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La nonviolenza e' in cammino. 665



LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Numero 665 del 6 settembre 2003

Sommario di questo numero:
1. Silvia Marcuz: osare un tempo nuovo
2. Peppe Sini: con Alfio Pannega
3. Movimento Nonviolento: oggi e domani a Gubbio
4. Claudio Sabattini, o del movimento operaio
5. Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia
6. Nando dalla Chiesa: storie di ordinaria follia
7. Michele Giorgio intervista Aviv Lavie
8. Danilo Franchi presenta "La verita' non ha colore"
9. Riletture: Hannah Arendt, La vita della mente
10. La "Carta" del Movimento Nonviolento
11. Per saperne di piu'

1. INIZIATIVE. SILVIA MARCUZ: OSARE UN TEMPO NUOVO
[Ringraziamo Silvia Marcuz (per contatti: smarcuz@libero.it) per questa
testimonianza. Silvia Marcuz partecipa alla carovana della pace 2003
promossa dai giovani e dai missionari comboniani]
4 settembre 2003: inizia la carovana della pace 2003 "Osare un tempo nuovo".
La carovana della pace 2003 ha iniziato il suo viaggio da Assisi. Nella
citta' di Francesco ha provato ad "osare un tempo nuovo" insieme agli amici
del Movimento Nonviolento camminando con loro per un tratto della marcia "La
nonviolenza e' il varco attuale della storia". Con loro riflette su come la
nonviolenza sia l'unica risposta possibile per cambiare il corso della
storia, seguendo l'esempio di San Francesco che chiamando il lupo fratello
ne trasforma l'aggressivita' in mitezza. E non e' un caso che tra le dieci
parole che il Movimento Nonviolento ha individuato per descrivere la
nonviolenza ritroviamo anche la giustizia, la verita', l'amore e la
liberta': i quattro pilastri della Pacem in Terris, l'enciclica da cui
vorremmo farci guidare nella costruzione di un tempo nuovo.
La seconda parte della giornata in Assisi e' stata dedicata invece all'incon
tro con la gente ed in particolare con alcune delle numerose congregazioni
religiose per conoscerle, scambiare qualche opinione, presentare le due
campagne che proponiamo lungo la strada.
La prima proposta e' di carattere nazionale e vuole suscitare reazioni di
indignazione e scelte concrete di solidarieta' umana dinanzi alla gestione
inumana del fenomeno immigrazione (vedi documento "Non molesterai il
forestiero: un decalogo per aiutare gli immigrati oggi" nel sito
www.giovaniemissione.it); la seconda invece e' di tipo internazionale e
vuole opporsi all'espansione non democratica del Wto a Cancun, e muovere
invece verso un sistema internazionale giusto, equo e sostenibile nelle
relazioni commerciali, economiche e finanziarie (vedi sito della campagna
"Questo mondo non e' in vendita" www.campagnawto.org).
Molto bello e spontaneo inoltre l'incontro con il vescovo, pastore di questa
cittadina famosa per essere luogo di incontro tra le religioni e per i
cammini di pace.
Ma Assisi e' l'inizio del cammino: mentre scriviamo e' il 5 settembre e qui
la carovana riceve l'invio nella Porziuncola per la missione popolare. La
strada della piccola comunita' itinerante di resistenza prosegue ora verso
Napoli, inviata a costruire la vera pace con l'unica forza della sua povera
fragilita'.

2. EDITORIALE. PEPPE SINI: CON ALFIO PANNEGA
Diciamolo subito e non parliamone piu': e' apparsa una fandonia colossale
sul quotidiano "Il manifesto" nell'articolo in cui dando conto delle
iniziative del movimento per la pace e la giustizia a Viterbo in questi
giorni in alternativa all'incontro dei ministri europei delle
telecomunicazioni, si e' scritto en passant di una inesistente iniziativa di
contestazione della festa patronale, contestazione che ovviamente non c'e'
stata e che sarebbe stata del tutto insensata.
In verita', a fronte della fatua gita turistica dei ministri europei e del
vacuo loro sedere a convegno e convitto in Viterbo (poiche' il cosiddetto
vertice era pressoche' null'altro che turismo e reclame), le iniziative del
movimento per la pace e la giustizia sono state caratterizzate dalla scelta
della nonviolenza, e nel punto piu' alto, visibile e veggente, da una
proposta di elevata qualita' culturale, morale e civile, splendida nel
confronto con la sciatteria grigia e la vanesia pompa delle eccellenze loro.
E la piu' bella delle iniziative del movimento per la pace e la giustizia e'
stata l'esordio, la sera del 4 settembre, della televisione di quartiere che
ha iniziato le sue trasmissioni dal centro sociale occupato "Valle Faul" di
Viterbo, con una diretta televisiva in cui a spiegare le ragioni sia della
televisione neonata, sia della decennale esperienza di questo centro sociale
che da anni ha scelto la nonviolenza come riferimento fondamentale, c'erano
due di quegli "occupanti del primo giorno" che il centro sociale hanno fatto
nascere: il sottoscritto e Alfio Pannega, che di Viterbo e' una delle figure
storiche, senza dubbio la persona piu' amata dai viterbesi tutti, un
monumento vivente della citta'.
Aver condiviso con Alfio anche questa esperienza e' una gioia profonda che
non riesco qui a descrivere, me ne inibisce la commozione grande. Ma almeno
questo ho voluto scrivere qui: che nelle iniziative del movimento per la
pace e la giustizia almeno a Viterbo i provocatori non hanno avuto spazio
alcuno; e nell'oblio che presto sopravvera' del pavoneggiarsi di ministri
asserviti ai padroni dei media, di questa edizione del 2003 della festa di
Santa Rosa patrona di Viterbo forse proprio questo piu' sara' ricordato dal
popolo viterbese: la prima trasmissione della televisione di strada dal
centro sociale nella valle di Faul, con il volto e il gesto e la voce di
Alfio, eroe popolare, poeta a braccio, vecchio saggio, figura e presagio
dell'internazionale futura umanita', che si protende ad istituire nuova
comunicazione, che liberi e non opprima, che promuova comprensione e
condivisione e si opponga a narcosi e barbarie, che promuova verita' e
dignita' e contrasti mercificazione e menzogna, per dare voce ai senza voce,
per fare luce insieme e insieme fare un cammino di solidarieta' e di
liberazione.
Con Alfio, con il centro sociale occupato autogestito "Valle Faul", con la
neonata televisione di strada, abbiamo celebrato una festa, mosso ancora un
passo in un lungo cammino, il cammino che anche altre sorelle e fratelli
hanno fatto in questi giorni ad esempio tra Assisi e Gubbio, dove ci
incontreremo oggi. La nonviolenza e' in cammino.

