[Date Prev][Date Next][Thread Prev][Thread Next][Date Index][Thread Index]

La nonviolenza e' in cammino. 706



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 706 del 17 ottobre 2003

Sommario di questo numero:
1. Soldadito boliviano
2. Maria G. Di Rienzo: a lorsignori, sulla nonviolenza (con tre nitidi
esempi)
3. Sergio Paronetto: la scelta liberante della nonviolenza
4. Giacomo Debenedetti: 16 ottobre 1943
5. Gennaro B. Scivoletti: sulla proposta di Lidia Menapace
6. Augusto Cavadi: dal sud al sud per uno sviluppo autocentrato e liberante
7. "Ebrei europei per una pace giusta": solidarieta' ai piloti israeliani
refusenik
8. Fermare il muro della segregazione
9. Enrico Peyretti: la scelta della convivenza e della pace
10. Elena Loewenthal: la necessita' della convivenza e della pace
11. Alcuni incontri di pace
12. Dovuto a Odibi'
13. Letture: Manuela Dviri, La guerra negli occhi
14. Letture: Dacia Maraini, Anna Salvo, Silvia Vegetti Finzi (a cura di
Maddalena Tulanti), Madri e figlie. Ieri e oggi
15. Riletture: Johan Galtung, Palestina-Israele: una soluzione nonviolenta?
16. Riletture: David Grossman, La memoria della Shoah
17. Riletture: Amos Oz, Il senso della pace
18. Riletture: Edward W. Said, La convivenza necessaria
19. La "Carta" del Movimento Nonviolento
20. Per saperne di piu'

1. EDITORIALE. SOLDADITO BOLIVIANO
Trasmettono, i mezzi d'informazione di massa, le immagini e i volti dei
minatori boliviani in lotta per i diritti umani di tutti gli esseri umani; e
trasmettono le immagini e i volti dei militari boliviani addetti alla
repressione per conto dei vampiri della borghesia compradora e del capitale
transnazionale.
Sono gli stessi volti di indios, gli stessi volti di esseri umani impauriti
e segnati dalla fatica, dall'umiliazione, dalla sofferenza.
Che non sparino i soldati sui loro padri e le loro madri, sulle sorelle e su
i fratelli loro.
E che non si resti in silenzio noi, e si chieda alle istituzioni del nostro
paese, europee, internazionali, di intervenire sulle istituzioni dello stato
boliviano perche' le stragi cessino, perche' esse istituzioni difendano e
non opprimano il popolo di cui dovrebbero essere espressione.

