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Napoli: il Forum Sociale Europeo e la Questione Palestinese
- Subject: Napoli: il Forum Sociale Europeo e la Questione Palestinese
- From: Carlo Gubitosa <c.gubitosa@peacelink.it>
- Date: Wed, 20 Aug 2003 22:22:38 +0200
Articolo di Asma Agbarieh, direttrice del mensile palestinese Al Sabar e
coordinatrice dell'ufficio legale del Workers Advice Center a Gerusalemme
Est e Nazareth
Napoli: il Forum Sociale Europeo e la Questione Palestinese
Cari amici,
ho partecipato al Forum Sociale Europeo (dei paesi del Mediterraneo)
tenutosi a Napoli dal 4 al 6 Luglio. Vi mando alcune mie impressioni che
vorrei condividere e discutere con voi. Il mio auspicio è quello di
riuscire insieme ad approfondire il ruolo di questo movimento relativamente
alla questione palestinese e il ruolo internazionale che oggi svolgono gli
Stati Uniti.
La guerra in Iraq e la crescita del movimento internazionale avverso alla
globalizzazione sono due aspetti che ci possono aiutare nel riesame della
questione palestinese, questione che è stata veramente centrale durante la
conferenza di Napoli. Durante gli ultimi 10 anni, nel corso della
cosiddetta era post-Oslo (1993-2000), ha prevalso l'opinione che attribuiva
agli Stati Uniti, unica potenza dominante rimasta, il ruolo chiave per la
soluzione del problema. Questa posizione ha pesantemente influito sulle
politiche adottate nell'area e sul destino del popolo Palestinese.
Più in particolare, due correnti si sono evidenziate in questo periodo,
determinando il destino del popolo Palestinese. Arafat, leader
dell'autorità palestinese, guida la prima delle due correnti. Fin
dall'inizio degli anni '90 ha seguito una politica perdente che ha aperto
le porte agli Stati Uniti e a Oslo. Verso la fine della stessa decade il
popolo Palestinese ha respinto gli accordi di Oslo, facendo riesplodere
l'Intifada. E' iniziata come una dimostrazione di generale insoddisfazione,
ma non è riuscita a sfociare in una vera lotta di liberazione nazionale con
una propria strategia di sviluppo. A causa di questo fallimento i negoziati
palestinesi proseguono oggi sulla stessa falsa riga, sotto la leaership di
Abu Mazen.
Hamas guida la seconda corrente, quella della resistenza militare e degli
attacchi suicidi.
Sebbene ufficialmente Hamas rifiuti gli Stati Uniti, preferisce
focalizzare la propria lotta contro Israele, ignorando il ruolo cruciale
degli Stati Uniti nel supportare Israele e i regimi arabi reazionari.
Dal punto di vista ideologico, inoltre, Hamas impone l'islam politico che
predica un isolazionismo su base religiosa.
Possiamo affiancare a queste due correnti l'ala sinistra delle
organizzazioni palestinesi che hanno adottato una politica di "unità
nazionale" nei confronti sia dell'Autorità Palestinese sia di Hamas. Non
sono stati capaci di rappresentare una terza via né alla linea
pro-americana dell'Autorità Palestinese, né all'allucinante visione
islamica di Hamas; un'alternativa dettata da principi morali ma
praticabile, idonea alle attuali esigenze del popolo Palestinese.
Un ulteriore fattore negativo, non meno grave, in questa situazione è
rappresentato dal fatto che tutte e tre queste correnti che hanno agito
sotto l'Intifada sono rimaste isolate da quel processo positivo che ha dato
vita, sempre negli ultimi dieci anni, al movimento contro la
globalizzazione e a quello contro la guerra in Iraq.
L'unità nazionale durante la seconda Intifada si limitata ad un minimo
comun denominatore, e ha dovuto affrontare un test cruciale rappresentato
dalla conclusione della guerra in Iraq e dal lancio della Road Map.
Cosa è successo a Napoli?
I Palestinesi che hanno partecipato al Forum di Napoli rappresentavano
Fatah, la sinistra Palestinese e alcuni rappresentanti di diverse
organizzazioni della società civile. All'apertura della Conferenza queste
organizzazioni hanno cercato di redigere un documento unitario sulla
questione palestinese.
