tutti coloro, singoli e associazioni, che si
sono espressi e che condividono l'idea lanciata da Lidia Menapace, per
mettere a punto un documento da diffondere e sul quale trovare adesioni "per
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta".
Il documento dovra' avere la doppia funzione di presentare il nostro
progetto costruttivo europeo, nelle sue piu' profonde radici e nelle sue
piu' alte ispirazioni, e  nel contempo dovra' avere la concretezza ed il
realismo per avanzare proposte politiche per la nuova Costituzione.
Personalmente immagino un documento/manifesto per il disarmo unilaterale e
per la costituzione dei corpi civili di pace.
*
Ritengo anche importante che la riunione di Verona metta a punto un
successivo appuntamento, che potrebbe essere a Venezia l'8 dicembre, come
suggerisce Giovanni Benzoni. Un momento di approfondimento, un seminario o
un convegno all'interno del Salone dell'editoria per la pace, che si
concluda con un momento pubblico in un luogo simbolo della citta' (Piazza
San Marco o Ponte di Rialto).
Il momento della manifestazione pubblica, esemplare nei fini e nei mezzi, e'
per me molto significativo. Non sara' tanto importante il numero dei
partecipanti, quanto la qualita' del nostro agire. Potrebbe essere un
sit-in, o una fiaccolata, o altro ancora: il movimento della nonviolenza
organizzata ha la maturita', la capacita', l'autorevolezza per mettere in
campo una propria specifica iniziativa politica.
Dal convegno e dalla sua conclusione pubblica dovra' uscire il nostro
messaggio nonviolento per la Conferenza intergovernativa dei capi di stato e
di governo che si riunira' a Bruxelles il 12 e 13 dicembre.
Naturalmente questo e' un possibile percorso, aperto ad ogni nuova
costruttiva proposta.
Il luogo dell'incontro dell'8 novembre a Verona e' la Casa per la
nonviolenza, in via Spagna 8 (vicino alla Basilica di San Zeno), tel.
0458009803, fax: 0458009212, e-mail: azionenonviolenta@sis.it
Per arrivare alla Casa per la nonviolenza: dalla stazione ferroviaria
prendere l'autobus n. 61 (direzione centro, scendere alla fermata di via Da
Vico, subito dopo il Ponte Risorgimento); chi viene in macchina deve uscire
al casello di Verona Sud, seguire la direzione centro fino a Porta Nuova,
poi a sinistra lungo la circonvallazione interna fino a Porta San Zeno).

2. APPELLI. AMNESTY INTERNATIONAL: PER LA VITA DI ASFANEH NORUZI
[Dal sito di Amnesty International (www.amnesty.it) riprendiamo questo
appello. Sulla vicenda di Asfaneh Noruzi cfr. anche l'articolo di Giuliana
Sgrena gia' pubblicato nel n. 709 di questo foglio e che qui sotto
riproduciamo di nuovo]
Afsaneh Nouroozi e' a rischio immediato di esecuzione dopo che la sua
condanna a morte e' stata confermata dalla Corte suprema. Il leader supremo
dell'Iran, l'ayatollah Sayed Ali Khamemei, e' l'unica autorita' del paese in
grado di concedere la clemenza.
Afsaneh Nouroozi e' stata arrestata nel 1997 a seguito dell'omicidio del
capo dei servizi di sicurezza della polizia di Kish, nell'Iran meridionale.
A quanto sembra, agi' per autodifesa, difendendosi da un tentativo di
stupro. Si trova attualmente nella prigione di Bandar Abbas, le cui cattive
condizioni di detenzione sono ampiamente note.
Nel corso del 2003 Amnesty International ha accertato 83 esecuzioni, anche
se il totale effettivo puo' essere assai piu' elevato.
*
The Leader of the Islamic Republic, His Excellency Ayatollah Sayed Ali
Khamenei,
The Presidency, Palestine Avenue, Azerbaijan Intersection, Tehran
Islamic Republic of Iran
Your Excellency,
We are members and supporters of Amnesty International, the non-governmental
organization which since 1961 has been working in defense of human rights
wherever they are violated.
We would like to draw your attention to the case of Afsaneh Nouroozi, who is
at imminent risk of execution after the death sentence against her was
upheld by the Iranian Supreme Court.
We recognize the rights and responsibilities of governments to bring to
justice those suspected of criminal offences. Nevertheless, we oppose the
death penalty as the ultimate violation of the right to life and of the
right not to be subjected to cruel, inhuman or degrading treatment or
punishment.
We respectfully remind you of Iranís obligations under Article 6 of the
International Covenant on Civil and Political Rights and the Universal
Declaration of Human Rights, which states in Article 3: "Everyone has the
right to life, liberty and security of person".
For all these reasons, we ask you to use your powers of clemency to commute
Afsaneh Nouroozi's death sentence.
While thanking you for your attention we remain.
Yours sincerely,
Nome e indirizzo

3. EDITORIALE. PEPPE SINI: PER LA VITA DI ASFANEH NORUZI
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi.
La nostra opposizione alla pena di morte non si basa su argomenti accessori
(la possibilita' di errori giudiziari, la crudelta' delle forme di
uccisione) ma sul nocciolo stesso di essa: il fatto che uccidere un essere
umano e' inammissibile sempre.
Ed a maggior ragione quando a compiere l'omicidio e' un'istituzione pubblica
che dovrebbe essere sempre preposta a difendere la vita delle persone, non a
sopprimerle; giacche' se le istituzioni, il cui unico fine e la cui unica
legittimita' e' nella funzione di promuovere e sostenere la civile
convivenza (il con-vivere, il vivere insieme; il vivere delle persone,
quindi), tradendo questo mandato viceversa uccidono, con cio' stesso non
solo commettono il crimine supremo, ma legittimano chiunque a fare
altrettanto, disgregano ogni possibilita' di societa', di civilta', di
convivenza.
*
Occorre parlar chiaro: noi sosteniamo la superiorita' morale della scelta
della nonviolenza, del preferir morire anziche' uccidere; ma riconosciamo
senza esitazioni ad ogni essere umano che gli e' consentito l'esercizio
della legittima difesa in stato di necessita', fino al culmine tragico
dell'uccidere per salvare da morte se stessi o altri. Non per questo
uccidere diventa un diritto, ne' un dovere, ma puo' essere talvolta nella
percezione di taluno nella piu' critica delle situazioni una tragica estrema
orribile necessita'. E puo' essere anche una non voluta sciagurata
conseguenza di un tentativo affannoso e disperato di difendersi.
