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La nonviolenza e' in cammino. 686



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 686 del 27 settembre 2003

Sommario di questo numero:
1. La scomparsa di Edward Said
2. Angela Dogliotti Marasso: sulla proposta di Lidia Menapace per costruire
l'Europa disarmata
3. Lidia Menapace: due note ancora
4. Hannah Arendt racconta la Resistenza nonviolenta in Danimarca
5. Maria G. Di Rienzo: movimenti per il cambiamento sociale: piccino un
abbecedario
6. Luisa Morgantini: un appello per fermare il muro che tagliera' in due
l'universita' di Al Quds
7. Amnesty International: soddisfazione per l'annullamento della condanna a
morte di Amina Lawal, l'impegno per i diritti umani continua
8. Benedetta Frare: commercio equo: istruzioni per l'uso
9. Giovanni Lenzi: dopo la camminata Assisi-Gubbio
10. Arundhati Roy: quello che accade
11. La "Carta" del Movimento Nonviolento
12. Per saperne di piu'

1. LUTTI. LA SCOMPARSA DI EDWARD SAID
Ci giunge adesso, come una frustata, la notizia della scomparsa, il 25
settembre a New York, di Edward Said, il grande intellettuale palestinese,
nato a Gerusalemme nel 1935, docente di letteratura comparata alla Columbia
University, autore di opere indimenticabili, da tempo colpito da leucemia,
voce dell'umanita' dolente e coraggiosa.
Un grande umanista, uno strenuo difensore della dignita' umana.
Per rendergli omaggio ed ancora una volta nutrirci della sua lezione di
rigore morale e intellettuale, di acutezza e generosita', pubblicheremo
domani su questo foglio uno dei suoi piu' recenti saggi in cui ancora una
volta difende l'umanita', la comprensione tra i popoli, la dignita' di ogni
persona.
Percossi e attoniti, ma grati, ma fedeli, qui lo salutiamo, uomo di pace,
maestro per sempre.

2. EDITORIALE. ANGELA DOGLIOTTI MARASSO: SULLA PROPOSTA DI LIDIA MENAPACE
PER COSTRUIRE L'EUROPA DISARMATA
[Ringraziamo di cuore Angela Dogliotti Marasso (per contatti:
angelaebeppe@libero.it) per questo intervento. Angela Dogliotti Marasso,
rappresentante autorevolissima del Movimento Internazionale della
Riconciliazione e del Movimento Nonviolento, studiosa e testimone,
educatrice e formatrice, e' una delle figure piu' nitide della nonviolenza
in Italia. Tra le sue opere segnaliamo particolarmente Aggressivita' e
violenza, Edizioni Gruppo Abele, Torino; e il suo saggio su Domenico Sereno
Regis, in AA. VV., Le periferie della memoria, Anppia - Movimento
Nonviolento, Torino - Verona 1999]
La proposta di  "neutralita' attiva" che la "Convenzione permanente di donne
contro la guerra" ha lanciato e che Lidia Menapace ha presentato su "La
nonviolenza in cammino" (n. 671, 11 settembre 2003), mi pare non una
semplice proposta tra le tante, ma una sorta di idea-guida che indica una
direzione concreta di lavoro, in sintonia con quanto si va elaborando, ad
esempio con il progetto del Corpo civile di pace europeo, e attorno alla
quale, dunque, raccogliere le forze dei movimenti nonviolenti e per la pace.
Provo percio' ad esporre alcune considerazioni in questa direzione, a
sostegno della proposta.
1. Credo sia preferibile usare l'espressione "neutralita' attiva" (anziche'
parlare semplicemente di neutralita'), per evitare ogni interpretazione
"attendista"  (nel senso di non voler entrare nella mischia, ma di essere
pronti a beneficiare poi dei vantaggi offerti dal vincitore di turno) o
indifferente, che il sostantivo da solo potrebbe suggerire (non mi pare,
infatti che nel concetto di neutralita' sia implicito quello di intervento
non armato).
2. Se e' vero che neutralita' attiva, invece, puu' ben essere intesa come
"la posizione di un soggetto politico che dichiara di rinunciare all'uso
della guerra, e di vincolarsi nei confronti della comunita' internazionale a
non fare politiche aggressive"  ma che prende posizione e agisce "nelle
varie situazioni in tutti i modi tranne che con le armi", cio' implica:
- una rinuncia ad usare lo scudo delle alleanze dotate di armi offensive;
- la realizzazione di un modello alternativo di difesa, che passa per il
transarmo, comporta la creazione di un corpo di polizia internazionale,
anche armato, al servizio di organismi sopranazionali come le Nazioni Unite,
e, soprattutto, che si fonda sui principi e sul modello della difesa civile,
non armata, nonviolenta, per poter esercitare, appunto, il diritto-dovere di
difesa e di intervento nei conflitti, tutte le volte che e' necessario,
senza usare gli eserciti.
Accettare la proposta di neutralita' attiva significa assumere questa
prospettiva, in continuita', come Lidia ricorda, con le migliori tradizioni,
neutraliste, del movimento femminista e del movimento operaio.
Il problema dunque e': come si puo' rendere efficace, autorevole, ascoltata
questa proposta?
L'inserimento di un simile principio nella Costituzione europea non e'
semplice, perche' anche il diritto nasce dalle maggioranze, e' frutto di
quanto si e' sedimentato nella storia e nella cultura collettive. Cio' che
possiamo fare va dunque, a mio parere, in tre direzioni:
a) far crescere questa prospettiva nella cultura, attraverso l'educazione,
la ricerca, il confronto politico (la strada lunga del cambiamento di
mentalita');
b) continuare ad agire dal basso con iniziative e proposte concrete che
prefigurano un modello diverso di difesa e intervento nei conflitti, come
hanno fatto e continuano a fare diverse realta' quali la rete delle Donne in
nero, i Caschi bianchi, i Berretti bianchi, le P. B. I.,il Nonviolence Peace
Force ecc...
Molte e molto ricche sono le esperienze gia' maturate in questo ambito. Una
proposta molto interessante e che prefigura un modello di intervento
coordinato dal basso a livello europeo e' quella del M. A. N. (Mouvement
pour une Alternative Nonviolente) francese, che sta lanciando una campagna
europea per una pace vera e duratura in Medio oriente, che prevede il
dispiegamento di una forza di interposizione civile internazionale in
Palestina-Israele accettata da entrambe le parti, volta a contenere la
violenza, proteggere i civili sia palestinesi, sia israeliani, ridurre la
paura ed il senso di insicurezza, per aiutare il dialogo a partire dal basso
e creare le condizioni per trovare una soluzione politica al conflitto.