Concordavano sul fatto che tale documento contenesse le questioni su cui
concordavano come ad esempio le risoluzioni Onu, ed evitasse ciò che le
divide, come la Road Map e l'occupazione americana dell'Iraq. Questo
atteggiamento ha però reso tale documento irrilevante perchè il piano della
Road Map, che è anche peggio degli Accordi di Oslo, è strettamente legato
all'occupazione dell'Iraq e attribuisce agli Stati Uniti il ruolo di
giudice finale su tutte le questioni in contenzioso fra Israele e i
Palestinesi.
Alla fine, dopo molto dibattere, le parti non hanno trovato un accordo.
Molti rappresentanti di organizzazioni di sinistra, che sostengono ogni
forma di resistenza, inclusi gli attacchi suicidi, domandavano che il
documento denunciasse il Sionismo, negando così ogni negoziato con Israele.
I rappresentanti delle organizzazioni più moderate hanno posto un netto
rifiuto. Coloro che hanno sostenuto le denunce del Sionismo si sono alla
fine ritrovati, praticamente, dalla stessa parte di Hamas che naturalmente
non partecipava all'evento.
La fine del dibattito è arrivata quando i rappresentanti delle fazioni di
sinistra hanno deciso di abbandonare la sala perché alcuni rappresentanti
di due organizzazioni non-Sioniste sono saliti sul palco: Ta'ayush e New
Profile, un'organizzazione che sostiene la lotta degli obiettori di coscienza.
Lasciare la sala è stato un errore gravissimo. Ha minato la credibilità
dell'opposizione Palestinese ed è apparso un passo estremo in quanto ha
rappresentato il rifiuto anche di quegli Israeliani che esprimono
solidarietà verso il popolo Palestinese e sono attivi e impegnati contro
l'occupazione. Tale incapacità di collaborare con un movimento vitale,
quale è quello degli obiettori di coscienza, ha indubbiamente significato
una grande debolezza. Hanno dimostrato di non saper distinguere tra gli
Israeliani del Labor o del Likud, che trattano con l'Autorità Palestinese
al solo scopo di ottenere più concessioni e sottomissione e le correnti
radicali non Sioniste che si oppongono al servizio militare e
all'occupazione. La minaccia di boicottare la Conferenza con un out-out "o
loro o noi" non è stata saggia per nulla, presentando noi Palestinesi come
isolazionisti.
La denuncia del Sionismo non è un programma politico alternativo in se
stesso. Non fornisce un programma alternativo praticabile per la vita
quotidiana della classe lavoratrice, né per i sindacati, né per la
sinistra. Porta solo a posizioni vicine a quelle di Hamas che nega ogni
negoziato e considera la lotta armata un pincipio definitivo. Il problema è
che la lotta armata non è sostenuta da un programma alternativo a quello
proposto da Israele e accettato dall'Autorità Palestinese.
Fine dell'era della potenza unica
Queste difficili relazioni all'interno della delegazione Palestinese
riflettono la difficile situazione che vive il popolo Palestinese così come
evidenziato dalla gestione della seconda Intifada. D'altronde non si può
comprendere la fine mortale delle organizzazioni Palestinesi se non si
allarga lo sguardo sulla situazione internazionale.All'inizio dell'ultimo
decennio è apparso evidente come gli Stati Uniti avessero in pugno l'intero
pianeta. Alla fine del medesimo decennio il loro ruolo è stato certamente
ridimensionato. Ci troviamo infatti in un periodo di transizione tra la
fine di una vecchia era e l'inizio di una nuova. Il New York Times ha
correttamente scritto, dopo le imponenti manifestazioni contro la guerra
del 15 Febbraio 2003, che oggi il mondo è diviso in due blocchi: gli Stati
Uniti da una parte e l'opinione pubblica mondiale dall'altra. L'attuale
ordine mondiale internazionale, che impone ai Palestinesi soluzioni di
totale sottomissione, sta collassando. La domanda da porsi è da quale parte
stanno i Palestinesi. Allo stesso tempo, alla luce di questa nuova
situazione, come dovrebbe essere presentata la situazione Palestinese?
L'"Iniziativa Nazionale Palestinese" di Mustafa Barghouthy è un tentativo
per affrontare questa nuova situazione. Riflette posizioni che sono
parecchi diffuse tra le rappresentanze della società civile della West
Bank.Lo stesso Barghouthy è membro del People's Party (l'ex partito
comunista). Non era presente di persona alla Conferenza, ma era ben
rappresentrato all'interno della delegazione Palestinese presente.