2. EDITORIALE. MARIA G. DI RIENZO: A LORSIGNORI, SULLA NONVIOLENZA (CON TRE
NITIDI ESEMPI)
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo intervento. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici
di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista,
giornalista, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto
rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento
di Storia Economica dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel
movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta'
e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Dicono lorsignori: "I nonviolenti non vogliono che si combatta in armi. Non
vogliono neppure che ci si metta caschi e scudi quando si manifesta e che si
faccia una  bella sceneggiata concordata con le forze dell'ordine. Rompono
le scatole a chi tira letame e petardi alla polizia, 'sti quattro moralisti.
Ma il Male (il nazismo, il fascismo, i terroristi, l'impero) invece
combatte, e questi non vogliono che noi ci si difenda: quindi, vogliono la
morte di migliaia di persone, che potrebbero salvarsi se combattessero, e
percio' i nonviolenti sono 'oggettivamente' dei fiancheggiatori del Male".
Signore/i, questa e' logica da fichi secchi (volevo dire da quattro soldi,
ma mi sono resa conto che anche quattro soldi erano un valore eccessivo)
partorita da cervelli ignoranti (nel senso che ignorano tutto della
nonviolenza) e incastrata nel pensiero dominante: quello o/o, buono/cattivo,
amico/nemico, alto/basso, ecc., oltre che nella mistica dell'eroe e della
"violenza redentrice". E' il responso combatti o fuggi, senza alternative,
un errore che l'umanita' sta ripetendo atrocemente da troppo tempo.
La nonviolenza non entra in questa cornice perche' e' una cornice
differente, in cui non si combatte in armi e non si fugge. Si lotta con
molta determinazione, accettando la propria sofferenza ma non intendendo
infliggere sofferenza ad altri (e mi pare che proprio di questo voi critici
della nonviolenza siate avidi), si aprono e gestiscono conflitti, si accetta
la fatica e la trasformazione, personale e collettiva, che questo comporta,
si e' creativi, lucidi e attenti, e ci si diverte persino.
Avete a disposizione, ormai, una vasta letteratura su cosa sia e come agisca
la nonviolenza: informatevi, prima di parlarne. Se poi non vi piace,
pazienza. Se preferite continuare a vedere noi attiviste/i nonviolenti come
passivi e non resistenti eccetera, dubito della vostra buona fede, ma siete
libere/i di farlo.
Lo so, identificate la nonviolenza con quei "poveri visionari" di Gandhi e
Gesu' Cristo, disgraziati utopisti che hanno solo cambiato il mondo, e visto
che voi siete fortemente laici/laiche non potete avere commistione con
niente che parli alla coscienza, allo spirito, ai sentimenti ed alle
emozioni: siete voi a perderci, ma anche qui e' una scelta vostra.
*
Inoltre, ritengo che oltre a non sapere nulla della nonviolenza sappiate
anche ben poco di Cristo. Faro' di seguito riferimento alla sua figura, per
spiegarmi, perche' e' un modello, e ormai un archetipo, piu' vicino alla
nostra cultura di quanto lo sia Gandhi, sebbene io non sia ne' cattolica ne'
cristiana.
Il suo insegnamento nonviolento e' stato confuso, di proposito o meno, con
la passivita', la quale e' esattamente il contrario della nonviolenza.
Gesu' disse piu' o meno: "Avete udito che fu detto: Occhio per occhio e
dente per dente. Ma io vi dico (...) se qualcuno vi colpisce sulla guancia
destra, offritegli l'altra; se qualcuno vi cita in giudizio per avere il
vostro abito, dategli anche la sottoveste; e se qualcuno delle truppe di
occupazione vi forza a portare un bagaglio per un miglio, voi portatelo per
due".
Ho citato a memoria, ma confrontate pure con il Vangelo di Matteo.
Bene, cosa abbiamo qui? Mi direte: "Una resa vile e supina: se sei una donna
e tuo marito ti colpisce sulla guancia, offrigli l'altra, lascia che ti
faccia a pezzi; e se vogliono il tuo abito, daglieli tutti, rinuncia
piamente a far valere le tue ragioni; e ancora, se un soldato romano ti
impone di portare il suo sacco per un miglio tu, come un perfetto imbecille,
portaglielo per due: non resistere al male".
Ma Gesu' ha resistito, eccome, al male: perche' pensiamo ci suggerisca di
comportarci in tutt'altro modo?
La parola greca tradotta come "resistere" (antistenai) significa
letteralmente "stare" (stenai) "contro" (anti) ed e' un termine usato per la
guerra. Quando due eserciti si fronteggiano, questo e' il termine che viene
usato per descrivere la situazione. Una traduzione corretta (e alcune
versioni dei Vangeli ormai la usano) sarebbe: "Non reagire con la violenza
contro il malvagio", ovvero non essere il suo specchio, non mimare quello
che lui fa, non diventare come lui.
Gesu' non sta dicendo di arrendersi, sta dicendo di non agire in modo
violento.
E per spiegarsi bene fa tre esempi.
*
Il primo e' quello arcinoto della guancia. Qualcuno si figura la scena come
un pugno o uno schiaffo dato con la mano destra: ma se cosi' fosse,
colpirebbe la guancia sinistra, e Gesu' e' molto preciso: "se qualcuno vi
colpisce sulla guancia destra". Immaginarsi che qualcuno colpisca con la
sinistra non va neppure bene, perche' nella cultura dell'epoca la sinistra
era vista come impura, e persino gesticolare con essa era fonte di vergogna.
Gesu' sta descrivendo qualcuno che colpisce una guancia destra con il dorso
della mano destra. E questo non era, nella sua cultura, un colpo dato per
ferire. Era simbolico.
Il messaggio che tale schiaffo veicola e' chiaro: non sei nessuno, abbassa
la cresta, staí zitto/a. Era inteso per umiliare, per rimettere l'inferiore
al suo posto: veniva dato dal padrone allo schiavo, dal marito alla moglie,
dal genitore al figlio, o da un romano ad un ebreo. Ed e' a costoro in
pericolo di essere colpiti cosi', che Gesu' parla: offrendo all'offensore la
guancia sinistra, essi lo mettono in una situazione difficile. Non puo'
ripetere il manrovescio con la destra e, come abbiamo detto, non puo' usare
la sinistra. Potrebbe usare un pugno, ma a pugni si fa tra eguali, e
l'ultima cosa che un padrone vuole pensare e' che lo schiavo sia suo eguale.
Naturalmente puo' far fustigare lo schiavo a morte, probabilita' che si
alzerebbe in modo considerevole qualora lo schiavo gli tornasse il ceffone,
ma un punto e' stato irrevocabilmente fissato, e in termini assai chiari.
L'"inferiore" ha detto, porgendo la guancia sinistra: "Non accetto un
trattamento simile. Sono tuo/a eguale", e si e' rifiutato di ricevere
ulteriori umiliazioni. Questa non e' sottomissione: e' sfida.
E' la sfida che innumerevoli persone, in tutto il mondo, hanno posto
raccogliendo il coraggio nelle loro mani nude, e resistendo in modo
nonviolento a chi li trattava anche molto peggio di cosi'.
*
Il secondo esempio riguarda il debito, un problema sociale oneroso nella
Palestina del primo secolo. I benestanti dell'impero romano cercavano modi
per evitare le tasse: uno dei quali era comprare terre nelle periferie
dell'impero stesso. Ma i poveri non volevano vendere. (Lo so, vi sembra un
film dei nostri giorni: il dominio e' noioso, l'ho scritto altre volte, si
ripete. Il male e' prevedibile e scontato, e banale, come disse Hannah
Arendt) Allora i ricchi alzavano i tassi d'interesse, e quando i poveri non
potevano pagarli, venivano loro sequestrati dapprima i beni mobili, poi le
terre, e infine persino gli indumenti che portavano addosso.
E' di questa situazione che Gesu' parla. Attenti, dice, non potete vincere
in giudizio (siamo in un paese occupato militarmente, e l'amministrazione
della giustizia e' nelle mani degli occupanti). Ma c'e' qualcosa che potete
fare: quando vi chiedono la sopraveste, date loro anche il resto. Era tutto
cio' che la gente dell'epoca indossava: restate nudi, dice loro Gesu'. E
all'epoca, in Palestina, la nudita' non portava vergogna a chi restava nudo,
ma a quelli a cui la nudita' veniva mostrata, che di tale nudita' erano
responsabili (confrontate con la storia di Noe' nella Genesi).
Gesu' non sta chiedendo a chi viene defraudato di sottomettersi ad
un'ulteriore indegnita'. Sta invitando alla lotta nonviolenta. Immaginatevi
il debitore che entra nudo nella sala delle udienze. Ovviamente gli si
domandera' perche' si presenta cosi': "Il mio creditore ha tutte le mie
vesti". Immaginatevi la gente che si raccoglie attorno a lui nel suo cammino
verso il tribunale, immaginate la faccia dei giudici, o del creditore su cui
e' stata gettata questa vergogna...
Gesu' ha suggerito di usare il momento topico del trionfo dell'oppressore
per rovesciare la situazione, e fare di quest'ultimo lo zimbello della
comunita'.
*
Il terzo esempio si riferisce all'"angeria" (da cui il nostro termine
"angheria"), ovvero alla legge che permetteva ad un soldato romano di
forzare un civile a portare il suo bagaglio, il quale aveva un peso massimo
stabilito (circa 20/23 chili). La legge stabiliva anche che tale bagaglio
poteva essere trasportato dal civile solo per un miglio. Se il soldato
doveva percorrerne due, al termine del primo doveva "usare" un secondo
civile.
Se al termine del primo miglio il portatore si rifiuta di abbandonare il
bagaglio, voi capite bene che ad essere messo nei guai e' il soldato romano.
*
Ma torniamo a noi: nel 1989-1990 in quattordici nazioni un miliardo e
settecentomila individui si sono impegnati in lotte nonviolente: tutte
vincenti tranne una (in Cina).
Durante il ventesimo secolo, ad essere impegnati in tali lotte sono stati
tre miliardi e quattrocentomila individui.
Mi pare di avere parecchio sostegno intorno, se dico che la violenza non
funziona, che non puo' salvarci da alcunche', e che solo spazzandola via dal
nostro orizzonte potremo avere un futuro.
Inoltre, vi invito a fare lo sforzo di distinguere fra "forza" e "violenza":
con la forza della nonviolenza tento di impedire che vengano inflitte
ingiustizia e sofferenza, la violenza e' invece un atto deliberato inteso ad
infliggerle.
Potete scegliere, ma smettete per cortesia di fingere che la vostra sia una
scelta obbligata.