E' il tipo di intervento nei conflitti che si propone anche il Corpo civile
di pace europeo, progetto che pero' fatica ad andare avanti, nonostante
alcuni passi della bozza di Costituzione europea siano importanti per dargli
piena legittimazione istituzionale;
c) agire politicamente con campagne ad hoc transnazionali che coinvolgano
forze politiche europee disponibili a impegnarsi sul tema della pace - e la
proposta di inserire nella Costituzione europea il principio della
neutralita' attiva potrebbe essere proprio una di queste -, facendo leva
sulla massiccia opposizione alla guerra che le/i cittadine/i europee/i hanno
manifestato durante la crisi irachena. Allora si espresse una chiara
volonta' di pace, che le sinistre europee dovrebbero saper cogliere e
tradurre in principi di diritto, linee politiche e progetti concreti,
conformi a quella volonta'.

3. EDITORIALE. LIDIA MENAPACE: DUE NOTE ANCORA
[Ringraziamo Lidia Menapace (per contatti: llidiamenapace@virgilio.it) per
questo intervento. Lidia Menapace e' nata a Novara nel 1924, partecipa alla
Resistenza, e' poi impegnata nel movimento cattolico, pubblica
amministratrice, docente universitaria, fondatrice del "Manifesto"; e' tra
le voci piu' alte e significative della cultura delle donne, dei movimenti
della societa' civile, della nonviolenza in cammino. La maggior parte degli
scritti e degli interventi di Lidia Menapace e' dispersa in quotidiani e
riviste, atti di convegni, volumi di autori vari; tra i suoi libri cfr. (a
cura di), Per un movimento politico di liberazione della donna, Bertani,
Verona 1973; La Democrazia Cristiana, Mazzotta, Milano 1974; Economia
politica della differenza sessuale, Felina, Roma 1987; (a cura di, ed in
collaborazione con Chiara Ingrao), Ne' indifesa ne' in divisa, Sinistra
indipendente, Roma 1988; Il papa chiede perdono: le donne glielo
accorderanno?, Il dito e la luna, Milano 2000; Resiste', Il dito e la luna,
Milano 2001. Sull'Olanda, la Norvegia, il Belgio, la Svizzera e la Svezia
nella seconda guerra mondiale dal punto di vista della Resistenza
nonviolenta al nazifascismo e alla Shoah cfr. introduttivamente i seguenti
lavori: Enrico Peyretti, Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle
lotte nonarmate e nonviolente (una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo
stesso notiziario e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione
nuovamente aggiornata); Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993; Raul Hilberg, La distruzione
degli Ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995; William L. Shirer, Storia del
Terzo Reich, Einaudi, Torino 1962, 1990; ed anche rispettivamente:
sull'Olanda le testimonianze di e su Anne Frank e Etty Hillesum; sulla
Norvegia Magne Skodvin, Resistenza nonviolenta in Norvegia sotto
l'occupazione tedesca, Edizioni del Movimento Nonviolento; sulla Svizzera le
testimonianze dei molti antifascisti che vi trovarono rifugio]
Carissimi e carissime,
gioisco con voi per la salvezza raggiunta da Amina, a prezzo - a dire il
vero - di una prolungata tortura, dato che per lei la maternita' era
condanna e l'allattamento procrastinazione della condanna (sapete che, fino
a che allatta, una madre condananta alla lapidazione non puo' essre
"eseguita"): comunque diamo espressione  al nostro sollievo e mettiamo in
memoria che davvero una pressione tenace, decisa, organizzata di mezzi
pacifici da parte dell'opinione  pubblica sortisce effetti: a me piace
sempre far rilevare che gli strumenti dell'azione nonviolenta - oltre che
nobili, generosi, eticamente intoccabili- sono anche utili ed efficaci.
*
Ho preso la parola per ringraziare molto Daniele Lugli per avere cosi' bene
argomentato sul tema della neutralita' attiva d'Europa: e' vero, la proposta
non e' stata ripresa da nessuno dei due "schieramenti" (non per nulla hanno
un nome militare) maggiori del parlamento europeo: pero' ha il pregio di
poter camminare entro le forme e gli appuntamenti del movimento dei
movimenti ("Stati generali di un'altra Europa") dando una possibilita' di
agire tenacemente sulla base di un'espressione giuridicamente significativa,
arricchita di tutte le argomentazioni offerte da Lugli, da Peppe e da chi
altri vorra'.
Mi pare che durante la seconda guerra mondiale Olanda Norvegia e Belgio non
fossero giuridicamente neutrali, non avevano pero' dichiarato guerra a
nessuno e - a differenza di Svizzera e Svezia -  furono invasi da Hitler e
reagirono con mirabili forme di resistenza e difesa popolare nonviolenta:
gli olandesi affondarono letteralmente le loro campagne e i carri armati
nazi impantanati furono fermati piu' a lungo da questa coraggiosissima e
solidale iniziativa popolare che dalla linea Maginot, orgoglio
dell'architettura militare francese.
Ringrazio molto davvero: penso che si potra' anche in futuro fare molto in
proposito: adesso si tratta di impedire almeno che la futura prossima
Costituzione europea non abbia espressioni troppo militariste e che lasci
aperta la strada per ulteriori miglioramenti, il che si puo' ottenere
spingendo perche' il testo sia emendabile, la sua approvazione fatta dai
parlamenti e sanzionata da referendum popolare e le procedure per il
mutamento siamo agibili: la proposta giscardiana e dei governi per ora rende
blindato il testo che diventa pressoche' non modificabile.
Grazie ancora e avanti.

4. MEMORIA. HANNAH ARENDT RACCONTA LA RESISTENZA NONVIOLENTA IN DANIMARCA
[Da Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme,
Feltrinelli, Milano 1964, 1993, alle pp. 177-182. E' un brano che abbiamo
gia' riprodotto nel n. 60 del 30 novembre 2000 di questo foglio. La vicenda
della resistenza nonviolenta danese contro il nazismo ha un valore
paradigmatico: anche contro un avversario brutale e genocida e' possibile
adottare vittoriosamente strategie di lotta nonviolenta. Su questa
esperienza cfr. anche Jeremy Bennet, La resistenza contro l'occupazione
tedesca in Danimarca, Edizioni del Movimento Nonviolento, Perugia 1979.