Ma quel che e' consentito ad ogni essere umano in situazioni estreme non
puo' essere consentito alle istituzioni, che peraltro solo per metafora sono
vive, che non sono esseri viventi, e unici ed insostituibili come e' ogni
essere umano.
Cosi' la pena di morte e' un crimine sempre; e a maggior ragione - va da
se' - la guerra. Cosi' ogni condannato a morte deve essere salvato.
Cosi' noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi.
*
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi.
E non solo perche' il crimine di cui e' accusata, se pur lo ha commesso, si
puo' configurare come legittima difesa in stato di necessita', o - se si
vuole - come "eccesso colposo" di legittima difesa in stato di necessita'.
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi perche' a nessun
essere umano deve essere tolta la vita, e se non possiamo piu' resuscitare
il violentatore ucciso, possiamo e quindi dobbiamo salvare la vita della sua
vittima, della sua assassina (se tale fosse).
*
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi e di tutte le
persone condannate a morte in tutte le parti del mondo: in Iran come negli
Stati Uniti d'America, in Cina come a Cuba.
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi.
Tante possono essere le forme di intervento. Amnesty International ne
propone una, sua tradizionale, e molte volte rivelatasi efficace.
Affinche' questa vita umana, questa concreta persona umana, sia salva, molte
forme democratiche e nonviolente di impegno possono essere esperite: in
primo luogo scriverne ai mass-media nostri e internazionali perche' di
questa vicenda l'opinione pubblica sia avvertita; chiedere ai nostri
legislatori e governanti di chiedere anch'essi - e con atti ufficiali  ai
loro omologhi iraniani che Asfaneh Noruzi non sia uccisa; promuovere
iniziative di riflessione e testimonianza, di incontro e mobilitazione.
Tanti sono i modi democratici e nonviolenti, a ciascuna e ciascuno di fare
qualcosa.
Noi diciamo che occorre salvare la vita di Asfaneh Noruzi. Noi diciamo che
occorre salvare la vita di ogni essere umano.

4. APPELLI. GIULIANA SGRENA: PER LA VITA DI ASFANEH NORUZI
[Riproduciamo ancora una volta questo articolo estratto dal quotidiano "Il
manifesto" del 18 ottobre 2003. Giuliana Sgrena, intellettuale e militante
femminista e pacifista tra le piu' prestigiose, e' tra le maggiori
conoscitrici italiane dei paesi e delle culture arabe e islamiche; autrice
di vari testi di grande importanza (tra cui: a cura di, La schiavitu' del
velo, Manifestolibri, Roma; Kahina contro i califfi, Datanews, Roma; Alla
scuola dei taleban, Manifestolibri, Roma); e' stata inviata del "Manifesto"
a Baghdad, sotto le bombe, durante la fase piu' ferocemente stragista della
guerra tuttora in corso]
Se ti stuprano ti lapidano, se ti difendi fino all'estremo di uccidere il
tuo aggressore ti impiccano.
Una triste sorte che accomuna le donne di diversi continenti, vittime dei
pregiudizi maschili che incoraggiano la violenza sessuale accanendosi invece
contro chi la subisce in nome della legge islamica. La stessa legge che in
caso di omicidio prevede persino l'annullamento della sentenza capitale se
la famiglia offesa accetta un risarcimento monetario.
Una possibilita' che non avra' Afsaneh Noruzi, iraniana di 32 anni, che tra
pochi giorni sara' impiccata. Afsaneh e' stata condannata a morte per aver
ucciso un ufficiale di polizia che aveva tentato di violentarla.
Il fatto e' avvenuto nel 1997 sull'isola di Kirsh, nel Golfo persico, meta
turistica iraniana. Asfaneh era ospite con la sua famiglia di un conoscente
che viveva in un appartamento adiacente e che approfittando dell'assenza del
marito della donna aveva cercato di violentarla, lei si era difesa
accoltellandolo.
La condanna e' stata implacabile: alla forca. Inutilmente l'avvocato di
Afsaneh Noruzi nel corso del processo si e' appellato ad un articolo del
codice penale islamico che prevede una reazione "proporzionata" per
difendere "la propria vita, il proprio onore, la propria castita',
proprieta' o liberta'" in caso di mancata assistenza da parte delle
autorita'. La donna, che si trova nel carcere di Bandar Abbas, e' stata
condannata il 15 marzo e la condanna e' stata confermata dalla Corte suprema
e notificata il 28 settembre.
Inutile anche l'appello della figlia quindicenne di Asfaneh, Mahdiye
Jahanghiri, che ha scritto una lettera all'ayatollah Mahmud Hashemi
Shahrudi, ultraconservatore, per chiedere "umilmente" la revisione del caso.
Per salvare la vita di Asfaneh si sono mobilitate anche tre deputate
iraniane vicine al presidente riformista Mohammed Khatami. Jamileh Kadivar,
Azam Naseripour e Tahereh Rezazadeh hanno scritto al capo dell'apparato
giudiziario, l'ayatollah Shahrudi, sostenendo che "uccidendo il suo
aggressore, Afsaneh Noruzi non ha fatto altro che compiere il proprio dovere
umano e islamico per difendere il proprio onore di donna musulmana".
In Iran, secondo le organizzazioni per i diritti umani, ogni anno vengono
eseguite tra le 150 e le 200 condanne a morte: negli ultimi anni diverse
donne sono state lapidate per relazioni extraconiugali. L'anno scorso cinque
donne sono state giustiziate, quattro delle quali per aver ucciso il marito.
Amina, la nigeriana condannata a morte per aver avuto una figlia da una
relazione extraconiugale, e' stata salvata grazie alla mobilitazione
internazionale: Amnesty international si e' occupata anche del caso di
Afsaneh Noruzi.
Ma perche' Afsaneh viene lasciata morire senza che il mondo esprima il
proprio orrore e la propria pressione sulle autorita' iraniane?