3. EDITORIALE. SERGIO PARONETTO: LA SCELTA LIBERANTE DELLA NONVIOLENZA
[Ringraziamo Sergio Paronetto (per contatti: paxchristi_paronetto@yahoo.com)
per questo acuto intervento, estratto da una lettera personale che ha avuto
la bonta' di trasmetterci. Sergio Paronetto e' impegnato nel movimento di
Pax Christi ed in molte iniziative di pace e di solidarieta']
Scrive in un intervento su "La Repubblica" (23 luglio 2001) un noto
giovanotto dopo i fatti di Genova: "lanciare i sassi per fermare un inferno
mi sembra legittimo". Pochi giorni dopo, sempre su "La Repubblica", egli
dichiara: "rivendico di aver fatto le barricate a Genova... Si', e' vero, le
tute bianche hanno partecipato alla guerriglia che si e' scatenata nel
pomeriggio di venerdi' 20 luglio... e sabato non erano piu' soltanto i black
bloc a tirare sassi, ma migliaia di persone".
A mio parere, queste frasi contengono non solo un misto di ingenuita' e di
irresponsabilita' ma rivelano disponibilita' a tollerare e a usare
violenza...
Il linguaggio che adoperiamo conta molto. Noi esseri umani siamo un
colloquio, scrive un filosofo.
E' giusto dire: parliamo al movimento, diciamo come la pensiamo, usciremo
dai cortei se si verificassero fatti violenti... Ma lo sento un discorso
parziale.
Secondo me, le  iniziative del popolo della pace non devono logorarsi
nell'inseguire tutti i vertici mondiali o nella ripetizione quantitativa ed
esclusiva di atti di folla, di colpi mediatici... Devono valorizzare la
formazione personale, comunitaria e collettiva, cioe' il lavoro di base e di
profondita'.
E', quindi, necessario irrobustire e qualificare i nodi locali della rete
Lilliput o i "punti pace" delle proprie associazioni. Farne emergere
l'originalita'. Metterne in gioco relazionale le diversita'.
Per evitare trappole mediatiche, e' decisivo stare il piu' possibile a
contatto diretto con la popolazione, misurarsi con quello che pensano i
"lontani", coinvolgere cittadini e operatori dei vari settori, delle aree
tematiche in discussione. Non penso sia nostra intenzione limitarsi a urlare
contro i grandi. O parlare ai "vicini", ai gia' convinti. O litigare con
eventuali "concorrenti" oltranzisti, affetti dalla sindrome di scavalcamento
"a sinistra" o pronti a usare il movimento per rifondarsi o rilanciarsi in
improbabili egemonie di partito (ognuno svolga la sua azione nel rispetto
delle identita' e dei ruoli).
I nostri interlocutori o alleati non possono essere soltanto le persone o i
gruppi gia' attivi ma "gli uomini di buona volonta'", le associazioni di
vario orientamento, le parrocchie e le realta' ecclesiali, il mondo della
scuola, della cultura e dell'informazione, i produttori e i consumatori, gli
sportivi, gli artisti, i bambini e le bambine, i giovani e le giovani, i
sani e gli ammalati, i neonati e gli anziani. Anche i poliziotti, i
carabinieri, i soldati. Anche gli indifferenti e gli "avversari". Il popolo
dei cittadini.
*
A mio parere, occorre moltiplicare i luoghi della comunicazione dentro e
vicino ai luoghi della vita quotidiana.
L'azione per la pace e' ricerca di comunicazione e di persuasione. Non si
tratta di rifiutare pregiudizialmente la grande piazza o la grande sfilata,
ma ipotizzare cento piazze mobilitate, cento sfilate decentrate. Cento
citta' attive. Cento piazze tematiche. I laboratori della pace. La fantasia
della nonviolenza e' feconda.
E' bene riscoprire anche il silenzio attivo.
Ricordo, ad esempio, la testimonianza della "rete internazionale di
solidarieta' femminile" contro ogni militarismo, della rete delle "Donne in
nero" presente in vari paesi balcanici, mediterranei ed europei.
Stimolanti possono essere le cosiddette Veglie di riflessione, di
contemplazione, di preghiera o di dialogo ecumenico e interreligioso (come
la giornata del dialogo cristiano-islamico di fine novembre).
Cosi' pure momenti di musica, di teatro, di spettacolo, di poesia. Gli spazi
di festa.
In alcune citta' si stanno sperimentando modi chiari e miti di manifestare,
comprese le biciclettate.
Peyretti, tra l'altro, proponeva di camminare in fila indiana sui
marciapiedi, non disturbare traffico e passanti, portare sul corpo cartelli
semplici e chiari o distribuire volantini, partendo da vari luoghi e
confluendo in un punto (si puo', cosi', comunicare direttamente con tanta
gente che non vede mai manifestazioni "pacifiste" o e' condizionata da
pregiudizi; si pone in primo piano la parola dialogica, amica del silenzio
operoso).
*
Per quanto riguarda le grandi manifestazioni, penso che in fase di
preparazione si possa certamente discutere con molti, anche con chi appare
ambiguo. Nello svolgimento delle  manifestazioni pubbliche, pero', deve
emergere l'etica della responsabilita'. Deve agire una sorta di  patto
costituzionale.
Perche' si impongano le ragioni delle proteste e delle proposte, deve
prendere corpo la scelta liberante della nonviolenza come proposta autonoma.
Se non come cultura o filosofia, almeno come metodo e stile. La trasparenza
della pace vuole che tutti siano a viso scoperto (e che portino, magari,
visibile un cartellino di identificazione personale).
All'opinione pubblica, spesso confusa e manipolata, devono arrivare messaggi
limpidi e coinvolgenti. La comunicazione nonviolenta deve essere, insegna
Gandhi, tenera come il bocciolo di un fiore (aperta, relazionale, atta a
suscitare "sim-patia") ma dura come il diamante (chiara, robusta,
determinata nel merito e nel metodo, inequivocabile).
*
Con uno spirito di nonviolenza radicato nel profondo, al limite e' possibile
organizzare le iniziative piu' audaci o  le imprese piu' impegnative.
Si puo' occupare il palazzo di una multinazionale senza toccare un oggetto,
senza buttare una carta, senza lanciare un insulto. Si puo' entrare in un
luogo "proibito" senza colpire nessuno, senza calpestare un fiore. Se si
venisse "bastonati", sarebbe possibile osare la francescana "perfetta
letizia".
La protesta piu' energica per abusi e repressioni potrebbe accompagnarsi
allo spirito di per-dono, cioe' all'iniziativa gratuita e autonoma che
moltiplica gesti positivi.
L'indignazione piu' forte per le derive autoritarie ma, soprattutto, per
l'aggravarsi delle ingiustizie, delle oppressioni e delle guerre, potrebbe
sposarsi alla fiducia nella possibilita', comunque, di comunicare, di
scuotere le coscienze, di cambiare.
*
L'amico della nonviolenza dovrebbe seminare fiducia.
Non lasciarsi travolgere dal senso di persecuzione o dalla sindrome di
impotenza davanti ai drammi dell'umanita'. Per superare il "monoteismo
politico" del neoliberismo e il fondamentalismo del mercato armato, egli
mette al centro la relazione di interdipendenza. Non insegue i propri
fantasmi. Afferma un nuovo paradigma di relazioni vitali a partire dagli
ultimi. Si prende a cuore non solo e non tanto gli eventuali colleghi (di
manifestazione), ma le sofferenze e le gioie dei deboli, degli impoveriti,
degli oppressi. Si prende cura delle vittime (e di se stesso). Cerca di
portare su di se' il male del mondo (che e' anche il suo male). E' paziente
e ribelle.
Per amore. "Solo per amore".

4. MAESTRI. GIACOMO DEBENEDETTI: 16 OTTOBRE 1943
[Da Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943, in Idem, 16 ottobre 1943. Otto
ebrei, Il Saggiatore, Milano 1973 (IV volume delle Opere di Giacomo
Debenedetti), pp. 51-52 (e' un frammento minimo di un testo che abbiamo
letto e riletto e vorremmo che tutti tutto leggessero; pubblicato per la
prima volta nel 1944). Giacomo Debenedetti, nato a Biella nel 1901, deceduto
a Roma nel 1967, saggista e docente universitario, una delle figure piu'
limpide della cultura italiana del Novecento, maestro di umanita'. Tra le
opere di Giacomo Debenedetti segnaliamo particolarmente i due opuscoli 16
ottobre 1943, e Otto ebrei, riediti in unico volume nelle Opere di Giacomo
Debenedetti, dal Saggiatore, Milano 1973; ma tanto i suoi saggi quanto le
sue lezioni universitarie sono letture indimenticabili; segnaliamo almeno le
tre serie dei Saggi critici (1929, 1945, 1959); Intermezzo (1963); Il
personaggio uomo (1970); Il romanzo del Novecento (1971); Poesia italiana
del Novecento (1974); Rileggere Proust (1982). Opere su Giacomo Debenedetti:
Cesare Garboli (a cura di), Giacomo Debenedetti, Il Saggiatore, Milano 1968;
Angela Borghesi, La lotta con l'angelo, Marsilio, Venezia 1989]
Senza dubbio ci fu gente piu' consapevole, che subito si rese conto di
quello che stava capitando.