Ovviamente indispensabile e' la lettura di Raul Hilberg, La distruzione
degli ebrei d'Europa, Einaudi, Torino 1995. Sulle esperienze di Resistenza
nonviolenta al nazifascismo si veda la ricca bibliografia raccolta da Enrico
Peyretti nel suo Difesa senza guerra. Bibliografia storica delle lotte
nonarmate e nonviolente (una edizione a stampa - ma il lavoro e' stato
successivamente aggiornato - e' in Fondazione Venezia per la ricerca sulla
pace, Annuario della pace. Italia / maggio 2000 - giugno 2001, Asterios,
Trieste 2001, un'edizione aggiornata e' apparsa recentemente in questo
stesso notiziario e contiamo di presentarne prossimamente un'edizione
nuovamente aggiornata). Hannah Arendt e' nata ad Hannover da famiglia
ebraica nel 1906, fu allieva di Husserl, Heidegger e Jaspers; l'ascesa del
nazismo la costringe all'esilio, dapprima e' profuga in Francia, poi esule
in America; e' tra le massime pensatrici politiche del Novecento; docente,
scrittrice, intervenne ripetutamente sulle questioni di attualita' da un
punto di vista rigorosamente libertario e in difesa dei diritti umani; mori'
a New York nel 1975. Opere di Hannah Arendt: tra i suoi lavori fondamentali
(quasi tutti tradotti in italiano e spesso ristampati, per cui qui di
seguito non diamo l'anno di pubblicazione dell'edizione italiana, ma solo
l'anno dell'edizione originale) ci sono Le origini del totalitarismo (prima
edizione 1951), Comunita', Milano; Vita Activa (1958), Bompiani, Milano; Tra
passato e futuro (1961), Garzanti, Milano; La banalita' del male. Eichmann a
Gerusalemme (1963), Feltrinelli, Milano; Sulla rivoluzione (1963),
Comunita', Milano; postumo e incompiuto e' apparso La vita della mente
(1978), Il Mulino, Bologna. Una raccolta di brevi saggi di intervento
politico e' Politica e menzogna, Sugarco, Milano, 1985. Molto interessanti i
carteggi con Karl Jaspers (Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica,
Feltrinelli, Milano 1989) e con Mary McCarthy (Tra amiche. La corrispondenza
di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999). Una
recente raccolta di scritti vari e' Archivio Arendt. 1. 1930-1948,
Feltrinelli, Milano 2001; Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano
2003. Opere su Hannah Arendt: fondamentale e' la biografia di Elisabeth
Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994; tra gli studi
critici: Laura Boella, Hannah Arendt, Feltrinelli, Milano 1995; Roberto
Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli,
Roma 1996; Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995; Simona
Forti, Vita della mente e tempo della polis, Franco Angeli, Milano 1996;
Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999; Augusto Illuminati,
Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma
1994; Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001. Per chi
legge il tedesco due piacevoli monografie divulgative-introduttive (con
ricco apparato iconografico) sono: Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt,
Reinbek bei Hamburg 1987, 1999; Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv,
Muenchen 2000]
La storia degli ebrei danesi e' una storia sui generis, e il comportamento
della popolazione e del governo danese non trova riscontro in nessun altro
paese d'Europa, occupato o alleato dell'Asse o neutrale e indipendente che
fosse. Su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte
le universita' ove vi sia una facolta' di scienze politiche, per dare
un'idea della potenza enorme della nonviolenza e della resistenza passiva,
anche se l'avversario e' violento e dispone di mezzi infinitamente
superiori. Certo, anche altri paesi d'Europa difettavano di "comprensione
per la questione ebraica", e anzi si puo' dire che la maggioranza dei paesi
europei fossero contrari alle soluzioni "radicali" e "finali". Come la
Danimarca, anche la Svezia, l'Italia e la Bulgaria si rivelarono quasi
immuni dall'antisemitismo, ma delle tre di queste nazioni che si trovavano
sotto il tallone tedesco soltanto la danese oso' esprimere apertamente cio'
che pensava. L'Italia e la Bulgaria sabotarono gli ordini della Germania e
svolsero un complicato doppio gioco, salvando i loro ebrei con un tour de
force d'ingegnosita', ma non contestarono mai la politica antisemita in
quanto tale. Era esattamente l'opposto di quello che fecero i danesi. Quando
i tedeschi, con una certa cautela, li invitarono a introdurre il distintivo
giallo, essi risposero che il re sarebbe stato il primo a portarlo, e i
ministri danesi fecero presente che qualsiasi provvedimento antisemita
avrebbe provocato le loro immediate dimissioni. Decisivo fu poi il fatto che
i tedeschi non riuscirono nemmeno a imporre che si facesse una distinzione
tra gli ebrei di origine danese (che erano circa seimilaquattrocento) e i
millequattrocento ebrei di origine tedesca che erano riparati in Danimarca
prima della guerra e che ora il governo del Reich aveva dichiarato apolidi.
Il rifiuto opposto dai danesi dovette stupire enormemente i tedeschi,
poiche' ai loro occhi era quanto mai "illogico" che un governo proteggesse
gente a cui pure aveva negato categoricamente la cittadinanza e anche il
permesso di lavorare. (Dal punto di vista giuridico, prima della guerra la
situazione dei profughi in Danimarca non era diversa da quella che c'era in
Francia, con la sola differenza che la corruzione dilagante nella vita
amministrativa della Terza Repubblica permetteva ad alcuni di farsi
naturalizzare, grazie a mance o "aderenze", e a molti di lavorare anche
senza un permesso; la Danimarca invece, come la Svizzera, non era un paese
pour se debruiller). I danesi spiegarono ai capi tedeschi che siccome i
profughi, in quanto apolidi, non erano piu' cittadini tedeschi, i nazisti
non potevano pretendere la loro consegna senza il consenso danese. Fu uno
dei pochi casi in cui la condizione di apolide si rivelo' un buon pretesto,
anche se naturalmente non fu per il fatto in se' di essere apolidi che gli
ebrei si salvarono, ma perche' il governo danese aveva deciso di difenderli.
Cosi' i nazisti non poterono compiere nessuno di quei passi preliminari che
erano tanto importanti nella burocrazia dello sterminio, e le operazioni
furono rinviate all'autunno del 1943.