3. INCONTRI. MOVIMENTO NONVIOLENTO: OGGI E DOMANI A GUBBIO
[Dal Movimento Nonviolento (per contatti: e-mail: anzionenonviolenta@sis.it,
sito: www.nonviolenti.org; durante i giorni della camminata Assisi-Gubbio
per informazioni aggiornate rivolgersi al cellulare 3482863190) riceviamo e
diffondiamo]
Giovedi' 4 settembre dalla Porta San Giacomo di Assisi e' partita la
"camminata per la nonviolenza", promossa dal Movimento Nonviolento, che e'
giunta, dopo aver percorso i 46 chilometri del sentiero medioevale, venerdi'
5 settembre alla chiesa della Vittorina di Gubbio, dove Francesco incontro'
il lupo.
Gli amici della nonviolenza hanno camminato uniti dal motto "Mai piu'
eserciti e guerre". La camminata e' stata aperta da un intervento di Daniele
Lugli, segretario nazionale del Movimento Nonviolento. Il primo tratto di
strada e' stato percorso insieme alla carovana della pace dei giovani e dei
missionari comboniani, che poi proseguiranno per Roma.
Sabato mattina, a Gubbio, alle ore 12 in piazza grande, gli amici della
nonviolenza saranno accolti dagli sbandieratori di Gubbio.
Sabato 6 e domenica 7 gli amici della nonviolenza si riuniranno al Centro
servizi di Gubbio per dare vita al convegno "Al posto della guerra.
Un'Europa disarmata", dal quale partira' un messaggio affinche' l'Europa
avvii una politica estera comune di difesa e sicurezza orientata alla
nonviolenza, a partire dalla costituzione di un Corpo civile europeo di
pace. Tra i relatori del convegno: Gianni Tamino, Lidia Menapace, Alberto
L'Abate, Gianni Scotto, Paolo Bergamaschi, Nanni Salio, Angela Marasso.
Sabato 6 settembre, dalle ore 21 in poi, ci sara' una grande festa della
nonviolenza al teatro romano di Gubbio, in occasione dei 40 anni della
rivista mensile "Azione nonviolenta", fondata da Aldo Capitini nel 1964.
Musica, canti, letture, testimonianze, teatro (con Lucio Vinciarelli e
Francesca Pompeo) saranno gli ingredienti della serata. Coordina Mao
Valpiana, direttore di "Azione nonviolenta".
Sempre nella giornata di sabato ci sara' anche un laboratorio creativo,
condotto da Loretta Viscuso, rivolto ai bambini (alle ore 15 nel parco
Ranghiasci di Gubbio) che  giocheranno e lavoreranno sul tema della
conversione del lupo.
*
Nei locali del Centro servizi di Gubbio sara' allestita la mostra "40 anni
di storia in copertina"; attraverso le copertine piu' significative di
"Azione  nonviolenta" verra' ripercorsa la storia di questi ultimi decenni.
In occasione dell'iniziativa verra' presentata la nuova pubblicazione del
Movimento Nonviolento: "Dieci parole della nonviolenza: verita', coscienza,
amore, festa, sobrieta', giustizia, liberazione, potere di tutti, bellezza,
persuasione".
Il Movimento Nonviolento  ringrazia il Comune di Gubbio per il patrocinio
all'iniziativa e i Comuni di Assisi, Valfabbrica e la Provincia di Perugia
per la collaborazione.

4. LUTTI. CLAUDIO SABATTINI, O DEL MOVIMENTO OPERAIO
La scomparsa del dirigente del sindacato dei metalmeccanici della Cgil ha
suscitato una vasta emozione in ambienti diversi; talune delle dichiarazioni
che sono fioccate in questi due giorni  ci sono parse retoriche, altre piu'
mirate ad accreditare gli autori che a rendere omaggio allo scomparso, ma
anche questo e' un segno di quanto conosciuto e rispettato fosse Claudio
Sabattini.
Associandoci al lutto e all'omaggio due cose vorremmo sottolineare: quanto
decisiva sia nella storia della democrazia e nella lotta dell'umanita'
contro oppressione e sfruttamento l'organizzazione sindacale dei lavoratori;
e quanto decisiva sia quella cosa che nessuno piu' nomina se non per scherno
e che invece e' infine il nocciolo duro della resistenza alla barbarie
dominante: la coscienza, la coscienza di classe, la coscienza di avere in
comune un destino con le altre persone la cui vita e' depauperata e alienata
dalla violenza di una organizzazione della societa' fondata su un modo di
produzione che strutturalmente implica la condanna alla sofferenza,
all'umiliazione, alla fame e infine a una morte vieppiu' crudele per la gran
parte della famiglia umana.
La coscienza di classe, il sindacato dei lavoratori, il movimento operaio,
la speranza gramsciana, l'eredita' di Giuseppe Di Vittorio, l'impegno di
Claudio Sabattini, il pane e le rose, il socialismo e la liberta', la
nonviolenza in cammino.

5. MAESTRI. WALTER BENJAMIN: TESI DI FILOSOFIA DELLA STORIA
[Riproduciamo ancora una volta questo intenso testo benjaminiano, da Walter
Benjamin, Angelus novus. Saggi e frammenti, Einaudi, Torino 1962, 1976,
1981, 1995 (ma noi abbiamo sotto gli occhi l'edizione del 1981). Questo
breve scritto e' a nostro avviso un'opera ad un tempo enigmatica e capitale,
fomite a molteplici riflessioni e prisma dai riflessi cangianti ad ogni
rilettura; e' proprio dei pensatori piu' grandi non trarti a un consenso
passivo, non emanare fogli d'ordini, ma suscitare riflessione altra e
ulteriore, convocare a una crisi e a un decidersi, disporsi ad un tempo alla
perplessita' ed alla persuasione, all'ascolto (sentire insieme: consentire;
sentire diversamente: dissentire) che chiama alla condivisione e all'agire,
farsi cercatori ed assumere responsabilita'. La traduzione e' di Renato
Solmi, maestro tra i maestri. Walter Benjamin, nato a Berlino nel 1892,
saggista di sconvolgente profondita', all'avvento del nazismo abbandona la
Germania, si uccide nel 1940 al confine tra Francia e Spagna per sfuggire ai
nazisti. Opere di Walter Benjamin: in italiano fondamentale e' la raccolta
di saggi e frammenti Angelus novus, Einaudi, Torino; e quella che prende il
titolo da L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilita' tecnica,
Einaudi, Torino. Sempre presso Einaudi (che ha in corso la pubblicazione
delle Opere, a cura di Giorgio Agamben) cfr. anche: Avanguardia e
rivoluzione, Critiche e recensioni, Diario moscovita, Il concetto di critica
nel romanticismo tedesco (Scritti 1919-1922), Il dramma barocco tedesco,
Immagini di citta', Infanzia berlinese, Metafisica della gioventu' (Scritti
1910-1918), Ombre corte (Scritti 1928-1929), Parigi capitale del XIX secolo,
Strada a senso unico, Sull'hascisch, Teologia e utopia (Carteggio 1933-1940
con Gershom Scholem), Tre drammi radiofonici, e le Lettere (1913-1940).
Presso Adelphi cfr. la sua antologia di lettere commentate di autori del
passato, Uomini tedeschi. Opere su Walter Benjamin: per la bibliografia: M.
Brodersen, Walter Benjamin. Bibliografia critica generale (1913-1983),
Aesthetica, Palermo 1984; R. Cavagna, Benjamin in Italia. Bibliografia
italiana, 1956-1980, Sansoni, Firenze 1982. Saggi: cfr. almeno AA. VV. (a
cura di Franco Rella), Materiali su Walter Benjamin, Venezia 1982; AA. VV.,
Paesaggi benjaminiani, fascicolo monografico della rivista "aut aut", nn.
189-190, 1982; AA. VV., Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, Editori
Riuniti, Roma 1983;  Hannah Arendt, Il pescatore di perle, Mondadori, Milano
1993 (saggio incluso anche in Hannah  Arendt, Il futuro alle spalle, Il
Mulino, Bologna); Fabrizio Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme,
Editori Riuniti, Roma 1980; Hans Mayer, Walter Benjamin, Garzanti, Milano
1993; Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo, Adelphi, Milano
1978; Gershom Scholem, Walter Benjamin. Storia di un'amicizia, Adelphi,
Milano 1992. Cfr. anche Paolo Pullega, Commento alle "Tesi di filosofia
della storia" di Walter Benjamin, Cappelli, Bologna 1980]

1.
Si dice che ci fosse un automa costruito in modo tale da rispondere, ad ogni
mossa di un giocatore di scacchi, con una contromossa che gli assicurava la
vittoria. Un fantoccio in veste da turco, con una pipa in bocca, sedeva di
fronte alla scacchiera, poggiata su un'ampia tavola. Un sistema di specchi
suscitava l'illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti.
In realta' c'era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli
scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino. Qualcosa di
simile a questo apparecchio si puo' immaginare nella filosofia. Vincere deve
sempre il fantoccio chiamato "materialismo storico". Esso puo' farcela
senz'altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi,
com'e' noto, e' piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno.