5. RIFLESSIONE. GENNARO B. SCIVOLETTI: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
[Ringraziamo Gennaro Scivoletti per questo intervento. Gennaro Scivoletti e'
cultore di studi storici e giuridici; collabora col "Centro di ricerca per
la pace" di Viterbo]
Nella pagina conclusiva dell'edizione 1991 de Il futuro della democrazia,
Norberto Bobbio descrive il seguente circolo vizioso: "Gli stati potranno
diventare tutti democratici soltanto in una societa' internazionale
compiutamente democratizzata. Ma una societa' internazionale compiutamente
democratizzata presuppone che tutti gli stati che la compongono siano
democratici. L'adempimento di un processo e' ostacolato dall'inadempimento
dell'altro".
Ma subito dopo aggiunge, e sono le parole con cui il libro si conclude:
"Ciononostante il numero degli stati democratici e' andato aumentando, e il
processo per la democratizzazione della societa' internazionale e' stato
ormai avviato. Il che puo' far pensare che le due tendenze, anziche'
ostacolarsi, si corroborino a vicenda, anche se e' ancora troppo presto per
trasformare una speranza in una previsione".
Mi pare che il processo di unificazione politica europea potrebbe inserirsi
in questa seconda dinamica (e quindi fortemente sostenerla), ma perche'
questo accada occorre che tale processo si caratterizzi per alcune scelte di
fondo: scelte di civilta', di democrazia, di diritto, di pace, scelte
nonviolente: insomma le scelte contenute nella proposta di Lidia Menapace
"per un'Europa neutrale e attiva, disarmata e smilitarizzata, solidale e
nonviolenta".
E' per questo che anch'io, come molti altri che sono intervenuti su questo
foglio, attribuisco grande importanza alla prospettiva e all'iniziativa
pensata e promossa da Lidia Menapace e dalla Convenzione permanente di donne
contro le guerre, e ritengo che sarebbe necessario che essa fosse fortemente
condivisa e copromossa dai movimenti pacifisti e nonviolenti, di
solidarieta' e per i diritti umani, per l'ambiente e per i diritti sociali,
e divenisse un appello e un progetto al confronto col quale nessuna
istituzione europea e nessuna forza politica europea potesse sottrarsi,
particolarmente in questo momento in cui si va definendo il trattato detto
"Costituzione europea" e si vanno stabilendo gli orientamenti delle forze
politiche in vista delle elezioni per il rinnovo del parlamento europeo
nella prossima primavera.
Ci sono le condizioni per costruire una proposta politica, giuridica ed
istituzionale nonviolenta per l'Europa, la proposta di Lidia Menapace mi
pare possa esserne la base e il motore. Anch'io mi associo quindi alla
speranza e all'augurio che dall'incontro con Lidia Menapace che si svolgera'
l'8 novembre presso la Casa della nonviolenza a Verona sortisca un
appello-programma su cui fondare un'ampia, profonda e incisiva iniziativa
pubblica, ed un movimento di dimensioni continentali, che non solo prefiguri
una politica nonviolenta per l'Europa, che non solo prefiguri un'Europa
politica nonviolenta, ma anche che avvii una ricerca, una campagna, un
confronto, e dunque un processo in tal senso.
La situazione e' tale che una proposta nonviolenta per l'Europa oggi piu'
agevolmente che in passato puo' trovare ascolto e sostegno e percorsi di
realizzazione; riflessioni ed esperienze significative in tal senso esistono
gia'; spazi d'intervento e di confronto sono evidenti. Su alcuni aspetti
specifici (difesa popolare nonviolenta, corpi civili di pace, servizio
civile come alternativa al militare, politiche di sicurezza fondate sulla
cooperazione anziche' sulla minaccia, cooperazione decentrata e democratica
dal basso, modelli di sviluppo partecipati e autocentrati con tecnologie
appropriate, reti equosolidali, consumo critico, pratiche di costruzione di
pace e giustizia con mezzi coerenti con i fini, etc.) l'elaborazione e fin
la tradizione e' gia' cospicua.
Al lavoro, dunque.