Quello che accadde allora fu veramente stupefacente; per i tedeschi, in
confronto a  cio' che avveniva in altri paesi d'Europa, fu un grande
scompiglio. Nell'agosto del 1943 (quando ormai l'offensiva tedesca in Russia
era fallita, l'Afrika Korps si era arreso in Tunisia e gli Alleati erano
sbarcati in Italia) il governo svedese annullo' l'accordo concluso con la
Germania nel 1940, in base al quale le truppe tedesche  avevano il diritto
di attraversare la Svezia. A questo punto i danesi decisero di accelerare un
po' le cose: nei cantieri della Danimarca ci furono sommosse, gli operai si
rifiutarono di riparare le navi tedesche e scesero in sciopero. Il
comandante militare tedesco proclamo' lo stato d'emergenza e impose la legge
marziale, e Himmler penso' che fosse il momento buono per affrontare il
problema ebraico, la cui "soluzione" si era fatta attendere fin troppo. Ma
un fatto che Himmler trascuro' fu che (a parte la resistenza danese) i capi
tedeschi che ormai da anni vivevano in Danimarca non erano piu' quelli di un
tempo. Non solo il generale von Hannecken, il comandante militare, si
rifiuto' di mettere truppe a disposizione del dott. Werner Best,
plenipotenziario del Reich; ma anche le unita' speciali delle SS (gli
Einsatzkommandos) che lavoravano in Danimarca trovarono molto da ridire sui
"provvedimenti ordinati dagli uffici centrali", come disse Best nella
deposizione che rese poi a Norimberga. E lo stesso Best, che veniva dalla
Gestapo ed era stato consigliere di Heydrich e aveva scritto un famoso libro
sulla polizia e aveva lavorato per il governo militare di Parigi con piena
soddisfazione dei suoi superiori, non era piu' una persona fidata, anche se
non e' certo che a Berlino se ne rendessero perfettamente conto. Comunque,
fin dall'inizio era chiaro che le cose non sarebbero andate bene, e
l'ufficio di Eichmann mando' allora in Danimarca uno dei suoi uomini
migliori, Rolf Guenther, che sicuramente nessuno poteva accusare di non
avere la necessaria "durezza". Ma Guenther non fece nessuna impressione ai
suoi colleghi di Copenhagen, e von Hannecken si rifiuto' addirittura di
emanare un decreto che imponesse a tutti gli ebrei di presentarsi per essere
mandati a lavorare.
Best ando' a Berlino e ottenne la promessa che tutti gli ebrei danesi
sarebbero stati inviati a Theresienstadt, a qualunque categoria
appartenessero - una concessione molto importante, dal punto di vista dei
nazisti. Come data del loro arresto e della loro immediata deportazione (le
navi erano gia' pronte nei porti) fu fissata la notte del primo ottobre, e
non potendosi fare affidamento ne' sui danesi ne' sugli ebrei ne' sulle
truppe tedesche di stanza in Danimarca, arrivarono dalla Germania unita'
della polizia tedesca, per effettuare una perquisizione casa per casa. Ma
all'ultimo momento Best proibi' a queste unita' di entrare negli alloggi,
perche' c'era il rischio che la polizia danese intervenisse e, se la
popolazione danese si fosse scatenata, era probabile che i tedeschi avessero
la peggio. Cosi' poterono essere catturati soltanto quegli ebrei che
aprivano volontariamente la porta. I tedeschi trovarono esattamente 477
persone (su piu' di 7.800) in casa e disposte a lasciarli entrare. Pochi
giorni prima della data fatale un agente marittimo tedesco, certo Georg F.
Duckwitz, probabilmente istruito dallo stesso Best, aveva rivelato tutto il
piano al governo danese, che a sua volta si era affrettato a informare i
capi della comunita' ebraica. E questi, all'opposto dei capi ebraici di
altri paesi, avevano comunicato apertamente la notizia ai fedeli, nelle
sinagoghe, in occasione delle funzioni religiose del capodanno ebraico. Gli
ebrei ebbero appena il tempo di lasciare le loro case e di nascondersi, cosa
che fu molto facile perche', come si espresse la sentenza, "tutto il popolo
danese, dal re al piu' umile cittadino", era pronto a ospitarli.
Probabilmente sarebbero dovuti rimanere nascosti per tutta la durata della
guerra se la Danimarca non avesse avuto la fortuna di essere vicina alla
Svezia. Si ritenne opportuno trasportare tutti gli ebrei in Svezia, e cosi'
si fece con l'aiuto della flotta da pesca danese. Le spese di trasporto per
i non abbienti (circa cento dollari a persona) furono pagate in gran parte
da ricchi cittadini danesi, e questa fu forse la cosa piu' stupefacente di
tutte, perche' negli altri paesi gli ebrei pagavano da se' le spese della
propria deportazione, gli ebrei ricchi spendevano tesori per comprarsi
permessi di uscita (in Olanda, Slovacchia e piu' tardi Ungheria), o
corrompendo le autorita' locali o trattando "legalmente" con le SS, le quali
accettavano soltanto valuta pregiata e, per esempio in Olanda, volevano dai
cinquemila ai diecimila dollari per persona. Anche dove la popolazione
simpatizzava per loro e cercava sinceramente di aiutarli, gli ebrei dovevano
pagare se volevano andar via, e quindi le possibilita' di fuggire, per i
poveri, erano nulle.
Occorse quasi tutto ottobre per traghettare gli ebrei attraverso le
cinque-quindici miglia di mare che separano la Danimarca dalla Svezia. Gli
svedesi accolsero 5.919 profughi, di cui almeno 1.000 erano di origine
tedesca, 1.310 erano mezzi ebrei e 686 erano non ebrei sposati ad ebrei.
(Quasi la meta' degli ebrei di origine danese rimase invece in Danimarca, e
si salvo' tenendosi nascosta). Gli ebrei non danesi si trovarono bene come
non mai, giacche' tutti ottennero il permesso di lavorare. Le poche
centinaia di persone che la polizia tedesca era riuscita ad arrestare furono
trasportate a Theresienstadt: erano persone anziane o povere, che o non
erano state avvertite in tempo o non avevano capito la gravita' della
situazione. Nel ghetto godettero di privilegi come nessun altro gruppo,
grazie all'incessante campagna che in Danimarca fecero su di loro le
autorita' e privati cittadini. Ne perirono quarantotto, una percentuale non
molto alta, se si pensa alla loro eta' media. Quando tutto fu finito,
Eichmann si senti' in dovere di riconoscere che "per varie ragioni" l'azione
contro gli ebrei danesi era stata un "fallimento"; invece quel singolare
individuo che era il dott. Best dichiaro': "Obiettivo dell'operazione non
era arrestare un gran numero di ebrei, ma ripulire la Danimarca dagli ebrei:
ed ora questo obiettivo e' stato raggiunto".
L'aspetto politicamente e psicologicamente piu' interessante di tutta questa
vicenda e' forse costituito dal comportamento delle autorita' tedesche
insediate in Danimarca, dal loro evidente sabotaggio degli ordini che
giungevano da Berlino. A quel che si sa, fu questa l'unica volta che i
nazisti incontrarono una resistenza aperta, e il risultato fu a quanto pare
che quelli di loro che vi si trovarono coinvolti cambiarono mentalita'. Non
vedevano piu' lo sterminio di un intero popolo come una cosa ovvia. Avevano
urtato in una resistenza basata su saldi principi, e la loro "durezza" si
era sciolta come ghiaccio al sole permettendo il riaffiorare, sia pur
timido, di un po' di vero coraggio. Del resto, che l'ideale della "durezza",
eccezion fatta forse per qualche bruto, fosse soltanto un mito creato
apposta per autoingannarsi, un mito che nascondeva uno sfrenato desiderio di
irreggimentarsi a qualunque prezzo, lo si vide chiaramente al processo di
Norimberga, dove gli imputati si accusarono e si tradirono a vicenda
giurando e spergiurando di essere sempre stati "contrari" o sostenendo, come
fece piu' tardi anche Eichmann, che i loro superiori avevano abusato delle
loro migliori qualita'. (A Gerusalemme Eichmann accuso' "quelli al potere"
di avere abusato della sua "obbedienza": "il suddito di un governo buono e'
fortunato, il suddito di un governo cattivo e' sfortunato: io non ho avuto
fortuna"). Ora avevano perduto l'altezzosita' d'un tempo, e benche' i piu'
di loro dovessero ben sapere che non sarebbero sfuggiti alla condanna,
nessuno ebbe il fegato di difendere l'ideologia nazista.