2.
"Una delle caratteristiche piu' notevoli dell'animo umano, - scrive Lotze, -
e', fra tanto egoismo nei particolari, la generale mancanza di invidia del
presente verso il proprio futuro". La riflessione porta a concludere che
l'idea di felicita' che possiamo coltivare e' tutta tinta del tempo a cui ci
ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Una gioia che
potrebbe suscitare la nostra invidia, e' solo nell'aria che abbiamo
respirato, fra persone a cui avremmo potuto rivolgerci, con donne che
avrebbero potuto farci dono di se'. Nell'idea di felicita', in altre parole,
vibra indissolubilmente l'idea di redenzione. Lo stesso vale per la
rappresentazione del passato, che e' il compito della storia. Il passato
reca seco un indice temporale che lo rimanda alla redenzione. C'e' un'intesa
segreta fra le generazioni passate e la nostra. Noi siamo stati attesi sulla
terra. A noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduto, e' stata data in
dote una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto. Questa
esigenza non si lascia soddisfare facilmente. Il materialista storico lo sa.

3.
Il cronista che enumera gli avvenimenti senza distinguere tra i piccoli e i
grandi, tiene conto della verita' che nulla di cio' che si e' verificato va
dato perduto per la storia. Certo, solo all'umanita' redenta tocca
interamente il suo passato. Vale a dire che solo per l'umanita' redenta il
passato e' citabile in ognuno dei suoi momenti. Ognuno dei suoi attimi
vissuti diventa una "citation a l'ordre du jour" - e questo giorno e' il
giorno finale [der juengste Tag].

4.
"Cercate dapprima cibo e vestimento;
e il regno di Dio vi arrivera' da solo"
(Hegel, 1807)
La lotta di classe, che e' sempre davanti agli occhi dello storico educato
su Marx, e' una lotta per le cose rozze e materiali, senza le quali non
esistono quelle piu' fini e spirituali. Ma queste ultime sono presenti,
nella lotta di classe, in altra forma che non sia la semplice immagine di
una preda destinata al vincitore. Esse vivono, in questa lotta, come
fiducia, coraggio, umore, astuzia, impassibilita', e agiscono
retroattivamente nella lontananza dei tempi. Esse rimetteranno in questione
ogni vittoria che sia toccata nel tempo ai dominatori. Come i fiori volgono
il capo verso il sole, cosi', in forza di un eliotropismo segreto, tutto
cio' che e' stato tende a volgersi verso il sole che sta salendo nel cielo
della storia. Di questa trasformazione, meno appariscente di ogni altra,
deve intendersi il materialista storico.

5.
La vera immagine del passato passa di sfuggita. Solo nell'immagine, che
balena una volta per tutte nell'attimo della sua conoscibilita', si lascia
fissare il passato. "La verita' non puo' scappare" - questo motto, che e' di
Gottfried Keller, segna esattamente il punto, nella concezione storicistica
della storia, in cui essa e' spezzata dal materialismo storico. Poiche' e'
un'immagine irrevocabile del passato che rischia di svanire ad ogni presente
che non si riconosca significato, indicato in esso. (La lieta novella che lo
storico del passato porta senza respiro, viene da una bocca che forse, gia'
nel momento in cui si apre, parla nel vuoto).

6.
Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo "come
propriamente e' stato". Significa impadronirsi di un ricordo come esso
balena nell'istante di un pericolo. Per il materialismo storico si tratta di
fissare l'immagine del passato come essa si presenta improvvisamente al
soggetto storico nel momento del pericolo. Il pericolo sovrasta tanto il
patrimonio della tradizione quanto coloro che lo ricevono. Esso e' lo stesso
per entrambi: di ridursi a strumento della classe dominante. In ogni epoca
bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che e' in procinto
di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore
dell'Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la
favilla della speranza, che e' penetrato dall'idea che anche i morti non
saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso
di vincere.

7.
"Considerate il buio e il freddo grande
di questa valle echeggiante di lacrime"
(Brecht, L'opera da tre soldi)
Fustel de Coulanges raccomanda allo storico che voglia rivivere un'epoca di
cacciarsi di mente tutto cio' che sa del corso successivo della storia. Non
si potrebbe definire meglio il procedimento con cui il materialismo storico
ha rotto i ponti. E' un procedimento di immedesimazione. La sua origine e'
la pigrizia del cuore, l'acedia, che dispera di impadronirsi dell'immagine
storica autentica, balenante per un attimo. Essa era considerata, dai
teologi del Medioevo, come il fondamento ultimo della tristezza. Flaubert,
che ne aveva fatto la conoscenza, scriveva: "Peu de gens devineront combien
il a fallu être triste pour ressusciter Carthage". La natura di questa
tristezza si chiarisce se ci si chiede in chi propriamente "si immedesima"
lo storico dello storicismo. La risposta suona inevitabilmente: nel
vincitore. Ma i padroni di ogni volta sono gli eredi di tutti quelli che
hanno vinto. L'immedesimazione nel vincitore torna quindi ogni volta di
vantaggio ai padroni del momento. Con cio' si e' detto abbastanza per il
materialista storico. Chiunque ha riportato fino ad oggi la vittoria,
partecipa al corteo trionfale in cui i dominatori di oggi passano sopra
quelli che oggi giacciono a terra. La preda, come si e' sempre usato, e'
trascinata nel trionfo. Essa e' designata con l'espressione "patrimonio
culturale". Esso dovra' avere, nel materialista storico, un osservatore
distaccato. Poiche' tutto il patrimonio culturale che egli abbraccia con lo
sguardo ha immancabilmente un'origine a cui non puo' pensare senza orrore.
Esso deve la propria esistenza non solo alla fatica dei grandi geni che lo
hanno creato, ma anche alla schiavitu' senza nome dei loro contemporanei.
Non e' mai documento di cultura senza essere, nello stesso tempo, documento
di barbarie. E come, in se', non e' immune dalla barbarie, non lo e' nemmeno
il processo della tradizione per cui e' passato dall'uno all'altro. Il
materialista storico si distanzia quindi da essa nella misura del possibile.
Egli considera come suo compito passare a contrappelo la storia.