6. RIFLESSIONE. AUGUSTO CAVADI: DAL SUD AL SUD PER UNO SVILUPPO AUTOCENTRATO
E LIBERANTE
[Ringraziamo Augusto Cavadi (per contatti: acavadi@lycos.com) per averci
inviato questo suo intervento gia' apparso nell'edizione palermitana del
quotidiano "La repubblica" "del 15 ottobre 2003. Augusto Cavadi, prestigioso
intellettuale ed educatore, collaboratore del Centro siciliano di
documentazione "Giuseppe Impastato" di Palermo, e' impegnato nel movimento
antimafia e nelle esperienze di risanamento a Palermo, collabora a varie
qualificate riviste che si occupano di problematiche educative e che
partecipano dell'impegno contro la mafia. Opere di Augusto Cavadi: Per
meditare. Itinerari alla ricerca della consapevolezza, Gribaudi, Torino
1988; Con occhi nuovi. Risposte possibili a questioni inevitabili,
Augustinus, Palermo 1989; Fare teologia a Palermo, Augustinus, Palermo 1990;
Pregare senza confini, Paoline, Milano 1990; trad. portoghese 1999; Ciascuno
nella sua lingua. Tracce per un'altra preghiera, Augustinus, Palermo 1991;
Pregare con il cosmo, Paoline, Milano 1992, trad. portoghese 1999; Le nuove
frontiere dell'impegno sociale, politico, ecclesiale, Paoline, Milano 1992;
Liberarsi dal dominio mafioso. Che cosa puo' fare ciascuno di noi qui e
subito, Dehoniane, Bologna 1993, seconda ed.; Il vangelo e la lupara.
Materiali su chiese e mafia, 2 voll., Dehoniane, Bologna 1994; A scuola di
antimafia. Materiali di studio, criteri educativi, esperienze didattiche,
Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato", Palermo 1994;
Essere profeti oggi. La dimensione profetica dell'esperienza cristiana,
Dehoniane, Bologna 1997; trad. spagnola 1999; Jacques Maritain fra moderno e
post-moderno, Edisco, Torino 1998; Volontari a Palermo. Indicazioni per chi
fa o vuol fare l'operatore sociale, Centro siciliano di documentazione
"Giuseppe Impastato", Palermo 1998, seconda ed.; voce "Pedagogia" nel cd-
rom di AA. VV., La Mafia. 150 anni di storia e storie, Cliomedia Officina,
Torino 1998, ed. inglese 1999; Ripartire dalle radici. Naufragio della
politica e indicazioni dall'etica, Cittadella, Assisi, 2000; Le ideologie
del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001. Vari suoi contributi sono
apparsi sulle migliori riviste antimafia di Palermo. Indirizzi utili:
segnaliamo il sito: http://www.neomedia.it/personal/augustocavadi (con
bibliografia completa)]
Le notizie sulla barbara uccisione della volontaria Annalisa Tonelli, da
trent'anni in giro per l'Africa a curare gratuitamente malati, hanno
provocato qualche brivido d'emozione. E forse anche regalato uno spiraglio
di luce: gli italiani non siamo tutti, e soltanto, antropologicamente
berlusconiani, ma anche, almeno per certi versi, capaci di "com-passione"
sincera e di solidarieta' disinteressata. Esistono uomini e donne che si
concentrano non su come arraffare denaro o strumentalizzare l'ingenuita'
altrui in funzione del proprio strapotere, bensi' su come agire
concretamente per restituire agli impoveriti della storia il gusto di
vivere.
L'emozione, lo spiraglio di speranza: poi, tra qualche giorno, il mondo
variegato della cooperazione internazionale sprofondera' nuovamente
nell'oscurita' e nella dimenticanza. Inevitabile? Forse no.
Forse qualche cittadino, specie se nell'eta' in cui - con il diploma o
laurea in tasca - vanno fatte le scelte professionali, puo' cogliere
occasioni straordinarie come questa per affacciarsi su scenari inediti. E
scoprire, ad esempio, che anche in Sicilia non mancano le organizzazioni con
cui collaborare (in cento modi diversi) per ridurre lo scarto insopportabile
fra il 20% straricco del pianeta e l'80% impoverito. Le diocesi hanno quasi
tutte un ufficio missionario che realizza interventi sociali nel terzo e nel
quarto mondo; cosi' pure le diverse congregazioni religiose sia maschili che
femminili. Meno nota la presenza di organizzazioni con intenti simili di
matrice laica che non includono fra i loro obiettivi alcuna forma di
proselitismo ideologico o confessionale.
Ad esempio a Palermo, nel 1985, un gruppo di splendide persone ha fondato il
Ciss (Cooperazione Internazionale sud sud), presto diventato un prestigioso
protagonista del policromo universo delle ong (organizzazioni non
governative) italiane. Questa associazione senza scopo di lucro (che ha
aperto, successivamente, anche una sede a Catania ed un'altra a Napoli)
ipotizza degli interventi che aiutino determinate popolazioni del sud del
mondo ad autoriscattarsi da situazioni di indigenza (mancanza di pozzi, di
scuole, di ospedali, di centri sociali, di laboratori in cui far lavorare
personale femminile...); se questi progetti vengono finanziati (in parte con
donazioni pubbliche, in parte con donazioni private) si passa alla loro
attuazione effettiva.
Impossibile elencare le centinaia di progetti che, in questi diciotto anni,
sono stati realizzati in America centrale e meridionale, in Africa e in
Medio oriente, nei Balcani. L'ultimo numero del "Bolletino d'informazione"
(lo si puo' chiedere allo 0916262694)   da' un'idea sommaria di quanto bolle
in pentola attualmente: da azioni di autosviluppo di popolazioni in zone
rurali della Tunisia e del Marocco ad attivita' di formazione per la
salvaguardia del patrimonio culturale ed artistico in Palestina; da
iniziative di sensibilizzazione sui diritti umani in Guatemala alla
fondazione di un Centro interculturale nel centro storico di Palermo. E'
ovvio che, per realizzare questi progetti, sono necessarie le competenze
piu' diverse: dall'interprete di lingue al medico, dal geometra al perito
agrario, dall'educatore all'esperto di diritto, dallo psicologo al tecnico
informatico. Soprattutto - un requisito non proprio diffuso, che si puo'
comunque perfezionare con l'esperienza - una certa attitudine al lavoro in
equipe e, piu' in generale, alle relazioni umane.
Essere disponibili a partire, a lasciare la propria terra e - se c'e' - la
propria attivita' lavorativa, in taluni casi a correre dei rischi
ragionevoli per la propria vita, e' necessario a molti operatori, ma non a
tutti: anche in Europa, anche nelle nostre citta' c'e' tanto bisogno di
persone che studino le normative, curino la documentazione, girino per le
scuole in modo da sensibilizzare docenti ed alunni alle tematiche della
mondialita'. Insomma, c'e' spazio per le piu' impensate forme di
collaborazione. Unica condizione: non avere una mentalita'
assistenzialistica. Essere convinti che la cooperazione internazionale deve
mirare, come si esprime in uno dei suoi scritti il presidente Sergio
Cipolla, "a fornire ai popoli dei Paesi del Sud le conoscenze e gli
strumenti indispensabili a creare uno sviluppo reale, autonomo e duraturo,
basato quindi essenzialmente sull'autosviluppo". Tanto piu' se si e'
radicati in regioni come la Sicilia e la Campania che di politiche
assistenzialistiche, clientelari e controproducenti - per dirla con il
sociologo Carlo Trigilia, di  "sviluppo senza autonomia", insomma - sono,
purtroppo, tristemente esperte.

7. SOLIDARIETA'. "EBREI EUROPEI PER UNA PACE GIUSTA": SOLIDARIETA' AI PILOTI
ISRAELIANI REFUSENIK
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2003 riprendiamo questa
dichiarazione]
A nome di "Ebrei europei per una pace giusta" (Ejjp), una rete di
organizzazioni ebraiche in nove diversi Paesi europei, esprimiamo la nostra
solidarieta' e tutto il nostro sostegno a voi, piloti dell'aviazione
israeliana, che avete rifiutato di eseguire azioni illegali ed immorali nei
territori occupati.
Siamo a conoscenza delle forti pressioni alle quali siete sottoposti per
ritirare le vostre firme dal coraggioso e commovente appello che tutti avete
firmato.
Speriamo che resisterete e vogliamo che sappiate che avete dalla vostra
parte molti ebrei che in Europa sono inorriditi di fronte alla politica del
governo israeliano che viola i valori ebraici di tolleranza, considerazione
e rispetto per gli altri, che noi seguiamo e che vengono calpestati da 36
anni di occupazione illegale.
Speriamo che la posizione che avete assunto contribuira' a fare in modo che
il momento per i negoziati necessari per accordi di pace si avvicini.
Il comitato esecutivo di "Ebrei europei per una pace giusta"