5. FORMAZIONE. MARIA G. DI RIENZO: MOVIMENTI PER IL CAMBIAMENTO SOCIALE:
PICCINO UN ABBECEDARIO
[Ringraziamo Maria G. Di Rienzo (per contatti: sheela59@libero.it) per
questo testo. Maria G. Di Rienzo e' una delle principali collaboratrici di
questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista,
regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche
storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica
dell'Universita' di Sidney (Australia); e' impegnata nel movimento delle
donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta' e in difesa dei
diritti umani, per la pace e la nonviolenza]
Diritti civili, femminismo, ecologia, diritti dei lavoratori/delle
lavoratrici, diritti umani: movimenti sociali centrati su tali istanze hanno
all'attivo clamorose e bellissime vittorie. Cos'hanno in comune, e che cosa
li ha condotti al successo?
Cinque i fattori fondamentali: opportunita' politica, abilita'
organizzativa, capacita' di riformulare schemi di dominio in schemi di
condivisione, capacita' di andare oltre l'emergenza verso lo sviluppo di un
confronto persistente, l'uso di metodologie nonviolente nel confronto.
*
Condizioni favorevoli per la nascita di un movimento
1) Presenza di organizzazioni di base preesistenti (gruppi basati sulla
fede, associazioni locali, volontariato, ecc.). I primi stadi della
mobilitazione sono difficili se la maggior parte delle persone vive delle
esistenze puramente "private" e se le organizzazioni di base hanno pochi
membri.
2) Condizioni drammatiche che vengono alla luce (un disastro ecologico, la
rivelazione di gravi brogli politici, la violenza usata contro i dissidenti,
un alto tasso di disoccupazione, ecc.).
3) Lo svilupparsi di una cultura della solidarieta', ove l'enfasi e' posta
sulle relazioni fra persone, e sulla necessita' dell'impegno di ciascuna/o.
*
Incentivi individuali
1) Contatto personale con gli attivisti/le attiviste. E' l'incentivo piu'
forte a partecipare al lavoro per il cambiamento sociale, poiche' la fiducia
ed il rispetto vengono sperimentati direttamente. I "nuovi membri" tendono
ad apparire sulla scena secondo linee fisse di interazione, conoscendo
persone che sono gia' impegnate.
2) Appartenenza a gruppi/associazioni. Poiche' raggiungere le persone
isolate presenta maggiori difficolta', gran parte degli organizzatori si
concentra sul contatto con le aggregazioni gia' presenti, sapendo che piu'
un individuo e' integrato in un'attivita' comunitaria, piu' sara'
disponibile ad azioni dirette.
3) Precedenti esperienze di attivismo. Le persone che sono gia' state
coinvolte in azioni collettive in passato sono maggiormente pronte ad essere
coinvolte in esperienze similari in futuro.
4) Tensione emotiva. Le persone sono piu' facilmente coinvolte in azioni
collettive quando rispondono a forti emozioni. Moltissimi vengono spinti
all'attivismo dalla rabbia e dal dolore: e' importante che gli organizzatori
sappiano rispondere al potenziale distruttivo di tali emozioni, mostrando
come usare l'energia in modo forte, gioioso, persistente e nonviolento.
5) Musica. Davvero, non sto scherzando: e' stata spesso centrale nei
movimenti, proprio perche' si basa sulle emozioni. Prendete Thomas Paine:
gli storici menzionano spesso i suoi pamphlets, che erano senz'altro
motivanti, ma altrettanto, se non di piu', lo furono i suoi adattamenti di
canzoni popolari. E per fare un esempio sicuramente familiare: Imagine di
John Lennon ha ispirato ed ispira i movimenti per la pace in tutto il mondo.
*
Gli ingredienti iniziali del muoversi
1) L'appartenenza a piccoli gruppi informali. E' quella che produce la
cosiddetta "micro-mobilitazione": concerne gruppetti di amici, di studenti,
di colleghi di lavoro, ecc., che fanno girare informazioni e notizie e/o si
preparano all'azione in modo appunto informale e che inseriti nel contesto
generale diventeranno probabilmente gruppi per affinita'.
2) Lo stabilire una rete comunicativa. Oggi utilizziamo con successo quella
informatica, ma gli esempi del passato possono fornirci spunti interessanti:
il passaparola, le pubblicazioni alternative, i circoli di studio e
autocoscienza, ecc. Quanto piu' differenti e numerose sono le persone che
partecipano alla rete comunicativa, tanto piu' il loro sostegno alle azioni
sara' decisivo.
3) Portavoce capaci. Persone che necessariamente rappresentano altre nei
contatti con media, istituzioni e altri gruppi, non devono essere scelte a
caso, o in base alla capacita' di gridare piu' forte: abbiamo bisogno che
chi riveste un ruolo pubblico sia onesto, seriamente impegnato sull'istanza,
abile nel sostenere le ragioni dell'azione o della campagna, capace di
motivare ed ispirare gli ascoltatori... e un po' furbo o furba, per non
cadere nei tranelli verbali o mediatici. E' importante che questo ruolo
ruoti, ovvero dobbiamo impegnarci nel formare gli attivisti ad esso.
4) Il saper decostruire le cornici del dominio, sostituendovi altri modi di
osservare e descrivere. Le elites economiche, politiche e culturali,
sostenute dai media, preservano lo status quo anche con il definire i
problemi come "scelte individuali" delle persone. E' la cornice "biasima la
vittima", in cui se sei disoccupato e' perche' sei pigro, se ti hanno
stuprata e' perche' vestivi da sgualdrina, e cosi' via. Uso il termine
"cornice" nel senso di "schema interpretativo" fornito per semplificare e
dar senso a degli aspetti del vivere: quando una cornice alternativa diventa
largamente condivisa, le probabilita' che le azioni abbiano successo
aumentano in modo sensibile.