8.
La tradizione degli oppressi ci insegna che lo "stato di emergenza" in cui
viviamo e' la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che
corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro compito, la
creazione del vero stato di emergenza; e cio' migliorera' la nostra
posizione nella lotta contro il fascismo. La sua fortuna consiste, non da
ultimo, in cio' che i suoi avversari lo combattono in nome del progresso
come di una legge storica. Lo stupore perche' le cose che viviamo sono
"ancora" possibili nel ventesimo secolo e' tutt'altro che filosofico. Non e'
all'inizio di nessuna conoscenza, se non di quella che l'idea di storia da
cui proviene non sta piu' in piedi.

9.
"La mia ala e' pronta al volo,
ritorno volentieri indietro,
poiche' restassi pur tempo vitale,
avrei poca fortuna"
(Gerhard Scholem, Il saluto dell'angelo)
C'e' un quadro di Klee che s'intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo
che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha
gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia
deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una
catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua
rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi,
destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,
che si e' impigliata nelle sue ali, ed e' cosi' forte che egli non puo' piu'
chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui
volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo.
Cio' che chiamiamo il progresso, e' questa tempesta.

10.
Gli oggetti che la regola dei conventi dava in meditazione ai fratelli,
avevano il compito di distoglierli dal mondo e dalle sue faccende. Il
pensiero che svolgiamo qui nasce da una determinazione analoga. Esso si
propone, nel momento che i politici in cui avevano sperato gli avversari del
fascismo giacciono a terra e ribadiscono la disfatta col tradimento della
loro causa, di liberare l'infante politico mondiale dalle pastoie in cui lo
hanno avviluppato. La considerazione muove dal fatto che la cieca fede nel
progresso di quei politici, la loro fiducia nella loro "base di massa", e
infine il loro servile inquadramento in un apparato incontrollabile, non
erano che tre aspetti della stessa cosa. Essa cerca di dare l'idea di quanto
deve costare, al nostro pensiero abituale, una concezione della storia che
eviti ogni complicita' con quella cui quei politici continuano ad attenersi.

11.
Il conformismo, che e' sempre stato di casa nella socialdemocrazia, non
riguarda solo la sua tattica politica, ma anche le sue idee economiche. Ed
e' una delle cause del suo sfacelo successivo. Nulla ha corrotto la classe
operaia tedesca come l'opinione di nuotare con la corrente. Lo sviluppo
tecnico era il filo della corrente con cui credeva di nuotare. Di qui c'era
solo un passo all'illusione che il lavoro di fabbrica, trovandosi nella
direzione del progresso tecnico, fosse gia' un'azione politica. La vecchia
morale protestante del lavoro celebrava la sua resurrezione - in forma
secolarizzata - fra gli operai tedeschi. Il programma di Gotha reca gia'
tracce di questa confusione. Esso definisce il lavoro come "la fonte di ogni
ricchezza e di ogni cultura". Allarmato, Marx ribatte' che l'uomo che non
possiede altra proprieta' che la sua forza-lavoro, "non puo' non essere lo
schiavo degli altri uomini che si sono resi... proprietari". Ciononostante
la confusione continua a diffondersi, e poco dopo Josef Dietzgen proclama:
"Il lavoro e' il messia del tempo nuovo. Nel... miglioramento... del
lavoro... consiste la ricchezza, che potra' fare cio' che nessun redentore
ha compiuto". Questo concetto della natura del lavoro, proprio del marxismo
volgare, non si ferma troppo sulla questione dell'effetto che il prodotto
del lavoro ha sui lavoratori finche' essi non possono disporne. Esso non
vuol vedere che i progressi del dominio della natura, e non i regressi della
societa'; e mostra gia' i tratti tecnocratici che appariranno piu' tardi nel
fascismo. Fra cui c'e' anche un concetto di natura che si allontana
funestamente da quello delle utopie socialiste anteriori al '48. Il lavoro,
come e' ormai concepito, si risolve nello sfruttamento della natura, che
viene opposto - con ingenuo compiacimento - a quello del proletariato.
Paragonate a questa concezione positivistica, le fantasticherie che hanno
tanto contribuito a far ridere di Fourier, rivelano un senso
meravigliosamente sano. Secondo Fourier, il lavoro sociale ben ordinato
avrebbe avuto per effetto che quattro lune avrebbero illuminato la notte
terrestre, che il ghiaccio si sarebbe ritirato dai poli, che l'acqua del
mare non avrebbe piu' saputo di sale, e che gli animali feroci sarebbero
entrati al servizio degli uomini. Tutto cio' illustra un lavoro che, lungi
dallo sfruttare la natura, e' in grado di sgravarla dalle creature che
dormono latenti nel suo grembo. Al concetto corrotto del lavoro appartiene
come suo complemento la natura che, per dirla con Dietzgen, "esiste
gratuitamente".

12.
"Noi abbiamo bisogno della storia, ma ne abbiamo bisogno altrimenti che il
fannullone viziato nei giardini del sapere"
(Nietzsche, Sull'utilita' e il danno della storia)
Il soggetto della conoscenza storica e' la classe stessa oppressa che
combatte. In Marx essa appare come l'ultima classe schiava, come la classe
vendicatrice, che porta a termine l'opera della liberazione in nome di
generazioni di vinti. Questa coscienza, che e' tornata ad affermarsi per
breve tempo nella Lega di Spartaco, e' sempre stata ostica alla
socialdemocrazia. Nel corso di trent'anni essa e' riuscita ad estinguere
quasi completamente il nome di un Blanqui, che ha fatto tremare col suo
timbro metallico il secolo precedente. Essa si compiaceva di assegnare alla
classe oepraia la parte di redentrice delle generazioni future. E cosi' le
spezzava il nerbo migliore della sua forza. La classe disapprese, a questa
scuola, sia l'odio che la volonta' di sacrificio. Poiche' entrambi si
alimentano all'immagine degli avi asserviti, e  non all'ideale dei liberi
nipoti.

13.
"Forse che la nostra causa non diventa ogni giorno piu' chiara, e il popolo
ogni giorno piu' saggio?"
(Wilhelm Dietzgen, La religione della socialdemocrazia)
La teoria socialdemocratica, e piu' ancora la prassi, era determinata da un
concetto di progresso che non si atteneva alla realta', ma presentava
un'istanza dogmatica. Il progresso, come si delineava nel pensiero dei
socialdemocratici, era, anzitutto, un progresso dell'umanita' stessa (e non
solo delle sue capacita' e conoscenze). Era, in secondo luogo, un progresso
interminabile (corrispondente a una perfettibilita' infinita dell'umanita').
Ed era, in terzo luogo, essenzialmente incessante (tale da percorrere
spontaneamente una linea retta o spirale). Ciascuno di questi predicati e'
controverso, e da ciascuno potrebbe prendere le mosse la critica. Ma essa,
se si vuol fare sul serio, deve risalire oltre questi predicati e rivolgersi
a qualcosa di comune a essi tutti. La concezione di un progresso del genere
umano nella storia e' inseparabile da quella del processo della storia
stessa come percorrente un tempo omogeneo e vuoto. La critica dell'idea di
questo processo deve costituire la base della critica dell'idea del
progresso come tale.