8. DOCUMENTAZIONE. FERMARE IL MURO DELLA SEGREGAZIONE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 12 ottobre 2003 riprendiamo il testo
seguente, stralciandolo da un appello di solidarieta' a firma del "Comitato
promotore della manifestazione dell'8 novembre a Roma", appello che, pur
motivato - ne siamo certi - dalle migliori intenzioni, purtroppo contiene
anche inammissibili ambiguita' ed omissioni, alle quali ambiguita' e
omissioni occorre opporsi con nettezza, chiedendo ai firmatari di esso di
fare inequivocabile chiarezza. Riteniamo infatti giusto, necessario ed
urgente opporci alla costruzione del "muro della segregazione" e denunciare
il terrorismo di stato del governo Sharon; ma riteniamo inammissibile tacere
sul terrorismo dei gruppi armati palestinesi, riteniamo inammissibile tacere
sul diritto della popolazione israeliana - come di quella palestinese - alla
pace e alla sicurezza, riteniamo inammissibile esprimere un sostegno senza
distinguo alla cosiddetta "seconda intifada", che nei suoi aspetti militari
e terroristici va invece contrastata. Siamo solidali con il popolo
palestinese oppresso dall'occupazione militare, e con la sua lotta per la
vita, la dignita', l'indipendenza; cosi' come siamo solidali con la
popolazione israeliana minacciata dal terrorismo. Chiediamo che due popoli
possano vivere liberi e sovrani in due stati pienamente indipendenti, e che
nel reciproco riconoscimento e rispetto possano costruire relazioni di
amicizia e cooperazione. Crediamo che la via alla convivenza sia la scelta
della nonviolenza, del dialogo, della pace costruita attraverso gesti di
pace, atti di giustizia, riconoscimento dell'altro, scelte di umanita': e la
prima e indispensabile scelta e' non uccidere, non umiliare, non opprimere
(peppe sini)]
Il 9 novembre del 1989 cadeva il muro di Berlino.
Nel novembre del 2003 un altro odioso muro sta sorgendo in Palestina, nei
territori occupati nel 1967, ad opera del governo israeliano di Ariel
Sharon.
Il "muro dell'apartheid" si prospetta come il piu' grande furto di terre dal
1967 ad oggi, tanto che, una volta completato (avra' una lunghezza di 650
chilometri), permettera' ad Israele di annettersi definitivamente il 60%
della Cisgiordania rendendo cosi' impossibile la nascita di uno stato
palestinese con una sua continuita' territoriale e quindi qualsiasi
soluzione negoziata del conflitto.
Questa costruzione non segue infatti il confine tra Israele e la
Cisgiordania occupata ma penetra all'interno della West Bank per oltre 20
chilometri unendo tra di loro e con Israele la stragrande maggioranza delle
colonie ebraiche che sarebbero cosi' annesse definitivamente allo stato
ebraico con una buona meta' delle terre palestinesi della Cisgiordania, e la
gran parte delle fonti idriche della regione.
Un altro muro e' previsto ad est, nella valle del Giordano, scorrendo a
circa 25 chilometri all'interno della Cisgiordania occupata, per annettere
ad Israele questa regione e il "deserto della Giudea" e circondare
completamente i "bantustan" palestinesi.
La vita dentro il muro sara' impossibile: i palestinesi, imprigionati dentro
veri e propri ghetti circondati da recinzioni, con una o due porte di
entrata e di uscita per ogni citta' e villaggio, perderanno la possibilita'
di coltivare le loro terre rimaste al di fuori del muro, le risorse d'acqua,
i mezzi di sostentamento e qualsiasi possibilita' di movimento.
I primi 150 chilometri del muro sono gia' completi e oltre il 10% dei
palestinesi della Cisgiordania, in particolare quelli delle comunita' piu'
vicine al confine con Israele - Qalqiliya, Tulkarem, etc. - sono gia'
imprigionati dentro il muro come avveniva nei ghetti ebraici delle nostre
citta' nei tempi piu' bui della storia europea.
Ancora piu' tragica, se possibile, la sorte di quei palestinesi, circa
trentamila, che abitano nei villaggi che gia' ora si trovano ad ovest del
muro, tra il confine con Israele e la grande muraglia, prigionieri nelle
loro case.
In tal modo verra' realizzata, rendendo loro la vita impossibile, una vera e
propria "pulizia etnica" ai danni di un numero di palestinesi compreso tra i
90.000 e i 200.000.
Costruito il muro i palestinesi saranno rinchiusi in tre grandi "riserve"
(una sorta di salsiccia da Jenin a Ramallah, un'altra da Betlemme a Hebron,
e una terza attorno a Gerico), separate le une dalle altre, e da ogni sbocco
esterno, su una superficie pari all'incirca al 40% della Cisgiordania
(corrispondente al 9% della Palestina).
In tal modo emerge chiaramente come l'obiettivo del muro sia non certo la
"sicurezza" di Israele, raggiungibile solo con una giusta pace, ma
l'annessione della "maggior parte delle terre con il minimo di arabi".
Eppure di fronte a questo vero e proprio tentativo di distruzione
dell'esistenza del popolo palestinese come entita' sociale, politica ed
economica attraverso la distruzione della sfera pubblica e privata degli
abitanti dei territori occupati, le reazioni internazionali e nazionali sono
praticamente inesistenti.
Per questa ragione, raccogliendo l'invito proveniente dalla Palestina,
abbiamo proposto una manifestazione nazionale a Roma il prossimo 8
novembre...