5. INIZIATIVE. CRESCENTE ATTENZIONE E SIGNIFICATIVE CONVERGENZE SULLA
PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
Molte dichiarazioni di attenzione, interesse e disponibilita' stanno
pervenendo in questi giorni alla nostra redazione sulla proposta di Lidia
Menapace "per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata,
solidale e nonviolenta": contributi originali, segnalazioni di testi gia'
pubblicati che possono costituire anch'essi utili apporti, dichiarazioni di
apprezzamento e sostegno da parte di molte persone amiche molto care, vari
messaggi di riscontro da autorevoli personalita' (tra molte altre e molti
altri: Stefano Allievi, Anna Bravo, Gigi Malabarba, Luisa Morgantini,
Achille Occhetto, Giuliano Pontara, Annamaria Rivera... alcuni dei quali ci
invieranno prossimamente un loro contributo scritto).
L'incontro di Verona dell'8 novembre presso la Casa della nonviolenza (in
via Spagna 8, dalle ore 12 alle ore 16) si preannuncia come un importante
momento di elaborazione e verifica; ci pare di poter dire fin d'ora che
intorno alla proposta di Lidia Menapace si vada coagulando una ricerca
comune, una condivisa prospettiva, che collega esperienze e riflessioni
provenienti da aree culturali e pratiche sociali diverse ma avviate a una
feconda e in certo senso anche necessitata convergenza ed interazione.
La proposta della nonviolenza come progetto politico per l'Europa.
Arieggiando quella nota massima: la nonviolenza e' un'idea nuova per
l'Europa; e l'Europa puo' diventare uno straordinario soggetto attivo della
nonviolenza.

6. TESTIMONIANZE. LUISA MORGANTINI: UNA PACIFISTA IN PALESTINA
[Ringraziamo Luisa Morgantini (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int)
per averci inviato questa sua testimonianza pubblicata nel libro Per una
storia del movimento per la pace, uscito in allegato ad alcune testate
quotidiane e periodiche.
Senza entrare nel merito di una ricostruzione rapida e fatta sul filo della
memoria e quindi necessariamente parziale e non sempre sufficientemente
approfondita, ci limitiamo qui a segnalare che l'incipit di questo articolo
non da' adeguatamente conto della situazione che porto' alla guerra dei sei
giorni del 1967, su cui si vedano almeno le pagine relative in Benny Morris,
Vittime, Rizzoli, Milano 2001, 2003; e vorremmo ricordare ai nostri lettori
che nell'esame della vicenda dello stato di Israele due elementi non possono
essere sottovalutati: duemila anni di persecuzione antisemita sfociata
nell'orrore assoluto della Shoah, e la dichiarata volonta' espressa per
decenni da vari leader governativi di paesi arabi del Medio Oriente di
distruggere "l'entita' sionista" (cioe' lo stato di Israele cui non si
riconosce neppure dignita' statuale) e di "rigettare in mare" (ovvero
sterminare) la popolazione ebraica residente in Israele. Dimenticare questo,
e tragicamente nel movimento per la pace italiano oggi come negli scorsi
decenni tale amnesia perdura ampiamente, significa non riuscire a cogliere
un aspetto assai rilevante della situazione, e questo indebolisce
l'efficacia anche del nostro impegno di solidarieta' con il popolo
palestinese. Luisa Morgantini queste cose le sa, ed infatti e' impegnata
nella solidarieta' con il popolo palestinese e con quello israeliano, con le
pacifiste e i pacifisti di entrambi i popoli, perche' due popoli possano
vivere liberi e sovrani in due stati, in pace, sicurezza e dialogo; ed e'
impegnata a sostegno delle forme di lotta nonviolente, e si oppone ad ogni
uccisione e ad ogni terrorismo, sia quello di stato, sia quello dei gruppi
armati, sia quello individuale. Sono cose note, ma sarebbe bene ripeterle
sempre per i tanti che non le sanno o che le dimenticano o che non le
capiscono, e per fare in modo che mai piu' il movimento per la pace italiano
si lasci infiltrare da loschi ed idioti figuri che ripetono infami slogan
nazisti, come purtroppo in passato - un passato anche recentissimo - e'
accaduto (peppe sini).
Luisa Morgantini, parlamentare europea e presidente della delegazione del
Parlamento Europeo al Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle
Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa
Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa
Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966
ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi
di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in
Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia,
relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la
societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal
1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel
sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima
donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione
sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni,
impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento
relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha
rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea
dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale
mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del
1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato,
ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha
fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La
meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti
progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra
cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina,
Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e
oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere
donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle
rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid
in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto
dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con
il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti
della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la
cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei
diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria,
e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni
riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto
Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e
networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con
associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del
Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In
Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione
per la pace"]
La questione palestinese, dopo i tempi dimenticati della guerra preventiva
sferrata da Israele nel giugno del '67, che ebbe come esito l'occupazione
militare della West Bank, Gaza, Golan siriano e Sinai egiziano, si e' posta
all'attenzione del mondo con l'invasione del Libano da parte dell'esercito
israeliano e la guerra civile tra le diverse fazioni libanesi. L'invasione,
chiamata "Pace in Galilea", era  guidata dal generale Ariel Sharon. La
leadership palestinese fu costretta a lasciare il Libano e le falangi
maronite, con il sostegno logistico dell'esercito israeliano, entrarono nei
campi profughi di Sabra e Shatila nel settembre del 1982, provocando un
massacro. L'orrore provocato dalla visione dei corpi mutilati dei campi
profughi dove erano rimasti solo donne, anziani e bambini, ha smosso le
coscienze di molti, comprese quelle degli israeliani che diedero vita al
movimento per la pace Peace Now.
Per me fu l'inizio di un impegno per vedere due popoli e due stati
coesistere con Gerusalemme capitale comune: Ovest capitale israeliana, Est
capitale palestinese.
Nel settembre del 1982 facevo parte della segreteria del sindacato unitario
dei metalmeccanici, la Flm, a Milano. Ero sola nella sede di via Daverio,
erano quasi tutti a vedere il campionato di calcio iniziato il 12 settembre
a Verona, ed io, disperata, ascoltavo le corrispondenze da Beirut.