14.
"L'origine e' la meta"
(Karl Kraus, Parole in versi I)
La storia e' oggetto di una costruzione il cui luogo non e' il tempo
omogeneo e vuoto, ma quello pieno di "attualita'" [Jetztzeit]. Cosi', per
Robespierre, la Roma antica era un passato carico di attualita', che egli
faceva schizzare dalla continuita' della storia. La Rivoluzione francese
s'intendeva come una Roma ritornata. Essa richiamava l'antica Roma
esattamente come la moda richiama in vita un costume d'altri tempi. La moda
ha il senso dell'attuale, dovunque esso viva nella selva del passato. Essa
e' un balzo di tigre nel passato. Ma questo balzo ha luogo in un'arena dove
comanda la classe dominante. Lo stesso balzo, sotto il cielo libero della
storia, e' quello dialettico, come Marx ha inteso la rivoluzione.

15.
La coscienza di far saltare il continuum della storia e' propria delle
classi rivoluzionarie nell'attimo della loro azione. La grande rivoluzione
ha introdotto un nuovo calendario. Il giorno in cui ha inizio un calendario
funge da acceleratore storico. Ed e' in fondo lo stesso giorno che ritorna
sempre nella forma dei giorni festivi, che sono i giorni del ricordo. I
calendari non misurano il tempo come orologi. Essi sono monumenti di una
coscienza storica di cui in Europa, da cento anni a questa parte, sembrano
essersi perdute le tracce. Ancora nella Rivoluzione di Luglio si e'
verificato un episodio in cui si e' affermata questa coscienza. Quando scese
la sera del primo giorno di battaglia, avvenne che in molti luoghi di
Parigi, indipendentemente  e nello stesso tempo, si sparasse contro gli
orologi delle torri. Un testimone oculare, che deve forse la sua divinazione
alla rima, scrisse allora: "Qui le croirait! on dit, qu'irrités contre
l'heure / De nouveaux Josués au pied de chaque tour / Tiraient sur les
cadrans pour arrêter le jour".

16.
Al concetto di un presente che non e' passaggio, ma in bilico nel tempo ed
immobile, il materialista storico non puo' rinunciare. Poiche' questo
concetto definisce appunto il presente in cui egli per suo conto scrive
storia. lo storicismo postula un'immagine "eterna" del passato, il
materialista storico un'esperienza unica con esso. Egli lascia che altri
sprechino le proprie forze con la meretrice "C'era una volta" nel bordello
dello storicismo. Egli rimane signore delle sue forze: uomo abbastanza per
far saltare il continuum della storia.

17.
Lo storicismo culmina in linea di diritto nella "storia universale"
[Universalgeschichte]. Da cui la storiografia materialistica si
differenzia - dal punto di vista metodico - forse piu' nettamente che da
ogni altra. La prima non ha un'armatura teoretica. Il suo procedimento e'
quello dell'addizione; essa fornisce una massa di fatti per riempire il
tempo omogeneo e vuoto. Alla base della storiografia materialistica e'
invece un principio costruttivo. Al pensiero non appartiene solo il
movimento delle idee, ma anche il loro arresto. Quando il pensiero si
arresta di colpo in una costellazione carica di tensioni, le impartisce un
urto per cui esso si cristallizza in una monade. Il materialista storico
affronta un oggetto storico unicamente e solo dove esso gli si presenta come
monade. In questa struttura egli riconosce il segno di un arresto messianico
dell'accadere o, detto altrimenti, di una chance rivoluzionaria nella lotta
per il passato oppresso. Egli la coglie per far saltare un'epoca determinata
dal corso omogeneo della storia; come per far saltare una determinata vita
dall'epoca, una determinata opera dall'opera complessiva. Il risultato del
suo procedere e' che nell'opera e' conservata e soppressa l'opera
complessiva, nell'opera complessiva l'epoca e nell'epoca l'intero decorso
della storia. Il frutto nutriente dello storicamente compreso ha dentro di
se' il tempo, come il seme prezioso ma privo di sapore.

18.
"I cinque scarsi decenni dell'homo sapiens, - dice un biologo moderno, -
rappresentano, in rapporto alla storia della vita organica sulla terra,
qualcosa come due secondi al termine di una giornata di ventiquattr'ore. La
storia infine dell'umanita' civilizzata occuperebbe, riportata su questa
scala, un quinto dell'ultimo secondo dell'ultima ora". Il tempo attuale [die
Jetztzeit], che, come modello del tempo messianico, riassume in una
grandiosa abbreviazione la storia dell'intera umanita', coincide esattamente
con la parte che la storia dell'umanita' occupa nell'universo.
a) Lo storicismo si accontenta di stabilire un nesso causale fra momenti
diversi della storia. Ma nessun fatto, perche' causa, e' gia' percio'
storico. Lo diventera' solo dopo, postumamente, in seguito a fatti che
possono esserne divisi da millenni. Lo storico che muove da questa
constatazione cessa di lasciarsi scorrere fra le dita la successione dei
fatti come un rosario. Coglie la costellazione in cui la sua propria epoca
e' entrata con un'epoca anteriore affatto determinata. E fonda cosi' un
concetto del presente come del "tempo attuale", in cui sono sparse schegge
di quello messianico.
b) E' certo che il tempo non era appreso dagli indovini, che cercavano di
estrarne cio' che si cela nel suo grembo, come omogeneo ne' come vuoto. Chi
tenga presente questo, puo' forse giungere a farsi un'idea del modo in cui
il passato era appreso nella memoria: e cioe' nello stesso. E' noto che agli
ebrei era vietato investigare il futuro. La thora' e la preghiera li
istruiscono invece nella memoria. Cio' li liberava dal fascino del futuro, a
cui soggiacciono quelli che cercano informazioni presso gli indovini. Ma non
per questo il futuro divento' per gli ebrei un tempo omogeneo e vuoto.
Poiche' ogni secondo, in esso, era la piccola porta da cui poteva entrare il
Messia.