5) Fiducia in se stessi e nel futuro. Gli individui partecipano piu'
facilmente ad un progetto se pensano che esso otterra' davvero un
cambiamento sostanziale e se credono che il loro personale impegno
contribuira' al successo.
*
Mantenere in essere il movimento
1) Gruppi ed individui specificatamente "centrati" sul cambiamento sociale.
Ne abbiamo bisogno come dell'ossigeno, altrimenti la "micro-mobilitazione"
rimane tale, focalizzata su se stessa ed incapace di svilupparsi
raggiungendo vasti strati dell'opinione pubblica. Cioe' abbiamo bisogno di
formatori all'azione diretta nonviolenta, di network e reti che si occupino
di diffondere tecniche ed esperienze, di collettivi di formatori/formatrici
alla nonviolenza che si scambino i loro saperi e formino nuovi trainers,
ecc.
2) Attenzione ai "radicalissimi dell'ultima ora". Sono quelli che saltano in
groppa alle campagne, per cosi' dire, quando esse cominciano a riscuotere
attenzione e ad ottenere qualche risultato. Naturalmente, visto che non si
sono mai occupati prima della cosa, che l'unico loro scopo e' la visibilita'
del loro leader o del loro gruppo, e che avendo la verita' in tasca non
hanno certo ragione di interpellare i "moderati", gli "imbelli", i "fessi
con le mani bianche che stanno li' a prenderle", pretenderanno di "alzare il
livello dello scontro" tramite le loro dichiarazioni di guerra, la
distruzione di proprieta', i tira e molla (spesso concordati) con la
polizia, ecc. Questo, oltre a far arretrare (nel migliore dei casi) la
campagna, o ad affossarla completamente, costringera' voi a distinguo e
prese di posizione pubbliche che non convinceranno nessuno tanto piu' darete
l'idea, in esse, che costoro sono "parte" del movimento, e vanno solo
calmati un pochino: la realta' e' che o essi cambiano, e davvero
"radicalmente", o il movimento trasformera' il suo scopo da "cambiamento
sociale" a "cambiamento di classe politica dirigente": ma a noi interessa
che sia la musica a cambiare, non i suonatori, vero?
3) Il rapporto con le centrali del dominio. Gli stati moderni, democratici o
meno, usualmente difendono gli interessi delle elites, e resistono al
cambiamento sociale: lo fanno con la politica dei redditi, con leggi che
tendano a rendere piu' difficile l'organizzazione di scioperi e
manifestazioni, con il trattenere o far sparire fondi destinati al
"sociale", con l'intimidazione e la repressione e, ultimo ma non minore, con
varie forme di cooptazione. L'uso della violenza contro manifestanti ed
oppositori nonviolenti puo' funzionare a brevissimo termine, ma si rivela un
boomerang subito dopo, poiche' genera nell'opinione pubblica simpatia verso
i manifestanti e sdegno verso chi ha usato violenza. I gruppetti di
provocatori "radicalissimi" usano questo scenario come "tattica": tirano
pietre per avere in risposta manganellate e poter denunciare la repressione
poliziesca, nonche' fare pressione sui dimostranti nonviolenti, che se non
si uniscono a loro e non li difendono, stanno "spaccando il movimento", sono
"conniventi", "deboli", eccetera. In realta', e' agli attivisti nonviolenti
che verra' presentato il conto del comportamento altrui: in maniera
strumentale, certo, per presentare qualsiasi responso violento come
giustificabile, ma vogliamo una buona volta dire a questi individui che non
siamo pedine nei loro speculari giochi di dominio?
4) Mantenere desta la coscienza. L'adozione di una cornice che riconosca il
valore del contributo individuale e dell'impegno collettivo e' sufficiente a
generare azione, ma non a mantenerla in modo persistente. Il successo di una
campagna, per esempio, se contribuisce a tenere insieme i gruppi di
attivisti, puo' attenuare di molto la presenza dei semplici "partecipanti"
("Abbiamo vinto, no? Adesso possiamo andare a casa"). Per ottenere
cambiamenti significativi, un movimento deve ottenere sostegno nelle file
dei suoi oppositori, simpatia da coloro che osservano e non hanno ancora
deciso di impegnarsi, e la sua esistenza deve continuare ad essere vista
come legittima ed efficace da coloro che ne fanno parte. Un buon modo per
ottenere che la coscienza resti desta e' concentrarsi sui modi in cui le
persone possono prendere direttamente in mano le loro vite, compiere scelte,
sottrarre consenso al dominio.
5) Il contributo intellettuale. Pensiero e azione devono essere come l'acqua
in una spugna: distinguibili ma strettamente uniti. Intellettuali, artisti,
insegnanti e studenti possono contribuire in modo forte a creare quelle
"cornici" differenti di cui abbiamo detto (non per niente le universita' e
le scuole superiori sono state spesso delle incubatrici per i movimenti tesi
al cambiamento sociale). L'importante e' saper aprire simbolicamente i
cancelli della scuola: per far entrare il pensiero di chi studente o
insegnante non e', e per farne uscire i contenuti elaborati.
6) Tenere insieme gli attivisti/le attiviste. Oltre a tendere al proprio
allargamento, un movimento deve sapere tenere insieme le persone che ci sono
gia', verificando di continuo l'allineamento fra valori, metodi e scopi.
Molti gruppi fronteggiano una sfida semplicemente continuando ad esistere,
nonostante i problemi economici, politici, organizzativi che si presentano
loro; troppi di essi trascurano di pianificare ed analizzare le azioni che
compiono, e la quasi totalita' tende ad ignorare il lavoro di ricerca sui
movimenti sociali (rinunciando, per delirio di onnipotenza o per
attaccamento ideologico, ad un'importantissima fonte di ispirazione e
risorse).
7) Imparare dal passato, inventare il presente, visualizzare il futuro. E'
quello che i movimenti "vincenti" hanno storicamente fatto. Adesso tocca a
noi.