Decisi di scrivere un appello anche se non sapevo molto della questione
palestinese. A quei tempi ero coinvolta, oltre che nel sindacato, nella
solidarieta' con il Nicaragua sandinista, uno straordinario laboratorio per
il cambiamento, una sfida all'imperialismo ed ai paesi di regime comunista,
fallito per l'aggressione Usa e per gli errori dei dirigenti sandinisti.
Cosa scrivere dunque? Sapevo che i palestinesi volevano una patria, ma a
quei tempi la parola patria per me era sinonimo quasi di fascismo, non osavo
usarla in un volantino, sapevo pero' che dovevano vivere ed essere liberi.
Cosi', cercando di dare un titolo all'appello scrissi: Vita, terra, liberta'
per i palestinesi. Per testo utilizzai alcune delle testimonianze rese da
Maurizio Chierici, allora corrispondente del "Corriere della Sera".
Quello slogan lo trovo ancora in molte iniziative per una pace giusta in
Palestina, il popolo palestinese non ha cessato infatti di vivere sotto
occupazione militare e disperso nella diaspora.
E' dalla tragedia di Sabra e Chatila che presero corpo in Italia iniziative
per la Palestina, senza togliere nulla ai movimenti precedenti, alla
solidarieta' del movimento studentesco, all'Unione generale degli studenti
palestinesi in Italia, al lavoro di informazione svolto dalla Fondazione
Internazionale Lelio Basso e dalla Lega internazionale per il diritto dei
popoli.
Nella Flm fummo molto attivi: mostre, solidarieta' concreta, feriti
palestinesi ospitati negli ospedali milanesi. La pubblicazione come Flm di
un libro sulle responsabilita' israeliane e il massacro in Libano curato da
Livia Rokach, una giornalista israeliana suicidatasi durante la prima
Intifadah, provoco', da parte di alcuni gruppi della comunita' ebraica, una
violenta reazione e ne chiesero il ritiro.
Nel frattempo per insistenza di Ali Rashid, allora dell'Unione studenti
palestinesi, decisi di partecipare ad Amman nel 1984  al primo incontro
dell'Olp dopo il forzato  ritiro dal Libano.
Arafat tentava di riorganizzare il Consiglio palestinese ma a
quell'appuntamento mancavano, per dissensi politici, ancora molte
organizzazioni tra le quali il Fronte Democratico e il Fronte Popolare.
Da quel momento il mio percorso individuale e collettivo nella questione
Paestina-Israele non si e' mai interrotto.
La guerra in Libano continuava.
Il nuovo assedio ai campi profughi palestinesi nel 1985, in modo particolare
nel campo di Burj El Barajni, dove chi cercava di uscire dal campo veniva
assassinato dai cecchini e la popolazione ridotta alla fame, spinse
Elisabetta Donini a lanciare un appello, apparso su "Il manifesto", per
recarsi in Libano e costruire relazioni tra le donne delle diverse parti in
conflitto. Quell'appello mise in moto un processo di coinvolgimento di
gruppi di donne italiane, femministe e non, attraverso l'esperienza di
"Visitare luoghi difficili". In Libano andammo solo in cinque, ci rendemmo
conto che il nostro progetto in quella situazione non era possibile. Intanto
si faceva sempre piu' chiaro che era dai territori occupati, dai palestinesi
che vivevano sotto occupazione, che doveva avvenire la rivolta. Cosi'
nell'agosto del 1987 con un gruppo di 73 persone, uomini e donne, organizzai
un campo di lavoro per la ristrutturazione di un asilo a Taybee, un
villaggio palestinese in Israele, e la partecipazione ad un campo estivo
dell'Universita' di Birzeit. Per la prima volta visitavo i territori
occupati, fondamentale fu l'aiuto di Marina Rossanda che ci mise in contatto
con realta' palestinesi e israeliane. L'Intifadah non era ancora iniziata,
sarebbe scoppiata nel dicembre di quello stesso anno.
Nel febbraio '88 si tenne a Bari il congresso di fondazione
dell'Associazione per la pace. Invitammo a parlare una palestinese ed
un'israeliana, fu un'innovazione per il movimento per la pace italiano che
assumeva non solo la lotta contro il nucleare, i missili, ma anche la causa
di un movimento di liberazione nella linea della nonviolenza e della
costruzione di relazioni tra le parti in conflitto.
Nell'agosto del 1988, dopo una lunga gestazione e lavoro di preparazione
come Casa delle donne di Torino, Centro documentazione di Bologna e donne
dell'Associazione per la pace, partimmo in 69 donne per Gerusalemme. Eravamo
nel pieno dell'Intifadah. Incontrammo donne palestinesi e israeliane, la
nostra sfida era di costruire relazioni tra donne nei luoghi del conflitto,
superando barriere e odi nel riconoscimento dei diritti di ciascuna.
Al ritorno, sull'esperienza delle donne in nero israeliane, iniziammo a
manifestare in silenzio e vestite di nero per dar valore al loro rifiuto
dell'occupazione militare e in solidarieta' con le donne palestinesi.
Continuava intanto l'Intifadah e la solidarieta' in Italia si faceva sempre
piu' forte.
Associazione per la pace, Arci e Acli diedero vita ad un evento
straordinario che divenne una pratica nelle guerre dell'ex-Yugoslavia: lo
chiamammo Time for Peace. Dall'Italia circa mille persone, quasi
quattrocento dal resto dell'Europa, e trentamila tra palestinesi di tutte le
organizzazioni e israeliani organizzati da Peace Now e dai movimenti
pacifisti di sinistra, circondarono le mura di Gerusalemme per chiedere due
Stati per due popoli e il riconoscimento dell'Olp.
Dico circondarono perche', pur avendo partecipato all'organizzazione
dell'evento, non avevo potuto essere presente perche' nel dicembre del 1988,
mentre accompagnavo una delegazione di sindacalisti, venni espulsa
dall'aeroporto di Tel-Aviv e potei farvi ritorno solo nel 1994 dopo
l'accordo di Oslo.
Poi la guerra nel Golfo e nella ex-Yugoslavia, l'inizio della "guerra
infinita", oltre a dissensi politici verificatisi tra i partecipanti a Time
for Peace, ridussero la mobilitazione per una pace giusta in Palestina.