6. RIFLESSIONE. NANDO DALLLA CHIESA: STORIE DI ORDINARIA FOLLIA
[Dal quotidiano "L'Unita'" del 5 settembre 2003 riportiamo questo articolo
di Nando dalla Chiesa che nella forma ironica e severa di un antico e nobile
modulo retorico testimonia l'indignazione grande sua e di tutte le persone
di retto sentire dinanzi alle ennesime ignobili esternazioni del presidente
del consiglio dei ministri. Nando dalla Chiesa e' nato a Firenze nel 1949,
sociologo, docente universitario, parlamentare; e' stato uno dei promotori e
punti di riferimento del movimento antimafia negli anni ottanta; e' persona
di straordinaria limpidezza morale. Tra le opere di Nando Dalla Chiesa
segnaliamo particolarmente: Il potere mafioso, Mazzotta; Delitto imperfetto,
Mondadori; La palude e la citta' (con Pino Arlacchi), Mondadori; Storie,
Einaudi; Il giudice ragazzino, Einaudi; Milano-Palermo: la nuova resistenza
(a cura di Pietro Calderoni), Baldini & Castoldi; I trasformisti, Baldini &
Castoldi; La politica della doppiezza, Einaudi; Storie eretiche di cittadini
perbene, Einaudi; La legge sono io, Filema. Ha inoltre curato
(organizzandoli in forma di autobiografia e raccordandoli con note di grande
interesse) una raccolta di scritti del padre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, In
nome del popolo italiano, Rizzoli. Opere su Nando Dalla Chiesa: suoi
ritratti sono in alcuni libri di carattere giornalistico di Pansa, Stajano,
Bocca; si veda anche l'intervista contenuta in Edgarda Ferri, Il perdono e
la memoria, Rizzoli]
E come dargli torto, povero premier? Perche' montargli contro un'altra
pretestuosa polemica proprio quando le massime autorita' istituzionali ci
esortano alla moderazione? Ma scusate, non vi sembrano anche a voi
antropologicamente strani questi magistrati? Non dico del tutto,
integralmente, ma almeno un poco strani? Almeno qualche volta? Su', proviamo
a passarci una mano sulla coscienza prima di esercitarci nella comoda arte
dei lazzi e dei frizzi. Prima di sparare per l'ennesima volta sulla Croce
rossa. E ragioniamo. Non facciamoci abbagliare dall'odio, ragioniamo.
Come giudicare, ad esempio, dei signori o delle signore che prendono una
laurea in legge e sul piu' bello, invece di mettersi a fare gli avvocati,
invece di avviare un fiorente studio professionale, con quello che valgono
oggi le cause (dice che perfino il presidente del consiglio ha dovuto
sborsare 500 miliardi ai suoi avvocati, con tutto che li ha fatti deputati),
si mettono a reddito fisso, magari andando a lavorare all'inizio in una
citta' o cittadina senza attrattive dove non hanno mai messo piede prima? E
fin qui passi. Perche' dopotutto il reddito fisso in una certa Italia
premoderna esercita ancora la sua suggestione. E quindi si capisce che i
meno dotati o piu' pigri scelgano questa strada.
Ma poi, che cosa si puo' dire di signori e signore che, una volta imboccata
la strada dell'impiego statale, si mettono pure in testa di applicare la
legge in un paese vitale, fantasioso, creativo, genialmente anarcoide e
libertario come il nostro, totalmente insensibili alla cultura della
maggioranza dei loro simili? Non vi e' forse in tutto cio' una vena di fobia
verso il prossimo, una insofferenza altera verso i propri concittadini, uno
scompenso culturale verso i propri tempi? Ne' questo basta.
Perche' vi sono - all'interno di questa strampalata genia - pure coloro che
pretenderebbero di applicare la legge dello Stato anche la' dove la legge
che effettivamente vige ed efficacemente funziona e' quella di affermati
eserciti e comandi locali, che vanno sotto i piu' rutilanti nomi: da mafia a
'ndrangheta a camorra a sacra corona unita.
Siate sinceri: ma stareste mai voi a spremere le vostre fatiche, a
distillare i vostri sudori laddove la stessa legge e' cosa astratta e
misconosciuta; non solo, ma dove la sua tenace invocazione puo' provocare
anche reazioni assai dure, perfino pistolettate o fucilate, perfino
mitragliate o addirittura (perche' le tecnologie fanno progressi da gigante)
esplosioni di bombe con telecomando? Non ci vuole forse un che di arcano, di
bizzarro, di pazzesco oserei dire, nel disporsi a fare quel mestiere in quel
modo quando queste cose accadono? Quando voi stessi siete stati testimoni
che cio' e' davvero accaduto a un vostro collega e amico?
Pensate, ne ho conosciuto uno su un'isola lontana che aveva partecipato ai
funerali di quattro o cinque di questi suoi colleghi. A uno gli aveva
portato perfino la bara sulle spalle, una bara classica in massiccio legno
castano. Ebbene, continuo' a esercitare quella sua pretesa assurda finche'
fecero fuori anche lui. E aveva molti figli. Ma ditemi voi, non vi e' forse
qualcosa di assurdo, starei per dire di disumano nella scelta di lasciare
orfani i propri figli (il bene piu' caro...) pur di togliersi l'inutile
sfizio di fare osservare la legge, non vi e' una smania di titanico
protagonismo in chi attribuisce alla legge che rappresenta (legge umana,
dunque fallibilissima) la stessa superiorita' e indiscutibilita' delle legge
divina? Mettereste voi a rischio la vita per una battaglia persa, come un
qualsiasi eroe della piu' insulsa retorica risorgimentale?
Ma pensate, pensate ancora. Dicono questi signori e queste signore - poiche'
molte ve ne sono tra essi di donne; e cio' dovrebbe pure essere dettaglio
rivelatore... - di rappresentare pur sempre lo Stato, la comunita', i
cittadini. Anche qui, assurda arroganza. Non sta forse la sovranita'
popolare, dacche' esiste la democrazia, proprio nei cittadini e nel loro
libero voto, dunque nei loro rappresentanti politici, autentici e genuini
simboli della polis?
E allora qui davvero non si scappa. Perche' da sempre, o comunque da tempo
ormai lunghissimo, tali magistrati vanno in direzione opposta proprio
rispetto a coloro che piu' e meglio di tutti incarnano la pienezza e la
storia della democrazia. Essi vanno infatti cacciando uomini denominati con
provinciale americanismo "boss". Ritengono questa caccia un loro obbligo.
Mentre i simboli veri della democrazia e dunque dello Stato, ritengono
questa pratica antipatica e sconsigliabile affatto. Tanto che l'uomo
politico piu' splendido e potente di trenta e vent'anni fa ne ando' a
trovare diversi proprio per chiedere gentile spiegazione dei loro
ammazzamenti e se ne torno' a Roma senza farne cenno ad alcuno di questi
magistrati. Mentre l'uomo politico piu' splendido e potente dei nostri lieti
giorni addirittura ne ospito' uno in casa sua per diverso tempo, con
squisito spirito di accoglienza, in ambiente di sfarzo e di facoltose
frequentazioni.
Di quale Stato dunque essi cianciano? Non vi e' qualcosa di maniacalmente
donchisciottesco, un'imperscrutabile ostinazione, nel dirsi rappresentanti
dello Stato?
Oltretutto questa loro irriverenza verso la democrazia viene duramente e
assai severamente sanzionata. Essi in effetti vengono fatti segno a
concentrici e progressivi attacchi da parte dei giornali che sono anch'essi
per antonomasia "la democrazia", in quanto di diretta proprieta' degli
eletti del popolo. Titoli vigorosi, rimproveri e accuse virili, esecrazioni
e condanne; senza sosta, come d'altronde si deve quando si e' convinti delle
proprie buone ragioni. Ed essi niente. Ladri e assassini essi vengono
nomati. E cancro e comunisti. E vengono denunciati e portati davanti a loro
colleghi siccome rei; qui si', di fronte alla legge. E frotte di parolieri e
opinionisti su essi esercitano il loro coraggio e li castigano, civilmente e
senza scorticature, ma purtuttavia assai duramente. Ed essi giustamente non
possono replicare perche' altrimenti violerebbero quel senso delle
istituzioni che sono invece obbligati, per loro stessa ammissione, a tenere
in massimo rispetto.
E nemmeno alienano o vendono le proprie sentenze, pur vedendo quanti
vantaggi economici o di carriera arridano, con pochissime eccezioni, a
coloro che rifiutino la logica sedentaria del reddito fisso e si dedichino
ai dinamici commerci. Insomma, non colgono - tranne alcuni - le opportunita'
della vita e anzi talora vi rinunciano.
Ma che dite voi di tipi siffatti? Non costituiscono forse un corpo estraneo
al comune sentire, un che di antropologicamente strano?
Ma lo sapete - questa e' l'ultima, e' fresca, freschissima - che ce n'e' uno
di essi in Calabria che, mai pago di indagare sui traffici della cosiddetta
'ndrangheta, ha ricevuto minacce e ha continuato ugualmente a condurre le
sue indagini? E che, successivamente privato della sua scorta di polizia per
equanime decisione delle autorita' competenti, pur avendo moglie e figli sul
posto, invece di desistere come sarebbe stato suo dovere di coniuge e marito
responsabile, continua identicamente a indagare? Sapete ancora che per
proteggere i suoi familiari e la sua casa ormai senza tutela ha ingaggiato a
proprie personali spese dei vigilantes privati? E dunque in fede mia vi
chiedo: una volta ch'egli ha deciso di insistere nelle sue fisime a proprio
rischio, come ha fatto a non pensare alla cosa piu' semplice e innocente ed
efficace, quella di difendersi dando ospitalita' a un boss in casa propria,
magari affidandogli l'operosa mansione di stalliere? Ma ditemi, ditemi
davvero: non c'e' una vena di follia, una sbalestrata antropologia in tutto
questo?