9. RIFLESSIONE. ENRICO PEYRETTI: LA SCELTA DELLA CONVIVENZA E DELLA PACE
[Ringraziamo Enrico Peyretti (per contatti: peyretti@tiscali.it) per averci
messo a  disposizione questo suo articolo gia' pubblicato su "Il foglio" (il
bellissimo mensile di alcuni cristiani torinesi giunto al trentatreesimo
anno di pubblicazioni), n. 283, luglio 2001 (sito: www.ilfoglio.org). Enrico
Peyretti e' uno dei principali collaboratori di questo foglio, ed uno dei
maestri piu' nitidi della cultura e dell'impegno di pace e di nonviolenza.
Tra le sue opere: (a cura di), Al di la' del "non uccidere", Cens, Liscate
1989; Dall'albero dei giorni, Servitium, Sotto il Monte 1998; La politica e'
pace, Cittadella, Assisi 1998; Per perdere la guerra, Beppe Grande, Torino
1999; della sua fondamentale ricerca bibliografica Difesa senza guerra.
Bibliografia storica delle lotte nonarmate e nonviolente, una edizione a
stampa - ma il lavoro e' stato successivamente aggiornato - e' in Fondazione
Venezia per la ricerca sulla pace, Annuario della pace. Italia / maggio
2000 - giugno 2001, Asterios, Trieste 2001, un'edizione aggiornata e'
apparsa recentemente in questo stesso notiziario (e contiamo di presentarne
prossimamente un'edizione nuovamente aggiornata). Una piu' ampia
bibliografia dei principali scritti di Enrico Peyretti e' nel n. 477 del 15
gennaio 2003 di questo notiziario]
E' tremendo il problema Israele-Palestina. Si tratta di due rispettive
ragioni e diritti, ed anche due errori; una comunanza di dolore e di colpe,
ed una eccezionale opportunita'.
Lo sbaglio di Israele (non solo comprensibile, ma apparso allora come cosa
necessaria, unica garanzia) fu fare lo stato. Uno stato sovrano, cioe'
insubordinato all'umanita', e' di natura sua pericoloso a se' e agli altri.
Lo stato come lo conosciamo fino ad oggi e' belligeno (Papisca). Infatti,
l'istituzione guerra (non dico la violenza spontanea, non
istituzionalizzata) e' nata con lo stato, verso il 5.000 a. C. (Toraldo di
Francia), ed e' ancora una sua colonna portante, nonostante il nuovo (ma
finora convivente col vecchio) diritto internazionale di pace nato nel 1945
con la Carta dell'Onu. Detentore della "violenza legittima" (Weber) lo stato
e' pur sempre meglio della libera violenza, o "liberta' selvaggia" (Kant),
ma, fin quando resta sovrano, cioe' assoluto, e' esso stesso generatore di
violenza.
E sbaglio e' stato fare li' lo stato di Israele: si comprende bene la
ragione, ma cio' e' apparso e tuttora appare agli arabi l'ultimo
colonialismo europeo in terra araba, in continita' con quello inglese, del
quale ha anche ereditato alcuni metodi (per esempio la distruzione delle
case come provvedimento di polizia), pur essendo state le origini di Israele
in conflitto con esso. Il colonialismo subito e' l'immenso trauma della
cultura araba, la grande ferita che inferocisce l'Islam, come un animale
ferito, e qui c'e' una grave responsabilita' della superbia europea nella
pericolosita' attuale dell'Islam.
Gli insediamenti nei territori occupati, poi, confermano ed esaltano questa
impressione nei palestinesi, e sono oggettivamente atto coloniale, come sa
chiunque li ha visti coi propri occhi. Ha scritto un commentatore su
"Repubblica", in modo ancora piu' duro: "La costruzione dello stato di
Israele avvenne come una colonizzazione della Palestina (...) La
colonizzazione crebbe a spese degli abitanti arabi. Si apri' un conto di
guerra e di odio (...) Gli ebrei israeliani piu' lucidi e capaci di
riconoscere le ragioni altrui sanno che occorre rinunciare agli insediamenti
e ritornare ai confini dal 1967". Esatto! Questo e' il punto che io sento
molto, il nodo storico. Ma una parte almeno dei coloni ricatta violentemente
tutti i governi israeliani, i quali - tutti - hanno continuato ad estendere
gli insediamenti coloniali. Sharon e' il piu' lontano da quella rinuncia
necessaria.
Lo stato di Israele non difende gli ebrei, come speravano con pieno diritto.
Li mette in pericolo. Nonostante la shoah, oggi puo' difendere meglio gli
ebrei la cultura e la religione ebraica, che non lo stato. Il contributo
ebraico alla democrazia e alla civilta' e' la loro garanzia migliore. Certo,
anche il diritto rafforzato dalla legge statale, ma non di uno stato etnico.
Ma c'e' un grande sbaglio anche dei palestinesi, che non hanno potuto/saputo
capire in tempo la eccezionale opportunita' che hanno avuta (che hanno
ancora?): fare della Palestina una felice Andalusia (felice nel medioevo),
una convivenza di culture, religioni, civilta'. L'Andalusia felix e' stata
spezzata dall'espansionismo della "reconquista" cristiana integralista,
intollerante, autocentrata, assolutista, de "los reyes catolicos", che hanno
espulso ebrei ed arabi, per fare uno stato religioso-etnico puro e
solitario. Ebrei ed arabi potrebbero oggi ricordare insieme quella
esperienza e quella violenza sofferta (a Granada ogni 2 gennaio la comunita'
musulmana la ricorda col Llanto por Granada, sul Paseo del Los Tristes),
sperabilmente perdonarla ai cristiani, e costruire una Andalusia
post-moderna, porta del futuro per loro e per altri popoli in difficile
convivenza. I cristiani dovrebbero aiutarli per farsi perdonare la
"reconquista".
Come forma statale la casa ebraico-palestinese avrebbe dovuto essere
inter-etnica, non stato ebraico, non stato arabo. Un esempio alle nazioni
della nuova Europa per buona parte pacificata, ma di nuovo oggi tentata
dalla follia del 1914. Siamo ancora in tempo? Ebrei ed arabi dovrebbero
rinunciare alla etnicita' dello stato. Ne sono capaci? Almeno da parte
ebraica ci sono voci profetiche in tal senso (Martin Buber, fino dal 1921).
Come dice oggi Amos Luzzatto: ne' religione strumento della politica, ne'
viceversa.
I palestinesi avrebbero trovato, o potrebbero trovare in una tale soluzione
anche il loro riscatto nobile nei confronti degli altri popoli arabi, che si
dicono solidali con loro a parole, ma in fondo li disprezzano, non li
accolgono davvero, forse li invidiano, o li temono e li giudicano, perche'
sono il popolo arabo e musulmano piu' laico (finora. Vedi l'ammonimento del
compianto Feisal Hussein, riferito sul mensile "Il foglio", n. 277, p. 2).
Tra loro c'e' l'islam e c'e' il cristianesimo (ricordo con emozione il
pellegrinaggio popolare e la grande messa in arabo sul monte Tabor, proprio
nella festa della Trasfigurazione, il 6 agosto del '93; ascoltavo i nostri
stessi canti liturgici con parole arabe, nella lingua dei nostri immigrati a
Torino): i palestinesi potrebbero essere gli antesignani di un islam e di un
cristianesimo aperti entrambi alla pace tra religioni e culture, potrebbero
giocare un ruolo storico fenomenale per oggi e per domani.
Ma oggi israeliani e palestinesi insieme hanno bisogno anzitutto di guarire
dall'odio, di disarmare mani e cuori, di cessare di credere con la piu'
falsa delle fedi che la morte, il dolore e l'offesa altrui difendano dalla
morte, dal dolore e dall'offesa propria. Solo se ciascuno sapra' sentire
come proprio il dolore dell'altro, il nodo maledetto si sciogliera'. I loro
due corrispondenti dolori sono la loro provvidenziale opportunita'. Chi
sapra' aiutare i due popoli, anche solo un poco, nel far questo, sara' il
vero amico di entrambi e di ciascuno dei due. I quali sono "condannati"
dalla storia e dalla terra alla convivenza e alla pace, e quindi, nonostante
il buio di questo momento, sono popoli fortunati, piu' di quelli che hanno
nel loro futuro soltanto la propria orgogliosa solitudine. L'unico modo di
vivere e' convivere col diverso. Il resto e' morire.

10. MAESTRE. ELENA LOEWENTHAL: LA NECESSITA' DELLA CONVIVENZA E DELLA PACE
[Da Elena Loewenthal, L'ebraismo spiegato ai miei figli, Bompiani, Milano
2002, p. 60. Elena Loewenthal, limpida saggista e fine narratrice, acuta
studiosa, e' nata a Torino nel 1960, lavora da anni sui testi della
tradizione ebraica e traduce letteratura d'Israele, attivita' che le sono
valse nel 1999 un premio speciale da parte del Ministero dei beni culturali;
collabora a "La stampa" e a "Tuttolibri"; sovente i suoi scritti ti
commuovono per il nitore e il rigore, ma anche la tenerezza e l'amista' di
cui sono impastati, e fragranti e nutrienti ti vengono incontro. Nel 1997 e'
stata insignita altresi' del premio Andersen per un suo libro per ragazzi.
Opere di Elena Loewenthal: segnaliamo particolarmente Gli ebrei questi
sconosciuti, Baldini & Castoldi, Milano 1996, 2002; L'Ebraismo spiegato ai
miei figli, Bompiani, Milano 2002; Lettera agli amici non ebrei, Bompiani,
Milano 2003; con Giulio Busi ha curato Mistica ebraica. Testi della
tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, Einaudi, Torino
1995, 1999; per Adelphi sta curando l'edizione italiana dei sette volumi de
Le leggende degli ebrei, di Louis Ginzberg]
... e' inevitabile che due popoli imparino a convivere e a rispettarsi
reciprocamente, prima o poi, su quella terra piccola, dove si sta stretti e
lo spazio basta soltanto se ci si sopporta a vicenda.