Rimasero attive alcune iniziative di solidarieta' concreta, come ad esempio
"Salaam, ragazzi dell'olivo" o degli enti locali per la pace ed altri gruppi
locali.
Rimanemmo in pochi a mantenere una presenza in Palestina e Israele,
soprattutto dopo gli accordi di Oslo, quando molti pensarono che la pace
fosse oramai una realta'. Come Associazione per la pace e Donne in nero
continuammo ad organizzare i viaggi di conoscenza e solidarieta', tornando
ogni volta con la frustrazione di aver visto allontanarsi sempre di piu' la
possibilita' della fine dell'occupazione israeliana e il territorio
palestinese divorato dalla crescita degli insediamenti dei coloni.
Gli appelli che venivano da palestinesi progressiste come Faisal Hussein,
restavano inascoltati, non solo dalla comunita' internazionale, responsabile
comunque di aver lasciato sole a negoziare due forze asimmetriche: da una
parte lo Stato israeliano, che con la politica dei suoi governi sceglieva la
colonizzazione e manteneva il territorio occupato rifiutandosi di rispettare
gli accordi di Oslo, dall'altra un'Autorita' palestinese incapace o non
desiderosa di organizzare mbilitazioni di massa in opposizione alla politica
di colonizzazione e incapace di controllare le azioni di uccisione di civili
israeliani da parte dei gruppi integralisti islamici.
Lo scoppio della seconda Intifadah, da lungo annunciata ma che ha preso il
via dopo la provocatoria presenza di Sharon sulla spianata della moschea, la
ferocia della repressione israeliana, i continui attentati contro i civili
israeliani, hanno  riproposto la questione palestinese nell'agenda del
movimento.
Ancora una volta (cosi' come nella prima Intifadah) sono state le donne a
dare il via ad una presenza continua nei territori occupati. Con un appello
lanciato nell'ottobre del 2000, come Donne in nero e non solo, andammo in
Palestina per fare cio' che le Nazioni Unite dovrebbero fare e non fanno:
proteggere la popolazione civile palestinese, interporci pacificamente ai
check point, accompagnare i palestinesi alla raccolta delle olive. Un monito
ed una richiesta affinche' le Nazioni Unite decidessero una presenza
internazionale in Palestina.
Nel dicembre del 2000 con l'Associazione per la pace, le Donne in nero,
palestinesi del Centro Rapprochment di Beit Sahour, israeliani di Gush
Shalom, Women in Black e altri, organizzammo una manifestazione alla base
militare di Sheedma, a Beit Sahour, un villaggio insieme a Beit Jala
pesantemente bombardato.
Da quell'esperienza prese vita l'International Solidarity Movement. Ne
discutemmo insieme, Ghassan Andoni, direttore del Centro di Beit Sahour e
fin dalla prima Intifadah propugnatore di una lotta radicale e nonviolenta,
Neta Golan, giovane israeliana con la quale avevo condiviso le notti nelle
case di Beit Jala, ed io. Nel frattempo erano arrivati dagli Stati Uniti
alcuni volontari, poi divenuti determinanti per la crescita dell'Ism e
dell'azione di interposizione nonviolenta. Nell'estate del 2001, sull'onda
dell'esperienza di Beit Sahour, il Coordinamento delle ong palestinesi,
coordinato da Mustapha Barghouti, lancio' la campagna del movimento di base
per la protezione della popolazione civile palestinese, appello raccolto in
Italia da diverse associazioni e organizzazioni che si raccolsero sotto la
sigla Action for Peace.
Nel Natale 2001 centinaia di italiani, decine e decine di francesi,
americani, inglesi, tedeschi, spagnoli si ritrovarono nei territori occupati
dando vita a manifestazioni comuni tra palestinesi e israeliani. Le campagne
per la presenza internazionale continuarono a Pasqua 2002, dall'Italia circa
250 persone. Ci trovammo nel pieno dell'operazione "Scudo difensivo"
lanciata dall'esercito israeliano: chiusura dei territori, coprifuoco totale
nelle citta', rastrellamenti, devastazioni, bombardamenti, distruzione e
assedio della Muqata sede del presidente Arafat a Ramallah e delle
infrastrutture costruite dall'autorita' palestinese.
Noi ci dividevamo tra i check point cercando di aprirli, sapendo che
l'esercito li avrebbe richiusi ma, come ci dicevano i palestinesi, era
importante mostrare che non erano soli e che la strada per la resistenza
poteva essere nonviolenta.
Il Ministero degli Interni israeliani inizia allora l'operazione dei
volontari internazionali: decine e decine furono reimbarcati con il denied
entry, nel tentativo di lasciare i palestinesi sempre piu' soli e sempre
piu' prigionieri nei ghetti o dell'estremismo integralista.
Alla fine di giugno 2002 una grande manifestazione avrebbe dovuto essere
organizzata a Gerusalemme da una coalizione per la pace palestinese e
israeliana comprendente anche Peace Now. Dall'Italia Action for peace aveva
organizzato una forte presenza. Respinti alla frontiera i primi gruppi, si
decise di sospendere la manifestazione.
Tra un'espulsione e l'altra il movimento si e' riorganizzato. Abbiamo
ripreso ad entrare a piccoli gruppi e continua il movimento di solidarieta'.
La questione Palestina-Israele e' diventata una questione rilevante
all'interno dei social forum e nel movimento per un mondo diverso. A
Ramallah, organizzata dal coordinamento delle ong palestinesi, si e' tenuta
una delle sessioni regionali dei social forum.
L'International Solidarity Movement continua ad essere attivo. Rachel
Corrie, giovane americana, Tom Thurndall, giovane inglese, hanno pagato con
la vita la loro volonta' di pace e di nonviolenza. L'immagine di Rachel, che
cerca di fermare la distruzione di una casa palestinese davanti al
bulldozer, dovrebbe entrare nelle immagini della storia come quella del
ragazzo cinese di fronte al carro armato a Tien An Men. Quello si era
fermato, il bulldozer israeliano no.