7. DIRITTI UMANI. MICHELE GIORGIO INTERVISTA AVIV LAVIE
[Dal quotidiano "Il manifesto" del 3 settembre 2003. Michele Giorgio e'
corrispondente del quotidiano italiano da Gerusalemme. Aviv Lavie e' "il
giornalista di 'Haaretz' che ha svelato l'esistenza del carcere 1391, la
Guantanamo israeliana in cui, senza alcun rispetto per i diritti umani,
vengono segregati i palestinesi"]
E' spartana la sede di Haaretz, il piu' autorevole dei quotidiani
israeliani. L'editore, la ben nota famiglia Schoken, che vanta la proprieta'
di testate giornalistiche anche in altri paesi, non ha certo ecceduto
nell'arredamento e nelle rifiniture di stanze e corridoi. Ma forse e' questo
lo stile che piu' di addice ad un giornale progressista (ma solo fino ad un
certo punto), che spesso va controcorrente quando si parla di palestinesi e
processo di pace. Non e' poco in un momento in cui gran parte della stampa
israeliana non mette in dubbio la linea del governo di Ariel Sharon.
Aviv Lavie, inviato speciale del giornale, ci accoglie nel suo piccolo
ufficio. Il computer e' in funzione, sta ancora lavorando all'inchiesta
sull'esistenza in Israele di un carcere segreto di cui ha riferito nei
giorni scorsi. "E' stata sino ad oggi una indagine giornalistica molto
impegnativa, ma anche ricca di risultati", ci dice Lavie con tono
soddisfatto. "Aver portato alla luce l'esistenza di questa prigione e' stato
importante e spero che si faccia il possibile per impedire che possano
esserci ancora segreti del genere".
- Michele Giorgio: In ogni caso e' sorprendente che l'esistenza di un
carcere possa rimanere oscura per oltre venti anni in un paese che, ad ogni
occasione, afferma di essere "l'unica democrazia del Medio Oriente".
- Aviv Lavie: Si, e' vero. Anche perche' questo paese ufficialmente ha avuto
molti segreti ma poi e' sempre venuto tutto alla luce in breve tempo. Tutti
sanno, non solo in Israele ma anche all'estero, del fatto che questo paese
possiede armi atomiche, delle localita' dove sono state costruite
determinate basi dell'esercito. Soprattutto quando parliamo di questioni
militari e' impossibile tenere tutto segreto. Cio' dipende dal fatto che in
Israele tutti o quasi prestano servizio militare, gli uomini per ben tre
anni. Nell'esercito accanto ai nazionalisti piu' accesi ci sono coloro che
credono nella democrazia e nel rispetto dei diritti umani. Quindi, per
quanti sforzi le autorita' facciano per tenere all'oscuro l'opinione
pubblica di determinate cose, le persone con una coscienza democratica
sentono il dovere di dover rivelare i fatti piu' inquietanti, piu'
preoccupanti, ai quali hanno assistito durante il servizio militare.
- M. G.: Cio' che dice ha un fondamento, tuttavia per una ventina di anni
l'esistenza di questo carcere speciale, dove vengono sistematicamente
violati i diritti umani, e' rimasta segreta. Inoltre il fatto che la
prigione 1391 sia gestita dall'esercito contraddice, almeno in parte, cio'
che lei dice rispetto a coloro che fanno il servizio militare.
- A. L.: Nel caso della prigione 1391 parliamo di una vicenda davvero
eccezionale. Credo che sia rimasta segreta per cosi' tanto tempo a causa del
fatto che per gran parte della sua esistenza abbia ospitato cittadini di
altri paesi e non palestinesi o israeliani. Chi e' stato tenuto in questo
carcere di fatto e' scomparso, di lui non si e' saputo piu' nulla. Le
famiglie, ad esempio, di libanesi, siriani o iraniani catturati lungo i
confini o rapiti nei loro paesi da unita' israeliane come lo sceicco Obeid e
Mustafa Dirani, sapevano che erano tenuti prigionieri in Israele ma non si
sono rivolti, nella maggioranza dei casi, alle organizzazioni umanitarie
internazionali per ottenere informazioni precise sulla loro detenzione o per
chiedere la scarcerazione immediata dei loro congiunti. Quei casi sono stati
gestiti piu' politicamente che nell'ambito della tutela dei diritti umani.
Nel caso dei palestinesi invece non sarebbe stato possibile tenere le cose
segrete per tanto tempo perche' gli avvocati, le famiglie si attivano subito
per seguire la sorte dei detenuti, sono solleciti nel presentare richieste e
petizioni. E non a caso della prigione 1391 si e' saputo la scorsa
primavera, dopo quasi venti anni, proprio perche' aveva cominciato ad
ospitare anche palestinesi. La loro scomparsa ha messo in allerta i
familiari che si sono rivolti ai centri per i diritti umani e il segreto
alla fine e' stato svelato.
- M. G.: In quale occasione lei ha appreso della esistenza del carcere 1391.
- A. L.: Sembra incredibile ma e' stato durante una udienza della Corte
suprema aperta al pubblico. I giudici stavano esaminando la petizione
presentata dal centro Hamoked e dall'avvocato Lea Tsemel che rappresentavano
alcune famiglie palestinesi che avevano denunciato la scomparsa di congiunti
arrestati dall'esercito durante la rioccupazione dei territori autonomi
palestinesi nel 2002 e le incursioni piu' recenti avvenute nelle citta'
della Cisgiordania. Di solito di un palestinese arrestato si perdono le
tracce solo per qualche giorno, soprattutto durante i duri interrogatori ai
quali vengono sottoposti, poi i servizi di sicurezza comunicano ai loro
avvocati le prigioni in cui sono stati trasferiti. Invece di un certo numero
di arrestati ad un certo punto non si era saputo piu' nulla, erano svaniti
nel nulla. L'avvocato dello stato, messo sotto pressione dai giudici, ad un
certo punto ha rivelato l'esistenza di una prigione segreta in cui vengono
rinchiusi palestinesi e cittadini arabi ritenuti a conoscenza di
informazioni di primaria importanza per la sicurezza di Israele. In pratica,
l'esercito, di fronte alle molte migliaia di arrestati durante i raid e le
rioccupazioni delle citta' autonome, e' stato costretto a trasferire nella
1391 alcuni palestinesi eccellenti, si dice persino il segretario di
Al-Fatah Marwan Barghuti. Dal loro punto di vista pero' e' stato un errore
poiche' questa decisione di fatto ha poi portato nel giro di qualche mese
alla luce questo carcere speciale.
- M. G.: E cosa e' accaduto dopo?
- A. L.: Molto poco. I mezzi d'informazione israeliani hanno finto di non
aver sentito. Anche quelli stranieri in verita'. Ricordo solo una notizia
dell'agenzia di stampa americana "Associated Press" in cui si riferiva delle
ammissioni fatte dall'avvocato dello Stato. Poi si e' messa in movimento la
rete televisiva Canale 10 che non e' andata oltre la messa in onda di una
immagine, girata a molta distanza, del carcere segreto. Io invece per due
mesi ho cercato i militari che avevano prestato servizio in quella prigione,
li ho intervistati e in questo modo ho potuto riferire nel mio servizio di
cio' che accade nella 1391, dei nomi di alcuni dei prigionieri che vi sono
stati rinchiusi, delle violazioni dei diritti umani.
- M. G.: Il suo servizio giornalistico e' ricco di informazioni e ha portato
alla luce un caso di importanza internazionale. Eppure non mi pare che in
Israele questa vicenda abbia scosso l'opinione pubblica o messo in movimento
le forze progressiste. Perche' e' mancata la reazione che era legittimo
attendersi?
- A. L.: Qualcosa si e' mosso. Alcuni parlamentari hanno chiesto
chiarimenti, in particolare Zahava Gal-On del Meretz che ha presentato una
richiesta alle autorita' militari per entrare nel carcere speciale. Anche la
radio militare e' intervenuta sul caso e mi ha intervistato. Mi rendo conto
pero' che non e' molto. Purtroppo non solo l'opinione pubblica ma anche i
mezzi d'informazione che dovrebbero porsi interrogativi e svelare fatti
inquietanti, si sono allineati, appiattiti sulle posizioni espresse
dall'establishment politico. Di fronte all'acuirsi del conflitto con i
palestinesi, un po' tutti, e con maggiori colpe giornalisti e intellettuali,
preferiscono chiudere un occhio, anzi tutti e due, e credere che tutto sia
lecito, che tutto sia consentito. E' un momento difficile, forse il piu'
difficile dal 1948 ad oggi, per la democrazia in questo paese. E purtroppo
imprimere una svolta e mettere fine a questo periodo nero non sara' facile.