11. INIZIATIVE. ALCUNI INCONTRI DI PACE
A Bologna il 17 ottobre
L'Associazione comunita' papa Giovanni XXIII, su iniziativa del giornale
"Terre di mezzo" e in collaborazione con "Piazza grande", la Caritas
diocesana di Bologna e la Consulta contro I' esclusione sociale, venerdi' 17
ottobre in occasione della "giornata mondiale per la lotta alla poverta'"
indetta dall'Onu, a Bologna in piazza maggiore alle ore 21 presenta: "Ma
voi... chi dite che io sia?" (Mt 16,15): parole, musica e immagini dal mondo
della gente della strada. E al termine della serata passeremo la notte con i
senza dimora.
Per informazioni: tel. e fax 0516557646, e-mail: apg.bologna@tin.it
*
A Firenze il 17 ottobre
All'interno della Settimana sulla salute mentale, organizzata dal Comune di
Firenze, venerdi' 17 ottobre, alle ore 16, alla Villa Arrivabene, in piazza
Alberti, avra' luogo la presentazione del libro di Paolo Tranchina, Forme di
vita. Supervisione, psicoterapia, lavoro di equipe, edito dal Centro di
documentazione di Pistoia. Oltre all'autore, partecipano al dibattito Cesare
Bondioli, Sandro Ricci, Laura dalla Ragione.
Per informazioni: tranteo@cosmos.it
*
A Torino dal 17 al 20 ottobre
Dal 17 al 20 ottobre esposizione della mostra su "Economia gandhiana e
sviluppo sostenibile", presso la sede del Centro studi "Sereno Regis" in via
Garibaldi 13.
Lunedi' 20 ottobre, alle ore 18, incontro con Krishnammal.
Per informazioni: tel. 011532824, e-mail: regis@arpnet.it
*
A Viterbo il 18 ottobre
Sabato 18 ottobre alle ore 18 a Viterbo, presso la libreria "I Salici", in
via Cairoli 35, si terra' la presentazione del libro di Elena Liotta, Le
solitudini nella societa' globale, edito dalla Piccola Editrice di Celleno
(Vt). Partecipano Elena Liotta, Luciano Dottarelli e Luciano Comini.
Per informazioni: La Piccola Editrice, e-mail: convento.cel@tin.it, sito:
www.conventocelleno.it
*
A Roma il 28 ottobre
Si svolgera' a Roma, martedi' 28 ottobre 2003, alle ore 10,30 preso il
teatro Orione, in via Tortona 7, la presentazione del Dossier Statistico
Immigrazione 2003 - XIII Rapporto Caritas-Migrantes. Dopo la proiezione del
video sul Dossier curato da Rai News 24, vi sara' l'introduzione di mons.
Vittorio Nozza, direttore della Caritas Italiana, poi le relazioni di Ugo
Melchionda, Zouhir Louassini, mons. Alfredo Maria Garcia, on. Giuseppe
Pisanu; coordinatore dei lavori: Franco Pittau.
Il rapporto viene presentato in contemporanea, oltre che a Roma, a Bologna,
Bolzano, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Perugina,  Rimini, Torino,
Venezia.
Per informazioni: tel. 0669886158/6417, fax 0669886375, cell. 3487218754,
e-mail: dossierimmigrazione@caritasroma.it
*
A Como da dicembre a marzo
Il nodo di Como della Rete di Lilliput e "Il Carfafucio", in collaborazione
con il Coordinamento comasco per la pace, propongono il corso di formazione
alla nonviolenza "In viaggio con la nonviolenza. Partire dal se' per andare
agli altri e al mondo".
Il corso si svolgera' a Fino Mornasco, presso la biblioteca comunale, in via
Trento 12. La partecipazione e' gratuita ma e' richiesta l'iscrizione. Il
percorso e' strutturato per una partecipazione completa a tutti gli
incontri.
Per iscrizioni e informazioni: tel. 031670198 (Francesco Rizzo), tel.
3389757397 (Marco Servettini), e-mail: lilliput.como@tin.it. Sul sito
www.comopace.org/lilliput e' disponibile la locandina del corso.
Gli incontri si svolgeranno di domenica, dalle ore 10 alle ore 17, nei
giorni 14 dicembre 2003, 11 gennaio 2004, primo febbraio 2004, 15 febbraio
2004, 14 marzo 2004.

12. MEMORIA. DOVUTO A ODIBI'
E' arduo dire quanto, quelli come me della generazione che e' diventata
adulta e ha fatto le sue scelte fondamentali negli anni '60 e '70, dobbiamo
a Oreste Del Buono. Piu' di quanto non appaia a prima vista.
Poiche' leggemmo i romanzi che aveva tradotto, amammo quelle esperienze
d'autore nelle forme letterarie ed artistiche della cultura di massa che
insieme ad Eco lui piu' e prima e meglio di altri ci fece conoscere e
riconoscere, passammo dai fumetti dell'infanzia a quelli della ricerca del
bello del bene e del vero attraverso "Linus" che fu prediletta la creatura
sua (e di Gandini, certo, e d'altre e d'altri ancora), ed e' difficile oggi
poter spiegare cosa fu "Linus" per chi era ragazzino e in ricerca in quegli
anni, e quanto conto' nello schiuderci tutti alla scelta delle rotture e e
delle aperture, del passaggio al concreto e all'azione: certo decisivi
nell'ambito delle buone letture furono Kafka e Leopardi e Cervantes ed i
tragici greci, Sartre e Marx, Rosa Luxemburg e Herbert Marcuse, ma insieme
ad essi anche Schultz, Battaglia e Pratt, e Breccia e Feiffer, e le tante
pagine scritte in una rivista di tavole disegnate, e finanche i Wutki.
Il buon Odibi', poligrafo rinascimentale e illuminista, il compagno di
scuola ed amico per sempre di don Milani, il promotore della conoscenza in
Italia del Raymond Chandler maggiore, lo studioso delle cose che non era
elegante studiare. Anche noi, qui, sommessamente, senza l'enfasi di cui si
sarebbe burlato, lo salutiamo e lo ringraziamo ancora.

13. LETTURE. MANUELA DVIRI: LA GUERRA NEGLI OCCHI
Manuela Dviri, La guerra negli occhi, Avagliano editore, Cava de' Tirreni
2003, pp. 180, euro 12. Il "diario da Tel Aviv" di una donna in Israele che
dal lutto per la morte del figlio Joni (giovane militare di leva israeliano
ucciso da un razzo degli hezbollah nel 1998) ha tratto conferma alla scelta
dell'impegno, sempre piu' intenso, per la pace e il dialogo tra israeliani e
palestinesi.

14. LETTURE. DACIA MARAINI, ANNA SALVO, SILVIA VEGETTI FINZI (A CURA DI
MADDALENA TULANTI): MADRI E FIGLIE. IERI E OGGI
Dacia Maraini, Anna Salvo, Silvia Vegetti Finzi (a cura di Maddalena
Tulanti), Madri e figlie. Ieri e oggi, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. VIII +
80, euro 6. Un dialogo svoltosi nel castello svevo di Trani tra alcune delle
piu' acute intellettuali italiane, sul rapporto tra madri e figlie ma anche
su molte altre cose. Da leggere anche la premessa di Giuseppe Laterza.

15. RILETTURE. JOHAN GALTUNG: PALESTINA-ISRAELE: UNA SOLUZIONE NONVIOLENTA?
Johan Galtung, Palestina-Israele: una soluzione nonviolenta?, Edizioni
Sonda, Milano-Torino 1989, pp. 144, lire 18.000. Uno studio del piu'
prestigioso peace-researcher vivente.

16. RILETTURE. DAVID GROSSMAN: LA MEMORIA DELLA SHOAH
David Grossman, La memoria della Shoah, Casagrande, Bellinzona 2000, pp. 76,
lire 12.000. Un'ampia intervista a cura di Matteo Bellinelli all'autore di
Vedi alla voce: amore.

17. RILETTURE. AMOS OZ: IL SENSO DELLA PACE
Amos Oz, Il senso della pace, Casagrande, Bellinzona 2000, pp. 80, lire
12.000. Un'ampia intervista a cura di Matteo Bellinelli al grande scrittore
e militante pacifista israeliano.

18. RILETTURE. EDWARD W. SAID: LA CONVIVENZA NECESSARIA
Edward W. Said, La convivenza necessaria, Indice Internazionale, Roma 1999,
pp. 96, lire 10.000. Alcuni articoli del grande intellettuale palestinese
recentemente scomparso che qui formula alcune nitide analisi e proposte di
iniziativa nonviolente.

19. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

20. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 706 del 17 ottobre 2003