In questo ultimo agosto 2003, la campagna dell'Ism e' rivolta a fermare la
costruzione del Muro dell'apartheid, che viene chiamato eufemisticamente
"rete di sicurezza". I palestinesi oltre a vedersi nuova terra e acqua
confiscati ed annessi ad Israele, sono interamente prigionieri all'interno
del muro, non hanno confini dai quali uscire o entrare. Rafah con l'Egitto,
il ponte Alleby con la Giordania sono tutti in  mani israeliane. L'aeroporto
di Tel Aviv e' stato interdetto ad ogni palestinese della Cisgiordania e
Gaza. I volontari internazionali, tra i quali diversi italiani, fermati
mentre cercavano di opporsi alla costruzione del muro e alla distruzione di
una casa palestinese, sono stati obbligati a firmare una dichiarazione dove
si impegnano a non recarsi nei territori occupati. I palestinesi sono sempre
piu' prigionieri ai quali vengono negate anche le visite.
E tutto cio' con la Road Map, voluta dal quartetto Europa, Russia, Onu e Usa
(sono pero' gli Usa e Sharon a dettare le condizioni), che dovrebbe vedere
la fine delle violenze e il ritiro, come prima fase, dell'esercito
israeliano alla situazione del 28 settembre 2000.
La guerra infinita di Bush e alleati, la sperticata politica del nostro
primo ministro a favore non della pace ma del governo israeliano,
necessitano di una mobilitazione vasta che comprenda un lavoro di
informazione ad ogni livello, che prema affinche' non solo i movimenti ma
anche i partiti, almeno quelli della sinistra e del centrosinistra, assumano
la soluzione di due popoli e due stati nella loro politica quotidiana. Noi
continueremo a lavorare con tutte quelle forze che, in Palestina-Israele e
nel mondo, credono nella giustizia e nel diritto all'autodeterminazione per
ogni popolo.

7. MAESTRI. DANILO DOLCI: LA SCUOLA
[Da Danilo Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Edizioni Sonda,
Torino-Milano 1988, p. 222. Danilo Dolci e' nato a Sesana (Trieste) nel
1924, arrestato a Genova nel '43 dai nazifascisti riesce a fuggire; nel '50
partecipa all'esperienza di Nomadelfia a Fossoli; dal '52 si trasferisce
nella Sicilia occidentale (Trappeto, Partinico) in cui promuove
indimenticabili lotte nonviolente contro la mafia e il sottosviluppo, per i
diritti, il lavoro e la dignita'. Subisce persecuzioni e processi.
Sociologo, educatore, e' tra le figure di massimo rilievo della nonviolenza
nel mondo. E' scomparso sul finire del 1997. Di seguito riportiamo una
sintetica ma accurata notizia biografica scritta da Giuseppe Barone
(comparsa col titolo "Costruire il cambiamento" ad apertura del libriccino
di scritti di Danilo, Girando per case e botteghe, Libreria Dante &
Descartes, Napoli 2002): "Danilo Dolci nasce il 28 giugno 1924 a Sesana, in
provincia di Trieste. Nel 1952, dopo aver lavorato per due anni nella
Nomadelfia di don Zeno Saltini, si trasferisce a Trappeto, a meta' strada
tra Palermo e Trapani, in una delle terre piu' povere e dimenticate del
paese. Il 14 ottobre dello stesso anno da' inizio al primo dei suoi numerosi
digiuni, sul letto di un bambino morto per la denutrizione. La protesta
viene interrotta solo quando le autorita' si impegnano pubblicamente a
eseguire alcuni interventi urgenti, come la costruzione di una fogna. Nel
1955 esce per i tipi di Laterza Banditi a Partinico, che fa conoscere
all'opinione pubblica italiana e mondiale le disperate condizioni di vita
nella Sicilia occidentale. Sono anni di lavoro intenso, talvolta frenetico:
le iniziative si susseguono incalzanti. Il 2 febbraio 1956 ha luogo lo
"sciopero alla rovescia", con centinaia di disoccupati - subito fermati
dalla polizia - impegnati a riattivare una strada comunale abbandonata. Con
i soldi del Premio Lenin per la Pace (1958) si costituisce il "Centro studi
e iniziative per la piena occupazione". Centinaia e centinaia di volontari
giungono in Sicilia per consolidare questo straordinario fronte civile,
"continuazione della Resistenza, senza sparare". Si intensifica, intanto,
l'attivita' di studio e di denuncia del fenomeno mafioso e dei suoi rapporti
col sistema politico, fino alle accuse - gravi e circostanziate - rivolte a
esponenti di primo piano della vita politica siciliana e nazionale, incluso
l'allora ministro Bernardo Mattarella (si veda la documentazione raccolta in
Spreco, Einaudi, Torino 1960 e Chi gioca solo, Einaudi, Torino 1966). Ma
mentre si moltiplicano gli attestati di stima e solidarieta', in Italia e
all'estero (da Norberto Bobbio a Aldo Capitini, da Italo Calvino a Carlo
Levi, da Aldous Huxley a Jean Piaget, da Bertrand Russell a Erich Fromm),
per tanti avversari Dolci e' solo un pericoloso sovversivo, da ostacolare,
denigrare, sottoporre a processo, incarcerare. Ma quello che e' davvero
rivoluzionario e' il suo metodo di lavoro: Dolci non si atteggia a guru, non
propina verita' preconfezionate, non pretende di insegnare come e cosa
pensare, fare. E' convinto che nessun vero cambiamento possa prescindere dal
coinvolgimento, dalla partecipazione diretta degli interessati. La sua idea
di progresso non nega, al contrario valorizza, la cultura e le competenze
locali. Diversi libri documentano le riunioni di quegli anni, in cui
ciascuno si interroga, impara a confrontarsi con gli altri, ad ascoltare e
ascoltarsi, a scegliere e pianificare. La maieutica cessa di essere una
parola dal sapore antico sepolta in polverosi tomi di filosofia e torna,