8. LIBRI. DANILO FRANCHI PRESENTA "LA VERITA' NON HA COLORE"
[Ringraziamo Danilo Franchi (per contatti: danilo.franchi@tin.it), coautore
del libro La verita' non ha colore - sull'esperienza della "Commissione per
la verita' e la riconciliazione" in Sudafrica, sulla quale da alcuni anni va
costituendosi anche in italiano una significativa bibliografia -, per averci
inviato questa scheda che volentieri pubblichiamo]
Danilo Franchi, Laura Milani, La verita' non ha colore. Aguzzini e vittime
dell'apartheid testimoniano alla Commissione per la verita' e la
riconciliazione sudafricana, Edizioni Comedit, pp. 270, euro 15.
Il libro contiene brani di ventuno testimonianze emblematiche rese alla
Commissione per la verita' e la riconciliazione sudafricana (Truth and
Reconciliation Commission) presieduta dall'arcivescovo anglicano Desmond
Tutu e voluta, nel 1996, da Nelson Mandela allora presidente del Nuovo
Sudafrica.
Temi portanti del libro sono la violazione dei diritti umani e la
riconciliazione. Legati strettamente a questi temi sono argomenti come
educazione alla pace, risoluzione pacifica dei conflitti, antirazzismo,
ascolto dell'altro.
Queste tematiche hanno avuto nella Commissione sudafricana lo strumento
concreto per la ricostruzione della verita', per il recupero della memoria
storica e per l'avvio del processo di riconciliazione nazionale.
Sedici delle ventuno testimonianze contenute nel libro sono corredate da
note esplicative e d'approfondimento. Inoltre, il libro propone una sezione
di "documenti" con una riflessione sul fenomeno dei perpetrator (gli
aguzzini e i torturatori sudafricani) e sul processo di riabilitazione degli
ex perpetrator e delle ex vittime; un estratto delle conclusioni del
presidente della Commissione, Desmond Tutu; una scelta di lettere e messaggi
inviati alla Commissione da  cittadini del Sudafrica e del resto del mondo.
La Commissione sudafricana fu istituita "come meccanismo per gestire le
ingiustizie del passato: perche' altrimenti quelle stesse ingiustizie
avrebbero continuato ad affliggere il nuovo governo e a minacciare le
fragili strutture della nuova democrazia del Sudafrica" (Desmond Tutu).
Le testimonianze degli ex aguzzini, delle ex vittime e dei partecipanti al
conflitto dell'uno e dell'altro fronte hanno costituito una soluzione
originale per il superamento di conflitti altrimenti insanabili in un paese
profondamente martoriato.
La Commissione sudafricana non e' stata un tribunale e non emetteva
sentenze: "La Commissione non fa giustizia ma verita'" (Nelson Mandela). Non
una verita' ideologica, politica o filosofica, ma la verita' dei fatti
imbavagliata e incatenata nelle camere di tortura e nei luoghi occulti
protetti da silenzio in cui operavano gli aguzzini dell'apartheid.
La soluzione sudafricana, che non ha precedenti nella storia, trae la sua
peculiarita' nella particolare procedura per cui chi era stato implicato in
crimini contro i diritti umani durante il regime dell'apartheid poteva
ottenere l'amnistia in cambio di una completa confessione: "la liberta' in
cambio della verita'". Per ottenere l'amnistia era richiesta l'ammissione
dettagliata, completa e pubblica dei propri crimini: cio' comportava, di per
se', una mutata valutazione dei propri atti, una punizione esemplare e, a
livello soggettivo, un'esperienza quasi sempre traumatica.
Alcune vittime, o i loro familiari, hanno concesso il perdono ai loro
aguzzini.
La Commissione per la verita' e la riconciliazione sudafricana e' stata
definita da molti come una sorta di "autoanalisi collettiva" di un intero
paese. Un paese che, per la prima volta nella storia, ha saputo piegarsi
all'ascolto dei vinti e ha rifiutato la vendetta offrendo, al posto di
castigo e odio, verita' e riconciliazione.

9. RILETTURE. HANNAH ARENDT: LA VITA DELLA MENTE
Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, pp. 620,
lire 60.000. Pubblicato postumo, l'ultimo capolavoro di Hannah Arendt.

10. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO
Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale
e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale
e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae
alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo
scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il
libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali,
l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di
nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza
geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e
la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e
responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio
comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono
patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e
contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto
dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna,
dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione,
la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la
noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione
di organi di governo paralleli.

11. PER SAPERNE DI PIU'
* Indichiamo il sito del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org; per
contatti, la e-mail e': azionenonviolenta@sis.it
* Indichiamo il sito del MIR (Movimento Internazionale della
Riconciliazione), l'altra maggior esperienza nonviolenta presente in Italia:
www.peacelink.it/users/mir; per contatti: lucben@libero.it;
angelaebeppe@libero.it; mir@peacelink.it, sudest@iol.it
* Indichiamo inoltre almeno il sito della rete telematica pacifista
Peacelink, un punto di riferimento fondamentale per quanti sono impegnati
per la pace, i diritti umani, la nonviolenza: www.peacelink.it. Per
contatti: info@peacelink.it

LA NONVIOLENZA E' IN CAMMINO

Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la
pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100
Viterbo, tel. e fax: 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it

Per non ricevere piu' questo notiziario e' sufficiente inviare un messaggio
con richiesta di rimozione a: nbawac@tin.it

Numero 665 del 6 settembre 2003