Cosa propone la sua iniziativa?
La Terza Via
Sia Hayat (9 Luglio) sia Al Ahram (10-16 Luglio) hanno pubblicato un lungo
articolo di Barghouthy in cui egli attribuisce il fallimento di Oslo alle
posizioni antidemocratiche dell'Autorità Palestinese. Nello stesso
articolo egli afferma che rifiuta il piano della Road Map così come rifiuta
la lotta armata di Hamas, aggiungendo che la condizione per intravedere una
soluzione al problema Palestinese è che vengano convocate elezioni
democratiche prima dell'accettazione di ogni piano politico. Questa
posizione rappresenta veramente una Terza Via?
Sebbene Barghouthy, sempre in questo articolo, affermi di rifiutare il
piano della Road Map, egli tralascia totalmente di considerare le
circostanze internazionali nelle quali il piano è stato imposto,
principalmente la guerra in Iraq. Afferma di sostenere i negoziati quale
mezzo per raggiungere una soluzione, ma non accenna a chi potrà essere il
mediatore dei futuri negoziati.
Barghouthy cerca di convincerci che si è aperta un'opportunità senza
precedenti per migliorare la nostra posizione nei negoziati.
Perchè? Perchè il problema Palestinese è centrale all'interno del
movimento contro la globalizzazione. Ma Barghouthy ha torto. Il mondo oggi
guarda la natura militare e violenta con cui gli Stati Uniti impongono la
globalizzazione e questo è dimostrato dal fatto che, oggi, l'opposizione
all'occupazione militare dell'Iraq e i violenti attacchi ai diritti dei
lavoratori sono di fatto i temi centrali del movimento.
E' impossibile lottare contro l'occupazione messa in atto da Israele senza
lottare contro gli Stati Uniti. E' questo il punto su cui Barghouthy
sbaglia: sembra che voglia portare il movimento internazionale contro la
globalizzazione, e in particolare la sua parte Europea, a spingere sugli
Stati Uniti, senza rifutare così il loro ruolo di unico mediatore tra
Palestinesi ed Israele.
Questo tipo di approccio non solo è irrealizzabile, ma anche pericoloso.
Riporta indietro l'opinione pubblica. Confonde l'opinione pubblica
internazionale che vede gli Stati Uniti come una minaccia per il mondo.
Aiuta in questo modo gli Usa a riguadagnare legittimità come mediatore.
Quello che secondo noi è necessario oggi è ribaltare l'equazione; dobbiamo
cioè smettere di pensare a utilizzare i forum anti globalizzazione come
àncora per la questione Palestinese e considerarla una questione strategica
prioritaria rispetto ad altre questioni internazionali.
La questione andrebbe posta differentemente: come la questione palestinese
possa servire alla costruzione di un'alleanza contro l'imperialismo
statunitense e come affrontare quindi questo regime che minaccia l'intera
umanità. E' questa la questione che la classe lavoratrice di tutto il mondo
dovrebbe sollevare, così come la deve sollevare un popolo oppresso da una
mai risolta oppressione nazionale.
L'occupazione dell'Iraq sta diventando l'asse principale della politica
USA in Medio Oriente. Ed è questo il motivo per cui il successo o il
fallimento del tentativo statunitense di imporre la propria politica e il
modello neoliberale in Iraq sarà determinante per il destino del Medio
Oriente. E ancora, è questo il motivo per cui la lotta contro l'occupazione
israeliana è strettamente legata alla lotta all'occupazione americana
dell'Iraq. Solo la sconfitta degli Stati Uniti in Iraq potrà aprire nuovi
orizzonti a una giusta soluzione del problema Palestinese.
La crescente opposizione popolare alla globalizzazione e alla politica
statunitense è la chiave di volta che permetterà al popolo Palestinese di
rinnovare le proprie forze per continuare la lotta contro l'occupazione
israeliana. Sarà un processo lungo ma in questo modo il popolo Palestinese
non porterà avanti una lotta solitaria, ma sarà parte di un movimento
internazionale di opposizione agli Stati Uniti. Una lotta di questo genere
potrà anche adottare una prospettiva sociale che non porrà il profitto e il
benessere del capitale in cima ai propri interessi. Il Socialismo è l'unico
sistema che pone il benessere dell'umanità al di sopra del benessere del
capitale. In un contesto di questo genere troverà posto l'equa soluzione di
tutti i problemi, compreso il problema Palestinese.