rinnovata, a concretarsi nell'estremo angolo occidentale della Sicilia. E'
proprio nel corso di alcune riunioni con contadini e pescatori che prende
corpo l'idea di costruire la diga sul fiume Jato, indispensabile per dare un
futuro economico alla zona e per sottrarre un'arma importante alla mafia,
che faceva del controllo delle modeste risorse idriche disponibili uno
strumento di dominio sui cittadini. Ancora una volta, pero', la richiesta di
acqua per tutti, di "acqua democratica", incontrera' ostacoli d'ogni tipo:
saranno necessarie lunghe battaglie, incisive mobilitazioni popolari, nuovi
digiuni, per veder realizzato il progetto. Oggi la diga esiste (e altre ne
sono sorte successivamente in tutta la Sicilia), e ha modificato la storia
di decine di migliaia di persone: una terra prima aridissima e' ora
coltivabile; l'irrigazione ha consentito la nascita e lo sviluppo di
numerose aziende e cooperative, divenendo occasione di cambiamento
economico, sociale, civile. Negli anni Settanta, naturale prosecuzione del
lavoro precedente, cresce l'attenzione alla qualita' dello sviluppo: il
Centro promuove iniziative per valorizzare l'artigianato e l'espressione
artistica locali. L'impegno educativo assume un ruolo centrale: viene
approfondito lo studio, sempre connesso all'effettiva sperimentazione, della
struttura maieutica, tentando di comprenderne appieno le potenzialita'. Col
contributo di esperti internazionali si avvia l'esperienza del Centro
Educativo di Mirto, frequentato da centinaia di bambini. Il lavoro di
ricerca, condotto con numerosi collaboratori, si fa sempre piu' intenso:
muovendo dalla distinzione tra trasmettere e comunicare e tra potere e
dominio, Dolci evidenzia i rischi di involuzione democratica delle nostre
societa' connessi al procedere della massificazione, all'emarginazione di
ogni area di effettivo dissenso, al controllo sociale esercitato attraverso
la diffusione capillare dei mass-media; attento al punto di vista della
"scienza della complessita'" e alle nuove scoperte in campo biologico,
propone "all'educatore che e' in ognuno al mondo" una rifondazione dei
rapporti, a tutti i livelli, basata sulla nonviolenza, sulla maieutica, sul
"reciproco adattamento creativo" (tra i tanti titoli che raccolgono gli
esiti piu' recenti del pensiero di Dolci, mi limito qui a segnalare Nessi
fra esperienza etica e politica, Lacaita, Manduria 1993; La struttura
maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1996; e Comunicare,
legge della vita, La Nuova Italia, Scandicci (Fi) 1997). Quando la mattina
del 30 dicembre 1997, al termine di una lunga e dolorosa malattia, un
infarto lo spegne, Danilo Dolci e' ancora impegnato, con tutte le energie
residue, nel portare avanti un lavoro al quale ha dedicato ogni giorno della
sua vita". Tra le molte opere di Danilo Dolci, per un percorso minimo di
accostamento segnaliamo almeno le seguenti: una antologia degli scritti di
intervento e di analisi e' Esperienze e riflessioni, Laterza, Bari 1974; tra
i libri di poesia: Creatura di creature, Feltrinelli, Milano 1979; tra i
libri di riflessione piu' recenti: Dal trasmettere al comunicare, Sonda,
Torino 1988; La struttura maieutica e l'evolverci, La Nuova Italia, Firenze
1996. Tra le opere su Danilo Dolci: Giuseppe Fontanelli, Dolci, La Nuova
Italia, Firenze 1984; Adriana Chemello, La parola maieutica, Vallecchi,
Firenze 1988 (sull'opera poetica di Dolci); Antonino Mangano, Danilo Dolci
educatore, Edizioni cultura della pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1992;
Giuseppe Barone, La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo critico
di Danilo Dolci, Libreria Dante & Descartes, Napoli 2000]
Ove non ci siano veri educatori, la scuola non risulta meno nociva di altre
guerre.

8. INIZIATIVE. ALCUNI INCONTRI DI PACE
A Torino, in novembre
Mir e Movimento Nonviolento un breve ciclo di tre incontri per offrire a
ciascuno un approfondimento e l'opportunita' attraverso piccole ma coerenti
scelte di operare nella direzione del ripudio della guerra.
- Giovedi' 6 novembre, ore 21: "Banche armate": quali sono le banche che
finanziano l'industria bellica, perche lo fanno, cosa provocano; interverra'
Claudio Pedrocchi.
- Giovedi' 20 novembre, ore 21: Scelte di economia nonviolenta per
contrastare le politiche di guerra, interverra' Andrea Saroldi.
Gli incontri si terranno presso il Centro Studi Sereno Regis, via Garibaldi
13, 10122 Torino, per informazioni: tel. 011532824.
*
A Viterbo, il 7-8 novembre
L'associazione Viterbo con amore, in collaborazione con l'associazione
Comunita' papa Giovanni XXIII, con il patrocinio della Regione Lazio,
dell'Amministrazione provinciale di Viterbo, del Comune di Viterbo, della
Camera di commercio di Viterbo e dell'Universita' degli studi della Tuscia,
presenta "la pace e il dialogo non sono un'utopia", a Viterbo il 7-8
novembre 2003. Partecipano: mons. Lorenzo Chiarinelli, don Alberto Canuzzi,
Miguel Alvarez, don Maurizio Boa, padre Alex Zanotelli, rappresentanti di
Christian Peacemaker Teams, don Lush Gjergji, Alberto Capannini, mons.
Giorgio Biguzzi, mons. Samuel Ruiz Garcia, don Oreste Benzi, don Albino
Bizzotto.
*
A Verona, l'8 novembre
Presso la Casa per la nonviolenza, in via Spagna 8, si terra' l'incontro con
Lidia Menapace, Mao Valpiana e tante altre e tanti altri sulla proposta "per
un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta".