6. APPELLI. LUISA MORGANTINI: UN APPELLO PER FERMARE IL MURO CHE TAGLIERA'
IN DUE L'UNIVERSITA' DI AL QUDS
[Ringraziamo "Luisa Morgantini" (per contatti: lmorgantini@europarl.eu.int)
per questo appello. Luisa Morgantini e' presidente della delegazione del
Parlamento Europeo con il Consiglio legislativo palestinese, fa parte delle
Donne in nero e dell'Associazione per la pace; il seguente profilo di Luisa
Morgantini abbiamo ripreso dal sito www.luisamorgantini.net: "Luisa
Morgantini e' nata a Villadossola (No) il 5 novembre 1940. Dal 1960 al 1966
ha lavorato presso l'istituto Nazionale di Assistenza a Bologna occupandosi
di servizi sociali e previdenziali. Dal 1967 al 1968 ha frequentato in
Inghilterra il Ruskin College di Oxford dove ha studiato sociologia,
relazioni industriali ed economia. Dal 1969 al 1971 ha lavorato presso la
societa' Umanitaria di Milano nel settore dell'educazione degli adulti. Dal
1970 e fino al 1999 ha fatto la sindacalista nei metalmeccanici nel
sindacato unitario della Flm. Eletta nella segreteria di Milano - prima
donna nella storia del sindacato metalmeccanico - ha seguito la formazione
sindacale e la contrattazione per il settore delle telecomunicazioni,
impiegati e tecnici. Dal 1986 e' stata responsabile del dipartimento
relazioni internazionali del sindacato metalmeccanico Flm - Fim Cisl, ha
rappresentato il sindacato italiano nell'esecutivo della Federazione europea
dei metalmeccanici (Fem) e nel Consiglio della Federazione sindacale
mondiale dei metalmeccanici (Fism). Dal novembre del 1980 al settembre del
1981, in seguito al terremoto in Irpinia, in rappresentanza del sindacato,
ha vissuto a Teora contribuendo alla ricostruzione del tessuto sociale. Ha
fondato con un gruppo di donne di Teora una cooperativa di produzione, "La
meta' del cielo", che e' tuttora esistente. Dal 1979 ha seguito molti
progetti di solidarieta' e cooperazione non governativa con vari paesi, tra
cui Nicaragua, Brasile, Sud Africa, Mozambico, Eritrea, Palestina,
Afghanistan, Algeria, Peru'. Si e' misurata in luoghi di conflitto entro e
oltre i confini, praticando in ogni luogo anche la specificita' dell' essere
donna, nel riconoscimento dei diritti di ciascun essere umano: nelle
rivendicazioni sindacali, con le donne contro la mafia, contro l'apartheid
in Sud Africa, con uomini e donne palestinesi e israeliane per il diritto
dei palestinesi ad un loro stato in coesistenza con lo stato israeliano, con
il popolo kurdo, nella ex Yugoslavia, contro la guerra e i bombardamenti
della Nato, per i diritti degli albanesi del Kosovo all'autonomia, per la
cura e l'accoglienza a tutte le vittime della guerra. Attiva nel campo dei
diritti umani, si e' battuta per il loro rispetto in Cina, Vietnam e Siria,
e per l'abolizione della pena di morte. Dal 1982 si occupa di questioni
riguardanti il Medio Oriente ed in modo specifico del conflitto
Palestina-Israele. Dal 1988 ha contribuito alla ricostruzione di relazioni e
networks tra pacifisti israeliani e palestinesi. In particolare con
associazioni di donne israeliane e palestinesi e dei paesi del bacino del
Mediterraneo (ex Yugoslavia, Albania, Algeria, Marocco, Tunisia). Nel
dicembre 1995 ha ricevuto il Premio per la pace dalle Donne per la pace e
dalle Donne in nero israeliane. Attiva nel movimento per la pace e la
nonviolenza e' stata portavoce dell'Associazione per la pace. E' tra le
fondatrici delle Donne in nero italiane e delle rete internazionale di Donne
contro la guerra. Attualmente e' deputata al Parlamento Europeo, eletta come
indipendente nelle liste del Prc e aderente al gruppo Gue-Ngl. Presiede la
delegazione parlamentare per i rapporti con il consiglio legislativo
palestinese, oltre ad essere membro titolare nella commissioni diritti della
donna e pari opportunita' ed in quella per lo sviluppo e la cooperazione,
membro della delegazione per le relazioni con il Sud Asia e membro sostituto
della commissione industria, commercio esterno, ricerca ed energia. In
Italia continua la sua opera assieme alle Donne in nero e all'Associazione
per la pace"]
Un appello a tutte/tutti voi per sottoscrivere la petizione in rete per
fermare la costruzione del muro divisorio che tagliera' in due l'Universita'
di Al Quds: www.hacampus.org/petition/
Naturalmente va fermata e smantellata la costruzione del muro
dell'apartheid, della vergogna, della separazione e dell'annessione di
territorio. Da organizzazioni palestinesi e israeliane per il 9 novembre,
giorno della caduta del muro di Berlino, e' stata lanciata una giornata
internazionale contro il muro a cui ha aderito per l'Italia anche Action for
Peace.
Nel frattempo  pero si puo' agire sulle specificita' e sui singoli pezzi di
muro. La petizione che vi invito a sottoscrivere e' stata proposta dalla
facolta' e dagli studenti dell'Universita' ebraica di Gerusalemme a sostegno
dell'Universita' di Al Quds a  Gerusalemme Est.

7. RIFLESSIONE. AMNESTY INTERNATIONAL: SODDISFAZIONE PER L'ANNULLAMENTO
DELLA CONDANNA A MORTE DI AMINA LAWAL, L'IMPEGNO PER I DIRITTI UMANI
CONTINUA
[Dall'ufficio stampa di Amnesty Internazional (per contatti:
press@amnesty.it, stampa@amnesty.it) riceviamo e diffondiamo]
Amnesty International ha espresso soddisfazione per la decisione del 25
settembre 2003, da parte della corte d'appello della sharia dello stato
nigeriano di Katsina, di annullare la condanna a morte di Amina Lawal,
emessa il 22 marzo 2002. Secondo quanto dichiarato dal suo collegio di
difesa, Amina Lawal e' stata rimessa in liberta' poiche' ne' la condanna ne'
la confessione sono state giudicate valide e dunque non e' stata provata la
commissione di alcun reato.
"Il caso di Amina Lawal non avrebbe mai dovuto essere trattato in un
tribunale. Nessuna persona dovrebbe vivere un'esperienza del genere" - ha
dichiarato Marco Bertotto, presidente della sezione italiana di Amnesty
International.
L'organizzazione per i diritti umani si e' detta felice per la mobilitazione
delle organizzazioni femminili, che hanno condannato con forza le
discriminazioni di genere su cui si basano alcune sentenze delle corti della
sharia in Nigeria.
Contemporaneamente all'annullamento del verdetto di Amina Lawal, ricorda
Amnesty International, rimane in corso un altro appello relativo a una
condanna a morte nei confronti di Fatima Usman e Ahmadu Ibrahim, sempre da
parte di una corte della sharia nello stato di Niger.
"La pena di morte e' l'estrema violazione del diritto alla vita e
costituisce una punizione crudele inumana e degradante, sempre e comunque.
Amnesty International chiede al governo e alla societa' civile della Nigeria
di cogliere questa occasione e affrontare un problema che e' causa di danni
e sofferenza inutili per molti cittadini nigeriani", ha aggiunto Bertotto.
Per Amnesty International, il governo federale della Nigeria dovrebbe
assumere l'iniziativa di abolire la pena di morte ed emendare le parti della
legislazione - federale e locale, compresa quella della sharia -  che
prevedono la pena di morte e le punizioni crudeli, inumane e degradanti.
Amnesty International ricorda che punizioni quali la lapidazione, la
fustigazione e l'amputazione, previste nella nuova legislazione, sono
considerate trattamenti crudeli inumani e degradanti dal diritto
internazionale sui diritti umani. Esse sono in totale contrasto con la
Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, ratificata dalla Nigeria
nel giugno 2001.
Le relazioni sessuali extramatrimoniali tra adulti consenzienti non possono
essere considerate reati penali. Il Comitato sui diritti umani delle Nazioni
Unite ha affermato che "e' incontestabile che gli atti sessuali in privato
tra adulti consenzienti rientrano nella sfera della riservatezza".
Incriminare e imprigionare donne a causa delle loro relazioni sessuali viola
il loro diritto alla libera espressione e associazione, alla liberta' dalla
discriminazione e alla riservatezza.
Amnesty International prosegue dunque la propria campagna per l'abolizione
di tutte le leggi discriminatorie e contro la criminalizzazione di atti
sessuali in privato tra adulti consenzienti.
Per ulteriori informazioni: Amnesty International Italia, ufficio stampa,
tel. 064490224, 3486974361.

8. INIZIATIVE. BENEDETTA FRARE: COMMERCIO EQUO: ISTRUZIONI PER L'USO
[Da Benedetta Frare, dell'ufficio stampa di TransFair Italia (per contatti:
tel.  348.8243386, 049 8750823, fax: 049 8750910, e-mail:
stampa@transfair.it, koine@koinecomunicazione.it) riceviamo e diffondiamo]
Il corso per aprire una "Bottega del Mondo" replica a novembre a Levo di
Stresa.
L'appuntamento e' per venerdi' 7 e sabato 8 novembre a Levo di Stresa, sul
Lago Maggiore dove si ritroveranno relatori e partecipanti al corso
"Commercio Equo: istruzioni per l'uso". Non si contano ormai le edizioni di
questa felice formula per avvicinare alla gestione di un punto vendita
equosolidale decine di persone desiderose di coniugare valori e impegno
professionale. L'appuntamento di novembre, organizzato sempre da TransFair
Italia, in collaborazione con le Acli di Milano, si svolgera' alla Casa don
Tettamanzi di Levo di Stresa.
Si comincia il venerdi' mattina con il primo modulo che comprende
un'introduzione al commercio equo.
La giornata proseguira' con una lezione sulla gestione di un'attivita' in
questo ambito, con gli oneri ammnistrativi e contabili.
Si chiude con un modulo sulla comunicazione e la promozione del punto
vendita.
La giornata del sabato sara' tutta dedicata alla gestione e alle tecniche di
vendita e si concludera' con un'esercitazione pratica.
Ai corsisti viene richiesto un contributo a copertura dei costi di
accoglienza e alloggio presso la struttura, dei materiali didattici del
corso e del costo dei relatori, tutti esperti del settore non profit. Per i
soci Acli sono previsti particolari sconti. Le iscrizioni sono aperte fino
al 10 ottobre.
Per ulteriori informazioni: Indira Franco, TransFair Italia, tel.
0498750823; e-mail: info@transfair.it

9. RIFLESSIONE. GIOVANNI LENZI: DOPO LA CAMMINATA ASSISI-GUBBIO
[Ringraziamo Giovanni Lenzi (per contatti: giovanni@ilterapista.it) per
questo intervento. Giovanni Lenzi, amico della nonviolenza, e' impegnato
nell'associazione "Il colibri'. Per i diritti dei bambini di tutto il mondo"
(www.comune.prato.it/associa/colibri) e nella rete di Lilliput a Prato]
Ho partecipato alla bellissima marcia Assisi-Gubbio come ad altre iniziative
organizzate dal Movimento Nonviolento. Sono stato molto felice di vivere lo
spirito della marcia, un momento molto forte di ricarica.
Proprio la bellezza della marcia ha indotto in me alte aspettative sul
convegno che seguiva nei giorni di sabato e domenica. Devo dire che queste
aspettative sono andate in parte deluse, non tanto per i contenuti che sono
emersi nel dibattito, ma soprattutto per i metodi comunicativi che sono
stati utilizzati. Penso infatti che un approccio veramente nonviolento ai
temi della pace e della costruzione di un ordine democratico internazionale
passi anche e soprattutto attraverso la scelta dei linguaggi e dei metodi
che utilizziamo per riflettere e approfondire. La modalita' della conferenza
con una lista di relatori e una serie di interventi dal pubblico induce un
atteggiamento passivo negli ascoltatori che non possono essere
sufficientemente protagonisti del confronto e del dibattito, soprattutto se
il poco spazio per le domande viene monopolizzato da pochi interventi.
La gestione del tempo negli interventi dal pubblico, la proposta di piccoli
gruppi di discussione e approfondimento che poi riportino in plenaria le
riflessioni emerse, la possibilita' di avere materiale cartaceo a
disposizione dei partecipanti per seguire la traccia del discorso sono solo
alcuni dei suggerimenti che mi sento di proporre al gruppo organizzatore. In
questo modo puo' emergere un processo in cui il contributo di tutti diventa
proposta e progetto per il futuro, frutto di un vero e profondo confronto.
Tra l'altro modalita' partecipative di riflessione stimolano la
partecipazione dei giovani che sono i veri protagonisti del futuro e che,
come molti hanno lamentato al convegno, erano poco presenti.

10. MAESTRE. ARUNDHATI ROY: QUELLO CHE ACCADE
[Da Arundhati Roy, Guida all'impero per la gente comune, Guanda, Parma 2003,
p. 152. Arundhati Roy e' una celebre scrittrice indiana, impegnata contro il
riarmo, in difesa dell'ambiente e per i diritti delle persone e dei popoli.
Opere di Arundhati Roy: cfr. il romanzo Il Dio delle piccole cose, Guanda,
Parma 1997, Superpocket, Milano 2000; e i saggi di testimonianza e denuncia
raccolti in La fine delle illusioni, Guanda, Parma 1999, Tea, Milano 2001,
poi recuperati poi nella piu' ampia raccolta di saggi di intervento civile,
Guerra e' pace, Guanda, Parma 2002; e Guida all'impero per la gente comune,
Guanda, Parma 2003]
Le condanne contro il terrorismo pronunciate dai governi acquisterebbero
credibilita' solo se questi si mostrassero sensibili al dissenso
responsabile, argomentato e nonviolento. Quello che accade e' esattamente il
contrario.

11. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

12. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 686 del 27 settembre 2003