9. RIFERIMENTI. ALCUNE RIVISTE UTILI
- "A. Rivista anarchica", n. 293, ottobre 2003: sempre una delle migliori
riviste di politica e cultura. Per contatti: e-mail: arivista@tin.it, sito:
www.anarca-bolo.ch/a-rivista
- "Adesso", n. 29, estate 2003: monografico su "L'altrAmerica" questo
fascicolo del bel trimestrale di approfondimento sociale, civile e culturale
promosso dall'associazione "Sulla strada". Per contatti: e-mail:
adesso@reteblu.org, sito: www.reteblu.org/adesso
- "Amici dei lebbrosi", n. 10, ottobre 2003: una lettura sempre utile il
mensile dell'Associazione italiana amici di Raoul Follereau. Per contatti:
info@aifo.it, sito: www.aifo.it
- "Azione nonviolenta", n. 10, ottobre 2003: la rivista mensile fondata da
Aldo Capitini nel 1964 e' un punto fermo della riflessione e dell'impegno
nonviolento. E' ora di rinnovare l'abbonamento (o di abbonarsi per la prima
volta). Per contatti: e-mail: azionenonviolenta@sis.it, sito:
www.nonviolenti.org
- "Il foglio. Mensile di alcuni cristiani torinesi", anno XXXIII, n. 8,
ottobre 2003: da leggere dalla prima all'ultima riga, una delle cose buone
della vita. Per contatti: e-mail: antonello.ronca@libero.it, sito:
www.ilfoglio.org
- "Koinonia", n. 10, ottobre 2003, pp. 48: un luogo di incontro e di
riflessione promosso dall'associazione omonima. Per contatti: koinoni@tin.it
- "Limes. Rivista italiana di geopolitica": sempre interessante il
bimestrale diretto da Lucio Caracciolo, e non di rado gli articoli sono di
notevole qualita' anche quando sostengono tesi incondivisibili.
- "L'incontro", n. 7, settembre 2003: il periodico sempre impegnato per la
pace e i diritti umani, la liberta' di coscienza, la legalita'. Per
contatti: linc@marte.aerre.it
- "Madrugada", n. 51, settembre 2003: la bellissima rivista trimestrale
dell'associazione Macondo per l'incontro e la comunicazione tra i popoli.
Per contatti: e-mail: posta@macondo.it, sito: www.macondo.it
- "Messaggero cappuccino", n. 5, settembre-ottobre 2003: sempre
appassionante il bel bimestrale dei cappuccini bolognesi e romagnoli. Per
contatti: e-mail: fraticappuccini@imolanet.com, sito:
www.imolanet.com/fraticappuccini
- "Micromega", n. 4/2003, pp. 288, euro 12: come sempre molte cose utili e
non poche discutibili, e- purtroppo - la solita pressoche' assoluta
ignoranza della nonviolenza che affligge l'intellettualita' di questo paese.
Da leggere comunque, e da apprezzare per l'impegno contro l'illegalita' al
potere.
- "Nicarahuac. Nicaragua e dintorni", bollettino bimestrale
dell'Associazione Italia-Nicaragua. Per contatti: e-mail: itanica@iol.it,
sito: www.itanica.org
- "Nigrizia", n. 10, ottobre 2003: il mensile dell'Africa e del mondo nero,
una fonte di informazione, documentazione, riflessione di straordinaria
utilita'. Per contatti: e-mail: redazione@nigrizia.it, sito: www.nigrizia.it
- "Notiziario CDP", n. 183, maggio-giugno 2003: questo fascicolo della
rivista del Centro di documentazione di Pistoia contiene un ampio saggio di
Dario Paccino, Il padrone - l'apocalisse. Per contatti: giorlima@tin.it
- "Obiezione!", n. 50, luglio-settembre 2003: l'utilissimo trimestrale
d'informazione su obiezione di coscienza, servizio civile, pace e
nonviolenza promosso dal gruppo ticinese per il servizio civile. Per
contatti: obiezione@serviziocivile.ch, sito: www.serviziocivile.ch
- "Quaderni" del Fondo Moravia, n. 1/2003, pp. 240. Una miniera di
materiali. Per contatti: e-mail: fondoalbertomoravia@tiscalinet.it, sito:
www.fondoalbertomoravia.it
- "Qualevita" n. 104, ottobre 2003: sempre utilissimo l'ottimo "bimestrale
di riflessione e informazione nonviolenta", e sostenerlo e' un dovere per
tuti gli amici della nonviolenza. Per contatti: e-mail: sudest@iol.it, sito:
www.peacelink.it/users/qualevita
- "Segno", nn. 247-248, luglio-agosto 2003, pp. 116. L'ottima rivista
palermitana diretta da padre Nino Fasullo, una lettura indispensabile. Per
contatti: rivistasegno@libero.it
- "UCT. Uomo - citta' - territorio", nn. 332-333, agosto-settembre 2003:
sempre interessante la bella rivista trentina. Per contatti: e-mail:
gruppo.uct@tin.it, sito: www.edizioniuct.it
- "Viator. Un mondo nuovo e' necessario", n. 10, ottobre 2003: ricco di
materiali e prezioso di meditazioni il bel mensile indipendente di
ispirazione cristiana. Per contatti: www.viator.it

10. LETTURE. EMANUELE ARIELLI, GIOVANNI SCOTTO: CONFLITTI E MEDIAZIONE
Emanuele Arielli, Giovanni Scotto, Conflitti e mediazione, Bruno Mondadori,
Milano 2003, pp. XII + 212, euro 18. Edizione ampliata e aggiornata della
monografia su I conflitti pubblicata nel '98. Un libro di notevole utilita'
che raccomandiamo vivamente a tutte le persone che si occupano di conflitti
e mediazione sia nell'ambito interpersonale che in quello sociale e
politico, sia locale che internazionale.

11. LETTURE. LUCIANO BERTOZZI: I BAMBINI SOLDATO
Luciano Bertozzi, I bambini soldato, Emi, Bologna 2003, pp. 192, euro 10. Un
importante studio di denuncia dell'orribile situazione attuale di barbaro
sfruttamento dei bambini nelle guerre, e di indicazione del ruolo della
societa' civile e delle istituzioni internazionali affinche' questo orrore
cessi; uno strumento di documentazione e una proposta di impegno che
vivamente raccomandiamo.

12. LETTURE. MARIO LANCISI: ALEX ZANOTELLI
Mario Lancisi, Alex Zanotelli, Piemme, Casale Monferrato (Al) 2003, pp. 230,
euro 12,90. Un bel libro con e su padre Zanotelli, una delle voci piu' vive
dell'impegno nonviolento per  la pace e l'umana dignita'; Mario Lancisi e'
il benemerito autore di vari (e rilevanti) libri su don Milani. Con
un'intervista a Gherardo Colombo.

13. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

14. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 712 del 25 ottobre 2003